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#Il lavoro del poeta
fridagentileschi · 8 months
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Malva Marina Reyes Hagenaar, la figlia abbandonata di Neruda
Il poeta cileno, Pablo Neruda,ha avuto un'unica figlia dalla prima moglie, María Antonia Hagenaar Vogelzang di origine ebraica che lui aveva ribattezzato ''Maruca''. La bambina nata a Madrid, al principio era stata accolta con gioia dal poeta..fino a quando non seppe che la bimba era affetta da idrocefalia, allora non ci pensera' due volte ad abbandonare mamma e figlia-
Tornera' in Cile a scrivere le sue poesie e a vivere nuove storie d'amore. La moglie che gli neghera' il divorzio provera' a chiedergli aiuto per la figlia che non puo' ne' parlare ne' camminare ma non ricevera' piu' nulla.
La moglie con l'aiuto di un amico andra' a vivere nella capitale olandese essendo lei di origine olandese.
Le difficoltà si susseguono. Maruca vive in pensioni , il denaro si esaurisce e sua figlia, con il cervello sempre più pieno di liquido, richiede molta più attenzione. Attraverso organizzazioni religiose come Christian Science, Maruca riesce a trovare una famiglia di olandesi residenti a Gouda. Hendrik Julsing e Gerdina Sierks che si accordano per prendersi cura della bambina mentre sua madre cerca lavoro a L'Aia, a meno di un'ora di auto. È trattata come una di famiglia fino alla sua morte, ad otto anni, il 2 marzo 1943. Assumono persino una babysitter, Nelly Leijis, per dedicarsi esclusivamente alla bimba.
Maruca, nel frattempo, non rifiuta nessun lavoro. Si offre di pulire i pavimenti, prendersi cura dei malati, qualunque cosa serva per aiutare la figlia indifesa.
Non ha piu' i genitori e sua figlia cammina verso una fine drammatica. Attraverso la mediazione trova finalmente lavoro, anche se non ben pagato, presso l'ambasciata spagnola a L'Aia. È sotto il comando di José María Semprún, padre dello scrittore Jorge Semprún, poi espulso nel 1964 dal Partito Comunista di Spagna (PCE), che Pablo Neruda ammirava così tanto. Ciò che questa donna deve ancora soffrire non lo immagina.
Poco prima della fine della seconda guerra mondiale, María Antonia fu arrestata dai nazisti - non per essere ebrea, ma per avere un passaporto cileno - e internata nello stesso campo di concentramento dove si trovava Anna Frank. Da Westerbork, progettato per ospitare 107.000 prigionieri, di cui circa 60.000 morti, per lo più ebrei e zingari ai crematori e alle camere a gas di Auschwitz e Treblinka, in Polonia. Maruca vi trascorre un mese tra filo spinato, soldati delle SS e cani addestrati a uccidere. Ma questa volta la fortuna non le avrebbe voltato le spalle. Quando il campo fu rilasciato (15 aprile 1945) dalle truppe canadesi, trovarono vivi solo 876 prigionieri. E tra questi, la moglie abbandonata di Neruda. Nove giorni prima dell'apertura delle porte dell'inferno, Anna Frank, la sua vicina di campo, morì lì.
Non è rimasto nulla di Maria Antonia Hagenaar. Non una lapide che indica la fine del suo percorso . Tre anni dopo il suo rilascio, si reca in Cile per cessare il doloroso capitolo nerudiano. Nel novembre del 1948 firmò il divorzio e un accordo finanziario. Gli ci voleva ancora per tornare in Olanda. Dicono che sia diventata dipendente dall'oppio. Fino a che un cancro la uccise, nel 1965, a L'Aia,ha chiesto di essere seppellita non lontano dalla tomba dove sono i resti della sua amata Malva Marina, che non smise di visitare fino alla fine dei suoi giorni.
L'esistenza di queste due creature e' stata ignorata fino ad ora e sfido a trovarne traccia nella patria di Neruda, il poeta che canto' l'amore come pochi...ma come tanti non seppe amare mai.
Incredibile come nella storia dei comunisti non si trovi un solo essere degno di essere chiamato umano!
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diceriadelluntore · 3 months
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Storia di Musica #330 - Lucio Battisti, Don Giovanni, 1986
Questo disco ha "provenienza" certa: lo ha comprato all'epoca mio papà, che ha sempre avuto una grande passione per il ragazzo di Poggio Bustone. E spesso, negli ultimi anni, qualche volta abbiamo discusso di come, nella lunghissima carriera di Lucio Battisti, la parentesi del decennio '80, per certi versi davvero sorprendente, sia molto meno famosa, al limite dell'inesistenza, del periodo precedente. Un po' perché dopo il 1980 decise di concentrarsi solo sull'aspetto musicale abbandonando le apparizioni televisive, le interviste radiofoniche e dei giornali (ultima rilasciata alla Tv Svizzera Italiana nel 1979), e un po' perché decise di fare tutto da solo, abbandonando il sodalizio con il paroliere Mogol. I primi indizi si hanno nel 1978, quando va in Inghilterra per registrare Una Donna Per Amico: tentativi precedenti di sfondare nel mercato internazionale fallirono, ma Battisti cercava un bisogno di internazionalizzare la proprio musica. Il disco fu prodotto da Geoff Westley, già con i Bee Gees, e con aggiunta di contaminazioni folk, un piccolo valzer (la canzone Perché No) diviene un disco memorabile, e vende 800 mila copie solo in Italia. Il soggiorno inglese sforna un altro lavoro, Una Giornata Uggiosa (1979), ancora con Westley che raduna un gruppo di sessionisti che avevano lavorato con Simple Minds, Cockney Rebels e addirittura il sassofonista dei King Crimson Mel Collins. Il disco, altro successo clamoroso, attinge stavolta al funk e ai ritmi primigeni della new wave. Uscito nel 1980, il disco è l'ultimo lavoro a firma Battisti-Mogol. Sulla separazione ci sono decine di storie sui motivi mai chiariti della decisione. Questo episodio fu l'inizio della reclusione mediatica di Battisti. Che aspetta due anni per ritornare con un disco, E Già, che spiazza completamente il pubblico e la critica. Prodotto da Greg Walsh, già assistente di Westley, è un freddo disco di musica elettronica (non c'è un solo strumento acustico, solo tastiere elettroniche programmate da Walsh) dove Battisti canta i testi scritti da Velezia, pseudonimo della moglie Grazia Letizia Veronese. Un disco che segna un cambiamento profondo, che verrà in parte accolto dal suo pubblico (il disco arriverà al numero 4 in classifica). Nel 1983 aiutando a scrivere le musiche del disco del suo amico Adriano Pappalardo, Battisti incontra Pasquale Panella, poeta romano dalla vena sperimentale e dadaista, con il quale la sintonia è subito interessante, fino a creare un sodalizio, unico e per certi versi irripetibile, che porterà a 5 dischi, descritti poi dalla critica come il "periodo bianco" di Battisti, per via delle copertina di questo colore. In verità, il primo disco della loro collaborazione, ha la copertina beige. Forse quasi a sottolineare il graduale e ulteriore passaggio di concezione musicale.
