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patiruiz · 2 years
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Iniciamos el año con esta belleza 😍😍 🌟🌟Hermosa Furcraea selloa ☘️🌟 . @patiirrz . . . . . . . . .. . . . #furcraea #platae #furcraeaselloa #selloa #variegato #variegatedplants #plants #plantas #ccactusuculentas #naturaleza #naturalezamexicana #flora #floramexicana #aloe #agave #maguey #sábila #terapia #parati #2023 #photooftheday (en Soriana Peñón) https://www.instagram.com/p/Cm5qslvuVdz/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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kon-igi · 10 months
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NON TEMO IL PATRIARCATO IN SE' MA IL PATRIARCATO IN ME
Quando ricevo un ask anonimo di cui non è possibile estrapolare il genere della persona che mi scrive, dentro di me parto dal presupposto che sia una ragazza.
Potrei addurre a mia giustificazione il fatto che 8 persone su 10 che mi scrivono appartengono al genere femminile (poi arriviamo anche a questo) ma la realtà è un'altra.
Al netto che il variegato ramo della mia famiglia è composto ad alta percentuale di figlie di eva e che ho passato 25 anni a proteggere e a cercare di far crescere serene due figlie femmine, il fatto è che si accetta istintivamente e culturalmente che sia il sesso debole ad aver bisogno e quindi a chiedere aiuto, mentre i veri uomini ce la fanno da soli e non piagnucolano come delle femminucce.
Guardate quanti stereotipi di genere nell'ultima frase e se forse in giro se ne sente usare sempre meno, alla fine il preconcetto rimane radicato, più o meno apertamente negli uomini ma istintivamente anche e soprattutto nelle donne.
Per ciò che mi riguarda, ho peccato spesso (e succede ancora) di paternalismo ma mi dico che è un riflesso condizionato dell'essere stato una presenza rassicurante e spesso risolvente nella vita delle mie figlie, per cui il mio primo istinto diventa quello di trattare l'interlocutore come se avesse sempre bisogno del mio aiuto.
E bene o male, alla fine, chi ha bisogno del mio 'aiuto' - o meglio, mi scrive per parlare di sé - nella maggior parte dei casi è una persona di sesso femminile (non me ne vogliano le persone binarie o trans ma cerchino di capire il senso di quanto vado dicendo).
Perché i maschi si vergognano.
Non tutti ma abbastanza da rendere asimmetrica le richieste.
Chiamatela maschilità tossica, virilità forzata, machismo o mascolinità egemone ma il risultato è sempre quello.
Uomini fragili perché costretti a essere sempre all'altezza di certe aspettative culturali e sociali, ai quali non è permesso chiedere aiuto per il proprio malessere.
Però non voglio fare un torto a tutti quei figli di adamo che mi scrivono e che davvero non sono pochi, comunque.
Il malessere non ha genere, semmai si declina in contesti e con azioni differenti ma alla fine - al di là che gli effetti devastanti siano più evidenti sulle donne - se faccio fatica io per primo ad aprirmi e a rigettare certi bias patriarcali, figuriamoci se posso chiederlo a uomini decisamente meno fortunati di me.
Perché fino a oggi è dipeso molto dalla fortuna... di avere avuto un padre e una madre amorevoli nel modo giusto, amici e coetanei di un certo tipo, ambienti di studio e di lavoro predisponenti a una certa visione della società.
Fino a oggi fortuna...
Domani vediamo dove ci avrà portato questa nuova sensibilità sociale, spero non effimera e di pancia come dentro di me sento il timore.
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pinkpogiclub · 8 months
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sapete cosa mi fa ridere? prima di stasera il tag di sanremo era molto variegato, ma da quando Fiorello ha messo piede sul palco tumblr si è sintonizzato a reti unite sui due vecchi gay
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schizografia · 2 months
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Qualche notizia sull’Ucraina
Tra le menzogne che vengono ripetute come se fossero verità ovvie, vi è quella che la Russia avrebbe invaso uno stato sovrano indipendente, senza precisare in alcun modo che quel cosiddetto stato indipendente non soltanto era tale solo dal 1990, ma era stato fin allora per secoli parte integrante prima dell’impero russo (dal 1764, ma già fra il XV e il XVI secolo era incluso del Granducato di Mosca) e poi della Russia sovietica. Ucraino era del resto forse il più grande degli scrittori in lingua russa del XIX secolo, Gogol’, che, nelle Veglie della fattoria di Dikanka, ha meravigliosamente descritto il paesaggio della regione che si chiamava allora «Piccola Russia» e i costumi della gente che vi viveva. Per la precisione occorre aggiungere che, fino alla fine della Prima guerra mondiale, una parte rilevante del territorio che ora chiamiamo Ucraina era, col nome di Galizia, la provincia più lontana dell’impero austro-ungarico (in una città ucraina, Brody, nacque Joseph Roth, uno dei maggiori scrittori in lingua tedesca del novecento).
È importante non dimenticare che i confini di quella che chiamiamo dal 1990 Repubblica Ucraina coincidono esattamente con quelli della Repubblica socialista sovietica Ucraina e non hanno alcun possibile fondamento anteriore nelle continue vicende di spartizioni fra polacchi, russi, austriaci e ottomani che hanno avuto luogo nella regione. Per quanto possa apparire paradossale, un’identità dello stato ucraino esiste dunque soltanto grazie alla Repubblica socialista sovietica di cui ha preso il posto. Quanto alla popolazione che viveva in quel territorio, essa era un insieme variegato costituito, oltre che dai discendenti dei cosacchi, che vi erano migrati in massa nel XV secolo, da polacchi, russi, ebrei (in alcune città, fino allo sterminio, più di metà della popolazione), zingari, rumeni, huzuli (che fra il 1918 e il 1919 costituirono una repubblica indipendente di breve durata).
