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#Responsabilità dei Comuni
ilmiotastolibero · 1 year
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Fiume Sarno: La crisi dei rifiuti solidi minaccia l'ecosistema
Il fiume Sarno è minacciato dalla presenza di rifiuti solidi, causando danni all'ecosistema e problemi di salute. La gestione dei rifiuti e la sensibilizzazione sono essenziali per risolvere la crisi
Rifiuti solidi nel fiume Sarno: un’indagine sull’ecosistema minacciato Nella zona del Bacino Idrografico del Sarno, si verifica frequentemente una situazione in cui una massa di rifiuti galleggianti si accumula e blocca il deflusso delle acque del Fiume Sarno proprio sul ponte di Via Roma strada provinciale di Salerno n. 5 a San Marzano Sul Sarno. Questo fenomeno si ripete regolarmente. In…
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gregor-samsung · 2 years
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“ Come presidente del consiglio, nell'autunno '63, quasi piangendo, [Giovanni Leone] assicurò alle famiglie delle duemila e piú vittime della catastrofe del Vajont che al piú presto giustizia sarebbe stata fatta e i colpevoli assicurati alla giustizia. Solo che pochi mesi dopo, diventato semplice deputato, al tribunale dell'Aquila egli accettò di far parte del collegio di difesa dei dirigenti della Sade, la società responsabile del disastro. Dopo il suicidio di un ingegnere geologo, otto erano i rinviati a giudizio. Risultato: cinque assolti e tre condannati al minimo della pena. È noto a tutti che il disastro si poteva evitare, che da anni i comuni che poi verranno travolti lamentavano smottamenti e slittamenti temendo il peggio, è noto che senatori e onorevoli democristiani avevano precise responsabilità (quanti avevano approvato il progetto del bacino costruito sotto il controllo diretto dei Lavori pubblici e senza ordinare la piú stretta vigilanza sui lavori della Sade, quelli che non avvertirono di eventuali pericoli la popolazione). Cosí la sentenza si commenta da sé: evidentemente l'eloquente, e lautamente retribuita, memoria scritta che mandò allora Leone ebbe il suo peso sui giudici e sul tribunale. Eccola: "Gli imputati sono persone ineccepibili sotto ogni aspetto e la loro colpa sta nel non aver avuto nell'ora suprema l'appercezione e la riflessione, il lampo illuminante dell'imminente pericolo." (Come se fossero stati tutti là a sorvegliare e si fossero distratti un momento.) Quindi non sono responsabili di questo "tragico errore" (errore di chi? di quella loro fatale distrazione?). E poi: "Ciò che ha ucciso non è la frana, cioè la prevedibile cedevolezza dell'area scelta e non tenuta sufficientemente sotto controllo, ma soltanto l'inondazione per cui l'evento non può essere addebitato all'agente, cioè alla Sade-Enel." (E chi ha la colpa dell'inondazione, se non chi non ha tenuto sotto controllo quell'area cedevole?) Le stesse argomentazioni che si leggevano il giorno dopo la tragedia sui giornali conservatori, difensori delle società idroelettriche. "Calamità naturale" era il ritornello d'allora, quando invece la calamità era prevista da anni, denunciata dai sindaci e dai giornalisti locali, temuta anche da qualcuno, tra i meno cinici, dei funzionari dei Lavori pubblici. “
Camilla Cederna, Giovanni Leone. La carriera di un presidente, Milano, Feltrinelli, 1978; pp. 130-31.
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ciclistasingolo · 9 months
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SABRAESHATILA.“Celodisserolemosche”
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17 set 2020
Fisk, Israele, libano, Palestina, Sabra, Sharon, shatila
by Redazione
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Vogliamo ricordare Robert Fisk, scomparso il 30 ottobre, riproponendovi l’articolo che il grande giornalista scrisse quando tra i primi ad arrivare nei campi profughi di Sabra e Shatila a Beirut dopo il massacro di migliaia di palestinesi nel settembre del 1982
di Robert Fisk – settembre 1982
Roma, 17 settembre 2020 Nena News – “Furono le mosche a farcelo capire. Erano milioni e il loro ronzio era eloquente quasi quanto l’odore. Grosse come mosconi, all’inizio ci coprirono completamente, ignare della differenza tra vivi e morti. Se stavamo fermi a scrivere, si insediavano come un esercito – a legioni – sulla superficie bianca dei nostri taccuini, sulle mani, le braccia, le facce, sempre concentrandosi intorno agli occhi e alla bocca, spostandosi da un corpo all’altro, dai molti morti ai pochi vivi, da cadavere a giornalista, con i corpicini verdi, palpitanti di eccitazione quando trovavano carne fresca sulla quale fermarsi a banchettare.
Se non ci muovevamo abbastanza velocemente, ci pungevano. Perlopiù giravano intorno alle nostre teste in una nuvola grigia, in attesa che assumessimo la generosa immobilità dei morti. Erano servizievoli quelle mosche, costituivano il nostro unico legame fisico con le vittime che ci erano intorno, ricordandoci che c’è vita anche nella morte. Qualcuno ne trae profitto. Le mosche sono imparziali. Per loro non aveva nessuna importanza che quei corpi fossero stati vittime di uno sterminio di massa. Le mosche si sarebbero comportate nello stesso modo con un qualsiasi cadavere non sepolto. Senza dubbio, doveva essere stato così anche nei caldi pomeriggi durante la Peste nera.
All’inizio non usammo la parola massacro. Parlammo molto poco perché le mosche si avventavano infallibilmente sulle nostrae bocche. Per questo motivo ci tenevamo sopra un fazzoletto, poi ci coprimmo anche il naso perché le mosche si spostavano su tutta la faccia. Se a Sidone l’odore dei cadaveri era stato nauseante, il fetore di Shatila ci faceva vomitare. Lo sentivamo anche attraverso i fazzoletti più spessi. Dopo qualche minuto, anche noi cominciammo a puzzare di morto.
Erano dappertutto, nelle strade, nei vicoli, nei cortili e nelle stanze distrutte, sotto i mattoni crollati e sui cumuli di spazzatura. Gli assassini – i miliziani cristiani che Israele aveva lasciato entrare nei campi per «spazzare via i terroristi» – se n’erano appena andati. In alcuni casi il sangue a terra era ancora fresco. Dopo aver visto un centinaio di morti, smettemmo di contarli. In ogni vicolo c’erano cadaveri – donne, giovani, nonni e neonati – stesi uno accanto all’altro, in quantità assurda e terribile, dove erano stati accoltellati o uccisi con i mitra. In ogni corridoio tra le macerie trovavamo nuovi cadaveri. I pazienti di un ospedale palestinese erano scomparsi dopo che i miliziani avevano ordinato ai medici di andarsene. Dappertutto, trovavamo i segni di fosse comuni scavate in fretta. Probabilmente erano state massacrate mille persone; e poi forse altre cinquecento.
Mentre eravamo lì, davanti alle prove di quella barbarie, vedevamo gli israeliani che ci osservavano. Dalla cima di un grattacielo a ovest – il secondo palazzo del viale Camille Chamoun – li vedevamo che ci scrutavano con i loro binocoli da campo, spostandoli a destra e a sinistra sulle strade coperte di cadaveri, con le lenti che a volte brillavano al sole, mentre il loro sguardo si muoveva attraverso il campo. Loren Jenkins continuava a imprecare. Pensai che fosse il suo modo di controllare la nausea provocata da quel terribile fetore. Avevamo tutti voglia di vomitare. Stavamo respirando morte, inalando la putredine dei cadaveri ormai gonfi che ci circondavano. Jenkins capì subito che il ministro della Difesa israeliano avrebbe dovuto assumersi una parte della responsabilità di quell’orrore. «Sharon!» gridò. «Quello stronzo di Sharon! Questa è un’altra Deir Yassin.»
Quello che trovammo nel campo palestinese di Shatila alle dieci di mattina del 18 settembre 1982 non era indescrivibile, ma sarebbe stato più facile da raccontare nella fredda prosa scientifica di un esame medico. C’erano già stati massacri in Libano, ma raramente di quelle proporzioni e mai sotto gli occhi di un esercito regolare e presumibilmente disciplinato. Nell’odio e nel panico della battaglia, in quel paese erano state uccise decine di migliaia di persone. Ma quei civili, a centinaia, erano tutti disarmati. Era stato uno sterminio di massa, un’atrocità, un episodio – con quanta facilità usavamo la parola «episodio» in Libano – che andava ben oltre quella che in altre circostanze gli israeliani avrebbero definito una strage terroristica. Era stato un crimine di guerra.
Jenkins, Tveit e io eravamo talmente sopraffatti da ciò che avevamo trovato a Shatila che all’inizio non riuscivamo neanche a renderci conto di quanto fossimo sconvolti. Bill Foley dell’Ap era venuto con noi. Mentre giravamo per le strade, l’unica cosa che riusciva a dire era «Cristo santo!». Avremmo potuto accettare di trovare le tracce di qualche omicidio, una dozzina di persone uccise nel fervore della battaglia; ma nelle case c’erano donne stese con le gonne sollevate fino alla vita e le gambe aperte, bambini con la gola squarciata, file di ragazzi ai quali avevano sparato alle spalle dopo averli allineati lungo un muro. C’erano neonati – tutti anneriti perché erano stati uccisi più di ventiquattro ore prima e i loro corpicini erano già in stato di decomposizione – gettati sui cumuli di rifiuti accanto alle scatolette delle razioni dell’esercito americano, alle attrezzature mediche israeliane e alle bottiglie di whisky vuote.
Dov’erano gli assassini? O per usare il linguaggio degli israeliani, dov’erano i «terroristi»? Mentre andavamo a Shatila avevamo visto gli israeliani in cima ai palazzi del viale Camille Chamoun, ma non avevano cercato di fermarci. In effetti, eravamo andati prima al campo di Burj al-Barajne perché qualcuno ci aveva detto che c’era stato un massacro. Tutto quello che avevamo visto era un soldato libanese che inseguiva un ladro d’auto in una strada. Fu solo mentre stavamo tornando indietro e passavamo davanti all’entrata di Shatila che Jenkins decise di fermare la macchina. «Non mi piace questa storia» disse. «Dove sono finiti tutti? Che cavolo è quest’odore?»
Appena superato l’ingresso sud del campo, c’erano alcune case a un piano circondate da muri di cemento. Avevo fatto tante interviste in quelle casupole alla fine degli anni settanta. Quando varcammo la fangosa entrata di Shatila vedemmo che tutte quelle costruzioni erano state fatte saltare in aria con la dinamite. C’erano bossoli sparsi a terra sulla strada principale. Vidi diversi candelotti di traccianti israeliani, ancora attaccati ai loro minuscoli paracadute. Nugoli di mosche aleggiavano tra le macerie, branchi di predoni che avevano annusato la vittoria.
