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#Corpo Truppe Volontarie
carbone14 · 2 years
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Soldats italiens du Corps des Troupes Volontaires (CTV) – Bataille de Guadalajara – Guerre civile espagnole – Mars 1937
Photographe : Hans Georg von Studnitz
©Bundesarchiv - Bild 183-2006-1204-510
Le Corps des Troupes Volontaires (Corpo Truppe Volontarie) était le nom du corps expéditionnaire italien envoyé par Benito Mussolini en Espagne entre 1936 et 1939 pour soutenir le général Franco et les forces nationalistes durant la guerre d'Espagne.
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italianiinguerra · 1 month
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Medaglie d'Oro della Guerra di Spagna - Capomanipolo GIOVANNI VALENTINI - Monte Picones (Spagna),  14 agosto 1937
Nome e CognomeGiovanni ValentiniLuogo e data di nascitaModigliana (Forlì), 30 dicembre 1906Forza ArmataMilizia Volontaria per la Sicurezza NazionaleArmaFanteriaCorpoCorpo Truppe VolontarieReparto735º Battaglione CC.NN., inquadrato nel Corpo Truppe Volontarie.[3] Con il grado di capomanipolo assunse il comando di un plotone , inquadrata nella Unità2ª Divisione CC.NN. “Fiamme Nere”GradoCapomanipolo…
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abr · 5 months
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L'italico è furbo. Non intelligente, furbo; é diverso.
Pensa ad esempio che, nel 1917, ci fu un boom di adesioni volontarie al neo-costituito Corpo degli Arditi, le truppe destinate al primo assalto, quello più rischioso.
Genti ardimentose patriottiche sprezzanti del pericolo? Idealisti tipo kamikaze del Sol Levante? No: rancio, alloggi e vestiti migliori, disciplina più lasca, mesi di addestramento in retrovia lontani dalle trincee. E grappa in quantità industriale prima dell'assalto.
La furbizia è l'intelligenza a breve termine, quella di chi non pensa. Intanto ne usciamo subito, poi qualche Santo sarà.
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brookstonalmanac · 1 month
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Events 8.24 (after 1930)
Jews are forced to flee the city. 1931 – Resignation of the United Kingdom's Second Labour Government. Formation of the UK National Government. 1932 – Amelia Earhart becomes the first woman to fly across the United States non-stop (from Los Angeles to Newark, New Jersey). 1933 – The Crescent Limited train derails in Washington, D.C., after the bridge it is crossing is washed out by the 1933 Chesapeake–Potomac hurricane. 1936 – The Australian Antarctic Territory is created. 1937 – Spanish Civil War: the Basque Army surrenders to the Italian Corpo Truppe Volontarie following the Santoña Agreement. 1937 – Spanish Civil War: Sovereign Council of Asturias and León is proclaimed in Gijón. 1938 – Kweilin incident: A Japanese warplane shoots down the Kweilin, a Chinese civilian airliner, killing 14. It is the first recorded instance of a civilian airliner being shot down. 1941 – The Holocaust: Adolf Hitler orders the cessation of Nazi Germany's systematic T4 euthanasia program of the mentally ill and the handicapped due to protests, although killings continue for the remainder of the war. 1942 – World War II: The Battle of the Eastern Solomons. Japanese aircraft carrier Ryūjō is sunk, with the loss of seven officers and 113 crewmen. The US carrier USS Enterprise is heavily damaged. 1944 – World War II: Allied troops begin the attack on Paris. 1949 – The treaty creating the North Atlantic Treaty Organization goes into effect. 1950 – Edith Sampson becomes the first black U.S. delegate to the United Nations. 1951 – United Air Lines Flight 615 crashes near Decoto, California, killing 50 people. 1954 – The Communist Control Act goes into effect, outlawing the Communist Party in the United States. 1954 – Vice president João Café Filho takes office as president of Brazil, following the suicide of Getúlio Vargas. 1963 – Buddhist crisis: As a result of the Xá Lợi Pagoda raids, the US State Department cables the United States Embassy, Saigon to encourage Army of the Republic of Vietnam generals to launch a coup against President Ngô Đình Diệm if he did not remove his brother Ngô Đình Nhu. 1967 – Led by Abbie Hoffman, the Youth International Party temporarily disrupts trading at the New York Stock Exchange by throwing dollar bills from the viewing gallery, causing trading to cease as brokers scramble to grab them. 1970 – Vietnam War protesters bomb Sterling Hall at the University of Wisconsin–Madison, leading to an international manhunt for the perpetrators. 1981 – Mark David Chapman is sentenced to 20 years to life in prison for murdering John Lennon. 1989 – Colombian drug barons declare "total war" on the Colombian government. 1989 – Tadeusz Mazowiecki is chosen as the first non-communist prime minister in Central and Eastern Europe. 1991 – Mikhail Gorbachev resigns as head of the Communist Party of the Soviet Union. 1991 – Ukraine declares itself independent from the Soviet Union. 1992 – Hurricane Andrew makes landfall in Homestead, Florida as a Category 5 hurricane, causing up to $25 billion (1992 USD) in damages. 1995 – Microsoft Windows 95 was released to the public in North America. 1998 – First radio-frequency identification (RFID) human implantation tested in the United Kingdom. 2001 – Air Transat Flight 236 loses all engine power over the Atlantic Ocean, forcing the pilots to conduct an emergency landing in the Azores. 2004 – Ninety passengers die after two airliners explode after flying out of Domodedovo International Airport, near Moscow. The explosions are caused by suicide bombers from Chechnya. 2006 – The International Astronomical Union (IAU) redefines the term "planet" such that Pluto is now considered a dwarf planet. 2016 – An earthquake strikes Central Italy with a magnitude of 6.2, 2016 – Proxima Centauri b, the closest exoplanet to Earth, is discovered by the European Southern Observatory. 2017 – The National Space Agency of Taiwan successfully launches the observation satellite Formosat-5 into space.
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LE "NOYADES" DI NANTES
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LE "NOYADES" DI NANTES
Prove tecniche di stermino di massa durante la rivoluzione francese
  Autunno 1793, il Terrore imperversava a Parigi ed in tutta la Francia, il Comitato di Salute Pubblica, stretto attorno a Robespierre, si affannava a punire con la morte tutti i nemici della repubblica, sospendendo, o meglio negando, i principi di libertà e di fraternità che avevano tenuto a battesimo la dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino dell’agosto 1789. Solo l’eguaglianza sopravviveva, seppur trasfigurata nell’imperativo di asservire con il Terrore tutti i cittadini alla repubblica, al fine di salvare la repubblica stessa.
La deriva verso il più feroce estremismo fu graduale, dettata dalla politica contingente. Nel gennaio del 1793 la decapitazione di Luigi XVI, dopo un processo farsesco, radicalizzò lo scontro con le monarchie europee. La guerra, voluta nell’aprile del 1792 dai girondini per smascherare le ambiguità dei foglianti e della monarchia ed assicurare lauti profitti alla borghesia mercantile, si trasformò in uno scontro ideologico, in cui la Francia regicida era costretta a lottare per la propria sopravvivenza, dal momento che la ghigliottina aveva troncato insieme alla testa di Luigi XVI ogni ipotesi di compromesso e di convivenza con il resto dell’Europa.
Maximilien de Robespierre
Dopo aver invocato la guerra i girondini si mostrarono incapaci di gestirla sia sul piano politico che su quello militare.
L’esercito francese non era pronto: gli equipaggiamenti erano insufficienti, l’emigrazione aveva gravemente indebolito il corpo ufficiali. Su 9000 ufficiali la metà aveva abbandonato la Francia. I battaglioni di volontari, pur animati dall’entusiasmo suscitato dalla propaganda rivoluzionaria, che presentava la guerra come una crociata per la sopravvivenza della Francia e l’instaurazione della libertà universale, erano privi di un adeguato addestramento. Il proposito di Dumouriez, posto dai girondini a capo dell’esercito, di superare i vistosi limiti della sua armata grazie ad una guerra breve, resa più agevole per le armi francesi dall’insorgere delle popolazioni confinanti al richiamo dei valori della rivoluzione, divenne utopia dopo il gennaio 1793.
Tra febbraio e marzo del 1793, l’Inghilterra e la Spagna ruppero la loro preoccupata neutralità e dichiararono guerra alla Francia. L’improvviso estendersi del conflitto impose la chiamata otto le armi di oltre 300.000 uomini, accendendo forti resistenze in tutto il paese.
Nel marzo del 1793, il generale Dumouriez, i cui legami con i girondini erano ben noti, concluse segretamente un armistizio con gli austriaci e tentò di organizzare un colpo di stato, ma il rifiuto delle sue truppe di volgersi contro la Convenzione lo costrinse a consegnarsi al nemico.
Il tradimento di Dumouriez gettò l’ombra del sospetto sui girondini e diffuse in tutta la Francia una nuova ondata di panico a cui seguì la persecuzione dei nemici veri o presunti della rivoluzione. Ovunque, su iniziativa dei sanculotti, nacquero Comitati di Sorveglianza che si incaricarono di controllare e di fermare i sospetti.
All’inizio di aprile i giacobini acuirono la loro animosità versi i girondini accusandoli di tradimento e di colpevole debolezza nella condotta della guerra ed invocando misure straordinarie come il calmiere dei prezzi e le requisizioni per soddisfare le pressanti necessità dell’esercito e delle classi popolari.
Sempre più logorati ed incalzati dall’offensiva giacobina, i girondini dovettero concedere prima l’abolizione dell’inviolabilità dei deputati contro cui esistessero forti presunzioni di complicità con i nemici della rivoluzione; poi l’istituzione, sotto l’influsso di Danton, di un Comitato di Salute Pubblica per coordinare gli sforzi bellici; infine l’introduzione di un calmiere dipartimentale dei prezzi dei foraggi e dei cereali.
Tali concessioni non furono tuttavia sufficienti ad evitare la caduta della Gironda.
Nel giugno del 1793, esasperati dall’andamento assai incerto della guerra, i sanculotti dei sobborghi di Parigi, con la piena complicità dei giacobini, accerchiarono la Convenzione e chiesero l’arresto dei deputati girondini. La convenzione cedette, aprendo così la strada alla dittatura giacobina.
La teoria, elaborata fin dal 1789 da Sieyès, del potere illimitato ed assoluto delle assemblee rappresentative incaricate dalla nazione sovrana di produrre una nuova costituzione si saldò con le invocazioni di Marat all’avvento di un dittatore capace di vincere l’inerzia e la volubilità delle masse e di liberare la giovane repubblica da quanti all’interno ed all’esterno intendevano soffocarla, instaurando così libertà, felicità e prosperità definitivamente. Le incertezze dell’andamento della guerra, il degenerare della contrapposizione politica tra girondini e giacobini, l’estremismo della base rivoluzionaria, il dilagare dell’ossessione per i tradimenti e le cospirazioni controrivoluzionarie deformarono il nucleo ideologico e giuridico della rivoluzione, rappresentato dalla teoria di Sieyès del potere costituente, sino ad inglobarvi anche l’idea della dittatura terroristica giacobina, intesa come una fase transitoria, ma indispensabile, violentissima, ma salvifica.
Dopo aver epurato la Convenzione dei “traditori” girondini, il gruppo dirigente giacobino si affrettò, con l’appoggio della pianura, preoccupata di essere tacciata di tiepido spirito rivoluzionario, ad approvare una nuova costituzione molto avanzata sul terreno della democrazia politica, grazie all’introduzione del suffragio universale e del referendum popolare, e con caute aperture alla democrazia sociale, attraverso l’affermazione del principio generale dell’assistenza pubblica agli indigenti. L’assolvimento del compito costituente della Convenzione non fece tuttavia svanire le minacce all’edificio rivoluzionario, anzi le alimentò, fornendo ampie giustificazioni al differimento dell’applicazione della nuova costituzione sino alla pace ed al consolidamento del potere nelle mani dei giacobini.
Soltanto dopo aver saldamente assunto il potere Robespierre si preoccupò di chiarire sul piano teorico la legittimità della dittatura rivoluzionaria. Nel rapporto Sui principi del governo rivoluzionario del 5 nevoso II (25 dicembre 1793) scrisse: “Il fine del governo costituzionale è di conservare la Repubblica; quello del governo rivoluzionario di fondarla. La rivoluzione è la guerra della libertà contro i suoi nemici; la costituzione è il regime della libertà vittoriosa e tranquilla. […] Il governo costituzionale si occupa principalmente della libertà civile [cioè della garanzia delle libertà individuali]; e il governo rivoluzionario della libertà pubblica [cioè la salvezza della comunità e l’indipendenza della nazione]. Sotto il regime costituzionale basta proteggere gli individui contro gli abusi del potere pubblico; sotto il regime rivoluzionario il potere è costretto a difendersi contro tutte le fazioni che lo attaccano. Il governo rivoluzionario deve ai buoni cittadini tutta la protezione nazionale; ai nemici del popolo non deve che la morte.”. Prima di ottenere una definitiva formulazione teorica la dittatura giacobina fu costruita giorno dopo giorno, emergenza dopo emergenza, ribellione dopo ribellione, atrocità dopo atrocità, dilapidando il patrimonio ideale della rivoluzione con l’intento di preservarlo.
