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storia d'amore scritto in caps un tocco di classe grazie netflix bisogna sempre sottolineare la verità
#vi rendete conto che c'è gente che ancora parla dei mimmone come dei buoni amici?#boh veramente surreali#i mimmone sono i + belli i + rilevanti i + iconici ecc ecc#e soprattutto direi AMORE VERO#mimmone#unprofessore#mimmobruni#simonebalestra#simonexmimmo#simone e mimmo
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[...]
«ho raccontato di te, il mio primo amore, al mio vero amore» dissi di punto in bianco.
si girò di scatto a guardarmi, il bicchiere di vino quasi cadde dalle sue mani tremanti, eppure non pensavo che tale frase avesse potuto portare così tanto stupore.
«mi odia?» i suoi occhi vacillarono per una frazione di secondo.
«no, ti ringrazia» dissi sorridendo.
«perchè mai?» stupore e curiosità nel suo sguardo fecero capolinea.
«non sarei la donna che sono adesso grazie a te» ed era veramente così.
chissà se mai avesse pensato a quanto la nostra cosiddetta “prima storia d'amore”, ci avesse cambiato cosi tanto nel corso degli anni, portandoci a quelli che siamo ora.
«sono felice che tu abbia trovato la tua persona, ti brillano gli occhi quando sei con lui o semplicemente parli di lui. e poi vedo come ti guarda, come se fossi la sua luce. ti merita davvero» fece un cenno al soggiorno indicando il mio compagno, nel mentre quest'ultimo giocava con i bambini dell'uomo di cui un tempo, da ragazzina, ero innamorata.
«lo so, per questo lo amo» risposi in tutta sincerità e trasparenza.
se dovessi dire il nome dell'amore, come ci si sente ad essere amati, ma soprattutto amare, direi il nome del mio compagno senza esitazione.
«perchè hai raccontato di me, la persona che ti ha fatto solo stare male?»
«se tu incontrassi una persona in grado di mettere a posto pezzi di un puzzle messi in disordine da qualcun altro, credi davvero che le importerebbe soltanto di comporre il puzzle? o che soltanto ci provasse? o che addirittura si fermi un attimo ad osservare il tavolo in cui sono cosparsi tutti i pezzi, solo per cercare di capire perché lasciare tutto lì senza nemmeno averlo finito?» ammetto che come paragone non aveva alcun senso, eppure un filo logico dietro tutto ciò era ben evidente.
«per i puzzle con tanti pezzi ci vogliono ore ad assemblarlo»
«esatto, così come il cuore rotto di una persona»
«perchè mi stai dicendo tutto questo?» sembrava ferito, o forse semplicemente si rese conto delle mie parole e ciò che intendessi dire.
«per ringraziarti. per dirti quanto mi hai fatto bene, ma allo stesso tempo tanto male. per ringraziarti di avermi fatto capire cosa voglio, ma soprattutto cosa merito. per dirti che sono diventata forte, e non sono più l'ingenua di un tempo»
«se questo nostro amore ti ha reso una persona migliore nonostante il dolore, sono davvero felice che tu stia bene. questo è l'importante»
[...]
«grazie per la cena, è stata davvero una bellissima serata. e soprattutto ringrazia tua moglie, le sue doti culinarie sono strepitose»
«grazie a te di essere venuta, era da un po' che non chiacchieravamo come ai vecchi tempi»
il primo e ultimo abbraccio dopo sette anni di puro silenzio.
un capitolo chiuso.
un nuovo capitolo da scrivere.
ecco il potere del primo amore, farti crescere e capire che il vero amore deve ancora arrivare.
[...]
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MA DI CHE AMORE PARLIAMO?
"Ma ce l'hai una fidanzata?"; "Sei sposato?"; "Quante volte hai "combinato" con una donna?"; "Cosa aspetti a farti una famiglia?".
Quante volte tra amici, colleghi di lavoro, conoscenti o in altri contesti da "bar sport", ci siamo sentiti rivolgere queste domande? E quanto volte ci siamo sentiti un poco infastiditi, anche per il fatto che domande del genere hanno sempre l'effetto di invadere la nostra sfera privata.
E sempre restando in "tema", domande tipo "Sei mai stato innamorato?"; "A che età sei stato insieme a una ragazza?", e via discorrendo, come se l'essere innamorati, essere e vivere in una determinata situazione "sentimentale", avere come unico e solo obiettivo il matrimonio o comunque il fatto di avere un amore a cui dedicare la nostra vita, fosse il più completo della nostra persona.
Ed è qui che casca l'asino! Già, perchè se continuiamo a considerare che queste siano le sole motivazioni che ci portano a completare la nostra personalità, il nostro carattere e ad aumentare la nostra autostima...direi che c'è qualcosa che non va...
E' proprio il fatto -e qui prendo un po' "a prestito" alcune considerazioni fatte più volte dalla nostra amica Elisa Renaldin-
di rimanere ancorati a vecchi schemi, a rimanere chiusi in gabbie mentali o in recinti percettivi, che ci distoglie da quello che è ciò realmente l'amore. Sì, perchè amare (o amore che dir si voglia) non è solo un verbo riferito a una persona, ma è soprattutto il considerare che è ciò che sta attorno a noi che va coltivato con affetto, parsimonia, passione e dedizione: cosa c'è di più amorevole di dedicarsi a un animale domestico? Che c'è di più bello di veder crescere delle piante di casa? Che cos'altro può esserci di migliore che non mantenere in un certo modo e a nostra immagine la nostra casa e i nostri oggetti?...ovvero: non è forse bello avere cura di ciò che ci sta più a cuore, o avere una passione per la musica, per lo sport, per qualsiasi altra forma di spettacolo o di arte? E inoltre: anche il solo amare e prenderci cura di noi stessi è la forma d'amore più alta che ci possa essere.
Perchè, come sono racchiuse in alcune belle e profonde frasi di Frida Kahlo, "Innamorati di te, della vita e dopo di chi vuoi"; oppure "L’amore è come un profumo, come una corrente, come la pioggia. Sai, cielo mio, tu sei come la pioggia e io, come la terra, ti ricevo e accolgo."
Si potrebbe citare anche Oscar Wilde con "Amare sè stessi è l'inizio di una storia d'amore lunga tutta una vita"; o ancora "Un uomo che ama se stesso compie il primo passo verso l'amore reale".
Ma c'è un'altra componente dell'amore, ed è quella legata al sesso (e qui mi rivolgo ai miei "consessuali"): quante volte, parlando e ragionando su queste tematiche e soprattutto tra uomini, si è magnificato il fatto di fare sesso (in realtà il termine è un altro, ma non scadiamo nel volgare...) come della panacea di tutti i mali? Niente di più sbagliato!
E qui si confondono sessualità e piacere con una mera, banale e vuota soddisfazione fisiologica da riempire, peraltro: si ritiene che dandosi al sesso "estremo", ogni problema per magia venga a scomparire, come se le ansie e le frustrazioni del periodo opaco che si sta vivendo in quei momenti scomparissero solo portandosi appresso una donna. E non crediate che le donne siano migliori degli uomini, in quanto frasi provocatorie, atteggiamenti persuasivi, sguardi ammiccanti e solo per soddisfare un tornaconto personale, spesso e volentieri traggono in inganno gli uomini. Ma è questo il vero amore? O anche riconoscendo che non è vero (e infatti non lo è...): sono queste le giuste soluzioni ai nostri problemi? Naturalmente NO!!!
E qui torniamo al discorso centrale e "centrato": se sappiamo cogliere l'essenza stessa dell'amore, prima di tutto amiamo noi stessi, dedichiamo a noi molto tempo in più del solito; curiamoci meglio, vogliamoci bene: ad esempio, anzichè recarci al lavoro con l'automobile e ovviamente nel limite del possibile, facciamo quattro passi. Il lavoro è troppo distante da casa? Cambiamolo, cerchiamo un luogo più vicino, è difficile? Sì se rimaniamo ancorati a vecchie credenze, a vecchi dogmi e ai soliti paradigmi; no se abbiamo il coraggio di cambiare noi stessi e di conseguenza di abbattere antichi pregiudizi; "cosa c'entra con l'amore" vi starete chiedendo...C'entra, c'entra...solo dimostrando che sappiamo amare il nostro corpo (nostro ovviamente come parte di noi stessi e non di altri, giusto per ribadire il concetto di "amore"), la nostra persona, venire incontro alle nostre esigenze che possano migliorare il nostro stile di vita...ecco, solo in quel caso, e naturalmente anche amando tutto ciò che ci circonda una volta trovata la tranquillità, potremmo davvero dedicarci all'amore, facendo bene attenzione a non scambiare questo amore con il sesso "estremo", in quanto si può amare una persona anche senza "accoppiamento fisico", ma con la stessa passione e amore che abbiamo verso di noi.
Riguardo a un altro "genere" di amore, o comunque completando il "discorso-amore": non siate delusi se la persona che ritenete di amare non vi corrisponde. Pensate solo per un attimo a quante altre persone sono in cerca di voi, e a quante persone vi amino senza che lo sappiate. Infatti, l'amore per poter esistere veramente dovrebbe "circolare", ossìa:
leggete bene la frase dell'immagine sopra. Ebbene, amare e amore non corrispondono tanto (come si è sempre creduto) essere invaghiti e innamorati di una persona, in questo caso l'amore è "fermo", "immobile".
L'amore "circolare" riguarda un po' tutte le persone, ma saper amare, innanzitutto, è anche saper fare del bene, dimostrare affetto in ogni situazione, essere spesso presenti nelle situazioni più delicate, e -come scritto poche righe più in alto- amare qualcuno anche se non corrisposto, e immaginare che altri lo siano di noi, tanto prima o poi sappiamo che quella persona che amiamo o quella persona che ci ama, prima o poi s'innamorerà di noi e viceversa.
Infine (e con questa ultima constatazione chiudiamo)e tornando all'amore che molti conoscono, quello "tradizionalmente" inteso: MAI E POI MAI proporre attimi di "follia" o di "estremismo" sessuale, ma nemmeno di semplice abbandonarsi...Infatti non si può certo programmare una relazione del genere, ma se proprio ci si vuole abbandonare a quei piaceri, invitate la persona che desiderate a bere un caffè, oppure al cinema o per ciò che preferite; se e quando la "scintilla" dovesse scattare, con naturalezza e spontaneità vi lascerete andare e potrete godere dei momenti più belli.
Ma se anche ciò non dovesse accadere, non abbiate mai fretta e ricordate che comunque l'amore prima o poi si accorgerà di voi.
Infine, come è condensato nella frase dell'immagine qui sotto:
e allora...
Buon Amore a tutte/i!!!
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Mia madre oggi, ancora una volta, ha preteso di conoscermi, di definirmi, mi ha dato della pessimista, negativa sempre e comunque, una stronza senza cuore, senza cuore. Non ha la minima fiducia in me, non l’ha mai avuta, sono sempre stata così per lei e lei non ci può fare nulla, poverina. Me lo ripete da quando ho 6 anni che non ho cuore. E io da allora mi sono tagliata le braccia e le gambe in mille pezzettini, ho pensato alla morte svariate volte e infinite altre a tutti i modi in cui avrei potuto raggiungere quel buio che dura per sempre. Una signora, prima, mentre stavo guidando, mi è passata affianco e mi ha sorriso entusiasta e fatto il gesto del pollice in su. E io l’ho mandata a cagare, non capivo e mi sono chiusa a riccio: perché è vero, sono così, negativa, me l’ha insegnato mia madre che non ci si può mai fidare degli altri e del mondo. Eppure io mi sento cambiata, l’ho capito oggi che avrei dovuto (e voluto) reagire in maniera diversa, ma non mi sono sentita senza speranza per questo, anzi, voglio perdonarmi e essere migliore ogni giorno. Non sono più quella che ha creato mia madre, soprattutto non sarò mai come lei, me lo sono promessa tanto tempo fa, non subisco più la sua influenza nelle mie scelte, Rebecca ne è la prova. Vedo il nostro amore, vedo come riesco ad affidarmi a lei, a baciarla e abbracciarla, vedo lei con me, quanto mi dà, anche se ogni tanto l’ombra di mia madre torna a odiarmi, giudicarmi e schifarmi, ma ho deciso di non ascoltarla più. Voglio solo essere felice. Se potessi dirle qualcosa se ne avessi il coraggio, tornerei bambina e le direi che volevo tanto un cane perché so che lui mi avrebbe dato tutto l’amore che lei non è mai stata in grado di avere per me ed era anche l’unico modo che conoscevo per chiederle aiuto, ma lei mi ha negato anche quello, non mi ha mai capita né ascoltata e io non sarò mai in grado di perdonarla per questo
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sempre la stessa storia
la medicina è stato il mio primo amore. Da che ne ho memoria è sempre stata parte della mia vita, chiamalo un affare di famiglia, chiamala una votazione al sacrificio che scorre nelle nostre vene.
Ho sacrificato tanto per lei e non sempre questi sacrifici ripagano, è un percorso lungo, spesso solitario e fatto di resilienza e abnegazione, ma lo rifarei, le direi ancora si, mille volte si.
Ma è un mondo difficile, soprattutto per una donna.
Come donna difficilmente sarai presa sul serio dai colleghi, difficilmente la tua opinione avrà lo stesso peso e non ti preoccupare, incapperai in tutti i cliche del caso.
non ti è permesso essere bella, elegante, truccata o tenuta perchè le reazioni saranno solo due: le donne ti diranno che non sei un bravo medico perchè un vero medico non ha tempo di pensare alle frivolezze e gli uomini... se sono lavorativamente superiori a te cercheranno in ogni modo di abusare della loro posizione per piaceri carnali. Ti assicuro che nulla ti farà sentire così sporca come ricevere quelle attenzioni e nulla di farà sentire come se tutti i successi lavorativi siano secondari a un mero tentativo per avere in cambio qualcosa di fisico e non per le tue abilità lavorative o i mille pezzi di carta che hai cercato di far su per avere il maggior numero di titoli dietro ai quali nascondere di essere una donna.
