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#sregolatezza
gregor-samsung · 26 days
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" Ogni grande movimento musicale, in fondo è adolescente. Solo dopo, il successo e il mercato lo rendono un oggetto da acquistare; lo fanno invecchiare in fretta e male, lo congelano in un ruolo preciso, un look definito, dalle sonorità prestabilite. Lo fissano, impedendogli di viaggiare ed evolversi. È una rete intessuta di averi che il mondo gli getta addosso per imprigionarlo e stabilizzarlo, in modo da poterlo identificare. Rimbaud lo spiega nella Lettera del veggente: il poeta ascolta l’inaudito e lo rende udibile per l’umanità, ma nel fare questo muore. Anche se, sepolto dalle incrostazioni dei nostri averi, rimane una sorta di santuario in chi ha passato la propria adolescenza impugnando una chitarra, ripetendo ossessivamente il riff iniziale di Smells Like Teen Spirit o baciando la sua prima ragazza dopo aver storpiato con passione Wish You Were Here. Che sensazione di vita, di infinita potenzialità, sperimentano due adolescenti innamorati su una spiaggia: liberi per una notte da ogni avere, ridotti dall’estate e dalla giovinezza a essere soltanto due esseri umani lontani da scuola e problemi, con una coperta per scaldarsi e la malinconia di chi si perderà a fine agosto.
Le sere azzurre d’estate, andrò per i sentieri, Punzecchiato dal grano, a calpestare erba fina: Trasognato, ne sentirò la freschezza ai piedi. Lascerò che il vento mi bagni il capo nudo.
Non parlerò, non penserò a niente: Ma l’amore infinito mi salirà nell’anima, E andrò lontano, molto lontano, come uno zingaro, Nella Natura, – felice come con una donna.
[Arthur Rimbaud, Sensazione, 1870] "
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Salvatore La Porta, Less is more. Sull’arte di non avere niente, Il Saggiatore (collana La Cultura, n° 1134), 2018¹. [Libro elettronico]
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be-appy-71 · 1 year
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Non voglio resistere.
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Voglio il pericolo, l'istinto, l'allegria, la vitalità.
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Voglio la luna, l'euforia, la passione, la sregolatezza
Non voglio resistere.
Voglio perdermi in mondi lontani. 😘🌹
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entropiceye · 1 year
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Mi sembra di lottare col mio corpo da tutta la vita. Ho abitato tanti corpi sapete? Anche se quello magro, per poco (e per alcuni non è stato neppure "abbastanza magro" per essere considerato valido nell'ottica del mio dca). Il disagio che provavo si rifletteva sul mio corpo. Ingrassare voleva dire costringere gli altri a vedermi, seppur in una luce negativa (la persona pigra, golosa ed incapace di prendersi cura di sé). Ingrassare voleva dire proteggermi dalle mani invadenti di alcune persone, sebbene mi rendesse più vulnerabile ai giudizi di altre. Mi sono sentita sempre sbagliata, sempre non abbastanza. Così ho cercato di dare di più in tutto ciò che facevo, anche se questo mi faceva sentire esausta e svuotata. Mi abbuffavo di cibo, perché le mie relazioni erano fatte di briciole, contornate da dolore ed invalidazione. L'avreste mai detto che la fame d'amore può far "brontolare lo stomaco"? La mia esistenza è scandita da brusche oscillazioni tra un estremo e l'altro: la fame e l'indigestione; la restrizione più ferrea e la sregolatezza più totale; la sedentarietà estrema e l'iperattività... Ho seguito tante diete, provato diversi sport, frequentato non so quante palestre, fatto anni ed anni di terapia, eppure questo scoglio sembra proprio insormontabile. So che vorrei tanto stare bene, vorrei riuscire a vedere anche io il traguardo alla fine di quel percorso mai lineare e pieno di ostacoli che è la remissione da un disturbo alimentare. Nonostante ciò, una parte di me ha una paura, non solo di ingrassare ulteriormente, ma anche di dimagrire. Ho paura della pelle in eccesso, di sembrare svuotata e cadente, ho paura di non riconoscermi allo specchio. Ho paura della delusione, ho paura di potermi essere irrimediabilmente "rovinata" e sono certa che tutte queste paure mi condizionino fortemente nel percorso di ripresa. Vorrei essere capace di intraprendere questo viaggio all'insegna della riscoperta di sé, senza fossilizzarmi ad immaginare il traguardo. Vorrei stare nel qui ed ora, a contatto con le mie sensazioni e le mie emozioni, invece che in balia del fiume in piena delle circostanze.
