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#arte e cecità
24hdrawinglab · 11 months
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Cecità nell'arte: possibilità creative
In un precedente articolo abbiamo accennato la storia di un paziente di Oliver Sacks, un artista affetto da Acromatopsia, ossia l’impossibilità di vedere i colori. In questo articolo analizziamo le diverse possibilità che possono aprirsi quando non abbiamo la possibilità di osservare. La cecità nell’arte può certamente aprire un nucleo di possibilità creative: un non vedente, infatti, può…
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francescacammisa1 · 5 months
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.... quell'impeto che, in uno slancio di generosa cecità, vi afferra d'un tratto per una persona, magari indegna di voi sotto tutti i rapporti, incapace di comprendervi profondamente, pronta sempre a tormentarvi in qualsiasi occasione, e proprio quella persona, a dispetto di tutto, diventa improvvisamente l'incarnazione del vostro ideale, del vostro sogno, colei in cui si concentra ogni vostra speranza, davanti alla quale voi v'inchinate e l'amate per tutta la vita, senza saperne minimamente il perché, forse proprio perché essa è indegna di tutto ciò...
Fëdor Dostoevskij - I demoni
Camille Claudel Artist
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mypickleoperapeanut · 7 months
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"Riflessioni sulle visioni offuscate della società contemporanea"
di Riccardo Rescio
Forse o molto probabilmente non abbiamo ancora capito che siamo arrivati al punto in cui si può dire e fare di tutto senza alcuna paura di conseguenze politiche, morali o comportamentali.
La faccia tosta di chi ci provoca è ben poca cosa in confronto alla mancanza di capacità di chi ascolta nel cogliere le incongruenze dette e fatte nel tempo passato e attuale, facendole finire nel dimenticatoio senza neppure averle comprese.
Paradossalmente, anche le parole della massima carica dello stato finiscono per fare la stessa fine.
"Perché siamo diventati ciechi? Non lo so, forse un giorno si arriverà a conoscerne la ragione. Vuoi che ti dica cosa ne penso? Parla. Secondo me, non siamo diventati ciechi; secondo me, lo siamo. Siamo ciechi che vedono, ciechi che, pur vedendo, non vedono" José Saramago
Attraverso la lente della "Cecità" il libro di José Saramago, premio Nobel per la letteratura, ci ritroviamo a riflettere sulle ombre proiettate dalle nostre azioni, dalle nostre scelte e dall'indifferenza che permea la nostra collettività.
È un viaggio nel buio, tra le nebbie delle inconsapevolezze, che ci porta ad esplorare il labirinto morale e politico in cui ci troviamo.
Questa cecità sociale sembra permeare il tessuto stesso della nostra società contemporanea, offuscando le visioni e ignorando le verità scomode.
In questa danza delle visioni offuscate, il confronto con la realtà sfugge, e le conseguenze di ciò che diciamo e facciamo sembrano dissolversi nell'oscurità dell'oblio.
Siamo chiamati a scrutare oltre le apparenze, a mettere in discussione la nostra cecità collettiva e a cercare la luce attraverso la consapevolezza.
Solo così potremo sperare di dissolvere le tenebre che avvolgono le visioni offuscate della società contemporanea, rivelando una realtà che, se affrontata con occhi aperti, potrebbe portare a un cambiamento illuminante.
Riccardo Rescio (Italiaefriends)
I&f RotoWeb Illustrato - Arte Cultura Attualità
Firenze 20 febbraio 2024
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garadinervi · 4 years
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Annalisa Alloatti, Cecità, 1973 [Mart, Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto, donazione Mirella Bentivoglio. © Annalisa Alloatti]
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mezzopieno-news · 4 years
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LA SCULTRICE CIECA CHE INSEGNA A VEDERE
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Lucilla D’Antilio, artista e insegnate di disegno e arti grafiche di Roma, perde la vista ma riscopre un nuovo modo di fare arte e apre una scuola per artisti non vedenti. La sua vita è cambiata quando nel 1995 è stata colpita da una congiuntivite virale che l’ha portata alla totale cecità. La malattia la costringe a rinunciare al suo lavoro e alla sua passione, perché disegno e progettazione sono discipline che si basano principalmente sull’uso della vista. Ma Lucilla re-impara a comunicare con il mondo e a essere nuovamente autonoma. Grazie al centro regionale per ipovedenti Sant’Alessio di Roma ritrova nuovi mezzi per comunicare, segue un percorso per il recupero della manualità e affina altri sensi, come il tatto, riscoprendo un nuovo modo di fare arte: “Capii che le mani e gli altri sensi potevano ottemperare egregiamente alla mancanza della vista, pur non sostituendola. Ricordo l’emozione quando l’insegnante mi mise per la prima volta davanti un pezzo di creta, chiedendomi di realizzare la copia di un soggetto. […] Era come se avessi di nuovo una matita tra le mani”.
Oggi Lucilla è una scultrice affermata che apre il mondo dell’arte alle persone non vedenti organizzando percorsi di formazione anche per studenti non vedenti e per insegnanti. Con l’associazione Mano Sapiens, fondata con alcune amiche anch’esse non vedenti, promuove un nuovo rapporto con l’arte inclusivo e una cultura sempre più accessibile.
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Fonte: Redattore Sociale
Volonwrite per Mezzopieno
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wdonnait · 5 years
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Roberta Morise la conduttrice che ha conquistato Eros Ramazzotti
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Roberta Morise la conduttrice che ha conquistato Eros Ramazzotti
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Roberta Morise è una nota showgirl e presentatrice italiana.
Bella, simpatica e spigliata, la Morise è super apprezzata dal pubblico televisivo. La sua carriera, è ricca di esperienze lavorative che hanno origine da più di 15 anni fa.
Scopriamo insieme qualcosa in più della sua vita lavorativa e privata!
Biografia
Infatti, molti di voi se la ricordano sin dagli esordi, nel 2004, quando partecipò al concorso di bellezza Miss Italia, arrivando in finale e piazzandosi al quinto posto.
Nonostante non sia riuscita ad ottenere la fascia, Roberta è stata subito ingaggiata da Carlo Conti per condurre il programma su Rai 1 “I raccomandati” e successivamente “L’anno che verrà”.
Le sue esperienze lavorative presso questo emittente sono numerose.
Basti pensare a Starflash e Assolutamente. Tuttavia, l’apice del successo lo raggiunse quando partecipò al quiz televisivo “L’Eredità” per ben 3 anni consecutivi, nelle vesti di professoressa.
Successivamente all’Eredità, Roberta Morise è stata valletta per il programma “I migliori anni”, sempre su Rai 1.
Ma non è tutto. La showgirl ha pubblicato un album discografico, è stata co-conduttrice di Easy-Driver, presentatrice de “L’Italia in vetrina – Viva Sanremo” e “Sei in un Paese meraviglioso” (su Sky Arte HD).
Attualmente, è una delle presenze fisse del programma storico “I fatti vostri” a fianco di Giancarlo Magalli.
Roberta Morise età e altezza
La showgirl ha 34 anni ed è nata il 13 marzo del 1986 a Cariati, un comune italiano situato in provincia di Cosenza.
E’ alta 1,75 cm e pesa 55 kg.
Roberta Morise e Carlo Conti
Come molti di voi sanno, Roberta Morise ha avuto una relazione molto importante con Carlo Conti.
Dopo diversi anni insieme, il loro amore giunse al capolinea. Ma quale fu il motivo della rottura?