In fondo a un vicolo sulla nostra destra, a non più di cinquanta metri dall’entrata, trovammo un cumulo di cadaveri. Erano più di una dozzina, giovani con le braccia e le gambe aggrovigliate nell’agonia della morte. A tutti avevano sparato a bruciapelo, alla guancia: la pallottola aveva portato via una striscia di carne fino all’orecchio ed era poi entrata nel cervello. Alcuni avevano cicatrici nere o rosso vivo sul lato sinistro del collo. Uno era stato castrato, i pantaloni erano strappati sul davanti e un esercito di mosche banchettava sul suo intestino dilaniato.
Avevano tutti gli occhi aperti. Il più giovane avrà avuto dodici o tredici anni. Portavano jeans e camicie colorate, assurdamente aderenti ai corpi che avevano cominciato a gonfiarsi per il caldo. Non erano stati derubati. Su un polso annerito, un orologio svizzero segnava l’ora esatta e la lancetta dei minuti girava ancora, consumando inutilmente le ultime energie rimaste sul corpo defunto.
Dall’altro lato della strada principale, risalendo un sentiero coperto di macerie, trovammo i corpi di cinque donne e parecchi bambini. Le donne erano tutte di mezza età ed erano state gettate su un cumulo di rifiuti. Una era distesa sulla schiena, con il vestito strappato e la testa di una bambina che spuntava sotto il suo corpo. La bambina aveva i capelli corti, neri e ricci, dal viso corrucciato i suoi occhi ci fissavano. Era morta.
Un’altra bambina era stesa sulla strada come una bambola gettata via, con il vestitino bianco macchiato di fango e polvere. Non avrà avuto più di tre anni. La parte posteriore della testa era stata portata via dalla pallottola che le avevano sparato al cervello. Una delle donne stringeva a sé un minuscolo neonato. La pallottola attraversandone il petto aveva ucciso anche il bambino. Qualcuno le aveva squarciato la pancia in lungo e in largo, forse per uccidere un altro bambino non ancora nato. Aveva gli occhi spalancati, il volto scuro pietrificato dall’orrore.
Tveit cercò di registrare tutto su una cassetta, parlando lentamente in norvegese e in tono impassibile. «Ho trovato altri corpi, quelli di una donna con il suo bambino. Sono morti. Ci sono altre tre donne. Sono morte.»
Di tanto in tanto, premeva il bottone della pausa e si piegava per vomitare nel fango della strada. Mentre esploravamo un vicolo, Foley, Jenkins e io sentimmo il rumore di un cingolato. «Sono ancora qui» disse Jenkins e mi fissò. Erano ancora lì. Gli assassini erano ancora nel campo. La prima preoccupazione di Foley fu che i miliziani cristiani potessero portargli via il rullino, l’unica prova – per quanto ne sapesse – di quello che era successo. Cominciò a correre lungo il vicolo.
Io e Jenkins avevamo paure più sinistre. Se gli assassini erano ancora nel campo, avrebbero voluto eliminare i testimoni piuttosto che le prove fotografiche. Vedemmo una porta di metallo marrone socchiusa; l’aprimmo e ci precipitammo nel cortile, chiudendola subito dietro di noi. Sentimmo il veicolo che si addentrava nella strada accanto, con i cingoli che sferragliavano sul cemento. Jenkins e io ci guardammo spaventati e poi capimmo che non eravamo soli. Sentimmo la presenza di un altro essere umano. Era lì vicino a noi, una bella ragazza distesa sulla schiena.
Era sdraiata lì come se stesse prendendo il sole, il sangue ancora umido le scendeva lungo la schiena. Gli assassini se n’erano appena andati. E lei era lì, con i piedi uniti, le braccia spalancate, come se avesse visto il suo salvatore. Il viso era sereno, gli occhi chiusi, era una bella donna, e intorno alla sua testa c’era una strana aureola: sopra di lei passava un filo per stendere la biancheria e pantaloni da bambino e calzini erano appesi. Altri indumenti giacevano sparsi a terra. Quando gli assassini avevano fatto irruzione, probabilmente stava ancora stendendo il bucato della sua famiglia. E quando era caduta, le mollette che teneva in mano erano finite a terra formando un piccolo cerchio di legno attorno al suo capo.
Solo il minuscolo foro che aveva sul seno e la macchia che si stava man mano allargando indicavano che fosse morta. Perfino le mosche non l’avevano ancora trovata. Pensai che Jenkins stesse pregando, ma imprecava di nuovo e borbottava «Dio santo», tra una bestemmia e l’altra. Provai tanta pena per quella donna. Forse era più facile provare pietà per una persona giovane, così innocente, una persona il cui corpo non aveva ancora cominciato a marcire. Continuavo a guardare il suo volto, il modo ordinato in cui giaceva sotto il filo da bucato, quasi aspettandomi che aprisse gli occhi da un momento all’altro.
Probabilmente quando aveva sentito sparare nel campo era andata a nascondersi in casa. Doveva essere sfuggita all’attenzione dei miliziani fino a quella mattina. Poi era uscita in giardino, non aveva sentito nessuno sparo, aveva pensato che fosse tutto finito e aveva ripreso le sue attività quotidiane. Non poteva sapere quello che era successo. A un tratto qualcuno aveva aperto la porta, improvvisamente come avevamo fatto noi, e gli assassini erano entrati e l’avevano uccisa. Senza pensarci due volte. Poi se n’erano andati ed eravamo arrivati noi, forse soltanto un minuto o due dopo.
Rimanemmo in quel giardino ancora per un po’. Io e Jenkins eravamo spaventati. Come Tveit, che era momentaneamente scomparso, Jenkins era un sopravvissuto. Mi sentivo al sicuro con lui. I miliziani – gli assassini della ragazza – avevano violentato e accoltellato le donne di Shatila e sparato agli uomini, ma sospettavo che avrebbero esitato a uccidere Jenkins e l’americano avrebbe cercato di dissuaderli. «Andiamocene via di qui» disse, e ce ne andammo. Fece capolino in strada per primo, io lo seguii, chiudendo la porta molto piano perché non volevo disturbare la donna morta, addormentata, con la sua aureola di mollette da bucato.
Foley era tornato sulla strada vicino all’entrata del campo. Il cingolato era scomparso, anche se sentivo che si spostava sulla strada principale esterna, in direzione degli israeliani che ci stavano ancora osservando. Jenkins sentì Tveit urlare da dietro una catasta di cadaveri e lo persi di vista. Continuavamo a perderci di vista dietro i cumuli di cadaveri. Un attimo prima stavo parlando con Jenkins, un attimo dopo mi giravo e scoprivo che mi stavo rivolgendo a un ragazzo, riverso sul pilastro di una casa con le braccia penzoloni dietro la testa.
Sentivo le voci di Jenkins e Tveit a un centinaio di metri di distanza, dall’altra parte di una barricata coperta di terra e sabbia che era stata appena eretta da un bulldozer. Sarà stata alta più di tre metri e mi arrampicai con difficoltà su uno dei lati, con i piedi che scivolavano nel fango. Quando ormai ero arrivato quasi in cima persi l’equilibrio e per non cadere mi aggrappai a una pietra rosso scuro che sbucava dal terreno. Ma non era una pietra. Era viscida e calda e mi rimase appiccicata alla mano. Quando abbassai gli occhi vidi che mi ero attaccato a un gomito che sporgeva dalla terra, un triangolo di carne e ossa.
Lo lasciai subito andare, inorridito, pulendomi i resti di carne morta sui pantaloni, e finii di salire in cima alla barricata barcollando. Ma l’odore era terrificante e ai miei piedi c’era un volto al quale mancava metà bocca, che mi fissava. Una pallottola o un coltello gliel’avevano portata via, quello che restava era un nido di mosche. Cercai di non guardarlo. In lontananza, vedevo Jenkins e Tveit in piedi accanto ad altri cadaveri davanti a un muro, ma non potevo chiedere aiuto perché sapevo che se avessi aperto la bocca per gridare avrei vomitato.
Salii in cima alla barricata cercando disperatamente un punto che mi consentisse di saltare dall’altra parte. Ma non appena facevo un passo, la terra mi franava sotto i piedi. L’intero cumulo di fango si muoveva e tremava sotto il mio peso come se fosse elastico e, quando guardai giù di nuovo, vidi che solo uno strato sottile di sabbia copriva altre membra e altri volti. Mi accorsi che una grossa pietra era in realtà uno stomaco. Vidi la testa di un uomo, il seno nudo di una donna, il piede di un bambino. Stavo camminando su decine di cadaveri che si muovevano sotto i miei piedi.
I corpi erano stati sepolti da qualcuno in preda al panico. Erano stati spostati con un bulldozer al lato della strada. Anzi, quando sollevai lo sguardo vidi il bulldozer – con il posto di guida vuoto – parcheggiato con aria colpevole in fondo alla strada.
Mi sforzavo invano di non camminare sulle facce che erano sotto di me. Provavamo tutti un profondo rispetto per i morti, perfino lì e in quel momento. Continuavo a dirmi che quei cadaveri mostruosi non erano miei nemici, quei morti avrebbero approvato il fatto che fossi lì, avrebbero voluto che io, Jenkins e Tveit vedessimo tutto questo, e quindi non dovevo avere paura di loro. Ma non avevo mai visto tanti cadaveri in tutta la mia vita.
Saltai giù e corsi verso Jenkins e Tveit. Suppongo che stessi piagnucolando come uno scemo perché Jenkins si girò. Sorpreso. Ma appena aprii la bocca per parlare, entrarono le mosche. Le sputai fuori. Tveit vomitava. Stava guardando quelli che sembravano sacchi davanti a un basso muro di pietra. Erano tutti allineati, giovani uomini e ragazzi, stesi a faccia in giù. Gli avevano sparato alla schiena mentre erano appoggiati al muro e giacevano lì dov’erano caduti, una scena patetica e terribile.
Quel muro e il mucchio di cadaveri mi ricordavano qualcosa che avevo già visto. Solo più tardi mi sarei reso conto di quanto assomigliassero alle vecchie fotografie scattate nell’Europa occupata durante la Seconda guerra mondiale. Ci sarà stata una ventina di corpi. Alcuni nascosti da altri. Quando mi inchinai per guardarli più da vicino notai la stessa cicatrice scura sul lato sinistro del collo. Gli assassini dovevano aver marchiato i prigionieri da giustiziare in quel modo. Un taglio sulla gola con il coltello significava che l’uomo era un terrorista da giustiziare immediatamente. Mentre eravamo lì sentimmo un uomo gridare in arabo dall’altra parte delle macerie: «Stanno tornando». Così corremmo spaventati verso la strada. A ripensarci, probabilmente era la rabbia che ci impediva di andarcene, perché ci fermammo all’ingresso del campo per guardare in faccia alcuni responsabili di quello che era successo. Dovevano essere arrivati lì con il permesso degli israeliani. Dovevano essere stati armati da loro. Chiaramente quel lavoro era stato controllato – osservato attentamente – dagli israeliani, dagli stessi soldati che guardavano noi con i binocoli da campo.
