Tumgik
#e mi è scesa addosso questa cosa
vanbasten · 8 months
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la distopia calcistica di giocare la supercoppa italiana in arabia saudita si sta facendo sentire ancora di più considerato che hanno continuato come se niente fosse dopo aver appreso della scomparsa di uno dei pilastri eterni del nostro calcio, una di quelle cose che riassume esattamente cosa è diventato questo sport
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sentimentalismi · 1 year
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sono sul treno di ritorno dal tirocinio e per la prima volta sono arrivata alla conclusione che potrei essere una madre pessima
voglio diventare madre, è una delle poche cose che so, compagn permettendo, ho sempre desiderato esserlo anche dopo essermi chiesta se non fosse il ruolo datomi dalla società, se non fosse un desiderio ficcatomi dentro dall'esterno ma insomma dopo le innumerevoli domande sono arrivata alla conclusione che al momento lo desidero per il mio futuro, che voglio dei figli ma insomma non è questo il discorso al momento
torniamo a noi: sono sul treno, seduta nel primo vagone, davanti a me c'è una ragazza che ha subito attirato la mia attenzione, la trovo bellissima anche se o forse proprio perché si nasconde dentro la felpa gigante
due bambine non smettono di rincorrersi e ridere e gridare
i genitori sono a due vagoni di distanza e sì lo so perché l'avevo accuratamente evitato avendo precedentemente visto passeggini e sentito grida e pianti
dopo una decina di corse inizio a chiedermi cosa facciano i genitori mentre le bambine così piccole corrono a due vagoni di distanza da loro mentre il treno si ferma e le porte si aprono e si chiudono
non si preoccupano dei se? non pensano a quello che potrebbe succedere? e se qualcuno facesse loro qualcosa? mi giro, li cerco, non si vedono neanche, neanche si sentono, non le richiamano, silenzio tombale e penso che io non li lascerei mai andare così lontano dalla mia vista, non potrei
protezione o prigionia? sicurezza o campana di vetro? accortezza o egoismo? amore o privazione?
una ragazza seduta nell'altra fila ne afferra una proprio mentre si aprono le porte e le dice di rimanerle vicino fin quando non si chiudono, lei la ascolta
i genitori le chiamano, è la loro fermata ed è anche la mia ma nonostante io sia scesa questa brutta sensazione mi è rimasta addosso
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nonsomentirti · 3 years
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Ho tante cose dentro di me da dire, però mi scoccia rompere le scatole alle persone con i miei problemi. Il problema è che parlerei sempre di te.
Parlerei sempre di te perchè non penso ad altro.
Scriverò quì tutto quello che penso, tanto questa volta è diversa dalle altre, questa volta non guarderai il mio profilo per vedere cosa scrivo, questa volta non succederà niente.
Parte 1. Nella mia testa
Mi è crollato letteralmente il mondo addosso quella sera. I giorni seguenti stavo malissimo, in verità sto male anche adesso. Avevo mille dubbi, domande, pensieri. Ho pensato che parlartene avrebbe migliorato la mia situazione, invece no.
Non nascondo che dopo averti parlato sono stata peggio di prima. Il perchè? Tutto quello che mi dicevi; tutte quelle parole, il ti amo ancora, il sentire che ti mancava qualcosa, lo sperare che fosse solo un momento passeggero, e poi tutto il parlare che abbiamo fatto di ritorno dal mare. Ecco, quel viaggio in macchina per me è stato come un sogno. Eravamo io e te, a parlare di ogni cosa, come se non fosse successo nulla. Stavo benissimo. Poi sono scesa dalla macchina e sono tornata sul pianeta Terra, alla realtà. Buio.
Tu mi confondi. Con le tue parole e i tuoi atteggiamenti. Sai cosa penso? Penso che tu abbia detto quelle cose, ovvero il ti amo, il fatto che non fosse monotonia, che qualcosa sentivi che ti mancava, oppure quando ti ho chiesto se stesse funzionando e tu mi risposi di no... Penso che tu abbia detto queste cose per cercare di alleviare un po' il mio malessere, credo che tu non le abbia pensate davvero quelle cose; e ti dirò di più, non hai per niente migliorato il mio malessere, anzi, è solo che peggiorato. Mi sono illusa, come una stupida.
Mi hanno chiesto "tu saresti disposta ad aspettarlo per tutto il tempo che ci vorrà? "
La mia risposta di qualche settimana fà fu sì. Secco.
La mia risposta di adesso invece è un po' diversa.
Non sarà mai un no, quello è poco ma sicuro. Però , c'è un però..
Mi sono divisa tra mente e cuore.
Il cuore direbbe di sì subito, senza pensarci troppo. Per quello che abbiamo vissuto, per quello che abbiamo passato, per come siamo stati, per come era la nostra relazione, per quello che eri tu per me.
Ma la mente.. La mente è un po' traballante. Se mi fermo a riflettere mi sento delusa e presa anche un po' per il culo da te. Ti spiego perchè.
Tu per me, prima ancora di essere il mio ragazzo eri il mio migliore amico, la spalla su cui ho pianto nei momenti difficili e la persona dal quale correvo subito a raccontare qualsiasi sciocchezza mi capitasse. Perchè io in te riponevo una fiducia enorme, difficile da quantificare. E pensavo che la stessa cosa valesse per te. Quando mi hai detto che ti limitavi nel dire le cose con me, e che hai aspettato 9 mesi per dirmi che non ti ritrovavi più, mi sono sentita morire. Mi sono sbriciolata in tempo zero. Lì ho capito che io non ero la stessa cosa per te. Mi si è spezzato il cuore e in un certo senso mi sono sentita tradita e delusa.
Quindi sì, la mente pensa questo e si sente così. Non direbbe mai di no, forse, ma direbbe sicuramente che ci vorrà del tempo. Perchè nulla è come prima.
Parte 2. Nella tua testa
Bella questa parte, ci sarà da dirvertirsi nel parlarne. A volte vorrei poter entrare nella tua testa per sapere cosa pensi davvero, perchè sono sicura che tu non mi abbia detto tutto.
Vorrei davvero capire cosa ti sia successo, cosa ti abbia portato a pensare e a volere chiudere la nostra storia. Perchè io ancora oggi non l'ho capito e secondo me non lo sai neanche tu.
Mi hai lasciata dicendo "non sei tu il problema, sono io", detto proprio in poche parole. E non dire che non è vero, perchè è così. Mi hai lasciata dicendomi che la nostra relazione andava a gonfie vele, che non era monotonia, che io non ho mai fatto nulla di male, che eri tu, era partito tutto dalla tua testa. E allora io adesso ti faccio una domanda, perchè, se è una cosa partita tutta dalla tua testa, una cosa tua, ci devo rimettere io? Perchè devo stare male così?
Io sono dell'idea che se ne avessimo parlato prima si sarebbe potuto risolvere qualcosa. Tu invece sei partito in quarta, ti sei convinto della tua idea e hai preferito buttare via 6 anni. E poi vogliamo parlare del modo in cui hai reagito a tutto questo? Quella freddezza disarmante con cui mi hai lasciata, senza mezza emozione in viso. Eri vuoto, apatico. Questo mi ha fatto ancora più male. E la scusa che siamo cresciuti, non regge. Perchè puoi essere grande quanto vuoi, ma abbiamo passato 6 anni insieme, siamo cresciuti insieme, abbiamo fatto cose, viaggi, esperienze, abbiamo vissuto insieme, ci siamo divertiti, ci siamo supportati e sopportati. Come fai a rimanere fermo immobile davanti a tutto ciò?
Penso che, per come hai reagito e per come lo hai detto, tu sia molto convinto. Che non è vero che speri anche tu che sia un momento passeggero. Quelle erano frasi di circostanza, diciamocelo. Tu non tornerai da me. Non saremo mai più Bog e Marti.
Detto questo, smetto un attimo di sudare dagli occhi e ti do un consiglio.. da amica(?)
Nelle prossime relazioni che avrai, cerca di parlare, sempre, confrontati con l'altra persona, non avere paura di aprirti, non è segno di debolezza, sappilo. Non chiuderti a riccio, altrimenti finirà sempre così. Devi iniziare a fidarti un pochino di più delle persone che ti stanno accanto.
Arrivati a questo punto, direi di chiudere qui questo monologo.
Non credo ci sia bisogno di dirti che sei stato il mio unico grande amore e che mi manchi come l'aria, quindi salterò subito alla fine.
Ciao Topolo,
è stato bellissimo quello che abbiamo vissuto.
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sciatu · 4 years
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LA NONNA E LA RICOTTA PER MASSIMO
N - Prountu oh prontu… Rosaria - Maaa, jo sugnu, Rosaria, comu si N - Oh cori mei, vadda sugnu viva pi miraculu Rosaria - Oh matriita bedda, maaa non mi fari scantari (spaventare)! Chi ti succidiu…? N - Nenti u sai che deve venire tuo nipote Massimo da Bergamo. Gli ho chiesto cosa voleva che gli preparassi e lui mi ha chiesto di fargli le fraviole, quelle con dentro la ricotta fresca e i pezzettini di cioccolato. Rosaria - Si, me frati mi ha detto che viene Massimo, che non fa più il volontario sulle autoambulanze e che si è preso un po’ di ferie. N - Io sono andata al mercato ma non ho trovato la ricotta perché mi hanno detto che fa troppo caldo e inacidisce subito. All’uscita dal mercato ho trovato ad Angelina con quel campione di suo marito Procopiu. Le ho detto della ricotta e subito quello stottu (storto=stupido) mi fa “Ma la ricotta migliore è quella del paese mio. Deve prenderla la!” ed io gli ho risposto “Ma come faccio se per andare e tornare dal paese vostro con il pulmanne ci vuole una giornata: la ricotta parte fresca e arriva acida”. E lui, che vuole avere sempre ragione, “la porto io con la macchina così saluto i compari miei” Rosaria - Con la macchina di Procopio? ma mamma non sarai andata con quella? l’altro giorno i vigili se la stavano portando via pensandola una macchina abbandonata per strada. N - Ma jo non ci volevo andare, ed anche Anciulina gli ha detto che era tanto vecchia che quando l’aveva comprata c’era ancora la Democrazia Cristiana. Ma che vuoi, Massimo ha rischiato la vita sulle ambulanze a Bergamo, era giusto che anch’io rischiassi per fare contento u niputinu me, così abbiamo organizzato per questa mattina. Rosaria - Mamma: non ti sarai arrischiata a salire su quella macchina!!!! N – Eh nenti,  al mattino siamo partiti dopo che per un ora Procopio ha cercato di aprirla con il telecomando che non funzionava. Rosaria - Figurati…. N - Poi quando siamo partiti e non ti dico che strada abbiamo fatto, tutta curve e timpuni (dirupi) che neanche si vedeva in fondo la fiumara. Quando siamo arrivati da suo compare, Angelina si sentiva già male di tutte le curve che avevamo fatto su quella macchina che non aveva più neanche i motizzaturi (ammortizzatori) e sembrava di essere sulle montagne russe. Allora l’abbiamo lasciata in macchina e Procopiu gli ha lasciato le chiavi perché si chiudesse dentro che non si sa mai. Noi andiamo da questo cumpari di Procopiu chi nun tidicu com’era… Rosaria - Chi era bruttu ? N - Bruttu e malu cavatu!! e facia nu fedu di pecura chi si avia i conna era uguali uguali a nu capruni. Era pirò gentilissimo, ci ha fatto vedere come faceva la ricotta e me l’ha data di quella appena fatta. Eh nenti, siamo stati quasi un ora e fuori, da che era tutto nuvoloso, era venuto fuori un sole che non ti dico e un caldo che in quella latteria, con il calderone del latte bollente che faceva venire ancora più caldo. Perciò usciamo di corsa dalla latteria e andiamo da Angelina. Quando arriviamo non ti dico come la troviamo Rosaria - Non mi dire… N -  Anciulina era chiusa nella macchina, tutta sudata con il telecomando in mano che cercava di aprire la macchina per uscire: le stava venendo un collasso chiusa li dentro con il caldo che faceva. Rosaria - Oh matritta mei. N - Noi a gridari “Anciulina apri, apri…” e lei  a mostrarci il telecomando che le batterie non funzionavano più . Rosaria - Ma non poteva abbassare i finestrini? N - No perché si era rotto il filo di ferro che li faceva salire su e giù e du cugghiuni vacanti di Procopiu li aveva sigillati tutti con il silicone Rosaria - Oh santi libiranti, ma allurra Anciulina…. N - Stava murennu! u suduri ci calava i tutti i menzi, i capiddi l’avia come lavati con l’olio e stava boccheggiando come un pesce appena pescato e buttato a riva. Rosaria - O gesù mio… Ma che avete fatto. N - Jo ci dicia a Procopiu “Scassassi sa cavulu i potta chi da povirazza sta murennu” iddu “Ma chi jè paccia no sapi chi poi non si chiudi chiù” Insomma ni mittemmu a fari buci e a genti affacciava dalla finestra chiedendo “Chi succidiu” “Chi jè”. Allura jo gridannu ci dissi di nuovo a Procopiu mi facia cocca cosa chi Anciulina muria! Iddu m’arrispunniu “ E’ idda chi nun è capaci i nenti – e girannusi verso Anciulina ci gridoi – apri strunza chi mi fai fari sempri malafiguri: Buttana” Rosaria - Ma era già pazzu e ora u divintoi in tuttu!!!! N - Vadda, nun ci visti chiù pigghiai na petra da nterra e cu tutta a fozza cia nghiavati (tirai) nta testa mu mazzu. Rosaria - O Madonna mia: Mamma non è che l’hai mazzatu? N - Ma chi, a mala ebba non mori mai: si era girato per dirmi qualcosa, ha visto la pietra e si è spostato ed io ho preso il vetro rompendolo in mille pezzi. Non ti dico, appena l’ho rotto è uscito una vampata di aria calda come quando si apre il forno e quella poveraccia di Anciulina ha incominciato a respirare. Non ti dicu i buci che abbiamo fatto io Anciulina e Procopiu! Abbiamo ribellato tutto il quartiere e sono dovuti venire a dividerci. Allora ci siamo messi in macchina e siamo tornati. Rosaria - Meno male che l’avventura è finita N - Ma quali… arrivati alla fine del paese Procopiu si ferma alla fine del paese dove lungo la discesa c’è una fontana perché voleva riempire u bummulu  di acqua. Anciulina è scesa per liberarsi di tutto il vetro che le era finito addosso ed io volevo bere un po’ d’acqua ed aiutare Anciulina che povirazza era chiù motta chi viva. Eravamu dà chi stavamu o solitu pararannu e mannannu a fanculu Procopiu dicennuci che doveva cambiare la macchina, e lui a risponderci che andava ancora benissimo. Ha preso u bumbulu e lo ha messo nel bagagliaio dandogli un colpo fotti per farlo chiudiri chi avi  a fimmatura scassata. Appena desi du coppu, a macchina pattiu Rosaria - Come se ne è partita? mamma… N - È partita lungo la discesa prima piano piano poi sempre chiù fotti Rosaria - Oh santu cielu, ma non aveva messo il freno a manu ? N - Si l’aveva tirato ma non funzionava chi da i cosii ganasci eranu tutti ruggiati (arrugginite) e si erano bloccati e non si chiudianu Rosaria - Oh matritta bedda e unni finiu? N - Nun ti dicu, Procopiu ci curria d’arreti gridannu “femmati femmati” e jo e Anciulina arreti d’iddu a mannacci malanova a iddu e a Machina. A fini chista si scatafascioi contru u gaddaraill a prima cuvva e si fimmoi. Rosaria - Oh matritta mei, insomma, i comichi. N - Otru chi comichi!! Picchi d’anticchia i freni c’avia, si scassaru in tuttu e non frinava chiù picciò appamu annari a deci all’ura: puru i viddani a cavaddu di scecchi ni superavanu e ni vaddavunu tutti meravigghiati da machina da ittaricu Anciulina chi paria na pazza appena risuscitata e jo chi ci ni dicia tanti a Procopiu chi puru i Santi nto paradisu mi sintianu Rosaria - Sperò pirò che ora la butti quella macchina N - Ma chi ! quannu unu è critinu nun è chi po fari cosi ntelligenti: annoi unni su cumpari meccanicu e ci spioi sa putia giustare pi falla megghiu i com’era. E iddu dci rispunniu chi sulu si ci ittava a focu a putia fari megghiu.
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october24th · 4 years
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Resoconto Giorno 144
Penso sia meglio che certe cose rimangano dentro di noi, al sicuro e non esposte. Credo sia meglio che io impari a non dirle. Credo sia meglio reprimerle certe cose e mentre lo penso sono presa d’assalto da fitte al petto.
Sono le tre. Ho sognato un mondo in cui le persone ci si lasciano andare e venivano fuori cose fantastiche. Purtroppo non siamo in quel mondo e io non ho ancora imparato a trattenermi. La cosa certa è che non permetterò ad una parola di troppo di rovinare tutto.
Si continua con le poesie, L’amore è alle porte ma io ho traslocato, pagina 113 poesia Apri gli occhi e non lasciare che ti prendano. Credo che questa poesia debba essere letta tutti i giorni per ricordarci che nessuno al mondo può cambiarci o farci perdere la strada, e per motivarci a non mollare.
Non dar retta alle loro voci
Gli stupidi hanno sempre qualcosa da dire
Soprattutto sul tuo conto,
Ci hai mai fatto caso?
Io e Lola siamo state tutta la mattinata sul divano con la copertina addosso, non voleva staccarsi da me cuuuuucccciola. A pranzo zero sgarri. Dopo pranzo mi sono preparata per il lavoro, mi sono incappucciata ben che bene e alle tre sono scesa. Appena arrivata a casa della signora mi sono presentata al bambino, che bambino non è ma per me lo saranno sempre, e poi dopo aver sciolto un po’ il ghiaccio abbiamo iniziato a studiare. C’era davvero tantissimo lavoro da fare, fortunatamente lui mi è stato a sentire e ha capito le varie cose per bene. Sono entrata nel pallone per alcuni esercizi di geometria inventati dalla professoressa di cui non ho trovato esempi guida e formule, ma dopo il panico iniziale mi sono calmata e sono riuscita a capire tutti i procedimenti. Spero li abbia capiti anche lui. Abbiamo fatto matematica, geometria, antologia, grammatica, storia e spagnolo. Ha un cane carinissimo e una sorellina dolcissima che mi guardava sempre e che mi chiamava “maestra”, commossaaaaaa. Quando ho terminato il turno con Sasy sono salita su da Antonio per iniziare con lui. È stato bravissimo, mi ha sorpresa molto! È migliorato un sacco e sono molto fiera di ciò. Abbiamo finito alle nove di studiare, giusto in tempo per la cena. Zia mi ha preparato la pasta, ha detto che mi ha vista esaurita e nel panico lol. Dopo cena sono stata un pochino in cameretta con Nicola che durante le ore con Antonio veniva a darmi abbracci di tanto in tanto. Ho scaricato le prime quattro puntate di un anime che vidi anni fa per rivederlo un’altra volta, si chiama Kyoukai no Kanata. Alle dieci sono tornata a casa, fa davvero freddo fuori. Lola mi ha riempita di bacetti. Mamma non mi ha chiesto del lavoro.