L’arresto dei girondini, eliminando dalla scena politica i fautori di una politica moderata, sensibile alla difesa della libertà economica, alimentò in molte province, soprattutto nel sud est, lo spirito di ribellione. Bordeaux, Marsiglia, Tolone, Montbrison e Lione insorsero.
La sollevazione della Vandea, iniziata nel mese di marzo per porre fine alla coscrizione ed alla persecuzione dei preti refrattari, assunse nel corso dell’estate del 1793 dimensioni imponenti, mettendo in fuga le armate inviate prontamente da Parigi con il compito di ristabilire l’ordine.
Le sorti della guerra intanto volgevano a sfavore della Francia: tutti i territori occupati erano stati riconquistati dal nemico, Parigi stessa era esposta a gravissimi rischi.
Alle difficoltà politiche e militari si aggiungevano quelle economiche: l’inflazione continuava a crescere e l’assegnato a svalutarsi. Le derrate alimentari che affluivano nei mercati erano insufficienti a sfamare la popolazione.
Difronte a questa grave situazione, prossima alla disgregazione della Francia, i giacobini diedero prova di grande fermezza, mettendo però da parte ogni residuo di spirito umanitario. Nel luglio del 1793, essi ottennero dalla Convenzione la ristrutturazione del Comitato di Salute Pubblica che fu trasformato in un governo di guerra, dotato di ampie competenze in tutti i campi: dal controllo dell’ordine pubblico alla diplomazia, dalla regolazione delle attività economiche alla condotta delle operazioni militari. Per enfatizzare il carattere transitorio della dittatura giacobina il decreto del 14 Frimaio II (4 dicembre 1793), che riorganizzò il governo rivoluzionario, stabilì la rielezione mensile da parte della Convenzione dei membri del Comitato. Tale ossequio formale alla centralità della Convenzione nel sistema politico non impedì che il Comitato finisse di fatto per imporsi sull’assemblea rappresentativa. La rielezione dei membri dell’esecutivo divenne una pura formalità, dal momento che il governo rivoluzionario giacobino possedeva efficaci strumenti di ricatto, di intimidazione e, all’occorrenza, di repressione nei confronti di qualsiasi oppositore, dentro e fuori la Convenzione.
Danton, ritenuto ondivago ed incline al compromesso, fu messo da parte; la guida del Comitato passò nelle mani uomini come Billaud-Varenne, Collot-d’Herbois, Barrère, Lindet, Couthon, Carnot, Saint-Just e Robespierre che diedero vita ad un organismo politico estremamente compatto che non esitò a sospendere le garanzie liberali e la democrazia stessa pur di imporre al paese la disciplina necessaria a sostenere lo scontro con i nemici interni ed esterni della rivoluzione.
Al Comitato di Salute Pubblica fu affiancato il Comitato di Sicurezza Generale, anch’esso rieletto di mese in mese, con una competenza specifica sulla polizia politica e sulla giustizia rivoluzionaria. Tra i due comitati, detti di governo, il primo finì per prevaricare sul secondo.
Nei dipartimenti l’organizzazione amministrativa fu semplificata ed improntata alla più rigida centralizzazione. Si impose alle municipalità di rendere conto della loro attività, in particolare quella repressiva nei confronti dei sospetti di attività controrivoluzionarie, ogni dieci giorni ai distretti, che dovevano poi riferire al governo rivoluzionario centrale.
In agosto il Comitato di Salute Pubblica decretò la leva in massa di tutti i giovani tra i 18 ed i 25 anni e pose tutti gli altri cittadini in stato di requisizione, in modo da poterli impiegare, all’occorrenza, nelle fabbricazioni di guerra e nelle retrovie. Grande attenzione riservò anche alla crisi economico-finanziaria. Introdusse il calmiere dei prezzi che inizialmente riguardò soltanto i cereali per poi estendersi gradualmente a quasi tutti i beni ed ai salari.
Il calmiere, unito alle requisizioni dei prodotti alimentari e delle materie prime, stabilizzò l’inflazione e garantì la sussistenza sia delle classi popolari, sia dell’esercito. Neppure il commercio estero sfuggì al controllo del comitato.
L’economia francese fu dunque in gran parte nazionalizzata, sia direttamente, attraverso la creazione di manifatture di stato, sia indirettamente, mediante la fornitura di materie prime e di mano d’opera, il controllo della produzione, la requisizione dei prodotti, l’imposizione di prezzi e salari.
Tutte le misure adottate per la regolazione dell’economia non furono per il comitato il frutto di un disegno ideologico, ma un espediente straordinario e transitorio per affrontare le necessità della guerra.
L’alleanza stretta dai giacobini con l’ala sinistra della rivoluzione, rappresentata dai sanculotti delle sezioni parigine, favorì inoltre lo sviluppo del movimento di scristianizzazione. Il clima di mobilitazione patriottica incoraggiò le sezioni rivoluzionarie ad estendere anche al clero costituzionale l’odio che già da tempo investiva i preti refrattari. I rivoluzionari più intransigenti iniziarono a considerare la Chiesa al servizio della controrivoluzione e ne invocarono l’estirpazione dal corpo della società francese.
Rispetto a questo movimento della base rivoluzionaria il Comitato di Salute Pubblica ebbe un atteggiamento oscillante. Da principio assecondò la scristianizzazione tollerando la chiusura delle chiese, introducendo il calendario repubblicano che eliminava dalla vita quotidiana ogni riferimento al cristianesimo per celebrare invece la patria, le stagioni ed i mestieri; poi si sforzò di contenerla. Robespierre riteneva pericolosa la scristianizzazione in quanto da un lato avrebbe fomentato l’ateismo, lontano dalla sensibilità popolare e foriero di immoralità pubblica e privata; dall’altro avrebbe fanatizzato i già numerosi nemici della repubblica. Sulla base di tali considerazioni il comitato rifiutò di dare una sanzione formale alla scristianizzazione imponendo per legge il divieto di culto.
Il principale strumento di governo del Comitato di Salute Pubblica fu il Terrore, cioè la condanna a morte, spesso a seguito di processi sommari, talvolta senza neppure un simulacro di processo, di tutti i sospetti oppositori della dittatura giacobina: nobili, preti refrattari, cittadini stranieri, simpatizzanti girondini, accaparratori di generi alimentari, commercianti che eludessero il calmiere dei prezzi. Robespierre interpretò il Terrore come una giustizia “pronta, severa, inflessibile” che fosse emanazione diretta della virtù repubblicana, cioè, rifacendosi alla tradizione classica, dell’amore e della devozione verso la patria e le sue leggi.
La legge sui sospetti, approvata nel settembre 1793, costituì la cornice legale del Terrore. Essa definiva i sospetti in maniera così elastica da rendere onnipotenti i Comitati di Sorveglianza incaricati di applicarla. Il sospetto prendeva di mira l’autore possibile di un reato eventuale a causa delle sue opinioni e non il presunto colpevole di un fatto realmente compiuto. L’arbitrio aveva in questo modo campo libero. Una volta deferiti dai comitati di sorveglianza ai tribunali rivoluzionari, i sospetti erano spacciati, non avendo la possibilità né di ricorrere in appello né di difendersi concretamente. Spesso i processi si risolvevano con l’accertamento dell’identità dei sospetti, a cui seguiva la lettura della sentenza di morte.
Gli annegamenti a Nantes
L’organismo esecutivo della legge sui sospetti e del Terrore furono i Comitati di Sorveglianza. Sorti spontaneamente tra la base rivoluzionaria dei sanculotti delle sezioni parigine e di molti comuni, anche piccoli, i comitati furono istituzionalizzati, prima nel marzo e poi in settembre del 1793, con il riconoscimento formale di tutti i poteri che nel frattempo si erano arrogati: compilare liste di sospetti, procedere ad arresti e perquisizioni, rilasciare certificati di civismo, controllare i documenti dei militari in licenza, arrestare chiunque fosse sprovvisto della coccarda tricolore.
L’inasprimento della repressione impose inoltre, nel settembre 1793, un rimaneggiamento del Tribunale Rivoluzionario. Esso fu chiamato a giudicare senza appello né cassazione ogni iniziativa controrivoluzionaria, ogni attentato contro la libertà, l’eguaglianza, l’unità e l’indivisibilità della repubblica, la sicurezza interna ed esterna e tutti i complotti tendenti a restaurare la monarchia. Alla Convenzione era riservata la nomina dei giudici e dei giurati e soprattutto la chiamata in giudizio dei sospetti.
Per i reati contro la repubblica il tribunale criminale di ogni dipartimento poteva sedere “rivoluzionariamente”, seguendo le stesse regole fissate per il Tribunale rivoluzionario di Parigi; nelle regioni dove infuriava la guerra civile furono invece istituite apposite commissioni militari per giudicare i sospetti.
La politica del Terrore fu inaugurata nell’ottobre del 1793 con la condanna a morte di Maria Antonietta. L’esecuzione della regina vanificò ogni residua, nonché flebile, illusione di una soluzione diplomatica della guerra. A breve distanza salirono sul patibolo i deputati girondini, arrestati in giugno, ed alcuni dei capi dei foglianti, il duca di Orléans, Filippo Egalité e madame Roland, una delle anime politiche del gruppo girondino.
Negli ultimi tre mesi del 1793 su 395 accusati presso il Tribunale Rivoluzionario 177 furono ghigliottinati, cioè il 45%. Il numero degli arresti subì una impennata. Nel dicembre 1793 i detenuti nelle galere parigini superarono le 4500 unità, in agosto non erano più di 1500.
Alla periferia della repubblica l’anello di congiunzione tra il governo rivoluzionario centrale da una parte ed i comitati di sorveglianza e le amministrazioni locali dall’altra erano i rappresentanti della Convenzione in missione, dotati di poteri pressoché illimitati. La loro funzione era normalmente quella di sovraintendere alla mobilitazione ed al dispiegamento dell’esercito e di coordinare gli sforzi bellici, e perciò rivoluzionari, della cittadinanza, ma nelle regioni in cui si fossero verificate sollevazioni controrivoluzionarie tale funzione si riduceva alla messa in pratica del Terrore, cioè dell’inflessibile punizione di tutti i nemici veri o presunti della repubblica.
Mentre a Parigi il Terrore era modulato direttamente dal governo rivoluzionario coniugando l’imperativo di imporre alla Francia la disciplina necessaria a sconfiggere i suoi nemici con la salvaguardia di larvate procedure formali, nei dipartimenti esso era condizionato non solo dalle direttive che provenivano dal centro, ma anche dallo zelo e dal temperamento, cioè dalle inclinazioni più o meno sanguinarie, dei rappresentanti in missione.
A Lione, riconquistata alla repubblica dopo un lungo assedio nell’ottobre del 1793, il rappresentante in missione, nonché membro del Comitato di Salute Pubblica, George Couthon, pur invocando la necessità di rieducare la popolazione a cominciare dall’alfabeto rivoluzionario e dall’imposizione alla città di un nuovo nome, Ville-Affranchie, Città Liberata, non scatenò la sua ferocia sulle persone ma sui simboli della prosperità lionese che ai suoi occhi aveva alimentato la rivolta. Il 26 ottobre nella Place Bellecour, dove sorgevano le più eleganti residenze nobiliari della città, Couthon, dalla sua sedia da invalido, pronunciò una accorata orazione in cui ordinò di abbattere gli edifici che si affacciavano sulla piazza, in quanto essi erano “luoghi criminosi ove la magnificenza regale reca affronto alla miseria del popolo ed alla semplicità di modi repubblicana”. Prima di dare il buon esempio sferrando il primo colpo di mazza tuonò: “Possa questo terribile esempio incutere paura alle future generazioni e insegnare all’universo che la nazione francese, sempre grande e giusta, come sa premiare la virtù, così sa anche aborrire il crimine e punire la ribellione.”.