Don Giovanni (1986) è un disco che musicalmente riesce a coniugare la nuova passione elettronica con il caro, e fortissimo, senso melodico di Battisti, che stavolta è accompagnato da un gruppo di musicisti di respiro internazionale, producendo una musica che è perfettamente inserita nel periodo (a me ricorda certi passaggi dei sofisticati e bravissimi Talk Talk di Mark David Hollis). Ma la dimensione completamente innovativa, e che fece discutere moltissimo, sono i testi di Panella. Infarciti all'inverosimili di figure retoriche, doppisensi, metrica estemporanea e che hanno l'incredibile pregio di sembrare perfetti nella loro assurdità. Esempio classico è Le Cose Che Pensano, diventato suo malgrado un classico: Su un dolce tedio a sdraio\Amore, ti ignorai\E invece costeggiai\I lungomai\M'estasiai, ti spensierai\M'estasiai, e si spostò\La tua testa estranea\Che rotolò (...) Cadere la guardai\Riflessa tra ghiacciai\Sessanta volte che\Cacciava fuori\La lingua e t'abbracciai\Di sangue m'inguaiai\Tu quindi come stai?. Ma si può continuare: E ne parlò, certo che ne parlò\E che saziò i gusti di chi\Vide o intuì, non visto\Gli opposti su un ponte e brume\Su un fiume con molte schiume (Il Doppio Del Gioco); la lista di nomi fantasiosi di Equivoci Amici (Cassiodoro Vicinetti, Olindo Brodi, Ugo Strappi, Sofio Bulino, Armando Pende, Andriei Francisco Poimò, Tristo Fato e così via). Due canzoni spiccano: Il Diluvio, dal bellissimo tappeto sonoro, che nei suoi sognanti 6 minuti ci regala perle come "Dopo di noi diluvierà\Non spioverà, va bene\Noi la fortuna degli ombrellai\Chili di liquidi dopo di noi\Va bene, come vuoi, dopo di noi" oppure "Piove con ghiaccia semplicità\Con truci gocce dal bel luccichio\E piove, piove, piove, siamo annaffiatoi\Dopo di noi il bello verrà\Finché terrà l'ombrello. E poi Don Giovanni, che i più maliziosi vedono come una risposta di Battisti a Mogol che gli aveva rivolto parole pungenti dopo la conclusione del loro rapporto professionale, nel brano La Massa Indistinguibile, interpretato da Mango nell'album Australia (1985): lì Mogol scrive "Cos’è successo al tuo successo\Era un miraggio, un messaggio vuoto\Tu ci hai creduto ed hai perduto\L’autoritratto adesso è scolorito" e Battisti-Panella rispondono così:
Non penso quindi tu sei
Questo mi conquista
L’artista non sono io
Sono il suo fumista
Son santo, mi illumino
Ho tanto di stimmate
Segna e depenna Ben-Hur
Sono Don Giovanni
Rivesto quello che vuoi
Son l’attaccapanni
Poi penso che t’amo
No anzi che strazio
Che ozio nella tournee
Di mai più tornare
Nell’intronata routine
Del cantar leggero
L’amore sul serio
E scrivi
Che non esisto quaggiù
Che sono
L’inganno
Sinceramente non tuo
(Sinceramente non tuo)
Qui Don Giovanni ma tu
Dimmi chi ti paga
Una chiara e credo definitiva concessione alla libertà di non inseguire più il successo, e della libera scelta di scrivere e cantare di altro dal cantar leggero a l'amore sul serio. E l'attaccapanni del testo è il disegno, stilizzato, della copertina, da cui scende uno sciarpone felliniano.
Il disco nonostante la sua natura così strana e straniante ottenne un successo notevole, continuando la serie lunghissima di Numeri Uno di Battisti (che terminerà solo nel 1990 con La Sposa Occidentale, un altro disco stupendo). Rimarrà sempre il dubbio di quando e quanto fosse provocazione e quando e quanto no, Panella dichiarò: Il difetto della canzone e’ quello di avere un senso. Quando sarà insensata sarà vera poesia (…) a me piace portare la canzone all’estenuazione, cercarne il limite estremo, dare alle parole e al loro susseguirsi una strana configurazione. Mettere a rischio le parole, provare a confonderle, prima che loro e la noia abbiano il sopravvento. Lui continuerà anche con altri, regalando delle perle pop che ricordiamo tutti, tipo il Trottolino Amoroso per Minghi e Mietta di Vattene Amore, Dindondio di Zucchero (“Quindi non io, ma una canzone, ti parlerà. Un’emozione, cosa cos’è? È questa qua) e persino In Amore per Gianni Morandi e Barbara Cola (“Ti supererò, in amore andrò molto più lontano dove tu stupore sei, con le mani andrò dove sento il cuore che mi fa capire come stai aspettando me”). Rimane l'inizio di un percorso geniale, a tratti forse anche troppo, che segna l'ultimo periodo di un artista unico come Lucio Battisti. In effetti però capisco che al falò della spiaggia è più facile cantare di bionde trecce, occhi azzurri e poi piuttosto che di:
Con tante madri e il tempo un laghetto
Coi pesci dei giorni
È il gamberetto del mio compleanno che torna lì
Fu molto dopo che dentro la pioggia
Vidi tra mille la goccia d'acqua mia
Prigionia
da Madre Pennuta, 1986.