Mi sento stanca, ho i solchi violacei sotto agli occhi e un volto maturo si riflette allo specchio. Ho masticato stress a causa del lavoro di oggi, ma non mi importa. Quanto mi piace essere d’aiuto? Stranamente non ho nemmeno mal di testa. Ora mi metto nel letto al caldo.
Mi sento serena e rilassata.
Il buio per me
è dove tu non passi
18 Gennaio
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yelenabworld · 4 years
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Racconto Erotico:
"In una camera d'albergo"
[2014©Yelena b. - Diritti riservati]
“Allora ti aspetto”
Il messaggio recitava così.
Avevo l'indirizzo dell'albergo ma non sapevo la strada, non avevo mai guidato fuori dalla città dove abitavo.
Strano come si possano spezzare le abitudini quando arrivano a soffocarti. Strano come si possa riuscire a fare quel benedetto passo oltre il buon senso e le imposizioni con cui hai vissuto tutta la tua maledetta vita.
Strano come all'improvviso da maledetta diventa benedetta, quella vita.
Forse è l'adrenalina, forse è il brivido, forse è davvero la vita.
Che diamine racconterò a quel fantomatico dio quando morirò?
Quando lascerò questa terra per il “paradiso” e mi troverò davanti il Tribunale Supremo che giudicherà il mio modo di essere terreno...?
Già... che avrei potuto raccontare?
Che non ero stata mai “cattiva” ma solo “umana”?
Non ero un angelo, ero solo una creatura.
Ecco il termine perfetto.
Creatura, figlia del Creato, parte del Creato, Armonia del Creato.
L'unica religione in cui credo... l'unico vero dettame che mi sembra sensato.
Essere. Parte di un disegno bellissimo, un anello di una catena perfetta, attaccato ad un altro anello indissolubilmente.
Ma noi uomini non siamo propriamente anelli. Siamo tutto fuorché anello circolare. Non amiamo essere assoggettati ad un benessere supremo, noi vogliamo solo il nostro, egoisticamente.
Siamo esseri egoisti. Egocentrici. Solo ed esclusivamente tendenti all'IO.
Io voglio, io desidero, io sono.
Ci dimentichiamo il noi fatto a due, figuriamoci il NOI globale.
E' che il 'noi globale' parte dal 'noi' fatto di due entità.
Due anelli che si incontrano e generano altri anelli.
Io ne ho generato uno, che amo molto, ma non ritengo mio.
Cerco di insegnargli che la strada è lunga e che dovrà percorrerla da solo, perché sarà un viaggio in solitaria a volte accompagnati da qualcuno speciale.
Per lui sono rimasta attaccata ad un anello malconcio per anni.
Non ho mai fatto scelte giuste, ho fatto scelte istintive ed è per quello che penso che fossero solo non giuste, ma non fondamentalmente sbagliate.
Ho un cuore malconcio, sempre in movimento, sempre accelerato. Ama. Non ci posso fare niente! Ama tutto quello che lo circonda che risulti vero ed autentico. O per lo meno, sembri.
Mi innamoro delle parole e le ricamo così finemente che diventano liquide.
Non mi entrano dalle orecchie, mi entrano direttamente dai pori della pelle.
Sono una creatura fatta di brividi.
E' così che uno mi entra in testa ed è così che poi mi entra dentro.
“Allora ti aspetto”
Il navigatore dava le indicazioni e io guidavo, nervosa.
Mancava poco, molto poco.
Sembrava un bel posto, quando arrivai nel parcheggio c'erano pochissime auto, il cuore prese a battermi più forte.
Era già arrivato e mi stava aspettando. Cristo, mi mancava l'aria.
Mi diressi verso gli scalini ed entrai nella hall, camminando tranquilla verso la reception.
“Buongiorno Signora”
“A lei” risposi “devo vedere un vostro cliente che alloggia qui, il signor Xxxx”
La ragazza dietro il desk sorrise e iniziò a cercare il nome nella lista del computer.
“Si, il signor Xxxx è nella stanza 27. Può fornirmi un documento?”
“Certo”
“Vuole che glielo chiami al telefono?”
“La ringrazio, non credo sia necessario, so che mi sta aspettando.”
Mi piacque molto il sapore di quello che avevo detto, mi eccitò al punto di bagnarmi ancora di più, come se già non lo fossi.
Salii le scale verso il piano superiore, in cerca della stanza 27.
Chissà perché avevo messo le scarpe col tacco, forse mi sarebbe piaciuto che lui sentisse i miei passi mentre mi avvicinavo, forse volevo sentirmi per una volta diversa da quel che ero, dalla donna scalza 'dentro'.
Non so perché avessi deciso che per lui le cose dovevano andare diversamente, ma le avevo messe quelle scarpe. Per lui.
Per il resto mi ero vestita come sempre, un vestito grigio misto cashmere con collo ampio e maniche corte, non troppo lungo, calze autoreggenti e niente intimo, solo il reggiseno al quale, date le dimensioni e le fattezze del mio seno, non potevo rinunciare.
Le porte sfilavano una ad una, 20... 21... 22... avevo voglia, sempre di più.
23... 24... 25... 26... 27.
Deglutii e respirai profondamente, mentre sentivo i crampi in mezzo alle gambe.
Bussai, il clic della serratura e la porta si aprì.
Non disse nulla, mi guardò e basta, negli occhi, fissa.
Fu un momento assurdo, quasi sospeso, come se tutto si fosse fermato.
Si spostò per farmi entrare.
Chiuse la porta mentre facevo quei fatidici miseri passi verso l'interno, senza soffermarmi sull'arredamento, se non sul letto e sul muro.
Sapeva cosa volevo. E sapeva come lo volevo. Mi avrebbe compiaciuta e a me questo bastava.
Non mi voltai ma sentii le sue mani toccarmi le spalle e la sua bocca respirarmi sul collo.
Avevo messo un profumo, cosa che non faccio mai.
Avevo voglia di profumare di frangipani per lasciarglielo addosso oltre al mio odore di donna. Volevo che ricordasse quel profumo come mio.
Mi abbracciò, aspirando forte il profumo, mentre il calore della sua bocca passava dal collo alla punta dei piedi, in una scia micidiale. La pelle si increspò in un lungo brivido. La barba mi solleticava la pelle insieme a qualche ciocca di capelli, avevo i sensi accesi e palpitanti.
“ciao” sussurai piano
“ciao” rispose stringendomi di più
Le mie mani gli percorsero le braccia, fino a raggiungere le sue, avvinghiandole strette.
Che meravigliosa sensazione sentire il suo corpo addosso, il suo respiro caldo. Avevo i capezzoli tesi, una morsa allo stomaco e una voglia pazzesca.
Chissà se anche lui era eccitato come me...
Se anche lui sentiva quel turbine dentro.
Volevo perdermi senza fingere. Odiavo fingere...
Mi inarcai leggermente contro il suo bacino e lui si liberò le mani, facendomele scorrere lungo le cosce, fino alle ginocchia per poi risalire all'interno fino su, spudorate.
Appena mi toccò, ebbi un sussulto.
Mi strinse contro di sé più forte.
Ora potevo sentire quanto fosse eccitato.
Mi spinse verso il letto, mordendomi il collo, ma senza mollarmi.
Poi si staccò, allontanandosi di un paio di passi per guardarmi.
“Piegati...” disse piano
E io lo feci, lentamente, poggiando i palmi sul ciglio del letto.
Il vestito si era alzato, mostrando la balza delle calze, la rotondità del sedere e una piccola parte del sesso.
La sua mano mi accarezzò i glutei e tirò su il vestito fino alla schiena.
“Dovevi metterle... dio avrei voluto sfilartele ora...”
Respirai forte “sai che non le metto...”
Lentamente scese in ginocchio, mi prese i glutei separandoli, allargando il sesso.
“sei carnosa... e bagnata”
Il primo colpo di lingua fu repentino “dolce...”
L'ho sentita entrare, spingere, bagnare.
Mi sono lasciata sfuggire un gemito mentre mi stringeva le natiche più forte, affondando la lingua più in profondità.
Grondavo di saliva e di umore.
Mi ha tolto il vestito, sfilato scarpe e calze... slacciato il reggiseno... girata e spinta sul letto.
Ora potevo vedere i suoi occhi. Ora potevo vedere come mi guardava.
Mi sono toccata il seno, fissandolo... passata le mani lungo i fianchi, allargando le gambe spudorata.
Ha iniziato a spogliarsi, veloce, mentre le mie dita scivolavano dentro di me.
Era nudo di fronte a me, lo volevo addosso.
Mi prese un piede e se lo portò alla bocca.
“uhm si...”
“Si? Non chiudere le gambe... fammela vedere...”
e continuò a baciarmi le dita mentre guardava la mia figa aperta.
“toccala... fammi vedere ancora come la tocchi... e toccati il seno con l'altra mano...”
Era quello che volevo...
Mi sono accarezzata prima il seno, giocando con i capezzoli fino a farli diventare duri e tesi poi sono scesa lenta... ho lasciato una mano sul seno e con l'altra me la sono accarezzata prima a mano aperta, poi con un solo dito, facendolo scivolavare dolcemente, tanto ero allagata.
Volevo squirtare... volevo fargli vedere come mi procuravo il piacere, quando non era con me... così mi sono lasciata andare. Ho portato alla figa anche l'altra mano, volevo tenerla aperta il più possibile mentre mi accarezzavo, con quel dito dalla fica al clito. Lo lasciavo scivolare dentro, muovendolo avanti e indietro, veloce, grattando un po'. Poi lo facevo scivolare di nuovo fuori toccando ancora il clito e ricominciavo, quasi in una danza rituale... ripetuta ossessivamente...
Mi bagno sempre tanto così... e so che finisco per squirtare... infatti un liquido denso e biancastro cominciò a scende lento e a bagnare il letto.
Lui smise di baciarmi il piede e venne verso di me, verso la fica: si era gustato tutto, ogni singolo movimento, ogni singola espressione, ogni gemito.
L'odore era così intenso ed eccitante.
L'ho osservato mentre mi leccava e assaporava, sembrava avesse capito che non godo quando squirto e che avesse intenzione di farmi godere con la sua lingua, tra le sue labbra.
Gli accarezzai la testa e lo lasciai libero di fare... sapevo che lo avrebbe trovato il punto che mi piaceva, lo sentivo.
Dovevo solo lasciarlo... fare... ipnotizzarmi sul ritmo che stava usando... oddio... si...
Strinsi i muscoli più che potei. Si... si....
“non fermarti.........”
Tremai: l'ultimo tocco e mi ero persa, lui mi tenne stretta continuando a leccare, facendo forza contro di me, fuori controllo che mi contorcevo, ansimando, urlando.
Non so stare zitta quando godo. Non so star ferma... sarei capace di stritolare fra le cosce la sua testa fino alla fine degli spasmi... per poi spingerla via e restare per diversi minuti sdraiata, senza coscienza.
Mi lasciò andare e rotolai su me stessa, affondando il viso sul letto.
Fu così che mi prese, non avevo difese. Mi scivolò dentro senza sforzo, facendosi spazio tra le gambe.
Si sdraiò sulla mia schiena, baciandomi e accarezzandomi mentre mi penetrava.
“non hai finto... stavolta...” sussurrò “non ne avevi bisogno...”
Accelerò il ritmo. Quel suo parlarmi piano nelle orecchie, devastante: lo sentivo su di me... dentro di me... e colavo liquido, più stringevo i muscoli e più colavo liquido.
Qualsiasi cosa mi sussurrasse era elettrica.
Sarei venuta ancora se mi fossi toccata, ma stavolta potevo farne a meno, volevo sentire il suo orgasmo addosso, anche tra le cosce.
Lo sentii sollevarsi e inginocchiarsi sul mio sedere: in un momento la mia schiena fu raggiunta dai suoi schizzi di sperma, potevo sentirlo gemere. I brividi mi percorsero la spina dorsale... ed erano i brividi più belli del mondo.
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nelmondodianna · 4 years
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wow, non mi immagino saresti arrivato così lentamente
ma nemmeno in questo modo
invece eccoti qua
sei arrivato gelato come la neve
stasera hai gelato anche il mio cuore
sapevo che prima o poi
sarebbe spettato anche a te
ma non con il nostro periodo,
quello che aspettiamo da tutto l’anno:
l’arrivo della neve.
Sentivo che stavi per raggiungermi
non so come ne ero così certa
però lo capivo dal cielo ma
non credevo facessi così male.
Questa sera la neve è scesa sul giardino
anche sul viale davanti a casa
io lì non l’avevo ancora mai vista
perché la mattina con la pala di nonno tu la toglievi prima che chiunque si svegliasse e potesse ammirarla nella sua bellezza
tu sapevi quanto lo odiavo
ma quanto mi arrabbiavo
mi sembrava stessi cercando di rovinare la magia della candida neve ma non mi accorgevo che in realtà la magia stava proprio lì, in te e in quello che facevi
le corse nei campi con Spillo erano magia,
erano magia le battaglie di palle di neve.
La mitica e odiosa neve nella schiena;
mi sono accorta che stavi crescendo quando da un anno all’altro ero io quella che finiva con la faccia a terra e tu quello imponente che era seduto sopra.
Adesso andare sui pattini da ghiaccio non sarà più lo stesso
chi mi chiede di insegnarli a frenare?
chi mi sfida nelle gare di velocità?
e le gare sulle palette?
con chi mi schianto scendendo con il bob?
con chi mi rotolo giù dalla discesa innevata di Chiotti?
come fa il balcone di Chiotti senza i nostri tuffi nella neve?
chi mi trascina con la bicicletta mentre decido di schiantarmi con i roller?
con chi faccio surf nei fiumi?
con chi provo gli sci sul tappeto?
con chi guardo “mamma ho perso l’aereo”?
chi fa con me la lotta?
come posso usare la mia vespa senza di te che ti diverti da matti nonostante io non sappia guidare?
con chi litigo sul come fare il presepe?
a chi dico di andarsi a cambiare perché è troppo bello per uscire vestito cosi?
chi rovina i miei pupazzi di neve?
chi mi aiuterà a costruire gli igloo?
mi mancherà svegliarmi alle 7:00 la mattina di natale
venire da te per prima,
tu eri già sveglio e aspettavi solo me
correvamo giú dalle scale
era il nostro momento preferito
era il momento più magico che esistesse
avevi quel sorriso che ora mi manca come nient’altro
guardo dalla finestra e per fortuna non posso cancellare i ricordi
ti vedo scorrazzare per il giardino
avanti e indietro
in quarantena eri riuscito persino a farmi mettere il tuo toni rosso e grigio
e davvero in poche occasioni ti ho visto così fiero di me.
Mi mancano le maschere di bellezza che ti obbligavo a fare prima di andare a nanna
e che tu odiavi da impazzire,
mi manca la tua pizza del sabato sera,
mi mancano i documentari sui “50 animali più pericolosi al mondo” che non siamo mai riusciti a finire,
mi mancano le tue grida miste risate che risuonano in tutta la casa e sento ancora il tuo continuo fischiare,
mi manca criticare il tuo barbaro modo di vestire,
mi manca sentirti ammirare gli uccelli di cui sapevi qualsiasi cosa,
mi manca la tua conoscenza della natura che rendeva speciale ogni posto in cui ci ritrovavamo insieme,
mi manca saltarti addosso e non volermi più staccare,
mi mancano i mille baci la mattina di natale,
mi manca soccorrerti almeno una volta al mese perché sei riuscito a tagliarti o bucarti da qualche parte,
mi mancano le tue fisse mensili a partire dai bastoncini di incenso fino al vapore per l’ambiente,
mi manca vedere i tuoi disegni stupendi,
il tuo piemontese assillante seguito dal mio lamentarsi fastidioso,
i tuoi abbracci che come una stupida ogni tanto ho anche rifiutato,
non ho altro da aggiungere perché tanto tu lo sai, mi manca tutto.
Stasera la neve scende
scende lenta come le mie lacrime
che non saranno comunque mai troppe,
ho già i segni sul viso
sulle braccia
sul cuore
mi manca il respiro
quest’anno tutta la magia che la neve ci portava, a me porterà solo dolore.
Non so chi ha studiato la mia sofferenza nei minimi dettagli ma devo dire che non ne ha sbagliata una, devo complimentarmi!
Non so chi ha deciso di rovinare tutto ciò che mi rendeva speciale, che mi faceva sentire ancora un po’ peter pan.
Non so chi ha deciso di trasformare i candidi fiocchi di neve in taglienti lacrime di ghiaccio che scendono lente intagliando il mio volto il più profondo possibile.
Non so chi ha deciso di portarsi via tutte quelle persone che avevano visto in me quel qualcosa in più.
Lui ha sempre visto in me quel qualcosa in più e me lo ha sempre dimostrato.
sai piccolo Sam, avevo paura di dimenticare cosa siamo stati insieme.
Avevo paura di dimenticare le cose fatte insieme, le pazzie e i mille pericoli scampati.
stanotte vorrei poterle dimenticare perché sono arrivate tutte insieme e nonostante io non voglia smettere di ricordare,
questa notte è ghiacciata
questa notte è buia e tenebrosa
questa notte fa paura
ma non mi spaventa tanto
quanto il pensiero che,
adesso che ci sei anche tu,
sarà la prima di una lunghissima serie.
Questo natale sarà tenebra,
questo si che mi spaventa.
Quel giorno sarà il contrario di magia,
il contrario di amore,
il contrario di speciale,
il contrario di sorriso,
il contrario di emozione,
il contrario di regalo,
il contrario di bellezza
il contrario di come voi avreste potuto renderlo solo stando qui, accanto a me.
Sognavo il Natale di quest’anno, tutto finalmente era in ordine e non desideravo altro.
La mattina di natale sarei uscita pian piano dal mio letto cercando di non svegliare chi avrei voluto che quella notte fosse stato accanto a me,
ti sarei saltata addosso,
ti avrei riempito di baci
tu poi saresti corso nella mia stanza e avresti svegliato lui
saremmo poi scesi, con le nostre calze natalizie nei piedi, per la colazione
Mattia si sarebbe svegliato per il troppo casino e sarebbe sceso di sotto con la sua solita faccia imbronciata (tanto Sam noi lo sappiamo che sotto quella barba nascondeva il sorriso più bello del mondo).