Sentimmo un altro mezzo corazzato sferragliare dietro un muro a ovest – forse erano falangisti, forse israeliani – ma non apparve nessuno. Così proseguimmo. Era sempre la stessa scena. Nelle casupole di Shatila, quando i miliziani erano entrati dalla porta, le famiglie si erano rifugiate nelle camere da letto ed erano ancora tutti lì, accasciati sui materassi, spinti sotto le sedie, scaraventati sulle pentole. Molte donne erano state violentate, i loro vestiti giacevano sul pavimento, i corpi nudi gettati su quelli dei loro mariti o fratelli, adesso tutti neri di morte.
C’era un altro vicolo in fondo al campo dove un bulldozer aveva lasciato le sue tracce sul fango. Seguimmo quelle orme fino a quando non arrivammo a un centinaio di metri quadrati di terra appena arata. Sul terreno c’era un tappeto di mosche e anche lì si sentiva il solito, leggero, terribile odore dolciastro. Vedendo quel posto, sospettammo tutti di che cosa si trattasse, una fossa comune scavata in fretta. Notammo che le nostre scarpe cominciavano ad affondare nel terreno, che sembrava liquido, quasi acquoso e tornammo indietro verso il sentiero tracciato dal bulldozer, terrorizzati.
Un diplomatico norvegese – un collega di Ane-Karina Arveson – aveva percorso quella strada qualche ora prima e aveva visto un bulldozer con una decina di corpi nella pala, braccia e gambe che penzolavano fuori dalla cassa. Chi aveva ricoperto quella fossa con tanta solerzia? Chi aveva guidato il bulldozer? Avevamo una sola certezza: gli israeliani lo sapevano, lo avevano visto accadere, i loro alleati – i falangisti o i miliziani di Haddad – erano stati mandati a Shatila a commettere quello sterminio di massa. Era il più grave atto di terrorismo – il più grande per dimensioni e durata, commesso da persone che potevano vedere e toccare gli innocenti che stavano uccidendo – della storia recente del Medio Oriente.
Incredibilmente, c’erano alcuni sopravvissuti. Tre bambini piccoli ci chiamarono da un tetto e ci dissero che durante il massacro erano rimasti nascosti. Alcune donne in lacrime ci gridarono che i loro uomini erano stati uccisi. Tutti dissero che erano stati i miliziani di Haddad e i falangisti, descrissero accuratamente i diversi distintivi con l’albero di cedro delle due milizie.
Sulla strada principale c’erano altri corpi. «Quello era il mio vicino, il signor Nuri» mi gridò una donna. «Aveva novant’anni.» E lì sul marciapiede, sopra un cumulo di rifiuti, era disteso un uomo molto anziano con una sottile barba grigia e un piccolo berretto di lana ancora in testa. Un altro vecchio giaceva davanti a una porta in pigiama, assassinato qualche ora prima mentre cercava di scappare. Trovammo anche alcuni cavalli morti, tre grossi stalloni bianchi che erano stati uccisi con una scarica di mitra davanti a una casupola, uno di questi aveva uno zoccolo appoggiato al muro, forse aveva cercato di saltare per mettersi in salvo mentre i miliziani gli sparavano.
C’erano stati scontri nel campo. La strada vicino alla moschea di Sabra era diventata sdrucciolevole per quanto era coperta di bossoli e nastri di munizioni, alcuni dei quali erano di fattura sovietica, come quelli usati dai palestinesi. I pochi uomini che possedevano ancora un’arma avevano cercato di difendere le loro famiglie. Nessuno avrebbe mai conosciuto la loro storia. Quando si erano accorti che stavano massacrando il loro popolo? Come avevano fatto a combattere con così poche armi? In mezzo alla strada, davanti alla moschea, c’era un kalashnikov giocattolo di legno in scala ridotta, con la canna spezzata in due.
Camminammo in lungo e in largo per il campo, trovando ogni volta altri cadaveri, gettati nei fossi, appoggiati ai muri, allineati e uccisi a colpi di mitra. Cominciammo a riconoscere i corpi che avevamo già visto. Laggiù c’era la donna con la bambina in braccio, ecco di nuovo il signor Nuri, disteso sulla spazzatura al lato della strada. A un certo punto, guardai con attenzione la donna con la bambina perché mi sembrava quasi che si fosse mossa, che avesse assunto una posizione diversa. I morti cominciavano a diventare reali ai nostri occhi.
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parmenida · 2 years
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Esiste un villaggio sull’Himalaya in cui comandano le donne e non esistono i mariti. Stiamo parlando della popolazione dei Moso, una minoranza etnica che vive nello Yunnan, una zona sud-occidentale della Cina, ai confini con il Tibet e ai piedi della grande montagna.
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In questo villaggio le donne non si sposano mai, ma questo non vuol dire che rinunciano ai figli e alla presenza di un compagno o di un padre. Durante le feste popolari sono le donne a scegliere il proprio partner. Se una ragazza si avvicina ad un uomo e gli solletica il palmo della mano vuol dire che vorrebbe stare con lui. Dopo il breve corteggiamento il prescelto può vivere una notte d’amore con la donna, arrampicandosi sino alla sua finestra.
Lei però potrà cambiare idea sino all’ultimo secondo e l’uomo potrà raggiungerla solo se vedrà una cintura appesa alla finestra, in caso contrario dovrà parlare apertamente con la ragazza per poter prendere accordi. Dopo il parto, i figli rimangono a vivere nella casa della madre, insieme alle nonne e alle zie. Le donne vivono e dormono in stanze private, mentre gli uomini riposano in camerate comuni. Quando una coppia Moso si separa lo fa in modo naturale, senza bisogno di litigi o conflitti a causa della gestione dei figli o della spartizione dei beni.
Il ruolo del capofamiglia è ricoperto dalla donna più anziana, la Dabu, che ha il compito di proteggere e guidare la famiglia.
Nonostante sia una società matriarcale, quella dei Moso non opprime gli uomini che, al contrario, sembrano molto felici.
Si prendono cura dei figli, ma anche delle sorelle e delle madri, costruiscono le case e le rendono sicure.
Di fatto nei villaggi di questa popolazione c’è una perfetta distribuzione dei ruoli e un bilanciamento delle responsabilità tale da azzerare qualsiasi conflitto possibile.
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superfuji · 2 years
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Stipendi raddoppiati fino a 3.500 euro, i consiglieri comunali di Roma si votano gli aumenti
di Lorenzo D'Albergo                
La delibera fa superare le divisioni tra centrosinistra e centrodestra. Martedì la discussione nell'aula Giulio Cesare
Ieri hanno bisticciato sulla piaga degli incendi. Ma oggi, come se ieri Fratelli d'Italia e Lega non avessero lasciato il consiglio comunale in polemica con la maggioranza a trazione piddina, i consiglieri di centrosinistra e di centrodestra si ritroveranno per votare assieme il via libera all'aumento dei propri stipendi.
Se adesso gli eletti in Assemblea capitolina guadagnano tra i 1.900 e i 2.000 euro al mese, la delibera in discussione stamattina nella doppia commissione Bilancio e Statuto promette di far salire l'indennità fino a 3.500 euro.
La strada è già segnata. Dopo il parere di stamattina, l'aumento verrà discusso al più presto anche in aula Giulio Cesare. Se non ci saranno intoppi nella riunione di oggi tra i capigruppo, appuntamento per martedì in Campidoglio. In fretta e furia, prima della pausa estiva. Sugli scranni l'atto che punta a "prevedere che per i consiglieri capitolini si possa equamente commisurare una indennità di funzione al 45% dell'indennità del sindaco".
Una somma che uscirà direttamente dal bilancio di Roma Capitale e che subirà detrazioni solo se l'eletto di turno non garantirà "un numero di presenze mensile pari a 20 tra sedute di Assemblea capitolina e commissioni consiliari" o non marcherà visita almeno al 60% dei consigli.
La trattativa con il ministero dell'Interno - crisi di governo permettendo - è già stata avviata: il Viminale dovrebbe far seguire un proprio decreto alla delibera del Comune in tempi stretti. A quel punto gli stipendi dei 48 consiglieri - già adeguati lo scorso febbraio - saliranno a 5.175 euro lordi al mese nel 2022 per poi assestarsi sui 6.120 euro lordi nel 2024. Insomma, sempre nella misura del 45% dell'indennità del sindaco Roberto Gualtieri, equiparata a inizio consiliatura da palazzo Chigi a quella di un governatore di Regione. La misura riguardava anche gli assessori e la presidenza dell'Assemblea capitolina. Adesso sotto con i consiglieri: con la riforma, il loro stipendio dovrebbe fissarsi attorno ai 3.500 euro mensili fino alla fine del 2022.
Di fatto un raddoppio. Motivato con la gravosità del ruolo e le tante responsabilità, puntualmente elencate nella delibera. Il rapporto tra eletti e residenti a Roma è "pari a un consigliere ogni 60 mila abitanti" e, si sottolinea nel documento, "non ha eguali in altri comuni italiani". Nell'atto viene quindi citato il numero complessivo di cittadini dell'Urbe, 2.808.293 stando all'ultima rilevazione disponibile.
Poi il dato sui turisti: "Roma esprime al massimo la propria vocazione di città internazionale tanto da registrare nel 2019 un numero pari a 19.454.354 arrivi e 46-539.097 presenze". Quote prepandemiche. Buone, però, per giustificare l'aumento in busta paga.
