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#Beppe Sebaste
paoloroversi · 4 months
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L'anteprima a Milano del romanzo Una morte onorevole (VIDEO)
Il 27 maggio a Milano si è tenuta in anteprima rispetto all'uscita del 28, la presentazione del mio romanzo "Una morte onorevole" (Mondadori). Insieme a me, nella bellissima cornice della Scatola Lilla di Milano c'era Beppe Sebaste. Ecco com'è andata!
Una settimana esatta. Il 27 maggio a Milano si è tenuta in anteprima rispetto all’uscita del 28, la presentazione del mio romanzo “Una morte onorevole” (Mondadori). Insieme a me, nella bellissima cornice della Scatola Lilla di Milano c’era Beppe Sebaste. Ecco com’è andata! Buona visione!
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mayolfederico · 1 year
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Joe Bousquet ~ Fumarola
Joë Bousquet   L’illusione è sacra: essa nega ciò che siamo senza intaccare l’essere; solleva la nostra persona e, senza per niente idealizzarla, le presta la leggerezza di un’idea     FUMAROLA       L’AMORE nello specchio che affascina gli astri POVERA fumarola SI preferisce credere di aver sognato il tuo destinoe che nessuno conosca sognopiù esattamente significativodi una…
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marcogiovenale · 2 years
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video della presentazione di "aelia laelia", di silvia bordini. ieri, 29 settembre, da empiria
video della presentazione di “aelia laelia”, di silvia bordini. ieri, 29 settembre, da empiria
video di Dino Ignani, che qui si ringrazia.
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lamilanomagazine · 2 years
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Beppe Sebaste vince il premio Wondy per la letteratura resiliente nella sua VI edizione col romanzo "Una vita dolce" (Neri Pozza)
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Beppe Sebaste vince il premio Wondy per la letteratura resiliente nella sua VI edizione col romanzo "Una vita dolce" (Neri Pozza). È Beppe Sebaste con il romanzo “Una vita dolce” (Neri Pozza), il vincitore della sesta edizione del Premio Wondy di letteratura resiliente, annunciato ieri sera al Teatro Manzoni di Milano nel corso della tradizionale serata di festa tra parole e musica che accompagna la premiazione, presentata da Drusilla Foer e Alessandra Tedesco, con la partecipazione di numerosi ospiti illustri tra i quali: Levante, la pianista Giuseppina Torre, Valerio Aprea, Francesca Cavallin, Fiammetta Cicogna, Vinicio Marchioni, Vittoria Puccini e Alessandro Roia. Paola Cereda con il libro "La figlia del ferro" (Giulio Perrone Editore) è invece la vincitrice decretata dalla giuria popolare. È stata inoltre assegnata una menzione speciale alla fumettista italiana Icaro Tuttle per il graphic novel “La cura – Storia di tutti i miei tagli” (BeccoGiallo). La Giuria Tecnica, presieduta da Umberto Ambrosoli e composta da Stefania Auci, Federica Bertoni, Alessandra Casella, Fabio Genovesi, Luca Dini, Francesca Mannocchi, Gaia Manzini, Emanuele Nenna e Gianni Turchetta, si è così espressa nella motivazione: “Fin dal titolo del libro, la “dolcezza” è una dichiarazione programmatica di resilienza: la “vita dolce” è infatti proprio una vita che si scontra ogni giorno con la realtà dolorosa di una malattia terribile. Eppure, è una vita che a ogni istante viene vissuta con incrollabile tenerezza, e persino con ironia. Una vita dolce racconta l’Alzheimer di S., la compagna del narratore: “Io e S. ridiamo e piangiamo molto”, scrive Sebaste; ma “ridere è una sfaccettatura della perdita”. Ridono, ma anche cantano e ballano, creando una sorprendente “Zona Temporaneamente Liberata”. La privatissima esperienza raccontata riguarda in realtà tutti, e dà luogo a una serie inesauribile di rivelazioni, in un confronto permanente con il sacro e la verità: perché è la stessa malattia a dare rilievo all’assolutezza del “qui e ora”, a quell’“adesso che è sempre” e che illumina “l’eternità come simultaneità”. "Ricchissimo sul piano intellettuale, il libro è anche sempre carico di poesia: a cominciare dal quotidiano scambio di haiku fra il narratore e S., nella lotta contro il progressivo disintegrarsi della memoria. Alla storia principale si intrecciano poi altre storie: come quella della relazione con l’altra compagna di vita del narratore, la geniale artista Cathy Josefowitz. Dentro la cornice narrativa, Una vita dolce accoglie materiali diversissimi: ricordi; citazioni; meditazioni; aforismi. Questo densissimo Zibaldone è anche una riflessione sul senso della scrittura: “Tutta la letteratura è un esercizio di resistenza e liberazione dalle illusioni”. Grazie a Sebaste, ora lo sappiamo meglio: l’atto stesso di scrivere è una forma di resilienza.” Le altre opere finaliste erano: “La bambina sputafuoco” di Giulia Binando Melis (Garzanti), “La figlia del ferro” di Paola Cereda (Giulio Perrone Editore), “Tuamore” di Crocifisso Dentello (La Nave di Teseo), “Sarà solo la fine del mondo” di Liv Ferrachiati (Marsilio), e “Trema la notte” di Nadia Terranova (Einaudi). Al vincitore va un premio di 5000 euro e un'opera su tela dell'artista Luca