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donaruz · 4 months
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Chiamami Ancora Amore
youtube
E per la barca che è volata in cielo
Che i bimbi ancora stavano a giocare
Che gli avrei regalato il mare intero
Pur di vedermeli arrivare
Per il poeta che non può cantare
Per l'operaio che ha perso il suo lavoro
Per chi ha vent'anni e se ne sta a morire
In un deserto come in un porcile
E per tutti i ragazzi e le ragazze
Che difendono un libro, un libro vero
Così belli a gridare nelle piazze
Perché stanno uccidendo il pensiero
Per il bastardo che sta sempre al sole
Per il vigliacco che nasconde il cuore
Per la nostra memoria gettata al vento
Da questi signori del dolore
Chiamami ancora amore
Chiamami sempre amore
Che questa maledetta notte
Dovrà pur finire
Perché la riempiremo noi da qui
Di musica e parole
Chiamami ancora amore
Chiamami sempre amore
In questo disperato sogno
Tra il silenzio e il tuono
Difendi questa umanità
Anche restasse un solo uomo
Chiamami ancora amore
Chiamami ancora amore
Chiamami sempre amore
Perché le idee sono come farfalle
Che non puoi togliergli le ali
Perché le idee sono come le stelle
Che non le spengono i temporali
Perché le idee sono voci di madre
Che credevano di avere perso
E sono come il sorriso di dio
In questo sputo di universo
Chiamami ancora amore
Chiamami sempre amore
Che questa maledetta notte
Dovrà ben finire
Perché la riempiremo noi da qui
Di musica e parole
Chiamami ancora amore
Chiamami sempre amore
Continua a scrivere la vita
Tra il silenzio e il tuono
Difendi questa umanità
Che è così vera in ogni uomo
Chiamami ancora amore
Chiamami ancora amore
Chiamami sempre amore
Chiamami ancora amore
Chiamami sempre amore
Che questa maledetta notte
Dovrà pur finire
Perché la riempiremo noi da qui
Di musica e parole
Chiamami ancora amore
Chiamami sempre amore
In questo disperato sogno
Tra il silenzio e il tuono
Difendi questa umanità
Anche restasse un solo uomo
Chiamami ancora amore
Chiamami ancora amore
Chiamami sempre amore
Perché noi siamo amore ❤
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schizografia · 7 months
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Due prin­cipi avversi tra loro muo­vono la nostra esi­stenza spi­ri­tuale: il senso del pit­to­re­sco e il pia­cere del neces­sa­rio. Vor­rei scom­met­tere cento con­tro uno che l’uomo che, per così dire, vive la vita, e cioè il fili­steo, dà la pre­fe­renza al pit­to­re­sco, men­tre il poeta si accon­tenta del neces­sa­rio. Il poeta ha infatti biso­gno di avere via libera nella vita este­riore per poter arri­vare a quei mira­coli che tira fuori da se stesso. Porta nella sua testa tutte le stelle del cielo e, per goderne, ha solo biso­gno di una lam­pada che fun­zioni bene. Sapere che esi­stono vet­ture pub­bli­che che lo con­du­cono rapi­da­mente e como­da­mente al suo tavolo di lavoro è per lui più impor­tante di sapere che nel museo della sua città è appeso un auten­tico Cor­reg­gio. Per il fili­steo, invece, il Cor­reg­gio è indi­spen­sa­bile, anche se non è in grado di distin­guerlo da un auten­tico Knack­fuss. Il fili­steo vive in un pre­sente costi­tuito da attrat­tive turi­sti­che; l’artista tende, invece, verso un pas­sato dotato di tutti i com­fort dell’epoca moderna.
Karl Kraus
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millelenzuola · 6 months
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E per la barca che è volata in cielo
Che i bimbi ancora stavano a giocare
Che gli avrei regalato il mare intero
Pur di vedermeli arrivare
Per il poeta che non può cantare
Per l'operaio che ha perso il suo lavoro
Per chi ha vent'anni e se ne sta a morire
In un deserto come in un porcile
E per tutti i ragazzi e le ragazze
Che difendono un libro, un libro vero
Così belli a gridare nelle piazze
Perché stanno uccidendo il pensiero
Per il bastardo che sta sempre al sole
Per il vigliacco che nasconde il cuore
Per la nostra memoria gettata al vento
Da questi signori del dolore
Chiamami ancora amore
Chiamami sempre amore
Che questa maledetta notte
Dovrà pur finire
Perché la riempiremo noi da qui
Di musica e parole
Chiamami ancora amore
Chiamami sempre amore
In questo disperato sogno
Tra il silenzio e il tuono
Difendi questa umanità
Anche restasse un solo uomo
Chiamami ancora amore
Chiamami ancora amore
Chiamami sempre amore
Perché le idee sono come farfalle
Che non puoi togliergli le ali
Perché le idee sono come le stelle
Che non le spengono i temporali
Perché le idee sono voci di madre
Che credevano di avere perso
E sono come il sorriso di dio
In questo sputo di universo
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ilpianistasultetto · 2 years
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"Studia, studia figlio mio o ti ritroverai come me e tuo padre, due poveri disgraziati sempre a far di conto con le dita sulla punta del naso. Sempre a lavorare 12 ore al giorno senza mai una soddisfazione”
E così è andata. Ricordo solo che nessun genitore ti diceva cosa era meglio studiare. Un po’ perché non lo sapevano neanche loro, povera gente che a malapena sapeva mettere la propria firma, un po’ perché difficilmente si dava ascolto ai genitori. L’adolescenza  è un’età ribelle, quella che porta sempre a fare il contrario di ciò che dice la gente adulta ecosì è andata con quasi tutti i miei compagni di scuola ,  chi figlio di metalmeccanico, chi di piccolo impiegato, artigiano o piccolo commerciante. Chi è diventato medico, chi architetto, chi ingegnere, chi psicologo o sociologo, chi docente o  dirigente di qualche ente.  Si veniva tutti dalla scuola statale, tutti dal liceo. Poi ognuno di noi ha scelto la strada per lui migliore. Oggi no, questa regola non vale più. Oggi devi scegliere già dalle elementari. Si viene plasmati per il lavoro che serve e non per il lavoro che piace. Negli ultimi anni il liceo ha perso metà dei suoi iscritti. Sembra non servire più a niente la conoscenza del latino o del greco, come non serve la grammatica o la filosofia. Oggi sono gli adulti a decidere cosa va studiato e si decide tenendo conto della manodopera che serve al Paese. Spiace solo che i giovani si siano fatti irretire da questo meccanismo perverso. Non più l’essere umano al centro del mondo ma solo l’essere lavoratore e se non entri nel meccanismo ti fanno sentire un fallito. Niente lavoro, niente riconoscimento sociale. Non ci sarà più il filosofo, il poeta, il pittore, il musicista, lo scemo  del villaggio ma sarà tutto un villaggio globale dove ognuno ha i suoi pulsanti da premere, le sue padelle da spadellare, il suo schermo di computer per progettare. Forse diventando troppo grandi si diventa pessimisti ma questo mondo futuro a me proprio non piace. @ilpianistasultetto
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figlidiroma · 12 days
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Sono passati 15 anni, e io sono sempre là.
La statua parlante di Pasquino e i Settecenteschi leoni di Palazzo Braschi. Oggi è la sede del Museo di Roma, un'esposizione di tele, acquerelli, foto e plastici che narrano la storia della città.