Avremmo aperto i regali tutti insieme davanti al caminetto acceso e l’albero illuminato.
Questo era il mio sogno.
Sai ti invidio, passerai il natale con la persona che ho sempre sognato di avere al mio fianco durante tutti i natali della mia vita.
Sarebbe stato il mio sogno e ora non posso nemmeno vedere i vostri sorrisi da qui, promettetemi che per le feste un po’ mi penserete e che vi divertirete anche se so che senza di me che vi rompo le palle é un po’ difficile.
Fino a quattro mesi fa chiedevo solo questo,
chiedevo di passare il natale circondata da quelle poche persone che mi hanno reso speciale, mi hanno fatta sentire amata e mi hanno apprezzata nonostante le miei stranezze e i miei mille difetti.
Ora ho bisogno di un miracolo di natale per sollevarmi, ma so che se arriverà non sarà tanto di natale e non sarà nemmeno un miracolo.
Mi manchi piccolo, in questa notte fredda ancor di più.
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gloriabourne · 5 years
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The one with the summer holidays
Ermal aveva riflettuto parecchio prima di accettare quella proposta che Fabrizio aveva avanzato una sera, quasi scherzando, mentre finivano la bottiglia di vino che avevano aperto a cena.
Aveva riflettuto parecchio perché, per quanto desiderasse accettare, doveva mettere per un attimo da parte l'entusiasmo e ragionare con lucidità.
In fondo, Fabrizio non gli aveva chiesto di passare una giornata a casa sua o di lavorare insieme a una nuova canzone.
Gli aveva proposto di passare l'intera estate insieme. Al mare. Con i suoi figli.
Ed Ermal non era sicuro di come avrebbe dovuto rispondere a una cosa del genere, perché in realtà nemmeno si aspettava che la loro relazione fosse già al punto in cui si fanno le vacanze insieme con i figli al seguito.
Stavano insieme da parecchio tempo, questo era vero, ma la maggior parte di quel tempo l'avevano trascorso separati per cause di forza maggiore quindi Ermal si sentiva sempre un po' come se la loro relazione fosse ancora all'inizio.
Quindi, quando Fabrizio gli aveva chiesto di passare l'estate con lui, Ermal era rimasto in silenzio, poi aveva detto di doverci riflettere e, solo dopo un attento esame dei pro e dei contro di quella situazione, aveva accettato.
E così, quella mattina di inizio agosto, Ermal si ritrovò a respirare l'odore del mare che entrava dalla finestra, mentre Fabrizio al suo fianco dormiva ancora profondamente.
Avevano affittato una casa in Sardegna, in un piccolo paesino sul mare che sembrava un angolo di paradiso, visto quante poche persone si aggiravano per le vie.
Erano arrivati lì qualche giorno prima - Ermal e Fabrizio carichi di bagagli, mentre Libero e Anita si erano trascinati dietro un materassino gonfiabile e una borsa piena di giochi da spiaggia - e avevano subito capito che tornare a casa dopo quella vacanza sarebbe stata una delle cose più difficili della loro vita.
C'era tutto ciò di cui avevano bisogno: la possibilità di divertirsi, di rilassarsi e soprattutto di farlo insieme.
Ermal chiuse gli occhi per un attimo, riempiendosi i polmoni del profumo di salsedine che arrivava dalla finestra aperta, poi si voltò verso Fabrizio e lo osservò per un attimo mentre dormiva accanto a lui.
Sembrava molto più giovane della sua età e, nonostante qualche capello grigio, aveva l'espressione di un ragazzino dipinta su volto.
Aveva quella luce addosso che di solito hanno gli adolescenti, quando credono di poter conquistare il mondo e di poter realizzare tutti i loro sogni.
Poi crescendo, quella luce di solito tende a spegnersi. Si arriva a un punto in cui si capisce che non si può vivere di sogni e non si può conquistare il mondo, si inizia a costruire una realtà in cui per sognare non c'è più spazio.
Ma Fabrizio i suoi sogni li aveva realizzati tutti e quindi quella luce non si era mai spenta.
Lo osservò per un po', rendendosi conto che lo avrebbe potuto osservare anche per tutta la vita perché non c'era niente di più bello che guardare il suo fidanzato dormire accanto a lui.
Lanciò un'occhiata all'orologio appeso alla parete, constatando che probabilmente i bambini erano già svegli. Si alzò dal letto cercando di non fare troppo rumore e uscì dalla stanza.
Come immaginava, Libero e Anita erano seduti sul divano del soggiorno e stavano guardando i cartoni animati.
"Ehi, siete svegli da tanto?" chiese Ermal, preoccupato che i bambini stessero aspettando che qualcuno preparasse la colazione mentre lui e Fabrizio avevano continuato a dormire.
Libero scosse la testa. "Non molto."
"Potevate svegliarci" rispose Ermal entrando in cucina.
Anita balzò giù dal divano e corse verso di lui. "Io volevo, ma Libero mi ha detto di non farlo. Dice che non è educato disturbare qualcuno che dorme."
Ermal sorrise mentre si abbassava leggermente e prendeva Anita in braccio. Le lasciò un bacio sulla punta del naso e disse: "Tuo fratello ha ragione, ma con noi è diverso. Potete svegliarci quando volete."
Libero osservò la scena mentre si sedeva a tavola, con un'espressione quasi disgustata sul volto.
Appena Ermal se ne accorse, rimise a terra Anita e si avvicinò a Libero dicendo: "Che c'è? Sei geloso? Vuoi anche tu un bacio del buongiorno?"
"No, ti prego" rispose Libero ridendo mentre cercava di scappare via da Ermal, il quale sembrava intenzionato a riservargli lo stesso trattamento affettuoso che poco prima aveva riservato ad Anita.
La bambina scoppiò a ridere vedendo Ermal e Libero rincorrersi in mezzo alla cucina, e continuò a ridere ancora più forte quando vide suo padre che, appoggiato allo stipite della porta e con le braccia conserte, osservava la scena divertito.
"Che sta succedendo?" chiese Fabrizio avvicinandosi alla figlia e lasciandole un bacio sulla fronte.
"Ermal mi ha dato un bacio del buongiorno e ora vuole darlo anche a Libero, ma lui non vuole" spiegò Anita.
"Ah, sì? Ermal sta dando baci del buongiorno a tutti, a quanto pare. E a me invece no" disse Fabrizio con un sorrisetto malizioso stampato in faccia.
Ermal spostò lo sguardo arrossendo vistosamente.
Nonostante i bambini ormai sapessero della loro relazione - Anita una volta aveva chiesto se Ermal sarebbe diventato un sostituto della sua mamma, qualcuno che aiutava il suo papà a fare le faccende di casa e che gli rimboccava le coperte prima di andare a dormire -, Ermal non si era mai permesso di baciare Fabrizio davanti a loro.
Sapeva che entrambi avevano sofferto per la separazione dei genitori e lui voleva cercare di mettersi in mezzo il meno possibile.
Il solo fatto di aver accettato di andare in vacanza insieme a loro, era un grande passo avanti.
Anita si voltò verso Ermal in attesa e, quando vide che lui non accennava a muoversi, guardò suo padre e disse: "Mi sa che non vuole dartelo."
"E che problema c'è? Glielo do io" disse Fabrizio con naturalezza, avvicinandosi a Ermal.
Ermal spalancò gli occhi e, appena Fabrizio fu abbastanza vicino, sussurrò: "Bizio, dai, ci sono i bambini..."
"E quindi? Sono sopravvissuti alla morte della mamma di Bambi, non credo che un bacio li traumatizzerà" rispose Fabrizio sorridendo.
Ermal non ebbe il tempo di replicare. Un attimo dopo, si ritrovò le labbra di Fabrizio premute sulle sue.
"Buongiorno" mormorò Fabrizio allontanandosi leggermente, ma tenendo ancora lo sguardo fisso sulle labbra del compagno.
Ermal deglutì a vuoto.
Era incredibile come anche solo un semplice bacio a stampo, se era Fabrizio a darglielo, riuscisse a fargli mancare il respiro.
"Allora, che volete fare oggi?" chiese Fabrizio sedendosi a tavola e rivolgendo l'attenzione ai suoi figli.
I bambini iniziarono a parlare, proponendo attività da fare insieme e dimostrando che quel bacio non aveva avuto nessun effetto su di loro.
Ermal si rilassò, rendendosi conto solo in quel momento di quanto fosse teso, e sorrise.
Improvvisamente, si sentiva davvero parte di quella famiglia.
  "Continua pure a dire quello che vuoi, ma io e Libero vi abbiamo stracciato!" disse Ermal mentre se ne stava sdraiato sul letto e con lo sguardo fisso sul cellulare.
Quel giorno, dopo essere stati in spiaggia, avevano improvvisato una partita a calcio nel piccolo giardino della villetta che Fabrizio aveva affittato per quelle vacanze.
Ermal e Libero contro Fabrizio e Anita. E ovviamente Ermal e Fabrizio, da bravi bambini quali erano, a un certo punto avevano perso il conto dei punti ma entrambi continuavano a sostenere di avere vinto.
"Certo, ti piacerebbe" disse Fabrizio divertito sdraiandosi accanto a lui.
Ermal abbandonò il cellulare sul comodino e poi si rotolò su un fianco, trovandosi faccia a faccia con Fabrizio. Lo osservò per qualche secondo, innamorandosi sempre di più - ammesso che fosse possibile - di ogni più piccolo dettaglio del suo viso: le lentiggini sparse sulle sue guance, le ciglia lunghe, il naso perfetto, gli occhi che sembravano capaci di leggergli l'anima.
"Per questa volta, facciamo che hai ragione tu. Ma domani voglio la rivincita."
Fabrizio sorrise. "E va bene. Domani avrai la rivincita."
Poi attirò Ermal a sé, facendogli posare la testa sul suo petto.
Ermal chiuse gli occhi, mentre circondava i fianchi di Fabrizio con un braccio. Stava per addormentarsi quando sentì il compagno fare il suo nome.
Riaprì gli occhi lentamente e sollevò lo sguardo verso di lui, in attesa che continuasse.
"Volevo solo dirti che sono contento che tu sia qui."
Ermal sorrise. "Anch'io, Bizio."
"C'è un motivo se ho deciso di non prendermi impegni quest'estate, di lasciar passare così tanto tempo tra l'uscita dell'album e l'inizio del tour. Non è solo per poter passare più tempo con i bambini" confessò Fabrizio.
Ermal si sfregò gli occhi assonnati, poi si sollevò leggermente puntellandosi su un gomito. "Che vuoi dire?"
"L'ho fatto anche per te. Per noi."
Ermal continuò a fissarlo, senza capire fino in fondo il senso di quel discorso.
"Abbiamo sempre fatto fatica a incastrare i nostri impegni, a trovare del tempo per vederci con tutte le cose che c'erano di mezzo. Quando mi hai parlato di volerti prendere una pausa, ho pensato che forse avrei potuto farlo anch'io. Certo, non una pausa di un anno e mezzo come la tua, ma sapevo che qualche mese per stare con te mi avrebbe fatto solo bene" spiegò Fabrizio.
Ermal si morse il labbro inferiore guardandolo con gli occhi lucidi.
Nessuno aveva mai messo in pausa un momento importante della sua vita - come lo era stato il lancio del nuovo disco per Fabrizio - solo per lui.
Ed Ermal si sentiva così piccolo e insignificante di fronte a quel gesto, che invece rendeva Fabrizio un supereroe ai suoi occhi.
"Credevo lo avessi fatto per i bambini" rispose Ermal. La voce gli uscì più spezzata di quanto avrebbe creduto.
Fabrizio sorrise, accarezzandogli dolcemente una guancia e asciugando una lacrima che era scesa dai suoi occhi lucidi, e disse: "L'ho fatto anche per loro. Ma in realtà, l'ho fatto più che altro per me. Non potevo sopportare altro tempo lontano da loro e lontano da te, e sarebbe successo se avessi deciso di fare il tour in estate."
Ermal aggrottò la fronte. "Quando hai annunciato le date del tour, la mia pausa non era ancora stata decisa."
"Non definitivamente, ma me ne avevi parlato. Diciamo che ho sperato che non avresti cambiato idea. E poi mi sono detto che anche se lo avessi fatto, anche se alla fine avresti passato l'estate tra mille impegni, magari avrei potuto seguirti. Avrei comunque trovato il modo di stare con te" disse Fabrizio.
Stare con Ermal era una delle cose più belle e una delle più difficili che Fabrizio avesse mai fatto in vita sua.
Era qualcosa che gli faceva esplodere il cuore di gioia e, allo stesso tempo, glielo stritolava in una morsa ogni volta che stavano lontani per troppo tempo.
Prendersi qualche mese di pausa tra l'uscita del disco e il tour, era stata solo la decisione più ovvia per riuscire a conciliare ogni aspetto della sua vita.
In quel modo, era riuscito a ritagliarsi del tempo con i suoi figli, era riuscito a dedicare ai suoi bambini tutte le attenzioni di cui avevano bisogno. Ed era riuscito finalmente a trovare il tempo anche per Ermal, per vivere la loro relazione in modo più sereno e tranquillo.
E alla fine, era riuscito anche a gestire le due cose insieme, organizzando una vacanza che comprendesse tutto ciò che lui considerava famiglia.
"Vorrei ringraziarti, ma credo che un grazie non sia abbastanza" disse Ermal.
"E dove sta scritto che mi devi ringraziare a parole?" disse Fabrizio sorridendo malizioso, prima di attirare Ermal a sé e baciarlo.
Ermal sorrise sulle sue labbra.
Quella pausa stava decisamente dando i suoi frutti e, per quanto iniziasse a sentire la mancanza del palco, Fabrizio rendeva tutto più semplice.
Fabrizio rendeva qualsiasi cosa più semplice.
E lui, che si era sempre sentito un'anima complicata, non poteva che sorridere e ringraziarlo.
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abovethelines · 6 years
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Questa va a te amoremio. Si, tutto attaccato, come diceva Jovanotti. Sai, questo periodo mi ritrovo molto nelle sue canzoni, mi ritrovo in quei versi pieni d’amore. Non sono mai stata brava ad esprimerlo, l’amore, sono sempre stata coperta dalla paura e dall’orgoglio. Dalla paura perché ho sofferto tanto e anche se ora non soffro più, son rimaste le cicatrici sul mio cuore. Quindi forse non sarò la ragazza più romantica del secolo, ma una cosa posso dirtela. La notte del tuo compleanno vidi una stella cadente. Avevi dato una festa a casa tua, ancora non stavamo insieme. Ero scesa giù in giardino e mi sedetti sull’altalena. Ho espresso un desiderio. Sai cos’ho desiderato? Che sarebbe andata bene, per una volta. Ho desiderato che quello che sarebbe successo in seguito sarebbe stato quello che doveva succedere, chiamalo destino se ti va. Beh, quel desiderio si è avverato. Mi sveglio la mattina con il tuo pensiero già addosso, ti scrivo il buongiorno. La sera prima di andare a dormire, indosso la tua collana, quella che mettevi sempre. Mi fa sentire più vicina a te. Mi scrivi la buonanotte e mi addormento. Ti sento vicino, vorrei che fossi lì con me. Ormai tutto è finalizzato a te. E so bene che non bisognerebbe vivere per una persona sola. Ma tu non sei una persona qualunque, tu sei l’amore della mia vita.