Tridente, le cui opere donate nelle scorse edizioni sono state inserite nel Catalogo dell'arte moderna (Editoriale Giorgio Mondadori), considerato un punto di riferimento per l'arte moderna e contemporanea. Un premio di 2000 euro è stato invece assegnato alla vincitrice della giuria popolare. Prima della serata è stato organizzato un momento dedicato a giurati e finalisti in collaborazione con PizzaAut, il primo locale in Italia gestito da ragazzi con autismo, fondato da Nico Acampora. Il progetto nasce come laboratorio di inclusione sociale e, grazie anche all’amicizia del fondatore cresciuta negli anni col presidente dell’Associazione Wondy Sono io Alessandro Milan, ha portato al Teatro Manzoni le Gourmaut, pizze realizzate sul momento e servite dai ragazzi di PizzaAut. La sesta edizione del Premio Wondy è organizzata dall’associazione “Wondy Sono Io”, quest’anno in collaborazione con il settimanale F, con i Main Sponsor Banco BPM, Cassa Depositi e Prestiti (CDP), Community, Mindful Capital Partners (MCP), Tendercapital e gli Sponsor Tecnici Collistar, Lions Club International, MASI, PHYTO-L’energia della natura, PizzaAut, Planetaria Hotels e Yamaha.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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letteratitudine · 2 years
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PREMIO WONDY PER LA LETTERATURA RESILIENTE VI EDIZIONE: VINCE BEPPE SEBASTE CON IL ROMANZO UNA VITA DOLCE (NERI POZZA)
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giuliomozzi · 5 years
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Note di lettura: “Il postino di Mozzi” di Fernando Guglielmo Castanar. A queste Note di lettura non può proprio mancare Il postino di Mozzi (Arkadia editore…
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culturame · 7 years
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Girolamo Ciulla alla Galleria Susanna Orlando
Girolamo Ciulla alla Galleria Susanna Orlando
La scimmia e il coccodrillo, l’ariete e la civetta, l’asino e la gallina. E l’artista. Non c’è gerarchia, ma dialogo e comunanza tra i soggetti ritratti da Girolamo Ciulla negli ampi disegni che compongono il percorso di “L’artista e altri animali”, la mostra che, il 20 maggio, apre la stagione 2017 della Galleria Susanna Orlando di Pietrasanta. Siciliano con forti radici nella sua terra, Ciulla…
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paoloxl · 6 years
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della Redazione di Carmilla
Un intero libro contro Carmilla! (1) Accidenti, che onore! Noi, secondo l’autore (il dottor Giuseppe Cruciani, titolare della rubrica La Zanzara su Radio 24, collaboratore di Panorama e di La 7), saremmo una lobby di inaudita potenza, capace di mobilitare fior di intellettuali di destra e di sinistra (da Erri De Luca a Tiziano Scarpa a Marco Müller, da Bernard Henri-Lévy a Philippe Sollers a Gabriel Garcîa-Márquez) in giro per il mondo. Il tutto a partire dalla “lista della vergogna”, cioè dalla nostra raccolta di firme (del 2004) a sostegno di Cesare Battisti.  Uno spietato assassino responsabile di tre, anzi quattro delitti trent’anni fa, oggi titolare di una vita agiata in una prigione brasiliana. Come mai, disponendo di simile potere, lo avremmo usato non per cause più illustri (tipo la verità su Piazza Fontana, la riapertura dell’inchiesta sulla morte di Pinelli, ecc.), bensì per appoggiare un oscuro portinaio della Rue Bleue, scrittore di romanzi in edizione economica, quasi sconosciuto in Italia? Come mai attorno a un criminale latitante si è mossa una fetta così consistente di “culturame”? Siamo grati al dottor Cruciani per avercelo spiegato. Il “culturame” in questione (i nomi sono centinaia, inclusi il mite Beppe Sebaste o il moderato Sandro Provvisionato, conduttore Mediaset) vive accanto al caminetto nostalgie e fantasie feroci, ai limiti dell’onirismo, degli anni Settanta e Ottanta. Si illude che esista ancora un mondo in cui lo scontro sociale non è mera formula, in cui la stratificazione in classi sussista intatta, in cui poteri incontrollabili politico-economico-criminali pratichino l’arbitrio ed esercitino una selezione per censo. Il dottor Cruciani, saggiamente, censura tale atteggiamento disfattista e antistatuale, che non prende atto di come va il mondo.  Lo chiama “disprezzo per lo Stato”, accusa chi lo coltiva di istinti “psicotici”. Ha ragione. C’era da affidarsi a occhi bendati a una “democrazia” che non era che una sequela di prepotenze palesi e occulte. Collusioni tra Stato e mafia, stragi protette o istigate da segmenti degli apparati di difesa, condizionamenti internazionali, corruzione a ogni livello. Più tardi si è saputo dell’esistenza di Stay Behind (Gladio) e della P2. Ancora più tardi l’intera classe politica del periodo postbellico è sparita dalle scene: chi in prigione, chi in esilio, chi in un sordido riciclaggio sotto nuove sigle. Ma il dottor Cruciani ci spiega che quella — definita nell’ ’88 “lo Stato del ricatto”,  da un noto eversore quale Gherardo Colombo – era una democrazia perfetta, quanto l’attuale. Ha senz’altro ragione. Invece ha torto marcio chi dice che, a quel tempo, qualcosa non andava, e non va tuttora.
