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#Moralità
gregor-samsung · 3 months
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“ Sono contento, cari ragazzi, che non abbiate mai sentito il desiderio di fare politica. Ma non ne sono sorpreso. L'ambiente familiare nel quale siete cresciuti non poteva spingervi alla ricerca del potere. Non dico, con questo, che il potere sia di per sé detestabile. Fa parte dei giuochi della vita, e non dei più sciocchi. Ma bisogna intendersi sul suo significato. Per molti, il fascino del potere consiste nella possibilità di influire sulla vita degli altri; in una parola, nella possibilità di comandare. A mio giudizio, questa è tuttavia la parte più fastidiosa del potere, la più volgare, se non la più odiosa. Voi sapete che ho sempre cercato di ridurre al minimo i miei interventi su di voi, perché ritengo che ciascuno, compresi i miei figli, debba esser libero di vivere la sua vita, e di cercare la felicità a modo suo. Perfino il timore che qualcuno agisca in una determinata maniera per compiacermi, e non per sua preferenza, riesce a turbarmi.
È poi vero che le nostre azioni incidono spesso, senza che lo vogliamo, sulla vita del prossimo; ma questa è una realtà di cui mi rammarico. Il fascino del potere è un altro: è la facoltà di decidere. La nostra esistenza si arricchisce quando siamo in grado di prendere decisioni. Kierkegaard afferma che esistiamo in quanto scegliamo, e scegliere significa appunto decidere. Ora, è chiaro che facoltà decisionale e potere coincidono: più si sale nella scala gerarchica, più si decide. Il generale decide più spesso del suo attendente. In questo senso, ma soltanto in questo, vale la pena di fare carriera: la vita di un capo è più ricca, più intensa, più stimolante di quella del subordinato. Purché il capo, e questa è una condizione importante, anzi essenziale, sia capo davvero, sia cioè libero di decidere di testa sua. In questa accezione, potere equivale a libertà. “
Piero Ottone, Le regole del gioco: piccola filosofia ad uso personale, Milano, Longanesi, 1984³; pp. 47-48.
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Siamo quello che facciamo e non ciò che diciamo di essere.
I 'peccati' non esistono: ci sono solo i Reati. Chi appartiene ad una setta religiosa dovrebbe ben sapere che la moralità non è affatto Verità, ma superstizione, creduloneria. 'dio' non esiste e pertanto tutto ciò che viene detto da una setta di sciamani (clero religioso) e da coloro che si mostrano subordinati ad essa non ha alcuna autorevolezza.
Partecipare con costanza (o meno) ad un rito 'magico' che si tiene in un tempio (chiesa), ad opera di una setta di sciamani (chiesa cattolica) non può offrire ad alcuno un attestato di 'brava persona'; ci indica, invece, che tale soggetto è ignorante, irrazionale, privo di etica e preda di un'isteria collettiva (ritualità religiosa), provocata da un abuso di indottrinamento religioso. Tale persona, evidentemente affetta da psicosi, proprio per quello che fa (senza spirito critico), è inaffidabile nelle proprie azioni e non autorevole, a partire dalle sue affermazioni.
Siamo quello che facciamo e non ciò che diciamo di essere.
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isabeil · 2 years
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Rispettare le donne non è un ideale politico, appartenente a precise aree politiche, ma segno di Civiltà - cioè di tutti coloro che hanno messo da parte disvalori religiosi, maleducazione cattolica, moralità, pregiudizi, per definirsi Civili e agire in modo Civile.
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il-gufetto · 2 years
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L'immagine più nota, per rappresentare questa teoria di Freud, è quella dell'iceberg: ossia un enorme ghiaccio che si erge dalle acque. La punta dell'iceberg (quella che emerge) rappresenterebbe la parte conscia della mente, poi c'è il super-io ed infine la parte sotto il mare (che è anche la più grande) che rappresenterebbe l'inconscio.