Nonostante la demolizione di più di 1700 case in tutta la città, la condotta di Couthon fu giudicata fiacca dalla Convenzione che si affrettò ad inviare a Lione altri due suoi autorevoli membri, Fouché e Collot d’Herbois, per attuare forme ben più dirette di castigo.
Fino alla fine di ottobre le condanne a morte non erano state più di trenta ed avevano riguardato quasi esclusivamente ufficiali rei di tradimento e membri in vista della municipalità che si era posta alla guida della rivolta, dopo l’arrivo a Lione di Fouché e di Collot d’Herbois la ghigliottina incominciò invece a lavorare a pieno ritmo. La delazione fu incoraggiata e premiata, il rispetto delle pur sbrigative procedure formali venne presto dimenticato. Tuttavia per quanto i boia lavorassero febbrilmente, sino a mozzare, come risulta dai dati registrati con estrema meticolosità, trentadue teste in venticinque minuti, per i più zelanti interpreti del Terrore occorreva adottare metodi ancora più rapidi ed efficaci per estirpare il male controrivoluzionario. Si ricorse pertanto ad esecuzioni di massa con l’ausilio dei cannoni caricati a mitraglia. La Plaine des Brotteaux, la spianata sulla riva del Rodano da dove Montgolfier aveva iniziato al sua ascensione con il pallone aerostatico, fu il teatro di questa atrocità. I condannati, sino a sessanta per volta, venivano legati in modo tale da formare una sola fila, quindi abbattuti a cannonate. Coloro che non rimanevano uccisi all’istante erano finiti a colpi di baionetta, sciabola e fucile. Il 4 dicembre 1793 Dorefeuille, l’ex attore che comandava i plotoni di esecuzione, scrisse al presidente della Convenzione annunciandogli che in quel solo giorno erano stati giustiziati centotredici abitanti di “questa nuova Sodoma” e che in quelli seguenti egli sperava di “fare espiare i loro crimini con il fuoco e il piombo” ad altri quattro o cinquecento.
Quando le stragi nella Ville-Affranchie terminarono, il numero dei giustiziati aveva raggiunto le 1905 unità.
Jean-Baptiste Carrier
La ferocia sanguinaria della repressione attuata a Lione non si ripeté a Marsiglia, dove i propositi di vendetta dei répresentants-en-mission Barras e Fréron furono mitigati dagli scrupoli formali del locale tribunale rivoluzionario che su 975 cittadini rinviati a giudizio ne mandò assolti quasi la metà. A Bordeaux Jean Lambert Tallien al sangue impuro dei sospetti preferì i loro averi. Per garantire una vita lussuosa alla sua giovane amante aristocratica avviò al patibolo solo coloro che non fossero in grado di pagare lautamente la propria libertà. Accumulò una fortuna, offrendo al boia non più di centinaio di teste da tagliare.
A Nantes invece il macabro esempio di Lione fu addirittura superato in efferatezza dall’operato del più scellerato tra i terroristi in missione: Jean-Baptiste Carrier.
Figlio di un piccolo proprietario terriero dell’Alvernia, Carrier (1756-94), dopo aver concluso i suoi studi di diritto a Parigi, entrò nel 1784 in magistratura, ottenendo la carica di procuratore ad Aurillac, nelle vicinanza del suo paese natale, Yolet. Né il suo ufficio di magistrato, né il matrimonio contratto con Françoise Laquairie valsero a contenere la passione politica accesa in lui dalla rivoluzione. Nel 1792 la sua militanza nel locale club dei giacobini, dove si era fatto notare come oratore ispirato ed estremista, fu premiata con l’elezione alla Convenzione da parte dei cittadini del dipartimento di Cantal, in Alvernia. Giunto a Parigi non tardò a farsi strada: ottenne dalla Convenzione la nomina a Commissario nelle Fiandre appena occupate. Esaurito il suo compito, votò la condanna a morte di Luigi XVI, si batté per l’instaurazione del tribunale rivoluzionario e fu tra i primi ad invocare l’arresto di Filippo d’Orléans. Nell’estate del 1793 Carrier fu nuovamente mandato in missione, prima in Normandia e poi, in agosto, a Nantes, a ridosso dell’area interessata dalla sollevazione vandeana.
Il suo predecessore Fouché aveva in marzo sciolto il locale comitato rivoluzionario giudicandolo troppo moderato ed aveva insediato un Comitato di Sorveglianza che, sotto la guida di Jean Jacques Goullin, Pierre Chaux, entrambi avidi commercianti senza scrupoli, e Jean Marguerite Bachelier, un fanatico con un passato da seminarista, si era affrettato a procedere numerosi arresti per scongiurare il pericolo che gli insorti della Vandea potessero trovare a Nantes sostenitori e simpatizzanti. Non appena giunse in città Carrier diede un ulteriore impulso agli arresti.
Nel mese di ottobre, dopo la sconfitta dell’armata vandeana a Cholet, ai già numerosi sospetti si aggiunse nelle carceri una moltitudine di prigionieri di guerra, i cosiddetti briganti vandeani. Quasi diecimila detenuti furono stipati in condizioni igieniche disastrose nei carceri cittadini: Saintes Claires, Bouffay e Le Bon Pasteur. Successivamente, per contenere tutti i nemici della repubblica fu requisito anche l’Entrepôt des cafés, l’imponente deposito del caffé posto in prossimità del porto, simbolo della ricchezza commerciale di Nantes. Si giunse persino a trasformare alcune navi in disarmo come prigioni galleggianti.
La comparsa di casi di tifo tra i prigionieri del carcere del Bouffay, posto nel cuore medievale di Nantes, non lontano dal Tribunale Rivoluzionario, allarmò le autorità cittadine, ponendo all’ordine del giorno l’adozione di metodi di sterminio che non solo incutessero terrore, ma risolvessero con estrema rapidità il sovraffollamento delle carceri. Anche tralasciando ogni formalismo giuridico sia la ghigliottina, sia il plotone di esecuzione furono giudicati troppo lenti da Carrier che propose di ricorrere alle “deportazioni verticali”, come egli stesso le definì, cioè all’annegamento di massa dei prigionieri nelle acque della Loira. Nella sua mente ormai sconvolta dall’alcoolismo, con cui da tempo tentava di assuefarsi al sangue, e dal fanatismo giacobino, che si nutriva della disumanizzazione degli avversari, le noyades furono la risposta più brutale, sbrigativa e perciò rivoluzionaria ad una emergenza sanitaria che, sorta tra i prigionieri, considerati alla stregua di detriti umani, di scorie pericolose, minacciava di estendersi ai buoni cittadini repubblicani.
Chi non annegava veniva ucciso a colpi di lancia
Sulle fiancate di barconi a chiglia piatta erano praticati dei fori sotto la linea di galleggiamento, sui quali venivano inchiodate delle tavole di legno in modo che i barconi stessero provvisoriamente a galla. Si facevano poi salire a bordo i prigionieri, con mani e piedi legati, ed i barconi venivano sospinti al centro del fiume. Allora il barcaiolo-carnefice fracassava o schiodava le tavole e si affrettava a saltare su di un’altra imbarcazione, mentre le vittime guardavano impotenti l’acqua che iniziava a sommergerli. Chi tentava di salvarsi dall’annegamento gettandosi dal barcone, veniva ucciso a sciabolate una volta nell’acqua.
Poiché tale sistema di annientamento dei nemici della rivoluzione richiedeva carnefici dalla coscienza particolarmente indurita oppure ottenebrata, Carrier creò la “Legione Marat”, composta da sanculotti spietati, ad essi affiancò i cosiddetti “ussari americani”, un gruppo di ex schiavi di Santo Domingo, assetati di vendetta. Preferendo passare le sue notti gozzovigliando, non assunse direttamente il comando delle operazioni, ma lo affidò a Guillaume Lamberty, un carrozziere che aveva combattuto a Cholet.
La prima noyade avvenne in novembre, Lamberty ed i suoi uomini annegarono, con il favore delle tenebre, circa novanta preti. Soltanto uno di essi riuscì fortunosamente a mettersi in salvo. Nei mesi successivi il macabro rituale si ripeté più volte; vi presero parte anche membri in vista del Comitato di Sorveglianza come Goullin che guidò l’irruzione notturna nel carcere del Bouffay dove radunò a caso, essendo troppo ubriaco per leggere la lista che aveva portato con sé, circa centotrenta detenuti per avviarli allo sterminio.
Con il ripetersi degli annegamenti l’orrore divenne routine, cancellando ciò che restava della pietà nella coscienza dei carnefici. Non si attese più la notte per uccidere, ma lo si fece in pieno giorno, infierendo sulle vittime, tra cui, almeno nell’ultima noyade del febbraio 1794, vi furono anche bambini e neonati. Neppure un brandello di dignità fu risparmiato agli esseri umani che il sospetto aveva trasformato in scorie da schernire e da distruggere. Con raccapricciante umorismo i sanculotti coniarono espressioni come “battesimo repubblicano” e “matrimonio repubblicano” per indicare l’ultimo umiliante sberleffo da imporre alle vittime in punto di morte. I prigionieri erano spogliati degli abiti e di tutti i loro averi; preti e suore, giovani e ragazze venivano legati insieme in pose oscene prima di essere cacciati a forza sui barconi ed annegati.
L’esecrazione delle noyades da parte di Robespierre valse ad interrompere lo sterminio a Nantes, ma non determinò l’arresto di Carrier che fu richiamato a Parigi ed eletto segretario della Convenzione. Soltanto dopo il Termidoro (luglio 1794) Carrier, nonostante si fosse prontamente schierato a favore del colpo di stato contro Robespierre, fu processato e condannato a morte nel novembre del 1794. Anche la testa di Lamberty rotolò nel cesto del boia. Sorte diversa ebbero invece altri responsabili delle noyades come Goullin, Bachelier e Chaux che furono processati ed assolti.
Le stime di coloro che morirono nelle acque della Loira tra il novembre 1793 ed il febbraio 1794 sono molto variabili, non furono comunque meno di duemila, anche se secondo alcune fonti sfiorarono le quattromilaottocento unità. Al di là dei numeri l’importanza delle noyades risiede nella sperimentazione di impersonali sistemi di sterminio di massa che rivelano un aspetto della mentalità rivoluzionaria molto prossimo ai tratti psicologici tipici degli autori dei genocidi del XX secolo. A Nantes nell’anno II mancò quella saldatura tra tecnologia, disumana follia politica ed efficienza burocratica che avrebbe caratterizzato i genocidi del XX secolo, tuttavia fu sperimentato il corredo ideologico indispensabile per procedere ad uno sterminio di massa.
La violenza accompagnò tutto il processo rivoluzionario, ma a Nantes accadde qualcosa di nuovo. Il potere costituito, e non una folla di scalmanati accecati dall’odio, come nel caso dei massacri nelle carceri parigine del settembre 1792, abbandonò ogni parvenza di legalità per sterminare il più rapidamente possibile una categoria di cittadini ritenuta così colpevole da non meritare alcuna umanità, né alcun indugio procedurale. La scelta dello sterminio non fu inoltre il parto di una mente criminale isolata. Certo Carrier offrì alla rivoluzione la sua sanguinaria creatività, ma non ebbe difficoltà a trovare complici solerti ed entusiasti. Né mancarono altri “ardenti patrioti” che si sforzarono di escogitare mezzi di sterminio rapidi, impersonali e di devastante potenza.
Dopo aver sconfitto sul campo le forze vandeane, la repubblica procedette all’annientamento sistematico ed indiscriminato della popolazione e del territorio della Vandea. Ogni distinzione tra combattenti e non combattenti venne considerata un tradimento degli imperativi rivoluzionari. La deportazione in massa, lo spopolamento di intere regioni e persino l’impiego di gas (fumigations) capaci di asfissiare il nemico furono presi in considerazione per estirpare lo spirito di ribellione dal cuore della Vandea. Soltanto le difficoltà tecniche per la realizzazione di tali progetti imposero di ricorrere a forme di stermino più tradizionali e sperimentate. Le dodici “colonne infernali” del generale Turreau furono incaricate di attraversare la Vandea e di massacrare ogni essere vivente che avessero incontrato sul loro cammino: uomini, donne, vecchi e bambini, fiancheggiatori della rivolta e repubblicani.
  Bibliografia
LEFEBVRE GEORGE, La rivoluzione francese, Torino, Einaudi, 1987.
SOBOUL ALBERT, Storia della rivoluzione francese, Milano, Rizzoli, 1988.
SCHAMA SIMON, Cittadini. Cronaca della Rivoluzione francese, Milano, Mondadori, 1989.
FURET FRANCOIS, OUZUF MONA. (a cura di), Dizionario critico della rivoluzione francese., Milano, Bompiani, 1988.