Per 50 anni, dall'Unità al 1921, fu sede del Viminale, prima del trasferimento all'attuale sede dietro via Nazionale.
Dal portone del palazzo entrave e usciva Giovanni Giolitti, forse, dopo Cavour, il più importante, discusso e discutibile ministro della storia italiana pre-repubblicana.
Il palazzo nasce sulle macerie del più antico palazzo Orsini a Pasquino: è il 1792, un brutto momento per il potere teocratico e monarchico in un'Europa che assiste inorridita ed impotente allo scatenarsi della furia giacobina.
Papa Pio VI Braschi se ne frega: vuole un bel palazzo per l'amato nipote, il principe Luigi Braschi-Onesti, e lo avrà alle spese del preesistente edificio.
Questo Luigi, per altro, è, forse suo malgrado visto lo sprezzante giudizio che della sua intelligenza dà il procuratore per il Tevere napoloenico, de Tournon, un personaggio formidabilissimo della Roma a cavallo tra papato e era napoleonica. Dico a cavallo a ragion veduta, perché Luigi sa stare in sella sia prima, che dopo l'avvento di Bonaparte: un talento raro in un epoca così turbolenta.
Il futuro papa è zio suo e del piccolo Romualdo: cesenatesi, nascono da Giulio Onesti e da Francesca Braschi, che di Pio VI è sorella. Quando Luigi è abbastanza grande, Pio lo richiama a Roma con il fratello che diverrà cardinale. Il papa celebra nella Cappella Sistina le nozze tra Luigi e Costanza Falconieri, nobildonna della potente famiglia nobile residente nel bel palazzo borrominiano di via Giulia (segue foto mia di una delle arpie di palazzo Falconieri, aggiunte più tardi ma su progetto di Borromini).
Adotta inoltre i nipoti, che da Onesti diventano Braschi e, come tali, principi.
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Luigi ha il fiuto per gli affari ed è anche ben raccomandato: conduce lucrosi affarucci nella campagna romana, uno dei quali sfocia in un'incresciosa causa di cui si sobbarca sempre lo zio. È la causa Lepri, che finisce davanti a tribunale rotale perché gli eredi Lepri, defraudati della loro eredità alla morte del padre Amanzio, ricusano la legittimità del testamento in favore del papa (che intendeva allegare i ricchi beni del possidente pontino a Luigi).
Alle soglie della Rivoluzione Francese, Luigi viene mandato dallo zio a trattare con i Francesi giacobini a Tolentino. Tuttavia, le trattative vanno maluccio e per giunta Luigi, tornato a Roma, si trova i Francesi in città ed il palazzo ancora in costruzione devastato: il popolo romano lo detesta e ha salutato con soddisfazione lo scempio francese nelle sue proprietà.
Tra l'altro, poiché il principe era di bocca buona e aveva collocato nel suo palazzo la sua collezione di preziose tele (Caravaggio, pittori Cinque-Seicenteschi, sciocchezzuole del genere) i francesi, quel che non rompono lo rubano e lo spediscono in Francia.
Però, Luigi, che forse non è sveglio, sostiene de Tournon, ma evidentemente ha la furbizia degli imbelli, riesce a rimontare anche da questa disgrazia: dopo alterne vicende di prigionia condivisa con lo zio, diventa infatti il primo sindaco della Roma giacobina e repubblicana e, come tale, pure scomunicato.
Intanto si procura come segretario privato Vincenzo Monti, e pare che i rapporti del poeta con la famiglia del suo datore di lavoro siano intimi, mooolto intimi. Così intimi, infatti, che forse la piccola Costanza Braschi è figlia di Monti, più che di suo padre.
Comunque, passata la fulgida tempesta napoleonica, Luigi, come le lumache dopo la pioggia, rifà capolino e mostra nuovamente il suo talento opportunistico: riesce a rientrare al servizio del pontefice, un altro, Pio VII, e a farsi levare pure la scomunica.
Ma le fortune economiche della famiglia sono state duramente messe alla prova dalle ruberie e dai rovesci bonapartisti. È il 1816: Luigi muore, sepolto a Santa Maria Sopra Minerva, e per cinquant'anni gli eredi campicchiano di rendita senza replicare le fortune paterne e anzi, indebitandosi oltre il tollerabile.
Infine, ridotta con le pezze al culo come si dice a Roma, tenta di alienare il palazzo che tanti grattacapi ha causato all'avo Luigi per ripagarsi i debiti con una riffa nel 1866.
Gli va male, però: non vendono sufficienti biglietti, e l'ingombrante e costoso casermone resta loro sulle croste, sebbene per soli cinque anni. Infatti lo Stato Italiano, sin dalla sua nascita contrassegnato da un brillante fiuto per le cause perse e le sòle più solenni, interviene a salvare la situazione e se lo compra nel 1871.
Il palazzo diventa così residenza e ufficio di Giolitti però il suo ruolo nelle vicende di storia patria e cittadina non è finito. Dopo il trasferimento del Viminale alla sua attuale sede, infatti, iniziato nel 1921 e terminato nel 23, il palazzo Braschi subisce una curiosa sorte, proprio lui, sorto alle spalle di Pasquino, voce del popolo contro le assurdità e gli abusi del potere su Roma la sua gente. Infatti, diviene epicentro dell'attività propagandistica fascista, finché, dopo l'Armistizio e fino alla Costituente, è perfino sede del PNF e dei gruppi di repressione.
Dalla fine della guerra al '49, ecco che si ripete, pur con le debite differenze, la vicenda di spoliazione e devastazione già vista nel 1798: stavolta, a far danni sono i poveri cristi degli sfollati, morti di fame e di rabbia e di disperazione dopo la fine della guerra. Le belle sale, gli eleganti affreschi sono deturpati e danneggiati da gente abbrutita dall'orrore della guerra, dell'occupazione nazista e della guerra civile.
Solo dal 1952, Palazzo Braschi viene infine risistemato alla bell'e meglio e istituito a sede del Museo di Roma.
Ancora adesso ci accoglie con una bella carrozza settecentesca nell'androne, memoria di uno sfarzo e di un'indolenza verso la miseria e le piccole cose che è forse quella della grande Storia, ai cui margini questo luogo ha tanto fortunosamente galleggiato.
Le prime due foto, tutte mie, sono scatatte nel settembre 2024, le ultime due le scattai nel 2009 e infatti sono barochissime, storte e filtrate con i potenti mezzi di Paint su un PC che montava Windows Vista.
Dopo 15 anni sono sempre a spasso per Roma a fotografarla, però!
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pettirosso1959 · 6 months
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MA CHI ERA VERAMENTE KARL MARX?