Non si è saputo molto in merito.
Tuttavia, la conduttrice ha voluto dire la sua in alcune interviste, parlando più che altro del fatto che la loro storia fosse autentica e che non ha mai pensato di approfittare di Conti per raggiungere una certa notorietà nel mondo del lavoro.
Ecco alcune sue dichiarazioni:
Tra noi si era creato un rapporto così intenso, quasi da padre e figlia, che la passione pian piano purtroppo è sfumata.
Quell’amore è finito anche perché i giornali mi dipingevano come ‘la bimba che voleva sposare Conti e approfittare del suo status’. Io ero una ragazza di 25 anni che viveva una storia normalissima che sembrava strana solo a chi sbirciava da fuori.
Tra l’altro, lavoravo con Carlo da cinque anni prima che ci innamorassimo. Tutti quei commenti, quelle maldicenze, mi hanno segnato e hanno segnato il rapporto: mi ero accorta che se ci fossi rimasta dentro avrei smesso di crescere come donna.
Infine, riguardo il matrimonio di Conti, ha affermato:
“Ho saputo delle nozze da un’amica comune che ha ricevuto l’invito e ovviamente non potevo certo rimanere indifferente”.
Roberta Morise e Luca Tognola
A far breccia nel cuore di Roberta Morise non c’è stato soltanto il simpaticissimo Carlo Conti.
Infatti, lei è stata legata sentimentalmente per ben 3 anni con l’imprenditore Luca Tognola. Tra i due però, la storia non ha funzionato ed è stata lei stessa a lasciarlo, per una serie di problemi, legati principalmente alla distanza e alla gelosia.
In un’intervista a Gente, Fanpage e ad altri settimanali di gossip, ha fornito ulteriori dettagli in merito alla rottura:
“Sulle prime poteva essere anche intrigante vedersi solo nel fine settimana, come due fidanzatini. Ma poi la situazione è cambiata, non ha funzionato più.
Tuttavia, il problema a volta è aspettarsi cose che poi non arrivano. Pur essendo una donna molto paziente, dopo un po’ che attendo di vedere, di sperare nei cambiamenti, c’è il rischio che io scappi.
Insomma, se scelgo di stare con una persona è per stare meglio, non per avere incomprensioni e dissapori. Passione, leggerezza, rispetto sono gli ingredienti di una relazione che guarda avanti e progetta grandi cose”.
Ed ha aggiunto:
“Così, mi sono ritagliata un po’ di tempo per me, per capire, per rilassarmi. È una fase delicata, di cambiamenti: dopo tre anni è finita una storia importante. Sono stata molto innamorata di Luca, ci siamo allontanati da qualche mese. Onestamente, mi mancava un pochino d’aria.
Questo perché era diventato geloso, a tratti anche possessivo, atteggiamenti che si sono acuiti da quando mi sono trasferita per lavoro da Lugano, dove vivevamo, a Roma, seppur io non facessi nulla di particolare”.
Roberta Morise dramma
Lo scorso anno, Roberta Morise è apparsa su diversi giornali di gossip non per questioni d’amore ma per un vero e proprio dramma di salute.
Infatti, la bella presentatrice ha rischiato di perdere la vista. Ecco cosa ha detto in merito:
Già una volta ho rischiato di perdere la funzionalità dell’occhio destro. Non che il sinistro sia perfetto, però l’altro è particolarmente inguaiato. Un paio di anni fa un orzaiolo mi afflisse per tre mesi di fila.
Così, andai da un oculista e rimasi completamente scioccata.
Le conseguenze possono essere gravissime, dalla formazione di veri e propri fori, pericolosissimi per i cristallini, all’emergere del glaucoma, che induce alla cecità.
Io ero già in uno stato avanzato di pericolo, per questo l’orzaiolo è diventato un calazio, una cisti sull’occhio dolorosissima.
Alla fine mi sono operata sottoponendomi ad un intervento chirurgico con il laser, ma le cose non si sono risolte.
Tuttavia, il laser non ha completato il giro, ha lasciato la cicatrice aperta. Perciò si è ripresentata l’infezione. Per salvare l’occhio destro le sto provando tutte.
Per fortuna, adesso la Morise sta molto meglio ma certamente ha passato un periodo difficile che l’ha cambiata in maniera profonda.
Roberta Morise e Eros Ramazzotti
In questi giorni, i giornali di gossip stanno parlando moltissimo di Roberta Morise.
Sembrerebbe proprio che la bella conduttrice italiana abbia intrapreso una relazione con Eros Ramazzotti. A detta di alcuni giornali, tra i due sarebbe scoppiata una vera e propria passione e che il cantante risulta essere innamorato più che mai.
Tuttavia, entrambi non si sono ancora espressi in merito e non ci sono scatti che testimoniano il flirt più discusso del periodo.
Ma molto probabilmente, a breve ne sapremo di più…
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andreamontanaroph · 4 years
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Edgard Degas
1 - La bevitrice di assenzio Il più famoso dipinto di Edgar Degas è una rappresentazione del crescente isolamento sociale della Parigi dei suo tempo. Raffigura una donna a fissare il vuoto con un bicchiere di assenzio. Un uomo probabilmente alcolizzato siede accanto a lei. https://libreriamo.it/arte/le-5-opere-piu-famose-di-degas/ 
2 - Le Stiratrici Degas guarda alla classe operaia senza sentimentalismi o facili pietismi, ma ritraendo la fatica che rende la loro vita dura e socialmente emarginata. Non c’è passione, né ardore, né eroismo nel comportamento delle due stiratrici; in un certo senso, si potrebbe pensare che il quadro sia solo una banale fotografia del reale e, invece, proprio in questo sta la sua forza, come ne “I mangiatori di patate” di Van Gogh, dove però in questo caso viene ritratta tutta la miseria del vivere quotidiano dei contadini, mentre ne “Le Stiratrici“, non c’è una denuncia sociale ma solo un’attenzione per un momento particolare della giornata delle due donne. Degas non utilizza il suo solito stile pittorico, ma carica ogni pennellata rendendo l’impasto dei colori più spesso e quindi togliendo omogeneità alla distribuzione del colore. L’effetto irregolare rende alcune parti del quadro più intense e rende molto bene il movimento di entrambe le stiratrici.
3 - La “Ballerina verde” Il movimento che la scena produce agli occhi dello spettatore, pone due questioni: l’influenza che la pittura giapponese aveva su Degas, che possiamo osservare vedendo come il centro della pittura sia spostata, e lo scopo dell’artista nel mostrare una realtà mutevole, in movimento e che cambia continuamente. E’ una scena veloce, che sembra cambiare mentre osserviamo il quadro e più immaginiamo che il ballo si compia più la scena si ripete. La tecnica a pastello, che Degas utilizzò abbondantemente, aiuta l’effetto frammentato e transitorio della realtà rappresentata. Gli impressionisti si avvalsero di questa tecnica, riprendendola dagli artisti che nell’Ottocento si dedicavano al ritratto, per ricreare un tratto rapido e audace che richiama l’istantaneità del movimento e dell’attimo fuggente.
