Tumgik
#Mussolini alla conquista del potere
gregor-samsung · 2 years
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“ Il 28 ottobre 1922 era arrivato alla stazione di Firenze il celebre scrittore inglese Israel Zangwill, che, essendosi rifiutato di consegnare il passaporto alle camicie nere, che avevan occupato la stazione, veniva fermato ed accompagnato alla sede del Fascio. Ivi il console Tamburini, che non conosceva l'inglese, e, d'altronde, non era in grado di conversare con un grande scrittore, non trovò di meglio che consegnarlo a Curzio Suckert, il quale riferisce il colloquio nella penultima parte del suo libro Technique du coup d'Etat. La tesi di Zangwill era quella di tutti gli italiani non fascisti: la marcia su Roma era conseguenza di un compromesso tra il re e Mussolini; l'insurrezione non era che una messa in iscena per nascondere il gioco della monarchia. Naturalmente la tesi di Suckert era diametralmente opposta, poiché tutto il libro è diretto a teorizzare la nuova tecnica del colpo di Stato, di cui quello fascista sarebbe stato una delle piú brillanti applicazioni. Ora a distanza di tanto tempo e specialmente dopo il nuovo colpo di Stato del 25 Luglio 1943, appare chiaro quanto fondamento avesse l'opinione di Israel Zangwill, nella quale le dissertazioni letterarie di Suckert, invece di dissuaderlo, avranno finito per confermarlo. Una rivoluzione che non abbatte e non distrugge il vecchio regime e si limita soltanto alla violazione di « vieti formalismi », non è certamente una rivoluzione, anche se formalmente si mostra ossequiente ai canoni della nuova « tecnique du coup d'Etat ». Per lo meno è un avvenimento « sui generis » che la scienza politica non ha ancora classificato, e per il quale bisognerà certamente trovare una nuova definizione. Per lo meno è una rivoluzione mancata, poiché il compromesso, intervenuto tempestivamente, ha impedito ad una delle parti di prevalere e tutto si è limitato a minacce di adoperare la violenza da una parte e dall'altra, eliminate per effetto della reciproca vigliaccheria. Ora, tutto ciò è tipicamente italiano, e Mussolini, nell'inscenare l'avvenimento, ha certamente seguito il genio della stirpe. Tutto il suo battagliare e il suo manovrare non era diretto a schiantare e distruggere la vecchia classe dirigente, ad innovare il costume politico, a sostituire alle vecchie nuove idee, ma era diretto a farsi chiamare dal re per formare un ministero di coalizione. Egli, dunque, si offriva come domatore di bestie feroci, e, come tale fu assunto al potere, poiché si ritenne un poco da tutti che potesse essere — proprio lui — l'affossatore del fascismo, il castigatore degli istinti bestiali ed anarchici dei fascisti. Che poi il suo pessimo temperamento di uomo e le sue profonde tare politiche abbiano in seguito messo in luce l'illusorietà del calcolo, non modifica il fatto che coloro i quali favorirono la marcia su Roma, ed in seguito si offrirono di fiancheggiarla, andavano in cerca di un nuovo Giolitti, di un Giolitti piú moderno, cioè di un dittatore legale, che avesse conservato il regime, togliendo alle masse ogni velleità di innovazione. “
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Brano tratto dal libro di Guido Dorso Mussolini alla conquista del potere (Einaudi, 1949).
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curiositasmundi · 7 months
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Neanche un anno dopo la sanguinosa guerra di occupazione dell’Etiopia che Mussolini pomposamente definiva «conquista dell’Impero», gli invasori italiani erano ancora in pochi, e non dormivano bene. Militari e camicie nere, insieme alle «truppe indigene» arruolate in colonia, non avevano mai smesso di combattere e percorrevano in lungo e in largo il vasto entroterra alla caccia delle formazioni resistenti etiopiche ancora in armi. Gli altri, civili o in camicia nera, erano per lo più asserragliati nelle città, e ascoltavano con apprensione le notizie di «bande ribelli» pericolosamente vicine. La repressione della resistenza – eufemisticamente definita «grande polizia coloniale» ma in realtà fatta di uccisioni, villaggi bruciati e raccolti distrutti – dopo molti mesi pareva tuttavia aver dato i suoi frutti: molte formazioni erano state disarmate; i loro capi e componenti eliminati o deportati nel  terribile campo di internamento di Danane, in Somalia. 
Il neonato impero fascista pareva insomma sulla via di una lenta normalizzazione, quando gli occupanti ebbero un brusco risveglio. Il 19 febbraio 1937, Yekatit 12 secondo il calendario etiopico, Rodolfo Graziani, viceré d’Etiopia e governatore generale dell’Africa Orientale Italiana, era su un palco nella capitale Addis Abeba, nel pieno svolgimento di una cerimonia pubblica, quando due patrioti di origine eritrea, Mogus Asghedom e Abraham Debotch, lanciarono nella sua direzione alcune bombe a mano che uccisero sette persone e ne ferirono molte altre. Tra queste lo stesso Graziani, che venne portato via d’urgenza. Da parte italiana l’attentato produsse panico, vuoto di potere, confusione nella catena di comando, volontà di vendetta esemplare frammista alla necessità di riaffermare il prima possibile e senza dubbi l’autorità italiana. Conseguenza di tutto questo fu un massacro difficile da descrivere.