Da Barbara Costa per Dagospia:
Karl Marx era un mantenuto. Lui, la moglie, i figli, addirittura l’amante, vivevano tutti sulle spalle di Friedrich Engels, compagno comunista ricchissimo, rampollo di facoltosi industriali.
In nome del proletariato, Marx non ha lavorato un giorno in vita sua. In nome del proletariato, Marx sdegnava i proletari, non ne ha mai frequentato uno, tranne le prostitute dei bordelli con cui andava a spassarsela con Engels, che pagava per tutti e due. Lo stesso Engels, accusato di stupro da una cameriera, disse che si era trattato di amore non ricambiato.
Karl Marx, piccolo borghese, sposò un’aristocratica, Jenny von Westphalen, una baronessa anglo-tedesca. Jenny e Marx fecero sesso prima del matrimonio, lei felicissima di aver perso con lui la verginità, gioia sparita subito dopo le nozze: Marx si rivelò un marito egoista e fannullone, dedito solo a teorizzare la rivoluzione che avrebbe cambiato i destini del mondo, quel comunismo che nel ‘900 rovinò la vita a popoli interi.
Alla sua famiglia riservò una vita di stenti: più di un figlio morì di malattie e denutrizione. Un’esistenza misera, piena di debiti, una vita a scrocco di Engels, che passava a Marx tre quarti del suo stipendio, e una volta per lui addirittura rubò. Engels gli trovava editori per libri che Marx non consegnava mai (Il Capitale ci mise 23 anni a scriverlo).
Marx fece fallire quasi tutti i giornali cui collaborava o che avevano la sventura di finire sotto la sua direzione. Fogli finanziati da quei borghesi tanto disprezzati, ma che coi loro soldi gli hanno sempre permesso di portare avanti le sue idee. Il suo non era disprezzo, ma rancore per non essere come loro.
Marx parlava male le lingue, il suo accento tedesco era insopportabile e insopprimibile, nemmeno il suo aspetto fisico affascinava: accurate biografie parlano della sua barba ispida e mal curata, del suo odore sgradevole, i suoi modi aspri e aggressivi, le sue unghie lunghe e nere. L’amico dei proletari non era invitato nei lussuosi salotti parigini, e se ne rodeva. I Marx avevano una domestica, Lenchen, che dormiva in un cantuccio nello studio del gran pensatore.
Marx non la pagava ma se la scopava (lo facevano pure per strada). Quando Lenchen rimase incinta Marx, terrorizzato della reazione di Jenny, piagnucolò soldi e aiuto da Engels, il quale accettò di riconoscere lui il bambino e di prendersi in casa Lenchen, pur di salvare il matrimonio al suo amico. Engels gli si ribellò una volta sola, quando rimase vedovo e Marx, invece di confortarlo, gli chiese soldi per comprare un paio di scarpe. Engels s’incazzò, ma gli diede lo stesso 5 sterline.
Marx sosteneva che tutto è determinato dall’economia, anche il sesso, i sentimenti, le passioni: per le sue necessità, lui usava i soldi degli altri. Marx andava avanti a furia di prestiti pur di non mettersi a lavorare per mantenere la sua famiglia: a Londra il poco che avevano finì pignorato. Buttati fuori da ogni tugurio di cui non pagavano l’affitto, alla loro porta bussavano i creditori che Marx chiamava avidi borghesi, ed erano macellai, lattai, farmacisti, gente che viveva di onesto e duro lavoro, quello che Marx non ha mai conosciuto, semmai schifato.
Marx non aveva rapporti con la famiglia d’origine, ma era contento quando un parente moriva e gli lasciava qualche eredità. Rivide sua madre dopo 20 anni e solo per chiederle soldi: la donna rifiutò e Marx ci litigò a morte. Si fece di ogni amico un nemico, scrivendo su chi aveva successo articoli rosari di insulti. Il filosofo Moses Hess, che aveva organizzato collette per aiutarlo, negli scritti di Marx è solo il marito di una prostituta che gli ha attaccato la gonorrea, e altri sono denigrati come pazzi sifilitici per identici motivi. Marx metteva in giro fake-news di sua invenzione per colpire chi era migliore di lui. Invidioso marcio, gli lanciava contro le più infami calunnie.
Marx da ragazzo voleva fare il poeta, non c’era riuscito, per questo odiava gli scrittori affermati e gioiva delle loro disgrazie: come fu contento quando Ferdinand Lassalle venne sfidato a duello e ucciso dal marito della donna che si era portato a letto!
Lassalle morto non poteva più scrivere libri migliori di Marx, non gli intralciava più il comando della causa comunista, soprattutto era uno a cui non doveva più soldi. Marx non perse mai l’amicizia di Engels, il quale assicurò la dote alle figlie di Marx: il padre coi soldi altrui si sentì in dovere di garantirgli “vantaggiosi matrimoni, perché una vita proletaria non fa certo per loro”. Tussi e Laura Marx, sposate a uomini ricchissimi i cui soldi mantennero lo stesso Marx, morirono suicide, disperate per tutte le corna ricevute dai loro mariti.
Andare a letto con Marx doveva essere un vero sacrificio. Si lavava poco, l’igiene gli era sconosciuta. Ferdinand von Westphalen, suo cognato e ministro degli interni di Bismark, gli mise alla calcagna un agente segreto, che stilò questo bel ritrattino: “Uomo disordinato, per Karl Marx lavarsi, prendersi cura della sua persona, cambiare la biancheria, sono eventi piuttosto rari. Spesso è ubriaco, dorme tutto il giorno vestito sul sofà, incurante di tutto”.
Ha ragione Montanelli: cosa non ha detto e scritto Karl Marx? Tutto e il contrario di tutto, tranne la giusta profezia di un fatto storico che si sia poi realizzato. L’era capitalistica finirà con l’esaurimento dei mezzi di produzione che l’hanno determinata, questa e altre cazzate Marx le sosteneva più d’un secolo e mezzo fa, e stiamo ancora aspettando il sol dell’avvenire, l’abolizione della proprietà privata e tutto il potere al popolo, per un’insensata società di individui tutti uguali, immobili come statuine del presepe, senza problemi, tantomeno sessuali, appagati da chissà quale felicità.