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diceriadelluntore · 1 year
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Storia Di Musica #278 - Charles Mingus, Mingus Ah Um, 1959
Le storie di giugno nascono dalla lettura di uno dei libri più belli sulla musica scritto da un non esperto musicale, Natura Morta Con Custodia Di Sax, che Geoff Dyer, sublime scrittore britannico, dedica a storie di jazz. In questo bellissimo saggio, che pesca da fonti storiche, un po’ inventa, un po’ sogna, Dyer scrive storie di alcuni tra i più grandi interpreti di questa musica particolare, creativa, magmatica, pilastro della cultura mondiale da cent’anni. Per mia indiretta colpa, in tutte queste storie di musica non mi era mai capitato di raccontare del personaggio che ho scelto, e uno dei protagonisti del libro, per un mese monografico anche piuttosto particolare: Charles Mingus. Contrabbassista, genio e sregolatezza, uno dei musicisti più importanti del jazz. Arrabbiato, per via di una infanzia passata a cercare di combattere quel sentirsi minoranza di una minoranza (pur essendo di famiglia piccolo borghese, soffriva terribilmente le sue origini meticce, tra genitori con discendenze afroamericane, asiatiche e nativo americane), nato In Arizona nel ’22 ma cresciuto poco prima della Seconda Guerra Mondiale nel tristemente famoso sobborgo di Watts a Los Angeles. Mingus si avvicina da giovanissimo al violoncello, ma poi si appassiona al contrabbasso, che studia con i migliori insegnanti, tra cui Herman Reischagen, primo contrabbasso dell’Orchestra Filarmonica di New York. Nel 1947 entra nell'Orchestra di Lionel Hampton, è già leader di propri gruppi e ha già fatto i primi tentativi di composizione. Mingus si approccia alla musica grazie ai canti gospel delle congregazioni religiose che frequentava regolarmente a Watts e a Los Angeles, realtà con cui venne a contatto durante gli anni dell'infanzia. Ascolta il blues e il jazz ma ha una varietà di conoscenze e di curiosità che compariranno qua e là nel corso della sua leggendaria carriera musicale: si dice ascoltasse Bach ogni giorno, studia Richard Strauss e Arnold Schönberg, non nasconde una passione per Claude Debussy e Maurice Ravel. Suona con il Mito Charlie Parker, ma il suo idolo è la big band di Sir Duke Ellington. E nel 1953 ha l’occasione della vita: viene chiamato da Ellington a suonare con lui. Leggenda vuole che Juan Tizol, portoricano, bianco, trombonista, che in quel momento scrive dei pezzi per l’Orchestra, gli scrive un assolo da suonare con l’archetto. Lui lo traspone di un’ottava per renderlo cantabile, e lo esegue come se lo strumento fosse un violoncello. Tizol lo apostrofa dicendogli che «come tutti i neri della band non sai leggere bene la musica»; Mingus, che è un gigante di mole (tra i suoi demoni, un’ingordigia da romanzo) lo prende a calci nel sedere. Tizol, sempre secondo la leggenda, nella custodia del trombone aveva un coltello, che prontamente afferra per scagliarsi contro Mingus mentre Duke dà l’attacco del brano. Questi, agilmente nonostante la sua mole, con il contrabbasso preso in braccio, salta e scivola sul pianoforte, correndo e dileguandosi fra le quinte. Rientra in un lampo sul palco con in mano una scure da pompiere e sfascia la sedia dell’esterrefatto Tizol. Ellington, che si dice non licenziò mai un suo musicista, lo “spinse” a dimettersi, e nella sua autobiografia (dal titolo già profetico, Beneath The Underdog, tradotta in italiano con il titolo magnifico di Peggio Di Un Bastardo) Mingus racconta: “Duke mi disse <<Se avessi saputo che scatenavi un simile putiferio avrei scritto un’introduzione>>, gli risposi che aveva perfettamente ragione”. Il suo era uno stile libero, che in pratica rimarrà unico. Esempio perfetto è il noto Pithecanthropus Erectus (1956), primo grande disco da solista, che dà un’idea generale della sua musica: bruschi cambi di atmosfera, di tempo e ritmo, un tocco “espressionista” che, di fatto, lo rendono quasi precursore del free jazz, considerazione tra l’altro che lo faceva andare su tutte le furie. Mingus si appassiona alla musica di New Orleans, seguendo l’idea di big band di Ellington, e da questo punto in poi viene fuori tutta la sua incontenibile vitalità, spesso oltremodo eccessiva e davvero fuori le righe: altro caso leggendario fu la “maratona” intrapresa con il fido Dannie Richmond, il suo batterista per quasi tutta la carriera, a chi consumava più amplessi e tequila nei bordelli di Tijuana; da questa esperienza nacque quel capolavoro assoluto che è Tijuana Moods, registrato nel 1957 ma uscito solo nel 1962. Miles Davis disse di lui: “Era sicuramente pazzo, ma è stato uno dei più grandi contrabbassisti che abbia mai sentito. Mingus suonava qualcosa di diverso, era diverso da tutti gli altri, era genio puro”. La prova è il disco di oggi, uno dei capolavori assoluti del jazz, che esce nel 1959, il suo primo per la Columbia. Il titolo Mingus Ah Um è una parodia di una declinazione latina (gli aggettivi latini della I classe sono solitamente ordinati enunciando prima il nominativo maschile singolare che finisce con "us", poi il femminile "a" e infine il neutro "um"). In copertina un dipinto di S. Neil Fujita, che già aveva creato un disegno per un altro disco leggendario, Take Five di Dave Brubeck. Il disco è una sorta di enciclopedia del jazz, sia per la varietà dei brani proposti, sia