Specialmente per quanto riguarda i processi per terrorismo vero o supposto della fine degli anni Settanta e dei primi anni Ottanta. Non quelli alle BR, che fanno storia a sé, ma quelli intitolati Torregiani, Tobagi, 7 Aprile. Maratone giudiziarie in cui, spesso, chi aveva commesso i crimini peggiori se la cavava con pochi anni di prigione, grazie al pentimento o alla dissociazione, oppure non veniva neppure indagato (vedi il caso Tobagi); mentre chi cadeva sotto i colpi del pentitismo si trovava sottoposto a pene smisurate. Il dottor Cruciani omette di soffermarvisi, ma avrebbe dovuto iscrivere nei ranghi del sovversivismo anche Amnesty International, che per due volte richiamò l’Italia per via dei suoi processi “d’emergenza”, anche in rapporto al caso Torregiani; il giurista Italo Mereu, che in un saggio famoso più volte ristampato, Storia dell’intolleranza in Europa (Bompiani), mise a confronto le procedure emergenziali italiane con quelle dell’Inquisizione (Cruciani: “Come si fa a discutere seriamente con chi sostiene per esempio che il reato di ‘concorso morale’ in omicidio sia ispirato direttamente alle procedure dell’Inquisizione?”, p. 143); magistrati democratici, come Amedeo Santosuosso, che si ribellarono al tipo di legislazione che dovevano imporre, e pagarono il loro gesto con ostacoli alla carriera. Invece il dottor Cruciani santifica opportunamente la figura del pentito (“lo strumento dei pentiti, comunque lo si voglia giudicare, si rivelò fondamentale”, p. 142), di cui resta esponente emblematico Carlo Fioroni. Il quale, probabilmente, disse un sacco di balle (vedi qui), ma sicuramente lo fece a fin di bene.
Circa un quarto del libro del dottor Cruciani è dedicato a invettive moralistiche largamente condivisibili contro gli intellettualoidi che dimenticano la pietà umana (sentimento che lo stesso Cruciani non pare estendere alle recenti vittime della Freedom Flotilla) in nome della rivoluzione da farsi in salotto, raggruppati attorno al serial killer Cesare Battisti. Quegli intellettuali sono finalmente denunciati uno per uno e inchiodati alle loro pazzesche responsabilità. E’ vero che, ogni volta che cita qualcuno di quegli scrittori, poeti, cineasti, il dottor Cruciani pare avere attinto, per le notizie biografiche, da Wikipedia; è vero che suona un po’ sconcertante udire definire Erri De Luca un “bestsellerista, cioè uno che vende centinaia di migliaia di copie” (p. 71), quasi fosse Fabio Volo o Federico Moccia; è vero che colpisce trovare Massimo Carlotto inchiodato, ancora una volta, a un ipotetico delitto in cui ormai non crede più nessuno. Ma non si può pretendere che il dottor Cruciani, preso dalle sue attività radiofoniche e adesso anche investigative, legga dei libri. Terminato il suo excursus enciclopedico, attraverso vari paesi europei e due continenti (tanti sono i sostenitori-fiancheggiatori di Battisti nel mondo), Cruciani termina enunciando un’amara verità: “Se andiamo a guardare bene, sono gli stessi nomi, gli stessi intellettuali che qualche anno più tardi avrebbero gridato allo scandalo per l’arresto in Svizzera del regista franco-polacco Roman Polanski” (p. 156). In verità, come Carmilla non ci siamo mai occupati di Polanski, però, chissà, potrebbe essere.
Provvisoriamente conclusa la sua requisitoria iniziale, il dottor Cruciani entra nel merito del caso Battisti. Avevamo sostenuto che contro Cesare Battisti esistevano solo le deposizioni di pentiti e dissociati. Cruciani ci smentisce clamorosamente e stabilisce la verità: contro Battisti esistevano solo le deposizioni di pentiti e dissociati. Più, va detto, voci raccolte da un paio di amanti tradite. Le quali ricevono un curioso trattamento. Se la testimonianza era a favore degli imputati, Cruciani cita un giudice secondo il quale, con la disinvoltura sessuale regnante negli anni Settanta, il tradimento non poteva essere movente per una confessione (p. 144); mentre lo ridiventa se la deposizione è a sfavore di Battisti. Il pentito principale si chiama Pietro Mutti. E’ vero che tante volte si contraddice, ritratta, modifica. Il dottor Cruciani, con esemplare onestà, si guarda dal negarlo. Anzi, con felice intuito, giudica tale circostanza un sostegno alla verità. (“D’altronde anche i pentiti, così massacrati dai terroristi di tutto il mondo, sono esseri umani. Dunque gli errori di memoria, invece di squalificare definitivamente una persona, potrebbero persino essere indice di sincerità”, p. 126). Con simile premessa, il piatto è servito, e vale — a ben vedere — per tutti i pentiti della Storia.