È perfettamente legittimo immaginare che, agli occhi di un russo, la proclamazione dell’indipendenza dell’Ucraina non risulti pertanto troppo diversa dall’eventuale dichiarazione di indipendenza della Sicilia per un italiano (non si tratta di un’ipotesi peregrina, dal momento che non si dovrebbe dimenticare che nel 1945 il Movimento per l’indipendenza della Sicilia, capeggiato da Finocchiaro Aprile, difese l’indipendenza dell’isola ingaggiando scontri con i carabinieri che fecero decine di morti). Per non pensare a quello che accadrebbe se uno stato americano si dichiarasse indipendente dagli Stati Uniti (ai quali appartiene da molto meno tempo di quanto l’Ucraina fosse parte della Russia) e stringesse alleanza con la Russia.
Quanto alla legittimità democratica dell’attuale repubblica Ucraina, è a tutti noto che i trent’anni della sua storia sono stati segnati da elezioni invalidate per brogli, guerre civili e colpi di stato più o meno nascosti, al punto che, nel marzo del 2016, il presidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker ebbe a dichiarare che ci sarebbero voluti almeno 25 anni perché l’Ucraina potesse soddisfare i requisiti di legittimità che avrebbero permesso il suo ingresso nell’Unione.
Giorgio Agamben, 2 agosto 2024
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autolesionistra · 8 months
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Caro diario, oggi stavo andando a fare la spesa a piedi, una macchina in strada ha suonato il clacson, mi sono girato e dentro c'era questa tizia con gli occhiali da sole che mi indicava e mi faceva gesti.
Io già faccio fatica a riconoscere la gente quando ce l'ho davanti, figurati in macchina e con gli occhiali da sole. In più da qualche anno c'è il variegato universo di mamme-di-compagni-dei-figli a mettere costantemente in crisi le mie incapacità di riconoscimenti facciali.
Così nel dubbio l'ho salutata calorosamente.
A quel punto mi sono accorto che non avevo più sotto l'ascella la busta della spesa. Mi giro ed era una ventina di metri dietro di me, per terra. La sensazione di essere doppiamente coglione mi ha accompagnato per un pochetto.
Vorrei comunque rassicurare la cara signora che ha tentato di avvisarmi dello smarrimento della busta ed è stata ripagata a saluti sbracciati: il suo sforzo non è stato invano.
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fashionbooksmilano · 9 months
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Ceramiche persiane Dal IX al XIV secolo
a cura di Giovanni Curatola
Skira, Milano 2006, 185 pagine, 24,5x29cm, Ediz.Ilustrata, Copertina rigida, ISBN 978-8876247491
euro 40,00
email if you want to buy [email protected]
Catalogo della mostra (Milano, 4 maggio-3 giugno 2006)
Nel complesso e variegato mondo dell'arte islamica le ceramiche occupano un posto di rilievo. In particolare la produzione medievale persiana è stata straordinaria per l'inventiva tecnica, la fantasia e la raffinatezza delle iconografie, raggiungendo esiti artistici difficilmente superabili in campo fittile. Questo volume raccoglie, accanto a celebri esemplari conservati in alcuni prestigiosi musei, una serie di opere inedite. La lettura offre un esauriente panorama della ceramica persiana con un ottimo equilibrio fra analisi tecniche, stilistiche ed estetiche, in modo da far avvicinare con garbo a un'arte di eccezionale qualità e bellezza. Il volume costituisce il catalogo dell'esposizione "Il Cerchio in una Coppa. Ceramiche persiane IX-XIV secolo", Milano, Sala Garzanti 4 maggio-3 giugno 2006.
02/01/24
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chez-mimich · 8 months
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SUL CONCETTO DI EGEMONIA CULTURALE
Nel vasto e variegato panorama della Destra italiana che ormai governa il paese (ma anche regioni, provincie, comuni), dirige televisioni, spopola sui social, indice feste di partito ecc. da qualche tempo ha preso piede il dibattito sulla cosiddetta “egemonia culturale”, espressione di derivazione gramsciana che definiva in realtà una idealità operativa, una “conditio sine qua non” che potesse consentire ad un “blocco storico” di governare la nazione (Gramsci usava spesso il termine “nazione”). Cos’era un “blocco storico”? Secondo quanto elaborato nei “Quaderni” il blocco storico era l’unione del proletariato del Nord con la classe contadina del Sud, sotto la guida degli intellettuali. Certo, anche le terminologie erano di altri tempi (e infatti erano altri tempi), così come lo erano le idee. Ma almeno erano idee. Oggi una Destra con un ampio consenso elettorale, ma con un evidente complesso inferiorità culturale, sembra tutta impegnata a colmare questo “gap”. Lo si vede a livello locale, lo si vede a livello nazionale. E, non per caso, si ritorna a parlare di “egemonia culturale”. Ma mentre la Destra storica, pensando non solo ai soliti Papini e Prezzolini, ma anche a quella destra che costituì la matrice ideologico-artistica dell’eversione fascista, come fu quella di Filippo Tommaso Marinetti e dei futuristi, produceva cultura, la cultura che, ideologicamente opposta, produceva la Sinistra, mentre la Destra di oggi produce poltrone, non nel senso che si sono dati all’industria manufatturiera dell’arredamento, ma nel senso simbolico del termine. Loro pensano che l’egemonia culturale non si costruisca nei teatri con le idee, ma con il figlio del Presidente del Senato infilato nel CDA del Piccolo Teatro di Milano, pensano che non si costruisca con programmi televisivi di grande rilevanza culturale, ma creando le condizioni perché Corrado Augias lasci la Rai. Loro pensano che basti nominare loro simpatizzanti a dirigere musei, biblioteche, assessorati alla cultura, per far sì che questa “egemonia culturale” si compia. Purtroppo per loro e per fortuna per noi, non è così. Gramsci non elaborò questo concetto da una poltrona di un ministero o nel salotto di Bruno Vespa e nemmeno sulle pagine di un social, Gramsci lo elaborò dal carcere, dove era stato rinchiuso dai fascisti, tanto per chiamarli col loro nome. Ed è questo che fa la differenza, perché la “santa guerra dei pezzenti” non la si può condurre dopo una prestigiosa nomina, e nemmeno dalla direzione di un partito che si riunisce in una SPA di lusso. “La rivoluzione” è il lavoro della talpa e per fortuna la talpa continua a scavare nei libri, nei teatri, nella musica, nell’arte, nel cinema e nella coscienza di tutti noi…
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zero0virgola0 · 16 days
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Settembre, per sua stessa natura, incarna il mese in cui ogni progetto di procastinazione viene sottoposto a un rigoroso scrutinio. È il tempo della ripresa, in cui si rimettono in moto tutte le attività e, soprattutto, si concepiscono nuovi progetti, destinati tuttavia, nell'arco di pochi mesi, a subire ancora una volta la sorte inevitabile della suddetta procrastinazione.
