Tumgik
#saper insegnare
silviaaquilini · 8 months
Text
Tumblr media
2 notes · View notes
ragazzoarcano · 2 years
Text
“Non vergognarti di volere che ti sia insegnato ciò che non sai. Saper qualcosa è fonte di lode, mentre è una colpa non voler imparare nulla.”
— Marco P. Catone
35 notes · View notes
francescosatanassi · 4 months
Text
UN MALEDETTO SELVAGGIO
Tumblr media
Una storia che non conoscevo. Di fronte alle più alte cariche dello Stato cubano, oggi sono state tumulate presso l’altare dei rivoluzionari di L’Avana, le ceneri di Gino Donè, "El Italiano", come lo chiamavano i suoi compagni. Donè era nato in provincia di Treviso e aveva combattuto come partigiano nella Brigata Piave, ricevendo anche un encomio dal Gen. Alexander per aver salvato un gruppo di ufficiali inglesi nella laguna veneziana. Dopo la guerra cercò fortuna in Francia, Belgio, Germania, fino all'arrivo a Cuba. "Facevo il carpentiere - raccontò nel 2006 - ma avevo il sangue che mi bolliva, dentro ero ancora un maledetto partigiano.” In quel periodo, Fidel Castro era esiliato in Messico e stava arruolando giovani per liberare Cuba dalla dittatura di Batista. Venne a sapere di un italiano che aveva combattuto i fascisti e lo volle con sé come tenente del 3° plotone. Fu Gino a insegnare le tecniche della guerriglia a Che Guevara e assieme a lui, Fidel e Raul Castro, era tra gli 82 che, a bordo dell’imbarcazione Granma, sbarcarono ai piedi della Sierra Maestra. Con Aleida March, futura moglie del Che, organizzò, senza metterlo in atto, un piano per assaltare la sede del comando militare di Santa Clara. Ricercato dalla polizia, i compagni lo convinsero a rifugiarsi negli USA, dove si guadagnò da vivere come marinaio per 3 anni, prima di tornare in Italia. Al suo funerale parteciparono centinaia di persone, tra le quali i funzionari dell’ambasciata cubana con 4 corone di rose inviate in Italia da Fidel. "Mi hanno chiesto se fossi anarchico, comunista, rivoluzionario - raccontò l''unico europeo ad aver partecipato alla rivoluzione cubana - io sono soltanto un maledetto selvaggio. Però osservo il mondo e vedo che c'è sempre qualcuno più povero di me. E oggi, chi dà una mano ai proletari? Forse ci vorrebbero ancora uomini che decidono di essere fratelli."
143 notes · View notes
ross-nekochan · 2 months
Text
Tumblr media Tumblr media
Lo scorso weekend sono andata di nuovo a dormire dalla mia amica che abita vicino Tokyo.
Ogni volta mi porta la Domenica a pranzo dai suoi genitori, che ormai considero i miei nonni giapponesi, dato che mi fanno trovare la tavola imbandita così come farebbero i miei nonni, sebbene non ho alcun legame di sangue con loro.
La sera prima invece con la mia amica si fanno lunghi discorsi. A un certo punto ci siamo rese conto che erano passate 6h eppure erano volate.
Ad esempio, quando mi lamento che voglio fare altro, qualcosa che mi stimoli di più, lei dice che sono troppo seria e che pretendo troppo. Mi ha detto che sono la sua amica più piccola e altre sue amiche italiane a 40 anni o più, nemmeno sanno cosa fare e al momento lavorano ripiegando su altro. Quindi non mi devo preoccupare, va bene così, mi dice.
Io però boh. Forse sbaglio a non accontentarmi mai? In fondo lo fanno tutti. Il fatto è che non riesco a sopportare di non star imparando niente. Io vivo per sapere cose nuove, qualsiasi giuro, pure se fosse ingegneria mi andrebbe bene. Ma se non imparo e faccio sempre le solite cose mi sento spenta e arida dentro, mi scoccio. Sebbene le abbia detto: "almeno non sto rendendo la mia laurea inutile" (perché è vero, parlo giapponese e inglese tutti i giorni, quindi di che mi lamento?), in realtà è che non ho imparato nessuna skill nuova se non la solita "relazione con i clienti". I PC vanno solo aggiornati, resettati e cambiate qualche impostazione (cosa che saprebbe fare chiunque) quindi manco posso dire di star diventando un'esperta in questo campo.
I colloqui vanno male, quei pochi che me lo chiedono. Perché centinaia di altri mi rifiutano senza nemmeno chiedere il cv. Sto iniziando a pensare che sto sbagliando qualcosa. Forse è perché ancora non ho il JLPT? Forse è perché non ho esperienza se non in questo cazzo di IT? Forse è perché non scrivo cose accattivanti per il lettore? Per non parlare del fatto che propongono tutti stipendi più basso del mio attuale e a quello dovrei aggiungere la metà dell'affitto che ora mi paga la mia attuale azienda. Also, non c'è altro che servizio clienti - che sia hotel, aziende di videogiochi, aziende di viaggi ecc si tratta sempre e comunque di servizio clienti. Possibile che nessuno mi possa insegnare a fare qualcosa lavorando?