Successivamente, il dottor Cruciani si addentra nella ricostruzione della trista epopea di Cesare Battisti, a partire dal delitto Torregiani, ma non prima di averci inchiodato allo sporco trucco da noi escogitato, evocato fin dalle prime pagine del libro e richiamato infinite volte in seguito. Quale trucco? Avere detto che Cesare Battisti non aveva potuto essere l’esecutore materiale dell’omicidio Torregiani e di quello Sabbadin, avvenuti lo stesso giorno quasi alla stessa ora, l’uno a Milano e l’altro nei dintorni di Udine. Cruciani ci accusa non a torto di fare il gioco delle tre carte, visto che nel caso Torregiani Battisti fu individuato quale organizzatore e nel caso Sabbadin quale esecutore. Il dottor Cruciani, che non ha tempo per leggere, non ha notato una nostra risposta recente a un suo collega di Panorama, Giacomo Amadori: “Amadori sembra ignorare che, ormai da quattro anni a questa parte, e anche in questi giorni, tutti i media che contano, in Italia, in Francia e adesso in Brasile, seguitano a presentare Battisti come l’uccisore materiale di Pierluigi Torregiani e il feritore del figlio Alberto. Incluso lo stesso Panorama, il settimanale su cui scrive Amadori, in un articolo di Giuliano Ferrara del 15 marzo 2004 (si veda qui; ma si dia un’occhiata anche alle puntate successive, qui e qui). (…) Chi conosce la verità non può che replicare che Battisti non può avere assassinato due persone contemporaneamente, a Milano e in un paesino del Veneto, alla stessa ora.” Ma il dottor Cruciani non deve scusarsi, anzi. La logica di un instant book è quella che è, e l’autore non è certo tenuto a documentarsi su tutto. Ci attribuisce ogni nequizia e a noi non resta che chinare il capo, davanti all’indignazione dell’illustre moralista. Ciò che non abbiamo commesso avremmo potuto ben commetterlo, data la nostra connaturata bassezza.
Nelle sue dettagliate ricostruzioni storiche — “questa è storia”, annuncia a un certo punto, e si intuisce che gli sono rimasti nella penna la maiuscola e l’esclamativo — il dottor Cruciani dà rilievo a talune interpretazioni comunemente ritenute destituite di fondamento, e le allinea disinvoltamente alle altre per rafforzare i suoi assunti. Per esempio, cita una dichiarazione tardiva di Angelo Epaminonda, secondo il quale il rapinatore ucciso da Torregiani nel ristorante Transatlantico era un mafioso fatto giungere in aereo da Catania, al preciso scopo di derubare il gioielliere (pp. 53-54). Ora, suona un po’ improbabile che un delinquente intenzionato a svuotare una gioielleria vada a coglierne il titolare non in negozio, ma in un ristorante, e chieda di consegnare il portafoglio a lui e ad altri clienti. Il particolare inattendibile serve però alla causa generale di cui si fa banditore il dottor Cruciani, cioè dimostrare la meschinità di Battisti e compagni e, per traslazione, di chi difende il primo. Giustissimo. Se non il metodo, lo scopo.
Panorama, il settimanale che si onora della collaborazione del dottor Cruciani, ha opportunamente lodato l’ampia bibliografia che lo stesso Cruciani ha saputo raccogliere. Per essere precisi, non c’è nessuna bibliografia, ma, in nota, un bel po’ di articoli di giornale e alcuni atti giudiziari. Facciamo notare, incidentalmente, una piccola lacuna. Il dottor Cruciani si interroga, per diverse pagine, sui moventi dell’uccisione del direttore del carcere di Udine Santoro. Del dissociato Arrigo Cavallina conosce un libro solo, dal titolo singolare: La piccola tenda d’azzurro che i prigionieri chiamano cielo (ed Ares, 2005). Se avesse letto anche un altro libro del Cavallina, Distruggere il mostro (Librirossi, 1977), forse le ragioni dell’attentato gli sarebbero state più chiare. Perché ci soffermiamo su un dettaglio così insignificante? Perché i libri non letti (o letti ma non utilizzati?) dal dottor Cruciani sono un bel po’. Se avesse conosciuto La mappa perduta non avrebbe sbagliato per difetto il numero degli indagati per appartenenza ai Proletari Armati per il Comunismo, se avesse avuto tra le mani Le torture affiorate si sarebbe interrogato meno sulle violenze nel corso dell’istruttoria Torregiani (cui, a quanto pare, fu sottoposto persino Pietro Mutti, per sua stessa ammissione su… Panorama! 25 gennaio 2009, riquadro). I due libri sono stati pubblicati dalla casa editrice Sensibili alle Foglie nel 1994 — con riedizione ampliata nel 2006 — e nel 1998. Soprattutto, alla bibliografia inesistente del dottor Cruciani manca il romanzo di Cesare Battisti Le Cargo sentimental (Editions Losfeld, 2003). E ha fatto bene a ometterlo, perché altrimenti sarebbe stato difficile sostenere che Battisti non ha mai preso le distanze dalla lotta armata.