Nei momenti subito successivi al fatto, le truppe italiane presenti sul posto presero a sparare indiscriminatamente sulla folla. Fuori città, le truppe nei presidi ricevevano l’ordine di iniziare una marcia concentrica verso Addis Abeba sparando a vista a chiunque incontrassero e dando fuoco alle abitazioni etiopiche. Una camicia nera, in una lettera spedita il 30 aprile, raccontò così quella marcia: 
Stupiti, partimmo anche noi dal nostro fortino, in pieno assetto di guerra, e seguiti da carri armati e motociclette con mitragliatrici: e percorremmo diecine [sic] di chilometri, sparando su qualunque individuo di colore che incontravamo, e massacrando, nelle stesse loro capanne, tutti gli indigeni che si trovavano sul nostro cammino. 
Giunti alla periferia della città, di fronte agli agglomerati di tucul – piccoli edifici di abitazione – al cui interno si erano chiusi gli etiopici, 
siccome non potevamo colpirli tutti a fucilate, i nostri ufficiali fecero mettere in azione i lancia-fiamme: così in dieci minuti facemmo divampare, come roghi, centinaia e centinaia di tuculs, nei quali c’erano donne, vecchi e bambini, che furono abbrustoliti…
Frattanto nella città, la massima autorità politica rimasta, il segretario federale del Partito nazionale fascista Guido Cortese, ordinò la rappresaglia sguinzagliando, letteralmente, la popolazione italiana. Operai, camionisti, civili e camicie nere, avuta carta bianca dal Partito, per tre giorni trasformarono la città in un girone infernale in un’orgia di brutalità che ha pochi paragoni nella storia del colonialismo europeo. 
I diplomatici stranieri ce ne danno una testimonianza vivida nelle allucinate missive che spedivano nelle rispettive capitali. Il rappresentante statunitense Cornelius Engert il primo giorno della strage telegrafava a Washington: 
I nativi sono stati picchiati e mitragliati indiscriminatamente e le loro capanne sono state bruciate. Bombe incendiarie sono state sganciate da aerei operanti nelle periferie della città, e attualmente si sente in tutta la città una buona dose di colpi di fucile e anche di cannone da campo. Le strade sono state ripulite dagli indigeni e tutti gli italiani, compresi gli operai civili, girano pesantemente armati. 
E il giorno seguente aggiunse: 
Dal momento dell’incidente, bande disordinate di lavoratori e camicie nere armati di asce, mazze o fucili hanno vagato per le strade e, con rivoltante ferocia, hanno ucciso tutti i nativi in vista, anche le donne. 
Il diplomatico francese Albert Bodard lo definì un pogrom, riferendo che 
I cadaveri sono così numerosi che non si possono eseguire degne sepolture; i corpi vengono ammucchiati e cremati sul posto dopo essere stati cosparsi di benzina. Interi quartieri di tucul abissini furono dati alle fiamme con lanciafiamme e bombe a mano. In vari casi gli occupanti indigeni, impossibilitati a fuggire, venivano bruciati vivi nelle loro abitazioni. Ogni notte, la città è circondata dalle fiamme. […] regna una grande confusione in cui camicie nere, truppe, e operai militarizzati sembrano lasciati liberi di agire a loro piacimento. 
ancora: 
Anche i camionisti inseguivano gli abissini con le loro vetture, o le lanciavano ferocemente contro i nativi per schiacciarli. Quando le vittime esitavano a morire, i manganelli aprivano i loro crani e riportavano alla ragione i recalcitranti. 
Simile il racconto dei testimoni britannici:
Per due giorni e mezzo gli etiopi, ovunque si trovassero e qualsiasi cosa facessero, furono braccati, picchiati, fucilati, trafitti con le baionette o bastonati a morte. Le loro case sono state bruciate e in alcuni casi loro stessi sono stati respinti tra le fiamme per morire bruciati. Con questo massacro furono combinati bottino e saccheggio. I seguenti incidenti che sono riferiti da testimoni affidabili illustrano bene la condotta degli italiani. Una banda di otto camicie nere è stata vista picchiare con bastoni, apparentemente a morte, un etiope le cui mani erano state prima legate dietro la schiena. […] Un colonnello italiano ha fermato la sua macchina in una strada principale per buttare giù un gruppo di tre etiopi, un uomo e due donne. Dopo aver picchiato l’uomo si è scagliato contro la donna, ma notando l’auto di una Legazione straniera lì vicino ha desistito. […] Forse uno dei motivi principali dietro l’azione degli italiani era quello della paura, poiché in nessun momento dalla loro occupazione si sono sentiti sicuri.