4 - Cavalli da corsa davanti alle tribune Degas ricrea l’atmosfera di una corsa di cavalli prima che la gara inizi, quando il pubblico osserva il proprio fantino e i cavalli passeggiano avvicinandosi agli spettatori o raggruppandosi verso la linea di partenza. Tutto è dipinto nei minimi dettagli: l’incedere dei quadrupedi verso i punti di fuga del dipinto, con l’ultimo che chiude l’opera ponendosi alla fine, gli spettatori che li osservano vicino alle staccionate, e le forme dei cavalli e la postura dei fantini che permettono a Degas di sperimentare uno studio libero delle forme e del movimento. Il disegno dei soggetti e l’ombra che si sviluppa dai cavalli, sono due esempi opposti dell’altissimo livello di sperimentazione che Degas raggiunge con questa tela. La luce che diventa un elemento importante in quegli anni, permette a Degas di raggiungere una propria interpretazione di come la luce debba essere riportata su un quadro. Il momento della giornata in cui sta avvenendo quella scena non può essere rappresentato che in quel modo, con quella particolare luce, che Degas interpreta in modo straordinario, posizionandola da destra mentre colpisce i fantini che si preparano ad affrontare la gara.
5 - signora-seduta La presente composizione ha uno specifico significato: una tipica rappresentazione del modello umano, inteso come fattore di subordinazione all’intero contesto della tela: si osservi la cura delle stesure per la raffigurazione del tavolo, del predominante vaso con i fiori in primo piano e della spalliera del divano. La mano appoggiata su quest’ultima è espressa con un’eccezionale presa tattile, probabilmente derivata dalla cecità della signora De Gas, di cui l’artista ha voluto darne accenno percorrendo altre vie.
6 - Testa femminile https://www.frammentiarte.it/2014/105-testa-femminile/ Gli studiosi sono concordi nel sostenere che il presente ritratto è fra le opere più  espressive ed intense di Degas che, con una eccezionale naturalezza, attraverso l’impiego di un semplice cromatismo fatto di toni morbidi e smorzati, riesce a conferire calore armonia e movimento all’intero contesto.
7 - L'etoile Della ballerina si vede una sola gamba, il che le dà un aspetto del tutto instabile, ma questo espediente aumenta la sensazione della dinamica in corsa e dà la sensazione di un movimento fermato nel suo divenire, mettendo in risalto sia la modernità della tematica sia una raffinata versione formale. Colori atmosferici, ariosi e sfumati, tanto da far disperdere il bagliore della danzatrice fin sulla scena illuminata in primo piano. Sul fondo un sapiente gioco di ombre, ottenuto con colori più scuri stesi a tratti veloci e sommari, ci suggerisce la confusione delle altre danzatrici che si intravedono in attesa dietro le quinte. https://www.artonweb.it/artemoderna/quadri/articolo94bis.htm
8 - Prova generale di balletto in scena Il quadro venne esposto per la prima volta nel 1874 e attirò subito l’attenzione di molti critici, non solo per l’uso del colore bianco, che rendeva gli abiti delle ballerine visibilissimi al contatto con la luce del teatro, dando un senso di movimento che accompagnava tutta la visione dell’opera, ma soprattutto per la bellezza del disegno. Proprio la scelta di una gradazione del bianco, che quasi diventa trasparente, rende il dipinto simile ad un disegno e lascia un effetto ambiguo in chi lo osserva, come se l’opera non fosse compiuta. Inoltre, la dinamicità della danza è resa tale proprio perché il disegno è molto preciso. L’opera, infatti, doveva servire per un incisione. La magia del quadro Prova generale di balletto in scena, infatti, non è il soggetto ma il modo in cui Degas riesce a rappresentare il movimento e la dinamicità del passaggio fra le ballerine che stanno provando e quelle che sono in attesa di debuttare.
https://biografieonline.it/biografia-edgar-degas
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(Parte uno)
Ho riflettuto più volte circa le modalità di condivisione personale che potessi utilizzare per esprimere al meglio la mia persona, specialmente durante questo sensibile periodo. Mi avvalgo di questo blog innanzitutto come strumento attraverso il quale diffondere ciò che più mi fa sentire d'essere, in questo mondo: l'arte. Ed io parlo d'arte come di espressione, una riflessione cosciente ed incosciente del nostro essere vivi, ed una proiezione d'essa dunque in vocaboli, colori, toni, gesti, movimenti! Questa è la specifica e speciale connessione che mi lega al mondo arte, che è un mondo tutto mio. Ecco che già m'accade di starmi dilungando. Questa, pure, è una peculiare caratteristica della mia persona - derivante, lo preciso, da una incessante necessità d'esprimermi sempre al meglio, sempre puramente, di poter essere intesa senza fraintendimenti! Essendo trasparente e limpida come più desidero, senza impormi limite alcuno.
Ho tentato pure di spiegarmi, in questi mesi, quale rapporto io avessi con l'arte. E mi riconduco al discorso che intendevo trattare al principio.
Mi son resa conto di aver intrapreso stupidamente una strada realmente inadatta al forte lato emotivo che mi è proprio. Ho stretto i miei polsi fra catene oppressive, tentando di non guardare, e procedendo imperterrita verso ciò che ogni persona cieca avrebbe ritenuto più giusto. Ho preferito, per un po', procedere in tal modo, e non perché ne fossi certa - caso che potrebbe anche esser vero, viste l'ossessività e cecità che mi accompagnavano - bensì per una chiara e banale ragione: è assai ben più semplice procedere verso percorsi di vita che appaiono giusti ai più - risulta invece cosa ben più ardua sentire, realizzare, e soprattutto procedere ed esplorare luoghi, pur mentali, che siano rari ed apparentemente vaghi e vani.
(Continua)
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italiaefriends · 3 years
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"La difficile, lunga e tortuosa strada del futuro" di Riccardo Rescio
“La difficile, lunga e tortuosa strada del futuro” di Riccardo Rescio
I&f Arte Cultura Attualità Credito immagine : https://maupes.wordpress.com/2011/03/29/film-novecento-atto-i/ La difficile, lunga e tortuosa strada del futuro è quella che ci creiamo con le nostre piccolezze, meschinità, ottusità e cecità. Preferiamo andare alla fontana della piazza, pur di non aderire ad un acquedotto pubblico, preferiamo consumare candele per illuminarci pur di non collegarsi…
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micoldaniels · 6 years
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Sinestetica magia d'appropriarmi di un respiro dal vetro che imprigiona la tua fotografia, d'averlo sul mio fiato, e i capelli foglie strette di palmette e mani rami dramatizzano sulla mia testa la loro verità e ho difficoltà a tradurrne i segni ed il labiale, parliamo due lingue diverse inverse e bislacche da tirare fuori dalle tasche quando andrai al cinema a sgranocchiare per svilire la noia o la tensione. La corteccia caduta scricchiola sotto il tuo passo ma non so dove stai e sto ferma sotto vento annusando la contraddizione termica del tuo corpo che sventra l'aria circostante e attendo nell' attenderti avvolta in un adagio che filtra sul mio udito la sola unica nota acuta che affilata stalattite trafigge l'arteria. Solo ora comprendo dopo aver attraversato, accartocciato, intrecciato, abortito il mio pensiero con quello altrui, che questa non è poesia e mai lo sarà solo un drenare di materia emozionale e scorie d'impulsi elettrici cerebrali. ... e continuo a pretendere un Angelo che trasfiguri ancora e poi per sempre la mia Arte e la mia Ragione in una Bellezza il cui tocco della mano sulla mia non posso fare a meno di cercare, una creatura chiamata Nostalgia contaminata dall'inclinazione sinestetica di cui sono posseduta ... e corro sul pianoro in alternanza di fuga e inseguimento dove io sono la preda e ancora io la cacciatrice,  vigile sul volo del rapace che si nutre da principio di bulbi oculari per accecare la vittima perchè si arrenda all'evidenza che prima del tutto era il nulla e prima che fosse luce era la notte più cupa come nella vittima la cecità e l'oblio. Micol #MicolPoesia #MicolDaniels #portraitphotography #sinestesia #prosa #secretdiary #blog #daniela #raccontare
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danitatti · 3 years
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Perché arrabbiarsi contro le disgrazie? Sarebbe come arrabbiarsi perché piove, o perché c’è il sole, o perché si muore. La morte esiste, la pioggia esiste, la cecità esiste: e ciò che esiste va accettato
Antonio De Curtis, in arte Totò
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"La comunicazione è una cosa seria"
Da molti anni come Associazione di Promozione Sociale senza scopo di lucro "Assaggia l'Italia ApS", attraverso la presenza come Italia&friends " su tutte le maggiori piattaforme web, contribuiamo ad una maggiore comunicazione di tutto il bello e il buono che abbiamo nelle Terre Uniche delle nostre 20 Regioni.