Nel variegato universo dei social, questa prima settimana del nono mese è stata costellata da un fiume di meme che ironizzano sui buoni propositi, puntualmente traditi. Li ho trovati estremamente piacevoli, autoironici e assolutamente pertinenti. Tuttavia, e sottolineo con fermezza, nessuno, nessuno potrà mai eguagliare l’esempio supremo di procrastinazione rappresentato dai celebri cartelli stradali che adornano, da decenni ormai, le strade statali di montagna disseminate su tutto il territorio italico.
Durante una recente escursione estiva, prima ancora di giungere al punto di partenza, ci siamo sobbarcati una sequenza interminabile di tornanti, circondati da una selva di faggi. Tuttavia, la presenza imponente di questi alberi non era nulla in confronto alla proliferazione dei cartelli stradali recanti la scritta:
ATTENZIONE BUCHE PERICOLOSE
Quei cartelli, vecchi di almeno un decennio – posso affermarlo con certezza, poiché percorro quelle strade di tanto in tanto, d'estate – sono l'emblema dell'arte suprema della procastinazione. Ora, mi si spieghi come sia possibile superare, in questa nobile disciplina, il Governo Italiano.
Lo immagino, in una stanza ovattata, mentre si dibatte:
"Abbiamo un problema: la statale del comune di Asinello Superiore, in provincia di Feltrello, è disseminata di buche. Quest'estate la gente rischia la pelle!"
"Ehm, sì, ma non c' abbiamo il BAGGIET. Prima dobbiamo organizzare la Giornata per la Sicurezza Stradale visto che abbiamo già ingaggiato l’ingegner Furbacchioli per una masterclass intitolata 'Come gestire il desiderio di crivellare la tua assicurazione'".
"Bene, allora mettiamoci dei cartelli. Così, se qualcuno rovina gli ammortizzatori, almeno non potrà farci causa."
"Perfetto, deciso."
Prendete esempio dai migliori, prendete esempio dal Governo.
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abatelunare · 24 days
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Di contorsioni mentali
Da ragazzo pensavo che esistesse una sola serie di Gundam. Negli anni ho scoperto che intorno al Mobile Suit è stato costruito un intricatissimo e variegato universo. Non è facilie orientarcisi in mezzo. Qualcosa di simile è stato fatto con Capitan Harlock. Le serie a lui dedicate o semplicemente collegate non sono poche. Ne ha risentito la continuità narrativa tra le diverse saghe. Ci sono discrepanze forse inevitabili. A me la complessità piace, eh. Ma quando diventa contorsione mentale non mi interessa più. Allora preferisco la semplicità. Per lo meno mi evita l'emicrania.
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mucillo · 3 months
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Robert Wyatt - Sea Song (Official Audio)
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La musica di Robert Wyatt gode da sempre di una stima illimitata, sin dai tempi in cui era batterista-cantante dei Soft Machine e poi alla fine di quell’esperienza (per lui una ferita mai sanata) e alla nascita dei Matching Mole (se lo si pronuncia alla francese diventa Machine Molle = Soft Machine). In entrambi i casi Wyatt contribuisce ad album destinati alla storia della popular music come Third dei Softs e Matching Mole. Poi però succede qualcosa di tragico: il 1° giugno 1973, durante la festa di compleanno di Gilli Smyth dei Gong e della poetessa/performer Lady June, un Wyatt strafatto e ubriaco si arrampica sul tetto per tentare di calarsi sul balcone del piano dove si sta svolgendo la festa e sorprendere tutti. Sono pochi passi ma sufficienti per cambiargli per sempre la vita. Appoggia male un piede, scivola e cade nel vuoto. Al suo risveglio in ospedale si ritrova paralizzato dall’addome in giù.
Quella è la fine del «batterista bipede», come Robert ha sempre definito la sua vita prima dell’incidente. La cosa sconvolge i suoi amici e la scena musicale tutta, e porta a bellissime iniziative come il concerto organizzato dai Pink Floyd (con i quali i Soft Machine avevano speso una buona parte dei ’60 in tour) il cui incasso è devoluto a Wyatt per le cure ospedaliere. Ma i link con i Floyd, lo si vedrà leggendo, non finiscono qui.