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A Summary of all the Battles
19 February 1937
After valiant attacks from Marty, Azana and Diaz, the forces of Valera and the Corpo Truppe Volontarie were attacked en route to Cartagena and have been forced to retreat to Valencia. Marty has taken the brunt of the casualties, losing 25 tanks and 3000 troops. Azana has lost 2000 troops. Diaz, benefiting from the actions of her allies, has only lost 500 troops. The nationalist forces have lost 8000 troops. The remaining republican forces are now at Silla, on the outskirts of Valencia. It is up to them whether they want to press the attack.
At Pamplona, Mola launched an attack on Lluch's forces and Mola lost 2500 troops while Lluch lost 7500 troops.
In other news, huge conflict is expected as Marty and Mera's forces approach Valencia.
There is an insane amount of confusion from both the troops, the civilians and the generals as generals move troops back and forth on the map, with the lag time of information causing confusion and failed attacks.
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Battle Along CV-500
After valiant attacks from Marty, Azana and Diaz, the forces of Valera and the Corpo Truppe Volontarie were attacked en route to Cartagena and have been forced to retreat to Valencia. Marty has taken the brunt of the casualties, losing 25 tanks and 3000 troops. Azana has lost 2000 troops. Diaz, benefiting from the actions of her allies, has only lost 500 troops. The nationalist forces have lost 8000 troops. The remaining republican forces are now at Silla, on the outskirts of Valencia. It is up to them whether they want to press the attack.
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Mosca: 'Bombardamenti nella regione russa di Belgorod'
Diversi villaggi della regione russa di Belgorod, vicino al confine con l’Ucraina, sono stati bombardati stamane dalle forze di Kiev. Lo riferisce il governatore, Vyacheslav Gladkov, sul suo canale Telegram. Intanto, una milizia di estrema destra russa che combatte al fianco delle truppe ucraine, il Corpo dei Volontari russi, ha detto di avere compiuto incursioni proprio nella provincia di…
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organisationskoval · 1 year
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699) Euzko Alderdi Jeltzalea, EAJ, Partido Nacionalista Vasco, PNV, Euzko Alderdi Jeltzalea-Partido Nacionalista Vasco, EAJ-PNV, Parti nationaliste basque, PNB, Basque Nationalist Party, Basque National Party,Nacjonalistyczna Partia Basków – hiszpańska regionalna partia polityczna. Działa na terenie Kraju Basków. Partia skupia działaczy o poglądach chadecko-nacjonalistycznych, konserwatywnych i konserwatywno-liberalnych. PNV powstała w 1895 roku. Od 1918 roku miała przedstawicieli w parlamencie hiszpańskim. Po wojnie domowej zdelegalizowana, a członkowie w większości wyemigrowali. Po śmierci gen. Franco ponownie zalegalizowana. Francuska gałąź PNV to Parti Nationaliste Basque (PNB). Partia posiada także biura na całym świecie, wszędzie tam, gdzie mieszkają Baskowie – Wenezuela, Argentyna, Meksyk, Urugwaj, Chile i USA. Partia została założona w 1895 roku przez Sabino de Arana y Goiri, jako katolicka, konserwatywna, broniąca praw narodowych partia opowiadająca się za ponownym wprowadzeniem samorządu baskijskiego. Obecnie określa siebie jako baskijską, demokratyczna, pluralistyczną i humanistyczną. Jest umiarkowanie nacjonalistycznym ugrupowaniem, które pragnie zwiększenia autonomii, jeżeli nie pełnej niepodległości Kraju Basków. PNV sprzeciwia się politycznej przemocy. Na początku jej istnienia, aby wstąpić do partii należało udowodnić swe baskijskie pochodzenie. W 1921 roku PNV stała się areną rozłamu. Dwie grupy powstałe w jego wyniku to umiarkowana Comunión Nacionalista Vasca (Baskijska Wspólnota Nacjonalistyczna) oraz niepodległościowa Aberr ("Ojczyzna").  W czasie monopartyjnej dyktatury generała Miguela Primo de Rivery, partie nacjonalistyczne zostały zdelegalizowane. Jednakże działalność partii była kontynuowana pod przykrywką m.in. zespołów folklorystycznych. Podział pomiędzy autonomistami i niepodległościowcami pojawił się ponownie w czasie Drugiej Republiki Hiszpańskiej. Mała grupa radykalnych zwolenników niepodległości Kraju Basków pod przywództwem Eli Gallastegi, skupionych wokół tygodnika Jagi-Jagi i Górskiej Federacji Biskajskiej, opuściła partię. Odrzucili pracę na rzecz autonomii, jaką wykonywała PNV. Po zamachu stanu z 18 sierpnia 1936 roku, PNV nie mogła zdecydować po której stronie stanąć. Jej członkowie podzielali katolicyzm rebeliantów i poddawani byli presji ze strony Watykanu aby nie popierać Republiki. Jednak obiecana przez lewicę autonomia i antyfaszyzm zbliżały ich do republikanizmu. Część członków PNV zadeklarowała więc poparcie dla Republiki, demokracji i antyfaszyzmu. Jednak na terenach opanowanych przez frankistów wystosowało oświadczenia w których odmawiali wsparcia Republiki, część nacjonalistów wyjechała do Francji bądź na terytoria republikańskie. Niektórzy stawili opór rebeliantom, kończąc w więzieniach lub przed plutonami egzekucyjnymi. Część przyłączyła się do karlistowskich batalionów, chcąc uniknąć oskarżeń o wspieranie republikanów. Ostatecznie Komitety Obrony Vizcaya i Gipuzkoa zostały zdominowane przez Front Ludowy. Z pewnymi kłopotami, ale Druga Republika zagwarantowała autonomię Basków, a nowy rząd baskijski powołał do życia Armię Baskijską, złożoną z osób rekrutowanych z wszystkich organizacji Basków, włączając w to PNV. José Antonio Aguirre, lider partii, został pierwszym lendakari (prezydentem baskijskim) wojennego, wielopartyjnego rządu baskijskiego, mającym władzę nad nie podbitymi jeszcze przez siły rebelianckie obszarami Vizcaya i Gipuzkoa. Po poddaniu się Armii Baskijskiej, włoskiemu Corpo Truppe Volontari w Santoña w 1937 roku, rząd przeniósł się do Barcelony, gdzie przebywał do czasu opanowania przez rebeliantów całej Katalonii, a potem do Francji. Aguirre przebywał w Belgii, a potem po zajęciu tego kraju przez Niemców, udał się do Szwecji, a potem przez Amerykę Południową trafił do USA. Prowadził działalność na rzecz Basków na całym świecie, stojąc na czele rządu emigracyjnego. Pod koniec lat 30., Aberri i CNV ponownie się zjednoczyły pod starą nazwą EAJ-PNV. Jednakże mała grupa działaczy utworzyła Acción Nacionalista Vasca (Baskijską Akcję Nacjonalistyczną). Było to ugrupowanie umiarkowanie nacjonalistyczne, lewicowe, w której członkostwo nie było uzależnione od wyznania i otwarte na współpracę z partiami republikańskimi i socjalistycznymi walczącymi z dyktaturą. ETA została powołana do życia przez członków PNV w 1958 roku, zawiedzionych umiarkowaną polityką prowadzoną przez swoją partię. Partia wzywała do zbojkotowania referendum na temat przyjęcia nowej konstytucji hiszpańskiej w 1978 roku. Natomiast podczas referendum dotyczącym wstąpienia do NATO w 1986 r., PNV namawiało do głosowania na tak, jednak w języku baskijskim, czyli aby na kartach wpisywać Bai. Początkowo prawo stwierdzało iż będzie się uznawać głosy oddane tylko w języku hiszpańskim, jednak zmieniono to w ostatniej chwili przed wyborami. Zwyciężyła opcja opowiadająca się za wstąpieniem Hiszpanii do Sojuszu Północnoatlantyckiego, choć w samym Kraju Basków większość wyborców opowiedziała się jednak przeciwko temu. PNV zachęcała także do głosowania za przyjęciem projektu Konstytucji Europejskiej w referendum, które odbyło się 21 lutego 2005 roku.
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proud-spaniard · 3 years
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1600-1032 Este Polikarpov I-15 tomó tierra averiado en el pueblo de Andorra (Teruel) en manos del CTV italiano. Foto Juan Arráez AEA.
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augfc · 4 years
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Bergmann submachine gun variants
The Bergmann M.P.18,I submachine gun is widely considered to have been the first successful submachine gun, and as a consequence many variants of the design were made. This post covers the main derivatives of the Bergmann submachine gun which retained the basic elements of the design (variants like the Schmeisser M.K.36,III and Haenel MP41 are excluded for deviating too far from the original M.P.18,I).
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Comparison of the various types of Bergmann magazine feed - M.P.18,I on the left; M.P.18,I police issue/M.P.28,II in the center; and SIG-Bergmann on the right.
The Bergmann M.P.18,I (military issue)
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The original production version of the Bergmann M.P.18,I submachine gun was developed in 1918 by Hugo Schmeisser, then-employed by Theodor Bergmann. It operated on a basic blowback action upon which the bolt rode on a spring-loaded guide rod, and employed a canted magazine feed, taking the 32-round “Trommelmagazin” originally designed for the Artillery Luger carbine. The M.P.18,I had fired only in full-auto and had no mechanical safety whatsoever; the only safety provision was a catch in the cocking slot which could be used to manually hold the bolt in the rearward position. The gun was chambered in the standard German pistol cartridge, 9x19mm Parabellum.
The M.P.18,I was adopted by the German Army and first issued during the Summer of 1918, seeing some combat use during the later stages of World War I. It is estimated that some 35,000 M.P.18,Is were produced in total, although only a few thousand were actually issued during the war and the vast majority of examples were probably produced after the Armistice. Production lasted from 1918 - 1920.
It is often said that the M.P.18,I made such an impact on Allied troops that it was specifically singled out in the Treaty of Versailles. This is not actually true; submachine guns like the M.P.18,I actually fell under the rather ambiguous category of “light machine guns” and “automatic rifles”, and are never actually mentioned by name in the Treaty. Actual primary sources from the wartime period indicate that the M.P.18,I was not particularly valued by Allied authorities.
The Bergmann M.P.18,I (police issue)
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After the enforcement of the Treaty of Versailles, the German Army was subjected to severe restrictions on the number of automatic weapons and machine guns that they were allowed to issue, and as a consequence the M.P.18,I was retracted from service. Some came into circulation with veteran’s militias like the Freikorps, although the vast majority were simply pressed into service with the German police, at a rate of about 1 gun per 20 men.
Schmeisser, now working at C.G. Haenel, continued to make improvements to the design after World War I and in 1920 he developed a new type of magazine feed for the M.P.18,I that would take straight box magazines of 32 or 20 rounds. On behalf of the German police, a large quantity of M.P.18,I submachine guns were converted to this new system by Haenel during the 1920s.
Police-issue M.P.18,Is are also often fitted with a safety switch on the forward receiver, which locks the bolt in place when flipped. These are the same type of safety switches that are commonly seen examples of the Erma EMP submachine gun.
The SIG-Bergmann Model 1920
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Waffenfabrik Bergmann was one of many German armaments manufacturers that was closed after the enforcement of the Treaty of Versailles in 1920. Production of the M.P.18,I in Germany therefore came to an end, but Theodor Bergmann wanted to continue promoting the weapon and therefore sold the production rights to SIG in Switzerland, where manufacture could go ahead without running foul of the Versailles restrictions.
The SIG-Bergmann submachine was not, however, a straight copy of the Bergmann M.P.18,I. It featured several modifications made in-house at SIG, including a proprietary type of magazine feed taking 50-round straight box magazines. This feed was distinct from the Schmeisser-type straight feed, with the magazine catch being placed on the underside of the housing, and it could not take Schmeisser magazines.
Several other detail modifications were also made to the design. The fixed notch sights of the M.P.18,I were replaced by an adjustable tangent graduating to 1,000 meters. The cocking handle was a rounded knob rather than a curved lever, and the bolt lugs were added to the barrel collar. The SIG-Bergmann was not chambered in 9x19mm Parabellum, but instead only offered in 7.65mm Parabellum and 7.63mm Mauser.
The SIG-Bergmann submachine gun saw limited use by the Swiss Army and was also offered for export, with significant sales to Finland (in 7.65mm), China, and Japan (both in 7.63mm). It was used extensively in China in the 1930s and 40s, and was adopted by the Imperial Japanese Navy as the Type Be (”Be” for “Beruguman”). Production of the SIG-Bergmann lasted from 1920 - 1927, although it continued to be sold into the early 1930s.