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Concluso in Acen il confronto sulla riforma della legge urbanistica
“Diamo atto all’assessore Discepolo di aver elaborato un’ottima legge urbanistica, che salvaguarda il territorio e dà una netta sterzata a favore della riqualificazione urbana ed edilizia, mirando concretamente alla riduzione del consumo di suolo, offrendo incentivi a chi si adopera in tal senso”. Così Angelo Lancellotti, presidente dei costruttori napoletani, ha aperto il convegno ”La riforma della legge urbanistica”, organizzato da Acen e Ance Campania, con il patrocinio dell’Ordine degli Architetti e degli Ingegneri di Napoli.   Acen e la riforma della legge urbanistica “Ora sono determinanti il regolamento attuativo della legge e il regolamento urbanistico edilizio che la Giunta Regionale dovrà approvare, affinché tutti i Comuni si adeguino. Grazie al nuovo impianto normativo, infatti – ha concluso Lancellotti – torna centrale il ruolo delle amministrazioni comunali per le scelte urbanistiche”. Gli ha fatto eco Luigi Della Gatta, presidente di Ance Campania: “Abbiamo accolto con favore questa legge, che va in direzione della semplificazione normativa per la redazione dei Piani Urbanistici Comunali, rispetto ai quali diversi comuni sono ancora inadempienti. Da oggi – ha continuato - i comuni sono obbligati alla predisposizione di soli due documenti (Piano Strutturale e Regolamento Edilizio) in luogo dei cinque previsti dalla precedente normativa. E' necessario ora che le amministrazioni locali applichino in modo corretto la norma e per questo saranno opportuni i chiarimenti attuativi sulla sua applicazione da parte della Giunta Regionale." Prospettive future a Napoli “Il Comune sta aggiornando il Piano Regolatore Generale ed è sincronizzato con Legge Regionale Urbanistica – ha detto Laura Lieto, assessore all’Urbanistica del Comune di Napoli. “Abbiamo collaborato con nostri emendamenti alla stesura di questo impianto normativo molto atteso, che lascia spazio ai singoli Comuni per la pianificazione. E’ evidente – ha aggiunto – la spinta sulla rigenerazione urbana, com’è altrettanto evidente nella legge che ora i Comuni hanno opportunità e onore di scegliere le quote e le aree in cui operare. Chiaro l’orientamento al consumo suolo zero e la massima attenzione alla transizione ecologica e ai cambiamenti in corso nelle città, dal calo demografico che investe anche la città di Napoli, alla necessità impellente di cambiare dotazioni ecosistemiche e attrezzature, per offrire quella gamma di servizi alla collettività, ora negati. Penso all’esigenza di abitazioni, al social housing per gli studenti e alle giovani coppie, vista anche l’iperturismo soprattutto nel centro storico e alle residenze per anziani”. Ampliare gli orizzonti: la Campania “La riforma vara una fase nuova del governo del territorio in Campania che coinvolgerà cittadini e imprese. Un compromesso fra rigoroso consumo di suolo zero e rigenerazione urbana incentivata e agevolata” ha evidenziato Roberto Gerundo, assessore all’Urbanistica del Comune di Giugliano. Si apre così una nuova e necessaria frontiera della sostenibilità ambientale, sociale ed economica” “La legge 5 del 2024 è una legge necessaria – ha sottolineato Michelangelo Russo, direttore del Dipartimento di Architettura dell’Università di Napoli Federico II - redatta con grande attenzione alle sfide del contemporaneo, per i territori urbani e rurali. Mette al centro principi molto rilevanti:  il contrasto agli effetti dei cambiamenti climatici e al consumo di suolo, per intervenire sulla città esistente e salvaguardare i valori di ‘naturalità’ e di risorse del paesaggio  In più – ha aggiunto Russo - la legge incide sul concetto di consapevolezza e,  dunque, di responsabilità degli amministratori, dei progettisti e degli investitori e, soprattutto, di una larga parte delle nostra comunità che deve, attraverso questa legge, essere coinvolta”.    Gli interventi legislativi Il dibattitto, introdotto dal professor Alberto Coppola e coordinato da Antonio Giustino, vice presidente dell’Acen, è stato concluso dall’assessore regionale al Governo del Territorio, Bruno Discepolo. “A venti anni di distanza dalla legge 16 siamo intervenuti oggi con un provvedimento legislativo che modifica sostanzialmente il testo originario, introducendo nuovi principi di semplificazione dei processi di pianificazione. Con la legge 5 sarà più semplice pianificare per i comuni della Campania con una maggiore attenzione ai temi del contrasto al consumo di suolo e dei cambiamenti climatici per i quali è previsto, tra l’altro, un Osservatorio regionale per il monitoraggio e il controllo di questi fenomeni. È il piano della rigenerazione urbana quello immaginato con la nuova legge. Oggi – ha aggiunto l'assessore regionale - le città non si espandono più e non crescono, ma si trasformano. I piani devono gestire queste trasformazioni con particolare attenzione all’ecologia e all’ambiente. La sfida dei prossimi anni sarà quella di pianificare con regole più semplici ed efficaci, rigenerando il patrimonio esistente e migliorando la qualità degli ambienti di vita delle comunità”. Foto di copertina concessa da Acen Read the full article
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micro961 · 2 days
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Natalia Zambelli - 24 H
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Il nuovo EP di Natalia Zambelli - In radio dal 24 maggio
Negli store dal 24 Maggio: “24” Si tratta del quinto ed ultimo brano destinato a far parte del'EP “24 H” il primo mini album dell'artista ideato per diventare un Concept EP con il focus sulle 24ore. In questa canzone l'artista unisce sentimenti e riflessioni, quelle che si fanno e si vivono nell'arco della giornata. Dopo OVERTHINKING, BLUR, OLD CONVERSATION, TOMMORROW …24 riassume delicatamente il racconto dei cambiamenti e delle trasformazioni che si verificano in un unico giorno. Cantato come sempre in inglese, ma stavolta armonizzato con l'eccezione di bellissimi versi in italiano. La raffinatezza stilistica della musica di Natalia è ormai un tratto distintivo del suo sound, fatto di canzoni sempre molto pulite e naturali. L'interpretazione di Natalia Zambelli si apprezza nota dopo nota anche in questa nuova canzone, indipendentemente dalla musicalità della lingua cantata. “24” cerca di rispondere a tutte le domande poste dalle canzoni precedenti, dimostrando che solo noi stessi possiamo cambiare il corso della nostra vita, assumendoci la responsabilità e l'impegno di seguire i nostri sogni” , Spiega Natalia concludendo :-”in fondo, una giornata è fatta di sole 24 ore che continuamente finiscono e ricominciano sempre. Ogni giorno nuovi pensieri, nuove emozioni. Nuovi inizi”.
Attraverso le comuni piattaforme digitali ed i canali personali dell'artista, si trovano performance inedite che rendono possibile comprendere il genuino rapporto di Natalia Zambelli con la musica. l'Artista ha solo sedici anni ed una doppia nazionalità che le permette di studiare musica e canto con riferimenti internazionali e che le dona una mentalità aperta. Partecipando a selezioni in programmi televisivi musicali in Brasile e all’estero ha collezionato numerosi premi, tra questi:ben quattro differenti edizioni del Festival della canzone del Colégio Catarinense che le ha consegnato un trofeo. Ha ricevuto la medaglia d'oro al festival di musica Vox 2019, la medaglia d’argento al concorso Làszlo Spezzaferri International Music Prize ed il trofeo per il secondo posto nella categoria giovanile del 4º Festival della canzone Entre Rio. Nel 2023 partecipa e vince la quarta edizione del social contest italiano MelaCanto Talent iniziando la realizzazione discografica del primo brano . Natalia Zambelli studia canto da quando aveva cinque anni ed il pianoforte da quando ne aveva otto. Anche recentemente ha partecipato ad alcuni provini per programmi televisivi musicali sia in Italia, che in Brasile. E' una compositrice di talento. Associata all' Unione Brasiliana dei Compositori (UBC), continua ad espandere i suoi orizzonti artistici con nuove composizioni prodotte in diverse lingue, esplorando nuovi suoni e stili. Il suo lavoro più recente, l'EP intitolato “24H”, iniziato con il singolo di debutto che ha scalato le classifiche della musica indipendente italiana con oltre cinque settimane di permanenza “Overthinking”( uscito il 27 ottobre 2023 ) e si chiude con “24”; aprendo di fatto una nuova era per un'artista in continua evoluzione. Natalia Zambelli ha una grande passione per le storie che ama raccontare attraverso le sue canzoni, è spesso ispirata da musiche sentimentali e brani ricchi di significato, próprio perchè per lei la canzone è un veicolo, un mezzo per raccontare, trasmettere idee e sentimenti e la musica è una cara amica con la quale confidarsi. L'EP 24H esce con l’etichetta discografica italiana iPERi Recording Label.. Con una voce accattivante e un talento innegabile, Natalia Zambelli è pronta a conquistare il cuore degli ascoltatori di tutto il mondo e a far parte del futuro discografico.
Etichetta: Mendaki publishing - https://www.instagram.com/mendaki_publishing/ i Per i Recording Label - https://www.instagram.com/iperirecordinglabel/
Link Profilo Spotify: https://open.spotify.com/intl-pt/artist/5ZH7z259idYfO4eTllFwO8 Link Profilo Instagram: https://www.instagram.com/nataliazambelli_/ Link Profilo YouTube: https://www.youtube.com/@nataliazambellioficial8579 Link Profilo TikTok: www.tiktok.com/@natalia_zambelli
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Il topolino: racconto sulle conseguenze dell’indifferenza e dell’egoismo.
Attraverso il buchino del muro un topolino guardava il contadino e la moglie che stavano aprendo un pacchetto. “Che cibo ci sarà?” si chiedeva il topolino.
Appena il pacchetto fu aperto il topino rimase sconvolto: era una trappola per topi!
Il topolino allora fece il giro della fattoria avvisando tutti: “C’è una trappola per topi in casa! C’è una trappola per topi in casa!”
Il pollo alzò la testa e disse: “Signor Topo, capisco che è una cosa grave per te, ma non mi riguarda, non mi preoccupa affatto!”
Il topolino andò dal maiale dicendogli: “C’è la trappola per topi in casa! C’è la trappola per topi in casa!” Il maiale con empatia disse: “Mi dispiace molto signor Topo, ma non c’è nulla che io possa fare, eccetto pregare. Ti assicuro che sarai fra le mie preghiere.”
Il topolino allora andò dalla mucca: “C’è una trappola per topi in casa! C’è una trappola per topi in casa!” La mucca disse: “Ohh… signor Topo, mi dispiace per te, ma a me non disturba.”
Quindi, il topolino tornò in casa, con la testa bassa, molto scoraggiato, per affrontare da solo la fatidica trappola.
Durante la notte sentirono uno strano rumore echeggiare per la casa, come quello di una trappola che afferra la sua preda. La moglie del contadino si alzò subito per vedere cosa avrebbe trovato nella trappola. Nel buio, non vide che era un serpente velenoso, con la coda bloccata nella trappola.
Il serpente morsicò la moglie del contadino che dovette portarla d’urgenza all’ospedale, con la febbre alta.
Come molti sanno, nella cultura contadina, la febbre si cura con una zuppa di pollo fresco, quindi il contadino con il suo coltellone uscì nel pollaio per rifornirsi con l’ingrediente principale della zuppa.
La malattia della moglie però non passava e così tanti amici vennero a trovarla per starle vicino. La casa era piena e per nutrire tutti, il contadino dovette macellare il maiale.
Ben presto la moglie morì e tanta gente venne al suo funerale, tanto che il contadino dovette macellare la mucca per offrire il pranzo a tutti.
Il topolino dal buchino del muro guardò il tutto con grande tristezza.
La prossima volta che sentite che qualcuno sta affrontando un qualche problema e pensate che non vi riguardi, ricordate che quando uno di noi viene colpito, siamo tutti a rischio. Siamo tutti coinvolti in questo viaggio chiamato vita.