Mi sento sbagliata. Come sempre, d'altronde.
25 notes · View notes
empaticamentesblog · 3 months
Text
Il giorno della memoria...corta e inesistente.
A sentire i politici e vari personaggi italiani, il giorno della memoria è un giorno da ricordare perché è un passato che deve insegnare a costruire un mondo migliore; un passato che deve fare in modo che certe cose non si ripetano più.
Ma in che modo non si ripetono più? Nel fornire armi per una guerra in corso, anziché fungere da mediatori? Oppure manipolando i cittadini inducendoli ad odiare chi non fa i loro interessi? Un po' come fece Hitler inducendo i tedeschi, stanchi e incazzati per il Precariato, ad odiare gli ebrei fino allo sterminio. Un po' come fecero qui in Italia, durante la pandemia, tra pro vax e no vax inducendo l'uno ad odiare l'altro, ma la gente assorta nel panico più totale neppure lo notò. Ma per fortuna non c'erano i presupposti per arrivare ad uno sterminio Hitleriano. E poi un po' come fecero nei confronti dei percettori del reddito di cittadinanza, facendo credere che i richiedenti erano solo parassiti... inducendo così la maggior parte delle persone ad odiarli e schifarli senza neppure sapere se fossero parassiti o in vera difficoltà. Un po' come fecero verso gli stranieri immigrati, inducendo il popolo ad odiare una persona solo perché immigrata clandestina. Però erano "boni" i soldi che vi entravano per ogni clandestino sbarcato... Ah... Un immigrato violentava? Ed ecco lì che, pur di colpire l'avversario politico, concentravano il problema delle violenze sugli immigrati convincendo gli italiani ad odiarli, quando in realtà siamo pieni di italiani stupratori e spesso ci mangiamo insieme senza neppure sapere che lo sono. Come si può credere che questi politici piangano la morte di milioni di poveri ebrei, quando lo stesso Stato in cui viviamo lascia morire ogni giorno, nel silenzio, il popolo meno abbiente tra tagli sulla Sanità, Precariato causato dalle loro stesse leggi inefficaci nel mondo del lavoro, tagli alle Forze dell'ordine oramai quasi prive di ogni potere e intervento diretto per i cittadini?! Manipolatori e divulgatori di odio, incapaci di gestire il proprio Stato oramai alla deriva tra Malasanità, Malagiustizia, Malaistruzione, Precariato, mancanza di controlli e ordine, pronti a mietere vittime fornendo armi anziché tentare altre strade, ma parlano del giorno della memoria... Ma di quale memoria si parla? Io vedo sempre gli stessi scenari e purtroppo non si salva nessuno. Come fate ancora a credere in loro? Come fate ancora a difendervi un Partito? Come fate ancora a farvi manipolare da questi sciacalli?
Beati voi che credete ancora in qualcuno, io ho smesso da un pezzo...
25 notes · View notes
canesenzafissadimora · 6 months
Text
Al bambino non possiamo consegnare l’Oceano, un secchiello alla volta. Però gli possiamo insegnare a nuotare nell’Oceano e allora andrà fin dove le sue forze lo porteranno, poi inventerà una barca e navigherà con la barca, poi con la nave. (...) La conoscenza non è una quantità. È una ricerca. Noi non dobbiamo dare ai bambini quantità di sapere, ma strumenti per ricercare ...