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aniadarkred86 · 6 years
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Tornare a casa
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Fa freddo. Di quello che ti entra nelle ossa. Continua a camminare, gli piace, nonostante il clima e i brividi che lo scuotono fino alla punta dei piedi. Si stringe nel cappotto, tirando su il bavero almeno per provare a fermare quel vento gelido dietro la nuca. Manca ancora poco e poi sarà a casa, ad attenderlo un piacevole tepore e il sorriso di chi ha smesso finalmente di nascondersi. Labbra tutte per sé e per nessun altro. Labbra che ha salvato quando la neve era solo un ricordo, strappandolo da dita viola che si facevano via via più nere. Pochi passi ancora e dietro la curva lo attende casa, lo attende lui. È ancora presto per tornare fuori, lo sa, anche se ha provato a piccoli tratti, ogni giorno uno di più, ma il corpo è ancora debole e l’anima ancora a brandelli, come quei puzzle che tieni da così tanto tempo da esserti perso più di un pezzo, e puoi metterci tutta la volontà di cui disponi, ma rimarranno per sempre dei buchi, macchie nere sul tavolo che nessuno mai sarà in grado di chiudere. Lui è un po’ così, il suo grosso puzzle che con pazienza ha cercato di ricostruire, nel fisico e poi più dentro, ed ora lo aspetta a casa. È sicuro di trovarlo davanti al camino a leggere l’ennesimo libro – gli ha promesso di portargli alcuni volumi nascosti nella parte più profonda e vecchia del Ministero, alcuni tomi pesanti più del suo stesso corpo che, a detta sua, gli sono utili per una ricerca che gli frulla per la testa da parecchio come il più agitato dei Boccini –, probabilmente con una tazza di caffè in mano, nero e amaro come solo lui sa essere. La porta è a pochi passi, oltrepassa il piccolo cancello e si ferma per un attimo a guardarsi intorno, il giardino curato – dalle sue mani, ovvio, lui non sarebbe in grado neppure di badare alla più semplice delle piante – e il patio in ordine. La luce filtra dalle finestre e più in alto vede il comignolo fumare come il più incallito dei tabagisti. Sorride, per un attimo pensa al mago che è un po’ il suo segretario, quello che appena può corre da qualche parte ad accendersi una sigaretta, Nathan qualcosa, si dimentica sempre il suo cognome, forse perché all’uomo con cui divide la casa e la vita non è mai piaciuto. Non lo sa il motivo, si sono incontrati appena un paio di volte quando è venuto a portargli a casa alcuni documenti che doveva visionare con urgenza. Uno Stupido Vizio Babbano, lo chiama sempre, anche quando alla televisione vedono qualche programma, lui grugnisce e sputa quell’insulto, e il suo orgoglio tutto Grifondoro lo porta a voltarsi verso di lui, e a ricordargli tutto ciò che i maghi hanno compiuto di malvagio pur potendo far del bene con un solo colpo di bacchetta. Lui risponde sempre con un’alzata di spalle e torna poi al televisore. È sempre così tra di loro, quello strano rapporto costruito sui silenzi e piccoli gesti, emozioni da scoprire dietro agli sguardi, in quegli occhi che per anni si sono soltanto odiati, respinti e nulla più; e continuano ad essere silenzio e piccoli movimenti, strane crepe che non riescono a colmarsi. La maniglia è fredda, la temperatura è scesa così tanto in quelle ore che gli sembra di toccare un pezzo di ghiaccio, un piccolo iceberg tra le dita che gli squassa la pelle e la carne fin dentro all’animo stesso. Si è di nuovo dimenticato i guanti a casa, lo sa e sa che lo sgriderà di nuovo per la sua sbadataggine e per quanto poco si curi di se stesso, ma non lo fa apposta, anche se, inconsciamente, adora quella sua preoccupazione negli occhi, in quei frutti neri che scintillano quando corre arrabbiato verso di lui e gli afferra le mani per scaldargliele. Un gesto che ama, che sa di vita e di tenerezza. Basterebbe un incantesimo, ma non avrebbe lo stesso calore, la stessa dolcezza di dita che s’incastrano in altre dita. Stringe entrambe le mani alla maniglia gelida per renderle ancora più fredde e sorride sfacciatamente per quello stratagemma: quella sera lo cingerà ancora più a lungo e non potrà che esserne felice, tanto da fargli accelerare il cuore. «Sono tornato!» La porta si apre e il caldo lo colpisce in faccia come uno schiaffo, un colpo piacevole. Lo sente lamentarsi, ma sa che in fondo è contento di averlo tra i piedi, come dice lui, anche se è un po’ il contrario visto che la casa è la sua, ma quella correzione se la tiene per sé perché ama averlo tra i piedi. Tra le mani e tra il gelo dei suoi dolori. Avverte i suoi passi farsi più vicini, conta i secondi che lo separano da lui, come sempre quando entra a casa, il tempo che impiega a percorrere quel misero spazio che li divide, quel vuoto tra i loro corpi che vorrebbe non ci fosse mai. «Ti sei di nuovo dimenticato i guanti» alza un sopracciglio mentre lo fissa, spazientito e irritato, nemmeno fosse ancora un ragazzino nella sua aula, ma la risposta che da è solo un’alzata di spalle, come quella che spesso fa l’uomo che gli è davanti con quell’espressione che ama e che vorrebbe vedere ogni giorno, uno dopo l’altro fino alla fine della propria esistenza. «Non cambierai mai, vero?» «Perché dovrei cambiare?» «Perché io ad un certo punto non ci sarò più.» Sempre la stessa storia, le stesse parole che a lui non va di sentire, che non vuole ascoltare neppure per un tempo infinitesimale. Stanno bene insieme, lì, nella loro casa, perché devono lasciarsi? Perché buttare tutto all’aria per delle parole? Parole, vocaboli, sillabe, era tutto lì, il problema stava sempre nelle consonanti, i guai nelle vocali, erano loro a creare nient’altro che casini, perché dargli tutto quel potere? Silenzio e mani gelide da riscaldare, non poteva bastare quello? Non poteva essere sufficiente loro due e nessun altro? «So che non vuoi sentirle queste parole, non sei mai stato uno che ascolta, ma prima o poi dovrai conviverci con queste frasi, e sarà meglio per te che lo faccia prima di essere troppo tardi.» «Perché vuoi lasciarmi? Non stai bene con me?» «Lo sai che non è per questo.» «E allora cosa?» «Perché devo.» Se ne torna in cucina, lasciandolo solo, e per un attimo tutto il gelo che ha lasciato fuori dalla porta, lo colpisce in pieno, avvolgendolo come un abbraccio, come un amante frettoloso che pensa a null’altro che al proprio piacere. E quel gelo, nemmeno le fiamme calde e alte del camino potrebbero sconfiggerlo. La riunione col Primo Ministro Babbano lo aveva stancato più di quanto si sarebbe immaginato. Era un ometto fastidioso e arrogante con due occhietti che si vedevano a malapena, guizzanti in modo febbrile da una parte all’altra come se si aspettasse qualcosa da un momento all’altro, cosa, Harry non lo aveva mai compreso. Essere il Ministro della Magia si era rivelata un’immane seccatura, pile di scartoffie e nulla più, mentre lui voleva andare da una parte all’altra del mondo con la bacchetta in mano, sentire l’azione scorrergli nelle vene e quel senso di appagamento che si ha soltanto quando si compie qualcosa di buono. E voleva andarci con Severus. Sbuffò piuttosto sonoramente, senza provare a nascondere tutto il disagio che stava provando in quel momento. «Ti sto annoiando?» «No, scusa, sono solo stanco, è da questa mattina presto che tengo un incontro dopo l’altro,» mentì, si stava annoiando sul serio, ma non poteva confessarlo alla sua amica perché di sicuro lo avrebbe affatturato nonostante la carica che aveva, anzi, a maggior ragione, rifletté, soprattutto considerando da quanti anni la salvaguardia degli elfi domestici le stava a cuore. Hermione poggiò le pergamene sulla poltrona vuota accanto a lei, avvicinò un po’ la sua per guardarlo e parlargli meglio: «Quant’è che non dormi?» la sua voce tradiva un filo di preoccupazione. Aveva messo da parte per un attimo l’avvocato per essere di nuovo la sua amica di sempre, la compagna di tante avventure. La persona che più di tutti conosceva i suoi dolori e le sue paure. «Un po’, ma sono sempre così sommerso dal lavoro, non c’è un minuto che passa in cui non ricevo gufi, lettere, promemoria, reclami, denunce, avvistamenti, e Godric solo sa quanto vorrei stare in mezzo a qualche foresta a dare la caccia a qualche mago oscuro scampato alla guerra, ai criminali. E invece sono chiuso qui ad ammuffire, sento persino le ossa coprirsi di muffa giorno dopo giorno.» «Prenditi una pausa o esploderai.» Ma lui stava già esplodendo, e voleva soltanto andarsene a casa e stare tutto il giorno e tutta la notte con Severus a tenergli le mani, stringerle nelle sue, a scaldarlo e basta,fare l’amore senza mai stancarsi – come poteva dimenticare l’odore del suo corpo, di quella lieve traccia di sudore che lo copriva dopo l'amplesso, era un promemoria che si portava dietro per riscaldarsi, quando l’umore precipitava a livelli critici –, mentre altrove non faceva altro che sentirsi tutto l’inverno addosso, persino quand’era estate. «E poi perché in questo dannato ufficio si gela?» aggiunse veloce, guardandosi intorno, come se si fosse accorta soltanto in quel momento che non c’era nulla a riscaldare l’ambiente, il camino tristemente – per lei, per l’espressione che aveva in volto – spento mentre fuori la neve continuava a cadere e a formare mulinelli. Estrasse la bacchetta dal mantello che non si era neppure tolta e la puntò verso la pietra vuota che tempo prima aveva accolto legna e cenere, calore e pace, ma era stato tutto spazzato via, pulito come si pulisce un pavimento sporco, e il grido che gli proruppe dalla gola le gelò ulteriormente il sangue. Un no che veniva dallo stomaco e dal cuore. «Prenderai un malanno se non riscaldi un po’ qui dentro.» Voglio tornare a casa gelido, farmi avvolgere da nient’altro che il freddo, perché lui mi aspetta, il suo mantello pronto per le mie spalle, e il suo profumo a cullarmi i sogni. Questo, però, Harry non glielo disse, non poteva, non poteva svelare a nessuno il loro segreto. A nessuno. «Mi aiuta a concentrarmi,» mentì di nuovo. «Col caldo mi viene sonno e non posso permettermi di cedere alla stanchezza.» Era diventato terribilmente bravo a fingere, sarebbe stato fiero di lui se lo avesse visto. Quel pensiero lo fece sorridere, e il desiderio di tornare a casa crebbe ancora. «Torniamo alla tua proposta,» la esortò alla fine, cercando di riportare la conversazione su binari più accettabili, soprattutto dalla propria anima e dal proprio cuore. Hermione finì di spiegargli tutto, anzi, ricominciò da capo perché aveva capito perfettamente che lui non aveva ascoltato neppure una parola, ma non si era fatta scoraggiare, aveva ripreso con ancora con più foga e per un po’ contagiò persino lui. Prese le pergamene e le promise che avrebbe istituito una commissione specifica il cui unico scopo era controllare lo stato di salute di quelle piccole creaturine e il trattamento loro riservato. A quelle parole entrambi si rilassarono un po’. «Come sta Ron? Non ci vediamo da un sacco.» Ron era un Auror, uno di quelli che spesso erano fuori dal Regno Unito, e lui lo invidiava da morire. Si morse un labbro per non lasciar trasparire quel turbamento che improvvisamente lo aveva colto. «Sta bene, mi ha scritto proprio ieri che la missione in Portogallo si è conclusa nel migliore dei modi e presto sarà a casa.» «Bene, mi fa piacere.» «Che ne dici se quando torna, vieni a cena da noi? Tutti e tre, come ai vecchi tempi.» Già, i vecchi tempi… che ne era rimasto? Si era tutto sgretolato come un castello di sabbia costruito male, quelli che lui non aveva mai fatto – se mai avesse avuto un figlio, si ripromise di passare le estati a modellarne uno dopo l’altro, gli sarebbe piaciuto andarci con Severus, costruire una famiglia con lui, ma l’estate era ancora lontana e lo sarebbe stata a lungo. «Certo,» mentì ancora una volta: non aveva alcuna intenzione di andarci, per lui i vecchi tempi non c’erano più, c’era solamente casa, il tepore della sala in cui si accoccolavano a guardare la televisione mentre Severus si lamentava quando gli poggiava la testa sulla spalla come due vecchi sposi, il caldo della camera da letto con le lenzuola che per lui sarebbero potute rimanere perennemente sfatte. Hermione è andata via, sono andati via tutti e lui vuole solo andarsene, sparire da lì prima che si presenti qualcos’altro, un problema dell’ultimo minuto che non ha alcuna intenzione di sbrigare né di dargli la minima attenzione. Stavolta si mette a correre, un piede dopo l’altro anche se il corpo non è più abituato e lo avverte con il fiato corto e il sudore che gli fa appiccicare i capelli alla fronte e alla nuca, e il freddo fa il resto, trasformando quelle piccole gocce calde in cristalli che gli agitano la pelle e la carne più sotto, un brivido a seguirne un altro. Rallenta, casa è ancora lontana, ma gli piace camminare tra le strade affollate che cominciano a riempirsi dei colori e degli odori del Natale. Lui lo aspetta e questo gli basta a cancellare tutto il resto. Non è ancora riuscito a prendergli quei volumi che attende da giorni, se ne duole, ma vuole farlo di persona senza delegare qualcun altro, vuole toccarli e lasciare poi una parte di sé per farla afferrare solo e soltanto da Severus. Guarda la vetrina di un negozio e sorride, è un piccolo gesto, vuole fargli un regalo per ringraziarlo e per farsi perdonare di quella mancanza, soprattutto per quello, lo sa, e lo capirà anche il mago, lo ha sempre capito, gli ha sempre letto dentro, mentre lui per anni non ha voluto conoscere niente dietro quegli occhi neri, quello sguardo scolpito soltanto dal dolore. Gli piacerà, si dice, o almeno lo spera, è sempre imprevedibile e non è uno che ama i regali, questo lo ha capito tempo fa, suo malgrado; non li ama perché non pensa di meritarli, di non meritare niente in questa vita. Domani, costi quel che costi, andrò a prendere quei libri, lo giura a se stesso e poi apre la porta. Quando esce, è soddisfatto, del contenuto, del pacchetto e persino di ciò che ha scritto nel biglietto che gentilmente si è fatto dare. Casa, ora, è più vicina, la vede come sempre spuntare dietro la curva, il comignolo avvolto da nebbia bianca e grigia che a tratti si fa più scura, il prato curato e i fiori che cercano con forza di resistere al gelo che cala ogni notte come la scure di un boia, affilata e lucente. Mani di nuovo gelide abbassano la maniglia prima di entrare e venire ancora una volta colpiti dal calore dell’interno, quel leggero odore di fumo che se ne scappa verso il cielo. «Sono tornato!» Il suo è un po’ un mantra, gli piace pronunciare quelle due parole, non lo sa perché, non se l’è mai chiesto, aspetta soltanto i passi che vengono dopo. È una costante, quella, potrebbe regolarci un orologio, uno due tre, un secondo due e poi tre, e alla fine spunta dal corridoio e lo fissa mentre si toglie il cappotto e lo getta distratto su di una poltrona senza centrarla, facendolo puntualmente finire a terra. Severus lo guarda irritato e si avvicina per raccoglierlo: «Non sono la tua domestica. Impara un po’ di ordine, Harry Potter, perché io, ad un certo punto, non ci sarò più.» Ancora quelle parole a martellargli la testa, a pugnalarlo a ripetizione, una sillaba e la lama s’infila nella spalla, una consonante e giù nel braccio, una pausa e la gamba si squarcia, sfiorando appena l’arteria femorale. Il sangue, però, non fuoriesce, se ne va soltanto la vita. Ah, voler la morte, abbraccio di puttana, a farti soffocare da un corpo un piacere che non c’è, esce e basta, ma sei soltanto un cadavere che aspetta, involucro vuoto fino alla decomposizione. «Perché allora non te ne vai e basta?» sbotta all’improvviso, gettandosi a terra, appesantito da tutto quel dolore, da quella consapevolezza che non fa altro che procurargli sofferenza. «Perché sei tu a non lasciarmi andare.» Sparisce e basta, lasciando tutto in silenzio, anche il fuoco sembra muto e persino i suoi singhiozzi non hanno voce, lacrime e basta che gli confondono pure il legno a terra. Un ghirigoro, una macchia, c’è sempre stato?, si chiede. Anche quello? Lo sguardo convulso su ogni angolo della stanza, a terra, il soffitto, ogni lato, ogni fotografia appesa al muro, a quei quadri che nemmeno gli piacciono, ma glieli hanno regalati e non vuole far rimanere male nessuno. Si alza da terra, cercando di recuperare almeno un po’ della dignità caduta tra le assi, e se ne va per un attimo al bagno, non per reale bisogno, vuole solo guardarsi allo specchio, quel volto che non sa più a chi appartiene, se è il suo o quello di un altro a cui ha rubato il corpo. L’acqua scorre, gli piace il suono quando tocca la ceramica, è gelida, ma in quel momento niente è più freddo del proprio cuore, di quell’anima strappata a morsi che continua a portarsi dietro come un cancro ingombrante e velenoso. La tocca per un attimo e una scarica gli attraversa il corpo, la sfiora anche con l’altra mano mentre il volto è fisso allo specchio, alle occhiaie che lo fanno sembrare quell’animale di cui non ricorda il nome. Si chiama panda, ignorante, sei diventato Ministro per sbaglio? Se lo immagina dietro di sé a dirgli quelle parole, a sorridere, ma lui, quell’incarico, si sente davvero di averlo ottenuto per sbaglio, o meglio, solo per nome, pur non avendone alcuna capacità. «Panda, giusto…» Torna in salone, il fuoco ancora crepita, anzi, è più forte, segno che ha aggiunto legna di recente. Lo trova sul divano, ad aspettarlo, Severus lo guarda piegando appena la testa, con una strana espressione, forse anche lui si è accorto del panda. Sorride e si siede accanto a lui. «Hermione mi ha invitato a cena quando torna Ron. Verresti anche tu?» «Lo sai che non posso venire.» «Perché?» «Non chiederlo.» «Ma…» si alza dal divano e si allontana ancora una volta, forse va in cucina a prendersi dell’altro caffè, magari bollente, vorrebbe chiedergliene un po’ per togliersi quel nuovo gelo sceso sul proprio corpo, ma non ne ha il coraggio, aspetta solo che ritorni di fianco a lui ad occupare quel posto in cui il calore sta svanendo. E lui non vuole che nulla svanisca. È di nuovo lì, due tazze tra le dita, bollenti, un piccolo rivolo di fumo che si muove da una parte all’altra e che gli ricorda sempre l’intro di Aladdin, l’unica parte del cartone che ricorda, l’unica che ha visto prima di essere sbattuto nuovamente nel ripostiglio per aver riprodotto senza volerlo quelle volute. Un arabesco che gli carezzava il palmo della mano. «Vediamo un film?» parla prima che possa dire altro, che possa pronunciare quelle parole che odia con tutto se stesso. Non le vuole sentire e basta, ma sa che alla fine dovrà farci i conti, solo che non è ancora il momento perché lui non è pronto, non è pronto a non vederlo più per casa, il suo ordine maniacale e il profumo che ha ormai invaso le pareti. Severus annuisce e si siede nuovamente accanto a lui e quel vuoto comincia di nuovo a riempirsi e scaldarsi, sorride perché è la sensazione più bella del mondo. Gli passa la tazza di caffè e Appella la cena che aveva preparato. «Cosa vuoi vedere?» Non sa come chiedergli di guardare un cartone Disney, si sente tremendamente in imbarazzo, così lascia che gli entri nella mente come già gli era entrato nel cuore anni prima. Alza perplesso entrambe le sopracciglia, anzi, giurerebbe di vedere sconcerto sul suo volto e a fatica trattiene una risata, freddata sul nascere da quello sguardo sempre più cupo, poi, però, scorge i suoi muscoli rilassarsi e i nervi sciogliersi e, stranamente, annuire a quella richiesta, piuttosto bizzarra a proprio dire. Armeggia qualche minuto con la tv mentre Severus rimane fermo a sorseggiare il caffè, sempre piuttosto disinteressato verso tutta quella tecnologia moderna Babbana. Prima di far partire il film, si blocca, come colpito da qualcosa, poi si volta a fissarlo: «Mi dimenticavo di darti una cosa!» e si alza, eccitato come un bambino davanti ad un negozio di giocattoli, e recupera il cappotto, fruga in una tasca ed estrae un piccolo pacco, di quelli che stanno facilmente in una mano. «Prometto che domani, cascasse il mondo, vado a prendere quei libri, ma intanto, per farmi perdonare, ti ho preso questo» e gli porge il regalo. Severus sembra perplesso e piuttosto a disagio come spesso gli capita quando riceve qualcosa, ma lo prende e lo osserva con gli occhi attenti di Pozionista, caratteristica che non ha mai abbandonato e che continua a piacergli tremendamente. «Cos’è?» «Aprilo!» «D’accordo, ma non agitarti o rischi di cadere per terra.» Scioglie il fiocco argentato con estrema lentezza e cura, poi strappa la carta, con più impeto, perché così si usa, no? Sembra chiedergli e lui muove la testa, in attesa. Apre la confezione. «Non sono tipo da collane.» «Lo so, ma volevo che avessi qualcosa che ti ricordasse per sempre me.» «Harry, io mi ricorderò per sempre di te-» Ma non lo fa continuare: «Come me che ti ho sempre accanto.» «Harry…» Una lacrima fugge al suo controllo e scappa sulla pelle, scappa alla gravità che la trascina comunque in basso e a quel freddo che gliela appiccica in faccia come un fiocco di neve, uno di quelli che fa male e taglia. E poi un’altra e una ancora. «Harry…» ripete. «Prima o poi dovrai lasciarmi andare.» La Sezione Proibita della Biblioteca di Hogwarts in confronto a quella era un bicchiere d’acqua che galleggiava in mezzo all’oceano, non faceva altro che guardare a destra e sinistra e ad aprire e chiudere la bocca meravigliato. «Ministro!» un mago sottile come una bacchetta gli si avvicinò a passo svelto, allegro, gentile, con un sorriso sempre aperto sulla bocca e occhi grandi e azzurri che per un attimo gli fecero tornare alla mente il vecchio Dumbledore. «Cosa posso fare per lei?» Non avrebbe voluto chiedere, ma trovare quei libri lì dentro era come cercare un ago in un pagliaio e la pazienza non era mai stata il suo forte, soprattutto con gli anni che passavano e le incombenze che aumentavano. «Sto cercando questi volumi, può aiutarmi, signor?» non conosceva il suo nome, ma non poteva di certo conoscere ogni impiegato di ogni anfratto del Ministero. «James. James Anderson, molto piacere!» e gli strinse la mano con vigore, troppo a suo modesto parere, ma non protestò, per un po’ si lasciò contagiare da tutto quell’entusiasmo. E pensò a suo padre di cui non ricordava nulla. Gli passò un foglio che lesse avidamente. «Bene, molto bene, se vuole aspettare qui, glieli porto subito.» «No!» si accorse di aver gridato disperato solo dopo e cercò di correggere il tiro. «No, cioè… le basta solo indicarmi dove sono, e vorrei prenderli da me.» Il mago sembrava un po’ dispiaciuto, ma era pur sempre una richiesta del Ministro della Magia, così acconsentì e prese la bacchetta: «Questo piccoletto l’accompagnerà, sarà come se fossi io, Ministro.» Dal legno era scaturita una luce viola che si era prima ammassata in una forma indefinita e poi, pian piano, aveva iniziato ad assumere contorni sempre più nitidi finché non divenne un piccolo falco che si posizionò sul braccio del suo padrone. «Lo segua» lo esortò dopo che il piccolo animale aveva spiccato il volo verso un corridoio davanti a sé. «Spero ti siano utili per la tua ricerca» aveva parlato a voce alta senza essersene neppure reso conto, il falco si fermò davanti ad un lungo e alto scaffale in legno scuro, ed emise un suono strano che non gli sembrava per niente il verso dell’animale. «Scusa, parlavo da solo.» Sbatté un paio di volte le ali e poi iniziò a picchiettare un volume. «È questo?» Lo prese e poi gli altri due, lo seguivano levitando alle sue spalle, protetti da un incantesimo: non voleva che nessuno li sfiorasse, neppure per sbaglio, quel tocco sarebbe stato loro e loro soltanto. Quando tornò in ufficio, le pergamene erano aumentate e un paio di gufi aspettavano sui loro trespoli, ed Hermione era di nuovo lì. «Avevamo un appuntamento?» domandò, andando a sedersi alla sua poltrona mentre i libri erano ancora a mezz’aria vicino a lui. «No, passavo di qui» guardò stranita e curiosa i volumi; stavolta era lei a mentire, Hermione Granger non passava mai per caso, e quello sguardo significava solo che aveva un motivo ben preciso. «Il camino è ancora spento,» ma si limitò ad alzare le spalle in risposta. «Faccio portare qualcosa di caldo?» «No, grazie.» «D’accordo, allora dimmi il vero motivo per cui sei qui.» «Harry, sei sempre più pallido, hai sempre più occhiaie.» Harry non voleva dormire, se lo avesse fatto, Severus avrebbe potuto lasciarlo lì e gli sarebbero rimaste soltanto orme nella neve mentre non desiderava altro che gli fosse accanto per sempre, una presenza fissa nella sua esistenza, uno squarcio di sole nero nella sua routine grigia. Non voleva accontentarsi di sogni lontani, fasulli, voleva guardarlo e basta, sentirlo mentre gli stringeva le mani per scaldargliele. «E non dirmi che sei solo stanco, lo so benissimo che hai.» No, non lo sa nessuno, avrebbe voluto strillare, ma rimase in silenzio a scrutare gli occhi nocciola della sua amica, dell’unica che sapeva, che aveva sempre saputo. «Non puoi continuare a torturarti così, sai?» Sapeva tutto, tranne quella piccola parte che teneva solo per sé, per loro due e nessun altro perché quelli erano soltanto i loro momenti e nessuno glieli avrebbe portati via. «Sono due anni che è morto. Lascialo andare.» Come si fa a lasciar andare la persona che più si ama a questo mondo? Casa è dietro la curva, curata e pulita, la neve a coprire il prato e i fiori, persino il tetto, e il comignolo sbuffa più forte che mai. Casa è lì e lo attende. Ha i libri con sé. Apre la porta, la maniglia è sempre gelida, a terra c’è il biglietto che aveva scritto, deve essergli caduto dalla tasca quando ha preso il pacchetto, strano che Severus non lo abbia visto, si dice. «Sono tornato!» Un passo, due, tre.