Non seguiremo il dottor Cruciani nelle ricostruzioni apparentemente puntigliose dei vari omicidi (tutte del tipo: il tale pentito ha sentito dire dal talaltro dissociato che…; oppure, l’ex amante di Battisti riferisce che lui le ha confidato…).  Questa nostra certo strumentale omissione deriva da un fatto: noi, come Carmilla, non abbiamo mai sostenuto, nemmeno nell’appello “della vergogna”, che Battisti sia innocente. Abbiamo posto in dubbio la dinamica di alcuni delitti che gli sono attribuiti, ma se lo abbiamo difeso è per ragioni che con l’innocenza non hanno nulla a che vedere.  Ne parleremo tra breve. Invece saltiamo direttamente al capitolo 7 sulle “incredibili menzogne” di cui saremmo responsabili, che il dottor Cruciani stigmatizza con furore radiofonicamente rodato. Ci stendiamo dunque noi stessi sul lettino operatorio, ormai tanto privi di voce da non osare nemmeno chiedere pietà. Vediamole, queste menzogne infami. Che poi, curiosamente, si riducono a una, o a una e mezza.
Il capitolo destinato a inchiodarci si apre con un assalto frontale alla casa editrice Derive Approdi, rea di avere pubblicato il libretto Il caso Cesare Battisti: quello che i media non dicono. Sono due pagine di insulti, ben corroborate dal fatto che tra i fondatori figura il famigerato Franco Berardi, detto Bifo. “Tanto per capirci, Berardi crede ancora nell’utopia di un mondo ideale, un luogo che non sia dominato dalle leggi capitalistiche di mercato e dove possa realizzarsi il motto ‘lavorare meno, lavorare tutti’” (p. 133). Mio Dio, che imbecille! (Bifo, naturalmente, non certo il dottor Cruciani). Seguono altre pagine di insulti contro Serge Quadruppani. Cruciani non sa nemmeno in questo caso chi sia, visto che lo presenta, tra l’altro, come collaboratore di Libération (un quotidiano che, per quanto ne sappiamo, Quadruppani detesta). Ma che importa? “Uccidili tutti, Dio poi farà la sua scelta”, diceva un pio vescovo, durante la crociata contro i catari. Infine veniamo noi.
Colpevoli, anzitutto, di avere equivocato i contenuti e sbagliato, nell’opuscolo Il caso Cesare Battisti, la datazione di una lettera al Corriere della Sera del sostituto procuratore Armando Spataro, da noi fissata al gennaio 2008. Quell’articolo esiste davvero, ci avvisa Cruciani, solo che fu pubblicato dal Corriere il 23 febbraio 2009. Ciò suona un po’ strano, visto che il nostro libretto fu finito di stampare proprio nel febbraio 2009, e consegnato due mesi prima. Che la svista sia invece dello Sherlock Holmes di Radio 24? Non sia mai. Come certi grandi criminali, tipo il dr. Mabuse, noi di Carmilla abbiamo doti paranormali e facoltà precognitive, e nemmeno ce ne rendiamo conto. Comunque quella lettera esiste. Sta qui. Spataro prima classifica Battisti tra gli “organizzatori”, poi chiede, retoricamente, se è giusto mandare libero chi ha “giustiziato” un macellaio e un gioielliere. Gioca ancora una volta sull’equivoco. Ma è colpa di Carmilla l’attribuire a un probo magistrato pessime intenzioni, e di ciò ci scusiamo.
Veniamo alla nostra “incredibile menzogna”. Abbiamo scritto, ne Il caso Cesare Battisti e nelle nostre FAQ, che Pietro Mutti incolpò Battisti del delitto Sabbadin, poi, messo alle strette dalla confessione di Diego Giacomin, ritrattò, ammise la sua partecipazione e declassò il ruolo di Battisti da esecutore a complice. In tutto l’opuscolo, è uno dei rari passi corredato da una nota, perché ci limitiamo a riportare qualcosa di scritto da altri (nello specifico, un brano di Fred Vargas). Ciò non impedisce al dottor Cruciani di rovesciare addosso a noi, e non alla fonte, la sua giusta ira. Come andarono veramente i fatti? Mutti apprese in un secondo tempo che all’omicidio di Sabbadin parteciparono  in due, Battisti e qualcun altro. Poi Giacomin, dissociato, confessò: era stato lui a sparare al macellaio. Non fece altri nomi. Una terza complice, condannata all’ergastolo e non menzionata da Mutti, vive oggi in Francia. Cavolo, correggeremo, la svista (probabilmente voluta) è di gravità inaudita.
La mezza svista, anch’essa voluta, è poi terribile. Abbiamo citato due brani in cui Pietro Mutti era stato costretto a ritrattare le sue deposizioni contro Battisti, di fronte all’evidenza dei fatti. Li riferivamo a una sentenza del 1993. Sherlock Cruciani si trasforma nel mastino dei Baskerville e ci azzanna subito: le nostre citazioni non erano degli inquirenti, ma dei difensori! Noi ci eravamo limitati a riportare un passaggio della memoria presentata dagli avvocati di Battisti alla Corte di Strasburgo. Abbiamo avuto il torto, questa volta, di non indicarlo in nota. Ma le circostanze indicate erano false? No, erano vere, e risultate in sede dibattimentale. Per questo classifichiamo la faccenda come “infame menzogna” a metà. Esistono altre nequizie che ci possano essere attribuite, nel capitolo destinato a crocefiggerci? No, il repertorio è esaurito.  Restano quelli che il volgo chiamerebbe “sproloqui”, e noi chiamiamo pensose riflessioni morali.