Tumblr media
Gianni Rodari
28 notes · View notes
alle00 · 4 months
Text
Per quanto riguarda l'educazione dei figli, penso che si debbano insegnar loro non le piccole virtú, ma le grandi. Non il risparmio, ma la generosità e l'indifferenza al denaro; non la prudenza, ma il coraggio e lo sprezzo del pericolo; non l'astuzia, ma la schiettezza e l'amore alla verità; non la diplomazia, ma l'amore al prossimo e l'abnegazione; non il desiderio del successo, ma il desiderio di essere e di sapere. Di solito invece facciamo il contrario: ci affrettiamo a insegnare il rispetto per le piccole virtú, fondando su di esse tutto il nostro sistema educativo. Scegliamo, in questo modo, la via piú comoda: perché le piccole virtú non racchiudono alcun pericolo materiale, e anzi tengono al riparo dai colpi della fortuna. Trascuriamo d'insegnare le grandi virtú, e tuttavia le amiamo, e vorremmo che i nostri figli le avessero: ma nutriamo fiducia che scaturiscano spontaneamente nel loro animo, un giorno avvenire, ritenendole di natura istintiva, mentre le altre, le piccole, ci sembrano il frutto d'una riflessione e di un calcolo e perciò noi pensiamo che debbano assolutamente essere insegnate. In realtà la differenza è solo apparente. Anche le piccole virtú provengono dal profondo del nostro istinto, da un istinto di difesa: ma in esse la ragione parla, sentenzia, disserta, brillante avvocato dell'incolumità personale. Le grandi virtú sgorgano da un istinto in cui la ragione non parla, un istinto a cui mi sarebbe difficile dare un nome. E il meglio di noi è in quel muto istinto: e non nel nostro istinto di difesa, che argomenta, sentenzia, disserta con la voce della ragione. L'educazione non è che un certo rapporto che stabiliamo fra noi e i nostri figli, un certo clima in cui fioriscono i sentimenti, gli istinti, i pensieri. Ora io credo che un clima tutto ispirato al rispetto per le piccole virtú, maturi insensibilmente al cinismo, o alla paura di vivere. Le piccole virtú, in se stesse, non hanno nulla da fare col cinismo, o con la paura di vivere: ma tutte insieme, e senza le grandi, generano un'atmosfera che porta a quelle conseguenze. Non che le piccole virtú, in se stesse, siano spregevoli: ma il loro valore è di ordine complementare e non sostanziale; esse non possono stare da sole senza le altre, e sono, da sole senza le altre, per la natura umana un povero cibo. Il modo di esercitare le piccole virtú, in misura temperata e quando sia del tutto indispensabile, l'uomo può trovarlo intorno a sé e berlo nell'aria: perché le piccole virtú sono di un ordine assai comune e diffuso tra gli uomini. Ma le grandi virtú, quelle non si respirano nell'aria: e debbono essere la prima sostanza del nostro rapporto coi nostri figli, il primo fondamento dell'educazione. Inoltre, il grande può anche contenere il piccolo: ma il piccolo, per legge di natura, non può in alcun modo contenere il grande.
Natalia Ginzburg, Le piccole virtù
18 notes · View notes
t-annhauser · 8 months
Text
Socrate
Possiamo leggere Socrate come una risposta allo scetticismo sofista, Socrate in fondo ci dice cose ormai così assimilate dal pensiero comune da risultarci quasi banali: conosci te stesso. Data la necessità di rifondare il pensiero filosofico andato a cacciarsi nel vicolo cieco della svalutazione della verità, Socrate fa appello al buon animo di ciascuno, al dovere di migliorarsi attraverso la vera conoscenza, un appello alla costruzione di sé che ce lo mostra come il fondatore della filosofia morale (e per questo, secoli più tardi, sarà preso di mira dall'antimoralista per eccellenza, vale a dire Nietzsche).
Socrate, com'è noto, non ha lasciato nulla di scritto e ha parlato principalmente attraverso la testimonianza di Platone, suo allievo e affezionato seguace. La sua vita è segnata dalla condanna a morte comminatagli dalla polis per aver corrotto i giovani con il suo insegnamento. Ma cosa insegnava Socrate? Nulla in particolare, insegnava a ragionare attraverso il dialogo e a mettere in discussione le false certezze di una società già molto "secolarizzata" e che poggiava su regole perlopiù conformiste. Siccome nella polis l'ordinamento stabile della società era propedeutico alla stabilità del potere politico, un individuo come Socrate, che metteva in discussione i valori ritenuti fondamentali istillando il dubbio fra i cittadini, era ritenuto quantomeno fastidioso. Lui stesso si definì "tafano di Atene", “il tafano che punzecchia la vecchia cavalla”, dove il tafano era il filosofo, mentre la vecchia cavalla era Atene. Non è che Socrate lo facesse per dispetto, lo faceva per amore della verità, quell'amore per la verità che era ormai ridicolizzato pubblicamente nelle commedie di Aristofane.
Il metodo di Socrate era la maieutica, cioè l'abilità di far nascere spontaneamente nell'altro la verità, lui stesso, del resto, sapeva di non sapere e quindi di non poter insegnare agli altri una verità di cui ancora doveva farsi un'idea.
Quando i giurati lo condannarono a morte lo fecero in un certo senso a cuor leggero perché si aspettavano, come da prassi, che avrebbe lasciato Atene per evitare la condanna, ma Socrate, che era ligio al dovere della verità, preferì non sottrarsi anche perché consapevole che continuando a praticare la sua ricerca sarebbe stato ugualmente condannato in qualsiasi altra città che gli avrebbe garantito riparo.
La verità, dunque, è mortale, ma come il samurai anche il filosofo ha il suo codice etico e non può sottrarsi dall'indicarla quando gli appare, whatever it takes. 