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alcoly · 6 years
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Fiore di ciliegio
Fiore di ciliegio
-“Finalmente frequento un corso che ho scelto io, speriamo di non pentirmene.” ho pensato appena entrata nella classe vuota che dopo pochi minuti si è riempita quasi del tutto. Scegliere un corso con pochi crediti ha suoi svantaggi e vantaggi in effetti.
Annoiata e assonnata (erano le 9 del mattino), mi sono guarda un po’ in giro per vedere qualche faccia conosciuta, ma tra le varie facce (un po’ da culo e un po’ sfacciate) ho trovato una testa rosa. Veramente, una testa rosa. Era una ragazza china sul suo Mac che digitava e cliccava prima ancora che iniziasse la lezione.
-“Cos’ha da scrivere di prima mattina?” mi sono chiesta con faccia dubbiosa e poco dopo questo pensiero ho visto la sua testa sollevarsi e i suoi occhi guardarmi, quasi come se mi avesse sentito, come se avesse intercettato il mio pensiero.
Mi guardava, mi ha guardata a lungo, aveva gli occhi scuri e le labbra rosa, ma non di rossetto, era il colore naturale delle sue labbra, come i suoi capelli, come i fiori di ciliegio. Era bellissima.
Voglio dire, non era sto gran splendore, ma per me era bellissima.
Un po’ imbarazzata, sia dal pensiero che dal suo sguardo penetrante, mi sono girata e con fare disinvolto ho aperto lo zaino e ho preso il necessario.
Finita la lezione noto che non si alza. “Perché non va via? Adesso c’è la lezione del mio corso di studi, lei non ne fa parte.”
Non si è alzata. Continuava a digitare con impegno e anche la sua espressione faceva capire che stesse facendo qualcosa di importante, ma non era veramente a questo che stavo pensando.
Volevo vederla meglio, volevo conoscerla, volevo sapere chi era e cosa avesse pensato di me. Durante la lezione, noiosa ma importante, ogni tanto mi distraevo e cercando di non farmi vedere troppo mi giravo verso di lei, la guardavo con la coda dell’occhio fingendo di guardare le montagne dalla finestra.
Alla fine di questa lezione si era alzata e si era avviata verso la porta in fondo all’aula. Tutta di fretta ho riposto il quaderno e l’astuccio nello zaino, con molta fretta ho salutato le mie colleghe e sono uscita dalla porta davanti. L’ho vista venire verso di me, cioè nella mia direzione, non proprio da me (magari) e poi ho sentito: “Monica! Monica dopo ci sei?” una ragazza diretta verso l’altro lato del corridoio l’aveva chiamata e lei si è voltata, un po’ incerta poi ha risposto di sì. Monica. Si chiamava Monica e le sua voce era come la brezza primaverile che ti sfiora mentre fai una passeggiata sul Lungadige. Lei che aveva la borraccia azzurra con le margherite nella tasca esterna dello zaino, che aveva le gazzelle rosa confetto e le labbra visibilmente morbide. Ma a quanto pare il mio sguardo perso le è balzato all’occhio perché poi mi ha lanciato uno sguardo incuriosito e quasi divertito (probabilmente sembravo scema). Finalmente il mercoledì universitario: alcol, sigarette e decisioni sbagliate. Giusto perché noi studenti siamo dei masochisti, abbiamo deciso di recarci al locale più affollato della città. Saggia decisione, devo affermare col senno di poi. Tra un bicchiere di Porto e l’altro e dopo un paio di sigarette, sentendo il bisogno di rimettermi un po’ in ordine, decido di andare in bagno, ovviamente sola perché “non sia mai che ci rubano il posto”. Un po’ barcollante e un po’ persa, chiedo al cameriere dov’è il bagno e dopo una disinteressata risposta mi avvio giù per le scale indicate. Una bella rampa devo dire, almeno così sembrava quella sera. Noto con grande sorpresa che il mio mascara non è ancora colato, che i miei capelli non sono del tutto spettinati e la camicetta un po’ sbottonata non ha alcuna macchia di vino. Indecisa se dovessi fare pipì o no, mi lavo le mani sperando di riceve qualche stimolo. Sento dei passi, qualcuno sta scendendo: cerco di sembrare più normale possibile. La porta si apre e rimango senza fiato. È lei. È il mio fiore di ciliegio. In tutto il suo splendore rosa apre la porta e con un mezzo sorriso di gentilezza mi si rivolge: “Sono occupati?” indicando le porte chiuse dei bagni; un po’ intontita e in imbarazzo le rispondo arrossendo “No no sono liberi” con la voce che si rifiutava di uscire. Il cuore mi batteva forte, la faccia mi bruciava e le mani formicolavano, ma non per l’acqua fredda. Sorridendomi ancora (per pietà forse), entra in bagno. Indecisa sul da farsi, mi asciugo le mani in modo impacciato lasciandole bagnate quanto prima. Non volevo andarmene, non volevo che il nostro breve ed insignificante incontro finisse lì e così velocemente tiro fuori il telefono e fingo di chattare su whatsapp, pur sapendo bene che non prendesse niente, voglio dire, eravamo sotto terra!
Sento la porta che si apre e si lava le mani. Io mi guardo allo specchio e vedo nel riflesso il suo sguardo rivolto alla mia scollatura, cioè: mi stava guardando le tette. Con un ghigno malizioso metto il cellulare in tasca e noto dal riflesso che se n’era accorta. Era diventata dello stesso colore dei suoi capelli, con un po’ più di rossore. Scrolla le mani bagnate e si reca verso l’asciugatore, esattamente dov’ero io. Un po’ indecisa mi sono spostata e incrociando le mani la guardavo. Aveva i jeans attillati a vita alta e una maglia corta, in modo che il suo bel culo fosse in bella mostra. “Lei mi aveva guardata no? E allora la guardo anch’io.” pensavo tra me e me. Ovviamente si sentiva i miei occhi addosso e per questo si era girata verso di me, c’è stato un lungo momento di silenzio e sguardi pieni di voglia, ma che tipo di voglia? Di presentarci? Di ridere? Di baciarci? O di occupare il bagno? Forse di tutte, ma abbiamo iniziato da una: mi ha guardato il collo e la guancia e colta alla sprovvista mi sono ritrovata le sue carnose labbra sulle mie e la sua fredda mano sul mio viso. L’altra mano era appoggiata alla mia vita e la sentivo salire. Dato che l’immagine del suo culo a mandolino mi girava ancora per la mente, metto la mia mano sulla sua chiappa e nell’istante in cui mi morde il labbro, le stringo il culo che d’impulso spinge contro il mio corpo, quasi a volersi dentro di me. L’altro mano ancora libera sale verso il suo collo e le accarezza i capelli lisci e setosi come i petali di un fiore. La sua mano che prima saliva adesso mi massaggia la tetta destra e tra una palpata e l’altra sento che emette dei gemiti di piacere. Non l’avevo nemmeno toccata e già gemeva! Quanto ero eccitata. “Si sentono delle voci” ho pensato e probabilmente l’ha pensato pure lei perché poco dopo mi sono sentita tirare per la mano e siamo entrate in uno dei due bagni. Chiude la porta a chiave. C’era poco spazio. Per un momento abbiamo aspettato e ci siamo anche guardate, ci siamo spogliate con gli occhi a dire il vero. Erano dei ragazzi, credo, perché si sentivano i loro passi allontanarsi verso il bagno dei maschi. Sollevate da una parte, ma preoccupate per quello che sarebbe potuto succedere successivamente, abbiamo ricominciato a baciarci ma questa volta oltre le mie labbra, voleva sentire la mia pelle e così scese a baciarmi il collo mentre con le mani mi sbottonava la camicia. Avida di me, scende per baciarmi le tette, ne tira fuori una e mi lecca il capezzolo turgido. Leccava avidamente poi si metteva tutta la mia tetta in bocca, mentre con la mano massaggiava l’altra tetta.
La volevo anch’io, volevo sentire il profumo della sua pelle e sapere che sapore ha. Mentre una mano spronfondava nella sua chioma rosa, l’altra scendeva per sbottonarle i pantaloni. Credo fosse stata colta di sorpresa perché si era fermata e mi guardava un po’ insicura e un po’ vogliosa, ma si era lasciata andare e io non vedevo l’ora di sentire quanto fosse calda. Era tornata a baciarmi il collo e io ero scesa con la mano; sentivo un intimo di pizzo, chi sa se erano rosa. Mi tremavano le mani e volevo essere delicata, era il mio fiore di ciliegio no? Passo due dita lungo la sua figa da sopra le mutandine, riuscivo a sentire che era calda, ma ancora meglio: era bagnata. Mentre strusciavo la mia mano la sentivo respirare affannosamente e decisa, le metto le mani nelle mutandine; la sua pelle era soffice, liscia, con il dito medio e l’anulare scendo e arrivo al clitoride, apro le piccole labbra e sento un lago! Dio era bagnatissima, era eccitatissima e lo era tutta per me. Struscio le dita sulla figa che me le bagna e poi torno sul clitoride e insieme anche all’indice glielo massaggio, all’inizio lentamente, ma poi sentendola gemere piano e muoversi eccitata, decido di massaggiarle il clitoride più velocemente. Si dibatteva su di me e decido di allungare la mia mano dentro la sua figa, bollente e bagnata; faccio scivolare il dito medio dentro e mentre lo muovo inserisco l’anulare con movimenti delicati e poi spingo fino infondo. Gemeva e soffocava più che poteva le urla. Agitavo la mano dentro di lei e le baciavo il collo, la sua pelle sembrava velluto e il suo profumo mi inebriava la mente: stavamo godendo insieme. Tra un bacio e una carezza, la sentivo respirare sempre più affannosamente, volevo farla godere, fino alla fine e volevo vederla così soave per sempre, così inizio a muovere la mano più velocemente e più infondo mentre col pollice le agitavo il clitoride, sentivo che tratteneva il respiro finché si fa scappare un gemito e lì capisco che era venuta, aveva un lieve sorriso di gratitudine sulle labbra e mi guardava desiderosa di ricambiare.
Prima di estrarre la mia mano, le massaggio un po’ il clitoride mentre lei mi baciava e mi accarezzava il viso delicatamente.
“Vieni da me” mi dice, “abito qua vicino e tutti i miei inquilini sono fuori. Voglio ringraziarti”. Sentivo il petto ardere, avevo il viso in fiamme e lo stomaco contorcersi. La volevo, volevo andare a casa sua e passare la notte con lei e con tanto imbarazzo e cercando inutilmente di trattenere l’euforia le rispondo di sì.
Fiore di ciliegio
-“Finalmente frequento un corso che ho scelto io, speriamo di non pentirmene.” ho pensato appena entrata nella classe vuota che dopo pochi minuti si è riempita quasi del tutto. Scegliere un corso con pochi crediti ha suoi svantaggi e vantaggi in effetti.
Annoiata e assonnata (erano le 9 del mattino), mi sono guarda un po’ in giro per vedere qualche faccia conosciuta, ma tra le varie facce (un po’ da culo e un po’ sfacciate) ho trovato una testa rosa. Veramente, una testa rosa. Era una ragazza china sul suo Mac che digitava e cliccava prima ancora che iniziasse la lezione.
-“Cos’ha da scrivere di prima mattina?” mi sono chiesta con faccia dubbiosa e poco dopo questo pensiero ho visto la sua testa sollevarsi e i suoi occhi guardarmi, quasi come se mi avesse sentito, come se avesse intercettato il mio pensiero.
Mi guardava, mi ha guardata a lungo, aveva gli occhi scuri e le labbra rosa, ma non di rossetto, era il colore naturale delle sue labbra, come i suoi capelli, come i fiori di ciliegio. Era bellissima.
Voglio dire, non era sto gran splendore, ma per me era bellissima.
Un po’ imbarazzata, sia dal pensiero che dal suo sguardo penetrante, mi sono girata e con fare disinvolto ho aperto lo zaino e ho preso il necessario.
Finita la lezione noto che non si alza. “Perché non va via? Adesso c’è la lezione del mio corso di studi, lei non ne fa parte.”
Non si è alzata. Continuava a digitare con impegno e anche la sua espressione faceva capire che stesse facendo qualcosa di importante, ma non era veramente a questo che stavo pensando.
Volevo vederla meglio, volevo conoscerla, volevo sapere chi era e cosa avesse pensato di me. Durante la lezione, noiosa ma importante, ogni tanto mi distraevo e cercando di non farmi vedere troppo mi giravo verso di lei, la guardavo con la coda dell’occhio fingendo di guardare le montagne dalla finestra.
Alla fine di questa lezione si era alzata e si era avviata verso la porta in fondo all’aula. Tutta di fretta ho riposto il quaderno e l’astuccio nello zaino, con molta fretta ho salutato le mie colleghe e sono uscita dalla porta davanti. L’ho vista venire verso di me, cioè nella mia direzione, non proprio da me (magari) e poi ho sentito: “Monica! Monica dopo ci sei?” una ragazza diretta verso l’altro lato del corridoio l’aveva chiamata e lei si è voltata, un po’ incerta poi ha risposto di sì. Monica. Si chiamava Monica e le sua voce era come la brezza primaverile che ti sfiora mentre fai una passeggiata sul Lungadige. Lei che aveva la borraccia azzurra con le margherite nella tasca esterna dello zaino, che aveva le gazzelle rosa confetto e le labbra visibilmente morbide. Ma a quanto pare il mio sguardo perso le è balzato all’occhio perché poi mi ha lanciato uno sguardo incuriosito e quasi divertito (probabilmente sembravo scema).