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Me ne sto in silenzio con te. Riprendiamoci l'aria, possibilmente pulita. Tutto fa a botte, tutto dev'essere preso a botte. - Ma quale gentilezza, direi adesso. Io..io che ho sempre provveduto poi a fare tutto con gentilezza. "Perché così, la gente che ti vuole male, la fotti. Non te ne accorgerai subito ma la fotti". Qui si pensa di essere fatti per pochi e diavolo quanto cʼha ragione questo pensiero mio. Puoi essere così scontata per alcune persone e per altre no..per altre che hanno la teoria "delle regole nella vita". Ed io non me ne faccio proprio niente di regole, di teorie che qui nessuno è maestro di nessuno. Nessuno dev'essere esempio. Perché sin da bambina io volevo fare la rivoluzione per me stessa e per le persone che amavo/che amo. Bisogna solo saper tacere nel momento opportuno, accorgersi di ritrovarsi magari dopo..magari quando si è un po' più placati. Non ti capaciti quando la persona a cui tieni particolarmente si sveglia con le scatole girate e ti trovi in mezzo ad onde altissime con lei. Vuoi o non vuoi. Allora ricordo quando le dissi : quattro ovaie girate in casa. No amore mio, non mi rovini niente. Non mi rovini la giornata, non mi rovini la vita. Non ci siamo scelte, abbiamo seguito il nostro senso. Uno sconosciuto mi chiederebbe : il senso di viverla? Perché no, donna mia, perché no?! Il senso di viverla e volerla vivere ancora di più, direi. Mi sdraio accanto a te, guardiamo il soffitto e inventiamo le stelle da ammirare. Cerco la calma per te, la cerco in momenti in cui ti prendono soprattutto le crisi per eventuali emicranie dopo aver pianto troppo..(io te le bacio, quelle lacrime!). Solo un attimo ancora, una boccata d'aria (sempre pulita), sospiri profondi e lunghi, sequenze di respiri a vario ritmo, i batticuori, le carezze prima dei baci: la nostra vita. Qualcosa ci darà tregua per il male che ti incombe, amore mio. Non sai se il mondo stesso sta cambiando o ti ritrovi ad essere cambiata tu per un dolore che non meriti. Non me ne sto in silenzio ora, visto? Ho tutte queste cose da scrivere, perché se non lo faccio poi mi sento morire. Mi sento morire e l'anima a brandelli quando piangi. E sentiamo sto cazzo di mondo trecentomila volte ancora di più, sentiamo tutto..mannaggia a non so chi. Che condanna! Tutto poi prende forma, la forma di come siamo io e te, rivedo la bellezza di ciò che sono con te..non so nemmeno come ma diventa vero e puro un'altra volta. Non ho paura di far vedere i miei sentimenti e lo sai benissimo: semplicemente hai il tuo modo di trasmettere quello che provi per me, che è differente dal mio; tu vuoi criptare ma mi arriva quello che senti e provi per me..io che provo a spiegarti ma poi ti dico che mi è impossibile perché c'è il (nostro indecifrabile).
Sempre con la forza, casa mia, sempre con la forza. Perché rinasciamo. Se rinasci tu, rinasco io. Perché te lo devi ed io..io non ti lascio da sola. Mannaggia a sto mondo tra guai e catastrofi...Io sto con te, io sto con noi.
- Il tuo piccolo (grande) tassello dell'indecifrabile
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13.10.2021
Alto il rischio di spoiler nel parlarne troppo: dico solo che è un ottimo action (perfettamente calibrato) con puntate azzeccate anche in altri generi.
Tutti gli attori molto bravi, soprattutto Malek, e nulla da dire sotto il punto di vista tecnico: ho apprezzato tantissimo i rimandi alla serie classica (e più di tutti quelli, ovviamente, a "On Her Majesty's Secret Service") e penso sia un ottimo modo, pure se controverso, per chiudere il reboot anche se, secondo me, non il migliore tra i cinque.
Sarà molto interessante capire cosa vorranno fare dal prossimo ma mi fermo qui se no direi troppo.
"𝕆𝕣𝕓𝕚𝕤 𝕟𝕠𝕟 𝕊𝕦𝕗𝕗𝕚𝕔𝕚𝕥"
"No Time to Die" è il venticinquesimo film della serie 007: la più longeva (59 anni) e lunga della storia del Cinema.
Film tribolato sia in produzione (convincere Craig a interpretare per la quinta volta 007 non fu facile) che nel rilascio (da Aprile 2020 ha subito almeno tre rinvii) ha tutto per essere un evento se non altro perché è la chiusura della serie reboot iniziata con il bellissimo "Casino Royale" nel 2006.
Come sapete sono un fan e per non trovarmi impreparato ho riguardato tutti gli altri ventiquattro film (possiedo il cofanetto): i primi venti a inizio anno perché era stato annunciato per il 21 gennaio (poi spostato e non fatto uscire sulle varie piattaforme perché la produzione ha voluto fortemente che la gente lo vedesse nelle sale) e gli ultimi quattro (la serie reboot) in quest'ultima settimana.
Questo per dirvi che a fine post troverete la consueta classifica che vi dico già potrebbe essere considerata controversa se non altro (ma non solo) per il primo posto occupato da quel capolavoro poco considerato, perché girato con lo sconosciuto Lanzeby, che è "To Her Majesty's Secret Service" ): film che è un unicum (o lo è stato almeno fino al reboot) perché alla fine è una storia d'amore infarcita da coraggio tecnico e autoironia.
Anyway: ci sono molti motivi per i quali la serie è divenuta iconica (le magnifiche sigle e le canzoni d'accompagnamento, la barrelgun sequence, le Bond Girl, i cattivi e i loro sgherri e così via) e molti altri che l'hanno fatta diventare un vero simbolo dei vari cambiamenti di moda, costume, stile e pure cultura (cose che si percepiscono chiaramente tanto che la saga si può dividere in quattro ere distinte).
Oltre ad avere cavalcato brillantemente certi luoghi comuni ( il mondo in pericolo ma spesso pure no, lo smoking sempre impeccabile, i personaggi ricorrenti e quelli stabili come il mitico Desmond Llewelyn e il suo Q, la Walther PPK, etc) ma anche molte difficoltà (le questioni legali all'uso del nome SPECTRE, un paio di produzioni apocrife tipo "Never say Never Again" e il passaggio della EON dalla UA a MGM,...) ma sempre rimanendo piuttosto fedele a se stessa se non in un paio di escursioni "estreme" (come "Die Another Day" e "Licence to Kill" anche se quest'ultimo aveva in Dalton forse il Bond più fedele a quello pensato da Fleming) e altrettante "bizzarre" come il "fantarealismo" di "Moonraker" e il realismo politico del bellissimo "For Your Eyes Only" ma non così l devianti.
Comunque dopo questo lungo preambolo non richiesto ecco la mia classifica aggiornata al 03 ottobre. Enjoy.
In ordine di preferenza personale (la lettera alfabetica indica l'ordine di uscita)
Legenda interpreti di James Bond
*Sean Connery
°George Lanzeby
• Roger Moore
¤ Timothy Dalton
☆ Pierce Brosnan
■ Daniel Craig
F) "To Her Majesty's Secret Service"° ("Agente 007 - Al servizio segreto di Sua Maestà", 1969) di Peter R. Hunt
G) "Diamonds Are Forever"* ("Agente 007 - Una cascata di diamanti", 1971) di Guy Hamilton
U) "Casino Royale"■ ("Casino Royale", 2006) di Martin Campbell
L) "For Your Eyes Only"• ("Solo per i tuoi occhi", 1981) di John Glen
R) "Tomorrow Never Dies"☆ ("Il domani non muore mai", 1997) di Roger Spottiswoode
H) "Live and Let Die"• ("Agente 007 - Vivi e lascia morire", 1973) di Guy Hamilton
B) "From Russia with Love"* ("A 007, dalla Russia con amore", 1963) di Terence Young
W) "Skyfall"■ ("Skyfall" 2012) di Sam Mendes
Q) "GoldenEye" ☆ ("GoldenEye", 1995) di Martin Campbell
T) "Die Another Day" ☆ ("La morte può attendere", 2002) di Lee Tamahori
J) "The Spy Who Loved Me"• ("La spia che mi amava", 1977) di Lewis Gilbert
D) "Thunderball"* ("Agente 007 - Thunderball/Operazione tuono", 1965) di Terence Young
C) "Goldfinger"* ("Agente 007 - Missione Goldfinger", 1964) di Guy Hamilton
S) "The World Is Not Enough" ☆ ("Il mondo non basta", 1999) di Michael Apted
N) "A View to a Kill"• ("007 - Bersaglio mobile", 1985) di John Glen
I) "The Man with the Golden Gun"• ("Agente 007 - L'uomo dalla pistola d'oro", 1974) di Guy Hamilton
X) "Spectre"■ ("Spectre", 2015) di Sam Mendes
V) "Quantum of Solace"■ ("Quantum of Solace", 2008) di Marc Forster
O) "The Living Daylights"¤ ("007 - Zona pericolo", 1987) di John Glen
K) "Moonraker"• ("Moonraker - Operazione spazio", 1979) di Lewis Gilbert
M) "Octopussy"• ("Octopussy - Operazione piovra", 1983) di John Glen
A) "Dr. No"* ("Agente 007 - Licenza di uccidere", 1962) di Terence Young
P) "Licence to Kill" ¤ ("007 - Vendetta privata", 1989) di John Glen
E) "You Only Live Twice"* ("Agente 007 - Si vive solo due volte", 1967) di Lewis Gilbert
Mood: Bondiano
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Quando ha detto quella frase l'ho amato. Uno così cute che in più sembra sempre tenero e cucciolo che poi se ne esce con una frase orribile (e ci riporta a com'era nella s1) cosa posso chiedere di più?. La sua stagione è finita da un pezzo e lui è sempre protagonista, il suo personaggio non si "spegne" finta la s2 ma dimostra sempre di avere tanto da dare (sì, anche quando è stronzo) Lui e Gio (ma anche Eva) sono proprio il centro di tutto. Tra l'altro è bello vedere come lui, a differenza di Eva e Gio, sia super fedele e stabile in amore, ma che nelle amicizie (soprattutto nella s1) sia stato spesso egoista e poco fedele
È una frase terrificante, che non ha scusanti, e che ci mostra Martino nel suo essere un personaggio pazzesco e sfaccettato a trecentosessanta gradi.
Ha un percorso, iniziato nella prima stagione, con il punto di svolta più importante nella seconda, ma che continua, con i suoi inciampi (e uscite come questa lo dimostrano) nella quarta.
Martino è "vero", e in quanto tale lo prenderesti a schiaffi (se un mio amico se ne uscisse con una cosa del genere gli direi di ripigliarsi) gran parte del tempo, perché è complesso, spesso irragionevole e infantile, e di contro riesce ad amare con un trasporto e una maturità rare, salvo fare delle cazzate clamorose per paura.
Ha così tanto da dire, nei suoi modi adorabili e irritanti, che io aggirerei il blocco facendo la quinta stagione su di lui, perché un'autenticità del genere in un personaggio io non credo di averla mai vista.
Mi manca in un modo che non so spiegare, mi manca la voglia di prenderlo a sprangate perché riesce a essere il peggiore degli infami e dei cretini e quella di abbracciarlo perché è un cucciolo, è coraggioso, sa essere un fidanzato e un amico incredibile.
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Romance con protagonisti non proprio simpatici o proprio cattivi
E’ stato veramente difficile stilare una lista di romance in cui il protagonista maschile è particolarmente antipatico o addirittura odioso per quasi tutta la durata del libro, perchè in realtà cerco di evitarli. Se dalla quarta di copertina intuisco che lui potrebbe essere così, ne sto bene alla larga, ma spulciando tra le mie letture più sfortunate e sentendo il parere di amiche e conoscenti, nonchè di gruppi facebook , ho trovato alcuni titoli da proporvi nel caso siate in vena di leggre un romanzo di cui odierete il protagonista. Visto che dubito che questo vi accadrà mai, la potremmo chiamre forse una lista di romance da evitare, ma anche questo saerbbe ingiusto, poichè i gusti sono estremamente soggetttivi e magari qualcuno che risulta odioso a me, magari può essere simaptico per qualcun altro.
Detto questo ecco la lista:
LA DONNA DI WARWYCK, di Rosalind Laker
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Trama: In una calda giornata del 1826, Daniel Warwyck, spregiudicato pugile da strada, compra all'asta una ragazza di nome Kate. Non lo fa per amore e neppure per assicurarsi piaceri facili. Con Kate, pensa di aver comprato le chiavi della sua eredità.Anche voi avete letto di eroi romance che avete odiato con tutto il cuore?
La mia opinione: Qui il protagonista è tremendo con la protagonista femminile, desidera per tutto il libro un'altra e ci fa un figlio, prima di decidere che forse ama la povera moglie tipo nelle ultime tre pagine. E tra l’altro per tutto il libro sa che suo fratello che è un pezzo di pane è invece innamorato di lei e lui glielo sbatte in faccia che lei è sua moglie anche se non la vuole.
UCCELLI DI ROVO, di Colleen McCullough
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Trama: La storia dei Cleary inizia ai primi del '900 e si conclude ai giorni nostri, nel grandioso scenario naturale dell'Australia. Gli anni consumano le vite in una vicenda di sentimenti e passioni, di fede e amore, sulla quale si stende grave e inesorabile il senso della giustizia divina. I personaggi - soprattutto memorabili figure femminili, tenere e orgogliose - vanno incontro al destino come gli uccelli di rovo della leggenda australiana, che cercano le spine con cui si danno la morte.
La mia opinione: La trama di cui sopra non rende molto l’idea del romanzo sarebbe più giusto descriverlo così: E’ la storia di un sacerdote combattuto tra Dio e la passione umana, che alla fine sceglie l’ambizione e di una bella ragazza dalla famiglia complicata che vuole ciò che non può avere e ne soffre ancora e ancora senza mai imparare a evitare i bastardi egoisti. In soldoni. Ma chi la fa da padrone nel libro è l’egoismo infinito di Padre Ralph che vorrebbe tutto, e in fondo direi che lo ottiene, a spese sempre degli altri. E non raccontatemi che anche lui soffre perchè in qualsiasi momento poteva fare scelte ben diverse e non ditemi nemmeno che fa una scelta difficile per fede, perchè la sua ascesa nel clero è passione politica non certo per Dio. Quante volte nel libro lui non sa qualcosa e dice ah se solo l’avessi saputo che lei era incinta o che lei soffriva o che lui aveva un figlio....Non gli è mai interessato o avrebbe indagato e chiesto in merito, invece e se ne stava per lontano da lei con la scusa della tentazione, per anni, proprio perchè in fondo non gli importava. E’ come nel film americano di qualche anno fa, il problema non è il destino avverso o la fede: il problema mia cara è che non gli piaci abbastanza!
TUTTO CAMBIERA’ (Silver lining) di Maggie Osborne
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Trama: La corsa all'oro è stata un abbaglio che ha colpito molti uomini , ma anche qualche donna. Una di queste è Low Down, che è finita sulle Rockies, ad estrarre il prezioso minerale vestita di stracci e ridotta ad un essere che definire femminile sarebbe alquanto difficile. Non c'è spazio su quelle aspre montanee per bei vestiti o dolcezza, solo duro lavoro dalla mattina alla sera, ma l'animo generoso della donna è sopravvissuto a quella dura vita e quando il piccolo gruppo di disperati cercatori viene colpito dalla malattia è lei che si prende cura di loro instancabilmente salvandoli tutti. Quelli sono uomini cinici e duri, ma pur sempre umani e concordano tutti che l'abnegazione di Low Dow deve essere premiata., perciò si riuniscono e le chiedono quale sia la cosa che più desidera al mondo. Sorprendendoli tutti la donna non nomina l'oro o qualche altra cosa materiale, ciò che vuole è un bambino. Poichè fra gli uomini c'è anche un ministro di Dio viene deciso che per avere un bambino Low deve avere un marito e tirano a sorte per decidere chi tra loro sarà lo sfortunato, visto l'aspetto non proprio pulito e affascinante di Low. La sorte decide che tocchi a Max McCord l'onore di sposarla. Proprio Max che a casa sua in pianura ha ad attenderlo una fidanzata. Poichè gli altri lo minacciano di morte non ha altra scelta che sposare Low, ed entrambi concordano che sarà solo un matrimonio temporaneo….