Da oltre dieci anni, con una azione incessante e continua, ci dedichiamo con passione a far conoscere tutte le particolarità che caratterizzano il nostro straordinario Paese.
Purtroppo in alcuni casi le istituzioni pubbliche locali, le associazioni di varia umanità e le imprese private, affidano la comunicazione dei momenti e degli eventi, che potrebbero costituire elementi di forte attrazione territoriale e maggiore conoscenza degli stessi nel mondo, a soggetti di dubbia professionalità il cui provincialismo, la palese cecità e a volte anche la poca consapevolezza di come si muove la comunicazione nel terzo millennio, determina una forte penalizzazione della comunicazione delle meraviglie che abbiamo a disposizione.
Le ricorrenze, le feste patronali, le rievocazioni storiche, soprattutto per le località più piccole e meno famose, hanno necessità di un più ampio respiro nazionale e internazionale, per far conoscere i rispettivi momenti ed eventi.
L'Italia è il Paese dalle infinite attrattive, perché è un crogiuolo di tante culture ed etnie che lentamente e progressivamente sta diventando quello che merita di essere, un grande e prolifico Paese.
Un processo che potrebbe essere accelerato se non ci fossero i soliti noti che pensano di tutelare il proprio orticello, inquinando i terreni altrui.
Quello di cui dovremmo prendere sempre maggiore consapevolezza è l'immenso patrimonio che abbiamo a disposizione e la conseguente ampia e variegata offerta attrattiva dei nostri territori.
Le meraviglie territoriali, artistiche, culturali, culinarie, agroalimentari e le innumerevoli conseguenti opportunità che ne conseguono, vanno adeguatamente comunicate utilizzando strumenti e metodologie comunicative offerte dalla moderna tecnologia, che troppi per incapacità e incompetenza ignorano.
In attesa che le idoneità maturino diamo il nostro contributo condividendo tutto il bello e il buono che abbiamo intorno.
Per farlo abbiamo necessità e bisogno del contributo di tutti, perché proprio attraverso la condivisione del conosciuto di ognuno di noi si potrebbe realizzare la più grande campagna di comunicazione del nostro Paese mai fatta in passato.
Riccardo Rescio
Presidente "Assaggia l'Italia ApS"
Associazione di Promozione Sociale (no profit)
Italia&friends NetWork
https://italiaefriends.wordpress.com/2022/05/21/italiafriends-network-arte-cultura-attualita/?preview=true
Potrebbe essere interessante per gli addetti ai lavori la lettura di un articolo dal titolo "Giornalismo su carta e sul Web : differenze e analogie"
a cura di Silvia Caruso, Gravità Zero.
di seguito il link : http://www.accademiatelematica.it/art/Home/News/Giornalismo%20su%20carta%20e%20sul%20Web:%20differenze%20e%20analogie
Il video a corredo dell'articolo può risultare certamente troppo lungo, pesante e ripetitivo, ma necessario per dare il senso della nostra presenza negli eventi e nei momenti del nostro Paese.
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garadinervi · 6 years
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Annalisa Alloatti, Cecità: a) cecità; b) luce; c) colore; d) musica; e) poesia, «Geiger Sperimentale», Edizioni Geiger, Torino, 1975 [Mart, Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto, donazione Mirella Bentivoglio]
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"quanto ai musei, è un vero e proprio dolore dell'anima, da spezzare il cuore, tutta quella gente, sì, gente, dico bene, tutti quei dipinti, tutte quelle sculture senza neanche una persona, lì davanti a guardare." José Saramago, Cecità (1995) #galleriaborghese #josesaramago #cecità #book #worldartday #heritage #museumlover #museums #artyouready #emptymuseum #museumfromhome #pandemic #art #arthistory #arteitaliana #italianmuseums #italy🇮🇹 #italiacheresiste #culturalheritage #heritage #artistsoninstagram #italianart #igdaily #ig_rome #ig_italia #thehub_art #thehub_architecture #thehub_italia #travelphotography (en Rome, Italy) https://www.instagram.com/p/B_A3wWVqLQz/?igshid=7pu9wk5tcvhq
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goodbearblind · 7 years
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Aveva ragione Tiziano, non Oriana. "...perché io sono convinto che il problema del terrorismo non si risolverà uccidendo i terroristi, ma eliminando le ragioni che li rendono tali." Tiziano Terzani, scrittore, giornalista, vegetariano. 7 OTTOBRE 2001. LETTERA DA FIRENZE Il Sultano e San Francesco. Non possiamo rinunciare alla speranza. Oriana, dalla finestra di una casa poco lontana da quella in cui anche tu sei nata, guardo le lame austere ed eleganti dei cipressi contro il cielo e ti penso a guardare, dalle tue finestre a New York, il panorama dei grattacieli da cui ora mancano le Torri Gemelle. Mi torna in mente un pomeriggio di tanti, tantissimi anni fa quando assieme facemmo una lunga passeggiata per le stradine di questi nostri colli argentati dagli ulivi. Io mi affacciavo, piccolo, alla professione nella quale tu eri già grande e tu proponesti di scambiarci delle «Lettere da due mondi diversi»: io dalla Cina dell’ immediato dopo-Mao in cui andavo a vivere, tu dall’America. Per colpa mia non lo facemmo. Ma è in nome di quella tua generosa offerta di allora, e non certo per coinvolgerti ora in una corrispondenza che tutti e due vogliamo evitare, che mi permetto di scriverti. Davvero mai come ora, pur vivendo sullo stesso pianeta, ho l’impressione di stare in un mondo assolutamente diverso dal tuo. Ti scrivo anche - e pubblicamente per questo - per non far sentire troppo soli quei lettori che forse, come me, sono rimasti sbigottiti dalle tue invettive, quasi come dal crollo delle due Torri. Là morivano migliaia di persone e con loro il nostro senso di sicurezza; nelle tue parole sembra morire il meglio della testa umana - la ragione; il meglio del cuore - la compassione. Il tuo sfogo mi ha colpito, ferito e mi ha fatto pensare a Karl Kraus. «Chi ha qualcosa da dire si faccia avanti e taccia», scrisse, disperato dal fatto che, dinanzi all’indicibile orrore della Prima Guerra Mondiale, alla gente non si fosse paralizzata la lingua. Al contrario, gli si era sciolta, creando tutto attorno un assurdo e confondente chiacchierio. Tacere per Kraus significava riprendere fiato, cercare le parole giuste, riflettere prima di esprimersi. Lui usò di quel consapevole silenzio per scrivere Gli ultimi giorni dell’umanità, un’ opera che sembra essere ancora di un’inquietante attualità. Pensare quel che pensi e scriverlo è un tuo diritto. Il problema è però che, grazie alla tua notorietà, la tua brillante lezione di intolleranza arriva ora anche nelle scuole, influenza tanti giovani e questo mi inquieta. Il nostro di ora è un momento di straordinaria importanza. L’ orrore indicibile è appena cominciato, ma è ancora possibile fermarlo facendo di questo momento una grande occasione di ripensamento. È un momento anche di enorme responsabilità perché certe concitate parole, pronunciate dalle lingue sciolte, servono solo a risvegliare i