Finalmente il mercoledì universitario: alcol, sigarette e decisioni sbagliate.
Giusto perché noi studenti siamo dei masochisti, abbiamo deciso di recarci al locale più affollato della città. Saggia decisione, devo affermare col senno di poi. Tra un bicchiere di Porto e l’altro e dopo un paio di sigarette, sentendo il bisogno di rimettermi un po’ in ordine, decido di andare in bagno, ovviamente sola perché “non sia mai che ci rubano il posto”. Un po’ barcollante e un po’ persa, chiedo al cameriere dov’è il bagno e dopo una disinteressata risposta mi avvio giù per le scale indicate.
Una bella rampa devo dire, almeno così sembrava quella sera.
Noto con grande sorpresa che il mio mascara non è ancora colato, che i miei capelli non sono del tutto spettinati e la camicetta un po’ sbottonata non ha alcuna macchia di vino. Indecisa se dovessi fare pipì o no, mi lavo le mani sperando di riceve qualche stimolo.
Sento dei passi, qualcuno sta scendendo: cerco di sembrare più normale possibile.
La porta si apre e rimango senza fiato. È lei. È il mio fiore di ciliegio. In tutto il suo splendore rosa apre la porta e con un mezzo sorriso di gentilezza mi si rivolge: “Sono occupati?” indicando le porte chiuse dei bagni; un po’ intontita e in imbarazzo le rispondo arrossendo “No no sono liberi” con la voce che si rifiutava di uscire.
Il cuore mi batteva forte, la faccia mi bruciava e le mani formicolavano, ma non per l’acqua fredda. Sorridendomi ancora (per pietà forse), entra in bagno. Indecisa sul da farsi, mi asciugo le mani in modo impacciato lasciandole bagnate quanto prima. Non volevo andarmene, non volevo che il nostro breve ed insignificante incontro finisse lì e così velocemente tiro fuori il telefono e fingo di chattare su whatsapp, pur sapendo bene che non prendesse niente, voglio dire, eravamo sotto terra!
Sento la porta che si apre e si lava le mani. Io mi guardo allo specchio e vedo nel riflesso il suo sguardo rivolto alla mia scollatura, cioè: mi stava guardando le tette. Con un ghigno malizioso metto il cellulare in tasca e noto dal riflesso che se n’era accorta. Era diventata dello stesso colore dei suoi capelli, con un po’ più di rossore. Scrolla le mani bagnate e si reca verso l’asciugatore, esattamente dov’ero io. Un po’ indecisa mi sono spostata e incrociando le mani la guardavo. Aveva i jeans attillati a vita alta e una maglia corta, in modo che il suo bel culo fosse in bella mostra. “Lei mi aveva guardata no? E allora la guardo anch’io.” pensavo tra me e me. Ovviamente si sentiva i miei occhi addosso e per questo si era girata verso di me, c’è stato un lungo momento di silenzio e sguardi pieni di voglia, ma che tipo di voglia? Di presentarci? Di ridere? Di baciarci? O di occupare il bagno? Forse di tutte, ma abbiamo iniziato da una: mi ha guardato il collo e la guancia e colta alla sprovvista mi sono ritrovata le sue carnose labbra sulle mie e la sua fredda mano sul mio viso. L’altra mano era appoggiata alla mia vita e la sentivo salire. Dato che l’immagine del suo culo a mandolino mi girava ancora per la mente, metto la mia mano sulla sua chiappa e nell’istante in cui mi morde il labbro, le stringo il culo che d’impulso spinge contro il mio corpo, quasi a volersi dentro di me. L’altro mano ancora libera sale verso il suo collo e le accarezza i capelli lisci e setosi come i petali di un fiore. La sua mano che prima saliva adesso mi massaggia la tetta destra e tra una palpata e l’altra sento che emette dei gemiti di piacere. Non l’avevo nemmeno toccata e già gemeva! Quanto ero eccitata. “Si sentono delle voci” ho pensato e probabilmente l’ha pensato pure lei perché poco dopo mi sono sentita tirare per la mano e siamo entrate in uno dei due bagni. Chiude la porta a chiave. C’era poco spazio. Per un momento abbiamo aspettato e ci siamo anche guardate, ci siamo spogliate con gli occhi a dire il vero. Erano dei ragazzi, credo, perché si sentivano i loro passi allontanarsi verso il bagno dei maschi. Sollevate da una parte, ma preoccupate per quello che sarebbe potuto succedere successivamente, abbiamo ricominciato a baciarci ma questa volta oltre le mie labbra, voleva sentire la mia pelle e così scese a baciarmi il collo mentre con le mani mi sbottonava la camicia. Avida di me, scende per baciarmi le tette, ne tira fuori una e mi lecca il capezzolo turgido. Leccava avidamente poi si metteva tutta la mia tetta in bocca, mentre con la mano massaggiava l’altra tetta.
La volevo anch’io, volevo sentire il profumo della sua pelle e sapere che sapore ha. Mentre una mano spronfondava nella sua chioma rosa, l’altra scendeva per sbottonarle i pantaloni. Credo fosse stata colta di sorpresa perché si era fermata e mi guardava un po’ insicura e un po’ vogliosa, ma si era lasciata andare e io non vedevo l’ora di sentire quanto fosse calda. Era tornata a baciarmi il collo e io ero scesa con la mano; sentivo un intimo di pizzo, chi sa se erano rosa. Mi tremavano le mani e volevo essere delicata, era il mio fiore di ciliegio no? Passo due dita lungo la sua figa da sopra le mutandine, riuscivo a sentire che era calda, ma ancora meglio: era bagnata. Mentre strusciavo la mia mano la sentivo respirare affannosamente e decisa, le metto le mani nelle mutandine; la sua pelle era soffice, liscia, con il dito medio e l’anulare scendo e arrivo al clitoride, apro le piccole labbra e sento un lago! Dio era bagnatissima, era eccitatissima e lo era tutta per me. Struscio le dita sulla figa che me le bagna e poi torno sul clitoride e insieme anche all’indice glielo massaggio, all’inizio lentamente, ma poi sentendola gemere piano e muoversi eccitata, decido di massaggiarle il clitoride più velocemente. Si dibatteva su di me e decido di allungare la mia mano dentro la sua figa, bollente e bagnata; faccio scivolare il dito medio dentro e mentre lo muovo inserisco l’anulare con movimenti delicati e poi spingo fino infondo. Gemeva e soffocava più che poteva le urla. Agitavo la mano dentro di lei e le baciavo il collo, la sua pelle sembrava velluto e il suo profumo mi inebriava la mente: stavamo godendo insieme. Tra un bacio e una carezza, la sentivo respirare sempre più affannosamente, volevo farla godere, fino alla fine e volevo vederla così soave per sempre, così inizio a muovere la mano più velocemente e più infondo mentre col pollice le agitavo il clitoride, sentivo che tratteneva il respiro finché si fa scappare un gemito e lì capisco che era venuta, aveva un lieve sorriso di gratitudine sulle labbra e mi guardava desiderosa di ricambiare.
Prima di estrarre la mia mano, le massaggio un po’ il clitoride mentre lei mi baciava e mi accarezzava il viso delicatamente.
“Vieni da me” mi dice, “abito qua vicino e tutti i miei inquilini sono fuori. Voglio ringraziarti”. Sentivo il petto ardere, avevo il viso in fiamme e lo stomaco contorcersi. La volevo, volevo andare a casa sua e passare la notte con lei e con tanto imbarazzo e cercando inutilmente di trattenere l’euforia le rispondo di sì.
Ci siamo ricomposte e più velocemente possibile siamo andate al piano di sopra a salutare i nostri amici. Mi teneva per mano e io la guardavo cercando di non farmi notare. Neanche il tempo di chiudere la porta di casa che mi sento sbattere al muro, mi apre la camicia finché mi bacia con la lingua, come se volesse che sentissi quanto fosse brava; mi toglie la camicia e mi porta per mano verso quella che doveva essere camera sua. Ci togliamo le scarpe, getta la mia camicia e i suoi vestiti a terra e mi fa accomodare (con un po’ di violenza) sul suo letto a quanto pareva singolo. Scendeva lungo il mio corpo riempiendomi di baci, si soffermava sulle tette e me le leccava come in bagno, ma con più voglia; con una mano mi apriva i pantaloni e con l’altra mi massaggiava l’altra tetta. Poi con entrambe le mani mi toglie i pantaloni. Scende lungo l’addome baciandomi e leccandomi, sentivo i suoi soffici capelli sfiorarmi la pelle facendomi rabbrividire e facendomi venire la pelle d’oca su tutto il corpo. Era arrivata all’inguine, baciava la coscia destra e poi mi baciava la figa da sopra le mutandine che dovevano essere bagnate almeno quanto le sue prima. Ero eccitatissima e ancora incredula di essere lì con lei. Delicatamente mi toglie le mutandine guardandomi nel buio della stanza illuminata debolmente dalla luce della luna. Mi baciava la figa e me la leccava con la lingua morbida, era scesa poi fino al clitoride e con due dita me lo massaggiava mentre lo leccava agilmente. Sentivo poi le sue dita entrare dentro di me, prima uno poi l’altro mentre mi leccava il clitoride con avidità, come se si fosse trattenuta per ore o giorni. Come me prima, stava dando sfogo all’eccitazione e alla voglia che si era creata pensandoci. Ansimavo e mi contorcevo, mentre lei mi scopava come se stesse facendo la gara, come se avesse un tempo record da battere e stava vincendo. L’apice è stato quando con la mano libera mi ha stretto la mia tetta, facendomi venire come poche volte prima. Ero esausta. Mi stava guardando con occhi pieni di soddisfazione e altrettanto io; è salita poi su di me e mi ha baciata. Ci siamo baciate e leccate come per pulirci e chiudere in bellezza la serata. Ci siamo addormentate abbracciate.
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yoursweetberry · 3 years
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Non ero nervosa quando sono scesa di casa per venire a fare la lezione, era dalla mattina che come la sorella della fessa contavo le ore perchè non vedevo l’ora di arrivare lì.
Forse eri tu quella che stava esaurita da qualcosa e doveva sfogare le frustrazioni su qualcuno. E ovviamente si sa, che il soggetto calamita per certe cose sono io in prima linea.
Non ero nervosa, ero tranquilla, sorridente e ho risposto a una cosa che avevo sentito ingenuamente senza alcuna cattiveria/malizia, perchè assolutamente non ce n’era, mi sa che devi farti due domande se l’hai pensato e ti sei fatta venire l’idea di crearne una discussione, perché mai avrei immaginato che in un normale discorso sulla preferenza di un gelato potesse creare così fastidio una mia risposta. Discussione che hai creato TU evidenziando il marcio in una risposta assolutamente normale e ingenua.
Quello che non capirai o che farai finta di non capire è che a me non me ne frega un emerito cazzo della discussione in se sul gelato, perché la pesante su questo discorso sei stata TU non io. Creando una discussione su una cosa così futile, portandola pure avanti nel tempo, ma mi ha ferito il modo che hai usato per trattarmi davanti anche ad altre persone, negli unici 10 min in cui potevi avere con me un dialogo. Le uniche cazzo di parole che mi hai rivolto in tutto il tempo di permanenza mia lì, sono state accusatorie di aver detto una cosa poco carina nei tuoi confronti, perché tu il gelato dovevi ancora provarlo (ma tutt appost?) ripetendolo pure più volte solo perchè io poi ho detto (ridendo tra l’altro perchè mi sembrava assurdo) “ ah non posso dare la mia recensione dicendo che non è buono? poi sono gusti..” e tu hai risposto “ah continui pure?” (ma tutt appost?parte 2 manco ti avessi preso la scatola e te l’avessi buttata per non fartelo mangiare!). Dopo ciò nessuna parola, ti giri verso di me nonostante stessi parlando di altre cose, solo per dire “comunque TU TI DROGHI perchè il gelato è buono!” e in più mi accusi che IOOOOO avevo inteso il mio giudizio come universale e insindacabile quando in italiano la mia risposta significava MIA OPINIONE PERSONALE perchè a differenza tua in cui hai detto a un’altra persona che SI DROGA (insinuando quindi che non fosse nelle facoltà di poter parlare) perchè il gelato è buono (quindi giudizio universale e insindacabile) mentre io avevo detto “IO (quindi intesa come cosa personale) l’ho provato, non MI (riferimento personale) è piaciuto non era niente di che” e quando ho provato a difendermi dicendo che ho specificato che SONO GUSTI e che mi faceva piacere che a te fosse piaciuto non per questo significa che io mi droghi ma semplicemente che abbiamo gusti differenti come avevo detto prima, hai pure cercato di fomentare la discussione chiedendo a Gabriele se io l’avessi detto o meno? (ma tutt appost? parte 3)
Dopodiché colpo di scenaaa io stavo parlando con Gabriele dei gelati magnum e tu cosa dici quando io li nomino? “ Noi abbiamo provato paradiso ma non era proprio niente di che” CIOOEEEEEEE LA FRASE CHE HO DETTO IO ALL’INIZIOOOO HAHAHAHAHAHAHHAA ma tu la potevi direeee e io ero quella da deridere e sfottere davanti a tutti per averla detta su un gelato che dovevi mangiare? HAHAHAHAHAHAHAHHAHA quando poi io ho risposto ingenuamente proprio come è venuto di rispondere a te in quel momento! Ma io A DIFFERENZA TUA non mi sono messa a fomentare la discussione dicendo aaahhh come mai tu puoi dirlo e io nooo? perchè mi ero già rotta il cazzo per sta stronzata!
Poi andiamo a fare lezione e la prima cosa che mi chiedi è “SEI NERVOSA?” AZZZ IOOOO?? hahahahahhahahahaha Tu te fatt chelli sparat su una CAZZATA fattelo dire!! Perchè se la mia è stata cattiveria dire che il gelato non mi era sembrato niente di che, non so come chiami invece quando ti mettono le mani addosso, ti riempiono di insulti verbali così dal nulla, rompono le tue cose, criticano e sfottono costantemente il tuo modo di essere anche davanti agli altri e cercano di uccidere te e anche qualche tua amica mentre sei alla guida.
Mi hai trattato male e sfottuto tutto il tempo facendomi passare come una deficiente davanti agli altri perchè dovevi alzare chissà per quale motivo il tuo ego in quel momento, e io sarei quella NERVOSA?
Tutta la lezione non hai detto mezza parola, e hai passato il tempo con il telefono in mano quando potevi dire qualcosa. Ahh devo parlare sempre solo io?? scusaa…
Non ti permetto di andarti a nascondere dietro al “stavo solo scherzando è il mio modo” perché vatti a informare, ma chi ha bisogno di fare e rispondere così, tanto sereno e voglioso di scherzare non sta. E in più te lo ripeto per l’ennesima volta hai usato gli unici cazzo di minuti che hai a disposizione con me per creare un’inutile discussione basata sullo screditarmi e deridermi davanti ad altre persone. Non mi frega un cazzo se fai così anche con gli altri perchè con gli altri hai tutto il cazzo del tempo per dimostrargli rispetto, amicizia, affetto, stima, empatia e quello che ti pare di positivo e compensare. QUINDI C’è UN ABISSALE DIFFERENZA. Io ho quei cazzo di minuti contati in cui se mi prendo il male di una cazzo di discussione (che per me è assurdo che sia pure esistita), è solo quello che alla fine mi porto a casa e dentro di me. E in più mi fa male perchè ti ho spiegato un cazzo di miliardo di volte che io queste cose poi le assorbo in un determinato modo e NO NON POSSO FARCI NIENTE, sei solo tu che puoi farci qualcosa e scegliere come comportarti con me quando ti sono davanti SAPENDO, e hai scelto di farmi stare male perchè le tue frustrazioni di quel momento che possa essere anche semplicemente che cazzo ne so il caldo, erano più importanti e io sono il soggetto favorevole su cui sfogarle.
E te lo ripeto anche se farai finta di non capire, non mi interessa della discussione del gelato in se, non QUELLE PAROLE in se, ma il modo, mi fa stare male che è stato l’unico modo che hai scelto per comunicare con me nell’UNICO tempo a disposizione che avevamo, e per tutto il resto del tempo in cui potevi dire qualche altra cosa, sei stata in completo silenzio preferendo in più anche il cellulare. Una considerazione del genere non se la merita nessuno al mondo e IO A MAGGIOR RAGIONE non lo merito per come sono e quella che sono!
Non avrei dovuto nemmeno darti tutte queste spiegazioni probabilmente, non ti ho scritto perchè non avevo alcuna voglia nemmeno di dartele fino a mo sinceramente e so solo io quanto sono stata male, quanto sto male e quanto questo mio star male non ti interessi, ma alla fine io sono così, devo parlare, e non mi vergogno di esserlo, non mi vergogno di mostrarmi vulnerabile non mi vergogno delle mie emozioni, di quella che sono e non ho bisogno di fare giochetti manipolatori per ottenere o non ottenere cose come sei abituata nella tua vita a vedere e subire.
Io se parlo o se resto in silenzio è solo e soltanto per le emozioni che provo in quel momento e le rispetto sempre. Non ho vergogna di amare e dare senza misure e non ho vergogna quando alzo la testa o faccio sentire la mia voce o di mostrare le mie lacrime se qualcosa mi ferisce, non ho vergogna di chi sono perché non ho alcun motivo di avercene perchè cerco sempre di stare attenta agli altri, sempre, e pure troppo da sembrare “fessa” o poco furba ma a me non interessa essere furba, e non me ne vergogno e so per certo che quando sbaglio qualcosa so chiedere scusa, so cercare un modo per migliorarmi sempre. So che mi posso guardare nello specchio e vederci una persona vera, buona e rara.
Posso essere fiera di me anche se nessuno mi sa apprezzare o tenere. Nonostante questa cosa mi faccia un male che soltanto io so. Me lo sono chiesto troppe volte in che cosa cazzo sbagliassi, ma ho capito che posso tranquillamente avere la presunzione di dire che non sbaglio quasi mai, semplicemente nessuno sa apprezzare, pensando piuttosto che tutto quello che di buono si può prendere da me sia dovuto. Ma almeno io potrò andarmene da questa terra in pace con me stessa perchè mi sono sempre rispettata e ho rispettato gli altri cercando di agire sempre in nome del bene, più che potevo e di non aver fatto del male intenzionalmente nemmeno quando potevo a chi me ne ha fatto troppo.