per il futuro successo di alcuni, diventati standard tra i più famosi di tutti i tempi. Better Git It In Your Soul è un omaggio alla musica ritmica dei gospel e dei sermoni di chiesa, pezzo già leggendario, che fa da apripista al primo immenso capolavoro. Goodbye Porky Pie Hat è un omaggio al Pres, Lester Young, immenso sassofonista, scomparso poche settimana prima che l’album venisse registrato (per la cronaca in due leggendarie sessioni di registrazioni agli studi Columbia, il 5 e il 12 Maggio, sotto le cure mitiche di Teo Macero, il grande produttore di Miles Davis). Il porky pie hat è un cappello che ricorda nella forma il famoso pasticcio di carne inglese, e per dare un’idea di come è quello che indossa sempre Buster Keaton nei suoi film, ma era anche un cappello dal valore simbolico interraziale per i musicisti jazz, e Young lo teneva sempre in testa durante le esibizioni: il brano è divenuto uno standard da migliaia di interpretazioni, uno dei brani più famosi della storia del jazz. Self-Portrait In Three Colors era stata originariamente scritta per il film Ombre, opera prima di John Cassavetes, ma la canzone non appare né nel film né nel disco colonna sonora. Open Letter To Duke è un chiaro omaggio alla figura di Duke Ellington, composto riunendo insieme alcuni pezzi da tre precedenti brani di Mingus (Nouroog, Duke's Choice e Slippers). Jelly Roll è un riferimento al pianista pioniere del jazz Jelly Roll Morton, che si autoproclamò l’inventore del jazz nella prima decade del 1900; Bird Calls passò in un primo momento per un omaggio alla leggenda del bebop Charlie "Bird" Parker, con cui Mingus suonò molte volte, ma fu lo stesso Mingus a chiarire: «Non era stata intesa per suonare come qualcosa di Charlie Parker. Doveva piuttosto assomigliare al cinguettio degli uccelli - almeno la prima parte». Completano il capolavoro Pussy Cat Dues, Boogie Stop Shuffle dal ritmo irresistibile ma soprattutto Fables Of Faubus, primo dei grandi brani politici di Mingus: fu “dedicato” al governatore (democratico!) dell’Arkansas, Orval Eugene Faubus, convinto segregazionista, che nel 1957 tentò di impedire l'ingresso a scuola di nove ragazzi neri in un liceo di Little Rock, in deroga ad una decisione della Corte suprema che aveva reso illegale la segregazione nelle scuole. L'episodio ebbe un punto di svolta quando il presidente Dwight Eisenhower federalizzò la Guarda nazionale dell'Arkansas e permise agli studenti di colore di entrare nell'istituto sotto scorta. Faubus decise allora di chiudere tutte le scuole superiori di Little Rock fino al 1958. Mingus scrisse anche un testo, molto sarcastico, sul Governatore, e si dice che la Columbia lo censurò. In realtà però il testo fu aggiunto dopo da Mingus, quando il brano era stato già registrato, ma non si perse d’animo e lo pubblicò cantato nel suo disco del 1960 Charles Mingus Presents Charles Mingus, con il titolo di Original Faubus Fables. Il disco è uno dei capisaldi del jazz, uno dei cinquanta dischi selezionati dalla Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti per essere inclusi nel National Recording Registry in conservazione per i posteri e la prestigiosa Penguin Guide, la bibbia della critica jazz, lo inserì nella Core Section con il loghino della corona, la massima valutazione per un disco. Con Mingus suonano il fido Richmond alla batteria, John Handy, Booker Ervin e Shafi Hadi ai sax (alto e tenore), Willie Dennis al trombone, Horace Parlan al piano (che suona pure Mingus) e Jimmy Knepper, leggendario trombonista, personaggio da cui si partirà per la seconda tappa di questo mese Mingusiano.
Che vi dico già verrà pubblicata Martedi 13 Giugno.
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ilpianistasultetto · 2 years
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Oggi si stava tra amici. Si parlava di musica e di grandi artisti.. Ad un certo punto il Kocis m'ha chiesto: " ma se tu rinascessi, chi vorresti essere? Ci ho pensato qualche secondo e poi ho risposto: Keith Richards! Un rocker energico e sentimentale, sciatto e grintoso, alcolizzato fino al midollo ma sufficientemente integro e lontano anni luce dai belletti di tante popstar. Un'anima nera, una smorfia perversa rigorosamente ancorata alla legge del blues. Mi piace pensarmi istintivo, col bicchiere sempre colmo di Jack Daniel's, sempre sulle corde di una chitarra che conosce la saggezza di pochi accordi ma li suona come nessun altro saprebbe fare. Una vocazione alla sregolatezza che non ho mai conosciuto, almeno a certi livelli. Si, si, mi piacerebbe rinascere Keith Richard per vivere quel ringhio feroce e giocoso di chitarre che raspano i nervi e blandiscono il corpo. @ilpianistasultetto
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Durante la scena della panchina ricordo che Robin Williams stava spaccando già al primo ciak e pensai: 'Questa sarà una scena bellissima'. Recentemente sono tornato in quel posto. Stavo passeggiando con la mia famiglia e ci siamo seduti proprio lì. I bambini sono piccoli e non sanno nulla, ma per me è stato emozionante.
In un'altra scena del film, improvvisò le battute su sua moglie e di come le sue flatulenze gli mancassero tremendamente. Io non me l'aspettavo e non riuscii a trattenere le risate. Se notate bene, la telecamera in quel momento fa su e giù, perché anche il cameraman, come me, si stava pisciando addosso dal ridere.