Due capitoli sono dedicati en passant alla campagna per Battisti in Francia (i molti difensori del terrorista sono denigrati, i pochi oppositori — come lo storico Pierre Milza, l’altro storico e autore di romanzi d’appendice Max Gallo, ecc. onorati con lunghe citazioni) e in Brasile. Terra di teste matte, per il dottor Cruciani. Dato che siamo un po’ stanchi di mulinare le braccia per difenderci, lo rinviamo a uno scritto di Luca Baiada apparso sulla rivista Il Ponte nel giugno 2009. Forse Tarso Genro non delirava, quando concesse l’asilo a Battisti. Dallo scritto di Baiada, il dottor Cruciani potrebbe capire come si scrive un saggio di peso e ben documentato, se mai avesse bisogno di consigli.
Per la stessa stanchezza rinunciamo a esporre i motivi che ci hanno spinto (noi Carmilla, non i firmatari della “lista della vergogna”) a difendere Battisti. Il dottor Cruciani può trovarli elencati in un articolo di giugno-settembre 2007 dello scrittore Walter G. Pozzi, direttore editoriale della rivista PaginaUno. Ripete nelle ultime righe la faccenda del delitto simultaneo, ma il resto dell’argomentazione la facciamo nostra. Almeno in questo caso Cruciani ci sarà grato. Gli abbiamo fornito un altro nome da inserire nella lista del “culturame” da eliminare.                  
Giunti al termine della rassegna, ci pare di poter dire, molto rispettosamente, al dottor Cruciani: “Va’, va’, povero untorello, non sarai tu quello che spianti Milano” (a uso dello stesso Cruciani, specifichiamo che trattasi di una citazione da I promessi sposi, di Alessandro Manzoni, noto scrittore ottocentesco lombardo, che ha una voce abbastanza ampia su Wikipedia). La prossima edizione del suo libro, se mai ce ne saranno, andrebbe rivista e un po’ snellita. Così com’è, somiglia a una versione logorroica di un articolo di Luca Telese (curatore della collana in cui è uscito il saggio del dottor Cruciani). Si arriva in fondo e si ha l’impressione di non avere letto  nulla.
(1) Giuseppe Cruciani, Gli amici del terrorista. Chi protegge Cesare Battisti?, Sperling & Kupfer, 2010, pp. 255, € 17,00.
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abatelunare · 7 years
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Devo ancora capire come le storie possano finire, o come facciano gli altri, a farle finire. Le mie potrebbero non finire mai. Per questo non posso scrivere un romanzo. Le storie che si leggono nei romanzi finiscono.
Beppe Sebaste
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ilquadernodelgiallo · 5 years
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Un artista lavora con le immagini, deve per forza usare quello che ha davanti, non può sottrarsi alla realtà... D'accordo, ma trovare estetico l'orrore è osceno. L'arte contemporanea ritaglia un pezzo da questo insieme, lo isola e lo estetizza: è lo stesso procedimento della pornografia. L'arte che rende estetico l'orrore è pornografia delle immagini, l'opera di un voyeur che mutila una parte di questo Corpo della Periferia, ne ricava un'installazione fighetta o un servizio su un femminile patinato e noi diciamo: bello! Ma l'artista cosa sta facendo, in realtà? Sta giustificando l'orrore nella fantasticheria e lo sta rivendendo a chi lo subisce nella realtà. Non sono d'accordo. La realtà è questa? E allora dobbiamo guardarla in faccia, starla a sentire: se un artista non prova a capire il presente, è morto... Lavorare da artisti sulle periferie: ma che vuol dire? Qui la pretesa del bello di fagocitare e digerire il brutto si dissolve rapidamente, la periferia attira verso il rovescio dell'estetica. Chi ha progettato questa insensata prigione? Era possibile immaginarla diversa? [...] Ma dove deportare gli ex abitanti del centro storico? Dove c'è spazio: nelle periferie. E cresce allora quella che si potrebbe chiamare la Periferia Totale e Integrata: un vasto sistema che lascia convivere la speculazione selvaggia e la pianificazione burocratica, l'illusione della casa-per-tutti e la realtà dei servizi-per-nessuno. Ma il Caos è in realtà un progetto, ed è sostenuto o accettato proprio da coloro che ne sono le prime vittime: a nord di Napoli la devastazione è benedetta dalla democrazia populista 'di sinistra', e si costruiscono orrori che generano atri orrori sotto la sirena dello slogan: Una casa per tutti! E chi può opporsi a una casa per tutti? Se uno provasse a spiegare la realtà, lo farebbero a pezzi loro per primi, i prigionieri dei condomini globali, i crocifissi delle Centosessantasette, i paria dei parchi di concentramento, gli illusi delle villette a schiena piegata. [...] Cosa può farne l'arte o la letteratura di questo, è molto dubbio: è il suo materiale, ma è un materiale che sarebbe ingiusto e vile trasformare in arte, in poesia, in bellezza. Vorrebbe dire redimerlo, e questo atto renderebbe impossibile per sempre il solo gesto forse sensato: dire e far vedere fino a che punto è arrivato qui il disumano. Ma come fare? L'oppio mediatico è sceso nelle coscienze dei periferici di tutto il mondo, disuniti e infelici nelle catene che non vogliono perdere, e li tiene in sua balia. Il tempo di vita dei periferici è occupato da un lavorare frammentato, insensato, parcellizzato, che li ottunde e lo tiene in un'ansia perpetua che gli impedisce di pensare e persino di vedere; e il benessere illusorio, che sempre rimanda a domani la felicità incerta in cambio della tristezza sicura di oggi, li tiene a cuccia quando avrebbero tempo per pensare e svegliarsi: e li spedisce nell'inganno turistico, lo spostarsi in luoghi che sono pianificati per fingere la diversità ma sono solo altre facce