Dopo tre giorni, quando giunse infine l’ordine di cessare le violenze, il bilancio delle vittime fu spaventoso: circa tremila morti, ma i calcoli più recenti effettuati da Ian Campbell hanno stimato un numero sei volte superiore, forse vicino alle ventimila persone.
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Conquista dell'Etiopia: l'espansione coloniale dell'Italia fascista
La conquista dell'Etiopia rappresenta il cuore della politica coloniale italiana in epoca fascista. Il desiderio di rivalsa dopo la sconfitta del 1896 e la volontà di affermare l'Italia come grande potenza coloniale al pari degli altri Stati europei, spinsero Mussolini a sbarcare sulle coste africane. Cosa fu la guerra d'Etiopia? Mussolini individuò gli interessi coloniali italiani nel Corno d'Africa e concentrò tutti i suoi sforzi per acquisire l'Etiopia come sua colonia. L'espansione in Africa rispondeva alla volontà non solo di restaurare l'antico Impero romano ma anche di ottenere risorse naturali, spazio vitale e prestigio internazionale. Nel 1934, le tensioni tra l'Italia e l'Etiopia aumentarono a causa di dispute territoriali al confine tra le due nazioni. Nel 1935, l'Italia invase l'Etiopia con un'enorme forza militare superiore, utilizzando l'aviazione, i carri armati e le armi chimiche. Nonostante la resistenza eroica da parte dell'esercito etiope, quest'ultimo non poteva competere con la superiorità militare italiana. La guerra d'Etiopia ebbe conseguenze devastanti per il Paese africano. Le forze italiane lo occuparono per intero e nel maggio 1936 l'imperatore etiope Hailé Selassié fu costretto all'esilio. L'Etiopia divenne ufficialmente una colonia italiana e fu inclusa nell'Impero coloniale italiano, con il nome di Africa Orientale Italiana. Il conflitto attirò l'attenzione della comunità internazionale e sollevò una forte condanna da parte della Società delle Nazioni (l'organizzazione predecessora delle Nazioni Unite). Tuttavia, le sanzioni economiche e diplomatiche contro l'Italia non ebbero un impatto significativo e la guerra si concluse con la vittoria italiana. La conquista dell'Etiopia ebbe un impatto duraturo sulla storia del singolo Paese e del continente africano. La resistenza etiope e la lotta per l'indipendenza ispirarono molti movimenti di liberazione in Africa. L'Etiopia riuscirà a riconquistare la sua indipendenza nel 1941, quando l'Italia fascista sarà sconfitta durante la Seconda Guerra Mondiale. Mussolini alla conquista dell'Etiopia, quali aspirazioni? Quali motivi portarono Mussolini a conquistare l'Etiopia? Il Duce cercava di ristabilire l'antico Impero romano e desiderava un vasto impero coloniale per l'Italia. L'Etiopia era uno dei pochi paesi africani rimasti indipendenti e conquistarla avrebbe portato prestigio internazionale e risorse economiche e naturali per l'Italia. L'Etiopia, infatti, era ricca di risorse naturali come il cotone, il caffè, le pietre preziose e il bestiame. L'Italia cercava di sfruttare queste risorse per il proprio beneficio economico. L'espansione nel Corno d'Africa era volta ad acquisire uno spazio vitale e raggiungere una posizione di predominio strategico nel Mar Mediterraneo orientale. Non va sottovalutata la vendetta per la sconfitta subita dall'Italia nella battaglia di Adua nel 1896 da parte delle forze etiopi che era stata un'umiliazione nazionale per l'Italia. Mussolini desiderava vendicare questa sconfitta e ristabilire l'orgoglio italiano conquistando l'Etiopia. Mussolini utilizzò la conquista dell'Etiopia per consolidare il suo potere in Italia e per propagandare l'immagine dell'Italia fascista come una grande potenza coloniale. Cosa fece Mussolini in Etiopia? Mussolini attuò una politica di italianizzazione forzata nell'Etiopia occupata. L'obiettivo era assimilare l'Etiopia nella cultura italiana, promuovendo l'uso della lingua italiana, l'educazione italiana, l'urbanizzazione e la trasformazione dell'economia secondo i modelli italiani. Durante l'occupazione, l'Italia confiscò le terre e le risorse dell'Etiopia. Le terre vennero assegnate a coloni italiani e l'agricoltura venne sfruttata per i benefici dell'Italia. Le risorse naturali, come il cotone, il caffè e i minerali, furono sfruttate per l'interesse economico italiano. L'occupazione italiana fu caratterizzata da una politica di repressione contro gli etiopi. Furono attuate misure punitive contro la resistenza etiope, incluso l'uso di esecuzioni, fucilazioni di massa, torture e rappresaglie contro i ribelli. Mussolini attuò anche una politica razziale che discriminava la popolazione etiope e promuoveva la supremazia italiana. Gli italiani erano considerati superiori ed erano favoriti in termini di occupazione, diritti civili e accesso alle risorse. In copertina foto di D Mz da Pixabay Read the full article
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