La mia opinione: Di questo libro mi è piaciuto molto l'inizio, la prima parte sulle montagne, meno la parte centrale, e abbastanza la parte finale. Il giudizio è positivo, intendiamoci, ma il personaggio maschile mi è stato abbastanza antipatico poichè tratta la protagonista femminile malissimo. Ok lei non è bellissima, ma gli ha salvato la vita, caspita, un pochino di gratitudine all'inizio sarebbe apprezzata. Poi anche in seno alla sua famiglia le cose non migliorano molto, ci vuole molto tempo affinchè lui apra gli occhi sulle qualità della moglie. Non parliamo poi della sua fidanzata che all'inizio mi è stata odiosa. ….. Il libro mi è piaciuto, ma meno di altri per colpa di alcun personaggi, e alla fine lui si sarebbe meritato di perdere Low perchè non la meritava! O almeno doveva strisciare e scusarsi per un anno!
THE HUMMINGBIRD di Lavyrle Spencer (Inedito in italiano)
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Trama: Una zitella con problemi economici e un grande decoro, decide di aiutare il medico del paese ad accudire due feriti: un uomo che ha tentato una rapina su un treno e colui che l’ha fermato.
La mia opinione: Lo stile di scrittura è molto buono, all’altezza dei migliori romanzi della Spencer, ma i dialoghi e il protagonista maschile non funzionano. Lui non è realistico è solo maleducato dall’inizio fino alla fine del libro, anche quando non avrebbe ragione di esserlo. E’ odioso con colei che gli ha salvato la vita e lui lo sa, con colei che lo ama e lui lo sa, e le rovina pure la possibilità di sposarsi invece con un brav’uomo. Bastardo. Lui rovina tutto il libro purtroppo.
IL GIGLIO SULLA PELLE di Rosemary Rogers
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Trama: Nell'Europa sconvolta dalle guerre napoleoniche, Marisa, una bellezza acerba e ribelle, fa perdere la testa a nobili e principi. Solo un uomo sembra in grado di tenerle testa, l'avventuriero senza scrupoli che l'ha resa donna e che la inseguirà in capo al mondo pur di conquistare davvero il suo cuore.
La mia opinione: credo che questo sia uno dei romance che meno mi sono piaciuti nella mia vita perchè qui ad essere antipatico e dire antipatico è poco, direi odioso, violento, cattivo, brutale..non è il solo il protagonista maschile, pure la protagonista femminile, seppur molte volte vittima, è parecchio antipatica. E non salvo neppure la trama di questo romanzo a dire il vero, però una cosa bisogna dirla, forse i due si meritano, anche se lui è peggio.
IMPARARE L’AMORE, di Catherine Coulter
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Trama: Inghilterra, 1277. Di ritorno dalla Francia, Severin di Langthorne, il Guerriero Grigio, trova le proprie terre devastate, suo fratello assassinato e le sue proprietà saccheggiate da bande di spietati fuorilegge. La sorte sembra tornare ad arridergli quando il ricco conte di Oxborough, sul letto di morte, lo sceglie come marito per la sua unica erede, la bellissima e indomita Hastings che, pur rispettando la volontà paterna, pensa che quell'uomo sia freddo, spietato, severo. L'affascinante guerriero, dal canto suo, è dell'idea che la moglie sia troppo testarda, irragionevole e polemica. Però ben presto nasce tra loro una sensuale e inarrestabile complicità, e sebbene siano circondati da temibili nemici spinti da invidia e cupidigia…
La mia opinione: Io non ho letto personalmente questo libro, dalla trama sembrerebbe innocuo e simile a molti altri ambientati comunque in un’epoca in cui la violenza era normale quotidianità, le donne non avevano quasi diritti e il matrimonio in fondo era un accordo economico e politico quasi sempre combinato a tavolino. Però mi è stato segnalato come libro con qulache scena disturbante di troppo, forse per il modo in cui è stata scritta. Non so se sia così oppure no, ma sembra che molte lettrici non abbiano apprezzato specie nella prima parte del libro il protagonista maschile, qui io non posso pronunciarmi.
IL CAMPIONE DEL RE, di Catherine March
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Trama: Inghilterra, 1295 Nel cuore di Eleanor Raven di Ashton, fin dall'infanzia, c'è posto solo per un uomo: Troye de Valois, cavaliere del re. Ma il valoroso campione di Edoardo I per molti anni non si accorge neppure della fanciulla, finché non ne compromette involontariamente l'onore salvandola da una vile aggressione. Per impedire che l'onta distrugga la reputazione della giovane dama, il re ordina a Troye di farne la sua legittima sposa. E così quello che Ellie credeva il sogno della sua vita si trasforma in un incubo, perché lui, ancora perdutamente innamorato dell'adorata prima moglie, la tratta con rude freddezza. Tutto sembra perduto, e quando Troye parte per andare a combattere in Scozia, Eleanor decide di fuggire da quel tetro castello in cui non c'è posto per lei. Poi però gli eventi precipitano...
La mia opinione: cosa c’è di pià odioso di un marito che pensa solo alla sua prima moglie e non alla nuova? Nulla credo.
L’EREDE DI FRIARSGATE, di Bertrice Small
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Trama: Dopo la morte dei genitori e del fratello Edward a causa di un’epidemia quando lei aveva solo tre anni, Rosamund Bolton è diventata l’erede del feudo di Friarsgate, in Cumbria. Bella e intelligente, a tredici anni Rosamund, anche se ancora illibata, rimane per la seconda volta vedova e, mira degli insidiosi desideri di molti, viene posta sotto la tutela di re Enrico. Raggiunge così la corte dei Tudor dove, fra passioni e tradimenti, la vita della giovane lady diviene specchio della sua intraprendenza, finché non giunge per lei il momento di tornare a Friarsgate con un nuovo marito…
La mia opinione: questo è l’unico libro della Small facilmente reperibile in italiano, ma non è certo quello col protagonista più odioso, è qui in elenco per rappresentare molti altri libri della Small (tipo La perla dell’Harem) che rappresentano eroine vittime di protagonisti maschili, che però sembra godano nell’essere vittime e poi imparino a comportarsi come i cattivi della situazione all’occorrenza....
L’ESTASI DI PURITY di Janette Seymour
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Trama: La bellissima Purity coinvolta in una nuova, travolgente avventura. Sola a sfidare la barbarie dei pirati d’Oriente, sola a subire la lussuria degli uomini più in vista d’Inghilterra, sola a tener testa alla temibile corsara Azizza, la donna dai capelli d’oro cerca disperatamente di ritrovare il suo unico amore... Mark. Altri uomini potranno possedere il suo corpo, ma la sua anima appartiene solo a Mark...
La mia opinione: Seymouur, Wilde,Rogers e Small sono autrici della stessa epoca, con lo stesso gusto, trame simili ed eroine e personaggi maschili simili. Non so se sia colpa del nostro gusto di lettori che è molto cambiato (ma non credo perchè leggo altri romance scritti negli anni 80 che non mi danno fastidio), ma trovo qualcosa di sbagliato nelle loro eroine oltre che nei loro eroi. Ma è gusto personale.
PETALI DEL TEMPO di Jennifer Wilde
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Trama: Quando viveva nei bassifondi la chiamavano per burla Duchess Randy perché non voleva vendere il suo bel corpo per vivere. E nessuno, nemmeno Cameron Gordon, dallo sguardo duro e dalla parola sferzante, poteva immaginare che l’indomabile ribelle condannata a servirlo per sette anni fosse una vera nobildonna. Più pericolosa, per il suo cuore di cospiratore scozzese, di qualsiasi ideale politico...
La mia opinione: avevo scordato di averlo letto, e facendo ricerche per questo post purtroppo l’ho ricordato. Qui la protagonista subisce veramente di tutto eppure continua a odiare e desiderare il protagonista che è veramente il peggio del peggio. C’è qualcosa di morboso nel loro rapporto e non mi piace.
PRINCIPE DI SPADE (Prince of swords), di Anne Stuart
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Trama: Jessamine Maitland legge i tarocchi e, notte dopo notte, predice il futuro nei salotti di Londra. Finché una sera "scopre" l’identità del Gatto, il temerario ladro che da mesi ruba gioielli e preziosi dalle case più ricche della città: Alistair MacAlpin, conte di Glenshiel. Intuendo di essere stato smascherato, Alistair vede una sola via d’uscita: sedurre Jess.
La mia opinione: alcuni dicono che gli eroi della Stuart siano a voltre troppo freddi, troppo duri, troppo cattivi, ma se li confrontiamo con i protagonisti ad esempio di Jennifer Wilde sono orsacchiotti.
#Anne Stuart#Jennifer Wilde#janette seymour#Maggie Osborne#LaVyrle Spencer#bertrice small#catherine march#rosemary rogers#catherine coulter#rosalind laker#colleen mccullough
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THAT’S ALL FOLK(LORE)
Che cos’è il genio? È fantasia, intuizione, decisione e velocità d’esecuzione. E folklore, l’ottavo album a sorpresa di Taylor Swift, è esattamente questo. È anche un capolavoro, forse IL capolavoro, ma è, prima di tutto e soprattutto, il colpo di genio teorizzato dal Perozzi di Amici miei.
Tuttavia quella definizione, declinata al 2020, è monca: bisogna per forza aggiungervi anche “noia”.
Perché più che il contratto poté la quarantena.
Mentre noi ci parcheggiavamo davanti alla tv per vedere Giuseppe Conte fare nomi e cognomi, o per cercare di carpire da Benedetta Rossi il segreto del pane fatto in casa, e poi litigavamo sulla portata del termine “congiunti”, Taylor Swift si metteva di buzzo buono e scriveva un disco. Così, ex nihilo.
Immagino sia questa la differenza che corre tra un’Artista col pedigree e noialtri comuni mortali, svaccatori seriali, rassegnati all’idea che “tanto moriremo tutti”, come ci insegnava vent’anni fa Wilhelmina Packard, e allora che senso ha sbattersi?
Deve essere bello riuscire a vedere un’opportunità in ogni difficoltà, anziché una difficoltà in ogni opportunità come invece faccio io (ma questo solo se ho gli occhiali: senza non vedo né l’una né l’altra, e allora forse non è poi tanto male).
Perché le cose sarebbero potute andare diversamente. Anche Taylor avrebbe potuto passare tuttu lu jornu a fa’ lu pà e a fettà lu ciauscolo, indossando lo zinale invece del cardigan, e con in mano lo ramarolo invece della chitarra. Meno dea dal multiforme ingegno e più vardascia. Una di noi, insomma. Ma si può accettare di buon grado un divario siffatto; si può rinunciare a una certa dose di identificabilità, se poi noi (svaccatori seriali ma col pane fresco) ne guadagniamo un disco come folklore.
Che è tutto, e pure di più.
Il 23 luglio, quando, all’improvviso, Taylor ha annunciato con un tweet che di lì a poche ore sarebbe uscito TS8, album su cui ancora non avevamo nemmeno iniziato a fantasticare, a meno di un anno dall’uscita di Lover, io ero (svaccata, cvd) sul divano a guardare i Simpson. La mia timeline, me compresa, è andata da 0 a 100 in due decimi di secondo: gente che urlava, gente che si chiedeva se fosse uno scherzo, gente che chiamava il cardiologo perché temeva di infartare, altra gente che invece chiamava il proprio ministro di culto per fare ammenda dei propri peccati perché sì, insomma, Taylor Swift che annuncia un album dal nulla, senza proclami, bandi, gride manzoniane, conti alla rovescia, indizi, senza niente di niente, è il segnale più incontrovertibile che l’apocalisse è prossima. Ancor più di una pandemia, diciamocelo, è Taylor Swift che sposta gli equilibri globali.
Già nell’agosto 2017 aveva modificato lo status Qui Quo Qua di tutto il mondo mondiale pubblicando quella misteriosa clip di un serpente per annunciare l’arrivo di reputation, ma l’agitazione provocata da folklore è di tutt’altra natura; intanto perché relativa a qualcosa di totalmente inaspettato: nemmeno nei nostri wildest dreams potevamo immaginare che in quest’anno di tribolazione e miseria avremmo avuto un regalo simile. Una cosa buona nel 2020, vien quasi da chiedersi cosa ci sia sotto.
Allo stato di febbrile eccitazione senza precedenti ha poi contribuito il cambio di genere, con una virata inaspettata dal pop all’indie folk, e il colpo di grazia l’hanno dato le otto differenti copertine dell’edizione deluxe, che è un po’ come trovarsi in pizzeria e andare nel panico perché si deve ordinare un solo piatto e non tutto il menu.
Ora, non è la prima volta che Taylor si avventura nel folk, ma la splendida Safe & Sound, scritta (e interpretata) per il film Hunger Games insieme al duo The Civil Wars, è stata fino a oggi l’unica incursione nel genere che fosse possibile portare a esempio, e sembrava destinata a restare tale per sempre. A onor del vero, già It’s Nice To Have A Friend aveva un gusto alternativo, e forse avrebbe trovato collocazione più adatta proprio in folklore che non in Lover (se non fosse che, all’epoca, folklore non esisteva nemmeno, quindi quella canzone è destinata a pagare lo scotto della sua ricercatezza con uno snobbamento generale. Chissà che ora le cose non cambino…).
Se vogliamo, un assaggio di come potrebbero apparire i testi di Taylor ammantati di sonorità diverse dalle sue tradizionali (cioè il country e il pop) ce l’ha dato Ryan Adams con il suo cover-album di 1989. Anche se l’idea di base è interessante, non si può, tuttavia, dire che l’esperimento sia riuscito. Se alcune reinterpretazioni in chiave alternative-rock dei brani di Taylor hanno funzionato abbastanza (penso a Welcome To New York, Bad Blood), altre invece ne hanno stravolto completamente la natura e il senso (Blank Space, Shake It Off), risultando banali e noiose, e comunque tutte uguali, tanto che si riesce a distinguerle l’una dall’altra solo perché si conoscono i testi. Quel che mancava a quel progetto era, tra le altre cose, il cuore: è abbastanza ambizioso prendere le canzoni di qualcuno come Taylor, che ha fatto delle emozioni (sue e, in una sorta di rapporto empatico, di chi ascolta) il proprio cavallo di battaglia, e pretendere di riuscire ad avere lo stesso impatto emotivo.
E proprio perché Taylor è una cantautrice di razza, per lei vale per forza l’espressione “se vuoi che le cose vengano bene devi fartele da solo”. O, comunque, con l’aiuto di poca gente che si sa fidata o dalla maestria indiscussa (penso a Andrew Lloyd Webber con cui Taylor ha scritto Beautiful Ghosts, che è tanto meravigliosa quanto il film cui è stata destinata, Cats, è abominevole). Ecco allora, per esempio, che tra i co-autori qui compare di nuovo Jack Antonoff, che ha collaborato con Taylor alla scrittura di alcuni suoi pezzi più belli (per citarne solo un po’: The Archer, Death By A Thousand Cuts, Getaway Car).
E il risultato, ma non c’è bisogno che ve lo dica io che sono di parte (però ve lo dico lo stesso), è fenomenale.
Ora, direi che è inutile dilungarsi ulteriormente, e andiamo al sugo di tutta la storia. Ladies and gentlemen, cari amici vicini e lontani, vardasce di ogni ordine e grado, ecco a voi
il Tomone 5.0™ . THERE GOES THE LOUDEST WOMAN THIS TOWN HAS EVER SEEN the 1
[Taylor Swift, Aaron Dessner]
La prima canzone dell’album segna un po’ il passo per tutto il resto, dando un assaggio della malinconia che, dove più e dove meno, lo pervade.