The Tallinn Arsenal M/23
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From 1923 - 1930, an unlicensed copy of the SIG-Bergmann submachine gun was produced in Estonia by Tallinn Arsenal. This gun, known as the Model 1923 or M/23, was probably based on Finnish examples of the SIG-Bergmann. The M/23 was designed by Johannes Teiman and was constructed from original components, making it visually distinct from other Bergmann variants, particularly in its distinctive stock design and rectangular barrel vents. The M/23 took 40-round box magazines and was chambered in 9x20mm Browning Long, a rare cartridge for SMGs.
It is estimated that only about 570 Tallinn Arsenal M/23 submachine guns were produced, and the majority of these were later sold off to the Spanish Republic during the Spanish Civil War (1936 - 1939). Some examples were captured and used by the Italian CTV (Corpo Truppe Volontarie) during this conflict.
The Tsing Tao & Dagu Arsenal SMGs
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Following the sale of SIG-Bergmann submachine guns to China in the 1920s, domestic copies of the design began to be produced at various factories, the primary manufacturers being the Tsing Tao Naval Arsenal and the Dagu Arsenal. The Chinese Bergmann was a straight copy of the SIG-Bergmann with the magazine housing rotated to a vertical feed rather than a horizontal feed; otherwise the design was essentially unchanged, and all the elements that distinguish the SIG-Bergmann from the M.P.18,I can be seen on the Chinese Bergmanns. The same long, 50-round magazines were used, making the Chinese copies awkward to use from a prone position.
The Tsing Tao & Dagu submachine guns were produced in relatively large quantities and used extensively during the Chinese Civil Wars and the Sino-Japanese War. It should also be noted that some Chinese Bergmanns were produced without the vertical magazine, and are basically identical to the original SIG-Bergmann except for the markings.
The production dates of the Chinese Bergmann copies are impossible to pin down, as manufacture was decentralized across many different factories. However, it is likely that several thousand were produced during the interwar years.
The Haenel M.P.28,II
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Throughout the 1920s, Schmeisser made further improvements to the M.P.18,I, culminating in 1928 with the development of the successor to the Bergmann, the M.P.28,II. This gun was based on the police-issue M.P.18,I but included several new features, most notably a cross-bolt fire selector and safety button placed above the trigger group. This is the feature from which the M.P.28,II is instantly identifiable from other Bergmann derivatives. The M.P.28,II also replaced the old M.P.18,I bolt with an entirely new type, with a separate firing pin. The new bolt travelled freely in the receiver against a wide diameter recoil spring, instead of riding on a spring-loaded guide rod. The M.P.28,II also had adjustable tangent sights similar to the SIG-Bergmann.
The M.P.28,II was produced at C.G. Haenel and was chambered in 9x19mm Parabellum by standard, but was also offered in a variety of calibers for export, including 9x25mm Mauser, 7.65mm Parabellum, and even .45 ACP. It was sold to Belgium, Bolivia, the Netherlands, Portugal, and Romania, among many other countries. In Germany, it was used by police forces and various paramilitary factions, including the Waffen-SS, but was never adopted by the Wehrmacht. Production lasted from 1928 - 1940, whereupon it was succeeded by the MP41 submachine gun, which utilized some components from the M.P.28,II.
The Bayard Mi34
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In 1934, the M.P.28,II was adopted by the Belgian Army and it was produced under license by Anciens Etablissements Pieper, trading under the name “Bayard”. This gun, known in Belgian service as the Mi34 Schmeisser-Bayard, was identical in most aspects to the original M.P.28,II and differed only in the manufacturer’s markings and the redesign of the bolt handle from a curved lever to a long, straight handle with a rounded knob on the end, somewhat similar to that seen on the SIG-Bergmann. The Bayard Mi34 was produced from 1934 - 1940.
The “Naranjero”
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The so-called “Naranjero” was an unlicensed copy of the M.P.28,II produced in Spain during the Spanish Civil War (1936 - 1939) by Republican factories in Valencia; it apparently gained its name from the orange trees that grew around the city. This variant was basically a straight clone of the M.P.28,II except for the bolt, which was made from brass and featured a distinctive, oversized, circular cocking handle. These bolts were weaker than the original steel bolts of the M.P.28,II. On some examples, the magazine housing is also made from brass. A bayonet catch was also added to the underside of the barrel jacket.
The Naranjero was produced from about 1937 - 1939. Total production figures are unknown but were probably in the low thousands. It has been speculated that the British copy of the M.P.28,II - the Lanchester - was actually based on a Naranjero submachine gun from Spain, although this is difficult to prove.
The Lanchester Mk.I
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In 1940, after years of inaction regarding the adoption of a submachine gun, the British government finally decided that a domestically-manufactured SMG was required. Initially the Royal Air Force requested a copy of the German MP38, but it was decided to instead produce a copy of the more expensive M.P.28,II - the logic behind this decision is not really clear. The design of this copy was handled by George Herbert Lanchester of the Sterling Armaments Company and the final production gun was named after him. It was adopted by the RAF and the Royal Navy for the protection of airstrips and naval vessels, but was not adopted by the Army, who were set on the cheaper Sten gun.
Despite being a copy of the M.P.28,II, the Lanchester Mk.I used no parts from the German gun and deviated in some elements of the design. The fire selector/safety switch was relocated to forward of the trigger group and the disassembly catch was placed on the rear receiver, behind the end cap. Proprietary 50-round magazines were used and a bayonet catch was fitted to the barrel. All in all, it may have ended up being more expensive to produce than the M.P.28,II. This was addressed to an extent with the introduction of a simplified variant in 1941, known as the Lanchester Mk.I*, which replaced the rear tangent sight with a basic flip-notch and saw the total removal of the fire selector, giving only fully-automatic fire. From 1942, many Mk.I Lanchesters had their fire selectors removed and their trigger mechanisms simplified.
The Lanchester was only in production during the war years and saw little actual use in combat. Just short of 100,000 were produced in total and it officially remained in Naval service until 1960, whereupon it was finally declared obsolete, although some examples remained aboard British vessels until the 1970s.
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corallorosso · 3 years
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Le geografie stravolte di Gaza di Vittorio Arrigoni Si racconta di un anziano signore che uscito di casa per procurarsi del cibo durante una delle rare tregue mattutine, non sia stato più in grado di trovare la via del ritorno. I bombardamenti hanno modificato radicalmente la geografia di Gaza, alterandone insieme il tessuto sociale. Centinaia di famiglie che per anni hanno vissuto una accanto all’altra, costrette a evacuare verso punti cardinali differenti lungo tutta la Striscia, non hanno più alcun contatto fra loro. Per raggiungere il quartiere Tal el Hawa, a sud est di Gaza city, bisogna attraversare a piedi una superficie lunare. Lasciandosi dietro crateri e collinnette di macerie, i carri armati israeliani si sono ritirati questa mattina dopo 48 ore di assedio. A far da cornice alla desolazione, l’insalubre inconfondibile odore della morte. Arrancando fra ciò che resta di interi palazzi e case e le carcasse bruciate di automobili e ambulanze, mi sono messo alla ricerca della casa di Ahmed. Proprio a causa di questo mutamento di interi quartieri messi a ferro e fuoco dai soldati, non è stata impresa facile; ricordavo che Ahmed abitava al termine di una strada sterrata, impossibile da riconoscere ora che mi trovavo a incescipicare su di un fondo terroso di detriti masticati e risputati fuori dai cingoli dei tanks israeliani. Qualora alla fine di questa massiccia offensiva genocida si effettuasse una fotografia satellitare di Gaza city, credo sarebbe arduo convincere qualcuno che si tratta della stessa città fotografata venti giorni prima. Ahmed l’ho riabbracciato è per entrambi è stato come rivedersi dopo tanti anni, al termine di un lungo viaggio, di ritorno da un paese lontano. Purtroppo invece il nostro viaggio al termine della notte non prevede ancora albe che non siano detonate dall’odio di chi ha mobilitato generali e truppe per il nostro sterminio. Il mio amico mi ha mostrato dove è rimasto piazzato il carro armato israeliano per due giorni, proprio dinnanzi a casa sua. Per tutto questo lasso di tempo la sua famiglia ha vissuto costretta in un sottoscala, con il livido terrore che un colpo di obice seppellisse per sempre le loro esistenze. Solo ieri notte, contraddicendo agli ordine dell’apprensivo padre, Ahmed strisciando sul pavimento si è avventurato dinnanzi ad una finestra per dare uno sguardo all’inferno circostante. Ha visto il carro armato muoversi a 30 metri da lui ed andare a sbattere contro la saracinesca di un supermercato, aprire una breccia e di seguito smontare dal mezzo corazzato alcuni sodati. Li ha visti recarsi festosi a “fare la spesa”. «Hanno riempito il blindato a tal punto che facevano fatica e rientrarci dentro». Dopodiché mi ha descritto le risa, i canti di scherno, che per tutta la notte hanno intercalato le esplosioni. «Alì, Mohammed, this is a message to your Allah Akbar!». La resistenza che per alcuni giorni era riuscita stoicamente a limitare l’avanza dei mortiferi mezzi blindati israeliani, si è come eclissata nelle ultime ore. Lo scontro è impari, i kalashnikov fanno il solletico alle corazze dei tanks, al contrario i colpi di obice riescono a perforare le case da una parte all’altra. Il quartiere residenziale di Abraj Towers, popolato per lo più dalle famiglie dei professori che insegnano alle università di Al Aqsa, notoriamente vicino a Fatah, non ospitano «terroristi di Hamas». Come ne sono a conoscenza io, è ovvio che ne sono informati anche a Tel Aviv, ma per loro non conta, il quartiere è stato ridotto un cumulo di decadenti macerie. A fianco dei palazzi colpiti, l’ospedale Al Quds, dato alle fiamme nella giornata di ieri. I miei compagni, volontari dell’Ism, hanno assistito il personale medico nell’evacuare i 300 feriti ricoverati nell’altro ospedale di Gaza city, il principale, lo Shifa. Ci hanno impiegato diverse ore, specie perché per il trasposto di alcuni pazienti gravissimi sarebbe stato necessario avvalersi di ambulanze specializzate, che i palestinesi non hanno a disposizione. Con il dottor Dagfinn Bjorklind dell’ong novergese Norwac abbiamo atteso gli ultimi evacuati e posto alcune domande agli infermieri scampati all’incendio dell’Al Quds. Resoconti agghiaccianti, confermati anche dai miei compagni testimoni oculari. A duecento metri dall’ospedale stavano riversi in strada circa una trentina di corpi, molte donne e bambini, alcuni dei quali ancora in grado di produrre minimi movimenti. Non hanno potuto raggiungerli, cecchini posti sui tetti delle case sparavano a qualsiasi cosa si muovesse. Quei corpi sanguinanti per strada, erano civili in fuga dalle loro case colpite e incendiate dalle bombe. Gli snipers israeliani non hanno esitato un secondo a stenderli uno ad uno, appena inquadrati nel centro dell’occhio del loro mirino, bambini compresi. Vi confido che il mio «restiamo umani» ha vacillato spesso in questi ultimi giorni, ma resiste. Resiste come l’orgoglio, l’attaccamento alla terra natia intesa come identità e diritto alla autodeterminazione della popolazione di Gaza, dai professori universitari alla gente incontrata per strada, i medici e gli infermieri, i reporter, i pescatori, gli agricoltori, uomini e donne e adolescenti, quelli che hanno perso tutto e quelli che non avevano già più nulla da perdere, fino all’ultimo fiato in gola mi esprimono l’inshallah di una vittoria vicina, il sincero convincimento che le loro radici raggiungono profondità tali da non permetterne la recisione a nessun bulldozer nemico. Mentre scrivo uno schermo televisivo vicino riporta immagini all’interno dell’ospedale Al Shifa, uomini in lacrime si battono le mani sul viso come per arginare lo sfociare di lacrime di disperazione. A Shija’ya, est di Gaza city, un colpo sparato da un carro armato ha mietuto 7 vittime, e 25 feriti. Stavano tutti riuniti in veglia funebre per un lutto che aveva colpito la loro famiglia il giorno precedente. Ieri il ministro della Difesa israeliano Ehud Barak si è scusato conil segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, per i colpi di artiglieria caduti sulla sede dell’Agenzia Onu per i rifugiati palestinesi a Gaza City (fra l’altro costruita con i soldi del governo italiano). “Si è trattato di un grave errore”, queste le sue parole. Non una richiesta di perdono per la famiglie dei 357 bambini palestinesi uccisi sino ad oggi. Evidentemente non si è trattato di un errore. Da un paramedico della croce rossa ho ascoltato il resoconto del loro arrivo sulla scena del massacro di Zaitun. Un bambino, visibilmente denutrito stava accucciato dinnanzi al corpo della madre in avanzato stato di decomposizione. Per quattro giorni si era preso cura di quel corpo come se fosse ancora vivo; l’aveva asciugato dal sangue sulla fronte e strisciando fra le macerie della loro casa si era procurato acqua, pane e dei pomodori, e li aveva messi di fianco al viso della madre morta. Pensava stesse semplicemente dormendo. I soccorsi della Croce rossa sono riusciti a raggiungere il luogo del massacro solo parecchi giorni dopo, perché impediti dai cecchini israeliani. Credo che basterebbe solo questo di episodio per far sì che domani, durante la manifestazione di Roma e la marcia di Assisi siano ben visibili cartelli e striscioni che ricordano il 729. Il numero che tutti dovremmo tenere impresso per riconoscere e boicottare i prodotti Made in Israel. Abbiamo l’opportunità di cambiare le cose senza appaltare il nostro desiderio di rimanere umani. Restiamo umani Articolo che Vittorio scrisse per il manifesto il 18 gennaio 2009 da Gaza