del periferico integrato e totale... [Napoli. Periferia totale di Giuseppe Montesano] _______________________ Gli inquilini della Barca forse non avevano una lira, ma possedevano una sapienza nel sistemare le cose, anche le più inutili, da fare invidia a un magazziniere. Era un ordine però, il loro, che stringeva il cuore: serviva a salvare il decoro, ma emanava un penoso senso di resa. [Bologna. In Barca di Emidio Clementi] _______________________ Ci sono non luoghi in cui migliaia di persone abitano, sognano, si svegliano, spesso non lavorano e non vanno a scuola, ovvero cercano con più disperazione di altri qualche ragione per vivere e alzarsi dal letto. Sono aree dominate da immensi parallelepipedi con finestre - e la fotografia di un paesaggio notturno in una banlieue parigina, con alcune finestre accese, è lugubre anche senza auto incendiate. Sono città artificiali in cui la rabbia di chi le abita, soprattutto i più giovani, non ha redenzione. Tor Fiscale è il contrario delle banlieues parigine. Qui i pochi rimasti vorrebbero continuare ad abitare, non fuggire per trovare di meglio. Qui hanno costruito, nei modi poveri in cui hanno potuto, non distrutto. Qui non si sogna una vita borghese fatta di comfort e status symbol. Forse anche l'uso di droghe ha una tonalità diversa. Qui non c'è volontà di potenza, fosse anche quella che ha origine dalla rivolta, ma possibilità di vita nonostante tutto. Se nelle banlieues ci si rivolta con rabbia contro la propria differenza, e si dirige la violenza contro le proprie case, cose e automobili, contro il proprio McDonald's, qui, dove non c'è ombra di McDonald's, ci si rifiuta di cambiare, non di restare. Quello che resta è quello che resiste. Ma non si vuole morire su una barricata, come i rivoluzionari di un tempo, perché sulle barricate qui si è capaci di viverci. [Roma. Sulle barricate di Tor Fiscale di Beppe Sebaste] _______________________ Chiacchierando tra noi salta fuori che la periferia Sud di Torino e i comuni della prima cintura sembrano luoghi dove si vive come in altre zone della città. Ma forse è l'idea stessa della periferia che è, almeno in parte, almeno a Torino, sorpassata. La nuova marginalità si è da tempo spostata nei palazzi costruiti al posto delle fabbriche abbandonate ad appena un paio di chilometri dal centro, o nelle viuzze intorno al centralissimo mercato di Porta Palazzo, meta di continue ondate d'immigrati extracomunitari, Oppure nella maestosa piazza Vittorio, nel cuore storico di Torino, Dove bande di pusher magrebini e acquirenti di ogni nazionalità si danno da fare alla luce del sole. Indisturbati. [Torino. La nuova periferia è in centro di Silvio Bernelli] _______________________ Sì, sì, naturalmente, rispondeva mia sorella. Nella sua scuola rubavano i motorini. Ma quando le chiedevo di descrivermi gli autori di queste imprese e le modalità del loro lavoro, lei rimaneva senza parole. Il furto dei motorini, come sospettavo, avevo detto a Giorgia, alla quale, se avessi avuto il coraggio, avrei anche preso le mani nelle mie, si era trasferito, per i nati dopo il 1980, su un piano puramente statistico. I motorini scomparivano: tutto qui. Un'entità nemica e senza volto faceva incetta di Booster, Free e X-Fight lasciando ai derubati la sensazione di un'ineluttabilità che, se da una parte li mortificava, dall'altra rafforzava inverosimilmente il crisma della loro appartenenza alla borghesia medio alta del mondo occidentale in generale e di quello barese in particolare. Ai ragazzi, insomma, era chiaro che una forza completamente sconosciuta e vagamente sottoproletaria (quando non vagamente sprovvista di permesso di soggiorno) li avrebbe periodicamente danneggiati al solo scopo di sancire la loro superiorità di abbienti, navigatori, consumatori di pallette e diplomandi. Più non si facevano un'idea di quella grigia armata di straccioni più si sentivano tenuti a disprezzarla, ad auspicare segretamente roghi e deportazioni. [...] Japigia era stata quasi completamente ripulita, aveva commentato pianamente mia sorella il giorno prima. Era un quartiere normale adesso. Gli spacciatori si erano nascosti. Nessuno ne sapeva niente. Vivevano a trenta metri sottoterra o in superattici ugualmente irraggiungibili. La roba aveva preso a circolare nelle scuole, negli uffici e nelle discoteche come smistata da una forza impersonale. Nessuno andava più da nessuna parte. Ai ragazzi, era sufficiente allungare duecento euro nel buio per ritrovarsi con cinque grammi di cocaina nelle tasche, senza naturalmente sapere chi ce li avesse messi. Anche in questo caso, avevo detto a Giorgia, la contrapposizione tra i due mondi era stata ingoiata da una gigantesca e pacificante simulazione in cui la droga, elemento stabilizzante tra mille altri elementi stabilizzanti, andava perdendo i propri spigoli, la propria natura di grimaldello sociale, il proprio struggente meraviglioso scandalo. [Bari. Dieci anni di Nicola Lagioia]
AA.VV. (a cura di Stefania Scateni), Periferie
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bloggiovannaiorio · 4 years
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quintilio · 7 years
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Beppe Sebaste, il Venerdì di Repubblica 17 Febbraio 2017
Un giorno, stavamo passeggiando in un paesino dell’Emilia, Luigi Ghirri fu salutato da un vecchio compagno di scuola che gli chiese cosa facesse nella vita. Il fotografo, rispose. Ah, e dove ce l’hai il negozio? Non ce l’ho. E allora dove le fai le foto? Mah, fuori, all’aperto, per strada, disse vago. Al che l’altro costernato lo guardò come se fosse un poveraccio.