Prendersi cura gli uni degli altri è un modo per incoraggiarci e sostenerci a vicenda.
“Quando senti suonare la campana, non chiederti per chi suona. Essa suona anche per te.”
- Morale del racconto
Questo breve racconto va a centrare alcuni temi cruciali delle relazioni umane e della natura egoistica che contraddistingue l’uomo medio.
Attraverso il personaggio del topolino, che cerca di avvertire gli altri animali della fattoria del pericolo rappresentato dalla trappola per topi, vediamo come le persone possano essere indifferenti o distanti rispetto alle sfide degli altri, a volte persino quando potrebbero essere coinvolte.
La reazione dei diversi animali alla notizia della trappola riflette una gamma di risposte umane comuni: l’indifferenza, l’empatia passiva e l’assunzione di responsabilità limitata.
La tragedia che segue evidenzia però come l’interconnessione delle nostre vite renda inevitabile che i problemi di uno possano alla fine coinvolgere tutti.
Il finale drammatico del racconto, con la morte della moglie del contadino e la catena di eventi che ne consegue, ci vuole trasmettere il concetto che ignorare le difficoltà degli altri può avere conseguenze devastanti. L’immagine del topolino guardando dalla sua tana con tristezza rappresenta il rimorso che possiamo provare quando non facciamo abbastanza per aiutare gli altri.
La citazione di Ernest Hemingway, “Quando senti suonare la campana, non chiederti per chi suona. Essa suona anche per te,” riassume perfettamente il messaggio del racconto: i problemi degli altri non dovrebbero essere ignorati perché alla fine ci riguardano tutti. Prendersi cura l’uno dell’altro e offrire supporto reciproco è la necessaria solidarietà che in una civiltà evoluta deve diventare consuetudine.
Dovremmo, insomma, abbandonare la vecchia abitudine di pensare solo a “coltivare il nostro orticello” e ignorare tutto il resto, credendo che se nel nostro piccolo recinto va tutto bene, allora non c’è alcun problema. Presto o tardi, ci accorgeremo che non può funzionare così!
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lamilanomagazine · 15 days
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Carini: i Carabinieri arrestano un 28enne per furto aggravato
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Carini: i Carabinieri arrestano un 28enne per furto aggravato. I Carabinieri della Compagnia di Carini hanno eseguito un'ordinanza di misura cautelare agli arresti domiciliari, emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Palermo, su richiesta della Procura della Repubblica, nei confronti di un 28enne, del luogo, già noto alle forze dell'ordine, ritenuto responsabile di furto aggravato, ricettazione e indebito utilizzo di strumenti di pagamento. L'attività investigativa, condotta dai militari della Stazione di Villagrazia di Carini, ha permesso di ricostruire la dinamica di una lunga seri di furti che il presunto ladro seriale avrebbe messo a segno in un periodo compreso tra ottobre 2022 e aprile 2023. Gli obiettivi preferiti dal malvivente sarebbero stati per di più i diversi centri commerciali presenti nei pressi del comune carinese dove, secondo un copione ormai consolidato e l'acquisita destrezza avrebbe rubato, talvolta di notte e dopo aver atteso l'orario di chiusura dei negozi, dai generi alimentari agli elettrodomestici, ma non solo, a far gola al ladro sarebbero state anche borse, portafogli e zaini dai quali sottraeva soldi e soprattutto le carte di pagamento, che successivamente utilizzava per prelevare denaro dai conti degli sfortunati malcapitati. L'attività investigativa dei militari ha consentito, grazie anche alla scrupolosa analisi delle immagini estrapolate dagli impianti di video sorveglianza presenti all'interno delle attività, di delineare e mettere insieme gli elementi comuni ai diversi furti, permettendo agli investigatori di tratteggiare le modalità operative del ladro e la sua presunto responsabilità quale autore materiale dei reati. L'uomo è attualmente posto agli arresti domiciliari presso la propria abitazione a disposizione dell'Autorità Giudiziaria. È doveroso rilevare che l'odierno indagato è, allo stato, solamente indiziato di delitto, seppur gravemente, e che la sua posizione verrà vagliata dall'Autorità Giudiziaria nel corso dell'intero iter processuale e definita solo a seguito dell'eventuale emissione di una sentenza di condanna passata in giudicato, in ossequio al principio costituzionale della presunzione di non colpevolezza.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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staipa · 17 days
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Un nuovo post è stato pubblicato su https://www.staipa.it/blog/il-mito-dellintelligenza-artificiale-di-erik-j-larson/?feed_id=1502&_unique_id=664492ce55f7b %TITLE% Parlo spesso di Intelligenza Artificiale (https://short.staipa.it/3qsdr) e cerco di inquadrarla nella realtà al netto dei miti e delle esagerazioni dei media (https://short.staipa.it/661lc). "Il mito dell'intelligenza artificiale. Perché i computer non possono pensare come noi" di Erik J. Larson è un saggio che tratta proprio di questo, sfidando le convinzioni comuni sull'intelligenza artificiale. Larson smonta la narrazione dominante secondo cui i computer potranno in breve tempo raggiungere o superare l'intelligenza umana, offrendo una prospettiva critica e scientificamente fondata. Larson esplora i limiti intrinseci delle attuali tecnologie di Intelligenza Artificiale, mostrando come i modelli di machine learning e gli algoritmi complessi manchino di capacità fondamentali del pensiero umano, come la comprensione contestuale e la coscienza. L'autore argomenta che, nonostante i progressi nella potenza di calcolo e nell'elaborazione dei dati, i computer rimangono strumenti incapaci di replicare il vero ragionamento umano. L'IA, secondo Larson, può eccellere in compiti specifici, ma fallisce nel comprendere e interagire con il mondo in modo autenticamente umano. Un punto cruciale che Larson sottolinea è la distinzione tra intelligenza artificiale ristretta (narrow AI) e intelligenza artificiale generale (AGI). Mentre la narrow AI è già in uso in molte applicazioni, come il riconoscimento delle immagini e la traduzione automatica, l'AGI, che rappresenterebbe una macchina con capacità cognitive pari a quelle umane, rimane una chimera. Larson critica l'idea che l'AGI sia inevitabile o imminente, evidenziando le profonde lacune teoriche e pratiche che ostacolano questo traguardo. Nel saggio adotta uno stile accessibile e di lettura abbastanza semplice ma tecnicamente e scientificamente rigoroso. La sua analisi è supportata da esempi concreti e riferimenti scientifici, rendendo il libro una lettura ottima per chiunque sia interessato alla verità dietro le promesse dell'intelligenza artificiale. Oltre agli aspetti tecnici, Larson affronta le implicazioni etiche e sociali dell'intelligenza artificiale e mette in guardia contro l'uso indiscriminato di queste tecnologie in settori critici come la sanità, la giustizia e la sicurezza, senza una comprensione chiara dei loro limiti. L'autore evidenzia il pericolo di riporre troppa fiducia nelle macchine, suggerendo che questa fede cieca potrebbe portare a decisioni sbagliate e conseguenze negative per la società. In sintesi, "Il mito dell'intelligenza artificiale" è un'opera che invita alla riflessione critica e alla prudenza. Larson non nega i benefici dell'IA, ma ci ricorda che questi strumenti devono essere utilizzati con consapevolezza e responsabilità. Il libro è un contributo prezioso al dibattito contemporaneo sull'intelligenza artificiale, offrendo un contrappeso necessario all'entusiasmo spesso esagerato che circonda questo campo.
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wdonnait · 1 month
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Sentirsi stanchi già a 40 anni: cause procipali
Nuovo post pubblicato su https://wdonna.it/sentirsi-stanchi-gia-a-40-anni-cause-procipali/117503?utm_source=TR&utm_medium=Tumblr&utm_campaign=117503
Sentirsi stanchi già a 40 anni: cause procipali
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Se hai superato i 40a anni  e ti senti stanca/o , tranquilla perchè è tutto normale. Sentiamo spesso i nostri genitori dire che loro a 40a anni erano super attivi e riuscivano a fare mille cose in una giornata a differenza nostra che spesso accusiamo stanchezza e svogliatezza.
Ma da cosa dipende questo stato fisico e mentale? 
Rispetto a 30 anni fa, la vita è cambiata moltissimo; è vero che viviamo in un mondo più confortevole , godiamo della teconologia e di ogni genere di vizio ma è anche vero che la frenesia e la velocità con cui viviamo le giornate ci creano uno stato d’ansia e di stress non indifferente.
Stress e Stanchezza a 40 anni
Sentirsi stanchi a 40 anni può essere piuttosto comune, e ci sono diverse ragioni per cui questo può accadere. Ecco alcuni dei motivi principali e alcuni suggerimenti su come affrontare la stanchezza:
Stress e Sovraccarico di Compiti: A 40 anni, molte persone si trovano a bilanciare impegni lavorativi intensi, gestione della famiglia e altre responsabilità personali, il che può portare a stress e stanchezza.
Suggerimento: È importante cercare di gestire lo stress attraverso tecniche di rilassamento, come la meditazione o lo yoga, e cercare di mantenere un equilibrio tra lavoro e vita privata.
Mancanza di Sonno di Qualità: Non dormire abbastanza o avere un sonno disturbato può influenzare notevolmente i livelli di energia.
Suggerimento: Creare una routine serale che promuova un buon riposo, evitare schermi luminosi prima di dormire e cercare di andare a letto e svegliarsi alla stessa ora ogni giorno.
Alimentazione e Idratazione: Un’alimentazione non equilibrata e la disidratazione possono causare stanchezza.
Suggerimento: Mangiare cibi nutrienti e bilanciati, limitare il consumo di zuccheri semplici e caffeina, e assicurarsi di bere abbastanza acqua durante il giorno.
Attività Fisica Insufficiente: La mancanza di esercizio fisico può portare a bassi livelli di energia.
Suggerimento: Integrare attività fisica regolare nella routine giornaliera, anche solo camminare 30 minuti al giorno può fare la differenza.
Problemi di Salute: Condizioni mediche come ipotiroidismo, anemia, diabete, e disturbi del sonno come l’apnea possono causare stanchezza.
Suggerimento: Se la stanchezza persiste e non è spiegabile con cause evidenti, è consigliabile consultare un medico per escludere eventuali condizioni sottostanti.
Equilibrio Ormonale: Cambiamenti ormonali, comuni intorno ai 40 anni, soprattutto nelle donne, possono influire sui livelli di energia.
Suggerimento: Discussione con il proprio medico di base o un endocrinologo può essere utile per valutare se vi sono squilibri ormonali che contribuiscono alla stanchezza.
Avere consapevolezza del proprio corpo e delle proprie necessità può aiutare a identificare le cause della stanchezza e trovare le soluzioni più adeguate per recuperare energia e benessere.