nostri istinti più bassi, ad aizzare la bestia dell’odio che dorme in ognuno di noi ed a provocare quella cecità delle passioni che rende pensabile ogni misfatto e permette, a noi come ai nostri nemici, il suicidarsi e l’uccidere. "Conquistare le passioni mi pare di gran lunga più difficile che conquistare il mondo con la forza delle armi. Ho ancora un difficile cammino dinanzi a me", scriveva nel 1925 quella bell’anima di Gandhi. Ed aggiungeva: «Finché l’uomo non si metterà di sua volontà all’ultimo posto fra le altre creature sulla terra, non ci sarà per lui alcuna salvezza». E tu, Oriana, mettendoti al primo posto di questa crociata contro tutti quelli che non sono come te o che ti sono antipatici, credi davvero di offrirci salvezza? La salvezza non è nella tua rabbia accalorata, né nella calcolata campagna militare chiamata, tanto per rendercela più accettabile, "Libertà duratura". O tu pensi davvero che la violenza sia il miglior modo per sconfiggere la violenza? Da che mondo è mondo non c’è stata ancora la guerra che ha messo fine a tutte le guerre. Non lo sarà nemmeno​ questa. Quel che ci sta succedendo è nuovo. Il mondo ci sta cambiando attorno. Cambiamo allora il nostro modo di pensare, il nostro modo di stare al mondo. È una grande occasione. Non perdiamola: rimettiamo in discussione tutto, immaginiamoci un futuro diverso da quello che ci illudevamo d’aver davanti prima dell’11 settembre e soprattutto non arrendiamoci alla inevitabilità di nulla, tanto meno all’inevitabilità della guerra come strumento di giustizia o semplicemente di vendetta. Le guerre sono tutte terribili. Il moderno affinarsi delle tecniche di distruzione e di morte le rendono sempre più tali. Pensiamoci bene: se noi siamo disposti a combattere la guerra attuale con ogni arma a nostra disposizione, compresa quella atomica, come propone il Segretario alla Difesa americano, allora dobbiamo aspettarci che anche i nostri nemici, chiunque essi siano, saranno ancor più determinati di prima a fare lo stesso, ad agire senza regole, senza il rispetto di nessun principio. Se alla violenza del loro attacco alle Torri Gemelle noi risponderemo con una ancor più terribile violenza - ora in Afghanistan, poi in Iraq, poi chi sa dove -, alla nostra ne seguirà necessariamente una loro ancora più orribile e poi un’altra nostra e così via. Perché non fermarsi prima? Abbiamo perso la misura di chi siamo, il senso di quanto fragile ed interconnesso sia il mondo in cui viviamo, e ci illudiamo di poter usare una dose, magari "intelligente", di violenza per mettere fine alla terribile violenza altrui. Cambiamo illusione e, tanto per cominciare, chiediamo a chi fra di noi dispone di armi nucleari, armi chimiche e armi batteriologiche - Stati Uniti in testa - d’impegnarsi solennemente con tutta l’umanità a non usarle mai per primo, invece di ricordarcene minacciosamente la disponibilità. Sarebbe un primo passo in una nuova direzione. Non solo questo darebbe a chi lo fa un vantaggio morale - di per sé un’ arma importante per il futuro -, ma potrebbe anche disinnescare l’orrore indicibile ora attivato dalla reazione a catena della vendetta. In questi giorni ho ripreso in mano un bellissimo libro (peccato che non sia ancora in italiano) di un vecchio amico, uscito due anni fa in Germania. Il libro si intitola Die Kunst, nicht regiert zu werden: ethische Politik von Sokrates bis Mozart (L’ arte di non essere governati: l’ etica politica da Socrate a Mozart). L’ autore è Ekkehart Krippendorff, che ha insegnato per anni a Bologna prima di tornare all’Università di Berlino. La affascinante tesi di Krippendorff è che la politica, nella sua espressione più nobile, nasce dal superamento della vendetta e che la cultura occidentale ha le sue radici più profonde in alcuni miti, come quello di Caino e quello delle Erinni, intesi da sempre a ricordare all’uomo la necessità di rompere il circolo vizioso della vendetta per dare origine alla civiltà. Caino uccide il fratello, ma Dio impedisce agli uomini di vendicare Abele e, dopo aver marchiato Caino - un marchio che è anche una protezione -, lo condanna all’esilio dove quello fonda la prima città. La vendetta non è degli uomini, spetta a Dio. Secondo Krippendorff il teatro, da Eschilo a Shakespeare, ha avuto una funzione determinante nella formazione dell’uomo occidentale perché col suo mettere sulla scena tutti i protagonisti di un conflitto, ognuno col suo punto di vista, i suoi ripensamenti e le sue possibili scelte di azione, il teatro è servito a far riflettere sul senso delle passioni e sulla inutilità della violenza che non raggiunge mai il suo fine. Purtroppo, oggi, sul palcoscenico del mondo noi occidentali siamo insieme i soli protagonisti ed i soli spettatori, e così, attraverso le nostre televisioni ed i nostri giornali, non ascoltiamo che le nostre ragioni, non proviamo che il nostro dolore. A te, Oriana, i kamikaze non interessano. A me tanto invece. Ho passato giorni in Sri Lanka con alcuni giovani delle "Tigri Tamil", votati al suicidio. Mi interessano i giovani palestinesi di "Hamas" che si fanno saltare in aria nelle pizzerie israeliane. Un po’ di pietà sarebbe forse venuta anche a te se in Giappone, sull’isola di Kyushu, tu avessi visitato Chiran, il centro dove i primi kamikaze vennero addestrati e tu avessi letto le parole, a volte poetiche e tristissime, scritte segretamente prima di andare, riluttanti, a morire per la bandiera e per l’Imperatore. I kamikaze mi interessano perché vorrei capire che cosa li rende così disposti a quell’innaturale atto che è il suicidio e che cosa potrebbe fermarli. Quelli di noi a cui i figli - fortunatamente - sono nati, si preoccupano oggi moltissimo di vederli bruciare nella fiammata di questo nuovo, dilagante tipo di violenza di cui l’ecatombe nelle Torri Gemelle potrebbe essere solo un episodio. Non si tratta di giustificare, di condonare, ma di capire. Capire, perché io sono convinto che il problema del terrorismo non si risolverà uccidendo i terroristi, ma eliminando le ragioni che li rendono tali. Niente nella storia umana è semplice da spiegare e fra un fatto ed un altro c’ è raramente una correlazione diretta e precisa. Ogni evento, anche della nostra vita, è il risultato di migliaia di cause che producono, assieme a quell’evento, altre migliaia di effetti, che a loro volta sono le cause di altre migliaia di effetti. L’ attacco alle Torri Gemelle è uno di questi eventi: il risultato di tanti e complessi fatti antecedenti. Certo non è l’atto di "una guerra di religione" degli estremisti musulmani per la conquista delle nostre anime, una Crociata alla rovescia, come la chiami tu, Oriana. Non è neppure un attacco alla libertà ed alla democrazia occidentale", come vorrebbe la semplicistica formula ora usata dai politici. Un vecchio accademico dell’Università di Berkeley, un uomo certo non sospetto di anti-americanismo o di simpatie sinistrorse dà di questa storia una interpretazione completamente diversa. "Gli assassini suicidi dell’ 11 