L’aneddoto fa ridere perché il fotografo Ghirri è oggi giustamente celebrato come uno dei più grandi artisti della seconda metà del Novecento. Un maestro non solo del guardare il mondo, ma dell’abitare e dell’amore per i luoghi, anche quelli apparentemente più spenti e banali.
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marcogiovenale · 2 years
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oggi, 29 settembre, a roma, da empiria: "aelia laelia e i libri dimenticati", di silvia bordini
oggi, 29 settembre, a roma, da empiria: “aelia laelia e i libri dimenticati”, di silvia bordini
LIBRERIA EMPIRIA, via Baccina 79, Roma OGGI, giovedì 29 settembre alle ore 18:00 Fabio Ciriachi, Paolo Morelli e Franca Rovigatti presentano Aelia Laelia e i libri dimenticati di Silvia Bordini il comunicato stampa completo qui: AeliaLaelia_Empiria
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lamilanomagazine · 2 years
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Milano: sarà Drusilla Foer, attrice e performer, a condurre il Premio Wondy
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Milano: sarà Drusilla Foer, attrice e performer, a condurre il Premio Wondy. L’attrice e performer Drusilla Foer condurrà la serata finale della sesta edizione del Premio Wondy per la letteratura resiliente, organizzata dall’associazione “Wondy Sono Io” in collaborazione con Banco BPM, Tendercapital, Community e il settimanale F, accompagnata dalla giornalista Alessandra Tedesco. Lo spettacolo, che si terrà lunedì 13 marzo alle ore 20.45, nella cornice del Teatro Manzoni di Milano, si concluderà con la proclamazione del vincitore, tra i sei in gara: “La bambina sputafuoco” (Garzanti) di Giulia Binando Melis, “La figlia del ferro” (Giulio Perrone Editore) di Paola Cereda, “Tuamore” (La Nave di Teseo) di Crocifisso Dentello, “Sarà solo la fine del mondo” (Marsilio) di Liv Ferracchiati, “Una vita dolce” (Neri Pozza) di Beppe Sebaste, “Trema la notte” (Einaudi) di Nadia Terranova. Prima della serata verrà organizzato un momento dedicato a giurati e finalisti in collaborazione con PizzaAut, il primo locale in Italia gestito da ragazzi con autismo, fondato da Nico Acampora. Il progetto nasce come laboratorio di inclusione sociale e, grazie anche all’amicizia del fondatore cresciuta negli anni col presidente dell’Associazione Wondy Sono io Alessandro Milan, porterà al Teatro Manzoni le Gourmaut, pizze realizzate sul momento e servite dai ragazzi di PizzaAut. “La serata finale del Premio Wondy di quest’anno racchiude al suo interno due tematiche importantissime: la resilienza - che è il filo conduttore del Premio - e l’inclusione. La resilienza, che ritroviamo in diverse forme nelle splendide opere giunte sino alla finale di questa edizione, è un elemento fondamentale per affrontare la vita nelle sue complessità e difficoltà. È l’insegnamento che ci ha lasciato Francesca ed è il messaggio che vogliamo trasmettere attraverso la letteratura. Il secondo tema è l’inclusione che ci ricorda come tutti, nelle nostre peculiarità e fragilità, abbiamo uguali diritti e necessità ma anche quanto sia importante lottare per abbattere le barriere che ci separano da una società più inclusiva.”, ha commentato Alessandro Milan, Presidente dell’Associazione “Wondy sono io”. Drusilla Foer è un’icona progressista, alter ego dell’attore e regista di teatro Gianluca Gori, nonché portavoce di innumerevoli battaglie sociali sui temi del gender gap, dei diritti LGBTQ+ e dell’inclusività. Proprio a questo tema sarà dedicata la finale del Premio Wondy, in cui ci si soffermerà a riflettere sullo stato attuale dell’inclusione sociale attraverso esibizioni e letture.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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abatelunare · 7 years
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Mi piacciono le donne tristi, con loro mi viene sempre voglia di parlare.
Beppe Sebaste
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BlisterNews 16 novembre
Jacqueline Rush Lee è in grado di essiccare e trasformare libri e periodici in fossili trasformandoli in sculture. Paolo di Paolo discute degli autori dimenticati dai grandi editori. Scoperti dei testi inediti di Charlotte Brontë…
Clicca l’immagine e ascolta il notiziario di oggi.
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