21 notes · View notes
gregor-samsung · 3 months
Text
“ Le invenzioni e le scoperte portano benefici a tutti. Il progresso della scienza è una faccenda che riguarda tutto il mondo civile. Non ha una vera importanza il fatto che un uomo di scienza sia inglese, francese o tedesco. Le sue scoperte sono a disposizione di tutti e per trarne profitto non occorre niente di più dell'intelligenza. Il mondo dell'arte, della letteratura e del sapere, è internazionale; quel che vien fatto in un paese, non vien fatto per quel paese, ma per l'umanità. Se ci domandiamo che cosa eleva la umanità al disopra delle bestie, che cosa ci permette di considerare la razza umana più importante di qualsiasi specie di animali, scopriremo che non sono cose delle quali una nazione può avere la proprietà esclusiva, ma sono tutte cose che il mondo intero può spartirsi. Coloro che tengono a queste cose, coloro che desiderano vedere l'umanità feconda nel lavoro che soltanto gli uomini possono fare, non baderanno gran che ai confini nazionali e si cureranno ben poco di sapere a quale Stato un individuo deve fedeltà.
L'importanza della cooperazione internazionale al difuori del campo della politica mi è stata dimostrata dalla mia stessa esperienza. Fino a poco tempo fa ero occupato nell'insegnamento di una nuova scienza che pochi uomini al mondo erano in grado di insegnare. Il mio lavoro si basava soprattutto sull'opera di un tedesco e di un italiano. I miei allievi venivano da tutto il mondo civile : Francia, Germania, Austria, Russia, Grecia, Giappone, Cina, India e America. Nessuno di noi era cosciente di un senso di diversità nazionale. Ci sentivamo un avamposto della civiltà, occupati a costruire una strada nella foresta vergine dell'ignoto. Tutti collaboravano all'impresa comune e nell'interesse di questo lavoro le inimicizie politiche delle nazioni sembravano insignificanti, temporanee e futili. Ma non è soltanto nell'atmosfera piuttosto rarefatta di una scienza astrusa che la collaborazione internazionale è vitale per il progresso della civiltà. Tutti i problemi economici, la questione di garantire i diritti della mano d'opera, le speranze di libertà in patria e di umanità fuori, poggiano sulla creazione di una buona volontà internazionale. Finché odio, sospetto e paura, dominano i sentimenti degli uomini, non possiamo sperare di sfuggire alla tirannia della violenza e della forza bruta. Gli uomini devono imparare ad essere coscienti degli interessi comuni dell'umanità che sono identici, piuttosto che ai cosiddetti interessi dai quali le nazioni sono divise. Non è necessario, e neanche desiderabile, eliminare le differenze di educazione, di usi e di tradizioni tra le diverse nazioni. Queste differenze danno ad ogni singola nazione la possibilità di contribuire in modo distintivo alla somma totale della civiltà del mondo. “
Bertrand Russell, Le mie idee politiche. Una guida per orientarsi nelle ideologie politiche di tutti i tempi, traduzione di Adriana Pellegrini, Longanesi & C. (serie ocra, collana Pocket saggi n° 525), 1977; pp. 144-46.
[1ª Edizione originale: Political Ideals, New York: The Century Co., 1917; full text Here]
NOTA: nella prefazione l’autore puntualizza: «Questo libro è stato scritto nel 1917, ma pubblicato soltanto in America. Avrebbe dovuto essere una serie di conferenze, ma il ministero della Guerra lo impedì. Il primo capitolo doveva essere una conferenza da tenersi a Glasgow, presieduta da Robert Smillie, presidente della Federazione Minatori. Poco prima della data fissata per la conferenza il governo mi proibì l'ingresso in quelle che venivano chiamate « zone proibite », tra le quali era compresa Glasgow. Queste zone comprendevano tutto quanto si trovava vicino alla costa, e l'ordine era inteso contro le spie, per impedire che facessero segnalazioni ai sottomarini tedeschi. Il ministero della Guerra fu tanto cortese da dire che non mi sospettava di spionaggio a favore dei tedeschi; mi accusò soltanto di fomentare il disinteresse industriale, allo scopo di por fine alla guerra. Smillie annunciò che avrebbe tenuto la riunione di Glasgow nonostante la mia inevitabile assenza e infatti lesse la conferenza che avrei dovuto tenere io. Il pubblico rimase piuttosto sorpreso dalla differenza dal suo solito stile; ma alla fine, Smillie annunciò di aver letto la conferenza proibita. Il governo aveva troppo bisogno di carbone per agire contro di lui.»
10 notes · View notes
Text
Non voglio dimostrare nulla, né stupire, né divertire né persuadere. Ho i miei nervi e le mie vertigini, aspiro alla quiete assoluta e a una notte ininterrotta. Sebbene abbia cantato i folli piaceri del vino e dell'oppio, ho sete solo di un liquore sconosciuto sulla terra, che nemmeno la farmacia del cielo potrebbe fornirmi; un liquore che non produce né eccitazione né estinzione. Non sapere nulla, non insegnare nulla, non volere nulla, non sentire nulla, dormire e ancora dormire: è questa oggi la mia unica brama. Una brama vile e odiosa, ma sincera.