40 anni : insorgenza di malattie mentali e fisiche
Si, avete letto bene. Rispetto a diversi anni fa , l’insorgenza di malattie autoimmuni ed  allergie e’ aumentata di moltissimo. 
Malattie Autoimmune
L’insorgenza di malattie autoimmuni dopo i quaranta anni è un fenomeno noto e documentato, che sottolinea quanto queste condizioni possano manifestarsi in fasi diverse della vita adulta. Sebbene molte malattie autoimmuni tendano a presentarsi più frequentemente nelle prime fasi dell’età adulta, un notevole numero di casi emerge dopo i quaranta anni, influenzato da una varietà di fattori.
Uno degli aspetti interessanti è il ruolo che la genetica gioca nello sviluppo delle malattie autoimmuni. Chi ha una storia familiare di tali patologie può essere maggiormente predisposto a svilupparle anche in età più matura. Tuttavia, i fattori genetici sono solo una parte del puzzle. Altri elementi, come le influenze ambientali, possono essere altrettanto cruciali. Ad esempio, l’esposizione prolungata a certi inquinanti o additivi chimici, spesso accumulati nel corso degli anni, può scatenare o esacerbare i processi autoimmuni.
L’ambiente in cui viviamo gioca un ruolo determinante, ma anche cambiamenti legati allo stile di vita che spesso intervengono con l’età, come la dieta e l’attività fisica, possono influenzare la risposta immunitaria del corpo. Cambiamenti ormonali, particolarmente significativi nelle donne durante la menopausa, possono anche alterare il funzionamento del sistema immunitario, rendendo il corpo più suscettibile a disordini autoimmuni.
Non meno rilevante è l’impatto dello stress, che con l’avanzare degli anni può accumularsi in diverse forme, dalla pressione lavorativa alla gestione della vita familiare e personale. Lo stress cronico è noto per il suo effetto deleterio sul sistema immunitario, potendo alterare la sua funzione e potenzialmente contribuire all’insorgenza di malattie autoimmuni.
Di fronte a sintomi nuovi o inspiegabili, è sempre prudente consultare un medico. Questo è particolarmente vero in età avanzata, quando il rischio di malattie autoimmuni aumenta. La diagnosi precoce e la gestione adeguata sono essenziali per controllare efficacemente queste condizioni e mantenere una buona qualità di vita.
Malattie mentali a 40 anni
L’insorgenza di malattie mentali intorno ai quarant’anni non è rara e può essere influenzata da una varietà di fattori biologici, psicologici e ambientali. Questo periodo della vita può essere segnato da significative transizioni e stress, che possono contribuire allo sviluppo o all’aggravamento di disturbi mentali. Ecco alcuni aspetti importanti da considerare:
Fattori di Rischio e Triggers
Cambiamenti Biologici: Con l’avanzare dell’età, possono verificarsi cambiamenti ormonali e neurologici che influenzano la salute mentale. Per esempio, le donne possono sperimentare fluttuazioni ormonali legate alla perimenopausa che possono influenzare l’umore e la stabilità emotiva. Stress e Pressioni della Vita: I quarant’anni sono spesso un periodo di alta responsabilità sia in ambito lavorativo che familiare. Il bilanciamento tra carriera, vita familiare, e magari la cura dei genitori anziani, può essere particolarmente stressante e può scatenare o aggravare condizioni mentali preesistenti. Salute Fisica: Problemi di salute fisica tendono a diventare più comuni con l’età. Condizioni croniche come il diabete, malattie cardiache o obesità possono avere un impatto diretto sulla salute mentale, contribuendo a disturbi come depressione e ansia. Isolamento Sociale e Solitudine: A questa età, alcune persone possono iniziare a sperimentare un senso di isolamento a causa di cambiamenti nella vita sociale o familiare. La solitudine è un fattore di rischio significativo per lo sviluppo di malattie mentali. Genetica e Storia Familiare: La predisposizione genetica gioca un ruolo non trascurabile. Chi ha una storia familiare di malattie mentali può essere più suscettibile a svilupparle anche in età adulta.
Malattie Mentali Comuni a Questa Età
Depressione: È uno dei disturbi mentali più comuni e può essere scatenato da eventi di vita stressanti, cambiamenti ormonali, o come reazione a difficoltà persistenti. Disturbo d’Ansia: Ansie generalizzate, fobie specifiche o disturbi da stress post-traumatico possono manifestarsi o peggiorare in questa fase della vita. Disturbi del Sonno: Spesso correlati ad ansia e depressione, i disturbi del sonno possono influenzare significativamente la salute mentale e fisica. Disturbi Bipolari e Schizofrenia: Anche se meno comuni, questi disturbi possono avere un’esordio tardivo o un peggioramento dei sintomi già presenti. Gestione e Supporto La chiave per gestire la salute mentale a questa età è il riconoscimento precoce dei sintomi e la ricerca di supporto adeguato. Terapie come la consulenza psicologica, la psicoterapia e, se necessario, il trattamento farmacologico, possono essere efficaci. È anche importante mantenere uno stile di vita sano, includendo attività fisica regolare, una dieta equilibrata, e tecniche di gestione dello stress come la meditazione o lo yoga.
Inoltre, il sostegno di amici, familiari e, se disponibili, gruppi di supporto comunitari, può fare una grande differenza nel migliorare la qualità della vita e nel gestire efficacemente qualsiasi condizione di salute mentale.
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risarcimentomedico · 1 month
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Panoramica e Tipi di Risarcimenti più Frequenti
Il risarcimento medico rappresenta un elemento fondamentale nel diritto sanitario, mirando a offrire una compensazione per danni subiti dai pazienti a causa di negligenze o errori medici.
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Questo testo esplorerà la natura del risarcimento medico, evidenziando i tipi di risarcimenti più frequentemente concessi e le procedure legali pertinenti in Italia, con un tono professionale e dati accurati.
Il concetto di risarcimento medico
Il risarcimento medico è un diritto del paziente che ha subito un danno fisico o psicologico come risultato diretto di un intervento sanitario, sia esso dovuto a malpratica, errore medico, o difetto di consenso informato.
La responsabilità medica può essere classificata in due categorie principali: contrattuale e extracontrattuale.
Nel primo caso, si considera la violazione di un accordo specifico tra medico e paziente, mentre nel secondo si fa riferimento a un dovere generale di non causare danno, stabilito dal Codice Civile italiano.
Procedure per la richiesta di risarcimento
Il processo per ottenere un risarcimento medico inizia generalmente con la valutazione del danno subìto attraverso perizie mediche e la raccolta di documentazione clinica.
Il paziente può decidere di procedere in via giudiziaria o extragiudiziaria. La via giudiziaria implica l'avvio di un processo legale, spesso preceduto da un tentativo di conciliazione.
La via extragiudiziaria, invece, si basa su accordi tra le parti coinvolte, assistite da medici legali e avvocati specializzati, per evitare il contenzioso.
I risarcimenti più frequenti
1. Danni da malpratica chirurgica
I danni derivanti da malpratica chirurgica sono tra i più comuni in ambito di risarcimento medico.
Questi includono errori durante operazioni chirurgiche, come l'errata esecuzione di tecniche operatorie o l'utilizzo di strumentazione inadeguata, che possono portare a complicazioni severe o permanenti per il paziente.
2. Errori di diagnosi
Gli errori di diagnosi possono avere conseguenze devastanti, ritardando trattamenti necessari o provocando la somministrazione di terapie inadatte.
Il risarcimento in questi casi dipende dalla dimostrazione di un nesso causale diretto tra l'errore diagnostico e il danno subito dal paziente.
3. Errori di prescrizione e somministrazione di farmaci
Errori nella prescrizione o nella somministrazione di farmaci sono frequenti cause di risarcimento.
Questi errori possono includere la prescrizione di un farmaco non adatto, dosaggi errati, o interazioni farmacologiche pericolose non rilevate.
4. Mancato consenso informato
Il consenso informato è un diritto del paziente e un obbligo per i medici, che devono informare i pazienti sui rischi e benefici di ogni procedura o trattamento.
La mancanza di un adeguato consenso informato può portare a risarcimenti, specialmente se il paziente avrebbe rifiutato il trattamento conoscendo tutti i rischi associati.
Statistiche e impatto del risarcimento medico
Le statistiche sul risarcimento medico evidenziano un aumento delle richieste nel corso degli anni, con una significativa percentuale di casi che si concludono con un riconoscimento di responsabilità medica.
Questo trend sottolinea l'importanza della qualità delle cure e della trasparenza nelle pratiche mediche.
Conclusioni
Il risarcimento medico gioca un ruolo cruciale nella tutela dei diritti dei pazienti e nell'assicurare che ricevano un indennizzo adeguato per i danni subiti.
È essenziale che i professionisti del settore sanitario siano consapevoli delle loro responsabilità legali e etiche per prevenire situazioni che potrebbero portare a richieste di risarcimento. Per i pazienti, comprendere
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Come registrare un prodotto in Italia?
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In Italia, registrare un prodotto è un passo fondamentale per garantirne la sicurezza, la conformità alle normative e l'accesso ai servizi post-vendita. Che abbiate acquistato un nuovo gadget elettronico, un elettrodomestico o persino un veicolo, capire come registrare il vostro prodotto può farvi risparmiare tempo e problemi nel lungo periodo.
Perché la registrazione del prodotto è importante
La registrazione del prodotto non è solo una formalità, ma un mezzo per salvaguardare i vostri diritti di consumatori. Quando si registra un prodotto, non solo si rispettano i requisiti di legge, ma ci si assicura anche di poter usufruire di vari benefici e tutele.
Come registrare un prodotto in Italia
La registrazione di un prodotto in Italia comporta un processo semplice, ma è essenziale seguire i passaggi correttamente. Ecco una guida passo-passo che vi aiuterà a orientarvi:
1.        Raccogliere le informazioni necessarie: Prima di iniziare, assicuratevi di avere tutti i dettagli necessari, compresi il numero di serie del prodotto, la data di acquisto e la prova di acquisto.
2. Visitate il sito web del produttore: Molti produttori mettono a disposizione portali online o moduli di registrazione sui loro siti web. Individuare la sezione appropriata per la registrazione del prodotto.
3. Compilare il modulo: Fornire informazioni accurate come richiesto nel modulo di registrazione. Ricontrollate i dettagli per assicurarvi che siano corretti.
4. Inviate i documenti di supporto: Alcuni prodotti possono richiedere il caricamento di una copia della ricevuta d'acquisto o della scheda di garanzia. Assicurarsi di allegare tutti i documenti richiesti.
5. Verifica della registrazione: Dopo aver inviato il modulo, potreste ricevere un'e-mail di conferma o un messaggio che indica che la registrazione è andata a buon fine.