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Un'altra immagine, sicuramente meno suggestiva ma più comprensibile, è invece quella di tre fratelli: Es, Io e Super-Io che litigano per il controllo di una piccola coperta (che rappresenta il controllo della nostra mente). L'Es, la parte libidinosa, vorrebbe coprirsi totalmente. Questo, però, generebbe un individuo egoista che vorrebbe appagare ogni suo bisogno primordiale. Pure il Super-io vorrebbe coprirsi; ma questo generebbe un individuo con un elevato senso morale che tenderebbe a sentirsi in colpa per ogni divieto mancato. Solo l'io, ossia il terzo fratello che rappresenta la parte razionale, potrà controllare la coperta e consentire a tutti e tre di averne una minima parte: ossia, un individuo capace di controllare gli impulsi e la propria coscienza
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princessofmistake · 2 years
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Sì, dissi. Mi sento uno schifo quando mi ricordo che le sto mentendo. Ma il più delle volte mi sento da Dio. Non solo per la storia di Nathan ma per entrambe le cose. Perché li ho tutti e due, Nathan e Romi. Mi sento così libera. Come se potessi andare ovunque voglia, fare tutto ciò che voglio. Avere tutto ciò che mi serve.[...]
Non era vero che il più delle volte mi sentivo da Dio, come avevo detto a Fatima. Alternavo abbattimento ed euforia alla velocità della luce. Se non potevo vivere in una condizione di estasi, potevo almeno farlo in preda a quella frenesia, in cui ero autorizzata a sentirmi in estasi solo nei giorni migliori. A farmi stare da Dio, invece, era che la mia vita fosse diventata inaspettatamente grandissima. Continuavo ad abitare in piccole stanze buie, ma non ero più vincolata da vecchi parametri. Cambiavo set e scenografie senza scendere a compromessi. C’era tempo per Romi, tempo per Nathan, tempo per Olivia, tempo per lavorare e giocare. Quando qualcuno mi chiedeva come stavo non dicevo più la verità; mi crogiolavo nella consapevolezza che la verità sulla mia vita fosse al sicuro, protetta dalla corruzione dell’osceno interesse degli altri o dalle loro ansie morali.
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orsopetomane · 9 months
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Molti sono portati a pensare che la vita degli atei sia più difficile rispetto a quella dei credenti.
Ma, mentre il credente è persuaso che il Padreterno gli abbonerà qualunque peccato a cui abbia fatto seguito un genuino "pentimento", l'ateo - che non (ri)conosce il peccato in quanto dogma religioso - impara effettivamente a dare un peso ai propri errori, da lui percepiti come definitivi, e di conseguenza è meno incline a ripeterli.
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bagnabraghe · 1 year
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Nel 1991 pubblica la sua opera più nota, "Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza"
Claudio Pavone <95, storico e archivista tra i più importanti del Novecento, nasce a Roma il 30 novembre del 1920 <96. Laureato in giurisprudenza, durante la Seconda guerra mondiale presta servizio militare ai confini con la Svizzera e l’Austria annessa alla Germania. Dal 1943 prende parte alla Resistenza <97. Si avvicina al Partito Socialista d’Unità Proletaria (PSIUP) e, sotto la guida di…
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adrianomaini · 1 year
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Nel 1991 pubblica la sua opera più nota, "Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza"
Claudio Pavone <95, storico e archivista tra i più importanti del Novecento, nasce a Roma il 30 novembre del 1920 <96. Laureato in giurisprudenza, durante la Seconda guerra mondiale presta servizio militare ai confini con la Svizzera e l’Austria annessa alla Germania. Dal 1943 prende parte alla Resistenza <97. Si avvicina al Partito Socialista d’Unità Proletaria (PSIUP) e, sotto la guida di…
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A trent’anni dalla "Veritatis Splendor" il suo insegnamento è ancora attuale
L’enciclica si addentrava quindi nel discorso partendo da un’analisi del passo evangelico, tratto dal Vangelo di Matteo, del giovane ricco che chiede al Signore cos’altro deve fare, dopo aver rispettato i comandamenti, per avere la vita eterna. Il Papa sottolineava come questo passo mostra esattamente il legame intrinseco tra il rispetto della legge morale naturale e l’amore di Dio e del…
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scienza-magia · 1 year
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Principio di giustizia fondata sull'utilità sociale
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John Stuart Mill e il “senso sociale” della giustizia. Nell’ottica di Mill, un’azione giusta è necessariamente un’azione morale. Ma è sempre vero il contrario? La risposta sta nel confine, e nel rapporto, fra i due concetti. Nella visione elaborata dal filosofo inglese John Stuart Mill l'idea di giustizia è certamente legata alla dimensione morale. Un'azione giusta è con certezza un'azione morale. La cosa interessante, però, è che, al contrario, non tutte le azioni morali hanno a che fare direttamente con l'idea di giustizia. Mill utilizza l'esempio della beneficenza e della carità. Due comportamenti lodevoli e associati ad un senso di moralità. Eppure, nonostante, questo, sarebbe difficile poter definire ingiusta la scelta di una persona di fare beneficenza per una causa ma non per tutte le cause, oppure fare la carità verso una persona ma non verso chiunque altro si trovi in condizioni di bisogno. Il confine fra giustizia e moralità Cosa distingue, dunque, giustizia da moralità? Un'azione morale è anche giusta, nella visione di Mill, quando questa può essere, in qualche modo, «pretesa» dal beneficiario. Il datore di lavoro che paga un salario proporzionato allo sforzo messo in campo dal lavoratore si sta certamente comportando in modo morale, ma anche giusto, perché il lavoratore è titolato a pretendere il suo giusto salario. Un medico che cura con perizia un suo paziente si sta comportando in maniera morale, ma anche secondo giustizia, perché il paziente è titolato ad esigere un tale trattamento dal suo medico.