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october24th · 4 years
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Resoconto Giorno 116
Ho fatto un brutto sogno. Non ricordo molto i dettagli, ma come in tutti i miei brutti sogni litigavo con qualcuno. Mi sono svegliata verso le sette e mezza e riaddormentata dopo un po’. Ho sognato Vitto poi.
Stamattina ho fatto il solito, stranamente avevo voglia di pulire e anche di parlare. Infatti per tutto il tempo fino al momento del pranzo ho parlato con Imma, con cui non parlavo decentemente da un po’ di giorni. Abbiamo parlato di calcio, dato che stamattina dopo i servizi ho continuato con il programma di studi settimanale approfondendo le competizioni calcistiche. Abbiamo parlato della vigilia e del Natale, delle cene e dei pranzi, dei ricordi che abbiamo di quest’anno. Abbiamo parlato dei rapporti con la Francia e della Gioconda, della reputazione di Napoli e delle tradizioni della nostra città. Abbiamo ricordato i nostri vecchi Natali e ho apprezzato il fatto che nessuna delle due ha accennato al futuro. Mi ha parlato del suo babbo, e ho apprezzato molto. Non me ne ha parlato spesso in questi anni... ricordo che un giorno mi disse di non ricordare molte cose di lui e questo la faceva star male e io la rincuorai. Le dissi che è normale avesse l’impressione di non ricordare in quel momento tutti i momenti passati con lui, ma anche che ci sarà sempre qualcosa che può essere un odore, una fotografia, un film, una canzone, un luogo, un modo di fare che le ricorderà lui e le sbloccherà ricordi. Oggi si è ricordata di una cosa e l’ha condivisa con me. Ricordo quando andai al cimitero con lei la prima volta... vidi quella foto e pensai “sono identici”. Abbiamo anche parlato di caffè, mandolino e biscotti danesi.
A pranzo zero sgarri, ci sono andata leggera in vista della cena da zia questa sera. Dopo pranzo ho parlato con Vitto dei regali di Natale. Ha detto che deve fare ben 15 regali, tra amici e parenti. Poi carino ha detto che avrebbe voluto farne 16, uno in più per me. Lui nella mente ha calcoli e schemi e li ha applicati anche per i regali. Dopo mi sono addormentata mezz’ora, poi svegliata, preparata per il lavoro e sono scesa con il mio fantastico cappello con le orecchie da gatta. Magari Fuffy mi si avvicina. Il lavoro con Antonio è stato piuttosto leggero e piacevole. Abbiamo continuato lo studio dei triangoli, del testo giallo e dell’analisi logica che deve ripetere per bene durante le vacanze natalizie. Dopo sono stata con Nico in cameretta a guardarlo giocare a red dead redemption. Robb ha detto che grazie alla medicina si sente finalmente meglio, oggi ha dormito cucciolo. Alle sette e mezza è venuto papà da zia e sono stata di là con lui a parlare. Avevo una coperta sulle spalle e mi ha presa in giro perché i riscaldamenti erano accesi e anche da lui ogni volta ho la coperta addosso. Oh ma io senza coperta non riesco a stare, è cchiù fort e me! Anche in estate dormo con il lenzuolo addosso.
A cena abbiamo mangiato sia la pasta che il secondo e dopo ancora il dolce. Mi sento pienissima, non riesco più a mangiare in questo modo. In più ho mal di pancia, il jeans era troppo stretto. Dopo cena mi sono andata da Fuffy, che quando sono arrivata mi ha snobbata, e gli ho avvicinato un dito al nasino per farmi annusare e farlo familiarizzare. Zio ha detto che si fa accarezzare solamente quando la cagnolina Wendy non è nei paraggi. Non vanno molto d’accordo, Wendy gli da fastidio ed è gelosissima. Comunque ho poggiato la mano sulla sua testa e l’ho accarezzato per un po’. Si è lasciato andare e dopo un pochino ha anche chiuso gli occhi. Poi Wendy è tornata, lui si è allontanato e per me è arrivato il momento di tornare a casa. Zia mi ha dato un po’ di tiramisù per la colazione di domani e un po’ di torta al cioccolato da dare a nonna. Quando gliel’ho data ha sorriso tantissimo, non si aspettava un gesto del genere. Spero che mio zio gliene lasci un po’.
Comunque a casa c’erano i miei zii preferiti, hanno fatto una piccola fuga per far visita a mia zia e assicurarsi della sua salute. Da quando zia è tornata dall’ospedale le fanno spesso visita, carini. Così sono saliti anche su da me per salutare mamma e io ho abbracciato zio. Per molto tempo non l’ho abbracciato e non l’ho neanche visto perché la salute di zia non è delle migliori... ha da poco terminato l’ultimo ciclo di chemio e siamo stati tutti super attenti a/per lei. Quindi quando vengono a casa è un sollievo per me.
Ora sono a letto, mi sono struccata e ho messo il pigiama. Ho un po’ freddino, come al solito. Oggi ho messo solamente due volte la crema per il tatuaggio, ma sinceramente ora non mi va di alzarmi per metterla.
Oggi Vitto mi ha mandato la parola da mettere alla fine del resoconto di oggi. Cioè non solo si lamenta di essere “solamente” l’amico di Suburra e pretende di essere nominato di più, ora mi sceglie pure le parole!!! Io dico di no. Ora ne scelgo una più bella. Lui ha scelto la definizione di attributo in analisi logica.
Il presepe napoletano: Nato intorno al XVIII sec. è ancora immancabile in tutte le case. In molte famiglie persiste ancora l’usanza di costruirlo pezzo per pezzo, a partire dal sughero alla base, comprando solo i pastori; altre si accontentano di comprare la struttura già fatta; altre ancora si limitano alla semplice Natività. Generalmente viene allestito e messo in bella vista l’8 dicembre, il giorno dell’Immacolata, e dismesso dopo l’Epifania. Tuttavia, fino alla notte di Natale il presepe napoletano che si rispetti è, e deve essere, incompleto. Gesù Bambino, il personaggio principale, non può categoricamente essere riposto nella mangiatoia prima dello scoccare della mezzanotte del 25 dicembre. Se anche venisse posizionato già al suo posto, andrebbe comunque coperto con un fazzoletto per non essere mostrato. Il presepe è un rito secolare, il capitone è devozione, i dolci danno gusto alle feste, ma non bisogna dimenticare mai l’unica tradizione che deve essere assolutamente rispettata: passare il Natale con chi si ama. Non importa in quanti, se una tavola per due o per 20, chi ha fatto meglio gli struffoli o se il bambinello è stato messo sul presepe. Il Natale, come qualunque altra festa, è fatto dalle persone e dall’amore che le lega. Se c’è pace e gioia in casa anche senza capitone il male scompare e senza ciociole i cari estinti potranno sempre festeggiare insieme a chi li ricorda con un sorriso.
21 Dicembre
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itsadarksoulstuff · 3 years
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        ×× ── 𝐄𝐗𝐓𝐑𝐀𝐂𝐓  📖         ᴇᴛʜᴀɴ ʀᴀʟᴇɪɢʜ + ᴍᴇʟᴏʀʏ         h. 15.55, ㅤapril 12th, 2021           ᴍᴀɴʜᴀᴛᴛᴀɴ﹐ ɴᴇᴡ ʏᴏʀᴋ         ❪      🖋      ❫                             𝑬𝑻𝑯𝑨𝑵 𝑹𝑨𝑳𝑬𝑰𝑮𝑯   ⌵ Curiosità era la sensazione che avvertiva l'inglese nel rendersi conto che l'ora dell'appuntamento con la sua prossima paziente era giunto. Aveva atteso quanto prima che quell'ora arrivasse, eppure in qualche modo sapeva che questa volta non sarebbe stato un buco nell'acqua. Lo studio in cui trascorreva più ore di quanto fossero necessarie aveva il suo perché, elegante e ricercato, ma anche tradizionale. Le pareti scure erano in contrasto con il soffitto chiaro, ma era la grande vetrata che dava sullo skyline di New York a creare il giusto effetto. Chiunque entrasse ne rimaneva estasiato, dimenticando per un momento dove si trovasse. Era questo che sperava lo Hughes quando invitò la giovane francese per quel primo incontro. Sapeva quanto lei desiderasse trovarsi in qualsiasi altro luogo al mondo, e costringerla non avrebbe giovato in alcun modo. Era Melory a voler fare il primo passo. Fu l'uomo, questa volta, ad alzarsi per andare all'ingresso per accogliere la sua paziente. Aveva mandato a casa la sua assistente, Allison, per far sì che lo studio rimanesse in totale privacy, e solamente quando sentì lo squillo dell'ascensore, Ethan mise una mano in tasca attendendo il suo arrivo.
𝑴𝑬𝑳𝑶𝑹𝒀   ⌵ La riluttanza di Melory era ormai nota anche al suo terapista. Avrebbe dovuto chiamarlo così? Non lo sapeva nemmeno lei che, tra uno sbuffo e l'altro, aveva ceduto alle chiacchiere di Alexis, fissando un secondo primo appuntamento con l'uomo. Sua madre non faceva che tessere le lodi del bel dottore, incurante del fatto che alla figlia non importasse nulla della sua avvenenza, tanto quanto non le interessavano le sue capacità cognitive. Melory voleva solo scappare dalla miriade di sensazioni che sembravano volerla trascinare a fondo da quando... be', sì da quel momento funesto. Non ne parlava volentieri con la sua famiglia, figurarsi con quel completo sconosciuto che avrebbe usato chissà quale trucco per farla sbilanciare, convincendola che alla fine sarebbe stata meglio. Lei voleva davvero stare meglio, ma come farlo? Aveva indossato un completo molto sobrio, composto da un pantalone bianco ed una camicia sullo stesso tono. A spezzare quella monotonia ci pensavano la giacca e gli accessori di un delicato color cammello. Fece ticchettare le Jimmy Choo sul marmo che ricopriva l'ingresso dell'edificio dopo essersi assicurata di essere nel posto giusto. Prese l'ascensore e attese pazientemente di salire al piano corretto. Era nervosa, ma avrebbe fatto in modo di nasconderlo al suo interlocutore. Prese un lungo respiro per darsi un tono prima che le porte dell'ascensore si aprissero, spiazzandola. Lui era lì, eretto in tutta la sua statura nel silenzio di uno studio che pensava essere presidiato da una di quelle segretarie che si vedono nei film. Magari una stangona bionda con litri di "J‘adore" spruzzati addosso e la manicure sempre perfetta.
  « Dottor Hughes, immagino. »
Esordì, uscendo dall'ascensore con passo fermo.
𝑬𝑻𝑯𝑨𝑵 𝑹𝑨𝑳𝑬𝑰𝑮𝑯   ⌵ Un suono quasi sordo si udì nel silenzio dello studio che, durante quel venerdì pomeriggio, sembrava essere quasi irreale. Tutto appariva fermo, cristallizzato nel tempo, e il solo traffico cittadino era un eco lontano, in cui il silenzio fu rotto solamente dal ticchettio dei tacchi della donna. Un viso angelico fu quello che gli apparve, etereo nella sua eleganza, più simile ad una dea scesa sulla Terra, mentre camminava con una falcata sicura e al tempo stesso impaurita. Un angolo delle labbra si piegò nel vederla avvicinarsi, un'espressione quasi sorpresa fu quella che aleggiò sul volto dell'inglese, il quale non sapeva esattamente chi aspettarsi. Bionda o bruna? Elegante o alternativa? Aveva immaginato mille altri scenari, una giovane donna probabilmente diversa da quella che ora era di fronte a lui, ma nessuna delle sue supposizioni poteva reggere il confronto con quella bellezza. Ricordava vagamente le parole della madre, gli infiniti discorsi che gli aveva propinato, e per un istante aveva perfino pensato di non dare la sua disponibilità, eppure nel momento in cui cominciò a parlarle, tutto il passato divenne candido come il blocknotes su cui prendeva appunti. Voleva saperne di più, voleva scoprire che cosa nascondesse Melory dietro quell'atteggiamento così schivo, ma erano le motivazioni che lo spingevano ciò che non voleva prendere in considerazione.  
  « E lei deve essere, Miss Blanchard. »
Replicò con quel suo tono di voce caldo, l'accento inglese decisamente marcato e che spesso gli recriminavano ma con quella gentilezza che era innata in lui. Si spostò di lato prima di fare un cenno con la mano libera per farla accomodare all'interno del proprio studio.
  « Ho pensato che sarebbe stata più a suo agio da soli, la mia assistente non c'è. Venga pure da questa parte... Posso offrirle il famoso caffè? »
𝑴𝑬𝑳𝑶𝑹𝒀   ⌵ Gli occhi cerulei della giovane scrutarono la figura davanti a sé, senza ancora riuscire ad ammettere a se stessa che sua madre aveva dannatamente ragione. Quello era un uomo, nel vero senso della parola. Non solo geneticamente parlando... Insomma, chiunque poteva rientrare nella categoria maschile in quel senso, ma no. Il dottor Hughes era l'uomo per eccellenza: una statua scolpita dalla clemenza di una divinità sicuramente innamorata di lui. Sprigionava testosterone da ogni poro, così inconsapevolmente piegato in quella posa che di involontario non aveva niente. ‘Mon Dieu.’ Melory non era il classico tipo a cui si impappinava il cervello davanti ad un bell'uomo, ma c'era fin troppa elettricità in quella stanza per non notarla ad impatto.  
  « Perspicace. »
Un lento sorriso si aprì sulle labbra rosee della donna, coperte da un velo di rossetto mat "rosa del deserto". Seguì il suo cenno e si addentrò in quello che era il suo ufficio vero e proprio, guardandosi discretamente intorno. Era elegante, esattamente come lui. L'informazione che l'assistente non ci fosse arrivò in ritardo alle orecchie di Melory, già incantata dalla bella vista di cui si godeva da quell'altezza.
  « Sì, certo. Va bene il caffè. »
Disse, destandosi dal momentaneo stupore. Doveva rimanere concentra perché, senza saperne il motivo, i suoi sensi scattarono in allerta. Erano soli. Cazzo. Non andava per niente bene.
  « Quindi sono l'ultimo appuntamento della giornata? »
𝑬𝑻𝑯𝑨𝑵 𝑹𝑨𝑳𝑬𝑰𝑮𝑯   ⌵ Ridacchiò l'uomo nel sentire quell'unica parola mormorata che sembrò quasi rimbombare nel silenzio dello studio. Lo fece sorridere quell'atteggiamento quasi sprezzante nei confronti dell'uomo, che stava imparando ad apprezzare. Più la osservava più vedeva similitudini con la madre ma anche due persone che non potevano essere più diverse. Erano entrambe eleganti certo, ricercate, vestite con abiti firmati, eppure Melory non sembrava avere la consapevolezza di se stessa, ed era una cosa che affascinava non poco lo psicologo.
  « Mi mancava la sua solita sagacia, Miss Blanchard. »
            ❪   …   ❫
  « Ultimo della giornata, sì. Ho pensato che si sarebbe sentita più a suo agio da sola, e non è nemmeno necessario chiudere la porta. Non voglio che questo incontro la turbi più di quanto non lo sia già in realtà. Prego, se vuole può accomodarsi, ma le consiglio comunque di bere il caffè prima che si freddi. Vuole dello zucchero? O latte? »
𝑴𝑬𝑳𝑶𝑹𝒀   ⌵ La leggera risata dell'uomo le vibrò addosso, come se avesse appena acceso una radio a tutto volume. Fu un suono caldo e roco come un basso pizzicato da dita sapienti, ma nemmeno quel calore fu in grado di ammansire i nervi della francese. Si sentiva in trappola in quella gabbia bellissima e dovette sforzarsi di non cedere alla voglia di scappare a gambe levate. Non voleva rimanere da sola con lui. La sola idea la terrorizzava. Inspirò per calmarsi come le avevano insegnato al corso di yoga: inspira, trattieni per dieci dieci secondi, e poi rilascia. Ripeti.
  « Non deve avere una vita avventurosa se le mancava la mia sagacia. »
Fu ironica quanto lui nel pronunciare quella provocazione, aggrappandosi ai manici della borsa mentre spostava il peso del corpo da un tacco all'altro. L'odore del caffè riempì ben presto la stanza e Melory osservò stupita la macchinetta dalla quale sgorgò la bevanda. Non era la solita brodaglia americana, tutto brick riscaldato su piastra; lo stava facendo alla maniera europea.
  « Grazie. Lo prendo amaro, va bene così e sì, la porta mi piace di più aperta. »   ( ... )   « Quindi ora cosa dovremmo fare? Qual è la procedura? Comunque non è male il caffè. Arabica mista al mh... venti percento di robusta? La miscela, intendo. »
𝑬𝑻𝑯𝑨𝑵 𝑹𝑨𝑳𝑬𝑰𝑮𝑯   ⌵ Prese posto sulla propria sedia imbottita, accavallò le gambe ponendo la destra sopra la sinistra mentre la mano destra reggeva la tazzina che portava di tanto in tanto alle labbra. Sentiva la miscela arabica pervadere le proprie narici, quel sapore intenso che aveva imparato ad apprezzare anni e anni prima, prima ancora di trasferirsi in America. Aveva vissuto per un periodo in Italia, aveva appreso l'arte del caffè espresso, così diverso da quello che si poteva assaggiare in altre parti del mondo, ma così intenso da continuare ad avere quel sapore anche dopo averlo gustato. Sentiva il sapore scivolare lungo la gola, il retrogusto biscottato in alcuni casi, fino a diventare una droga per lui. Umettò le labbra l'uomo prima di rispondere alla donna che, per quanto sembrasse indifesa, era ben lontano dall'esserlo. Nascondeva timidezza con quell'atteggiamento ironico, a volte sarcastico, ma ciò da cui Ethan era attratto era i da dove provenisse tale comportamento.
  « Le avventure le vivo attraverso i miei pazienti. »
            ❪   …   ❫
  « Ci deve essere necessariamente una procedura da seguire, Miss Blanchard? E sì, è un espresso... Sembra che se ne intenda. Ha qualche desiderio in particolare? »
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edsitalia · 3 years
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EDS4
20) L'amore è un lusso
È stata la nostra ultima volta, pensavo che avrei avvertito un velo di tristezza ma quello che provo è più simile ad un senso di liberazione. 