settembre non hanno attaccato l'America: hanno attaccato la politica estera americana", scrive Chalmers Johnson nel numero di The Nation del 15 ottobre. Per lui, autore di vari libri - l’ultimo, Blowback, contraccolpo, uscito l’anno scorso (in Italia edito da Garzanti ndr) ha del profetico - si tratterebbe appunto di un ennesimo "contraccolpo" al fatto che, nonostante la fine della Guerra Fredda e lo sfasciarsi dell’Unione Sovietica, gli Stati Uniti hanno mantenuto intatta la loro rete imperiale di circa 800 installazioni militari nel mondo. Con una analisi che al tempo della Guerra Fredda sarebbe parsa il prodotto della disinformazione del Kgb, Chalmers Johnson fa l’elenco di tutti gli imbrogli, complotti, colpi di Stato, delle persecuzioni, degli assassinii e degli interventi a favore di regimi dittatoriali e corrotti nei quali gli Stati Uniti sono stati apertamente o clandestinamente coinvolti in America Latina, in Africa, in Asia e nel Medio Oriente dalla fine della Seconda Guerra Mondiale ad oggi. Il "contraccolpo" dell’attacco alle Torri Gemelle ed al Pentagono avrebbe a che fare con tutta una serie di fatti di questo tipo: fatti che vanno dal colpo di Stato ispirato dalla Cia contro Mossadeq nel 1953, seguito dall’installazione dello Shah in Iran, alla Guerra del Golfo, con la conseguente permanenza delle truppe americane nella penisola araba, in particolare l’Arabia Saudita dove sono i luoghi sacri dell’Islam. Secondo Johnson sarebbe stata questa politica americana "a convincere tanta brava gente in tutto il mondo islamico che gli Stati Uniti sono un implacabile nemico". Così si spiegherebbe il virulento anti-americanismo diffuso nel mondo musulmano e che oggi tanto sorprende gli Stati Uniti ed i loro alleati. Esatta o meno che sia l’analisi di Chalmers Johnson, è evidente che al fondo di tutti i problemi odierni degli americani e nostri nel Medio Oriente c’è, a parte la questione israeliano-palestinese, la ossessiva preoccupazione occidentale di far restare nelle mani di regimi "amici", qualunque essi fossero, le riserve petrolifere della regione. Questa è stata la trappola. L’ occasione per uscirne è ora. Perché non rivediamo la nostra dipendenza economica dal petrolio? Perché non studiamo davvero, come avremmo potuto già fare da una ventina d’anni, tutte le possibili fonti alternative di energia? Ci eviteremmo così d’essere coinvolti nel Golfo con regimi non meno repressivi ed odiosi dei talebani; ci eviteremmo i sempre più disastrosi "contraccolpi" che ci verranno sferrati dagli oppositori a quei regimi, e potremmo comunque contribuire a mantenere un migliore equilibrio ecologico sul pianeta. Magari salviamo così anche l’ Alaska che proprio un paio di mesi fa è stata aperta ai trivellatori, guarda caso dal presidente Bush, le cui radici politiche - tutti lo sanno - sono fra i petrolieri. A proposito del petrolio, Oriana, sono certo che anche tu avrai notato come, con tutto quel che si sta scrivendo e dicendo sull’Afghanistan, pochissimi fanno notare che il grande interesse per questo paese è legato al fatto d’essere il passaggio obbligato di qualsiasi conduttura intesa a portare le immense risorse di metano e petrolio dell’Asia Centrale (vale a dire di quelle repubbliche ex-sovietiche ora tutte, improvvisamente, alleate con gli Stati Uniti) verso il Pakistan, l’India e da lì nei paesi del Sud Est Asiatico. Il tutto senza dover passare dall’Iran. Nessuno in questi giorni ha ricordato che, ancora nel 1997, due delegazioni degli «orribili» talebani sono state ricevute a Washington (anche al Dipartimento di Stato) per trattare di questa faccenda e che una grande azienda petrolifera americana, la Unocal, con la consulenza niente di meno che di Henry Kissinger, si è impegnata col Turkmenistan a costruire quell’oleodotto attraverso l’Afghanistan. È dunque possibile che, dietro i discorsi sulla necessità di proteggere la libertà e la democrazia, l’imminente attacco contro l’Afghanistan nasconda anche altre considerazioni meno altisonanti, ma non meno determinanti. È per questo che nell’America stessa alcuni intellettuali cominciano a preoccuparsi che la combinazione fra gli interessi dell’industria petrolifera con quelli dell’industria bellica - combinazione ora prominentemente rappresentata nella compagine al potere a Washington - finisca per determinare in un unico senso le future scelte politiche americane nel mondo e per limitare all’interno del paese, in ragione dell’emergenza anti-terrorismo, i margini di quelle straordinarie libertà che rendono l’America così particolare. Il fatto che un giornalista televisivo americano sia stato redarguito dal pulpito della Casa Bianca per essersi chiesto se l’aggettivo "codardi", usato da Bush, fosse appropriato per i terroristi-suicidi, così come la censura di certi programmi e l’allontanamento da alcuni giornali, di collaboratori giudicati non ortodossi, hanno aumentato queste preoccupazioni. L’aver diviso il mondo in maniera - mi pare - "talebana", fra "quelli che stanno con noi e quelli contro di noi", crea ovviamente i presupposti per quel clima da caccia alle streghe di cui l’America ha già sofferto negli anni Cinquanta col maccartismo, quando tanti intellettuali, funzionari di Stato ed accademici, ingiustamente accusati di essere comunisti o loro simpatizzanti, vennero perseguitati, processati e in moltissimi casi lasciati senza lavoro. Il tuo attacco, Oriana - anche a colpi di sputo - alle "cicale" ed agli intellettuali "del dubbio" va in quello stesso senso. Dubitare è una funzione essenziale del pensiero; il dubbio è il fondo della nostra cultura. Voler togliere il dubbio dalle nostre teste è come volere togliere l’aria ai nostri polmoni. Io non pretendo affatto d’aver risposte chiare e precise ai problemi del mondo (per questo non faccio il politico), ma penso sia utile che mi si lasci dubitare delle risposte altrui e mi si lasci porre delle oneste domande. In questi tempi di guerra non deve essere un crimine parlare di pace. Purtroppo anche qui da noi, specie nel mondo "ufficiale" della politica e dell’establishment mediatico, c’è stata una disperante corsa alla ortodossia. È come se l’America ci mettesse già paura. Capita così di sentir dire in televisione a un post-comunista in odore di una qualche carica nel suo partito, che il soldato Ryan è un importante simbolo di quell’America che per due volte ci ha salvato. Ma non c’era anche lui nelle marce contro la guerra americana in Vietnam? Per i politici - me ne rendo conto - è un momento difficilissimo. Li capisco e capisco ancor più l’angoscia di qualcuno che, avendo preso la via del potere come una scorciatoia per risolvere un piccolo conflitto di interessi terreni si ritrova ora alle prese con un enorme conflitto di interessi divini, una guerra di civiltà combattuta in nome di Iddio e di Allah. No. Non li invidio, i politici. Siamo fortunati noi, Oriana. Abbiamo poco da decidere e non trovandoci in mezzo ai flutti del fiume, abbiamo il privilegio di poter stare sulla riva