Supportato dalla fedele moglie/collaboratrice (è autrice dei tutte le sue copertine e di diversi testi) Alfreda Benge, detta Alfie, Wyatt mette da parte le inquietudini e le esagerazioni che hanno caratterizzato gli anni giovanili e si concentra su una musica che altro non può essere definita se non la musica di Robert Wyatt. Dentro ci sono echi della scuola di Canterbury (non potrebbe essere diversamente), prog, sperimentali, world. E c’è quel jazz che in definitiva rappresenta il più grande amore dell’artista. Ma soprattutto c’è la sua voce. Una voce che ha influenzato cantanti moderni (qualcuno ha detto Thom Yorke?) e che o la si apprezza in tutte le sue sfumature o la si rifiuta: sottile, sempre al limite dello spezzarsi, addirittura dell’andare fuori tono. Però dolce, sicura, riconoscibilissima, in grado solo con poche note di scaldare l’anima come un caminetto acceso in una notte di neve. Infine ci sono le sue canzoni e le molte cover con le quali spesso si è misurato: rarefatte, impalpabili, struggenti, solo sue. Ma anche agguerrite in altri momenti. Col tempo infatti Wyatt ha saputo mettere in atto un fiero impegno politico, schierandosi con il Partito Comunista Britannico e trovandosi coinvolto in iniziative umanitarie.
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Nel 1997 nel quale in Italia (caso unico al mondo) viene pubblicato un tributo a Wyatt (The Different You – Robert Wyatt e noi, organizzato da Francesco Magnelli e Gianni Maroccolo e pubblicato dal Consorzio Produttori Indipendenti) esce Shleep, suo più grande successo dai tempi di Rock Bottom. È un album sereno, variegato, in grado di mettere sul piatto i diversi mondi wyattiani in maniera perfetta. Con diverse perle sonore tra cui una che spicca per intensità: Maryan, scritta col chitarrista jazz Philip Catherine e ripresa con eleganza e trasporto da Ginevra di Marco e Cristina Donà nel tributo.
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Uno degli album più importanti degli ultimi 50 anni. Concepito nei giorni di convalescenza a seguito dell’incidente e prodotto da Nick Mason, il disco presenta un Wyatt fresco e nuovo, che compone canzoni che entrano nell’anima del mondo. Sospeso tra umori jazz, melodie struggenti ed esperimenti, Rock Bottom farà scuola per il suo carattere al tempo stesso tortuoso e godibile. Al suo interno molta malinconia, ma anche uno spirito ironico e vitale che permette a Wyatt di pubblicare alcune tra le sue canzoni più belle, una su tutte Sea Song che è pura poesia per il suo amore con Alfie. Ma è tutto l’album a essere una lunga lettera d’amore alla consorte, alcuni brani portano addirittura il suo nome. Rock Bottom è l’equilibrio perfetto tra canzone e sperimentazione, tra jazz e tutto ciò che musicalmente c’è di bello sul pianeta Te
( da Rolling Stone)
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abr · 2 years
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Benedetto XVI era un pontefice conservatore (nel senso più pregnante e filosofico del termine), sempre attento a mantenere intatto il nucleo più profondo del messaggio cristiano. Fu anche un teologo e filosofo di notevole statura intellettuale, sempre intento a scrivere opere di rara profondità e molto studiate.
Era inoltre convinto che i cristiani meritassero di essere difesi in tutti i luoghi – e sono moltissimi – nei quali subiscono persecuzioni immotivate e dettate soltanto dall’odio religioso.
Proprio per questo, è inutile nasconderlo, non era molto amato dal variegato mondo del cattolicesimo di sinistra, che da sempre insiste sul dialogo interreligioso anche quando esso si rivela pressoché impossibile. Convinto, questo mondo, che cedere le armi sia meglio che combattere. Il fatto è che Ratzinger non la pensava affatto così. Per lui la dottrina cristiana non si poteva assolutamente svendere, pena la fine stessa del cristianesimo.
La lezione di Ratisbona
Lo dimostrò con il celebre discorso di Ratisbona, in cui invitò, pur basandosi su un episodio storico lontano nel tempo, l’islam a condannare il legame tra fede e violenza, sottolineando altresì che la fede non può essere imposta con la forza.
Piuttosto naturale fu la reazione rabbiosa del mondo islamico alle sue parole. Assai meno naturale quella del cosiddetto “cattolicesimo progressista”, che reagì al suo discorso con un fastidio malcelato. Ancora oggi alcuni dei suoi esponenti, intervistati dai mass media, ribadiscono che Ratisbona fu un errore. Altri invece – incluso chi scrive – pensano che Ratisbona rappresenti uno degli episodi più alti del suo pontificato. In ogni caso, una lezione ancora attuale e da non dimenticare.
I rischi del sincretismo
Si rammenti, inoltre, la sua ostilità nei confronti della “teologia della liberazione”, popolare soprattutto in America Latina, che Ratzinger accusava di eccessiva politicizzazione della visione del mondo cristiana. Quest’ultima, a suo avviso, conteneva un messaggio non politico, ma di salvezza universale. Contrario a ogni forma di sincretismo e di cedimento alle mode del momento, Benedetto XVI si sforzò non solo di salvaguardare l’originalità del messaggio cristiano, ma anche di impedire che esso venisse annacquato da elementi ad esso estranei. E il sincretismo, per l’appunto, costituisce forse il maggiore pericolo per il cristianesimo.