Prodotti comuni da registrare
Sebbene non tutti i prodotti richiedano la registrazione, alcune categorie lo fanno di solito. Queste includono:
- Elettronica e gadget
- Elettrodomestici
- Veicoli e parti di automobile
- Dispositivi medici
- Apparecchiature di sicurezza
I vantaggi della registrazione del prodotto
La registrazione del prodotto offre diversi vantaggi, tra cui:
- Copertura della garanzia: La registrazione del prodotto assicura l'idoneità alle riparazioni o alle sostituzioni in garanzia.
- Accesso a richiami e aggiornamenti: I produttori spesso notificano agli utenti registrati i richiami dei prodotti o gli aggiornamenti del software:
- Tutela dei diritti dei consumatori: Registrando il vostro prodotto, potete far valere i vostri diritti in base alle leggi sulla tutela dei consumatori in Italia.
Capire le leggi italiane sui consumatori
In Italia, i consumatori sono protetti da una solida legislazione che delinea i loro diritti e doveri relativi ai beni acquistati. Queste leggi stabiliscono le responsabilità dei produttori e dei rivenditori, tra cui:
- Fornire informazioni accurate sul prodotto
- Offrire garanzie e assistenza post-vendita
- Rispettare le politiche di rimborso e sostituzione
Consigli per una registrazione del prodotto senza intoppi
Per snellire il processo di registrazione ed evitare potenziali problemi, considerare i seguenti consigli:
- Conservare tutte le ricevute e i documenti di acquisto in un luogo sicuro.
- Registrare il prodotto il prima possibile dopo l'acquisto.
- Rivolgersi all'assistenza clienti se si incontrano difficoltà durante la registrazione.
Sfide nella registrazione del prodotto
Nonostante gli sforzi per semplificare il processo, alcune sfide persistono, tra cui:
- Barriere linguistiche: Le barriere linguistiche: i non italofoni possono trovare difficile navigare nei moduli di registrazione o nei siti web in lingua italiana.
- Processi complessi: Alcune procedure di registrazione possono essere contorte, richiedendo agli utenti di compilare lunghi moduli o di fornire informazioni non necessarie.
- Sistemi obsoleti: Alcuni settori possono ancora affidarsi a metodi di registrazione tradizionali basati su carta, causando ritardi o errori nel processo.
Tendenze future nella registrazione dei prodotti
Guardando al futuro, il panorama della registrazione dei prodotti è destinato a evolversi, spinto dai progressi tecnologici e dal cambiamento delle preferenze dei consumatori. Alcune tendenze emergenti sono:
- Digitalizzazione: Un numero sempre maggiore di aziende sta passando a piattaforme di registrazione digitali, offrendo agli utenti un'esperienza comoda e senza interruzioni.
- Integrazione IoT: I dispositivi intelligenti e i prodotti abilitati all'IoT possono registrarsi automaticamente o richiedere agli utenti di completare il processo durante la configurazione:
Semplificazione: sono in corso sforzi per semplificare le procedure di registrazione, rendendole più facili da usare e accessibili ai consumatori di qualsiasi provenienza.
Conclusioni
La registrazione dei prodotti è un aspetto vitale della tutela dei diritti dei consumatori in Italia. Registrando i prodotti, non solo si garantisce la conformità ai requisiti di legge, ma si ottiene anche l'accesso a preziosi vantaggi e servizi di assistenza. Prendetevi il tempo necessario per registrare tempestivamente i vostri acquisti e godetevi la tranquillità di sapere che i vostri diritti di consumatore sono salvaguardati.
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circusfans-italia · 2 months
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IL CIRCO VERSO IL PRIMO CODICE DELLO SPETTACOLO: Tematiche e considerazioni
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IL CIRCO VERSO IL PRIMO CODICE DELLO SPETTACOLO: Tematiche e considerazioni Il 27 marzo si è tenuto presso il Ministero della Cultura un interessante incontro sullo spettacolo dal vivo interamente dedicato al circo (in tutte le sue declinazioni), allo spettacolo viaggiante, bande rievocazioni e carnevali storici in preparazione della scrittura del Primo Codice dello Spettacolo. Un incontro indetto dal Sottosegretario On. Mazzi e dal Direttore Generale dello Spettacolo Parente che hanno invitato le categorie e gli operatori più rappresentativi del settore per condividere i contenuti del provvedimento prima che venga licenziato nella sua forma definitiva entro il 2 maggio.
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Dopo una introduzione dell’On. Mazzi (che si è detto determinato ad ampliare la copertura finanziaria destinata all’ambito circo, spettacolo viaggiante e dal vivo), è stata lasciata la parola ai presenti che hanno potuto presentare proposte, avanzare istanze, evidenziare problemi e dare contributi. Erano presenti numerose sigle sindacali dello spettacolo viaggiante, rappresentanti del mondo del circo contemporaneo, dell’arte di strada, del mondo delle bande musicali e dei carnevali storici, con una rappresentanza pressochè totale del settore. Impossibile qui elencare tutti i presenti e i temi degli interventi.
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I numerosi esponenti del luna park e dello spettacolo viaggiante si sono soffermati sul tema doloroso delle aree che tocca da vicino anche il settore del circo itinerante. Si è tornati a invocare l’applicazione della legge 337 del 1968, ma anche un suo aggiornamento. Hanno inoltre chiesto di sensibilizzare i Sindaci affinché concedano aree centrali, nei cuori storici delle città, che sovente non vengono concesse non per ostilità delle amministrazioni, bensì delle Belle Arti.
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Numerosi gli interventi provenienti sia dal mondo del circo contemporaneo, sia da rappresentati del circo classico. Prima a prendere la parola Liana Orfei, accolta dal Sottosegretario con enfasi e affetto. Si sono succeduti interventi di Gaetano Montico (che tra le varie cose ha messo in evidenza un concetto di “discriminazione” nei confronti di chi esercita attività di circo con animali), Ulisse Takimiri, Paride Orfei (che ha sensibilizzato sul tema delle insegne e del nome Orfei utilizzato impropriamente, con un invito in primis ai colleghi a una maggior correttezza e senso di responsabilità su questo tema) e Tamara Bizzarro. Vibrante e accorato l’intervento del Presidente Buccioni, praticamente ultimo della mattinata, che ha ricordato il “tradimento della Repubblica nei confronti della legge del 1968” da cui a cascata deriverebbero i numerosi problemi legati al reperimento delle aree, al reale riconoscimento della “funzione sociale del circo” relegato ad arte minore, alla complessità della macchina burocratica che non coglie la peculiarità dell’ambito circense itinerante. Ha inoltre ribadito la propria personale convinzione secondo cui i due elementi distintivi del circo devono essere il tendone e la carovana, indicando quindi il concetto di itineranza perpetua come elemento distintivo dell’identità circense.
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CONTEMPORANO VS TRADIZIONALE: Necessità di un reciproco riconoscimento Numerosi interventi hanno messo in evidenza la ricchezza ed eterogeneità dell’attuale scena che vede le arti circensi declinate in una ampia varietà di generi che faticano a trovare punti in comuni, almeno in queste sedi. Si è parlato di circo contemporaneo, di circo-teatro, di circo-danza, teatrodanza, circo di regia, circo di innovazione, teatro di strada, arte di strada, multidisciplinarietà. Ogni genere pretende giustamente un riconoscimento istituzionale in ordine alle sue specificità e peculiarità, e ciascuno di questi filoni prende sovente le distanze dal circo tradizionale. Viceversa è sentire diffuso tra i circensi che l’unico vero circo sia quello fatto secondo la ricetta dei propri nonni e genitori. Finchè vi sarà una rigida contrapposizione tra chi considera gli uni dei dinosauri in estinzione, e chi considera gli altri dei teatranti travestiti da circensi, il dibattito non evolve. Bisogna essere consapevoli che la scena attuale presenta una pluralità di linguaggi, che condividono alcuni elementi, ma differiscono profondamente per altri. Peraltro sono universi e generi che sovente si rivolgono a pubblici diversi, a mercati differenti, che non sono dunque necessariamente concorrenti, se non in sede istituzionale nel momento in cui attingono a contribuzione pubblica. Il circo tradizionale si sostiene con la vendita diretta dei biglietti al pubblico. Le compagnie di circo contemporaneo vendono i propri spettacoli prevalentemente a cachet a festival ed enti teatrali, che a loro volta hanno propri canali di vendita e marketing che poco hanno a che vedere con quelli del circo classico. Peraltro il decreto attualmente in vigore per l’assegnazione dei contributi già distingue tra “imprese di produzione di circo” ed “imprese di produzione di circo contemporaneo e di innovazione”.
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Al di là che queste etichette siano aderenti o meno, o ulteriormente perfezionabili, è evidente che da un punto di vista istituzionale è riconosciuta la pluralità dei linguaggi circensi. Forse la cosa più opportuna sarebbe differenziare anche i parametri per l’attribuzione dei contributi per le due (o più) tipologie di realtà affinché i requisiti siano più aderenti di quanto avviene oggi. E riconoscersi a vicenda non come soggetti concorrenti. Il circo classico (sia che nel futuro avrà animali oppure li avrà interamente o parzialmente dismessi) non sarà mai soppiantato dal circo contemporaneo proprio per le peculiarità cui si faceva riferimento prima; verosimilmente i due generi continueranno a coesistere, ciascuno con le proprie prassi e logiche comunicative e di marketing. In Spagna, dove non esistono più circhi con animali, le famiglie storiche propongono progetti di circo con approcci tradizionali, pure se declinati in forme moderne, mantenendo il mercato del circo classico e convivendo con un florido mercato di circo contemporaneo e di strada. Due mondi complementari, non necessariamente concorrenti. In ultimo, una reciproca permeabilità potrebbe essere uno stimolo alla creatività per i complessi di tradizione e un arricchimento della tecnica per l’ambito della scena contemporanea che negli ultimi anni ha attinto notevolmente dal bagaglio di discipline fino a pochi anni fa appannaggio esclusivo del circo tradizionale (basti pensare all’invasione di numeri di “sospensione capillare” e più semplicemente chiamati “i capelli” nel contesto circo, per citare il caso più recente).
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La coesistenza tra contemporaneo e tradizionale non è cosa impossibile. ANIMALI NEL CIRCO: Superamento, non dismissione E’ intervenuto Gianluca Felicetti, presidente della LAV, invitando i circensi italiani a una riconversione, dismettendo gli animali e proponendo di impegnarsi per perorare la causa del circo presso le istituzioni affinché sostengano economicamente i circhi che rinunciano agli animali. Ha parlato di importanti famiglie italiane che già avrebbero intrapreso questo percorso. In risposta alle sue tesi e proposte sono intervenute Valeria Valeriu e Bianca Montico. Valeria ha presentato una serie di argomentazioni, studi e ricerche che dimostrano che anche nel circo è garantito il benessere animale e ha ripercorso alcuni casi di disinformazione a cura delle associazioni animaliste che hanno sovente strumentalizzato casi costruiti ad arte per demolire il circo. Bianca Montico è tornata sul concetto di “discriminazione” nei confronti dei circensi che operano con animali, partendo dagli elementi e dai requisiti presenti nell’attuale bando FNSV che contiene diversi punti che puntano a valorizzare l’attività circense senza animali. A tal proposito Fabrizio Gavosto, direttore del Festival Mirabilia, ha ricordato come numerose compagnie di circo contemporaneo contemplino la presenza negli spettacoli di animali e tornando al tema precedente ha ricordato come in Francia, patria del nouveau cirque, i contatti tra circhi di tradizione e compagnie di innovazione siano molto più normali e frequenti di quanto avvenga fino ad ora da noi.