#KarlMarx
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fashionbooksmilano · 10 months
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L'Oriente di Pasolini
Il fiore della Mille e una notte nelle fotografie di Roberto Villa
a cura di Roberto Chiesi
Cineteca comune di Bologna, 2011,  120 pagine, 16x17,2cm, ISBN 9788895862446
euro 12,00
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"Il fiore delle Mille e una notte" di Pier Paolo Pasolini, ultimo film della "Trilogia della vita", nacque da lunghi viaggi in paesi remoti e arcaici come l'Iran e lo Yemen. Viaggi che ebbero un testimone, Roberto Villa, un fotografo che condivise con Pasolini e la troupe alcune settimane sul set. Ne derivarono alcune splendide fotografie che restituiscono la magia figurativa e la fisicità popolare del film più visionario di Pasolini e ne arricchiscono la conoscenza con uno sguardo sul mondo arabo che lo ha ispirato. Questo libro riunisce una scelta di fotografie inedite di Villa che mostrano i corpi e i luoghi all'origine dell'immaginario pasoliniano e alcuni ritratti del poeta-regista al lavoro sul set, accompagnate da rare interviste e testi di Pasolini su una concezione antropologica, narrativa ed estetica che si contrapponeva allo "sviluppo senza progresso" del presente.
17/11/23
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aldameriniofficial · 3 months
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Quando venni ricoverata per la prima volta in manicomio ero poco più di una bambina, avevo sì due figli e qualche esperienza alle spalle, ma il mio animo era rimasto semplice, pulito, sempre in attesa che qualche cosa di bello si configurasse al mio orizzonte; del resto ero poeta e trascorrevo il mio tempo tra le cure delle mie figliole e il dare ripetizione a qualche alunno, e molti ne avevo che venivano a scuola e rallegravano la mia casa con la loro presenza e le loro grida gioiose. Insomma era una sposa e una madre felice, anche se talvolta davo segni di stanchezza e mi si intorpidiva la mente. Provai a parlare di queste cose a mio marito, ma lui non fece segno di comprenderle e così il mio esaurimento si aggravò, e morendo mia madre, alla quale io tenevo sommamente, le cose andarono di male in peggio tanto che un giorno, esasperata dall'immenso lavoro e dalla continua povertà e poi, chissà, in preda ai fumi del male, diedi in escandescenze e mio marito non trovò di meglio che chiamare un'ambulanza, non prevedendo certo che mi avrebbero portata in manicomio. Ma allora le leggi erano precise e stava di fatto che ancora nel 1965 la donna era soggetta all'uomo e che l'uomo poteva prendere delle decisioni per ciò che riguardava il suo avvenire.
Fui quindi internata a mia insaputa, e io nemmeno sapevo dell'esistenza degli ospedali psichiatrici perché non li avevo mai veduti, ma quando mi ci trovai nel mezzo credo che impazzii sul momento stesso in quanto mi resi conto di essere entrata in un labirinto dal quale avrei fatto molta fatica ad uscire. Improvvisamente, come nelle favole, tutti i parenti scomparvero.
La sera vennero abbassate le sbarre di protezione e si produsse un caos infernale. Dai miei visceri partì un urlo lancinante, una invocazione spasmodica diretta ai miei figli e mi misi a urlare e a calciare con tutta la forza che avevo dentro, con il risultato che fui legata e martellata di iniezioni calmanti. Ma, non era forse la mia una ribellione umana? non chiedevo io di entrare nel mondo che mi apparteneva? perché quella ribellione fu scambiata per un atto di insubordinazione?
Un po' per l’effetto delle medicine è un po' per il grave shock che avevo subito, rimasi in istato di coma per tre giorni e avvertivo solo qualche voce, ma la paura era scomparsa e mi sentivo rassegnata alla morte.
Dopo qualche giorno mio marito venne a prendermi, ma io non volli seguirlo. Avevo imparato a riconoscere in lui un nemico e poi ero così debole e confusa che a casa non avrei potuto far nulla. E quella dissero che era stata una mia seconda scelta, scelta che pagai con dieci anni di coercitiva punizione.
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susieporta · 3 months
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La maggior parte degli approcci alla crescita personale, è concorde nel ritenere che quando le diverse parti della nostra personalità collaborano armoniosamente tra loro, l'essere umano riesce a sviluppare il proprio pieno potenziale.
La gestalt ha espresso questo attraverso il lavoro sulle polarità, la PNL con il lavoro sui livelli neurologici di Robert Dilts, la psicosintesi con le visualizzazioni riguardanti il dialogo tra le submodalità, Jung e la psicologia del profondo mediante il bilanciamento e l'integrazione tra conscio e inconscio, e via di seguito.
Questo ci dà una indicazione fondamentale.
E cioè che tutto ciò che possiamo realizzare nella nostra esistenza non è dettato tanto o solamente dalle condizioni in cui ci troviamo, ma dallo stato di coerenza interna cui riusciamo ad arrivare.
Più andiamo d'accordo con noi stessi, dando una forma armoniosa alla nostra anima, più riusciamo a esprimere le nostre risorse.
Mentre invece tanto maggiore è il livello di conflittualità interiore che abbiamo, tanto minoreli saranno le possibilità di esprimere i nostri bisogni autentici, i nostri valori, e la nostra passione per la vita.
Come una squadra di calcio riesce a vincere quando tutti i giocatori vanno d'accordo tra loro, e ognuno ha il suo ruolo, che fluisce positivamente compensandosi con quello degli altri, allo stesso modo noi riusciamo a realizzare quello che vogliamo nella vita solo quando troviamo un accordo con noi stessi.
Quando mettiamo d'accordo, dentro di noi,
Il poeta e lo scienziato,
Il bullo e il timoroso,
Il cavaliere e il mendicante,
La madre e la donna,
L'imprenditore e l'ubriacone,
Il bambino vulnerabile, tradito, spaventato, e quello capriccioso e incazzato,
La bambina abbandonata, ferita e timida, e quella intraprendente, curiosa e libera,
Allora, e solo allora, cominciamo a mostrare la nostra potenza.
Ecco perché quando siamo in pace, sereni, in armonia, e ci sentiamo forti, stabili, l'universo sembra metterci su un piatto d'argento tutto ciò che vogliamo, quasi senza sforzo.
Perché la realtà esterna riflette sempre la realtà interna.
Più ti allinei con ciò che sei veramente, più il mondo deve piegarsi al tuo livello di autenticità e coerenza interna.