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italianiinguerra · 2 months
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23 luglio 1938, quattro Medaglie d'oro per il CTV a Benafer
Il 23 luglio 1938 nei combattimenti che si svolsero intorno al piccolissimo centro di Benafer, nella regione di Valencia, quattro valorosi soldati inquadrati nel Corpo Truppe Volontarie si guadagnavano, tutti alla memoria, la più alta decorazione militare italiana, la Medaglia d’Oro. Il C.T.V., in precedenza Missione Militare Italiana in Spagna, fu il corpo di spedizione italiano, composto in…
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brookstonalmanac · 1 year
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Events 8.24 (after 1900)
1909 – Workers start pouring concrete for the Panama Canal. 1911 – Manuel de Arriaga is elected and sworn in as the first President of Portugal. 1914 – World War I: German troops capture Namur. 1914 – World War I: The Battle of Cer ends as the first Allied victory in the war. 1929 – Second day of two-day Hebron massacre during the 1929 Palestine riots: Arab attacks on the Jewish community in Hebron in the British Mandate of Palestine, result in the death of 65–68 Jews; the remaining Jews are forced to flee the city. 1931 – Resignation of the United Kingdom's Second Labour Government. Formation of the UK National Government. 1932 – Amelia Earhart becomes the first woman to fly across the United States non-stop (from Los Angeles to Newark, New Jersey). 1933 – The Crescent Limited train derails in Washington, D.C., after the bridge it is crossing is washed out by the 1933 Chesapeake–Potomac hurricane. 1936 – The Australian Antarctic Territory is created. 1937 – Spanish Civil War: the Basque Army surrenders to the Italian Corpo Truppe Volontarie following the Santoña Agreement. 1937 – Spanish Civil War: Sovereign Council of Asturias and León is proclaimed in Gijón. 1938 – Kweilin incident: A Japanese warplane shoots down the Kweilin, a Chinese civilian airliner, killing 14. It is the first recorded instance of a civilian airliner being shot down. 1941 – The Holocaust: Adolf Hitler orders the cessation of Nazi Germany's systematic T4 euthanasia program of the mentally ill and the handicapped due to protests, although killings continue for the remainder of the war. 1942 – World War II: The Battle of the Eastern Solomons. Japanese aircraft carrier Ryūjō is sunk, with the loss of seven officers and 113 crewmen. The US carrier USS Enterprise is heavily damaged. 1944 – World War II: Allied troops begin the attack on Paris. 1949 – The treaty creating the North Atlantic Treaty Organization goes into effect. 1950 – Edith Sampson becomes the first black U.S. delegate to the United Nations. 1951 – United Air Lines Flight 615 crashes near Decoto, California, killing 50 people. 1954 – The Communist Control Act goes into effect, outlawing the American Communist Party. 1954 – Vice president João Café Filho takes office as president of Brazil, following the suicide of Getúlio Vargas. 1963 – Buddhist crisis: As a result of the Xá Lợi Pagoda raids, the US State Department cables the United States Embassy, Saigon to encourage Army of the Republic of Vietnam generals to launch a coup against President Ngô Đình Diệm if he did not remove his brother Ngô Đình Nhu. 1967 – Led by Abbie Hoffman, the Youth International Party temporarily disrupts trading at the New York Stock Exchange by throwing dollar bills from the viewing gallery, causing trading to cease as brokers scramble to grab them. 1970 – Vietnam War protesters bomb Sterling Hall at the University of Wisconsin–Madison, leading to an international manhunt for the perpetrators. 1981 – Mark David Chapman is sentenced to 20 years to life in prison for murdering John Lennon. 1989 – Colombian drug barons declare "total war" on the Colombian government. 1989 – Tadeusz Mazowiecki is chosen as the first non-communist prime minister in Central and Eastern Europe. 1991 – Mikhail Gorbachev resigns as head of the Communist Party of the Soviet Union. 1991 – Ukraine declares itself independent from the Soviet Union. 1995 – Microsoft Windows 95 was released to the public in North America. 1998 – First radio-frequency identification (RFID) human implantation tested in the United Kingdom. 2006 – The International Astronomical Union (IAU) redefines the term "planet" such that Pluto is now considered a dwarf planet. 2012 – Anders Behring Breivik, perpetrator of the 2011 Norway attacks, is sentenced to 21 years of preventive detention. 2014 – A magnitude 6.0 earthquake strikes the San Francisco Bay Area; it is the largest in that area since 1989. 2017 – The National Space Agency of Taiwan successfully launches the observation satellite Formosat-5 into space.
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LE "NOYADES" DI NANTES
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LE "NOYADES" DI NANTES
Prove tecniche di stermino di massa durante la rivoluzione francese
  Autunno 1793, il Terrore imperversava a Parigi ed in tutta la Francia, il Comitato di Salute Pubblica, stretto attorno a Robespierre, si affannava a punire con la morte tutti i nemici della repubblica, sospendendo, o meglio negando, i principi di libertà e di fraternità che avevano tenuto a battesimo la dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino dell’agosto 1789. Solo l’eguaglianza sopravviveva, seppur trasfigurata nell’imperativo di asservire con il Terrore tutti i cittadini alla repubblica, al fine di salvare la repubblica stessa.
La deriva verso il più feroce estremismo fu graduale, dettata dalla politica contingente. Nel gennaio del 1793 la decapitazione di Luigi XVI, dopo un processo farsesco, radicalizzò lo scontro con le monarchie europee. La guerra, voluta nell’aprile del 1792 dai girondini per smascherare le ambiguità dei foglianti e della monarchia ed assicurare lauti profitti alla borghesia mercantile, si trasformò in uno scontro ideologico, in cui la Francia regicida era costretta a lottare per la propria sopravvivenza, dal momento che la ghigliottina aveva troncato insieme alla testa di Luigi XVI ogni ipotesi di compromesso e di convivenza con il resto dell’Europa.
Maximilien de Robespierre
Dopo aver invocato la guerra i girondini si mostrarono incapaci di gestirla sia sul piano politico che su quello militare.
L’esercito francese non era pronto: gli equipaggiamenti erano insufficienti, l’emigrazione aveva gravemente indebolito il corpo ufficiali. Su 9000 ufficiali la metà aveva abbandonato la Francia. I battaglioni di volontari, pur animati dall’entusiasmo suscitato dalla propaganda rivoluzionaria, che presentava la guerra come una crociata per la sopravvivenza della Francia e l’instaurazione della libertà universale, erano privi di un adeguato addestramento. Il proposito di Dumouriez, posto dai girondini a capo dell’esercito, di superare i vistosi limiti della sua armata grazie ad una guerra breve, resa più agevole per le armi francesi dall’insorgere delle popolazioni confinanti al richiamo dei valori della rivoluzione, divenne utopia dopo il gennaio 1793.
Tra febbraio e marzo del 1793, l’Inghilterra e la Spagna ruppero la loro preoccupata neutralità e dichiararono guerra alla Francia. L’improvviso estendersi del conflitto impose la chiamata otto le armi di oltre 300.000 uomini, accendendo forti resistenze in tutto il paese.
Nel marzo del 1793, il generale Dumouriez, i cui legami con i girondini erano ben noti, concluse segretamente un armistizio con gli austriaci e tentò di organizzare un colpo di stato, ma il rifiuto delle sue truppe di volgersi contro la Convenzione lo costrinse a consegnarsi al nemico.
Il tradimento di Dumouriez gettò l’ombra del sospetto sui girondini e diffuse in tutta la Francia una nuova ondata di panico a cui seguì la persecuzione dei nemici veri o presunti della rivoluzione. Ovunque, su iniziativa dei sanculotti, nacquero Comitati di Sorveglianza che si incaricarono di controllare e di fermare i sospetti.
All’inizio di aprile i giacobini acuirono la loro animosità versi i girondini accusandoli di tradimento e di colpevole debolezza nella condotta della guerra ed invocando misure straordinarie come il calmiere dei prezzi e le requisizioni per soddisfare le pressanti necessità dell’esercito e delle classi popolari.
Sempre più logorati ed incalzati dall’offensiva giacobina, i girondini dovettero concedere prima l’abolizione dell’inviolabilità dei deputati contro cui esistessero forti presunzioni di complicità con i nemici della rivoluzione; poi l’istituzione, sotto l’influsso di Danton, di un Comitato di Salute Pubblica per coordinare gli sforzi bellici; infine l’introduzione di un calmiere dipartimentale dei prezzi dei foraggi e dei cereali.
Tali concessioni non furono tuttavia sufficienti ad evitare la caduta della Gironda.
Nel giugno del 1793, esasperati dall’andamento assai incerto della guerra, i sanculotti dei sobborghi di Parigi, con la piena complicità dei giacobini, accerchiarono la Convenzione e chiesero l’arresto dei deputati girondini. La convenzione cedette, aprendo così la strada alla dittatura giacobina.
La teoria, elaborata fin dal 1789 da Sieyès, del potere illimitato ed assoluto delle assemblee rappresentative incaricate dalla nazione sovrana di produrre una nuova costituzione si saldò con le invocazioni di Marat all’avvento di un dittatore capace di vincere l’inerzia e la volubilità delle masse e di liberare la giovane repubblica da quanti all’interno ed all’esterno intendevano soffocarla, instaurando così libertà, felicità e prosperità definitivamente. Le incertezze dell’andamento della guerra, il degenerare della contrapposizione politica tra girondini e giacobini, l’estremismo della base rivoluzionaria, il dilagare dell’ossessione per i tradimenti e le cospirazioni controrivoluzionarie deformarono il nucleo ideologico e giuridico della rivoluzione, rappresentato dalla teoria di Sieyès del potere costituente, sino ad inglobarvi anche l’idea della dittatura terroristica giacobina, intesa come una fase transitoria, ma indispensabile, violentissima, ma salvifica.
Dopo aver epurato la Convenzione dei “traditori” girondini, il gruppo dirigente giacobino si affrettò, con l’appoggio della pianura, preoccupata di essere tacciata di tiepido spirito rivoluzionario, ad approvare una nuova costituzione molto avanzata sul terreno della democrazia politica, grazie all’introduzione del suffragio universale e del referendum popolare, e con caute aperture alla democrazia sociale, attraverso l’affermazione del principio generale dell’assistenza pubblica agli indigenti. L’assolvimento del compito costituente della Convenzione non fece tuttavia svanire le minacce all’edificio rivoluzionario, anzi le alimentò, fornendo ampie giustificazioni al differimento dell’applicazione della nuova costituzione sino alla pace ed al consolidamento del potere nelle mani dei giacobini.
Soltanto dopo aver saldamente assunto il potere Robespierre si preoccupò di chiarire sul piano teorico la legittimità della dittatura rivoluzionaria. Nel rapporto Sui principi del governo rivoluzionario del 5 nevoso II (25 dicembre 1793) scrisse: “Il fine del governo costituzionale è di conservare la Repubblica; quello del governo rivoluzionario di fondarla. La rivoluzione è la guerra della libertà contro i suoi nemici; la costituzione è il regime della libertà vittoriosa e tranquilla. […] Il governo costituzionale si occupa principalmente della libertà civile [cioè della garanzia delle libertà individuali]; e il governo rivoluzionario della libertà pubblica [cioè la salvezza della comunità e l’indipendenza della nazione]. Sotto il regime costituzionale basta proteggere gli individui contro gli abusi del potere pubblico; sotto il regime rivoluzionario il potere è costretto a difendersi contro tutte le fazioni che lo attaccano. Il governo rivoluzionario deve ai buoni cittadini tutta la protezione nazionale; ai nemici del popolo non deve che la morte.”. Prima di ottenere una definitiva formulazione teorica la dittatura giacobina fu costruita giorno dopo giorno, emergenza dopo emergenza, ribellione dopo ribellione, atrocità dopo atrocità, dilapidando il patrimonio ideale della rivoluzione con l’intento di preservarlo.