Mi alzo dal letto sfatto dove il suo corpo addormentato giace in una posa rilassata, l’unico momento in cui può permettersi di abbassare la guardia. Raccolgo l’abito da terra e mi rivesto, lasciando per ultimi i ganci della giarrettiera che tengono le calze. Sono l’unica in paese a portare ancora calze di nylon, sono introvabili, troppo costose per la povertà che ci ha messo in ginocchio e certe frivolezze non sono più in cima alle nostre priorità. La verità è che nemmeno io me lo posso permettere, si tratta di un regalo, che insieme agli altri ricevuti, sta facendo insospettire. Sono sempre stata molto attenta a non farmi scoprire, per venire qui, entro dalla strada parallela passando per la cucina della trattoria dove lavoro, attraverso il locale ed esco dalla porta principale collegata alle camere in affitto. Qui, l’odore è sgradevole, sa di muffa e stantio, nessuno si prodiga nella pulizia di queste stanze che vengono occupate dai nazisti. Gli squadroni arrivano una volta alla settimana, piombano nelle strade con arroganza e violenza, in cerca di tracce dei partigiani che si nascondono sulle montagne. Dappertutto c'è solo fame, freddo e tanta disperazione. Dicono che la guerra la stiamo perdendo e che finirà male, ma io cerco di scacciare il pensiero perché nascosto tra quelle montagne c'è anche mio padre e con lui, i miei amici, quei ragazzini che con appena un filo di barba sono stati catapultati con scarponi buchi e divise con le toppe, a salvare una patria che non volevano nemmeno difendere. Papà è un disertore, così vengono chiamati quelli che hanno deciso di andare contro il duce, quelli che hanno scelto di salvare il popolo italiano combattendo contro questi maledetti nazisti; uomini che lottano per tenere salda la loro dignità.
Sono passate più di tre settimane ormai dall’ultima lettera di papà e iniziamo a temere il peggio, la mamma piange tutte le notti e all’alba consuma il rosario in cerca di un segno. Finge, perché io lo so che ha smesso di credere in Dio molto tempo e molto dolore fa.
Lui, è arrivato in paese un giorno insieme ai suoi sottoposti, avrebbe dovuto fermarsi il tempo di una ronda ma un focolaio di polmonite l’ha costretto a letto e a una lunga degenza. Io, come tutti in paese, ho desiderato che morisse, sarebbe stato un orrore in meno che camminava su questa terra, ma Hans sapeva come curarsi, in Germania aveva studiato medicina. Su ordine del comandante, la trattoria mi mandava ogni giorno a portargli i pasti caldi e ad accertarmi che stesse recuperando le forze, io andavo controvoglia e qualche volta ho sputato dentro il piatto prima di portarglielo, versando così il disprezzo che provavo per lui e per tutta la sua nazione.
Hans parlava un poco di Italiano e mi trattava in modo gentile, ringraziava e sorrideva quando entravo nella sua camera buia. Io lo odiavo ancora di più per questo, non rispondevo nemmeno ai suoi saluti pronunciati con quel forte accento tedesco. Finché un giorno, entrando nella stanza, l’ho trovato addormentato. Era una giornata estiva di quelle torride in cui il sudore ti si appiccica addosso e il torpore avvolge tutte le cose, il suo corpo nudo era sdraiato di traverso sul piccolo letto. Non avevo mai visto un uomo completamente nudo, le mie esperienze fino ad allora, si erano limitate a toccare senza guardare, così come il pudore ci aveva insegnato. Ma anche il pudore, con l’arrivo della guerra, è diventato un vezzo che non ci si poteva più permettere. Quella vista ha riportato in vita istinti sopiti da molto tempo, è stato come se le mie cellule venissero risvegliate da un sonno profondo. Mi sono avvicinata, come attratta da una forza magnetica e mi sono soffermata a guardare la schiena muscolosa e la curva dei glutei, sembravano duri, sicuramente allenati dalle lunghe marce. La mia attenzione è stata catturata da una serie di striature sulla pelle, segni di cicatrici da frustate e di quelle, ne avevo già viste fin troppe. Mi sono chiesta cosa avesse fatto per esser stato punito in quel modo e la mia testa ha iniziato a fantasticare trasformandolo da carceriere in vittima del sistema.
Accade così, basta un attimo, un dettaglio e i sentimenti si fanno strada bucando anche la corazza più dura. Accade così, che si abbassa la guardia.
La mia mano si è mossa da sola, volendo andare a tastare i solchi lasciati dalla tortura, con tocco leggero ho percorse le righe fino a che la sua mano mi ha afferrato il polso con forza facendomi trasalire, poi mi ha guardato dritto in faccia, prima di baciarmi. Mi aspettavo un assalto rude e invece mi ha sorpreso cercandomi con una certa dolcezza, con gesti misurati, come se volesse chiedere il permesso. La sua bocca è scesa lentamente lungo il mio collo mentre le mani mi stringevano i fianchi. Ho avvertito il calore tra le mie cosce e ho riconosciuto la fame di contatto, quel bisogno ancestrale di sentirsi vivi quando tutto il mondo intorno sta marcendo. Ho lasciato che la sua bocca scendesse sul mio seno, esposto dopo che l’unico bottone del mio vestito liso si è aperto, mentre le sue mani erano scivolate sotto la gonna e stavano già sfilando l’intimo. Con calma mi ha invitato a sedermi sopra di lui, sdraiandosi sulla schiena e offrendomi, nella sua totale nudità, la vista del suo sesso eretto e duro. La mia testa era ovattata, persa in una trance di emozioni, a differenza del mio corpo che sembrava sapere esattamente come comportarsi. L’ingresso è stato doloroso ma non tanto come immaginavo, la voglia stava facendo il suo dovere lubrificando la mia intimità. Hans aveva atteso il momento, penetrandomi poco alla volta, fino a che aveva capito di poter spingere un po’ di più. È venuto poco dopo, uscendo da me. Il suo orgasmo mi ha risvegliato dal sogno lucido che stavo vivendo, con velocità sorprendente mi sono infilata le mie mutande e sono fuggita via, il volto paonazzo e la mia voglia ancora pulsante in mezzo alle gambe. Sono corsa fino a casa e mi sono rifugiata nella stalla, dove ho lasciato che le mie mani finissero il lavoro rimasto in sospeso, esplodendo in un pianto disperato e colpevole.
Il giorno dopo sono tornata per portargli il pranzo, un po’ intimidita e decisa a non farmi toccare mai più. L’ho trovato seduto alla piccola scrivania intento a scrivere una lettera, non ha nemmeno alzato lo sguardo su di me quando sono entrata nella stanza. Me ne stavo andando, piena di rabbia e di vergogna, quando mi ha richiamato e attirandomi a sé, mi ha baciato con una passione che avevo visto solo al cinema.
È così che è iniziata la nostra storia. Mi ha istruita ai piaceri del sesso, con lui ho imparato a godere e a farlo godere.
Qualche volta mi fermo un po’ di più e parliamo, nel suo Italiano stentato mi racconta cose che con il tempo ho capito quanto potessero essere utili a tutti. Con un po’ di astuzia ho imparato a fare le domande giuste e sono riuscita a farmi dire come sono organizzati i turni di guardia, le squadre, gli addestramenti e anche gli spostamenti. A volte, con la scusa di insegnargli la nostra lingua, gli chiedo di tradurre le lettere che scrive e registro tutte le informazioni importanti. Sono diventata una spia e sono fiera di me. Quando torno a casa, riporto tutto in lettere che partono verso le montagne, passano di mano in mano con la speranza che arrivino ai partigiani e soprattutto a mio padre.
Hans dice di amarmi e io gli rispondo che lo amo anch’io ma non esiste l’amore per chi sa di poter morire da un momento all’altro, l’amore è un lusso che, chi soffre la fame e vive di paura, non si può permettere. Da quando è guarito gli capita di andare e tornare dalla città e porta con sé sempre qualche regalo: cioccolato, calze di nylon, sigarette e a volte medicine. Le porto a casa e le nascondo, so che mia madre non le accetterebbe mai, ma so che, se un giorno dovesse averne bisogno, non si farebbe troppe domande sulla loro provenienza.
Domani Hans partirà per una missione che lo porterà lontano, dice che tornerà presto ma non sa che quando lo farà non mi troverà più, anche io sono in partenza, vado sulle montagne, voglio avere notizie di mio padre prima che mia madre muoia di crepacuore.
Mi aggiusto il grembiule e mi piego per dare un ultimo bacio a quest’uomo che, a suo modo, è stato importante per me, ma il tonfo della porta che viene spalancata di colpo me lo impedisce, facendomi trasalire. I miei occhi sono sbarrati dallo stupore, davanti a me distinguo la canna di un fucile carico. Lo sparo rimbomba nell’aria, improvviso e fulmineo, seguito da un filo di fumo. Nel tempo di un attimo, il mio amante giace riverso e senza con vita, con una pallottola in fronte e la bocca aperta per il terrore. Io sono atterrita, così scossa da non riuscire a reagire né a proteggermi dal secondo colpo che mi colpisce dritta al petto. Il rumore mi esplode nelle orecchie, un ultimo barlume di lucidità mi aiuta a vedere in faccia l’uomo che, con gelida freddezza, ha messo fine alla mia giovane vita. La vista si annebbia, mi rimane solo un fiato per esalare le mie ultime parole: “Bentornato papà…”.
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     🥀📸     —      𝐍𝐄𝐖 𝐑𝐎𝐋𝐄       𝐥𝐚𝐮𝐫𝐞𝐥 𝐭𝐞𝐦𝐩𝐞𝐬𝐭 & 𝐧𝐚𝐭𝐡𝐚𝐧 𝐡𝐢𝐫𝐚𝐦       ❪    ↷↷     mini role ❫       b    o    s    c    o       22.08.2020  —  #ravenfirerpg
Rimanere costantemente indietro era una prerogativa ormai assodata per la piccola di casa Seered, e nonostante i suoi sforzi, difficilmente la cosa sarebbe cambiata e tutto sommato aveva anche i suoi vantaggi. Non avere il fiato sul collo da parte dei propri genitori era un qualcosa che Laurel aveva imparato ad apprezzare, soprattutto nell'ultimo periodo. Eppure, il bisogno di allenarsi era un qualcosa che non avrebbe mai dato per scontato. Avrebbe impiegato anni e infiniti allenamenti prima di superare il secondo livello, lo sapeva perfettamente, ma non si dava per vinta. Essere una veggente faceva parte di lei, certo, eppure v'erano momenti in cui il pensiero di essere una semplice umana affiorava leggero nella di lei mente, facendole sognare paesaggi lontani. Ma non era quello il momento di pensarci, attendeva Nathan e sapeva di non aver tempo per quei futili pensieri. Inspirò il profumo del bosco, osservò i raggi del sole filtrare tra le fronde degli alberi e si voltò quando lo vide giungere.
Nathan Hiram Lester
Nathan si era accordato con Laurel affinchè potessero fare un altro allenamento insieme. Il veggente aveva iniziato ad allenare Laurel già da un po', sebbene negli ultimi tempi i loro allenamenti non fossero costanti. Certo la situazione che si era creata nelle famiglie del consiglio non aveva aiutato e Nathan capiva perfettamente gli umori che potevano albergare in quella casa e anche in Laurel. Aveva immaginato che la ragazza potesse risentire molto della situazione, sebbene non ci fosse molto rapporto con la propria famiglia. I Seered erano probabilmente, agli occhi del veggente, una delle famiglie più strane di quelle del consiglio e spesso si era ritrovato a pensare che i veggenti non avrebbero potuto avere rappresentati peggiori. Ovviamente il tutto era riferito ai capi famiglia, non di certo ai giovani di casa Seered, che alla fine risentivano soltanto di ciò che facevano i genitori. "Ciao Laurel, come stai?" Chiese alla ragazza una volta raggiunta nel bosco. Era da un po' che non si vedevano e sentivano e, sebbene il ruolo di Nathan fosse un altro, il veggente si era sinceramente affezionato alla giovane veggente.
Laurel Tempest A. Seered
Doversi allenare era un qualcosa di totalmente innato nella famiglia dei Seered, eppure in Laurel questo accanimento non era così profondamente radicato. Sapeva di doverlo fare, di doverlo fare perfino bene se voleva ottenere dei risultati, il fatto era che non era del tutto convinta. Con ciò che era successo nei mesi precedenti, era del tutto normale che Laurel avesse voluto prendersi una pausa, ma ora era tempo di rimboccarsi nuovamente le maniche. Non aveva mai pensato di poter raggiungere i livelli dei suoi fratelli, non almeno in rapido tempo, ma sapeva che ci sarebbe arrivata con i suoi modi e i suoi tempi. Con l'arrivo di Nathan, sulle labbra della rossa si curvò un sorriso spontaneo. « E' tutto okay... Per la prima volta credo di essere arrivata prima di te, questa sì che è una novità. Tu come stai? » Il fatto che la Seered non fosse in ritardo era già un accadimento raro ma il fatto che fosse anche di buon umore aumentavano le probabilità che potesse succedere qualcosa di brutto da un momento all'altro. Essere in ritardo era ormai una sua prerogativa, ma forse quello era il primo passo per il vero impegno che il Lester si aspettava da lei.
Nathan Hiram Lester
"O che non te la svigni" Disse scherzosamente il veggente. Nathan era ormai abituato al modo di fare di Laurel, non si sorprendeva più, aveva compreso che per la rossa allenarsi e arrivare ad un livello alto non era la sua assoluta priorità e andava bene così. Nathan pensava che non per tutti fosse prioritario dedicarsi alla propria vita sovrannaturale e ambire a raggiungere livelli alti in breve tempo. Per il veggente non era stato così, ma aveva conosciuto molte persone e tutte avevano riportato esperienze diverse. Inoltre, conoscendo meglio Laurel, aveva compreso che starle addosso significava farla fuggire, mentre invece otteneva molto di più quando era lei ad essere convinta di voler fare qualcosa in più per la sua parte sovrannaturale. "Sto bene, grazie." In effetti Nathan stava decisamente meglio nell'ultimo periodo. Dopo aver chiarito le cose con Bethany, anche il suo umore era migliorato e anche il trasferimento nella casa di famiglia era andato bene. "Come vanno le cose in casa?"
Laurel Tempest A. Seered
Quante volte aveva sentito parlare di allenamenti e allenamenti da parte delle sue sorelle e da parte di Dylan? Spesso si era ritrovata perfino a roteare gli occhi al cielo nel sentire menzionare l'impegno che avrebbero dovuto avere, quante ore avrebbero dovuto impiegare per raggiungere il livello massimo, per non parlare della pressione psicologica che Edward Seered era in grado di mettere. Laurel era decisamente diversa in quel campo. Riteneva importante la sua natura sovrannaturale, una parte sicuramente importante, ma non quella che la definiva come persona. Aveva le sue passioni, un futuro ancora da scrivere, e ci sarebbe stato tempo per migliorare. Lo sapeva lei e lo sapeva il giovane che la stava guardando come sghignazzando. Ella scrollò velocemente le spalle prima di stendere le braccia verso l'altro e stirarsi come se fosse appena scesa dal letto.
« Diciamo che preferisco di gran lunga essere qui e farmi torturare da te... E' sufficiente come risposta? »
Domandò retoricamente alzando una spalla assumendo così un'espressione sarcastica. Il fatto che trovasse ogni scusa per rimanere fuori casa era ormai risaputo, ma nonostante le cose si fossero appena più acquietate il sol pensiero faceva irrigidire la rossa.
« Ehi... E tu sembri perfino di buon umore. Che fine ha fatto il Nathan scontroso? »
Nathan Hiram Lester
"Immagino che le cose non siano molto divertenti" Non che lo fossero mai state. Nathan sapeva bene che clima c'era sempre stato a casa Seered. Nathan frequentava quella casa da un po', senza contare il fatto che aveva stretto amicizia anche con Dylan e quindi conosceva il tutto anche attraverso lui, oltre che attraverso Laurel. Nathan non aveva mai apprezzato Edward, così come non aveva mai apprezzato i rappresentanti del consiglio in generale, non amava quella stupida gerarchia e tutto ciò che c'era dietro. Per molto tempo era stato anche prevenuto nei confronti di tutti i figli dei rappresentati, ma poi con il tempo, venendo a contatto con alcuni di loro, aveva cambiato idea. Solo su di loro però, sui loro genitori no. "Preferisci quello scontroso?" Sì, era vero, Nathan non era mai stato una persona molto solare, se ne rendeva conto, nè pensava di esserlo adesso, semplicemente era più tranquillo e più rilassato. Certo molte cose erano cambiate nella sua vita ultimamente e probabilmente stava incidendo sul suo umore. "Le cose vanno bene ultimamente. Tutto qui."
Laurel Tempest A. Seered
Non che le mancasse quella versione decisamente più burbera del suo allenatore, ma la Seered non sapeva come affrontare un Nathan allegro. Si limitò a ridacchiare scuotendo vigorosamente il capo prima di rispondere. Nathan era ormai parte della famiglia, almeno per lei, un punto di riferimento che sarebbe stato impossibile da sostituire e il fatto che conoscesse anche le loro vicende famigliari permetteva alla rossa di non nascondersi e non fingere. « Il termine divertente potrebbe essere l'eufemismo dell'anno, sai? E no, non mi sto in alcun modo lamentando... Però è strano, tutto qui. Ha a che fare con qualche ragazza? » Domandò senza troppi giri di parole. Laurel era da sempre curiosa, intraprendente nei confronti di quel mondo che tanto voleva scoprire e conquistare, e il fatto che fosse sempre stata lasciata indietro nelle questioni più importanti, le aveva dato modo di interessarsi anche ad argomenti decisamente più frivoli. Con una leggera scrollata di spalle, la rossa aveva terminato il proprio stretching, ma sapeva che l'allenamento sarebbe stato intenso quel giorno. Distrarsi non sarebbe stato contemplato, e sapeva quanto Nathan fosse intransigente. « Sono semplicemente curiosa. »
Nathan Hiram Lester
"Perchè pensate tutti subito a una donna?" Non che non fosse vero ovviamente, probabilmente era anche una cosa fin troppo scontata per tenerla nascosta, ma Nathan non era il tipo che parlava molto della sua vita, inoltre non aveva mai avuto una donna stabile perciò, anche questo, sarebbe risultato strano agli occhi e alle orecchi di chiunque lo conoscesse. "Lo so, sei sempre stata curiosa, ad ogni modo forse. E' ancora tutto un po'.." Non finì la frase Nathan anche perchè non sapeva definire più niente nemmeno lui, specialmente dato che capitava fin troppo spesso che i due si avvicinassero e poi si allontanassero, anche se questa volta le cose sembravano diverse. "Ora mettiamoci a lavoro o passeremo tutto il nostro tempo a disposizione a parlare e sai che non sono il tipo." Disse poi tagliando corto la conversazione. Era ora di iniziare a lavorare e allenarsi.
❪ 𝑭𝒊𝒏𝒆 𝑹𝒐𝒍𝒆. ❫
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