Robin era il classico esempio di genio e sregolatezza. Io e Ben Affleck gli dobbiamo tutto. Accettò di partecipare al nostro film e fece sì che potessimo realizzarlo. Non potrò mai ringraziarlo abbastanza. Mi guardo attorno, penso alla mia vita e a quanto sia stato fortunato, e molto di tutto questo è successo grazie a lui."
Matt Damon parlava così di Robin Williams e della sua performance in "Will Hunting - Genio Ribelle" che in Italia usciva il 6 marzo 1998
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giuliavaldi · 2 years
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Un tempo, ho creduto che un certo gusto per la bellezza avrebbe surrogato per me la virtù, e avrebbe saputo immunizzarmi dalle tentazioni troppo volgari. M'ingannavo. Chi ama il bello finisce per trovarne ovunque, come un filone d'oro che scorre anche nella ganga più ignobile, e quando ha tra le mani questi mirabili frammenti, anche se insudiciati e imperfetti, prova il piacere raro dell'intenditore che è il solo a collezionare ceramiche ritenute comuni. Per un uomo di gusto, poi, l'ostacolo più grave consiste nel fatto di occupare una posizione preminente, che implica ineluttabilmente il rischio dell'adulazione e della menzogna. Il pensiero che in mia presenza qualcuno snaturi, sia pure di un'ombra, l'esser suo, può giungere a farmelo compiangere, disprezzare, odiare persino. Ho sofferto di questi inconvenienti della mia fortuna come un povero di quelli della sua miseria. Ancora un passo, e avrei accettato la finzione che consiste nel pretendere di sedurre, quando si sa bene che ci si impone: ma di qui si comincia a esser nauseati, o forse imbecilli. Si finirebbe per preferire agli accorgimenti leggeri della seduzione le verità brutali della dissolutezza se anche qui non regnasse la menzogna. Sono pronto ad ammettere per principio che la prostituzione non sia che un'arte, alla stessa stregua del massaggio e della pettinatura, ma mi riesce già difficile andare di buon grado dal barbiere o dal massaggiatore. Non ci sono al mondo persone più volgari dei nostri complici. L'occhiata obliqua dell'oste che mi riserva il vino migliore, e per conseguenza ne priva qualcun altro, bastava già, nei giorni della mia giovinezza, a ispirarmi un profondo disgusto per gli svaghi di Roma. Non mi piace che un individuo ritenga di conoscer già il mio desiderio, prevederlo, adattarsi meccanicamente a quella che suppone la mia scelta: l'immagine bassa e deforme di me stesso, che mi offre in quei momenti quell'individuo, mi farebbe preferire i tristi effetti dell'ascetismo. Se la leggenda non ha esagerato gli eccessi di Nerone e le ricerche sapienti di Tiberio, quei voraci consumatori di piaceri dovevano avere sensi molto inerti per andar cercando apparati così complicati, e uno straordinario disprezzo degli uomini per tollerare che si ridesse o si abusasse di loro fino a quel punto. E tuttavia, se ho quasi rinunciato a queste forme troppo meccaniche del piacere, o almeno non mi sono spinto molto avanti, lo devo più alla mia buona sorte che a una virtù che non sa resistere a nulla. Potrei ricadervi, ora che invecchiato, come in una sregolatezza qualunque, o nel tedio. La malattia, la morte ormai imminente, mi salveranno forse dalla ripetizione monotona degli stessi gesti; e come il compitare stentato d'una lezione imparata a memoria.
Marguerite Yourcenar, Memorie di Adriano
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francescacammisa1 · 1 year
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Due persone vivono fianco a fianco e ogni giorno la loro immaginazione li allontana in modo sempre più definitivo. Le donne, nel loro intimo, si costruiscono palazzi incantati. Tu sei lì dentro, da qualche parte mummificato ma non lo sai. Nessuna sregolatezza, nessuna mancanza di scrupoli, nessuna crudeltà sono considerate reali.