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Ora, l'intenzione di Mill è quella di spingersi ancora più a fondo nella chiarificazione dell'idea di giustizia, in particolare per quanto riguarda l'origine di quel “sentimento” che tutti noi associamo ad atti che riteniamo ingiusti. «Avendo così tentato di determinare gli elementi distintivi che concorrono alla formazione dell'idea di giustizia – scrive Mill, nel capitolo V de L'Utilitarismo (1861) - possiamo cominciare a chiederci se il sentimento che l'accompagna sia associato ad essa grazie a uno speciale dono della natura, oppure se si sia sviluppato, in base a qualche legge conosciuta, dall'idea stessa, e in particolare se possa aver tratto origine da considerazioni di convenienza generale». Le possibilità sembrano essere due: o ciò che noi sentiamo nel profondo quando siamo posti davanti ad un atto ingiusto è una specie di istinto che deriva da una qualche proprietà naturale legata all'idea di giusto e ingiusto, oppure esso trae origine dal legame che ha con l'idea di utilità, di convenienza. Mill propende per una terza posizione, più sfumata. Egli, infatti, ritiene che «il sentimento in sé non derivi da quella che verrebbe comunemente o correttamente definita un'idea di convenienza, ma che, sebbene il sentimento non derivi da tale idea, tutto ciò che vi è in esso di morale abbia questa derivazione». È la natura morale che associamo alla giustizia a trovare, dunque, il suo radicamento nella proprietà dell'essere «utile». La doppia radice del comportamento «utile» Le radici, allora, sono da una parte, il desiderio di punire chi fa del male, a noi o ad altri, e dall'altra, la convinzione che qualcuno o noi stessi, siamo stati effettivamente trattati ingiustamente. La prima radice, a sua volta, trova origine nel naturale istinto di autodifesa e nel sentimento di “simpatia” che ci fa solidarizzare con i dolori altrui. Una lettura decisamente moderna, questa, confermata da molti recenti studi di antropologia, neuroscienze ed economia comportamentale. Se è vero che l'istinto di autodifesa è comune ad ogni specie animale superiore, è anche vero, continua Mill, che nell'uomo sia questo istinto che quello di simpatia si sono sviluppati al massimo grado. Grazie alla «superiore intelligenza», continua il filosofo, non solo gli esseri umani si interessiamo alla loro sorte e a quella di chi è imparentato geneticamente, come fanno generalmente le altre specie animali, ma anche al destino di coloro che ci sono estranei, geneticamente, ma che pure condividono con noi la comune umanità. E ancora grazie alle doti tipicamente umane, il giusto e l'ingiusto si applicano a una gamma molto ampia di sentimenti che superano il benessere individuale. «Un essere umano è capace di abbracciare una molteplicità di interessi, sussistenti fra sé e la società umana della quale fa parte: ogni azione che possa turbare la sicurezza della società in generale mette in pericolo anche la sua e ne sollecita l'istinto (se è tale) di autodifesa. La stessa superiorità di intelligenza, unita alla capacità di simpatizzare con gli altri, gli consente di aderire all'idea collettiva della sua tribù, del suo paese o dell'umanità a tal punto che ogni atto ad essi nocivo stimola il suo istinto di simpatia e lo spinge a opporre resistenza”. Come abbiamo detto, è il desiderio di punire chi si comporta male, a fondare il sentimento di giustizia, che però, in questa, fase non può ancora essere considerato «morale». Potremmo per esempio voler punire chi ci ha punito come reazione ad un'ingiustizia di cui noi stessi ci siamo resi colpevoli. In questo caso non possiamo certo definire questo desiderio di «contro-punizione» come «morale». Ciò che determina la moralizzazione del desiderio di punire è, qualcos'altro e cioè la sua conformità al “senso sociale”, il fatto che possa agire soltanto in una direzione conforme al bene generale sottolinea Mill. Il desiderio di punizione e il sentimento di giustizia In sintesi, dunque, possiamo dire che il sentimento di giustizia trova origine dall'esistenza di una regola di condotta che quando violata, genera un naturale