In particolare, qui si guarda al passato e ci si ferma a pensare a come diversamente sarebbero potute andare le cose (“If one thing had been different / would everything be different today?”). E sebbene c’è sì una punta di mestizia, tuttavia non c’è quel rimpianto duro e puro che si può individuare in altri brani come Last Kiss, Back To December, I Almost Do o Sad Beautiful Tragic.
Intanto, in the 1 si riflette da un punto di vista di conquistata serenità (“I’m doing good, I’m on some new shit”; “And it’s alright now”), e immagino che sia proprio per questo che non fa tanto male cercare di capire come sarebbe il presente se si fossero prese decisioni diverse. Infatti si dice che sarebbe stato “piacevole” se l’altra persona si fosse rivelata quella giusta (“But it would’ve been fun / If you would’ve been the one”), e non che la propria esistenza avrebbe svoltato definitivamente e ora non c’è proprio più alcuna possibilità che migliori e tanto la vita è miseria e poi si muore. Non è andata, pazienza. È bello da ricordare, ma nulla per cui serva a qualcosa dolersene ora.
#AlcoholicCount: 1 (rosé)
#CurseWordsCount: 2 (shit)
#FavLyrics: “But we were something, don’t you think so? / Roaring twenties, tossing pennies in the pool” cardigan
[Taylor Swift, Aaron Dessner]
cardigan è il primo singolo estratto, con tanto di video musicale girato e prodotto durante la quarantena. Non si il tormentone estivo, è semplicemente una canzone che crea l’atmosfera confortevole e rassicurante dell’abbraccio di un caldo cardigan. Checcefrega del cileno e checcefrega se è luglio. Cardigan sia.
(vorrei che sia messo a verbale che, mentre scrivo queste righe, mio fratello gira per casa gridando “Cardigaaaan, cardigaaan” sulla melodia di Sandokan)
La particolarità di questa canzone è il far parte di un trittico, insieme ad august e betty. Come Taylor stessa ha dichiarato, nei tre brani viene raccontato di un triangolo adolescenziale, di un amore giovane e immaturo destinato a disintegrarsi (“You drew stars around my scars / but now I’m bleeding”). Il triangolo è narrato da altrettanti punti di vista. In particolare, cardigan dovrebbe essere il punto di vista di quella che poi sarà individuata come Betty, che scopriremo essere stata tradita da James. Proprio qui si fa riferimento all’inseguire due ragazze e perdere quella giusta (ovviamente la diretta interessata si ritiene tale): “Chase two girls, lose the one”.
Non solo, ma c’è anche un riferimento che ricorre, qui e in betty, cioè l’immaturità giovanile: “When you are young, they assume you know nothing” e “I’m only seventeen / I don’t know anything […]”. Immaturità, dei due, che però caratterizza soltanto James: “‘cause I knew everything when I was young” sono infatti le parole di Betty. La ragazza, proprio in quanto meno scema, ha anche provato a cambiare il finale della loro storia, probabilmente perché aveva intuito che era destinato a essere — e in effetti è stato — come quello di Peter Pan (“Tried to change the ending / Peter losing Wendy”): Peter, che si rifiutava di crescere, ha dovuto dire addio a Wendy che, di ritorno dall’Isola che non c’è, è andata avanti con la sua vita.
(e comunque Peter Pan era un cagacazzo, ma chi te vòle aho #TeamUncino4Evah)
Anche il riferimento ai sampietrini (cobblestone) ricorre in entrambi i brani. Qui mi sembra quasi come se il rumore dei tacchi sui ciottoli (che si sente anche nella canzone) funzioni come una sorta di trigger, ed è per questo che Betty si trova a fantasticare su un amore perduto ma mai dimenticato (“But I knew you’d linger like a tattoo kiss / I knew you’d haunt all of my what-ifs / the smell of smoke would hang around this long”).
Quanto al video, anche questo diretto da Taylor come già quello di The Man, ha trovato l’approvazione di mio fratello (sì, quello di prima, quindi non so quanto valga ‘sta cosa). Io ho trovato di particolare impatto la scena del pianoforte quale àncora di salvezza in un mare in tempesta: mi ha fatto venire in mente la frase “People haven’t always been there for me, but music always has”.
In effetti, il video stesso potrebbe far pensare a una metafora ben più ampia: si parte da una stanzetta piccola, circoscritta e protetta (Taylor che fa musica per il gusto di farlo), poi ci si addentra — letteralmente — nel pianoforte e ci si ritrova in un ambiente più vasto e molto diverso, una foresta magica e rigogliosa (una carriera ormai avviata, il successo, sperimentazione di nuovi generi). Quello che colpisce però è la solitudine, l’unica compagnia è sempre quella del pianoforte (è una sorta di sineddoche: la parte per il tutto, in questo caso lo strumento per la musica). Tant’è che nel testo si dice chiaramente “A friend to all is a friend to none” (inutile circondarsi di tanta gente, le squad che tanto facevano parlare i media, che poi alla fine di vero non c’è nulla). Poi la tempesta colpisce, la stessa tempesta che ha portato a reputation, e infine si ritorna alle origini, si ritorna alla stanzetta, alla musica per amore della musica. E in effetti folklore, nato in un periodo sui generis come il lockdown dovuto a una pandemia, è proprio l’esempio perfetto di arte per arte. Un album nato per l’umanissima esigenza di esprimersi liberamente, e non per rispettare i termini di un contratto.
#AlcoholicCount: 1 (drunk)
#CurseWordsCount: 0
#FavLyrics: “Tried to change the ending / Peter losing Wendy” the last great american dynasty
[Taylor Swift, Aaron Dessner]
La mia canzone preferita di tutto l’album. Anche se epiphany e seven (e forse anche mad woman) (e forse anche betty) (e forse anche my tears ricochet) (ochèi, sono un tantino in difficoltà) le contendono da molto vicino la posizione più alta del podio, per ora questa persists and resists.
Il brano ha un po’ il sapore di Starlight, in quanto anche qui si raccontano le vicende di persone realmente esistite. Se là protagonisti erano Ethel e Bobby Kennedy (anche loro una dinastia americana), qui è Rebekah Harkness (con una breve menzione al secondo marito William).
Rebekah Harkness, detta Betty (ma non la stessa Betty), è stata una compositrice, scultrice e filantropa statunitense. Con immagini un po’ gatsbyane, Taylor ci accompagna attraverso un matrimonio incantevole e tuttavia pacchiano, feste eleganti e tuttavia rumorose, e poi, dopo la prematura morte di Bill, attraverso una girandola di situazioni che tradiscono lo spirito evidentemente moderno, e il temperamento estroso, della vedova (“Filled the pool with champagne and swam with the big names / and blew through the money on the boys and the ballet / and losing on card game bets with Dalí”; “And in a feud with her neighbor / she stole his dog and dyed it key lime green”). Tra l’altro, nel corso della canzone, ci si riferisce a lei con i superlativi “maddest” (la più pazza) e “most shameless” (la più senza vergogna), probabilmente giudizi che la comunità riservava a chi non viveva seguendo determinate convenzioni (una donna, per di più! Orrore e raccapriccio!).
Interessante è il riferimento a Salvador Dalì, non un semplice tocco di colore: le ceneri della Harkness, infatti, riposano in un’urna progettata dall’artista, dal valore di 250.000 dollari. Can’t relate: la mia urna potrà al massimo essere una scatola da scarpe.
Quel che mi piace della canzone è anche il legame tra la protagonista e Taylor stessa: quest’ultima, infatti, ha acquistato la casa di Rhode Island, la “Holiday House” che qui si menziona, in precedenza appartenuta a Rebekah. Un passaggio di testimone. Mi ha fatto venire in mente la serie antologica Why Women Kill, in cui la medesima abitazione fa da sfondo alle vicende dei personaggi nelle varie epoche in cui l’hanno rispettivamente abitata (1963, 1984 e 2019).
#AlcoholicCount: 1 (champagne)
#CurseWordsCount: 1 (bitch)
#FavLyrics: “They say she was seen on occasion / pacing the rocks staring out at the midnight sea / and in a feud with her neighbor / she stole his dog and dyed it key lime green” exile (feat. Bon Iver)
[Taylor Swift, Justin Vernon, William Bowery]
Non si faceva un tale parlare di “esilio” dai tempi di Ugo Foscolo, il quale si esiliava da solo ogni trenta secondi (e se ne lamentava pure), perché probabilmente non aveva di meglio da fare. Aprite infatti un social a caso, e ci sarà uno swiftie che starà struggendosi ascoltando exile. E a ragione, perché è un pezzo splendido.
Si tratta di una collaborazione con il gruppo indie folk Bon Iver. È da The Last Time, con Gary Lightbody degli Snow Patrol, che non si aveva un duetto tanto bello. Per fortuna, l’esecranda e improvvida versione di Lover con l’altrettanto esecrando Shawn Mendes è stata ben presto derubricata ad “allucinazione collettiva” ed è come se non fosse mai esistita.
La voce di Justin Vernon, frontman dei Bon Iver, bassa e vibrante, contrasta con quella delicata di Taylor, in piacevole gioco di chiaroscuri, per fondersi meravigliosamente sul finale.
Il contrasto, tuttavia, non è solo sonoro, ma anche concettuale. La canzone, infatti, offre i punti di vista di entrambe le persone coinvolte nella relazione naufragata. Da un lato, c’è chi soffre nel vedere quanto velocemente (“And it took you five whole minutes / to pack us up and leave me with it”, dove quel “five whole minutes” è ironico) l’altra persona si sia dimostrata capace di voltare pagina (“I can see you standin’, honey / with his arms around your body); dall’altro c’è chi si era resa conto che la relazione era sempre stata precaria (“Balancin’ on breaking branches”; “We always walked a very thin line”).
È un continuo rimarcare due posizioni ormai non più conciliabili: “You never gave a warning sign (I gave so many signs)”. In realtà, c’è una cosa su cui sono concordi entrambi: che la storia ormai è finita. Il ritornello, infatti, seppur con minime differenze, è lo stesso per entrambi, e viene cantato dapprima singolarmente e poi insieme.
#AlcoholicCount: 0
#CurseWordsCount: 0
#FavLyrics: “You’re not my homeland anymore / so what am I defending now? / You were my town / now I’m in exile seein’ you out” my tears ricochet
[Taylor Swift]
Il punto di vista di questa canzone è peculiare a dir poco: è quello di una persona trapassata e remota, insomma, morta hai presente la tua maestra la signorina Brenda è morta sparita per sempre morta di una morte orrenda e super dolorosa andata andata andata come il tuo cane il mio cane è morto l’ho messo sotto con la macchina quando sono arrivato tutti quelli che ami intorno a te stanno morendo. L’ambientazione, infatti è una veglia funebre, con tanto di frase cerimoniale di circostanza (“We gather here”).
Solo su questa canzone si può scrivere una tesi di laurea. Taylor ha dichiarato che il pezzo racconta di un “tormentatore incattivito” che si presenta al funerale del defunto oggetto della sua ossessione. Intanto, è curioso l’uso del termine “tormentor”. Non un amante, non una persona cara (sarebbe stata una canzone anche romantica, se così fosse stato), ma un “tormentatore”, una figura negativa: un oppressore, insomma.
Non è un caso che, stando alla teoria che va per la maggiore nel fandom, la canzone riguardi la vicenda Big Machine e le ribalderie messe in atto da quei tangheri ciurmatori di Scott Borchetta e Scooter Braun.
È indubbio che, per molto tempo, il rapporto tra Taylor e la sua prima etichetta fosse stato buono (“Crossing out the good years”), tanto che è stato un fulmine a ciel sereno vedere come sono andate a finire le cose (“Did I deserve, babe / all the hell you gave me? / ‘cause I loved you / I swear I loved you”).
Tutta la questione dei master mai restituiti (“You wear the same jewels / that I gave you / as you bury me”; “You hear my stolen lullabies”) è stato un vero picco di meschinità da parte dei pitocchi di cui sopra, e Taylor non ha potuto far altro che rendere la cosa pubblica, sollevando un polverone (“I didn’t have it in myself to go with grace”), a cui i due pisquani hanno risposto che “noooo, ma figurati se non vogliamo restituirle i master, certo che glieli restituiamo, le diamo un album vecchio per ogni album nuovo che lei butta fuori, una roba super ragionevole, quasi beneficenza, eh, in dodici, toh, massimo quindici anni è di nuovo tutto suo, che occasione ghiotta, e anzi ci feriscono molto queste accuse, è quasi come se ci volesse far passare per mentecatti, cioè, dai, non è proprio possibile, noi, mentecatti, eeeeeh” (“And you’re the hero flying around saving face” — perché, sì, ci hanno provato a salvare la faccia, più o meno nei termini esposti sopra).
Così Taylor è stata costretta a mollare baracca e burattini, a lasciare quella che è stata la sua casa fin dall’esordio, e trovare ospitalità presso un’altra etichetta. (“And I can go anywhere I want / anywhere I want / just not home”). Nel mentre, la Big Machine si è trovata economicamente con l’acqua alla gola (“And if I'm on fire / you'll be made of ashes, too”; “You had to kill me, but it killed you just the same”), avendo perso la gallina dalle uova d’oro e potendo ora contare solo sui diritti delle vecchie canzoni (“And if I’m dead to you why are you at the wake?”). Ci credo sì, che avrebbero desiderato che fosse rimasta e che ora ne sentano la mancanza (“Wishing I stayed”; “but you would still miss me in your bones”). E adesso, be’, ai due crotali tremebondi non resta che piangere la sorte abietta che si sono chiamati addosso da soli. Il verso “looking at how my tears ricochet”, infatti, io lo interpreto nel senso di un karmico rimbalzo. È una ruota che gira, le lacrime di una ora sono diventate le lacrime di quegli altri.
Come Miss American & The Heartbreak Prince è un’unica, grande metafora (il liceo per la politica), così my tears ricochet: grattando appena la superficie del letterale si apre un altro mondo. Analizzare i testi di Taylor è come cadere nella tana del bianconiglio. E come “Alice si era talmente abituata ad aspettarsi solo cose straordinarie” così a noi, dopo un ascolto di folklore, sembra “quasi noioso e stupido che la vita continu[i] sempre allo stesso modo” [Alice nel paese delle meraviglie, Newton Compton Editori, trad. Adriana Valori-Piperno].
#AlcoholicCount: 1 (drunk)
#CurseWordsCount: 0
#FavLyrics: “We gather stones / never knowing what they’ll mean / some to throw / some to make a diamond ring” mirrorball
[Taylor Swift, Jack Antonoff]
Quando uno pensa a una palla da discoteca, pensa agli anni ’70, ai luccichii, ai lustrini, ai pantaloni a zampa, alla febbre del sabato sera, alla disco music (e, se siete fan dei Simpson, anche a Disco Stu). Insomma, a roba psichedelica e spensierata. Poi è arrivata Taylor che ha detto: “Senti, cocco, reggimi un attimo la strobosfera che ne parliamo”.
Il pezzo è una ballad malinconica in cui ci si paragona a una palla da discoteca, osservata da tutti: ed è proprio per questo che l’unica preoccupazione è quella di compiacere gli altri, anche a costo di rinunciare alla propria individualità (“I can change everything about me to fit it in”; “Shining just for you”).