L’arresto dei girondini, eliminando dalla scena politica i fautori di una politica moderata, sensibile alla difesa della libertà economica, alimentò in molte province, soprattutto nel sud est, lo spirito di ribellione. Bordeaux, Marsiglia, Tolone, Montbrison e Lione insorsero.
La sollevazione della Vandea, iniziata nel mese di marzo per porre fine alla coscrizione ed alla persecuzione dei preti refrattari, assunse nel corso dell’estate del 1793 dimensioni imponenti, mettendo in fuga le armate inviate prontamente da Parigi con il compito di ristabilire l’ordine.
Le sorti della guerra intanto volgevano a sfavore della Francia: tutti i territori occupati erano stati riconquistati dal nemico, Parigi stessa era esposta a gravissimi rischi.
Alle difficoltà politiche e militari si aggiungevano quelle economiche: l’inflazione continuava a crescere e l’assegnato a svalutarsi. Le derrate alimentari che affluivano nei mercati erano insufficienti a sfamare la popolazione.
Difronte a questa grave situazione, prossima alla disgregazione della Francia, i giacobini diedero prova di grande fermezza, mettendo però da parte ogni residuo di spirito umanitario. Nel luglio del 1793, essi ottennero dalla Convenzione la ristrutturazione del Comitato di Salute Pubblica che fu trasformato in un governo di guerra, dotato di ampie competenze in tutti i campi: dal controllo dell’ordine pubblico alla diplomazia, dalla regolazione delle attività economiche alla condotta delle operazioni militari. Per enfatizzare il carattere transitorio della dittatura giacobina il decreto del 14 Frimaio II (4 dicembre 1793), che riorganizzò il governo rivoluzionario, stabilì la rielezione mensile da parte della Convenzione dei membri del Comitato. Tale ossequio formale alla centralità della Convenzione nel sistema politico non impedì che il Comitato finisse di fatto per imporsi sull’assemblea rappresentativa. La rielezione dei membri dell’esecutivo divenne una pura formalità, dal momento che il governo rivoluzionario giacobino possedeva efficaci strumenti di ricatto, di intimidazione e, all’occorrenza, di repressione nei confronti di qualsiasi oppositore, dentro e fuori la Convenzione.
Danton, ritenuto ondivago ed incline al compromesso, fu messo da parte; la guida del Comitato passò nelle mani uomini come Billaud-Varenne, Collot-d’Herbois, Barrère, Lindet, Couthon, Carnot, Saint-Just e Robespierre che diedero vita ad un organismo politico estremamente compatto che non esitò a sospendere le garanzie liberali e la democrazia stessa pur di imporre al paese la disciplina necessaria a sostenere lo scontro con i nemici interni ed esterni della rivoluzione.
Al Comitato di Salute Pubblica fu affiancato il Comitato di Sicurezza Generale, anch’esso rieletto di mese in mese, con una competenza specifica sulla polizia politica e sulla giustizia rivoluzionaria. Tra i due comitati, detti di governo, il primo finì per prevaricare sul secondo.
Nei dipartimenti l’organizzazione amministrativa fu semplificata ed improntata alla più rigida centralizzazione. Si impose alle municipalità di rendere conto della loro attività, in particolare quella repressiva nei confronti dei sospetti di attività controrivoluzionarie, ogni dieci giorni ai distretti, che dovevano poi riferire al governo rivoluzionario centrale.
In agosto il Comitato di Salute Pubblica decretò la leva in massa di tutti i giovani tra i 18 ed i 25 anni e pose tutti gli altri cittadini in stato di requisizione, in modo da poterli impiegare, all’occorrenza, nelle fabbricazioni di guerra e nelle retrovie. Grande attenzione riservò anche alla crisi economico-finanziaria. Introdusse il calmiere dei prezzi che inizialmente riguardò soltanto i cereali per poi estendersi gradualmente a quasi tutti i beni ed ai salari.
Il calmiere, unito alle requisizioni dei prodotti alimentari e delle materie prime, stabilizzò l’inflazione e garantì la sussistenza sia delle classi popolari, sia dell’esercito. Neppure il commercio estero sfuggì al controllo del comitato.
L’economia francese fu dunque in gran parte nazionalizzata, sia direttamente, attraverso la creazione di manifatture di stato, sia indirettamente, mediante la fornitura di materie prime e di mano d’opera, il controllo della produzione, la requisizione dei prodotti, l’imposizione di prezzi e salari.
Tutte le misure adottate per la regolazione dell’economia non furono per il comitato il frutto di un disegno ideologico, ma un espediente straordinario e transitorio per affrontare le necessità della guerra.
L’alleanza stretta dai giacobini con l’ala sinistra della rivoluzione, rappresentata dai sanculotti delle sezioni parigine, favorì inoltre lo sviluppo del movimento di scristianizzazione. Il clima di mobilitazione patriottica incoraggiò le sezioni rivoluzionarie ad estendere anche al clero costituzionale l’odio che già da tempo investiva i preti refrattari. I rivoluzionari più intransigenti iniziarono a considerare la Chiesa al servizio della controrivoluzione e ne invocarono l’estirpazione dal corpo della società francese.
Rispetto a questo movimento della base rivoluzionaria il Comitato di Salute Pubblica ebbe un atteggiamento oscillante. Da principio assecondò la scristianizzazione tollerando la chiusura delle chiese, introducendo il calendario repubblicano che eliminava dalla vita quotidiana ogni riferimento al cristianesimo per celebrare invece la patria, le stagioni ed i mestieri; poi si sforzò di contenerla. Robespierre riteneva pericolosa la scristianizzazione in quanto da un lato avrebbe fomentato l’ateismo, lontano dalla sensibilità popolare e foriero di immoralità pubblica e privata; dall’altro avrebbe fanatizzato i già numerosi nemici della repubblica. Sulla base di tali considerazioni il comitato rifiutò di dare una sanzione formale alla scristianizzazione imponendo per legge il divieto di culto.
Il principale strumento di governo del Comitato di Salute Pubblica fu il Terrore, cioè la condanna a morte, spesso a seguito di processi sommari, talvolta senza neppure un simulacro di processo, di tutti i sospetti oppositori della dittatura giacobina: nobili, preti refrattari, cittadini stranieri, simpatizzanti girondini, accaparratori di generi alimentari, commercianti che eludessero il calmiere dei prezzi. Robespierre interpretò il Terrore come una giustizia “pronta, severa, inflessibile” che fosse emanazione diretta della virtù repubblicana, cioè, rifacendosi alla tradizione classica, dell’amore e della devozione verso la patria e le sue leggi.
La legge sui sospetti, approvata nel settembre 1793, costituì la cornice legale del Terrore. Essa definiva i sospetti in maniera così elastica da rendere onnipotenti i Comitati di Sorveglianza incaricati di applicarla. Il sospetto prendeva di mira l’autore possibile di un reato eventuale a causa delle sue opinioni e non il presunto colpevole di un fatto realmente compiuto. L’arbitrio aveva in questo modo campo libero. Una volta deferiti dai comitati di sorveglianza ai tribunali rivoluzionari, i sospetti erano spacciati, non avendo la possibilità né di ricorrere in appello né di difendersi concretamente. Spesso i processi si risolvevano con l’accertamento dell’identità dei sospetti, a cui seguiva la lettura della sentenza di morte.
Gli annegamenti a Nantes
L’organismo esecutivo della legge sui sospetti e del Terrore furono i Comitati di Sorveglianza. Sorti spontaneamente tra la base rivoluzionaria dei sanculotti delle sezioni parigine e di molti comuni, anche piccoli, i comitati furono istituzionalizzati, prima nel marzo e poi in settembre del 1793, con il riconoscimento formale di tutti i poteri che nel frattempo si erano arrogati: compilare liste di sospetti, procedere ad arresti e perquisizioni, rilasciare certificati di civismo, controllare i documenti dei militari in licenza, arrestare chiunque fosse sprovvisto della coccarda tricolore.
L’inasprimento della repressione impose inoltre, nel settembre 1793, un rimaneggiamento del Tribunale Rivoluzionario. Esso fu chiamato a giudicare senza appello né cassazione ogni iniziativa controrivoluzionaria, ogni attentato contro la libertà, l’eguaglianza, l’unità e l’indivisibilità della repubblica, la sicurezza interna ed esterna e tutti i complotti tendenti a restaurare la monarchia. Alla Convenzione era riservata la nomina dei giudici e dei giurati e soprattutto la chiamata in giudizio dei sospetti.
Per i reati contro la repubblica il tribunale criminale di ogni dipartimento poteva sedere “rivoluzionariamente”, seguendo le stesse regole fissate per il Tribunale rivoluzionario di Parigi; nelle regioni dove infuriava la guerra civile furono invece istituite apposite commissioni militari per giudicare i sospetti.
La politica del Terrore fu inaugurata nell’ottobre del 1793 con la condanna a morte di Maria Antonietta. L’esecuzione della regina vanificò ogni residua, nonché flebile, illusione di una soluzione diplomatica della guerra. A breve distanza salirono sul patibolo i deputati girondini, arrestati in giugno, ed alcuni dei capi dei foglianti, il duca di Orléans, Filippo Egalité e madame Roland, una delle anime politiche del gruppo girondino.
Negli ultimi tre mesi del 1793 su 395 accusati presso il Tribunale Rivoluzionario 177 furono ghigliottinati, cioè il 45%. Il numero degli arresti subì una impennata. Nel dicembre 1793 i detenuti nelle galere parigini superarono le 4500 unità, in agosto non erano più di 1500.
Alla periferia della repubblica l’anello di congiunzione tra il governo rivoluzionario centrale da una parte ed i comitati di sorveglianza e le amministrazioni locali dall’altra erano i rappresentanti della Convenzione in missione, dotati di poteri pressoché illimitati. La loro funzione era normalmente quella di sovraintendere alla mobilitazione ed al dispiegamento dell’esercito e di coordinare gli sforzi bellici, e perciò rivoluzionari, della cittadinanza, ma nelle regioni in cui si fossero verificate sollevazioni controrivoluzionarie tale funzione si riduceva alla messa in pratica del Terrore, cioè dell’inflessibile punizione di tutti i nemici veri o presunti della repubblica.
Mentre a Parigi il Terrore era modulato direttamente dal governo rivoluzionario coniugando l’imperativo di imporre alla Francia la disciplina necessaria a sconfiggere i suoi nemici con la salvaguardia di larvate procedure formali, nei dipartimenti esso era condizionato non solo dalle direttive che provenivano dal centro, ma anche dallo zelo e dal temperamento, cioè dalle inclinazioni più o meno sanguinarie, dei rappresentanti in missione.
A Lione, riconquistata alla repubblica dopo un lungo assedio nell’ottobre del 1793, il rappresentante in missione, nonché membro del Comitato di Salute Pubblica, George Couthon, pur invocando la necessità di rieducare la popolazione a cominciare dall’alfabeto rivoluzionario e dall’imposizione alla città di un nuovo nome, Ville-Affranchie, Città Liberata, non scatenò la sua ferocia sulle persone ma sui simboli della prosperità lionese che ai suoi occhi aveva alimentato la rivolta. Il 26 ottobre nella Place Bellecour, dove sorgevano le più eleganti residenze nobiliari della città, Couthon, dalla sua sedia da invalido, pronunciò una accorata orazione in cui ordinò di abbattere gli edifici che si affacciavano sulla piazza, in quanto essi erano “luoghi criminosi ove la magnificenza regale reca affronto alla miseria del popolo ed alla semplicità di modi repubblicana”. Prima di dare il buon esempio sferrando il primo colpo di mazza tuonò: “Possa questo terribile esempio incutere paura alle future generazioni e insegnare all’universo che la nazione francese, sempre grande e giusta, come sa premiare la virtù, così sa anche aborrire il crimine e punire la ribellione.”.
Nonostante la demolizione di più di 1700 case in tutta la città, la condotta di Couthon fu giudicata fiacca dalla Convenzione che si affrettò ad inviare a Lione altri due suoi autorevoli membri, Fouché e Collot d’Herbois, per attuare forme ben più dirette di castigo.