Un Papa “occidentale”
Benedetto aveva poi un altro difetto imperdonabile agli occhi del cattolicesimo di sinistra. Era, a tutti gli effetti, un Papa “occidentale”, che guardava con angoscia alla scristianizzazione dell’Europa e dell’intero Occidente. Proprio per questo dedicò molte pagine alle radici cristiane dell’Europa stessa, dolendosi che la Ue non recepisse il suo messaggio.
Ovvio che un pontefice di quel tipo non piacesse al progressismo cattolico, e altrettanto ovvio che i conservatori in lui vedessero uno scudo prezioso contro ogni cedimento alle lusinghe della modernità.
via https://www.nicolaporro.it/atlanticoquotidiano/quotidiano/politica/un-papa-occidentale-difetto-imperdonabile-per-i-cattolici-progressisti/
Purtroppo cedette alle pressioni e al ricatto.
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gcorvetti · 1 year
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Ancora niente.
Il post del video che ho messo ieri della performance che sono andato a vedere è ancora in revisione, a noi quelli di twitter ci svangavano i maroni se non toccavamo almeno due volte a settimana il target (che adesso non ricordo), comunque, senza contare che la coda italiana (quella dove lavoravo io) si estingueva in un paio di ore anche con 2000 tweet da controllare, beh non ero solo se non erro eravamo in 20 e molti erano esperti e quindi andavano rapidamente, fatto sta che il mio post con un video normale è bloccato mentre i video di gente che si scopa a morte sono ben visibili, se volete vengo a darvi una mano Tumblr assumimi :D se entro oggi non si decidono passo il video sul tubo e lo linko così non mi rompono.
Oggi niente di speciale sui notiziari tra articoli inutili e solite menate da propaganda e complottismo, quindi apro il tubo (che se qualcuno non l'avesse capito è youtube) perché quando scrivo qua di solito ascolto un brano o anche due, vedo che c'è Enrico in diretta e penso 'vediamo che dice' entro e dopo qualche minuto capisco che sta ancora parlando del fatto di Morgan, che palle Enrì, anche lui ha dei tempi un pò larghi sui fatti che accadono intorno alla musica, posso capire che vuoi approfondire ma dopo due video di cui uno spettacolare che ho condiviso ieri, basta no? Va bè saprà lui il tempo da dedicare a certe cose, da uomo di spettacolo.
Ieri poi riflettevo sulla performance che ho visto, molto interessante, mi sono accorto anche che gli spettatori, penso una 50ina oltre a noi due, ho portato la mia compagna, erano entusiasti, un pubblico molto attento e anche interessato, vuoi vedere che mi sono sbagliato? Che in realtà le persone che cercano qualcosa di particolare ci sono? Beh questo lo sapevo, non si fa di tutta l'erba un fascio, però non sapevo dove si potessero trovare, dove si riuniscono questi carbonari estoni della cultura musicale, in quel posto Kultuuriklubi Salong si chiama, l'avevo già detto. E' come spesso accade qua è in un seminterrato, la finestra da sulla strada, con puzza di umido e l'ambiente non è proprio unico, vedrete dal video. Però un solo posto è poco, certo meglio di niente, il programma è molto variegato, Giovedì prossimo c'è di nuovo Andres ma questa volta farà da spalla al Banjolectric che è un looper americano, avevo visto un video tempo fa ma onestamente non mi dice niente, poi comunque lavoro, cercatevelo non mi va di mettere il video. Altri eventi interessanti non ne vedo, quelli in programma sono "il quiz musicale" qua i quiz vanno alla grande per via della competizione selvaggia nel mostrare che ne sanno più degli altri, poi mi pare che si vincono bottiglie di alcol quindi è normale che le persone partecipino a ste serate; poi due serate di dj una di drum'n'bass e l'altra con i dj che usano esclusivamente vinili, sempre comunque cosa che non ha a che fare con live performance strumentali o sperimentali, pazienza.
Per chiudere vi posto il brano che sto ascoltando mentre scrivo
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⚠️ NOVITÀ IN LIBRERIA ⚠️
Alberto Brandi
TERRA ANCESTRALE
La memoria del sangue - Volume 1
Prefazione di Francesco Perizzolo
In un futuro prossimo, l’umanità ha ritrovato nello Stato delle Nazioni – un governo unitario alla guida dei diversi popoli – le proprie radici e lo slancio per uscire dalla sua epoca più buia. L’uomo ha conquistato il Sistema Solare e prospera, finalmente libero dai vincoli della scarsità di risorse e della sovrappopolazione. La Terra è tornata ad essere un gioiello naturale, Marte è una fortezza inespugnabile e una moltitudine di insediamenti e stazioni spaziali si staglia da Venere fino ai confini più remoti di Sol.
Ma antichi odi e conflitti ideologici covano come braci. Mentre una scoperta epocale spinge l’uomo a interrogarsi sul suo destino, le conflittualità interne si sovrappongono all’azione implacabile di un variegato quanto determinato gruppo di dissidenti, disposti a tutto pur di rovesciare lo Stato e ritornare a una condizione di libertà individuale assoluta.
In un montare di intrighi, complotti e vicende personali, questa umanità rinnovata sarà costretta a fare i conti con se stessa e a realizzare che il baratro e la rovina sono costanti apparentemente ineluttabili, anche in un’epoca di progresso e splendore. Se nell’uomo agiscono forze trascendenti apparentemente contrapposte, quale sarà l’elemento in grado di far pendere l’ago della bilancia da un lato o dall’altro?