E il bridge è esplicativo di una vita vissuta solo per gli occhi degli altri: “I’m still on that tightrope / I’m still trying everything to get you laughing at me”; “I’m still on that trapeze / I’m still trying everything to keep you looking at me”.
#AlcoholicCount: 1 (drunk)
#CurseWordsCount: 0
#FavLyrics: “And they called off the circus / burned the disco down / when they sent home the horses / and the rodeo clowns” seven
[Taylor Swift, Aaron Dessner]
In un commento su YouTube, sotto al lyric video di seven, qualcuno ha scritto che non è che gli altri artisti non siano bravi, è solo che Taylor Swift è differente. Onestamente non avrei saputo dirlo meglio. E questa canzone — sebbene in quest’album sia difficile decidere quale brano, a livello di testo, spicchi di più — è forse la cartina al tornasole delle sue capacità di autrice.
Qui Taylor richiama alla memoria un’amica di infanzia. Il riverbero nella voce contribuisce a creare una certa lontananza temporale. Addirittura, Taylor non è nemmeno in grado di ricordare il viso della sua compagna di giochi (“And though I can’t recall your face”) tanto è il tempo trascorso (ventitré anni almeno).
La canzone è pervasa da una certa dose di levità, acuita anche da questa immagine di Taylor da bambina sull’altalena, così in alto da avere la Pennsylvania sotto di lei. Quel che più colpisce, però, è il contrasto tra contenente e contenuto. La piccola amica, infatti, vive a casa una situazione tutt’altro che leggera, tutt’altro che serena, fatta probabilmente di rabbia e di litigi. Si fa riferimento a un padre sempre arrabbiato, ai pianti e al nascondersi, forse per evitare di assistere all’ennesima lite tra i genitori. Non si faccia, tuttavia, l’errore di credere che l’evidente leggerezza della melodia e della voce di Taylor sia un segno di superficialità. È, piuttosto, il modo migliore per rendere la purezza e l’innocenza dei bambini, anche di fronte a situazioni ben più grandi di loro. Così, cosa c’è di più ovvio e di più facile, agli occhi di una bambina di sette anni, per salvare l’amica dalla sofferenza, se non proporle di diventare delle piratesse? Dopotutto, chi hai mai visto un pirata piangere o nascondersi nell’armadio? Il “then” nel verso“then you won’t have to cry” ha infatti qui un valore consequenziale.
La parte più bella e più esplicativa di questo punto di vista di infantile innocenza è tuttavia data dai versi “I think your house is haunted / Your dad is always mad and that must be why”. Il rasoio di Occam vuole che “a parità di fattori la spiegazione più semplice è da preferire”. Agli occhi di una bambina di sette anni, ignara e inconsapevole delle dinamiche che governano gli adulti, specie quelli arrabbiati come il padre dell’amica, è ovvio che la causa di quel livore non può che trovarsi nell’infestazione di fantasmi della casa in cui vivono. Insomma, che altro mai potrebbe essere? È un verso davvero semplicissimo, ma di un’efficacia incredibile.
Ora, la tematica della canzone me ne ha fatta venire in mente un’altra che mi piace parecchio, Little Toy Guns di Carrie Underwood. Anche lì c’è una bambina che è costretta a nascondersi nell’armadio, tra i cappotti, per non assistere alla scena dei suoi genitori che litigano furiosamente (“In between the coats in the closet she held on to that heart shaped locket”; “Mom and daddy just wouldn’t stop it fighting at the drop of a faucet”; “Puts her hands over her ears / starts talking through her tears”). La canzone è di certo accattivante per l’energia e la potenza della voce della Underwood, ma a livello di testo non ci sono guizzi, è tutto letterale. Taylor, invece, con molte meno parole ma accuratamente selezionate, dipinge un quadro tanto vivido quanto evocativo.
#AlcoholicCount: 0
#CurseWordsCount: 0
#FavLyrics: Before I learned civility / I used to scream / ferociously august
[Taylor Swift, Jack Antonoff]
august è la parte centrale del trittico composto da cardigan e betty. La narrazione qui è affidata all’altra ragazza, ovvero l’avventura estiva di James (quella “summer thing” che si menzionerà in betty).
La loro storia è volata via come è volato via agosto: era impossibile costruire qualcosa perché, nonostante le rassicurazioni (“saying ‘Us’”), James non era mai stato suo (“you weren’t mine to lose”).
Il collegamento con betty è evidente: “Remember when I pulled up / and said ‘Get in the car’” e “She said ‘James, get in, let’s drive’”.
La canzone mi piace ma, come agosto scivola via dal calendario, così questa mi scivola via dalla testa e, per quanto mi riguarda, fatico a ritenerla memorabile (a parte il bridge).
#AlcoholicCount: 3 (wine)
#CurseWordsCount: 0
#FavLyrics: “Back when we were still changing for the better / wanting was enough /for me, it was enough / To live for the hope of it all / cancel plans just in case you’d call” this is me trying
[Taylor Swift, Jack Antonoff]
Questa canzone mi devasta fin nei più oscuri recessi della mia anima, perché per certi aspetti (molti aspetti) sembra che mi stia descrivendo. E se da un lato è bello vedere messe nero su bianco certe sensazioni (con più eloquenza di quanto potrei fare io stessa), dall’altro mi ci fa rimuginare e quindi niente, soffroh. Perché a una che, ogni mattina, si alza e pensa che non si tratta altro che di un nuovo giorno di un’esistenza sprecata, sentire “I had the shiniest wheels, now they’re rusting” e “They told me all of my cages were mental / so I got wasted like all my potential” fa un certo effetto. E non fatemi nemmeno iniziare a parlare di “I have a lot of regrets about that”.
Particolarmente interessante è il verso “I was so ahead of the curve, the curve became a sphere”. Credo significhi che Taylor fosse così avanti agli altri che a un certo punto si è trovata a dover competere costantemente con se stessa: rectius, l’hanno costretta a competere con se stessa, e un album in meno venduto, e un biglietto in meno staccato erano prova incontrovertibile che ormai fosse finita, kaputt, ciaone (mi ricordo quell’articolo di Forbes, datato 4 gennaio 2018, che titolava “Taylor Swift Ss No Longer Relatable, And Her Ticket Sales Prove It”; ma mi ricordo anche l’articolo del primo agosto seguente, del medesimo autore, che titolava, chissà se con una punta di rammarico, “Taylor Swit’s Reputation Tour Is A Massive Success: Looks Like She’s Relatable After All”). Questo anche quando, a confronto con qualsiasi altro artista, il peggior risultato di Taylor equivale al loro migliore.
#AlcoholicCount: 1 (whiskey). E quanto a me, da astemia che sono, questa canzone mi fa venir voglia di iniziare.
#CurseWordsCount: 0
#FavLyrics: “I’ve been having a hard time adjusting / I had the shiniest wheels, now they’re rusting” illicit affairs
[Taylor Swift, Jack Antonoff]
Da vera donna del Rinascimento qual è, Taylor non si accontenta di dedicarsi al mero cantautorato poetico e fa una breve incursione nella manualistica, come già a suo tempo con How You Get The Girl. Stavolta, oggetto della trattazione sono le tresche, le relazioni clandestine e, appunto, “illecite”, per la buona riuscita delle quali si danno consigli di comportamento (come fingere di andare a correre, così che il rossore sulle guance sia attribuito all’attività fisica e non all’incontro con l’altra persona — o comunque, a un’attività fisica di altra natura, if you know what I mean).
Ma vabbè, facezie a parte. Non è la prima volta che Taylor parla di tradimenti; è un tema che ricorre: Should’ve Said No, Girl At Home, Babe (canzone poi passata agli Sugarland ma in cui Taylor canta dei versi), Getaway Car.
A differenza delle altre, però, questa canzone è di una tristezza infinita. La prima strofa ha riguardo al fatto che si è costretti a vivere di menzogne, e qualcosa che in condizioni normali sarebbe bella (il rossore sulle guance dovuto a una piacevole emozione) in questo caso non sarebbe altro che un simbolo di infamia, e come tale deve essere nascosto, o giustificato con una squallida balla.
La relazione clandestina, poi, è in qualche misura paragonata alla droga: si è consapevoli che ci sta facendo del male, ma non ci si riesce a fermare (nonostante quello che uno si ripete: “Tell yourself you can always stop”). E se mai un effetto benefico c’è stato, ormai è svanito da un pezzo (“A drug that only worked / The first few hundred times”).
Nella seconda strofa c’è un altro consiglio che si aggiunge a quelli della prima: “Leave the perfume on the shelf”, così che non si lascino tracce. Apoteosi dell’annullamento di se stessi (peggio che in mirrorball): “like you don’t even exist”.
Nel bridge c’è però un colpo di coda, arrabbiato, in cui volano parole dure, durissime parole taglienti (o di certo lo sono per lo standard di Kent Brockman di Canale 6: “Look at this godforsaken mess that you made me”; “Look at this idiotic fool that you made me”) ma alla fine si torna sempre al punto di partenza: “And you know damn well / for you I would ruin myself / …a million little times”.
#AlcoholicCount: 0
#CurseWordsCount: 0
#FavLyrics: “And you wanna scream / Don’t call me kid / Don’t call me baby / Look at this godforsaken mess that you made me” invisible strings
[Taylor Swift, Aaron Dessner]
Questo brano mi fa pensare alla leggenda orientale del filo rosso del destino, secondo cui esiste un filo invisibile e indistruttibile che lega una persona alla sua anima gemella.
(una specie di filo di Schrödinger, in effetti, visto che è rosso e invisibile allo stesso tempo)
(*tap tap* è acceso questo coso?)
Qui, però, il filo è dorato. L’oro, d’altronde, è un colore più adatto a rappresentare ciò che Taylor ci sta raccontando. Se è vero che il rosso è tipicamente associato all’amore, alla passione (ma anche alle intemperanze emotive — non è certo un caso, per esempio, che la Regina di Cuori del Paese delle meraviglie sia contraddistinta dal rosso), l’oro, per parte sua, richiama il sole, la luce, in generale sensazioni positive. È anche un colore prezioso, come prezioso è il legame che condividono i due innamorati.
È evidentemente una canzone molto intima e molto personale, con certi dettagli che fanno pensare a Taylor stessa (“Bad was the blood of the song in the cab on your first trip to LA”; “she said I looked like an American singer”) e non a personaggi fittizi come in altri brani dell’album.
In questa canzone il passato non si guarda con amarezza (“Time / mystical time / cutting me open, then healing me fine”; “Cold was the steel of my axe to grind for the boys who broke my heart / now I send their babies presents”) perché tutto è servito per arrivare alla serenità attuale (“Hell was the journey but it brought me heaven”).
Ora che mi ci fa pensare, anche io credo di avere un filo invisibile che mi lega a qualcosa, e quel qualcosa sono le patatine San Carlo lime e pepe rosa.
#AlcoholicCount: 0
#CurseWordsCount: 0
#FavLyrics: “Time / mystical time / Cutting me open, then healing me fine” mad woman
[Taylor Swift, Aaron Dessner]
Questa è, per me, una punta di diamante in un disco che non è certo composto da zirconi.
Quello che amo di questo brano è come un’incazzatura viscerale e profonda sia stata camuffata con una melodia delicata. Urlare e sbraitare rischia di passare per un semplice bluff, un gatto che si gonfia per sembrare più grande e più pericoloso, e una rabbia espressa con calma e lucidità è molto più temibile. Allora, è interessante il contrasto che si crea tra la pacatezza con cui si pronunciano i versi “Now I breathe flames each time I talk / my cannons all firing at your yacht” e l’immagine che quegli stessi versi veicolano.
Anche la prima strofa è notevole. Non ci si gira troppo intorno, si va dritti al punto: “What did you think I’d say to that?”, come pensi che avrei reagito (al torto che mi hai fatto)? È ovvio che non me ne sarei restata zitta e buona, lascia intendere Taylor. Povero ingenuo figlio dell’estate, hai presente de chi stamo a parlà? Come uno scorpione che, provocato, punge per uccidere, lei uguale. Metaforicamente parlando, s’intende (be’, più che altro si spera).
Tematicamente, trovo che vi sia similitudine con il primo, epicissimo singolo di reputation: “Look what you made me do” da una parte e “No one likes a mad woman / You made her like that”. Poi, ovviamente, le situazioni sono diverse. Se il brano precedente credo riguardasse i tentativi meschini e truffaldini di quei due peracottari di Kanye West e Kim Kardashian di affossare reputazione e carriera di Taylor, qui mi viene da pensare che riguardi invece la vicenda Big Machine, la questione dei master mai restituiti (“‘cause you took everything from me) e la tirannica condizione di un album vecchio per ogni album nuovo pubblicato, ciò che da noi si dice “contratto capestro”. Il capestro non è altro che un cappio, in inglese — wait for it — “noose” (“and you find something to wrap your noose around”). Anche se la coincidenza linguistica (qui nel senso di “identità, sovrapposizione di concetti”) è del tutto fortuita, ciò non toglie che, quale che sia il termine in uso in inglese per quella situazione, le condizioni imposte dall’etichetta precedente non avessero nulla di diverso da un cappio al collo.
Poi in realtà la canzone — ed è qui la bravura di Taylor — può adattarsi a numerose altre situazioni (come già my tears ricochet), per esempio un tradimento non professionale ma sentimentale (“She should be mad / Should be scathing like me”, perché entrambe le donne sono state raggirate dal medesimo “master of spin”). Insomma, ognuno può leggerci quel che vuole, perché i testi di Taylor, pieni di metafore, allusioni, sottostesti sono, come la creta, modellabili a seconda di ciò che, chi ascolta, ha bisogno di sentirsi dire.
#AlcoholicCount: 0
#CurseWordsCount: 1 (fuck)
#FavLyrics: “What did you think I’d say to that? / Does a scorpion sting when fighting back?” epiphany
[Taylor Swift, Aaron Dessner]
Inutile girarci intorno: ne abbiamo fin sopra i capelli della retorica, abbastanza stucchevole, che paragona la COVID-19 alla guerra. È da febbraio che osserviamo giornalisti, giornalai e finanche pennivendoli (il confine tra le categorie è molto labile) usare (più che altro abusare) un linguaggio bellico, fatto di termini come “battaglia”, “fronte”, “prima linea”, “trincea”, “eroi”, che non sai più se stai guardando il tg della sera o un documentario sull’offensiva della Mosa-Argonne.
Taylor, in questa canzone, utilizza il medesimo espediente narrativo: anche lei mette a confronto il virus e la guerra. Con la differenza, però, che lei ne ha tirato fuori un piccolo gioiellino.
(dite la verità, vi avevo spaventati, eh?)
Ha detto di aver preso spunto dalle vicende del nonno a Guadalcanal nel 1942, ma le sue parole nelle prime due strofe evocano immagini universali, non legate a un singolo episodio.
Dopo il primo ritornello, altre due strofe ci dipingono uno scenario differente, non più bellico ma ospedaliero. Qui, tuttavia, anche se resta ugualmente vaga, con i versi “Something med school / did not cover” Taylor richiama alla mente una situazione ben più specifica, quale l’emergenza sanitaria globale del 2020. Emergenza che, infatti, ha colto il mondo alla sprovvista, e ha evidenziato le carenze di chi ha dovuto affrontarla, qualcosa per cui, appunto, l’università non li aveva preparati.