Omar Montecchiani
#quandolosentinelcorpodiventareale
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valentina-lauricella · 4 months
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《 ...seguì che, mentre gli si leggevano apertamente, sulla fronte e sulla persona tutta, i segni più tristi di malvagissimi umori, ed i messi inclementi di più o meno immatura morte, egli si spingeva a vani ed inavvertiti soliloqui che non senza mio grande rammarico, oltrepassavano di gran lunga i confini imposti alla dignità di tant'uomo. Per congiunture, ch'è assai bello il tacere, io me ne trovavo spesso e con grande mia angoscia, tra i più scabrosi anfratti. Ma, con assai maggiore mia angoscia, sopraggiunse l'autunno a illuminare le carte. 》
Siamo in principio del Sodalizio, e intanto al Ranieri cominciano ad assalirlo i fastidi, essendo il Leopardi, in punto sì male andato, preso di forte amore. Ed eccolo nelle quattro mura di un albergo spingersi a vani ed inavvertiti soliloqui, che davano molto rammarico al Ranieri. Ho detto e conviene ripeterlo, dover possedere il Ranieri troppo povero ingegno; e se parla dello Schopenhauer e del Byron e dell'esplicazione del loro dolore, è lecito affermare che un'acca non l'abbia intesa. Quell'amore misterioso, eloquente, contradittorio, concepibile dai grandi poeti, che animò la musa del Petrarca, e fece misero e infelice il Tasso, e fra i moderni è un delirio nell'Heine e nel Leopardi, il Ranieri lo crede un amore terreno, alimentato da forze materiali; tanto che nè pure ora è giunto ad accorgersi di quella creatura divina di Aspasia, che il poeta divinò in un momento d'ispirazione, in cui ogni umana voglia soggiaceva alla celeste (¹).
Il Ranieri crede questo un amore qualunque, e vuol cooperarsi che non sieno oltrepassati i confini imposti alla dignità di un tant'uomo; e per soprassello spesso con grande angoscia egli era tra i più scabrosi anfratti. Questo sì che duole; e non era ufficio di giovine; ma il Ranieri se la cava con le arabe parole "scabrosi anfratti".
(¹) Io non so come il Zanella nel suo recente lavoro «Storia della letteratura Italiana dalla metà del settecento ai giorni nostri» possa affermare che, 《ove si tolga dalle canzoni del Leopardi l'Aspasia, in cui sembra che soccombesse ad un affetto volgare etc.》; non so dico come abbia potuto mettere avanti quel "sembra", che rivela la incertezza della opinione e pone in dubbio la idealità di una stupenda creazione che non ha nulla di comune con terrene aspirazioni. Noi ammiriamo il Zanella, ma non lo lodiamo in questo sunto storico, scritto precipitosamente, e forse per contentare le voglie insaziabili delle speculazioni librarie, per le quali molti camorristi s'impongono!
(Francesco Guardione)
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elperegrinodedios · 2 years
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Cammina con me e non ti pentirai, dai cammina con me e non ti stancherai. E se il tuo zaino sarà pesante, io sarò con te e ti aiuterò ad alleggerire il suo peso. Se, tu camminerai insieme a me mano per la mano io t'insegnerò la giusta via e ti parlerò con parole di verità affinchè tu al fin del cammino abbia una vita ricca di benedizioni e di luce, la vita d'amore la vera vita.
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Se non ti piace lo strumento non ti piacerà nè ti appassionerà l'opera. Se non ti piace lo scrittore neanche il suo libro ti piacerà e se non ti piace il poeta neppure gradirai la sua poesia. Questo mi disse il Signore quando mi fece suo seguace e il suo pellegrino: "Verosimilmente se non piacerai tu come strumento, neanche piacerà quello che presenti e testimoni. Se, non saprai usare la tua sapienza, nè il discernimento di cui ti ho dotato, il mondo non accetterà la testimonianza, se non piaci tu, non piacerò neppure io. Ricordalo!". 'Ho scolpito il suo messaggio nel mio cuore, ed ogni sua parola ho stampato nella mia mente'. Spero che alla fine del mio mandato, del mio cammino e della responsabilità che ho accettato e sempre sentito, io possa aver fatto un buon lavoro, a Lui gradito.
📷 Camminando verso Carriòn de los Condes.
lan ✍️
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francyfan-bukowsky · 9 months
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JOHN MARTIN , l’editore che scopri e lancio Buk🖤wski……
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Cento dollari al mese per il resto della vita, per mollare il lavoro alle Poste e fare lo scrittore a tempo pieno. Nessuna noia, bega e seccatura con uffici stampa, reading e conferenze, o quasi. Alla distribuzione avrebbe pensato lui, la moglie Barbara avrebbe disegnato le copertine. Non ci volle molto a convincere Charles Bukowski, nel 1969, a partecipare all'impresa semifamiliare di John Martin: un atto temerario, un salto nel buio per entrambi. John si stava giocando un quarto delle sue entrate per mantenerlo e tentare una sfida dal cui esito sarebbe dipeso il loro futuro, ormai in condivisione. Per Charles non sarebbe stato facile rimettersi a bussare a 50 anni alle porte di magazzini, macelli e ditte di facchinaggio. Si dice che dietro ogni uomo di successo ci sia una grande donna (e viceversa). E questo è senz'altro vero per Bukowski, che s'accasò la sua Linda Lee dopo una lunga raccolta di Donne riassunte nel '78. Ma se oggi le frasi con cui lo scrittore americano semplicemente inframmezzava i dialoghi sono diventate aforismi stracondivisi in Rete, e se le case editrici continuano a raschiare il fondo dei cassetti delle stamberghe in cui ha soggiornato per pubblicare l'impubblicato, bisogna ringraziare un mite, sobrio, discreto ingegnere - perfino un po' bacchettone - che la sera, tornato a casa da lavoro, dopo aver cenato con moglie e figlia, si rilassava sul divano leggendo su riviste underground racconti border line che non riuscivano a vedere la luce della rilegatura. «Questo tizio è troppo bravo, non può continuare a uscire su questi giornalini amatoriali» pensava John. Finché una sera, 50 anni fa, la decisione: lasciare tutto e fondare la Black Sparrow Edition, solo per pubblicarlo. A consentirgli di realizzare il sogno, il ricavato del business messo in piedi a Los Angeles nel settore degli uffici e una maxi raccolta di prime edizioni di D.H. Lawrence, vendute alla UC Santa Barbara per 50mila dollari (era un appassionato collezionista di libri originali fin da quando aveva 20 anni). Prima di tutto però, toccava contattare il postino poeta.