desiderio di punizione. Occorre, inoltre, che vi sia anche una persona che abbia subito una violazione di qualche suo diritto, che abbia, quindi, titolo per attendersi legittimamente un qualcosa che gli è stato negato. La spinta alla punizione che si origina in questo modo deve, poi avere un orientamento sociale, deve cioè, concorre, sia pure indirettamente, al bene di tutta la società, non solo dell'individuo offeso. La parte finale dell'argomentazione milliana si concentra sul legame esistente tra giustizia ed utilità. Davvero il giusto è ritenuto giusto perché utile? Per prima cosa il filosofo si impegna nella critica di tutte quelle posizioni che indicano nell'“utilità” una norma decisionale incerta, mostrando che, in realtà, anche tutte le fondazioni alternative al concetto di giustizia sono altrettanto incerte e danno luogo a paradossi e ambiguità insolubili. Ne conclude che «qualsiasi scelta sul terreno della giustizia è necessariamente arbitraria: solo l'utilità sociale può costituire un criterio di preferenza da queste confusioni non c'è altra via di uscita che l'utilitarismo». Il giusto, l’utile e il bene supremo Ma esiste allora una differenza tra il «giusto» e l'«utile»? Certo che esiste, conclude Mill. «La nostra esposizione della natura e dell'origine del sentimento di giustizia ammette una reale distinzione Mentre io contesto le pretese di qualsiasi dottrina che affermi un presunto principio di giustizia non fondato sull'utilità, riconosco che la giustizia fondata sull'utilità è l'elemento fondamentale e indubbiamente il più sacro e vincolante di tutta la morale. Giustizia è il nome che si dà ad alcune categorie di regole morali che, riguardando più da vicino l'essenza del benessere umano, sono quindi più vincolanti di ogni altra regola per la condotta: la nozione che abbiamo scoperto essere l'essenza dell'idea di giustizia, quella di un diritto immanente in ogni individuo, implica e attesta questa più rigida obbligazione». Il rispetto delle regole di giustizia è utile, quindi, nel senso che solo attraverso questa osservanza è possibile garantire il bene supremo e, cioè, la pacifica convivenza degli uomini. Questa altro non è che la precondizione per l'attuazione del primo principio della morale: il principio della massima felicità. «Giustizia» è, dunque, il nome appropriato dell'utilità sociale, utilità che nella visione milliana, però, supera in grado e importanza la semplice idea di piacere o convenienza dei singoli per designare l'utile coerente con il bene sociale. Read the full article
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gregor-samsung · 8 months
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" La democrazia è esigente poiché esige non soltanto comportamenti coerenti con obiettivi definiti attraverso la libera competizione elettorale. È esigente soprattutto perché vuole che quei comportamenti abbiano un fondamento etico, di moralità pubblica, di rispetto di principi e di criteri. La democrazia non è […] un regime politico privo di un corpus di principi etici, fondato su un relativismo assoluto. Al contrario, a suo fondamento stanno alcuni valori, fra i quali preminenti la libertà e il dominio della legge. Nel perseguimento di equilibri democratici, derivanti dalle loro preferenze e dai loro voti, i cittadini decidono quanto e quale spazio dare ad altri valori quali la giustizia sociale, l'eguaglianza e la solidarietà. Le decisioni su queste assegnazioni di importanza e di preminenza sono democraticamente sempre (ri)discutibili: suscettibili di essere ritoccate, cambiate, addirittura rovesciate. In questa discussione quanto più possibile pubblica, aperta a tutti coloro che sono interessati, un ruolo particolare, che significa più importante anche perché marcato da maggiori responsabilità, spetta agli intellettuali, agli opinion-makers, a quello che potremmo definire il potere culturale. Quanta maggiore influenza hanno le loro idee e le loro prese di posizione tanta maggiore responsabilità porteranno gli intellettuali. "
Gianfranco Pasquino, La democrazia esigente, Il Mulino (collana Tendenze), 1997¹, pp. 68-69.