È interessante notare come, al sesto verso della seconda strofa e, parallelamente, al sesto della quarta, Taylor ponga in posizione enfatica, perché all’inizio della frase, i termini “Sir” e “Doc”: questi, da un lato, servono a delineare con maggior chiarezza il contesto (un campo di battaglia e un ospedale), dall’altro rafforzano la metafora, l’accostamento delle due situazioni. In entrambi i casi c’è una autorità superiore cui appellarsi (tant’è che si tratta di un complemento di vocazione), che sia il comandante più alto in grado o il medico.
Nel brano viene anche fatto uso dell’anafora, figura retorica che consiste nella ripetizione di una o più parole all’inizio di versi successivi (“Keep your” / “keep your” ; “With you I” / “with you I”; “Watch you” / “watch you”; “Someone’s” / “someone’s”), con la funzione di sottolineare un concetto. Qui, le parole ripetute (e quindi enfatizzate) richiamano un’idea di tenacia (“keep”), di solidarietà (“with you”), di presenza verso l’altro, anche se magari non si può essere materialmente d’aiuto (“watch you”), del fatto che questi eventi coinvolgono persone che sono qualcosa per qualcuno (“someone’s” — “daughter” o “mother” che sia) e non semplici numeri snocciolati aridamente in un bollettino della protezione civile.
Infine, la strofa “Only twenty minutes to sleep / but you dream of some epiphany / just one single glimpse of relief / to make some sense of what you’ve seen” è comune a entrambe le situazioni, la guerra e la pandemia, in cui si cerca di dare un senso a quello a cui si è assistito.
#AlcoholicCount: 0
#CurseWordsCount: 0
#FavLyrics: “Keep your helmet / keep your life, son / just a flesh wound / here’s your rifle” betty
[Taylor Swift, William Bowery]
L’intro di questo brano, con l’armonica a bocca tipica del folk, mi rimanda direttamente a Bob Dylan, e allora è anche legittimo chiedersi se le risposte alle domande che pone James — il personaggio che qui parla, la canzone è dal suo punto di vista — non stiano soffiando nel vento.
Questa canzone è l’ultimo pezzo del trittico di cui fanno parte anche cardigan (che viene esplicitamente nominato) e august (e infatti si fanno riferimenti all’estate). Delle tre, è quella che di gran lunga preferisco.
James, il traditore, cerca di riconquistare Betty ammettendo sì i suoi sbagli (“The worst thing that I ever did / was what I did to you”), ma giustificandoli con l’immaturità, già accennata in cardigan, dei suoi diciassette anni (“I’m only seventeen / I don’t know anything but I know I miss you”). Ma che, davero?
(e presumo che Betty sia una sua coetanea, però non è tonta come un banchetto quanto lui) (scusa, James, ma sappi che anche se sei un cretino mi ispiri simpatia)
Di nuovo ricorrono i sampietrini, che però qui sono rotti (broken): non perché siamo a Roma sotto l’amministrazione Raggi, ma perché a essere a pezzi è lo stesso James, evidentemente pentito di essere motivo del dolore di Betty. Ma è anche vero che chi è causa del suo mal…
Un altro legame con cardigan è il portico. Betty immaginava infatti che avrebbe trovato lì il fedifrago, una volta raffreddata l’eccitazione della tresca (“I knew you’d miss me once the thrill expired / and you’d be standing in my front porch light”) ed è infatti proprio lì che James progetta di recarsi (“Will you kiss me on the porch in front of all your stupid friends?), una volta arrivato alla sua festa (ed è più di quanto abbia fatto Jake Gyllenhaal, quindi un punto per James). Comunque non credo che poi Betty se lo sia ripreso, perché la canzone finisce con “you know I miss you”, al tempo presente. Se fossero tornati insieme, immagino che James avrebbe detto “missed”.
Ora, questo mini trittico è la cosa più vicina a un concept album che abbiamo mai avuto, ossia un disco in cui si racconta una storia precisa, dove ogni canzone è un capitolo della vicenda narrata. È una tipologia di album molto in voga nel metal (penso ai Rhapsody of Fire, che nei loro dischi portano avanti intere saghe fantasy, o agli Avantasia), e mi piacerebbe davvero tantissimo averne uno di Taylor: sarebbe un esperimento interessantissimo dove lei potrà dare libero sfogo alla fantasia e noi potremo tentare di capire i contorti e insondabili meccanismi che muovono il suo cervello.
#AlcoholicCount: zero, ma tanto al party di Betty non avranno mica servito solo Crodino.
#CurseWordsCount: 1 (fuck)
#FavLyrics: “You heard the rumors from Inez / You can’t believe a word she says / Most times, but this time it was true / The worst thing that I ever did / Was what I did to you” peace
[Taylor Swift, Aaron Dessner]
Non credo che ascolterò molto spesso questa canzone in un futuro più o meno prossimo o più o meno remoto o comunque più o meno ricompreso nella vasta gamma di possibilità contemplate dalla grammatica italiana. Che in effetti sono ben poche. In realtà non so nemmeno perché non mi piaccia più di tanto, so solo che c’è qualcosa che non mi aggancia. Che ce devo fa, de gustibus.
Se, perlomeno, mi piace parecchio la parte strumentale dell’intro, tutto il resto mi suona come una nenia (parole dure di una blogger davvero strana, direbbe il già citato Kent Brockman), che mi si riprende un po’ solo nel bridge, con alcuni versi cantati abbastanza veloci come fossero uno scioglilingua (“Give you the silence that only comes when two people understand each other / family that I chose now that I see your brother as my brother”).
Questa canzone, più che malinconica, è granitica nel suo disfattismo: “No, I could never give you peace”, dove quel “No” suona come un’affermazione incontrovertibile; “But the rain is always gonna come / if you’re standing with me”.
Per altri aspetti, al contrario, Taylor sembra essere più conciliante con se stessa: “But I’m a fire and I’ll keep your brittle heart warm”. A causa delle circostanze, l’unica cosa che non si può offrire, o garantire, è la pace. Ma, forse, non potrebbe essere già sufficiente tutto il resto?
#AlcoholicCount: 0
#CurseWordsCount: 1 (shit)
#FavLyrics: “Swing with you for the fences / sit with you in the trenches” hoax
[Taylor Swift, Aaron Dessner]
Nella canzone si respira un generale senso di resa (“My eclipsed sun”; “My winless fight”; “I am ash from your fire”; “You knew the hero died, so what’s the movie for?”; “You knew you won, so what’s the point of keeping score?”; “My kingdom come undone / my broken drum / you have beaten my heart”), e ciò è innegabile. Quel che però non mi è chiarissimo è in che termini vada interpretato il brano nel suo complesso: in senso negativo o in senso positivo?
Per quanto riguarda il senso negativo, è presto detto: si canta di una relazione ormai finita che ha portato solo dolore, ma che forse non si riesce a lasciar andar del tutto (“You knew it still hurts underneath my scars / from when they pulled me apart”).
Per quanto riguarda il senso positivo (e in tutta onestà questa interpretazione mi piace di più, perlomeno è così che l’ho intesa fin da subito): c’è stata sofferenza, sì (“You knew it still hurts underneath my scars / From when they pulled me apart”), ed è per questo che Taylor non progettava di innamorarsi di nuovo, dopo le delusioni, ma è successo lo stesso, senza che potesse evitarlo. Ecco allora il significato di quel “But what you did was just as dark / darling, this was just as hard”: l’altra persona ha fatto qualcosa di altrettanto terribile di chi l’ha distrutta: ne ha rimesso insieme i pezzi (col rischio, allora, di mandarla in frantumi di nuovo: l’amore, infatti, è ancora visto come un imbroglio).
La melodia è caratterizzata da un pianoforte che ricorda un po’ una dolce ninna nanna: a maggior ragione questo mi fa pensare a un generale senso positivo del brano.
#AlcoholicCount: 0
#CurseWordsCount: 0
#FavLyrics: “You knew the hero died, so what’s the movie for” (SPOILEEEER) the lakes
[Taylor Swift … ]
La misteriosa bonus track dell’edizione deluxe che ancora non ha ascoltato nessuno.
#AlcoholicCount: ?
#CurseWordsCount: ?
#FavLyrics: ? PASSED DOWN LIKE FOLK SONGS THE LOVE LASTS SO LONG Da swiftie anziana quale sono, in circolazione dal lontano autunno del 2009 (sì, poco dopo il famoso incidente degli MTV Video Music Awards), non ricordo di aver mai visto un album che mettesse d’accordo — così tanto d’accordo — sia fan che critica. O forse è proprio perché sono anziana che non me lo ricordo, tutto può essere.
Certo, c’è sempre lo zoccolo duro dei detrattori per partito preso, quelli che preferirebbero affrontare il supplizio del toro di Falaride anziché ammettere che Taylor Swift è brava, ma a parte questa schiera di malmostosi, folklore ha riscosso un plauso trasversale.
In questo disco — nato nelle circostanze peculiari di un 2020 ammorbato — c’è tutta l’essenza di Taylor: di una persona, cioè, che ha sempre creato musica per il solo gusto di farlo. Forse è proprio questo il vero punto di forza di folklore: evidenzia come, per qualcuno, creare sia tanto necessario quanto è, per qualcun altro, fruire quella creazione. Questa seconda cosa, la quarantena ce l’ha dimostrata ampiamente: in un mondo per lo più fermo, costretti a una stasi innaturale sia mentale sia fisica e a un’incertezza paralizzante, noi tutti ci siamo rivolti ai creatori di contenuti e alle loro opere: libri, film, telefilm, musica, fumetti, videogiochi. Nei loro mondi di finzione abbiamo cercato non tanto un modo per combattere la noia imperante, quanto, piuttosto, un modo per non… qual è il termine… ah, sì, sbroccare del tutto. Quello, insomma, che si dice nella scena famosa del film L’attimo fuggente, solo che lì lo dicono meglio. Io, da parte mia, ho letto un sacco, più di quanto riesca a fare in condizioni normali, e quelli in compagnia dei libri sono stati momenti di pace di cui avevo un disperato bisogno (ecco perché dicevo che per me la quarantena è stata un’opportunità).
Ed è stato anche un modo per stabilire un’umana connessione, per quanto filtrata dalla pagina del libro, dallo schermo del computer o dalle cuffiette del nostro lettore musicale, impossibilitati com’eravamo a trovarla al di fuori delle mura di casa. Quella connessione virtuale che ha il suo tramite nell’arte, non solo durante i lockdown, è tanto più potente quanto più c’è una vocazione in chi quell’arte la realizza. In piena pandemia Taylor poteva mettersi a guardare video di gatti e a fare la pizza, e invece ha fatto folklore: non tanto per dovere o per contratto, ma per essenza ontologica. Taylor è una cantautrice, non fa la cantautrice. E credo che quest’album ne sia la prova definitiva.
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non so bene dove mi trovo, in quale strana fase della vita io sia capitata e direi che questo è l'ennesimo tentativo di rimettere insieme i pezzi.
in questi 22 anni di vita, solo due volte mi sono sentita in pace con me stessa, libera da ogni grande o piccolo brutto pensiero. entrambe le volte mi trovavo in cima a una montagna ad aspettare il momento magico dell'alba. avevo molto freddo, quasi congelavo, ma l'idea di vedere quel sole spuntare ed essere tra le prime ad assistere a quel momento, mi rallegrava molto. mi ricordo che una volta Barbara mi raccontò di quando andò a Stoccolma, dormì fuori la notte e quando si svegliò, non riusciva a muoversi da quanto freddo facesse. disse che quella mattina i raggi del sole avevano un tocco diverso, che mai erano stati così intensi. credo di aver provato la stessa cosa. ore o giorni di camminata per raggiungere quelle vette, per assistere a quel magico momento, del sole che si affaccia nuovamente su quel emisfero di terra. pace assoluta, impossibile ogni altra sensazione. si prendeva un bel respiro, si chiudevano gli occhi e non si poteva che sorridere. così tanto atteso il sole e in attimo era già lì, di nuovo in alto a riscaldare ogni cosa. una volta tornata in città guardavo il sole ancora lì, in alto, splendente e fiera pensavo: “io quel sole l’ho visto sorgere”. vedere una giornata dal primo all’ultimo raggio di sole è molto bello, dà l’impressione di aver fatto parte di qualcosa di più grande.
in Cina ero abbastanza felice, lo sono stata molte volte, tutti piccoli momenti felici che conserverò nel cuore, sempre. e ricordo soprattutto la sensazione di libertà perenne che avevo, una libertà quasi totale. avevo fatto in modo di liberarmi da ogni pregiudizio, da ogni credenza, da ogni impressione, da ogni sensazione, da ogni pensiero, da ogni piccola cosa che potesse essere da scoglio a nuove conoscenze. ricordo che mi sentivo molto più leggera, come se potessi quasi fluttuare. ricordo che camminavo per le strade vuote delle città e mi guardavo attorno con meraviglia e sorridevo, tanto. chissà cosa pensasse la gente di me, nel vedermi: una buffa ragazza con una giacca immensa che gironzolava per la città, da sola, a fotografare ogni cosa, anche quelle più inutili, con l'aria di essere la persona più tranquilla del mondo. era una sensazione nuova anche per me, così tanta tranquillità e spensieratezza, senza alcuna fretta, senza alcuna preoccupazione, senza alcuna esigenza. non provavo neanche stanchezza a dire il vero. era come se tutto d’un tratto fossi entrata in modalità “zen”, dove ogni sensazione corporale era inutile, perciò andavo in giro con gli occhi ben aperti ad assorbire la meraviglia e cuore aperto, privo di alcun tipo di paura.
tornata in Italia ero ancora piena di vita, con quella voglia di rinnovarmi, di non perdere di vista quella Lorena, serena e libera. ma purtroppo mi sono persa, ancora una volta. credo che i luoghi giochino un ruolo importantissimo, o ancora meglio, la percezione che si ha di certi luoghi. quando ero in Cina mi piaceva tanto pensare al fatto che non sarebbe stato un luogo a condizionare la versione di me che avrei voluto essere, e così era. poi però mi sono fatta soffocare dalla mancanza di libertà del lockdown, dal non poter andare a correre, da mia mamma che m’imponeva i suoi ritmi comuni di vivere la vita, dalla non più libertà. mi sono spenta. è stato allora che ho conosciuto Michael, il quale non so come, mi ha un po' fatta risvegliare. mi ha costretta a pensarmi, a ricordarmi di me, a riaccendermi. dopo mesi che parlavamo, ho finito per amarlo. io non amo quasi mai, ma le poche volte che amo, amo con tutto di me stessa, perché non conosco altro modo. ci siamo dati tanto, moltissimo. sembrava andare tutto bene, finché non abbiamo litigato, per cose molto stupide. lui se ne voleva andare, ma l'ho fermato. così è rimasto ancora un po', ma poi se n'è andato del tutto. so bene di aver commesso degli errori, di averlo ferito in qualche modo e mi dispiaccio per questo, ma so anche che non è una colpa sbagliare. errare humanum est. mi capita di pensare di aver sbagliato tutto io, ma so bene che non è la verità. Michael mi ha ferita molto andandosene: "so che è brutto da dire, ma sei un po' come un giocattolo del quale mi sono stancato".
credo sia stato questo il punto in cui mi sono rotta del tutto, in cui mi sono persa quasi del tutto. era da luglio che vivevo immersa in un senso di torpore generale. tra eccessiva sensibilità, apatia, crisi di pianto casuali. non c'era niente che volessi fare per davvero: né studiare, né guardare un bel film, né leggere un libro, né andare a fare una passeggiata, né ascoltare musica. non riuscivo più a sentirmi amata, né da me stessa né da Michael. non riuscivo più a sentire niente. Michael che mi lascia: questo dolore è stata la prima cosa che provavo dopo tanto tempo, insieme al grandissimo amore che so di aver provato per lui. vorrei tanto dire che sono arrabbiata con lui, che si è sbagliato, che non avrebbe dovuto. a primo impatto l'ho pensato, ma so anche che è giusto così: se non riusciva più a sentirsi amato da me, se non riusciva più a stare bene con me, ha fatto bene a prendere in mano la sua vita e pensare prima di tutto a se stesso. "non ti amo più" e senza amore dove si va?
era da molto che non mi chiedevo come sto, come mi sento, cosa sento. l'altro giorno mi sono messa a piangere tantissimo e mi sono accorta di sentirmi molto male, come se non valessi niente, proprio zero. uno spreco di ossigeno, un essere umano inutile. e forse è ancora così che mi sento. mi ricordo quando riuscivo ancora ad apprezzare le piccole cose belle, ad esserne felice. stamattina ho guardato nuovamente il cielo, dopo tanto tempo. mi sono detta che devo ricominciare, trovare il motivo per andare avanti in quelle piccole cose che rendono il mondo bello, perché so che ce ne sono. devo solo impegnarmi a trovarle.