La memoria del sangue è un romanzo a episodi che apre la saga di Terra Ancestrale, un’epopea di fantascienza che affronta i temi antichissimi delle origini e del destino dell’umanità da una prospettiva che coniuga tecnologia, spirito, visioni e radici. Una fantascienza che è possibile definire mitica.
INFO & ORDINI:
www.passaggioalbosco.it
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fotopadova · 7 months
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La fotografia documentaria come forma d’arte (sesta parte)
La fotografia umanista
di Lorenzo Ranzato
Introduzione
Con questo articolo completiamo il nostro racconto sul vasto mondo della fotografia documentaria, affrontando il significativo capitolo della fotografia umanista. Com’è facile intuire, la selezione degli argomenti e degli autori trattati è stata del tutto personale: quindi una scelta selettiva e parziale, che trascura inevitabilmente molti altri fenomeni del documentarismo che si sono manifestati nella seconda metà del ‘900.[1]
Come abbiamo visto, questo importante filone della fotografia del ‘900 si afferma a partire dagli anni ‘30, con un comune filo conduttore che può essere ben riassunto in questa frase: “il desiderio di vedere qualcosa riconosciuto come una realtà”[2]. Come ci segnala David Bate, questa aspirazione o volontà di raccontare in modo diretto (straight photography) il reale in tutte le sue manifestazioni “può includere approcci differenti, dove la verità è valutata in termini di interpretazione e rappresentazione”.
In effetti, seguendo il suo ragionamento, possiamo riconoscere all’interno del genere documentario la presenza di due tendenze diverse che si relazionano con il reale in modo oggettivo oppure soggettivo.[3]
A grandi linee, avremo un tipo di fotografia oggettiva o descrittiva che tende a porre un filtro tra fotografo e soggetto, cercando di mantenersi in una posizione neutrale senza farsi coinvolgere all’interno della scena ripresa. Questo tipo di fotografia è comune ad autori che abbiamo già conosciuto nelle precedenti puntate e che si esprimono con modalità espressive diverse: ci riferiamo a fotografi come Albert Renger-Patzsch o August Sander, oppure ai fotografi del Gruppo f/64.
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1-Cartier-Bresson, foto da Images à la Sauvette 1952, “il libro” per eccellenza secondo Federico Scianna
Diversamente, la fotografia soggettiva o espressiva non pone barriere tra il fotografo e il soggetto, anzi vuole entrare dentro le cose che desidera raccontare, cercando di coinvolgere lo spettatore nella narrazione, pubblica o privata che sia. In questo filone molto variegato possiamo riconoscere le esperienze del documentario sociale (in particolare quella della Farm Security Administration) e più in generale quelle del fotogiornalismo – da Robert Capa, il più famoso fotoreporter di guerra, alla Bourke-Withe -, sino ad abbracciare la stagione d’oro della fotografia umanista che si afferma come “la tendenza dominante del documentario postbellico”[4].
A conclusione di questo breve riepilogo, segnaliamo che sul sito di Fotopadova è presente un contributo in due puntate di Guillaume Blanc, La storia della fotografia documentaria, tradotto e pubblicato da Gustavo Millozzi (a cui dedichiamo questo articolo). Una sua consultazione potrà essere utile per inquadrare l’argomento in una prospettiva temporale più allargata, che non solo riassume la storia del documentarismo sviluppatosi nel corso del ‘900, ma va anche alla ricerca dei precursori e di tutti quei fenomeni ragruppabili sotto l’etichetta di “documento”, che rappresenta fatti o persone reali oppure descrive avvenimenti storici.[5]
La fotografia umanista
“L'oggetto della fotografia è l'uomo, l'uomo e la sua vita breve, fragile, minacciata”.
La frase di Henri Cartier-Bresson, registrata in un’intervista del 1951 viene generalmente considerata da molti studiosi un modo per definire “la fotografia umanista”.[6]
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2-Innamorati per le vie di Parigi, foto di Doisneau, Boubat e Izis.
In realtà, questo filone della fotografia soggettiva/espressiva, nasce all’interno del milieu fotografico francese degli anni ’30, dove un nutrito gruppo di fotografi condivide un comune interesse per l’uomo e le sue vicende di vita quotidiana. Particolarmente attenti alla vita della città, ci restituiscono “le figure di un’umanità autentica e sincera: uomini semplici, lavoratori e le loro famiglie di ceti modesti, bambini ricchi della loro innocenza e spontaneità solitaria, o coppie di innamorati rese migliori dalla forza dei loro sentimenti”.[7]
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3-Brassaï, Paris de nuit, libro sulla vita notturna parigina.