Yasmina Reza - Felici i felici
Matteo Pugliese Artist 
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chez-mimich · 2 years
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THE FABELMANS
Girare un film sul cinema è una tentazione a cui pochi registi hanno saputo resistere, soprattutto in età matura o a fine carriera. Qualcuno lo ha fatto prima, come François Truffaut con “Effetto notte” o Wim Wenders con “Lo stato delle cose”, qualcuno dopo come Federico Fellini o Woody Allen, qualcun altro lo ha fatto solo perché ci aspettava lo facesse, come Giuseppe Tornatore. Alla tentazione ha ceduto anche Steven Spielberg con “The Fabelmans”, in questi giorni nelle sale. Ma, rispetto ai registi citati, la sua non è una semplice riflessione sul cinema o sulla impossibilità di girare un film, come nel caso di Wenders. “The Fabelmans” è qualcosa che sta tra un racconto autobiografico e una seduta psicanalitica. Sammy Fabelman si appassiona presto a cineprese e cinema: figlio di un geniale ingegnere elettronico, Burt, e di una pianista un po’ sconclusionata, Mitzi, Sammy cresce tra l’Arizona e la California a cavallo degli anni Cinquanta e Sessanta. Proprio grazie (o a causa) della sua passione per la cinepresa, analizzando casualmente le immagini da lui girate, durante il montaggio di un filmino famigliare, Sammy scopre l’intrallazzo amoroso tra la madre Mitzi e il caro amico di famiglia Bennie, con il quale poi la donna se ne andrà via da casa. Cosa abbia spinto Spielberg ad una confessione autobiografica tanto drammatica è abbastanza semplice da intuire, anche alla luce delle dialettiche famigliari ed esistenziali presenti nel film. Tra le due anime della famiglia, quella tecnologico-scientifica del padre (e delle sorelle di Sammy) e quella artistica della madre, prevale in Sammy l’anima artistica che, secondo un cliché un po’ stantio, ma indubbiamente verosimile, è nutrita di estro ma anche di sregolatezza. Saranno l’incontro, negli “Studios” di Hollywood, con John Ford e gli inizialmente incomprensibili consigli del grande vecchio del cinema americano, a determinare definitivamente la strada da intraprendere. John Ford dice al giovane Sammy parole tagliate con l’accetta, ma semplicemente geniali: “Se in una inquadratura la linea dell’orizzonte è in alto è un buon film, se è in basso è un buon film, se è a metà sarà una noiosa merda”. Film semplicemente bellissimo, fatto con misura, tempi lunghi e narrazione lenta, con immagini pervase da un nitore che consente di “rivedere” gli anni Cinquanta e Sessanta, proprio come ci sono già apparsi attraverso le immagini di tanto cinema. Un film dove una dolorosissima vicenda famigliare viene svelata e resa ancora più lacerante dalla immensa “sapienza cinematografica” con cui viene raccontata. Lodi sperticate al giovane Gabriel LaBelle nei panni di Sammy Fabelman, a Michelle Williams nella parte della evanescente madre Mitzi e a Paul Dano che interpreta il candido e pragmatico Burt Fabelman, padre di Sammy.
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Galleria del film L'Ombra di CaravaggioGalleria del film
La sregolatezza di un genio, che ha trascorso gli ultimi anni della sua vita tra i timori e i propri demoni, divenendo un'icona sovversiva tutt'oggi attuale.
La sregolatezza di un genio, che ha trascorso gli ultimi anni della sua vita tra i timori e i propri demoni, divenendo un’icona sovversiva tutt’oggi attuale. Crediti
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emilianobertelli · 5 months
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ufficiosinistri · 6 months
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What will you be reading this weekend? Luca Baccolini - "Bravi e dannati"
Ogni volta che ci passavo davanti, mi incuriosiva. Esposto lì, in una grande libreria, assieme ad improbabili autobiografie, libri fotografici e manuali sul calcio. Il titolo che parafrasava un film epico di Gus Van Sant, “Belli e dannati” con Keanu Reeves e River Phoenix. Un libro che a prima vista, dalla copertina, mi sembrava commerciale e scontato. Dopo una, due, tre volte che ci passai davanti, decisi però di portarmelo via. “Bravi e dannati” è una corposa raccolta di brevi, a volte brevissimi biografie riguardanti calciatori che nelle loro carriere sono stati capaci di accomunare genio e sregolatezza, talento e spreco, impegno politico e vittorie. L’autore, il giornalista sportivo bolognese Luca Baccolini, ci racconta le loro imprese, calcistiche e non, analizzandole come fulmini a ciel sereno, contestualizzandone la narrazione nello spazio e nel tempo, riuscendo a coprire un secolo di storie da sviscerare in tutta la loro umanità.
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I “Carneadi” (termine che ricorre tantissimo nelle pagine del volume ) di Baccolini ci vengono raccontati con spudorata umanità e uno stile molto giornalistico, che evita ripercussioni emotive. Le storie descritte sono tristi, violente, iperboliche e a lieto fine. Appartengono a vite di calciatori, e quindi di esseri umani, e forse la bravura dell’autore risiede proprio nel raccontarle in maniera distaccata e disillusa, senza soffermarsi su giudizi e opinioni personali. Spetta quindi al lettore trovare spunti di riflessione e farne, in seguito, tesoro. La sgroppata trionfale di Saeed Al-Owarian nella partita contro il Belgio a USA 94, che fu classificata come il sesto gol più bello di sempre nella storia dei Mondiali, viene così narrata in contrapposizione all’intera carriera del trequartista saudita, conclusasi senza mai aver avuto la possibilità di giocare in un campionato europeo. Dino Ballacci, poi, il difensore partigiano che militò nel grande Bologna del dopoguerra, ci viene inquadrato nella sua più totale normalità di uomo che, oltre alla fede calcistica, visse la propria vita in nome di ideali libertari e di uguaglianza. Poco importa se si presentò al rinnovo del contratto portando con sé una pistola, perché sapeva che il presidente Dall’Ara ne avrebbe avuto con sé una. E poi la tragica storia di Fashanu e del suo soffertissimo coming-out, la Via Crucis giudiziaria a cui fu sottoposto Beppe Signori, la morte nel disastro del Vajont di Giorgio de Cesero. Persino la collocazione in rigido ordine alfabetico dei protagonisti ci fa rimanere con i piedi ben saldi a terra, e la parte finale, dedicata a citazioni e aforismi più o meno famosi, fa da corollario alla ricerca sociale dell’autore. “Bravi e dannati” trasuda di cultura e storia. Di politica e divertimento, di illusioni e vittorie. “Spiazzato di netto, il portiere egiziano si alza e proietta le braccia al cielo in un urlo liberatorio. Simultaneamente, tutti i giocatori del Camerun le portano dietro alla testa in un gesto di disperazione collettiva, condiviso da un Paese intero. Womé, l’eroe degli undici metri, questa volta ha tradito. Ma per lui, quello, è solo l’inizio dell’incubo. La sera stessa un gruppo di tifosi inferociti entra nella sua casa in Camerun e si porta via tutto. Nella fuga sfasciano anche l’automobile, rendendola inservibile. Non sfugge alla loro ferocia nemmeno il negozio della compagna del calciatore, saccheggiato e dato alle fiamme. Womé, nel frattempo, è stato scortato dalla polizia locale e imbarcato a bordo del primo aereo in partenza per l’Europa, come in un film di spionaggio. Quando atterrerà in Italia, ascolterà dalla bocca del suo compagno di squadra Samuel Eto’o un doloroso retroscena, che forse avrebbe preferito non venisse divulgato: >, rivelerà l’attaccante del Barcellona.”