a guardare la corrente. Ma questo ci impone anche grandi responsabilità come quella, non facile, di andare dietro alla verità e di dedicarci soprattutto "a creare campi di comprensione, invece che campi di battaglia", come ha scritto Edward Said, professore di origine palestinese ora alla Columbia University, in un saggio sul ruolo degli intellettuali uscito proprio una settimana prima degli attentati in America. Il nostro mestiere consiste anche nel semplificare quel che è complicato. Ma non si può esagerare, Oriana, presentando Arafat come la quintessenza della doppiezza e del terrorismo ed indicando le comunità di immigrati musulmani da noi come incubatrici di terroristi. Le tue argomentazioni verranno ora usate nelle scuole contro quelle buoniste, da libro Cuore, ma tu credi che gli italiani di domani, educati a questo semplicismo intollerante, saranno migliori? Non sarebbe invece meglio che imparassero, a lezione di religione, anche che cosa è l’Islam? Che a lezione di letteratura leggessero anche Rumi o il da te disprezzato Omar Kayan? Non sarebbe meglio che ci fossero quelli che studiano l’arabo, oltre ai tanti che già studiano l’inglese e magari il giapponese? Lo sai che al ministero degli Esteri di questo nostro paese affacciato sul Mediterraneo e sul mondo musulmano, ci sono solo due funzionari che parlano arabo? Uno attualmente è, come capita da noi, console ad Adelaide in Australia. Mi frulla in testa una frase di Toynbee: "Le opere di artisti e letterati hanno vita più lunga delle gesta di soldati, di statisti e mercanti. I poeti ed i filosofi vanno più in là degli storici. Ma i santi e i profeti valgono di più di tutti gli altri messi assieme". Dove sono oggi i santi ed i profeti? Davvero, ce ne vorrebbe almeno uno! Ci rivorrebbe un San Francesco. Anche i suoi erano tempi di crociate, ma il suo interesse era per gli altri", per quelli contro i quali combattevano i crociati. Fece di tutto per andarli a trovare. Ci provò una prima volta, ma la nave su cui viaggiava naufragò e lui si salvò a malapena. Ci provò una seconda volta, ma si ammalò prima di arrivare e tornò indietro. Finalmente, nel corso della quinta crociata, durante l’assedio di Damietta in Egitto, amareggiato dal comportamento dei crociati ("vide il male ed il peccato"), sconvolto da una spaventosa battaglia di cui aveva visto le vittime, San Francesco attraversò le linee del fronte. Venne catturato, incatenato e portato al cospetto del Sultano. Peccato che non c’era ancora la Cnn - era il 1219 - perché sarebbe interessantissimo rivedere oggi il filmato di quell’incontro. Certo fu particolarissimo perché, dopo una chiacchierata che probabilmente andò avanti nella notte, al mattino il Sultano lasciò che San Francesco tornasse, incolume, all’accampamento dei crociati. Mi diverte pensare che l’uno disse all’altro le sue ragioni, che San Francesco parlò di Cristo, che il Sultano lesse passi del Corano e che alla fine si trovarono d’ accordo sul messaggio che il poverello di Assisi ripeteva ovunque: "Ama il prossimo tuo come te stesso". Mi diverte anche immaginare che, siccome il frate sapeva ridere come predicare, fra i due non ci fu aggressività e che si lasciarono di buon umore sapendo che comunque non potevano fermare la storia. Ma oggi? Non fermarla può voler dire farla finire. Ti ricordi, Oriana, Padre Balducci che predicava a Firenze quando noi eravamo ragazzi? Riguardo all’orrore dell’olocausto atomico pose una bella domanda: "La sindrome da fine del mondo, l’alternativa fra essere e non essere, hanno fatto diventare l’uomo più umano?". A guardarsi intorno la risposta mi pare debba essere "No". Ma non possiamo rinunciare alla speranza. "Mi dica, che cosa spinge l’uomo alla guerra?", chiedeva Albert Einstein nel 1932 in una lettera a Sigmund Freud. "È possibile dirigere l’evoluzione psichica dell’uomo in modo che egli diventi più capace di resistere alla psicosi dell’odio e della distruzione?" Freud si prese due mesi per rispondergli. La sua conclusione fu che c’era da sperare: l’influsso di due fattori - un atteggiamento più civile, ed il giustificato timore degli effetti di una guerra futura - avrebbe dovuto mettere fine alle guerre in un prossimo avvenire. Giusto in tempo la morte risparmiò a Freud gli orrori della Seconda Guerra Mondiale. Non li risparmiò invece ad Einstein, che divenne però sempre più convinto della necessità del pacifismo. Nel 1955, poco prima di morire, dalla sua casetta di Princeton in America dove aveva trovato rifugio, rivolse all’umanità un ultimo appello per la sua sopravvivenza: "Ricordatevi che siete uomini e dimenticatevi tutto il resto". Per difendersi, Oriana, non c’ è bisogno di offendere (penso ai tuoi sputi ed ai tuoi calci). Per proteggersi non c’è bisogno d’ammazzare. Ed anche in questo possono esserci delle giuste eccezioni. M’è sempre piaciuta nei Jataka, le storie delle vite precedenti di Buddha, quella in cui persino lui, epitome della non violenza, in una incarnazione anteriore uccide. Viaggia su una barca assieme ad altre 500 persone. Lui, che ha già i poteri della preveggenza, "vede" che uno dei passeggeri, un brigante, sta per ammazzare tutti e derubarli e lui lo previene buttandolo nell’acqua ad affogare per salvare gli altri. Essere contro la pena di morte non vuol dire essere contro la pena in genere ed in favore della libertà di tutti i delinquenti. Ma per punire con giustizia occorre il rispetto di certe regole che sono il frutto dell’incivilimento, occorre il convincimento della ragione, occorrono delle prove. I gerarchi nazisti furono portati dinanzi al Tribunale di Norimberga; quelli giapponesi responsabili di tutte le atrocità commesse in Asia, furono portati dinanzi al Tribunale di Tokio prima di essere, gli uni e gli altri, dovutamente impiccati. Le prove contro ognuno di loro erano schiaccianti. Ma quelle contro Osama Bin Laden? "Noi abbiamo tutte le prove contro Warren Anderson, presidente della Union Carbide. Aspettiamo che ce lo estradiate", scrive in questi giorni dall’India agli americani, ovviamente a mo’ di provocazione, Arundhati Roy, la scrittrice de Il Dio delle piccole cose: una come te, Oriana, famosa e contestata, amata ed odiata. Come te, sempre pronta a cominciare una rissa, la Roy ha usato della discussione mondiale su Osama Bin Laden per chiedere che venga portato dinanzi ad un tribunale indiano il presidente americano della Union Carbide responsabile dell’esplosione nel 1984 nella fabbrica chimica di Bhopal in India che fece 16.000 morti. Un terrorista anche lui? Dal punto di vista di quei morti forse sì. L’ immagine del terrorista che ora ci viene additata come quella del "nemico" da abbattere è il miliardario saudita che, da una tana nelle montagne dell’Afghanistan, ordina l’attacco alle Torri Gemelle; è l’ingegnere-pilota, islamista fanatico, che in nome di Allah uccide se stesso e migliaia di innocenti; è il ragazzo palestinese che con una borsetta imbottita di dinamite si fa esplodere in mezzo ad una folla. Dobbiamo però