Fino alla fine di ottobre le condanne a morte non erano state più di trenta ed avevano riguardato quasi esclusivamente ufficiali rei di tradimento e membri in vista della municipalità che si era posta alla guida della rivolta, dopo l’arrivo a Lione di Fouché e di Collot d’Herbois la ghigliottina incominciò invece a lavorare a pieno ritmo. La delazione fu incoraggiata e premiata, il rispetto delle pur sbrigative procedure formali venne presto dimenticato. Tuttavia per quanto i boia lavorassero febbrilmente, sino a mozzare, come risulta dai dati registrati con estrema meticolosità, trentadue teste in venticinque minuti, per i più zelanti interpreti del Terrore occorreva adottare metodi ancora più rapidi ed efficaci per estirpare il male controrivoluzionario. Si ricorse pertanto ad esecuzioni di massa con l’ausilio dei cannoni caricati a mitraglia. La Plaine des Brotteaux, la spianata sulla riva del Rodano da dove Montgolfier aveva iniziato al sua ascensione con il pallone aerostatico, fu il teatro di questa atrocità. I condannati, sino a sessanta per volta, venivano legati in modo tale da formare una sola fila, quindi abbattuti a cannonate. Coloro che non rimanevano uccisi all’istante erano finiti a colpi di baionetta, sciabola e fucile. Il 4 dicembre 1793 Dorefeuille, l’ex attore che comandava i plotoni di esecuzione, scrisse al presidente della Convenzione annunciandogli che in quel solo giorno erano stati giustiziati centotredici abitanti di “questa nuova Sodoma” e che in quelli seguenti egli sperava di “fare espiare i loro crimini con il fuoco e il piombo” ad altri quattro o cinquecento.
Quando le stragi nella Ville-Affranchie terminarono, il numero dei giustiziati aveva raggiunto le 1905 unità.
Jean-Baptiste Carrier
La ferocia sanguinaria della repressione attuata a Lione non si ripeté a Marsiglia, dove i propositi di vendetta dei répresentants-en-mission Barras e Fréron furono mitigati dagli scrupoli formali del locale tribunale rivoluzionario che su 975 cittadini rinviati a giudizio ne mandò assolti quasi la metà. A Bordeaux Jean Lambert Tallien al sangue impuro dei sospetti preferì i loro averi. Per garantire una vita lussuosa alla sua giovane amante aristocratica avviò al patibolo solo coloro che non fossero in grado di pagare lautamente la propria libertà. Accumulò una fortuna, offrendo al boia non più di centinaio di teste da tagliare.
A Nantes invece il macabro esempio di Lione fu addirittura superato in efferatezza dall’operato del più scellerato tra i terroristi in missione: Jean-Baptiste Carrier.
Figlio di un piccolo proprietario terriero dell’Alvernia, Carrier (1756-94), dopo aver concluso i suoi studi di diritto a Parigi, entrò nel 1784 in magistratura, ottenendo la carica di procuratore ad Aurillac, nelle vicinanza del suo paese natale, Yolet. Né il suo ufficio di magistrato, né il matrimonio contratto con Françoise Laquairie valsero a contenere la passione politica accesa in lui dalla rivoluzione. Nel 1792 la sua militanza nel locale club dei giacobini, dove si era fatto notare come oratore ispirato ed estremista, fu premiata con l’elezione alla Convenzione da parte dei cittadini del dipartimento di Cantal, in Alvernia. Giunto a Parigi non tardò a farsi strada: ottenne dalla Convenzione la nomina a Commissario nelle Fiandre appena occupate. Esaurito il suo compito, votò la condanna a morte di Luigi XVI, si batté per l’instaurazione del tribunale rivoluzionario e fu tra i primi ad invocare l’arresto di Filippo d’Orléans. Nell’estate del 1793 Carrier fu nuovamente mandato in missione, prima in Normandia e poi, in agosto, a Nantes, a ridosso dell’area interessata dalla sollevazione vandeana.
Il suo predecessore Fouché aveva in marzo sciolto il locale comitato rivoluzionario giudicandolo troppo moderato ed aveva insediato un Comitato di Sorveglianza che, sotto la guida di Jean Jacques Goullin, Pierre Chaux, entrambi avidi commercianti senza scrupoli, e Jean Marguerite Bachelier, un fanatico con un passato da seminarista, si era affrettato a procedere numerosi arresti per scongiurare il pericolo che gli insorti della Vandea potessero trovare a Nantes sostenitori e simpatizzanti. Non appena giunse in città Carrier diede un ulteriore impulso agli arresti.
Nel mese di ottobre, dopo la sconfitta dell’armata vandeana a Cholet, ai già numerosi sospetti si aggiunse nelle carceri una moltitudine di prigionieri di guerra, i cosiddetti briganti vandeani. Quasi diecimila detenuti furono stipati in condizioni igieniche disastrose nei carceri cittadini: Saintes Claires, Bouffay e Le Bon Pasteur. Successivamente, per contenere tutti i nemici della repubblica fu requisito anche l’Entrepôt des cafés, l’imponente deposito del caffé posto in prossimità del porto, simbolo della ricchezza commerciale di Nantes. Si giunse persino a trasformare alcune navi in disarmo come prigioni galleggianti.
La comparsa di casi di tifo tra i prigionieri del carcere del Bouffay, posto nel cuore medievale di Nantes, non lontano dal Tribunale Rivoluzionario, allarmò le autorità cittadine, ponendo all’ordine del giorno l’adozione di metodi di sterminio che non solo incutessero terrore, ma risolvessero con estrema rapidità il sovraffollamento delle carceri. Anche tralasciando ogni formalismo giuridico sia la ghigliottina, sia il plotone di esecuzione furono giudicati troppo lenti da Carrier che propose di ricorrere alle “deportazioni verticali”, come egli stesso le definì, cioè all’annegamento di massa dei prigionieri nelle acque della Loira. Nella sua mente ormai sconvolta dall’alcoolismo, con cui da tempo tentava di assuefarsi al sangue, e dal fanatismo giacobino, che si nutriva della disumanizzazione degli avversari, le noyades furono la risposta più brutale, sbrigativa e perciò rivoluzionaria ad una emergenza sanitaria che, sorta tra i prigionieri, considerati alla stregua di detriti umani, di scorie pericolose, minacciava di estendersi ai buoni cittadini repubblicani.
Chi non annegava veniva ucciso a colpi di lancia
Sulle fiancate di barconi a chiglia piatta erano praticati dei fori sotto la linea di galleggiamento, sui quali venivano inchiodate delle tavole di legno in modo che i barconi stessero provvisoriamente a galla. Si facevano poi salire a bordo i prigionieri, con mani e piedi legati, ed i barconi venivano sospinti al centro del fiume. Allora il barcaiolo-carnefice fracassava o schiodava le tavole e si affrettava a saltare su di un’altra imbarcazione, mentre le vittime guardavano impotenti l’acqua che iniziava a sommergerli. Chi tentava di salvarsi dall’annegamento gettandosi dal barcone, veniva ucciso a sciabolate una volta nell’acqua.
Poiché tale sistema di annientamento dei nemici della rivoluzione richiedeva carnefici dalla coscienza particolarmente indurita oppure ottenebrata, Carrier creò la “Legione Marat”, composta da sanculotti spietati, ad essi affiancò i cosiddetti “ussari americani”, un gruppo di ex schiavi di Santo Domingo, assetati di vendetta. Preferendo passare le sue notti gozzovigliando, non assunse direttamente il comando delle operazioni, ma lo affidò a Guillaume Lamberty, un carrozziere che aveva combattuto a Cholet.
La prima noyade avvenne in novembre, Lamberty ed i suoi uomini annegarono, con il favore delle tenebre, circa novanta preti. Soltanto uno di essi riuscì fortunosamente a mettersi in salvo. Nei mesi successivi il macabro rituale si ripeté più volte; vi presero parte anche membri in vista del Comitato di Sorveglianza come Goullin che guidò l’irruzione notturna nel carcere del Bouffay dove radunò a caso, essendo troppo ubriaco per leggere la lista che aveva portato con sé, circa centotrenta detenuti per avviarli allo sterminio.
Con il ripetersi degli annegamenti l’orrore divenne routine, cancellando ciò che restava della pietà nella coscienza dei carnefici. Non si attese più la notte per uccidere, ma lo si fece in pieno giorno, infierendo sulle vittime, tra cui, almeno nell’ultima noyade del febbraio 1794, vi furono anche bambini e neonati. Neppure un brandello di dignità fu risparmiato agli esseri umani che il sospetto aveva trasformato in scorie da schernire e da distruggere. Con raccapricciante umorismo i sanculotti coniarono espressioni come “battesimo repubblicano” e “matrimonio repubblicano” per indicare l’ultimo umiliante sberleffo da imporre alle vittime in punto di morte. I prigionieri erano spogliati degli abiti e di tutti i loro averi; preti e suore, giovani e ragazze venivano legati insieme in pose oscene prima di essere cacciati a forza sui barconi ed annegati.
L’esecrazione delle noyades da parte di Robespierre valse ad interrompere lo sterminio a Nantes, ma non determinò l’arresto di Carrier che fu richiamato a Parigi ed eletto segretario della Convenzione. Soltanto dopo il Termidoro (luglio 1794) Carrier, nonostante si fosse prontamente schierato a favore del colpo di stato contro Robespierre, fu processato e condannato a morte nel novembre del 1794. Anche la testa di Lamberty rotolò nel cesto del boia. Sorte diversa ebbero invece altri responsabili delle noyades come Goullin, Bachelier e Chaux che furono processati ed assolti.
Le stime di coloro che morirono nelle acque della Loira tra il novembre 1793 ed il febbraio 1794 sono molto variabili, non furono comunque meno di duemila, anche se secondo alcune fonti sfiorarono le quattromilaottocento unità. Al di là dei numeri l’importanza delle noyades risiede nella sperimentazione di impersonali sistemi di sterminio di massa che rivelano un aspetto della mentalità rivoluzionaria molto prossimo ai tratti psicologici tipici degli autori dei genocidi del XX secolo. A Nantes nell’anno II mancò quella saldatura tra tecnologia, disumana follia politica ed efficienza burocratica che avrebbe caratterizzato i genocidi del XX secolo, tuttavia fu sperimentato il corredo ideologico indispensabile per procedere ad uno sterminio di massa.
La violenza accompagnò tutto il processo rivoluzionario, ma a Nantes accadde qualcosa di nuovo. Il potere costituito, e non una folla di scalmanati accecati dall’odio, come nel caso dei massacri nelle carceri parigine del settembre 1792, abbandonò ogni parvenza di legalità per sterminare il più rapidamente possibile una categoria di cittadini ritenuta così colpevole da non meritare alcuna umanità, né alcun indugio procedurale. La scelta dello sterminio non fu inoltre il parto di una mente criminale isolata. Certo Carrier offrì alla rivoluzione la sua sanguinaria creatività, ma non ebbe difficoltà a trovare complici solerti ed entusiasti. Né mancarono altri “ardenti patrioti” che si sforzarono di escogitare mezzi di sterminio rapidi, impersonali e di devastante potenza.
Dopo aver sconfitto sul campo le forze vandeane, la repubblica procedette all’annientamento sistematico ed indiscriminato della popolazione e del territorio della Vandea. Ogni distinzione tra combattenti e non combattenti venne considerata un tradimento degli imperativi rivoluzionari. La deportazione in massa, lo spopolamento di intere regioni e persino l’impiego di gas (fumigations) capaci di asfissiare il nemico furono presi in considerazione per estirpare lo spirito di ribellione dal cuore della Vandea. Soltanto le difficoltà tecniche per la realizzazione di tali progetti imposero di ricorrere a forme di stermino più tradizionali e sperimentate. Le dodici “colonne infernali” del generale Turreau furono incaricate di attraversare la Vandea e di massacrare ogni essere vivente che avessero incontrato sul loro cammino: uomini, donne, vecchi e bambini, fiancheggiatori della rivolta e repubblicani.
  Bibliografia
LEFEBVRE GEORGE, La rivoluzione francese, Torino, Einaudi, 1987.
SOBOUL ALBERT, Storia della rivoluzione francese, Milano, Rizzoli, 1988.
SCHAMA SIMON, Cittadini. Cronaca della Rivoluzione francese, Milano, Mondadori, 1989.
FURET FRANCOIS, OUZUF MONA. (a cura di), Dizionario critico della rivoluzione francese., Milano, Bompiani, 1988.
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condamina · 2 years
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Il Comitato Militare del Piemonte gettò le basi, tra il gennaio e il marzo del 1944, del Corpo dei Volontari della Libertà piemontese
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