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La verità, vi prego, sulla violenza domestica.
L’Italia è una Paese pieno di femminicidi. Soprattutto se, come contesto di paragone, teniamo il “Mondo occidentale”, o il “Nord del mondo”. Ultimamente l’attenzione su questa tematica si è fatta più intensa, se ne parla in TV, sui giornali, ci sono campagne informative e ci sono state diverse iniziative legislative sull’argomento. Do per buono, quindi, che condividiamo l’informazione “In Italia molte, troppe, donne vengono uccise da chi diceva di amarle” non occorre che anche io mi metta a snocciolare dati.
Chi diceva di amarle. Si usa spesso questa espressione in questi casi, non è vero? È su questo che voglio scrivere, oggi. Voglio scrivere di questo perché con il mio lavoro mi trovo a essere testimone privilegiata di questo fenomeno e la riflessione che voglio fare non l'ho letta né sentita da nessuna parte. Spesso i casi che seguo, infatti, casi di tutela minori, sono casi di violenza domestica -e do per buono che condividiamo anche il concetto che una donna uccisa dal proprio compagno o ex compagno spesso, se non sempre, è stata prima maltrattata dalla medesima persona. Non pensiamo, infatti, che tutti questi femminicidi intervengano improvvisamente in relazioni serene e sane, giusto? Questo tipo di casistica può esistere, e per quanto ne so esiste, ma si tratta di una sparuta minoranza. Nella maggioranza dei casi, il femminicidio è preceduto da qualche forma di violenza, abuso e maltrattamento: aggressioni fisiche, violenze verbali e psicologiche, abusi economici, persecuzioni, minacce. E nemmeno questi ci piacciono, giusto?
Se diamo per buoni questi due concetti, quindi:
- in Italia i femminicidi sono un problema
- i femminicidi sono in gran parte preceduti da altre forme di abuso
posso arrivare ad affrontare l’argomento come mi propongo di fare ormai da tempo.
Le coppie (genitoriali quantomeno) con cui lavoro e ho lavorato io, sono tutte coppie, per fortuna, in cui la parte femminile è vivente: non si sono verificati femminicidi, quindi. E sono tutte coppie che sono “scoppiate”: i due non hanno più una relazione sentimentale, bensì condividono solo la genitorialità -pare poco. Voglio prendere a esempio tre di queste coppie, cui attribuirò nomi di fantasia:
- Maria e Romeo
- Gianna e Francesco
- Rita e Donato
tutte italiane.
Ve le racconto brevemente. Penso possa servire, calare nel reale qualcuna di queste storie.
Maria e Romeo oggi hanno intorno ai 40 anni. Lui è un ufficiale, lei fa la commessa. Lui è di una cittadina del sud provinciale, lei di una grande città, dove lui è migrato. Si conoscono qualche anno fa, e la loro relazione procede velocemente: presto vanno a convivere, presto si sposano, presto hanno un bambino, poi un altro. Lui le mette le mani addosso, cerca di isolarla, la controlla, la umilia -questo, almeno, è quello che racconta lei, sia a noi che alla magistratura, anche se a uno degli episodi assistono due poliziotti. Pare che lui facesse così anche davanti ai bambini, che sono piccoli quando lei decide di separarsi definitivamente. Un primo ricorso congiunto per affidamento condiviso dei minori, poi un altro episodio di violenza. Ora lui è sottoposto a un procedimento penale per aggressione e minacce, e vede i suoi bambini solo alla presenza di un operatore specializzato, mentre lei è stata refertata in pronto soccorso. Entrambi devono rendere conto ai servizi sociali del loro essere genitori. Lui rischia la decadenza dalla responsabilità genitoriale, che in soldoni significa che rischia di non essere più, legalmente, padre dei suoi figli.
Gianna e Francesco, invece, sono una ex coppia più giovane, intorno ai 30. Entrambi vengono da paesi della provincia e da un ceto socio-culturale basso. Lei faceva l’operaia, ora si arrangia con lavoretti; lui dice di fare trasporti, ma non sappiamo molto di questo, perché è tutto a nero. Anche la loro storia procede velocemente: si conoscono, si innamorano, usano un po’ di sostanze insieme -ci sarà anche un procedimento penale per questo, a carico di entrambi- vanno a convivere, hanno un bambino. Lui le mette le mani addosso, insulta lei e la sua famiglia -o così sostiene lei con noi e con la magistratura. Si separano, poi tornano insieme. Lei resta nuovamente incinta e quando decide di abortire, lui la prende a calci in pancia -o così dice lei- dopodiché si separano definitivamente. Un primo ricorso per affidamento congiunto del loro bambino, poi un ricorso per affidamento esclusivo di lui, poi uno di lei, poi il Tribunale per i Minorenni (di seguito, affettuosamente, “T.M.”), e noi. Oggi i due genitori aspettano le decisioni del T.M., e noi con loro. Nel frattempo cerchiamo di mediare tra i due, dato che il conflitto tra loro è ancora caldissimo -l’ultima denuncia da parte di Gianna è di qualche giorno fa.
Infine, Rita e Donato. Rita e Donato sono la coppia più anziana del nostro piccolo campione. Ultraquarantenni entrambi quando si conoscono, vanno per i 50 oggi. Entrambi dipendenti comunali di una città, ceto medio. Anche la loro storia procede veloce: si conoscono sul lavoro, si innamorano follemente, vanno a convivere, hanno una bambina. Rita scopre che Donato ha avuto un problema con la cocaina in passato, ma sospetta che ce l’abbia ancora, perché a volte lo trova depresso e chiuso in un mutismo che non gli appartiene. Quando lo trova tutto sudato con in braccio la loro bambina di tre anni, Rita decide che basta. Donato non le pagherà mai gli alimenti, si impunterà in polemiche sterili con i giudici -ricorso per affidamento congiunto anche per loro- e verrà denunciato più volte da lei per le sue mancanze materiali e morali (lei sostiene che lui sia del tutto inaffidabile come padre). Alla fine arriva anche per loro la richiesta di indagine da parte del T.M., e ora anche per loro aspettiamo disposizioni. Anche Donato rischia di perdere la propria responsabilità genitoriale, ed entrambi, probabilmente, dovranno rispondere a noi per un bel po’.
Cosa hanno in comune queste tre coppie? Perché, mi sono chiesta tante volte, una donna maltrattata resta con chi la maltratta? Mica è scema! La risposta me l’hanno fornita proprio i più anziani tra i nostri genitori: Rita e Donato. Al primo colloquio, non conoscendoli, li invito insieme: di solito, se ci sono motivi per non voler presenziare congiuntamente, uno dei due o uno degli avvocati, ce lo farà presente dopo aver ricevuto la convocazione. Rita e Donato però vengono insieme, anche se Donato arriva in ritardo. Una cosa mi colpisce subito di questa “coppia”: si amano, mi dico! Durante tutto il colloquio c’è una straordinaria sintonia tra i due, che non possono fare a meno di sorridersi quando si guardano negli occhi. Ridono, perfino, insieme, di questa situazione così poco simpatica. Sembrano due ragazzini innamorati che ridono, imbarazzati ed eccitati, per il solo fatto di essere l’uno alla presenza dell’altro. Si amano, si stanno simpatici, si piacciono, e questo sentimento è palpabile per me, una totale sconosciuta. E Gianna e Francesco? Che sono tornati insieme e hanno concepito un altro bambino dopo che già c’erano state violenze? Qualcosa, anche tra loro due, deve esserci o esserci stato. Una elettricità, una energia, una carica erotica. E così anche tra Maria e Romeo. Lui che arriva e si presenta come un principe azzurro, un uomo un po’ all’antica che la conquista con i suoi modi galanti e il suo desiderio di fondare una famiglia, in una società così slabbrata, in cui i legami sono così ambigui e deboli. Qualcosa, in ciascuno di questi “altri” ha promesso a quella donna o a quella ragazza quel qualcosa che lei desiderava nel profondo di se stessa: sicurezza, eccitazione, amore. E i maschi? Lo stesso per loro, ma certo! Sentimenti, sensazioni, promesse di cura e di vicinanza. L’unica differenza, l’unico problema, è che ai maschi insegniamo che non è loro concesso essere fragili -solo forti, quindi arrabbiati o indifferenti; e alle femmine insegniamo a ignorare sistematicamente le proprie esigenze e a fingere che tutto vada bene.
Cosa abbiamo di fronte, allora? Tre donne che hanno fatto “le crocerossine”?
Questa è un’altra cosa che si dice spesso, quando una donna sta con un uomo fragile e poco consapevole. Io, per indole, mi ribello sempre un po’ a questi concetti pret-a-porter. Sono donne che volevano salvare uomini fragili, queste? Quando ci innamoriamo di persone fragili stiamo agendo una nostra parte narcisista che si sente bene ad assistere un bisognoso? Chi di noi non si è presa una cotta per un tipo un po’ borderline, “sbagliato”, che nel migliore dei casi ci dava un circuito sadomaso di piacere-e-dispiacere? Eravamo crocerossine -quindi sciocche, illuse, dotate di bassa autostima- o magari quella persona e non un’altra ci dava, in quel momento, lo stimolo di cui avevamo bisogno, per quanto questo potesse essere difficile da capire per gli altri?
La verità è che la razionalità ci ha preso un po’ la mano. E l’ingegneria sociale che su essa si fonda, anche. Stiamo nutrendo una narrazione secondo la quale occorre costruirci una vita la più sana e la più sicura possibile, come se il nostro compito evolutivo fosse solo la conservazione eterna. Ma vi do una notizia: anche morire è un compito che la natura ci ha affidato. L’essere umano è anche -soprattutto, direi- irrazionalità. La razionalità è uno strumento che abbiamo sviluppato in un secondo momento per proteggerci. Ma cosa succede quando ha il sopravvento?
Il più naturalista degli scienziati, Darwin, scrive nella sua autobiografia, che, se potesse tornare indietro, dedicherebbe dei giorni della settimana alla musica e all’arte, per coltivare la sua “anima” -irrazionale- in quanto questo avrebbe reso più completa e “potente”, ricca,la sua mente razionale.
No: Maria, Gianna e Rita non sono pazze, né sceme -non più di tante altre. Sono donne che si sono innamorate di uomini che davano loro un tipo di stimolo che a loro serviva e che non trovavano, in quel momento, in nessun altro. A volte un cocainomane, un depresso o un “fragile” sono semplicemente più interessanti degli altri, e questo è quanto. Hanno qualcosa in più da dire. Hanno qualcosa di profondo e complesso da condividere, e noi di quella complessità, a volte, abbiamo bisogno.
“Uccisa da chi diceva di amarla”, allora, o “Uccisa da chi la amava a modo suo, come riusciva”? So che probabilmente queste parole scandalizzeranno qualcuno. Però è così, se depuriamo il pensiero da moralismi. Non stiamo a sindacare, quindi, su come gli altri amano, signori, e scendiamo un po’ da sto piedistallo, che non serve a nessuno, tanto meno alle vittime di violenza. No: riconoscere la bontà, la verità, dei sentimenti coinvolti in queste situazioni è il primo passo perché razionalità possa instaurarsi in tutti i protagonisti, tramite un processo di autodeterminazione e riappropriazione dei propri “poteri della mente” -come avrebbe detto il buon Bruner- con il risultato di proteggere se stessi e gli altri. Perché più cerchiamo di escludere l’irrazionale dalla nostra vita e più quello ci tornerà addosso come un boomerang per prenderci a schiaffi.
No, la violenza sulle donne non si combatte negando i sentimenti loro e dei loro compagni ed ex compagni, né degradandone i comportamenti -e con “comportamenti” non intendo le violenze, che vanno ovviamente stigmatizzate, ma i comportamenti che ciascuno ha in amore. La violenza (tutta e in particolare quella domestica e di genere) si combatte educando tutti a non censurare le proprie esigenze ed emozioni, e usando la razionalità come strumento protettivo.
E la tutela dei minori? Come la perseguiamo? Magari, non dico non procreando con tale velocità, ma almeno essendo preparati alle onde di un destino che è tutto fuorché razionale.
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Sto cercando di smettere di drogarmi di persone. È difficilissimo. Sono romantica e incline alle dipendenze. E quando stai continuamente male per qualcosa, alla lunga ti stanchi. Ti dici: non posso andare avanti così. Voglio stare bene. Io sto provando a smettere, ma ho già collezionato svariati tentativi falliti.
Disintossicarsi dalle persone non è come smettere con l'alcol o con le droghe. Da alcolizzata, ci sono delle chiare barriere su cosa posso e non posso fare. Non posso mandare messaggi all'alcol. Non ricevo foto intime dagli spacciatori. In più, l'alcol e le droghe avranno anche invaso l'America, ma mai quanto le persone. Le persone sono ovunque. Persone attraenti. Puoi astenerti dall'alcol e dalla droga, ma non dalle persone.
Penso che tutti abbiano il diritto di amare, anche chi, come me, sta cercando di uscire da una dipendenza da altre persone. Ma non sono qua per parlare di amore. Sono qua per parlare di come le persone diventino una droga, per me. Ci ho messo un po', ma comincio a capire la differenza tra le due cose: persone, e persone da cui sono dipendente. Adesso quando mi lascio ossessionare da qualcuno senza neanche conoscerlo (o senza averlo mai incontrato) mi suona subito il campanello d'allarme. Allarme rosso. Quando riconosco i segnali, prendo le distanze.
Prendere le distanze è triste. Non c'è niente di poetico. Non c'è opera d'arte ispirata al tema. Io voglio credere nell'esistenza dell'amore a prima vista. Ma mi innamoro a prima vista tutti i giorni. Mi innamoro anche al primo messaggio spinto. Non ne ho mai abbastanza. Ovviamente più mi faccio trascinare, più dura è la ricaduta.