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mariotolvo62 · 6 months
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Le Fantastiche Donne di Antonio Mancini (1852 - 1930)
Esiste un rapporto tra genio e follia, tra ingegno e sregolatezza? Anche se stereotipato, questo dilemma affascina da sempre la cultura occidentale. In attesa che la Scienza ci fornisca una spiegazione risolutiva alla questione e discettando d’Arte, non possiamo fare altro che affidare il giudizio ad un poeta e scrittore che ha convissuto per tutta la vita con il “male oscuro” della depressione, Rainer Maria Rilke, che scriveva: “le opere d’arte sono sempre il frutto dell’essere stati in pericolo, dell’essersi spinti, in un’esperienza, fino al limite estremo oltre il quale nessun uomo normale può andare”. Bene, di fronte alle opere di alcuni artisti, anche non conoscendo le loro vicende umane, percepiamo una sorta di coinvolgente travaglio interiore. Un esempio: nella Napoli di metà ‘800 visse e si formò artisticamente il pittore Antonio Mancini, uno dei massimi esponenti della corrente verista italiana.
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lamilanomagazine · 7 months
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Mick Jagger, leggenda vivente della musica rock e frontman della band più famosa di sempre, i Rolling Stones
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Mick Jagger, leggenda vivente della musica rock e frontman della band più famosa di sempre, i Rolling Stones. Quando parliamo di Mick Jagger, delle domande sorgono spontanee, come si fa ad essere Mick Jagger? Qual è il suo segreto? Ci si chiede come abbia fatto a raggiungere il traguardo della vita, violando tutte le regole possibili, valicando l'estremo di ogni eccesso possibile, droga, alcol, e al contempo diventare uno dei cantanti più influenti di tutto il mondo. Jagger non è solo un’icona del rock, ma un vero e proprio animale da palcoscenico, un simbolo di come la musica possa influenzare attraverso il lungo tempo. La sua voce unica e la sua presenza indelebile sul palco hanno lasciato un’impronta intramontabile nella cultura musicale e non solo. Chi è Mick Jagger: Nato il 26 luglio del 1943 a Dartford, sotto il segno del Leone, Mick ha sempre vissuto una vita al limite della sregolatezza, e nel pieno vortice del successo. La rivista Rolling Stone lo ha inserito nella classifica dei migliori cantanti di sempre al sedicesimo posto. Michael Philip Jagger è nato presso il Livingstone Hospital di Dartford, nel Kent, vicino Londra. Figlio di Bansil Fanshawe Jagger, insegnante, e di Eva Ensley Mary, parrucchiera e attivista politica australiana d’origine, ha svolto le elementari nella città natale, incontrando qui una persona che rimarrà al suo fianco per tutta la vita, Keith Richards. Fin da bambino è sempre stato appassionato di canto, comincia a suonare nel 1956 con alcuni compagni di scuola. Si esibisce in pubblico per la prima volta nel 1960 in un contesto parrocchiale. Quando un anno dopo incrocia nuovamente la sua strada con Keith, scopre di essere accomunato a lui da una grande passione per il rhythm and blues. Nonostante si trasferisca a Londra per studiare economia e diventare giornalista, decide in contemporanea di mantenere i rapporti con Richards e di formare con lui una band. Come nascono i Rolling Stones? Nel 1962 insieme a Jagger e Richards si aggiungono un gruppo di musicisti di grande talento come Brian Jones, Bill Wyman e Charlie Watts, da questa unione nascono così i Rolling Stones, una band destinata a diventare leggenda e a scrivere capitoli immensi della storia del rock. Questa luce rock nascente degli anni sessanta, inizia il successo planetario con il brano scritto da Lennon e Mc Cartney, I wanna be your man; nella loro carriera, i Rolling Stones, hanno venduto più di 250 milioni di copie, tra dischi e supporti fonografici vari, hanno pubblicato trentacinque album in studio, ventiquattro album dal vivo e numerose raccolte, per un totale inimmaginabile di 79 album editi. Nel 1980, nonostante il successo, dopo alcuni dissidi con l’amico Keith decide di tentare un percorso solista, ottenendo un discreto successo con l’album She’s the Boss del 1985. Ma questa è  solo una parentesi trascurabile, in un percorso vissuto sempre al limite come leader di uno dei gruppi più importanti di tutti i tempi. I concerti memorabili  L'adrenalina musicale di Mick Jagger e dei Rolling Stones, veniva trasposta attraverso l'esplosione dal vivo sul palco della band. I loro show live procedevano e si dimenano, ancora oggi, con un ritmo incandescente, quasi sovrannaturale eseguiti in maniera ineccepibile. Si ricordano diversi concerti divenuti memorabili nella storia: quello di  Santa Monica Civic Auditorium (1964), con ben 2600 spettatori in delirio, Hyde Park (1969), in cui i cantanti erano ancora segnati dal dolore della perdita di Brian Jones, chitarrista deceduto tragicamente 2 giorni prima del live; e ancora quello di  Altamont Speedway (1969), uno dei concerti più controversi nella storia, in cui i Rolling Stones, Santana, Jefferson Airplane, Crosby, Stills, Nash & Young, i Grateful Dead ed i Flying Burrito Brothers si sono trovati a condividere lo stesso palco, dove Mick Jagger viene colpito con un pugno da un fan e in cui Meredith Hunter, viene pugnalata dopo aver estratto una revolver.  