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Su questo tema Mazzi ha fatto riferimento alle ultime pronunce del Parlamento, ricordando come in ogni caso, benchè il tema sia condensato in poche righe, si parli di “superamento” e non di “divieto” o “dismissione”. Ed è verosimile che si rimanga su quel solco. CONCLUSIONI Il sottosegretario Mazzi ha ricordato che al di là delle distinzioni e delle rivendicazioni singole, c'è una comunità artistica unita, che rappresenta il nostro patrimonio culturale. Anche per questo, i quattro incontri hanno avuto come filo comune le esibizioni al violino del Maestro Lea Sabatini. Ora però è il momento di concludere la stesura del testo. "Questa era una fase importantissima perchè è una fase di verifica, per capire se quello che abbiamo già scritto al 90% potesse essere vicino alle aspettative e alle richieste che sono state fatte dai vari mondi, la Danza, la Musica, il Teatro e il Circo e gli Spettacoli Viaggianti" ha spiegato Mazzi. "Adesso ci metteremo pancia a terra a finalizzare questo testo che deve essere pronto per i primi di maggio. Continueremo ad avere un rapporto di confronto con questi mondi" ha aggiunto, spiegando che confida di arrivare ad un testo "che nessuno sentirà estraneo". 
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Ha inoltre evidenziato tra i numerosi argomenti, che saranno oggetto tutti di approfondimento tecnico, due punti divisivi e sensibili che creano frizioni nel settore: la contrapposizione contemporaneo/tradizionale e il tema animali si/no. Su entrambi i punti Mazzi si è dimostrato neutrale e attento. L’intenzione è di aprire tavoli di confronto sui due ambiti per cercare “soprattutto i temi che uniscono, piuttosto che i punti che dividono” pervenendo a soluzioni che possano essere soddisfacenti per tutti. E invitando ad essi rappresentanti dei due universi e figure di spicco che possano porsi come mediatori e cerniere tra i due ambiti. Rispetto alla questione legata agli animali, si potrebbe andare nella direzione di un sostegno verso le imprese che rinunciano ad impiegare animali nei propri spettacoli, ma al contempo tutelando (e dunque non vietando) chi sceglie di continuare ad utilizzarli. Anche questo tema sarà affrontato in un tavolo tecnico a cui Mazzi vorrebbe fossero presenti circensi, ambientalisti, rispettivi tecnici e veterinari per pervenire a soluzioni concilianti che tengano in conto di entrambe le argomentazioni. In conclusione il Sottosegretario (che ha sottolineato di voler essere il Sottosegretario del Ministero della Cultura Popolare, dunque evidenziando l'enfasi per un concetto di cultura che non sia elitario e che non sostenga prodotti culturali distanti dal pubblico) ha letto cinque citazioni di altrettanti personaggi illustri ed intellettuali favorevoli alla presenza degli animali nel circo e leggendo il nome dell’autore al termine di ciascuna di essa. “Nel nostro operato quotidiano sovente ci facciamo guidare dagli intellettuali, e allora dobbiamo farlo sempre non solo quando ci fa comodo. Così sono andato a leggermi cosa hanno detto sul circo con animali personaggi illustri della cultura (come Fellini e Strehler) e voglio condividerle con voi”. “Tigri ed elefanti nei grandi circhi sono delle star, sono trattati bene e rispettati, fuori sono massacrati per l’avorio o cacciati per sport” (Franco Dragone, Cirque du Soleil) “Nel Circo si realizza l’armonia paradisiaca fra uomo e animale” (card. Ravasi) “Un circo senza animali è un'eresia” (Vittorio Gassman) Con queste menzioni si è conclusa una mattinata molto intensa, oltre 5 ore di confronto senza pause. Qualche intervento si poteva limare o addolcire e un tempo massimo per ogni intervento avrebbe reso il tutto più fluido e stringato, ma il Sottosegretario ha voluto lanciare un messaggio di ascolto e neutralità che è un ottimo viatico per l’apertura di una nuova fase che ci auspichiamo porti serenità nell’ambiente e una legge che rispecchi le esigenze e la istanze di tutti, senza prevaricazioni e preconcetti ideologici. Dario Duranti IL CIRCO VERSO IL PRIMO CODICE DELLO SPETTACOLO   Visita le nostre sezioni ARCHIVIO STORICO TOURNEE' Per rimanere sempre aggiornati sulle tappe dei circhi italiani
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curiositasmundi · 3 months
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“Un atto evidentemente elettorale” rimarca, sempre a LaPresse, Paolo Bellino, della stessa associazione, secondo cui “è stato dato il via libera alle parti peggiori degli istinti al volante”. “Un atto efferato, criminogeno” e per questo l’appello è: “Salvini ritira questa zozzeria”. “Noi chiediamo che la riforma si fermi, che venga riscritta ma tenendo conto di tutte le evidenze e i dati che mostrano come realmente incidere sulla sicurezza delle nostre strade” è la richiesta avanzata da Francesca Chiodi del “Movimento diritti dei pedoni”.
Infine, presente in piazza Santi Apostoli anche il deputato del Pd Andrea Casu: “Nel 2022 165 mila scontri stradali, 9 morti e oltre 100 feriti ogni giorno. Sono numeri da bollettino di guerra. È una strage nelle nostre strade”.Tra i manifestanti c’era anche il consigliere regionale Alessio D’Amato. “Bisogna fermare questa riforma che va nella direzione opposta all’obiettivo fissato dalle direttive europee di dimezzare il numero di incidenti entro il 2030 per arrivare a zero morti sulle strade entro il 2050 - ha detto in una nota - così le cose non possono funzionare, bisogna puntare sulla prevenzione, sulla responsabilità delle amministrazioni locali e sulle buone pratiche europee. Invece con la riforma del nuovo Codice della Strada piuttosto che proteggere gli utenti deboli della strada, pedoni e ciclisti, e mettere in sicurezza i luoghi nevralgici come scuole, ospedali e stazioni, si fa propaganda sulla vita delle persone. Sono mesi che ho presentato la proposta di legge chiamata 'Lazio Strade Sicure' al Consiglio regionale, volta a ridurre il numero di vittime sulle strade. Tuttavia, dalla parte della destra in Regione c'è un silenzio assoluto su questo tema cruciale". 
Obiettivo “zero morti” impossibile
RomaToday ha contattato Amedeo Trolese, responsabile mobilità di Legambiente Lazio e tra le persone che hanno preso la parola durante la manifestazione: “L’Europa vuole che, entro il 2050, ci siano “zero morti” sulle strade. Con questo “codice della strage” l’obiettivo sarà irraggiungibile – dice – si va nella destinazione contraria rispetto a quella verso la quale si dovrebbe andare, dando sempre più spazio all’auto privata e ai suv”.
Secondo Legambiente, la riforma diminuisce “la sicurezza stradale, boicotta la mobilità sostenibile e indebolisce i Comuni. Inoltre “rende più difficili i controlli per velocità e sosta abusiva, rende possibile l’aumento dei limiti di velocità e diminuisce le multe per i limiti di velocità e transito in ZTL e aree pedonali”. Per non parlare, poi, di Ztl, aree pedonali, biciclette e simili. Si “blocca la realizzazione di nuove piste e corsie ciclabili” rendendole poi meno sicure con l’annullamento della “clausola “salvaciclisti” del “metro e mezzo”.  
Sindaci mortificati
“Questa è anche una misura che mortifica e penalizza tantissimo i sindaci – riprende Trolese – specialmente quelli impegnati nella realizzazione di zone 30, piste ciclabili o spazi Ztl. Non saranno più loro a decidere cosa fare ma il ministero, per la felicità di tutti quei burocrati che torneranno a comandare. Con Pendolaria abbiamo denunciato che siamo indietro anni luce sulla mobilità sostenibile ed ora il ministro vuole  tornare a riprendersi quegli spazi pubblici che, con fatica, erano stati riconsegnati ai pedoni e a chi preferisce una mobilità alternativa. Spero che l'Anci prenda presto posizione su questo”.
Strage sulle strade di Roma
Quello dei morti sulla strada è, come detto, un'emergenza nazionale e che si avverte in maniera particolare nella Capitale d'Italia .Federico Pastore è solo l’ultima vittima delle strade di Roma. Il ragazzo, che viveva nella zona di Quattro Venti, è morto sulla via Flaminia alle 4 del mattino di sabato 2 marzo. Dall’inizio del 2024, a Roma, sono morte già diciotto persone per incidenti stradali. Lo scorso anno le vittime di incidente sono state ben193.
Il nuovo codice della strada
Il nuovo codice della strada del ministro Salvini, che dovrebbe entrare in vigore entro la fine del 2024, introduce novità importanti. Una di queste è l’ergastolo della patente, pensata per chi causa incidenti sotto l’effetto di sostanze stupefacenti. I neopatentati non potranno guidare, per tre anni, auto con una potenza superiore ai 95 cavalli. Stretta anche su chi viene beccato a guidare in stato di ebrezza: per i recidivi ci sarà l’obbligo di installare sulla propria vettura l’alcolock. Colpiti i monopattini che dovranno essere assicurati, avere le freccia e la targa mentre per i conducenti sarà obbligatorio il caso. Provvedimento, questo, che non è stato preso anche per le biciclette. Salvini ha poi “dichiarato guerra” agli autovelox. L’installazione dei rilevatori sarà vietata su strade che hanno il limite di 50 km/h in città, nelle strade urbane, mentre nelle strade extraurbane sotto i 90 all'ora. Previste poi multe più salate per chi guida utilizzando il cellulare.
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Negli enti locali le laureate sono il doppio dei maschi, ma le dirigenti sono solo il 41%
   Nonostante le dipendenti pubbliche laureate che lavorano nelle regioni, province e nei comuni italiani siano quasi il doppio rispetto ai colleghi uomini (102.675 contro 50.831), le donne rivestono solo il 41% dei ruoli di maggiore prestigio e responsabilità. A evidenziarlo è una ricerca condotta da Centro Studi Enti Locali, basata sull’elaborazione dei dati derivanti dall’ultimo conto annuale…
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