La maggior parte dei fotografi umanisti condivide la professione di “reporter-illustratore”, ma ciò non toglie che molti di loro raggiungano lo status di fotografi-autori, grazie all’editoria che costituisce la parte più gratificante del loro lavoro. Valga per tutti il famoso libro fotografico Paris de nuit (1933) del fotografo ungherese Brassaï, che si stabilisce a Parigi nel 1924 dove frequenta l’ambiente surrealista e conosce Picasso. Dopo la seconda guerra mondiale “le flaneur des nuit de Paris” si trasformerà in un “globe-trotter”, grazie a una lunga e fruttuosa collaborazione con Harper’s Bazaar.[8]
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4-Foto di bambini di Doisneau, Ronis, Izis e Boubat
Assieme a lui, ricordiamo i quattro più importanti rappresentanti della fotografia umanista francese: Robert Doisneau, Willy Ronis, Izis e Édouard Boubat che hanno in comune un grande amore per la città di Parigi e per le sue strade che diventano la principale scenografia dei loro scatti. Soprattutto a partire dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, trasmettono al mondo “une certaine idée de la France”, attratti da quanto c’è di incanto o di mistero nei fatti quotidiani oppure alla ricerca di temi cari ad altre arti quali le canzoni, il cinema, la poesia e la letteratura.[9]
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5-Doisneau  Au Pont des Art 1953, Un regard oblique 1948
Ma per il pubblico restano due gli indiscussi protagonisti di quella stagione d’oro della fotografia: da un lato Robert Doisneau, con la sua visione del mondo romantica e compassionevole e il suo sguardo attento a cogliere lo spettacolo permanente della vita quotidiana, che trasforma le anonime persone della strada in attori naturali della commedia umana, trasfigurandoli spesso in figure fantastiche e oniriche [10]; dall’altro, Henri Cartier-Bresson, che nei diversi periodi della sua vita è sempre riuscito a rinnovare il suo sguardo sul mondo, tanto da essere definito l’occhio del secolo e considerato il massimo interprete del cosiddetto “realismo espressivo”, che si contraddistingue per la capacità di saper individuare e cogliere dentro il flusso ininterrotto del tempo l’istante decisivo.[11]
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6- Cartier-Bresson, Hyères 1932, Ivry sur Seine 1955
Il movimento umanista inizia ad avere un certo seguito anche al di fuori della Francia a partire dagli anni ’50, come reazione al terribile dramma della seconda guerra mondiale, con la volontà di affermarsi nel resto del mondo come linguaggio universale accessibile a tutti.
Il movimento raggiunge il suo apice con la Mostra The Family of Man - organizzata da Edward Steichen al Museum of Modern Art di New York nel 1955 - che assume una risonanza planetaria, grazie ai suoi messaggi di fratellanza universale e di dignità dell’uomo, di speranza e di condivisione di un medesimo destino. È un progetto grandioso, costituito da 503 fotografie provenienti da 68 paesi diversi, che diventa la più grande manifestazione nella storia della fotografia e che verrà esposta negli anni successivi in molte parti del mondo.
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7- The family of man, 1955
Alle fotografie di grandi autori come Ansel Adams, Henri Cartier-Bresson, Robert Doisneau, Édouard Boubat, Robert Capa, David Seymour, Bill Brandt, Elliott Erwitt, Eugene Smith, Robert Frank, August Sander, Sabine Waiss, Margaret Bourke-White, Richard Avedon, Garry Winogrand, si affiancano immagini di fotografi meno noti, mentre altre fotografie di Dorothea Lange e Russel Lee provengono dall’ archivio della Farm Security Administration, realizzato negli anni della Grande Depressione statunitense.
Come abbiamo già detto nell’introduzione, il movimento umanista diventa la principale espressione della fotografia a livello mondiale a cavallo degli anni ’50 e ’60, ma verrà ricordato anche come uno dei periodi più caratterizzanti della fotografia francese, che dagli anni ’30 fino agli anni ’60 ha avuto il suo centro indiscusso nella metropoli parigina.
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8- The family of man, 1955
Gli anni del secondo dopoguerra sono caratterizzati da importanti trasformazioni politiche, sociali e culturali, dove il generale benessere dell’occidente, sostenuto dal boom economico, convive con “la guerra fredda” e il rischio nucleare. Ma già negli anni ’60 iniziano a manifestarsi fenomeni di crisi, alimentati anche dalla contestazione dei tradizionali valori borghesi da parte delle giovani generazioni in nome di una nuova ideologia libertaria: contestazione che raggiunge l’apice nel 1968, che verrà ricordato come l’anno delle grandi manifestazioni di piazza e degli scioperi dentro le fabbriche e le università. 
Nello stesso tempo, con l’affermarsi del pensiero liberale e il propagarsi di nuove forme di consumismo, al di là dell’oceano gli Stati Uniti acquisiscono progressivamente un ruolo egemone a livello mondiale, diventando la principale forza trainante dell’economia di mercato, che porterà a radicali cambiamenti anche in ambito culturale.
In particolare nel campo delle arti visive, assisteremo a un grande sviluppo dell’arte e della fotografia americana - inizialmente influenzate da quella europea - che nel corso del tempo si imporranno autonomamente a livello internazionale. Con lo sviluppo dell’Espressionismo astratto (in particolare l’Action painting di Jackson Pollock) e con l’affermarsi di una particolare forma di street photography tipicamente americana, si aprirà una nuova stagione per le arti visive caratterizzata da una radicale trasformazione dei linguaggi, che segnerà una forte discontinuità con il passato.
Anche il mondo della fotografia a cavallo fra gi anni ’50 e ’60 dovrà affrontare una vera e propria “rivoluzione visiva” attuata da Robert Frank con il suo libro The Americans: dalla critica Frank verrà considerato come l’anticipatore di un nuovo linguaggio che sovverte radicalmente i paradigmi che hanno contraddistinto l’estetica e le più tradizionali forme espressive della fotografia umanista, un linguaggio “informale” che ancor oggi possiamo riconoscere in molte manifestazioni della fotografia contemporanea.[12]
---- [1] Ci riferiamo in particolare a quanto già scritto in un mio precedente articolo pubblicato il 18 giugno 2021: I territori del “fotografico”: pittorialismo, documentarismo, concettualismo. Documentarismo va inteso nello specifico significato che gli attribuisce David Bate nel suo libro La fotografia d’arte, (Einaudi, 2018). Bate prova a reinterpretare il mondo della fotografia, della sua storia e dei suoi autori attraverso tre categorie del fotografico - pittorialismo, documentarismo e concettualismo -, entro le quali circoscrivere i diversi comportamenti della fotografia, così come si sono evoluti a partire dalle origini sino ai giorni nostri: comportamenti che di volta in volta hanno assunto proprie specificità linguistiche e poetiche e che, a mio avviso, in alcuni casi hanno avuto modo di contaminarsi o ibridarsi, soprattutto nella più recente fase della contemporaneità.