L'evento a The Marquee Club (1971), il gruppo suonò di fronte ad un pubblico di eletti che comprendeva Eric Clapton, Jimmy Page, Ric Grech ed Andrew Oldham. E infine il The Tokyo Dome (1990), ritornando sul palco dopo 8 anni di assenza,  Copacabana Beach (2006), uno dei più grandi concerti rock gratuiti nella storia con più di 1 milione e mezzo di persone, il Glastonbury (2013) un live show da mozzare il fiato, in grado di appassionare gli spettatori dall'inizio alla fine, e  il concerto al Madison Square Garden, ricordato per i 10 arresti eseguiti quella notte tra i fan in tumulto.  Mick Jagger, anche solista  La sua carriera indipendente è iniziata nel 1985 con il primo album, “She’s the Boss”, ed è proseguita fino al 2001 con la release di “Goddess in the Doorway”. La discografia da solista in studio: 1985 – She’s the Boss, 1987 – Primitive Cool, 1993 – Wandering Spirit, 2001 – Goddess in the Doorway; di cui le dieci canzoni più belle: Dancing in the Street, Gotta get a Grip, God gave me everything, Old habits die hard, Visions of Paradise, Sweet Thing, Don’t call me Up, Memo from Turner, Lucky in Love, Joy. Mick Jagger e il cinema Mick Jagger, non è solo una delle star più iconiche del mondo, ma ha avuto ruolo preminente anche nel mondo del cinema da attore, produttore, produttore esecutivo, e sceneggiatore. Ha recitato in alcuni film, tra cui si ricordano I fratelli Kelly , Sadismo, Freejack e L'ultimo gigolò . Nel 1969 apparve, attraverso filmati d'archivio, nel film Invocation of My Demon Brother di Kenneth Anger, del quale curò anche la colonna sonora. Le donne di Mick Jagger Aldilà delle migliaia di avventure a lui accreditate, le donne hanno rappresentato una sfumatura molto rilevante nella vita di Jagger. Due, i grandi amori della rockstar, la prima moglie, Bianca, sposata nel 1971 e dalla quale divorziò sette anni dopo, e l’altro grande, lungo amore con Jerry Hall, la bellissima supermodella che Mick sposò e dalla quale ebbe quattro figli, separandosene il 1999. Nonostante abbia avuto tantissime relazioni, il cantante stesso ha ammesso che da un certo momento il suo fascino ha cominciato ad attrarre anche gli uomini. E in relazione a questa storia, esiste proprio un aneddoto che è diventato famosissimo nel corso degli anni. Qualche nome? David Bowie. Chi è oggi Mick Jagger Rappresenta una delle star della musica più amate e idolatrate di tutti i tempi, uno dei leader indiscutibili dei Rolling Stones, tornati a pubblicare un album in studio nel 2023, a diciotto anni di distanza dall’ultima volta. “Hackney Diamonds”, l'ultimo album di inediti pubblicato dai Rolling Stones lavora ancora a pieno regime, e dopo le forze impegnate al nuovo lavoro, nell'estate 2023, Mick Jagger ha deciso di concedersi una pausa proprio in Italia, esattamente in Sicilia. "Taking a break in Italy and doing some writing", ha scritto sui social il leader della storica band inglese accompagnando la pubblicazione di diverse foto scattate tra Siracusa e Noto; d'altronde quale modo migliore di ricaricarsi in vista del tour americano previsto per questa primavera estate 2024. In conclusione, ritornando alle domande iniziali, ma come si fa ad essere come Mick Jagger? Qual è il suo segreto? La risposta è solo una, bisogna essere semplicemente Mick Jagger.  ... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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cridarphotography · 7 months
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Sul concetto di normalità
colonna sonora: https://www.youtube.com/watch?v=HLGyWQZtgzY
normalità s. f. [der. di normale]. – 1. Carattere, condizione di ciò che è o si ritiene normale, cioè regolare e consueto, non eccezionale o casuale o patologico, con riferimento sia al modo di vivere, di agire, o allo stato di salute fisica o psichica […]
In chimica, la normalità è una delle misure della concentrazione del soluto in una soluzione e più precisamente indica il numero di equivalenti di un soluto disciolti in un litro di soluzione. 
Non avevo mai realizzato come tendessi a fuggire dall’essere definita “normale”. Essere definita in questo modo mi fa venire una morsa nel petto e fa scatenare un senso di protezione in me molto forte, come se fosse un pesantissimo insulto.