Qualche giorno fa ho bloccato la persona-droga più potente di tutta la mia rubrica. È stato difficile, soprattutto perché è una droga che si è sempre comportata bene con me, mi ha sempre rispettata.
Era amore vero. Direi che eravamo tutti e due innamorati, ma anche che abbiamo entrambi sbagliato. Ho sofferto molto—nonostante l'amore—perché, non importa quanto stupenda sia l'altra persona, una droga rimane sempre una droga, non può cambiare. Ad alimentare la dipendenza era la distanza, e altri fatti, per cui era chiaro che non avremmo mai potuto stare insieme. Nessuno dei due era pronto. Vivevamo in un perenne stato di desiderio—uno stato quasi commovente—un po' come l'Ode su un'urna greca di Keats, ma con iPhone.
La verità è che erano la distanza e il fatto che nessuno dei due fosse pronto a rendere quella persona così tossica. Volevo molto più di ciò che avrebbe mai potuto darmi. Quando non mi arrivava un suo messaggio mi sentivo male, una vera astinenza. Quando ricevevo un suo messaggio, diventavo improvvisamente euforica. Ma l'euforia durava solo fino a che non rispondevo. Poi tornavo di nuovo ad aspettare, e stavo di nuovo male.
Avevo già provato a smettere un sacco di volte, ma cedevo sempre. Se non tornavo io, lo faceva la persona-droga. E se la persona-droga mi mandava un messaggio, dovevo rispondere. Non volevo "ferirlo."
Avevo davvero paura di ferirlo? Non lo so. Forse avevo soltanto paura di come mi avrebbe giudicata se non gli avessi risposto, temevo che mi avrebbe considerato una stronza e non una persona stupenda. O forse avevo solo paura di smettere.
Alla fine, il dolore di aspettare i messaggi è diventato più forte delle botte di felicità che ne ricavavo. Quindi ho annunciato il mio addio finale. Ho bloccato il suo contatto.
È seguito un periodo di sofferenza molto più profondo, più di tutte le altre volte che avevo provato a chiudere. Ho pianto per morti avvenute 15 anni prima. Ho pianto per il fatto di dover crescere (ovviamente il dolore non riguarda mai solo la persona da cui si è ossessionati, ma cose successe anni e anni fa).
Qualche settimana fa, però, mi sono accorta che stavo bene, meglio di tutte le altre volte in cui lo avevo lasciato. Quando lo sognavo, non erano più sogni di desiderio e dolore. Anche nel mondo onirico sapevo che non eravamo fatti l'uno per l'altra. Ho sognato che volavo sopra casa sua in un elicottero. Lui si affacciava e mi chiedeva di entrare dal soffitto. Io rifiutavo. Ero come se fossi riuscita a liberarmi di lui anche nel mio inconscio, mi sentivo forte e libera.
Poi, la droga si è fatta risentire. Due volte. Può essere che abbia percepito che ero guarita, e non voleva che lo dimenticassi. O forse non voleva che io mi sentissi dimenticata. Nessuno vuole essere dimenticato.
La prima volta, ha commentato un mio post su Facebook. In passato, tutte le volte che lo faceva andavo su di giri. Ma questa volta non me ne fregava niente. Anzi, avrei preferito non l'avesse fatto. Dovevo mettere mi piace? Se non lo avessi fatto, sarei sembrata fredda. Ma se lo avessi fatto, avrei infranto la mia regola del "niente contatti" e magari lo avrebbe preso come un incoraggiamento a contattarmi di nuovo. Non ho messo nessun mi piace, e sono stata fiera di me.
Qualche giorno dopo, mi ha mandato una serie di messaggi su Facebook. Non sapevo che fare, e ho deciso di ignorarli.
Non ho aperto Facebook per due giorni. Poi ci hanno pensato i suoi messaggi alcolici e grammaticalmente sconnessi ad alimentare nuovamente la mia ossessione [per l'occasione ho ricostruito la corretta grammatica dei messaggi].
Mi ha detto: È difficile non scriverti, chiaramente sono ancora innamorato.
Ha continuato: Annuso le tue cose e mi piace tantissimo... in senso romantico.
Ancora: Mi sono già pentito di questa conversazione...comunque devo dirti che...più tempo passa più capisco il mio errore...ti amo tanto...sto piangendo...sei il mio essere umano preferito...scusa sono a Marrakech... sono ubriachissimo
Ho capito che anche lui aveva qualche problema di dipendenza. Se riesci a stare dietro, anche solo per un po', alla mia ossessività, non puoi essere completamente normale.
Un altro messaggio: Ti ho persa, mia regina. Volevo solo farti sapere che sei la migliore e spero di scomparire e basta—non c'è bisogno che mi rispondi.
Ancora: Per favore, ignorami. Devo lasciarti in pace. Scusa davvero :/
Mi piacerebbe poter dire che l'ho ignorato. Questo articolo dovrebbe parlare di me che lo ignoro. Ma ovviamente non ho resistito a lungo.
Ho detto: Per favore non scrivermi cose del genere da ubriaco, ora come ora sono molto fragile e non sono un oggetto (che credo sia una cosa ipocrita da dire, perché qualche volta sono io che ti ho trattato come un oggetto).
Poi: È facile dirmi che mi ami ora che abbiamo chiuso e sei a migliaia di chilometri da qua.
E anche: Me lo diresti anche se mi avessi davanti?
Poi: Non credo proprio.
Non ci credevo davvero. E anche se mi ha risposto di sì, non significava che era vero. Ma ovviamente io volevo solo che dicesse di sì, anche se non l'avrebbe mai fatto. Nemmeno io l'avrei mai fatto.
Mi ha scritto: Non so che fare e so che non è giusto ma mi manchi.
Gli ho detto di non contattarmi mai più
Poi c'è stato un momento di pausa, in cui ho pensato a quello che avevo appena fatto. Mai più. Non solo stavo buttando nello scarico una bustina di droga, la stavo eliminando completamente dalla mia vita.
Ho detto: Lol mi dispiace che sia finita così.
Poi: T__i prego dimmi ciao lol.
Non so perché continuavo a scrivere lol. Stavo piangendo.
Mi ha risposto: Da ora in avanti per te sono morto, bloccami e basta.
Poi: Pensavo che non mi sarei mai abbassato a fare queste cazzate da ubriaco, sono uno stronzo. Dovrei imparare a stare zitto. Ciao.
È stato il finale più triste del mondo. Adesso vorrei contattarlo e dirgli un attimo__! Voglio un finale migliore. Ma un finale migliore non esiste. Il finale perfetto è un lieto fine, perciò non è una fine. Il finale perfetto alimenterebbe solo la mia compulsione. Quindi mi tengo questo finale imperfetto e faccio finta che sia perfetto.
Adesso sto di nuovo male. Nella testa ho un buco nero nel quale vorrei nascondermi dalla vita. Quel buco nero è pieno di voci che mi dicono che insieme eravamo perfetti. A me sembra che quelle voci dicano la verità, perché sono una drogata e vedo quello che voglio vedere. Non so se riuscirò mai a riempire quel buco nero. Ma ce la sto mettendo tutta, almeno per non ricaderci dentro.
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Comunque non è vero che noi donne ci innamoriamo sempre degli stronzi.
L., il mio ragazzo dell'università, non lo era davvero.
Solo... non amava il 'posto fisso', nel lavoro come nella vita, ma viaggiare, e così si è scelto una professione che lo ha portato in giro per il mondo. Io forse non ero pronta allora a mollare tutto e seguirlo, e poi sognavo ancora di laurearmi.
Era inevitabile che ci allontanassimo.
Neanche P. era uno stronzo. Il mio grande amore. Ci conoscemmo al lavoro. Lui, un socio del circolo, giocatore di tennis.
Solo... io avevo 25 anni e lui 40. Nonostante avessimo molte cose in comune - l'amore per i libri, il teatro, il cinema, la musica, le stesse idee politiche... più o meno - i percorsi di vita erano totalmente diversi.
Sessantottino, divorziato, molte esperienze, viaggi... e io invece mi stavo affacciando alla vita... non poteva durare...
E infine A. Neanche lui lo era.
Solo... le relazioni a distanza sono difficili da gestire. Da portare avanti.
Soprattutto quando vivi vite incasinate. Sarà per quello che ci siamo avvicinati, allora, e deve essere anche stato il motivo per il quale abbiamo finito per perderci.
Perciò, nonostante tutto, direi che a tutt'oggi il bilancio è ancora positivo.
Sfatiamo questo mito!
Buona serata.
Barbara
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42.
Tranquillo mio Lucifero, ti risparmio i dettagli. Non ti racconterò una storia smielata, so che non ti piacciono. Anzi, a dire il vero sarò breve.
La storia parla di noi, e ha lo scopo di raccontarti ciò che ti sei perso di me.
Quel bacio aveva riacceso qualcosa in noi. Del resto eravamo stati l’uno il primo amore dell’altro, e soprattutto per entrambi, in quell’anno e mezzo non c’era stato nessun’altro.
Per quanto mi riguarda 1-2 volte, avevo anche provato a “conoscere” nuove persone. Ci parlavo per qualche tempo, ma mi annoiavano. Purtroppo mi annoio facilmente, e non mi piace trascinarmi dietro situazioni che non mi entusiasmano.
Avevamo condiviso tanto, ed eravamo cresciuti insieme. Ci conoscevamo così bene io e lui. Sapevamo benissimo pregi e difetti dell’altro, gusti e abitudini. Sfiorarsi dopo così tanto tempo aveva riacceso qualcosa.
Quel bacio aveva mostrato che tra noi c’era ancora un legame, e lui voleva recuperarlo quel legame; significava questo il suo invito.
Dopo quel caffè insieme, continuammo a vederci. Diceva che era cambiato, era cresciuto e si era pentito davvero di quello che aveva fatto. Dopo tutto quel tempo lontani ammise che non mi aveva saputa valorizzare, e dare le giuste attenzioni. Era cambiato, era un altro, diceva.
Ovviamente queste erano le sue parole, ed io non potevo sapere realmente quanto fosse cambiato. Nel frattempo gli concedevo il beneficio del dubbio.
Inizialmente c’era un bel po’ di diffidenza da parte mia, e direi che era più che motivata.
Non potevo permettere nuovamente che facesse ciò che aveva già fatto, che mi mancasse di rispetto ancora. Ci avevo messo così tanto ad amarmi di nuovo, e non potevo ritornare al punto di partenza.
Iniziammo a trascorrere del tempo insieme, e se da un lato era come se avessimo ripreso da dove avevamo lasciato, dall’altro era un riscoprirsi.
In quel mese di aprile del 2019, ritornammo insieme. Decidemmo di riprovarci e concederci una seconda opportunità. Ero convinta che quando qualcuno perde qualcosa che reputa di gran valore, se poi ha modo di ottenerla nuovamente, bada bene a non lasciarsela sfuggire ancora. Se la tiene stretta, e ne ha cura. Soprattutto credevo che il passato potesse essere messo da parte, andare avanti.
Dopo qualche giorno dalla nostra decisione essere, ebbe la notizia che il concorso che aveva fatto era andato a buon fine; si avverava il suo sogno di intraprendere la vita militare. Ne ero contentissima. Quando gli fu comunicata questa cosa, mi chiamò; quel giorno piangemmo insieme al telefono.
Nonostante tutto, quando si trattava delle sue vittorie, io ne gioivo con lui. Mi si riempiva il cuore di gioia a vederlo raggiungere gli obiettivi di cui avevamo parlato fin da quando eravamo poco più di due 15enni.
Ero una bellissima notizia, ma la vita da soldato, implica la distanza. Non era l’ideale per due che si erano appena rincontrati.
Mi disse che quella era la sua scelta di vita, ma non poteva imporla a me. Io potevo decidere, e se non mi stava bene non ero obligata a quello stile di vita.
In quel momento pensai che anche quella volta ero arrivata in ritardo. Spesso mi accompagnava questa sensazione di arrivare troppo tardi, come se il mio tempismo fosse sempre sbagliato.
Avevo due possibilità; fare un passo indietro, o farne uno in avanti, e lanciarmi in qualcosa di completamente nuovo.
Potrei sembrarti una che gioca sempre sul sicuro, ma ti sbagli. Sono sempre stata razionale, un po’ calcolatrice, e amo avere il controllo della situazione, questo è vero. Però quando si tratta di ciò che mi sta a cuore, non mi tiro indietro. Non sono una che scappa. Mi lancio nel fuoco, consapevole che le fiamme potrebbero avvolgerti del tutto.
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Caro futuro marito...
Tu ancora non esisti, né so se mai esisterai, ma sono giorni che aggomitolo sensazioni e sentimenti che non posso più tenere in un angolo.
Non mi vendo, né mi svendo, semplicemente attendo. E in questa rassegnata attesa, lascio questo messaggio al vento caldo, quello dei primi giorni d'estate, lento e delicato, a pari passo con il tempo.
Sono una persona empatica, sensibile e profonda, una matura indagatrice dell'anima, pur mantenendo ancora l'instancabile curiosità, la perenne meraviglia e la fervente fantasia della mia infanzia. Quando amo, ogni singola parte di me, corporea e invisibile, ne rimane totalmente coinvolta. Spontaneamente proteggo, divento un alfiere leale e fedele, pronta a mantenere la pace, la serenità, la tranquillità. Il dialogo, l'ascoltarsi reciprocamente, è per me essenziale, direi anche vitale. Amo le piccole cose, che in realtà sono grandi: la bellezza della natura, i gesti gentili e premurosi, gli sguardi dolci e orgogliosi, le risate in compagnia, la poesia, la musica, l'arte, i cieli stellati. Quando amo, sono disposta a farlo per sempre.
Sono cambiate delle priorità, però: mi sono donata per tanti anni ad una persona che credevo fosse quella giusta, per poi scoprire che non era in grado di amarmi. Spontaneamente l'ho protetto, mi sono caricata la sua croce sulle spalle, ho sacrificato tanto per poterlo aiutare, per poi rendermi conto che lui non voleva salvarsi, e quindi non poteva neanche prendersi cura di me. Così ho preso una decisione: ho ridimensionato quello che conta davvero in una relazione.
Caro futuro marito, non mi importa più se mi offrirai la cena al ristorante, se mi aprirai la portiera dell'auto, se mi dedicherai una canzone o se mi regalerai una rosa quando meno me lo aspetto... Sono gesti carini, ma i fatti sono ben altri. A me interessa che anche tu mi protegga (oltre ad essere onesto, fedele, dai sani principi, ovviamente). Non devo essere l'unica roccia, anche io ho le mie fragilità e devo sentire che posso contare sempre su di te. Dobbiamo essere due guerrieri, due amanti, due coniugi, due ancore, due anime indipendenti nella solitudine, ma potenziate nella coppia. È questo il vero romanticismo: Eros e Agape. In realtà, ho sempre cercato tutto questo in una persona, però poi ho perso l'obiettivo, mi sono lasciata abbagliare, come è giusto che accada nell'ingenuità peculiare del primo amore. Ma ora non sbaglierò più: non farò più sacrifici se sarò l'unica a farli. Non donerò totalmente la mia anima a qualcuno senza aver prima constatato che tutti i pilastri ci siano effettivamente, soprattutto nelle difficoltà.
Non mi vendo, né mi svendo; semplicemente attendo che il vento caldo d'estate soffi via questi liberi pensieri e che Dio faccia di me la sua volontà.
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