«Non l'ho mai visto ubriaco» è il titolo choc di un’intervista di Jonathan Smith, l'unica mai tradotta in italiano, pubblicata online da Vice nel 2014. Per forza: i due si sono incontrati di persona una manciata di volte in tutta la loro carriera, sentendosi principalmente al telefono o scrivendosi. E in quelle occasioni, in cui bisognava parlare d'affari, Bukowski si faceva trovare evidentemente meno sbronzo del solito. L'amico ideale per il misantropo Charles, secondo cui il miglior dono che potesse fargli un fan era quello della sua assenza. Niente di più semplice, per cominciare, che prendere un po' di scritti sparsi e riordinarli in un diario. «Mi mandava il manoscritto man mano che lo scriveva, e dopo aver letto ogni capitolo dovevo sedermi, ricompormi e sperare che non fosse tutto vero - racconta in quell’intervista -. Credevo in lui quanto credevo in me stesso: una fede quasi religiosa, una cosa a cui non si può smettere di credere». Nacque così Taccuino di un vecchio porco (o sporcaccione, secondo le traduzioni), il primo vero libro di Bukowski. Fu preceduto da un piccolo opuscolo nel 66, True Story, pubblicato in appena 30 copie: una sorta di prova generale per amici e parenti. Convinto che avrebbe attirato più dei racconti, Martin si fece scrivere anche un romanzo da tenere di scorta: Post Office, in realtà un "concept" di disperate istantanee biografiche sul mortificante mestiere appena abbandonato. Potrà pubblicarlo con comodo due anni dopo: il successo del Taccuino sarà folgorante, almeno per le aspettative da cui erano partiti. Sarà sempre la moglie di Martin a escogitare anche l'originale impaginazione: il formato da 10x24 cm, più grande delle misure standard e adatto allo scaffale, divenne una nota distintiva della casa. Anche questo contribuì alla vittoria, immediata, della scommessa: quasi da subito il personaggio di Henry "Hank" Chinaski, detto "Gambe d'elefante", divenne il fenomeno letterario e culturale di livello mondiale, che ancora conosciamo. E il compenso passerà a 10mila dollari ogni due settimane.
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( Web)
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libriaco · 1 year
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Criminali, brava gente
Un filosofo produce idee, un poeta poesie, un pastore prediche, un professore compendi, ecc. Un delinquente produce delitti. Se si considera più da vicino la connessione esistente fra questa ultima branca di produzione e l’insieme della società, si abbandoneranno molti pregiudizi. Il criminale non solo produce crimini, ma anche il diritto penale e quindi anche il professore che tiene cattedra di diritto penale e l’inevitabile manuale in cui questo stesso professore getta sul mercato generale i suoi contributi come 'merce’. Ciò provoca un aumento di ricchezza nazionale senza contare il piacere personale che... la composizione del manuale procura al suo autore. Il criminale produce inoltre tutta l’organizzazione poliziesca e la giustizia penale, gli sbirri, i giudici, i boia, i giurati ecc. e tutte quelle differenti professioni che formano altrettante categorie nella divisione sociale del lavoro, sviluppano facoltà dello spirito umano, creano nuovi bisogni e nuove maniere di soddisfarli (...). Mentre il delitto sottrae una parte della eccessiva popolazione al mercato del lavoro..., la lotta contro il delitto assorbe un’altra parte della stessa popolazione. Il crimine appare così come uno di quei fattori naturali di equilibrio, che stabiliscono un giusto livello e aprono tutta una prospettiva di 'utili occupazioni’.
Il brano è tratto da uno scritto da Karl Marx ed è solitamente aggiunto alla "Teoria del plusvalore" nel quarto volume de Il Capitale.
Citato da:
O. Ottieri, L’irrealtà quotidiana [1966], Parma. Guanda, 2004
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gcorvetti · 9 months
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Non c'è scampo.
Anche quest'anno, come gli altri anni, arriva l'ultimo mese che porta con se feste religiose e indimenticabili momenti di stress e rotture di coglioni, oltre ad un perbenismo così esagerato che basterebbe per il resto dell'anno. Infatti è così, le persone si sforzano di essere buone perché è natale, poi per il resto dell'anno vi vengono in culo, tanto è il vostro. Lo so, è una cosa che scrivo ogni anno e che a molti fa storcere il naso perché è natale e per natale tutti DEVONO essere più buoni, dov'è scritto? C'è una legge che ci obbliga a esserlo? No, e anche se ci fosse sarebbe da eludere a occhi chiusi. Ma come sappiamo e da quello che si vede, l'umanità è prigioniera di un loop scandito dal calendario costruito ad hoc in modo che periodicamente si può allentare la morsa su di loro, tanto a darsi un controllo ci pensano loro stessi. L'ho scritto spesso quest'anno, però vedo che le cose non cambiano, cioè si stagna su questo andazzo errato e si persevera, non si impara più dai propri errori. Si cerca quel piacere effimero che danno le cose in prima battuta, per poi tornare alla solita tristezza non comprendendo che è il metodo sbagliato non l'oggetto in se, perché è un oggetto. Penso a tutti quelli che tornano bravi cristiani e magari durante l'anno fanno cose indicibili per il loro credo religioso (questo vale un pò per tutti quelli sotto oppio da setta), perché se le religioni una volta avevano un senso per il controllo, adesso se ne potrebbe fare a meno, ma ci sarebbero una marea di persone a spasso, papi, pope, preti, imam, suore ecc ecc, dove li metti, chi gli da un lavoro? Allora tutto ristagna così, mentre la società sprofonda in un panettone.
A me non frega niente se tu, si proprio tu che leggi, non sei d'accordo con quello che scrivo, che è solo una parte del mio pensiero, perché se tu mi dici "Però il natale è una tradizione della nostra cultura", ti dico che è una forzatura perché la nostra cultura è laica, ma se andavi contro la chiesa ti bruciavano vivo, senza contare che ad un certo punto della storia codesti signori erano così ricchi che il loro dio in persona si sarebbe vergognato di loro, ma sappiamo che dio non esiste quindi sono delle persone che in qualche modo hanno trovato la strada per fottere il prossimo e lo fanno in discreto silenzio, anche se ogni tanto rompono i coglioni con le loro menate medievali, non sto qua a fare esempi. Se poi insisti e pensi che sia una cosa bella, come la pasqua, il ferragosto, i morti e halloween, allora caro mio il problema non è religioso ma di paraocchi, nulla da obiettare la vita è la tua, ma non mi rompere le palle cercando di convincere più te stesso del tuo credo che me che di base non ci credo.
Detto questo, che come sempre è uno sfogo contro il natale e tutto quello che è connesso al loop in cui siete rinchiusi, come va? Abbastanza bene, sto scrivendo, oggi mi vedo con la Piccoletta così ci facciamo 4 risate in caffetteria, mi sono tagliato i baffi, saranno stati 10 anni che non li toccavo, ma erano rovinati e ci voleva. Fa strano vedersi per tanto tempo in un modo e poi d'improvviso in un altro, questione d'abitudine. Mi sono anche fatto la foto sequenza, ma non la posto perché so cazzi mia, e alcune foto stile Quasimodo (non il poeta, ma il gobbo), e tante tante risate. Vi lascio all'ascolto, alla prossima.
youtube
P.S. Si nevica e spalo, Sisifo style.
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