Charles Baudelaire, Les Fleurs du Mal
5 notes · View notes
stunmewithyourlasers · 9 months
Text
Sapete ormai,io amo la psicologia.
È l'unico campo del sapere ad aver catalizzato le mie attenzioni fin dall'adolescenza, perché mi piacciono le persone e le loro storie,capire perché si potrebbero comportare in un certo modo e cosa potrebbe contribuire a queste modalità di farlo.
Mi piace l'idea di aiutarle a vivere la vita al meglio e dargli il modo di camminare da sole in mezzo alla pioggia delle incombenze.
Una cosa mi piace però di più,ed è l'idea di insegnare psicologia. Sicuramente è colpa di robin williams e dell'attimo fuggente, però l'idea di trasmettere agli altri ed educarli in qualcosa che adoro,parlargliene e semplificarla per farli appassionare senza il peso inutile delle complicazioni che vengono inserite nel mondo accademico.
Io adoro il cinema,ed è un peccato che venga usato come veicolo di messaggi solo da pochi docenti eletti/quando si vogliono mangiare ore, perché ci sono film così magistralmente fatti da essere esemplificativi al punto da immedesimarsi e capire il fenomeno meglio di 3 ore di laboratorio in facoltà.
Fossi docente uno dei primi film che farei vedere è "il lato positivo",spiega stigma, realtà quotidiana e problematiche del disturbo mentale e in particolare di quello bipolare in modo accurato,facendotele sentire addosso e contribuendo ad abbattere l'idea di pericolositá che aleggia attorno ai disturbi, l'idea del "pazzo" che non può fare una vita normale perché irrecuperabile e strano, prende un po' a schiaffi quel senso comune un po' becero che fa dire "dovrebbero riaprire i manicomi" come se fosse roba da poco e da elargire con leggerezza come se fosse l'unica via.
Non è nemmeno un film denuncia di condizioni inumane,non è brutale,fa solo vedere queste persone per ciò che sono:umani,con emozioni,desideri e voglia di realizzarsi.
Mi dispiace che 3/4 della formazione si basi solo su carta stampata e slides pigre per tanti.
8 notes · View notes
crazy-so-na-sega · 8 months
Text
Il primo “pilastro” riguarda la trasformazione fisica degli ambienti di apprendimento (100.000 aule) grazie a una forzata iniezione di tecnologia di ultima generazione: device informatici personalizzati, schermi multifunzione, intelligenza artificiale, realtà aumentata, stampanti 3D, ecc. È il cespite più consistente dell’iniziativa: circa i ¾ degli investimenti previsti. Entro Natale 2022 tutte le scuole sono state “caldamente invitate” dal Ministero a fare incetta di strumentazioni high tech per il massimo degli stanziamenti virtuali disponibili (cioè a contribuire sconsideratamente al Debito pubblico), indipendentemente dalle dotazioni pregresse, dalla reale capacità di fruizione delle nuove, dalla loro utilità per il tipo di scuola, ecc. Il resto dei finanziamenti servirà per “smontare” le aule tradizionali e riqualificarne l’apertura al mondo attraverso banchi a rotelle, aule-laboratorio, ambienti virtuali, ecc. L’approccio generale sarà work based learning e gli spazi scolastici dovranno essere disegnati “come un continuum fra la scuola e il mondo del lavoro”.
la Scuola sarà svilita a componente della riforma del lavoro, sollevando le aziende dall’onere di selezionare e formare il proprio personale. La riforma introduce infatti nella Scuola superiore di primo e secondo grado due nuove figure di insegnanti (la seconda grande novità): il docente Orientatore e il docente Tutor. Con compiti, l’uno, di aiutare lo studente nella scelta precoce della futura professione e, l’altro, di consigliarlo nei percorsi di apprendimento liberi ad essa più adeguati. Nella nuova Scuola, infatti, non tutti studieranno ancora le stesse materie o nello stesso modo, ma ciascuno studente seguirà un iter di apprendimento personalizzato volto a fargli conseguire le conoscenze e le abilità specifiche per la sua futura professione.
La difesa del merito – di studenti e insegnanti – è in effetti il terzo pilastro della riforma, come del resto propagandisticamente annunciato dal Governo Meloni fin dal nuovo nome del Ministero dell’Istruzione, divenuto pure “del Merito”. Si tratta della pretesa non nuova di misurare la capacità didattica dei docenti, fingendo di non sapere che ad insegnare si arriva vincendo concorsi per titoli ed esami. In realtà, è fin troppo chiaro quale siano le vere finalità di questo sbandierato progetto di valorizzazione del merito. In primo luogo, acquisire un’arma di ricatto contro quella libertà professionale dei docenti (art. 33 Cost.), che nel quadro attuale costituisce un ostacolo insormontabile alla rimodulazione indotta del loro insegnamento. Alla condizione di assoggettamento etico e professionale degli insegnanti cui mira la riforma si arriverà probabilmente correlando al merito lo stipendio, il punteggio interno alla scuola e quello esterno per i trasferimenti. In secondo luogo, spingere gli insegnanti a divenire organici alla riforma stessa: con quelli “contrastivi” relegati in fondo alla graduatoria, essere docenti “meritevoli” significherà né più né meno che assecondare in modo acritico la visione sociopedagogica che essa sottende.