[2] David Bate, Photography. The Key Concepts, 2016, Trad. it. Il primo libro di fotografia, Einaudi, 2017, p. 89. 
[3] Bate, op. cit. p. 83.
[4] Bate, op. cit. p. 68.
[5] Gli articoli sono stati pubblicati rispettivamente il 10 dicembre 2022 e il 23 gennaio 2023. Il testo originale è consultabile al seguente indirizzo: https://www.blind-magazine.com .
[6]Ricordiamo che sul sito di Fotopadova ci sono diversi articoli che trattano della fotografia umanista, articoli rintracciabili con una ricerca dal menu collocato in alto a sinistra: Edouard Boubat, sguardo di velluto di Marie d'Harcourt, da: https://www.blind-magazine.com/news/edouard-boubat-a-velvet-gaze/ (trad. Gustavo Millozzi); Henri Cartier-Bresson: “Non ci sono forse - vivere e guardare”, da https://lens.blogs.nytimes.com/ (trad. Gustavo Millozzi); Adolfo Kaminsky: la Parigi “umanista” e popolare (seconda parte) di Lorenzo Ranzato; Templi, Santuari, Cappelle e capitelli della Fotografia: 2, Casa dei Tre Oci a Venezia:“Esposizione” di WillY Ronis, di Carlo Maccà; Sabine Weiss, ultima fotografa umanista, di Gustavo Millozzi.
[7] Si veda: La photographie humaniste sul sito del Ministero della Cultura francese-Biblioteca nazionale di Francia: https://histoiredesarts.culture.gouv.fr/Toutes-les-ressources/Bibliotheque-nationale-de-France-BnF/La-photographie-humaniste-1945-1968.
[8] Brassaï, Photo Poche n. 28, 2009, con introduzione di Roger Grenier e un’ampia bibliografia alla fine. La collezione di questi agili ed economici libretti tascabili, pubblicati dal Centre national de la photographie, presenta un vastissimo catalogo di fotografi con più di 150 titoli.
[9] La photographie humaniste, cit. Segnaliamo anche il libro La photographie humaniste, 1945-1968: Autour d'Izis, Boubat, Brassaï, Doisneau, Ronis..., Catalogo della Mostra omonima, a cura di Laure Beaumont-Maillet e Françoise Denoyelle, con la collaborazione di Dominique Versavel, ed. Biblioteque Nationale de France, 2006
[10] Fra i molti libri si veda il recente: Robert Doisneau, Catalogo della Mostra a cura di Gabriel Bauret, Rovigo 23 settembre 2021-30 gennaio 2022, Silvana Editoriale 2021.
[11] Fra l’immensa bibliografia consigliamo la lettura del libro tascabile: Henri Cartier-Bresson, Gallimard 2008, con testi di Clément Chéroux, storico della fotografia e conservatore per la fotografia al Centro Pompidou. Alla fine, oltre ad un’ampia bibliografia, sono riportati alcuni testi e aforismi di HCB. Ricordiamo una delle sue celebri frasi: “Scattare una fotografia significa riconoscere, simultaneamente e in una frazione di secondo‚ sia il fatto stesso sia la rigorosa organizzazione delle forme visivamente percepite che gli conferiscono significato. È mettere testa, occhio e cuore sullo stesso asse”.
[12] Per un approfondimento si rinvia a: Claudio Marra, Fotografia e pittura nel Novecento (e oltre), Mondadori, 2012. Particolarmente interessanti i capitoli: Sull’onda dell’informale e La grande armata delle avanguardie che racconta il rapporto fra mezzo fotografico e i nuovi fenomeni artistici della Body Art, Narrative Art e Conceptual Art che si affermano nel corso degli anni ’70.
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principessa-6 · 10 months
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LA DONNA FELINO
Il mondo femminile è molto variegato e ci sono molteplici modi per essere femminili. Ma un modo di esser donna e particolarmente affascinante è esser felina.
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fashionbooksmilano · 7 months
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Pietro Consagra
Scultura in relazione Opere 1947-2004
Francesca Pola
SivanaEditoriale, Cinisello Balsamo 2022, 216 pagine, 24,5x30,4cm, 115 ill., Italiano, Inglese, ISBN 9788836651603
euro 39,00
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Il volume ripercorre la ricchezza inventiva di Pietro Consagra (Mazara del Vallo, 1920 – Milano, 2005), una delle figure più significative del panorama artistico internazionale del XX secolo, e propone un confronto tra diversi momenti del percorso creativo dell’artista, permettendo così di sottolineare sia gli elementi di continuità nella sua opera, ma anche e soprattutto le specificità dei singoli periodi, offrendo un panorama variegato delle sue continue reinvenzioni delle forme e delle sue sperimentazioni di materiali. Francesca Pola individua il percorso di Consagra non in senso puramente cronologico, quanto piuttosto secondo una chiave di lettura che evidenzia l’importanza dei rapporti tra scultura, spazio, osservatore: un’attenzione specifica alla “ubicazione” della presenza plastica in relazione all’osservante, fulcro della caratteristica “scultura frontale” codificata da Consagra a partire dai suoi celebri Colloqui dei primi anni Cinquanta e contestualmente teorizzata già dal suo libro Necessità della scultura (1952).
02/03/24
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