accettare che per altri il "terrorista" possa essere l’uomo d’affari che arriva in un paese povero del Terzo Mondo con nella borsetta non una bomba, ma i piani per la costruzione di una fabbrica chimica che, a causa di rischi di esplosione ed inquinamento, non potrebbe mai essere costruita in un paese ricco del Primo Mondo. E la centrale nucleare che fa ammalare di cancro la gente che ci vive vicino? E la diga che disloca decine di migliaia di famiglie? O semplicemente la costruzione di tante piccole industrie che cementificano risaie secolari, trasformando migliaia di contadini in operai per produrre scarpe da ginnastica o radioline, fino al giorno in cui è più conveniente portare quelle lavorazioni altrove e le fabbriche chiudono, gli operai restano senza lavoro e non essendoci più i campi per far crescere il riso, muoiono di fame? Questo non è relativismo. Voglio solo dire che il terrorismo, come modo di usare la violenza, può esprimersi in varie forme, a volte anche economiche, e che sarà difficile arrivare ad una definizione comune del nemico da debellare. I governi occidentali oggi sono uniti nell’essere a fianco degli Stati Uniti; pretendono di sapere esattamente chi sono i terroristi e come vanno combattuti. Molto meno convinti però sembrano i cittadini dei vari paesi. Per il momento non ci sono state in Europa dimostrazioni di massa per la pace; ma il senso del disagio è diffuso così come è diffusa la confusione su quel che si debba volere al posto della guerra. "Dateci qualcosa di più carino del capitalismo", diceva il cartello di un dimostrante in Germania. "Un mondo giusto non è mai NATO", c’era scritto sullo striscione di alcuni giovani che marciavano giorni fa a Bologna. Già. Un mondo "più giusto" è forse quel che noi tutti, ora più che mai, potremmo pretendere. Un mondo in cui chi ha tanto si preoccupa di chi non ha nulla; un mondo retto da principi di legalità ed ispirato ad un po’ più di moralità. La vastissima, composita alleanza che Washington sta mettendo in piedi, rovesciando vecchi schieramenti e riavvicinando paesi e personaggi che erano stati messi alla gogna, solo perché ora tornano comodi, è solo l’ennesimo esempio di quel cinismo politico che oggi alimenta il terrorismo in certe aree del mondo e scoraggia tanta brava gente nei nostri paesi. Gli Stati Uniti, per avere la maggiore copertura possibile e per dare alla guerra contro il terrorismo un crisma di legalità internazionale, hanno coinvolto le Nazioni Unite, eppure gli Stati Uniti stessi rimangono il paese più reticente a pagare le proprie quote al Palazzo di Vetro, sono il paese che non ha ancora ratificato né il trattato costitutivo della Corte Internazionale di Giustizia, né il trattato per la messa al bando delle mine anti-uomo e tanto meno quello di Kyoto sulle mutazioni climatiche. L’interesse nazionale americano ha la meglio su qualsiasi altro principio. Per questo ora Washington riscopre l’utilità del Pakistan, prima tenuto a distanza per il suo regime militare e punito con sanzioni economiche a causa dei suoi esperimenti nucleari; per questo la Cia sarà presto autorizzata di nuovo ad assoldare mafiosi e gangster cui affidare i "lavoretti sporchi" di liquidare qua e là nel mondo le persone che la Cia stessa metterà sulla sua lista nera. Eppure un giorno la politica dovrà ricongiungersi con l’etica se vorremo vivere in un mondo migliore: migliore in Asia come in Africa, a Timbuctu come a Firenze. A proposito, Oriana. Anche a me ogni volta che, come ora, ci passo, questa città mi fa male e mi intristisce. Tutto è cambiato, tutto è involgarito. Ma la colpa non è dell’Islam o degli immigrati che ci si sono installati. Non son loro che han fatto di Firenze una città bottegaia, prostituita al turismo! È successo dappertutto. Firenze era bella quando era più piccola e più povera. Ora è un obbrobrio, ma non perché i musulmani si attendano in Piazza del Duomo, perché i filippini si riuniscono il giovedì in Piazza Santa Maria Novella e gli albanesi ogni giorno attorno alla stazione. È così perché anche Firenze s’è "globalizzata", perché non ha resistito all’assalto di quella forza che, fino a ieri, pareva irresistibile: la forza del mercato. Nel giro di due anni da una bella strada del centro in cui mi piaceva andare a spasso è scomparsa una libreria storica, un vecchio bar, una tradizionalissima farmacia ed un negozio di musica. Per far posto a che? A tanti negozi di moda. Credimi, anch’io non mi ci ritrovo più. Per questo sto, anch’io ritirato, in una sorta di baita nell’Himalaya indiana dinanzi alle più divine montagne del mondo. Passo ore, da solo, a guardarle, lì maestose ed immobili, simbolo della più grande stabilità, eppure anche loro, col passare delle ore, continuamente diverse e impermanenti come tutto in questo mondo. La natura è una grande maestra, Oriana, e bisogna ogni tanto tornarci a prendere lezione. Tornaci anche tu. Chiusa nella scatola di un appartamento dentro la scatola di un grattacielo, con dinanzi altri grattacieli pieni di gente inscatolata, finirai per sentirti sola davvero; sentirai la tua esistenza come un accidente e non come parte di un tutto molto, molto più grande di tutte le torri che hai davanti e di quelle che non ci sono più. Guarda un filo d’ erba al vento e sentiti come lui. Ti passerà anche la rabbia. Ti saluto, Oriana e ti auguro di tutto cuore di trovare pace. Perché se quella non è dentro di noi non sarà mai da nessuna parte.
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aunoauno-blog · 5 years
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Spesso cerchiamo un senso alla vita prima di accorgerci che il vero senso si trova nella condizione di essere vivi, con la materialità che questo comporta: i rumori e i colori, la sensazione del sangue che circola nelle vene, del respiro che entra ed esce dalle narici. Qualunque cosa non affondi le radici in questa dimensione è già un tentativo di scappare dalla realtà del mondo. Guardando l’orizzonte l’esistenza diventa vuota, perchèl’orizzonte non è che una linea retta; abbiamo solo l’impressione che al di là di quel che possiamo vedere si nascondano altri mondi, mondi migliori, quando in realtà i mondi si nascondono al di qua del nostro sguardo; ma guardando l’orizzonte perdiamo di vista l’odore del mare e il calore del sole sulla pelle, sensazioni che contengono al loro interno infiniti universi. Scrivendo, ogni parola è importante, anzi essenziale. È meglio avere prima un outline di quel che si vuole scrivere (un orizzonte, un set di regole, un recinto dal quale non uscire) così che si possa poi dedicarsi a sentire il resto, parola per parola. L’arte, qualsiasi arte, deve essere una forma di cecità: non si può scrivere e rimanere focalizzati sul mondo di fuori. L’outline serve perchè abbiamo bisogno di una mappa per non perderci nei corridoi del mondo interiore, che è un labirinto buio che percorriamo senza vedere, come talpe nel profondo dei propri tunnel.
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