Le finalità umanistiche e “liberali” dei tradizionali curricoli scolastici lasceranno il posto a quelle utilitaristiche della formazione tecnologica, funzionale alla creazione di un vasto proletariato di nuova concezione. Anche gli insegnanti dovranno adeguarsi ai tempi, adattando la loro didattica agli strumenti e alle finalità delle nuove onnipresenti tecnologie informatiche, secondo i voleri insindacabili dell’UE (vedi Quadro di riferimento europeo per le competenze digitali dei docenti, il “DigCompEdu”). Inseriti in un sistema europeo di riconoscimento delle competenze digitali, saranno valutati (e domani stipendiati) secondo una precisa scala di bravura, con tanto di titolo distintivo: A1) Novizio; A2) Esploratore; B1) Sperimentatore; B2) Esperto; C1) Leader; C2) Pioniere. In altre parole, non saranno più riconosciuti come professionisti tutti ugualmente “sapienti” nelle loro rispettive materie, ma incardinati in una gerarchia di valore (e di diritti) di natura prettamente tecnica, che confonde i fini del loro lavoro con gli strumenti utilizzati per conseguirli. Ci chiediamo: valeva la pena percorrere tutto il cerchio dell’ideale democratico per tornare al “MinCulPop”, ai Balilla e ai Lupetti da cui proveniamo?  –  E allora vogliamo pure i Colonnelli!
-Marco Bonsanto, insegnante di Storia e Filosofia
-----
p.s: testata che si dichiara "ostinatamente laica, dissidente e di sinistra". Lo sconquasso basilare, eppure silenzio.
8 notes · View notes
libero-de-mente · 1 month
Text
Ho due figli. Qui sui social spesso li definisco "figlio 1" e "figlio 2". La numerazione non ha nulla a che fare con preferenze, altezze oppure ordine alfabetico ma è semplicemente cronologia. Hanno 22 mesi di differenza, se preferite un anno e dieci mesi. Classi di nascita A.D. 2003 e 2005.
Per loro è un'età febbrile questa, il passaggio dalle superiori al mondo dell'Università e del lavoro da provare sulla propria pelle, per capire e comprendere le dinamiche della vita.
Due ragazzi che cominciano a lasciare tracce anche nel quotidiano, in casa, con azioni e parole. Non più bimbi e poi adolescenti impegnati nello studio, alla televisione, ai videogiochi e agli amici a cui preparare tutto in casa. Ma individui che cominciano a palesare le loro personalità, le loro peculiarità che fanno capire gli adulti che saranno.
Così le influenze del Politecnico di Milano e dell'Università degli Studi di Milano si diffondo in casa. Ovunque.
Per esempio. Abbiamo in casa un flacone con erogatore, da una vita, dove l'ammoniaca e l'acqua vengono miscelate per le pulizie quotidiane. La MIA scritta con pennarello sul flacone "Acqua e Ammoniaca" è stata cancellata. Ora si legge H₂O + NH3. Stessa cosa a casa di mia madre, la quale mi chiama preoccupata: - Rino non trovo più l'acqua e ammoniaca! - Mamma è nel tuo bagno, come sempre nel suo contenitore. - No, c'è né uno con scritto che ho tre acca. - Che vuoi dire? - Rino, c'è scritto "ho n'accatre" - Ma è passato Gabriele? (figlio 2) - Sì - Niente mamma, tranquilla, dopo passo io e sistemo tutto
Sul quadro del bevitore di vino appeso nel garage, che io attribuivo a Teomondo Scrofalo dai tempi della trasmissione Drive In, ho trovato un'etichetta ben fatta con scritto: "Il Bevitore - De Curtis Giuseppe (Olio su tela fine '800 circa). Mi è crollato un mito.
Le discussioni a tavola mentre si cena, si parla anche di social. - Pa' ho visto che su Tik Tok non hai pubblicato video... - Si, faccio parte della resistenza - Che vuoi dire? - Che non ho stimoli per fare un video sciocco - Guarda che puoi anche pubblicare qualcosa di intelligente, eh?! - La mia intelligenza è ancora incartata, non l'ho ancora aperta
Se ruttano lo fanno declinando l'alfabeto greco, se emettono peti lo fanno in alfabeto morse e a me queste cose fanno venire l'orticaria in codice Braille. Ragazzacci.
Studiano. Sono caparbi. Da questo punto di vista un po' li invidio, ma poco. Per il resto li ammiro, tanto.