Allora mi chiedo a cosa associo io la normalità e perché. La normalità per me appartiene alla noia, al ripetersi delle cose nell’abitudine, ad un sentimento piatto e privo di stimoli, alla massa, a cioè che sono molti, ma non io.
Da quando ho consapevolezza non mi sono mai sentita normale, ho avuto difficoltà a relazionarmi in tantissimi ambiti e a sentirmi parte della maggioranza dei miei coetanei, mi sono invece sempre sentita in qualche modo diversa per le mie ambizioni, difficile per il mio carattere, complessa per la mia sensibilità, non compresa e sola al punto di soffrire di attacchi di panico ogni volta che questi pensieri si facevamo nitidi. Per sopravvivere ho dovuto trasformare questo macigno enorme, questo sentirmi aliena nel mio paese di 4000 abitanti, così come poi nella mia città e nel mondo, scegliendo di definirmi “speciale” o “alternativa”, ma normale proprio non mi sentivo. Alternativa per ciò che provavo, per la musica che ascoltavo, per come mi vestivo, per le scelte che facevo e i sogni a cui aspiravo. 
Oggi mi sono persa nel mio senso di speciale, che non ama la normalità ma non sa più neanche di chi sia questo vestito indossato 20 anni prima. Il voler distinguermi da quella normalità mi ha portato ad avvicinarmi a tantissime situazioni e persone in qualche modo diverse, ma spesso estremamente tossiche, emotivamente non disponibili, narcisiste o semplicemente egoiste con cui mi sono confusa insieme alla mia alternatività. Cos’è la normalità? È cosi noiosa? speciale è accettare tutto? Permettere che mi calpestino il cuore? Non mettere confini, vivere senza limiti nella  sregolatezza? nello spendere tempo con persone che non riescono a vedere il valore e la profondità di una vita immensa, nell’accettare di scendere a compromessi con se stessi? Nel permettere di privarmi del bene più grande che ho ossia il tempo , il tempo per i miei progetti, per i miei sogni, alla cura e amore verso me stessa? 
Io sono normale a modo mio. Credo nell’amore come esperienza esclusiva,  credo nella fiducia, nel linguaggio che non ha bisogno di parole ma solo di sguardi e gesti, nel riconoscersi in mezzo a mille persone, nell’investire sugli altri, nel darsi completamente al prossimo, nel dire “sei bello/bella” ad uno/a sconosciuto/a in strada se lo penso, al “troppo” che appartiene a chi non sa riconoscere il valore, nella mia necessità di sentirmi utile nel mondo per gli altri, di fare esperienza tramite le relazioni, di emozionarmi anche solo vedendo il vento tra le foglie, un animale libero in natura o un tramonto sul mare; sono normale nella mia voglia di esplorare e vivere avventure, nel mio guardare il mondo con l’obiettivo fotografico come filtro sensibile, nelle notti insonni a pensare al mio futuro, nelle mie cadute perché mi sovraccarico di responsabilità e doveri, nel mio carattere complesso e spesso spigoloso.
Il termine “normalità” nasce e si evolve con intento di classificazione statistica e spesso con utilizzo discriminatorio a livello psicologico, di salute, sessuale ed evoluzionistico, basato sulla media dei risultati e su una standardizzazione utile agli studi e agli schemi, come spiega Fabrizio Canfora in questo articolo: https://www.fabrizioacanfora.eu/il-concetto-di-normalita/ portandoci a riflettere su come possa un concetto così rigido descrivere una società cosi mutevole e dinamica.
Ognuno di noi ha la sua speciale normalità in ciò che ci corrisponde e coincide, voglio trovare la mia.
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francyfan-bukowsky · 9 months
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La poetica di Bukowski
Approcciarsi alla sua letteratura non è semplice,o quanto meno non è quello che ci si aspetta avendo in mente la cognizione classica di poesia: qui ci troviamo di fronte ad un linguaggio vivo, crudo, a volte anche volutamente volgare. E attraverso questo stile del tutto inconsueto Bukowski racconta verità sacrosante, celebra l'autenticità, l'originalità dei sentimenti, esalta la bellezza pura, non fatta di artifici.
La sua intera opera letteraria nasce sicuramente da un percorso di vita doloroso, a volte vissuto ai limiti e ai margini della società, tra quelli che spesso vengono definiti ultimi. In Bukowski poesia e vita coincidono: le sue parole raccontano con uno stile asciutto e senza divagazioni stilistiche, le sofferenze quotidiane, guardano con occhi disincantati la società contemporanea, celebrano i sentimenti autentici.
Siamo di fronte ad un personaggio controverso e particolare, che ha raccontato ciò che la poesia mai aveva osato fare. Il suo sguardo si posa sul degrado, sulle vite vissute all'insegna della sregolatezza, ma anche, teneramente, sull'amore, sull'amicizia e sulla nostalgia.
Essendo diventato un esponente di spicco della letteratura, amato da diverse generazioni, molte delle sue frasi e poesie vengono riportate frequentemente. Stupisce come, a distanza di ormai quasi trent'anni dalla sua morte, le sue poesie e i suoi scritti siano un'analisi attuale del mondo che ci circonda.
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Charles Buk🖤wski
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