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divulgatoriseriali · 1 year
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Helluva Boss: trama, personaggi e curiosità sulla serie infernale
Helluva Boss è una webserie animata creata da Vivienne Medrano, che racconta le avventure di un gruppo di demoni che lavorano per una società di assassinio nell’inferno. Esso mescola humor nero, azione, violenza, romanticismo e dramma, creando una miscela esplosiva e irresistibile. La serie affronta anche temi e messaggi interessanti, come la vita nell’inferno, la moralità, l’amicizia, l’amore,…
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luckytacodeer · 1 year
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Io non devo nulla a nessuno, quando si tratta di decidere cosa debba fare del mio corpo (di quello che si trova al suo interno e all'esterno); se non ci sono motivi di salute pubblica, ognuno del suo corpo fa quello che vuole (pensieri compresi).
Questo è il mio percorso di vita fino ad oggi, e non ho intenzione di cambiare la mia vita a nome di moralità altrui, di convinzioni altrui - religiose o non religiose che siano.
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Ogni mattino un bigotto si alza con lo scopo primario di rendere impossibile la vita altrui; lo stesso giorno, un ateo provvederà a sostenere con forza chi viene molestato dai bigotti.
C'è chi ama solo distruggere; altri, invece, disobbediscono alla moralità imperante, in tutti i modi possibili.
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speedyfunnut · 2 years
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È un diritto voler crescere un bambino: autodeterminarsi è un diritto inalienabile per ogni essere umano - e ciò abbraccia anche maternità, adozione, maternità surrogata; ciò che NON è un diritto, è rendere difficile la vita altrui con la moralità.
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lollyhabits · 4 months
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Si può intervenire, "in proprio", su una disforia di genere?
No: non si può intervenire su una disforia di genere "in proprio": è necessario il supporto di uno specialista - che non è un "uomo di fede" (cioè persona dalla psiche distorta, che può solo farti del male) ma un medico con cultura scientifica, dalla mente organizzata con principi etici, capace di comprendere se il problema esiste davvero (e quindi intervenire nei modi più corretti) o non lo è - perché ci sono casi in cui lo specialista arriva a sostenere che "non è una disforia di genere": sono quelli, ad esempio, più rilevabili, in cui l'infanzia è stata negata per abusi sessuali subiti (anche in famiglia), che uno specialista è in grado di cogliere.
Chi sostiene il contrario, da cittadino comune o meno, portando a rinforzo della sua tesi la propria esperienza (vera o falsa che sia) non fa testo scientifico, perché il soggetto potrebbe essere una persona o un sedicente professionista moralizzato, fortemente religioso, e/o fortemente oppresso nel contesto in cui è cresciuto e nuovamente collocato, che ha represso un problema esistente, per abbracciare una fede coi suoi disvalori - come si percepisce in coloro che chiamano in causa il "senso di giustizia e gratitudine", che non ha nulla a che vedere con l'ambito medico della disforia di genere, ma con il "che cosa pensa la gente" o "che cosa ne pensa una madre e/o un padre" (un insensato senso di colpa), quando cambiare genere sessuale, perché ci si sente e si è altro, non è un torto nei confronti di chi ci ha messo al mondo e nemmeno un torto verso la società.
Chi ha una infelice visione della disforia di genere è sempre un conservatore degli usi e costumi, la cui psiche disordinata non si sente a suo agio quando gli altri si comportano nel loro ambito privato come vogliono, come desiderano, perché a lui è stato impedito questo, fin da bambino, ammalandolo.
L'identità sessuale di una persona non è mai messa in discussione, se altri soggetti cambiano la loro, perché gli altri che ci circondano stanno solamente vivendo le loro vite e il loro cambiare, cambia le loro vite in meglio, non mette in pericolo alcuno. Anzi: più persone felici ci sono in una società, migliore sarà la società per tutti, perché le tensioni sociali si abbassano.
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