Lavorano. Si guadagnano soldi per essere un po' autonomi. Notano già le ingiustizie nei posti di lavoro. Anche il quoziente intellettivo di colleghi che potrebbero essere loro padri, come età, che litigano e si fanno ripicche creando danni alle aziende per cui lavorano. Mi sembra di essere al tavolo con due sindacalisti a volte.
Sembra fatta, penserete, sono lanciati verso il loro futuro quasi autonomi, no... credo di avere ancora molto lavoro come padre.
Per esempio voglio insegnare loro a essere critici in maniera costruttiva, non distruttiva. Che a volte ci vuole un po' di leggerezza nella vita, il che non è sinonimo insensatezza. Ma bisogna saper essere anche responsabili, il che non vuol dire di essere per forza duri.
Quando li saluto, prima che escano di casa, gli dico sempre: "Stai attento, fai il bravo". C'è dentro tutto in quelle parole: impegno, attenzione, rispetto, prudenza e correttezza. Spero mi ascoltino.
Io che non ascoltavo mai nessuno, perché nessuno mi diceva qualcosa. A parte un "fa' mia öl loc", detto da mio padre sempre stanco, che era un aut aut a non essere sciocco. Che poi, riflettendoci oggi e da padre, anche quella frase in bergamasco conteneva un mondo.
Un mondo che forse mi manca, ma che cerco di evitare di non farmi investire. Altrimenti per via dei rimpianti per me sarebbe finita.
4 notes · View notes
vintagebiker43 · 1 year
Text
ANTOLOGIA MACABRA
Il Ministro dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste, Francesco Lollobrigida, evoca la teoria complottista e razzista della sostituzione etnica (19 aprile). Ma poi, stupito delle reazioni inorridite, ci rassicura: tranquilli, la mia è solo ignoranza (20 aprile).
Il Ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, dopo approfondite ricerche sulla storia del pensiero politico, scopre che il fondatore della destra in Italia è Dante Alighieri (14 gennaio), mescolando con signorile nonchalance il grande intellettuale medievale con concetti del moderno pensiero politologico e, perché no, un po’ di capre e un po’ di cavoli.
Il Ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, individua la vera causa che porta milioni di persone a scappare dalla loro terra: il problema non va cercato nel periodo coloniale che ha sconvolto le società che l’hanno subito, e neanche nelle guerre spesso fomentate dal mondo ricco, né, tanto meno, nel cambiamento climatico; il problema è l’opinione pubblica italiana (25 marzo) che, evidentemente, deve essere raddrizzata, in un modo o nell’altro. Lo stesso Ministro ci informa anche che i veri colpevoli della morte di tanti bambini nei viaggi della disperazione sono i loro genitori (27 febbraio) che non li fanno viaggiare su comode e sicure imbarcazioni. Negare i problemi e trovare un colpevole, uno qualunque.
Il Ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, ci rende partecipi della sua personalissima teoria pedagogica: per i bambini che non si conformano allo standard, lo strumento educativo migliore è l’umiliazione (21 novembre). Signor Ministro, alcuni miei amici e io consideriamo questa affermazione aberrante e ritengono che un’educazione fondata sull’umiliazione formi tanti piccoli nazisti, non menti libere e aperte, sia cioè la negazione dell’educazione stessa. Ma, come dice lei Ministro, forse il nostro pensiero è roba vecchia, figlio del periodo dell’”egemonia culturale della sinistra gramsciana che è destinata a cessare” (28 dicembre) (non voglio sapere, per il momento, come pensa di farla cessare). Adesso siamo nell’anno primo dell’era … (già, di quale era?) e tutto è cambiato.
Intanto, il Presidente del Senato, Ignazio La Russa, riscrive la storia dell’attentato di via Rasella e, con un colpo di bacchetta magica, trasforma i nazisti invasori stragisti in una innocua banda musicale di pensionati (31 marzo) e i partigiani in assassini di quegli allegri musicanti.
Il Presidente della Camera dei Deputati, Lorenzo Fontana, persona gentile e equilibrata, storpiandone il cognome in Bàkelet, ci fa intendere di non aver mai sentito parlare dell’omicidio di Vittorio Bachelet sulle scale della Sapienza, degli anni di piombo e del più ampio problema della strategia della tensione che ha segnato, forse fino ai giorni nostri, la storia italiana (20 aprile).
Sembra un’antologia di umorismo macabro, ma sono dichiarazioni dei più alti rappresentanti delle istituzioni. La verità è menzogna e la menzogna è verità. Forse ha ragione il Ministro Lollobrigida, è solo questione di ignoranza (20 aprile). L’ignoranza, di per sé, non è una colpa. Ma l’ignoranza, che spesso fa rima con arroganza, unita al potere, è un’arma di distruzione di massa, innanzitutto di massa cerebrale.
Ma il problema ancor più serio è che – mi pare – ci stiamo assuefacendo ad ascoltare queste parole prive di senso, o dotate di un senso macabro, restando indifferenti. Questa assuefazione, questa indifferenza è ciò che fa paura. E’ importante, oggi più che mai, ricordarci l’un l’altro e insegnare ai giovani che le menzogne non sono opinioni, che i crimini sono crimini, che il bene comune è superiore al bene individuale, che i confini sono punti di contatto, che i bambini sono sacri e non possono essere piegati attraverso umiliazioni senza distruggerli. E che il conflitto fra valori di vita e disvalori di morte non ha niente a che fare con la normale dialettica democratica.
@Riccardo Cuppini
11 notes · View notes
ypsilonzeta1 · 10 months
Text
"Per quanto riguarda l'educazione dei figli, penso che si debbano insegnar loro non le piccole virtù, ma le grandi. Non il risparmio, ma la generosità e l'indifferenza al denaro; non la prudenza, ma il coraggio e lo sprezzo del pericolo; non l'astuzia, ma la schiettezza e l'amore alla verità; non la diplomazia, ma l'amore per il prossimo e l'abnegazione; non il desiderio del successo, ma il desiderio di essere e di sapere".
Natalia Ginzburg "Le piccole virtù" Einaudi.
5 notes · View notes
susieporta · 5 months
Text
Tumblr media
LA RIVOLUZIONE NECESSARIA DEI PADRI
di Alberto Pellai
LETTERA A NOI PADRI
La morte di Giulia ci interpella tutti, noi maschi, uomini, padri, compagni di vita. Non possiamo non sentirci addosso tutto il dolore del mondo. Giulia è anche nostra figlia. Così come il suo assassino. Sono i figli e le figlie che cresciamo nelle nostre vite, nelle nostre famiglie. Sono i figli e le figlie a cui consegniamo la vita con cui li abbiamo messi al mondo perché la rendano quel territorio in cui diventare chi davvero vogliono essere. In questo progetto educativo, devono imparare che non possono esistere parole come possesso, sopruso, sopraffazione. Lo devono sapere le nostre figlie, prima di tutto. Perché se solo un amore si contamina con queste parole allora da lì si deve fuggire. E denunciare. Lo devono però prima di tutto imparare i nostri figli. La sfida enorme con i nostri figli maschi non è solo insegnare loro a non essere violenti, cosa fondamentale, sia chiaro. La vera sfida è quella di insegnare loro ad essere “veri” con se stessi. A comprendere che costruire una storia d’amore significa esercitare tre competenze fondamentali dentro una relazione: rispetto, responsabilità ed empatia. Che vanno insegnate ancora prima della non violenza. Perché se apprendi queste tre competenze, allora la violenza non entrerà mai nella tua vita, il possesso non comparirà mai come bisogno dentro una storia d’ Amore.
“Cari padri, il cambiamento nella vita dei nostri figli maschi può avvenire a partire da noi. Siamo figli di padri che ci hanno amati e cresciuti, ma che quasi mai sono riusciti a dirci: “Ti voglio bene, figlio mio”. Siamo figli di padri che quasi mai sono stati capaci di vedere le nostre lacrime, anche quando era impossibile non farlo. Siamo figli di uomini che non hanno quasi mai saputo parlarci del sesso, dell’amore, del corpo che cambia, della pubertà. Eppure questi temi sono di importanza cruciale nella vita di un ragazzo.
Noi padri siamo i compagni di viaggio che stanno davanti, di fianco e dietro a un figlio che a sua volta diventerà uomo. Nel vivergli accanto possiamo mostrargli cosa vuol dire per noi uomini essere persone vere. Possiamo aiutarlo a non temere la tristezza e a trasformare la paura in coraggio. Possiamo educarlo a tenere alto lo sguardo sugli altri e sulla vita facendo del nostro sguardo uno specchio in cui lui stesso può riflettersi per cercare quell’immagine identitaria che ancora gli appare sfocata e poco definita, così come deve essere alla sua età.
Noi padri possiamo rendere la relazione con i nostri figli un’occasione di allenamento al rispetto e alla verità, un laboratorio dove si discute dell’amore e della sessualità, uno spazio di vita in cui –aiutando loro a diventare gli uomini che vogliono essere – diventiamo noi stessi uomini più completi e più veri.
Siamo noi padri gli scultori di un nuovo modo di essere maschi e uomini in questo terzo millennio, in cui i nostri figli si trovano spesso sospesi tra il falso mito del vero uomo e il bisogno profondo di diventare uomini veri”. (tratto da “Ragazzo mio. Lettera agli uomini veri di domani” di A.Pellai, De Agostini ed.).
Con un enorme dolore, oggi, mi sento padre di Giulia e anche padre del suo assassino. Sento dentro di me tutto il dolore del mondo. E comprendo che la rivoluzione più necessaria oggi è quella che dobbiamo fare noi padri.
Se volete e potete condividete questo messaggio con un uomo.
3 notes · View notes