Tumgik
#fuori dai binari
imperotenebre · 9 months
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Thrillville Fuori dai Binari PlayStation Plus Classic PS5 gameplay 4K - ...
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Un ottimo sequel da riscoprire
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gcorvetti · 11 months
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Monotonia.
Sgradevole ripetizione o insistenza di un motivo invariabile. Tedio provocato da una piatta uniformità. Definizioni dall'Oxford language dictionary. Oggi si chiude il mese di Ottobre, tutti amminchiati con halloween e da domani si parte con la trafila del natale, nessuna novità, tutto come da programma degli ultimi 20 anni o forse più, tutto regolare come le lancette dell'orologio che instancabilmente girano sempre allo stesso modo, ma non vi annoiate? Non vi viene il vago presentimento che sia tutto maledettamente ripetitivo? La stabilità che volete è una prigione in cui vi rinchiudete da soli, Huxley docet, credendo che sia la vita reale. Spesso il tubo mi propina video di tizi che parlano del fatto che viviamo in una simulazione, che non guardo figuriamoci, ma non è una cosa stile Matrix dove il nostro corpo è rinchiuso in un baccello e noi crediamo di vivere una realtà virtuale così vera che solo gli eletti possono comprendere che è tutto finto, no non lo è, è la realtà di una vita dentro un recinto mentale dove i passi per raggiungere una felicità ci portano nel loop di una vita scandita da eventi ciclici che di anno in anno sono sempre gli stessi, non vi rendete conto? Il tizio che ho postato l'altro giorno, il disegnatore, è incazzato e posso capirlo perché nell'arte oramai è la stessa cosa, un circolo in cui se fai i tuoi pezzi come dice il sistema forse puoi arrivare ad un 'successo', mentre se pensi con la tua testa e fai quello che ti senti o che la tua visione ti fa fare non arrivi da nessuna parte, internet è una trappola per questo con i suoi standard e le sue faccine sorridenti da perbenisti finti come gli scheletri di plastica di questo periodo. Certo a fare di tutta l'erba una canna ci si sballa di brutto ma poi non resta più niente, parafrasando il detto. Sarà che sono vintage e quindi cresciuto in maniera diversa, ma vedo i miei sogni svanire per via della diversità che sparisce, quella diversità che era alla base della nascita di una miriadi di artisti che davano vita a opere, di qualsiasi arte, diversificate.
Adesso i giovani, diciamo dai millenials in poi quindi i 30enni anno più anno meno, che sono quelli che dovrebbero avere più forza fisica e mentale, sono tutti indirizzati verso una cosa sola, guadagnare e per farlo si inseriscono in uno dei binari prefabbricati di questa monotonia, li vedi tutti sorridenti e ben vestiti, anche quelli che si definiscono alternativi al mainstream sono comunque fighetti mollicci, in realtà recitano una parte quella dei bravi ragazzi/e che pur di guadagnare, che siano soldi o visualizzazioni in un social, si adeguano a questo status moderno, poi magari nei fuori onda o nel loro intimo sono dei pezzi di merda che insultano i loro followers o che trattano male la madre o la partner, ma sono sicuro che non sono come si mostrano in pubblico, certo qualcuno che è riuscito a cancellare il suo core mentale ed è diventato così perbenista da risultare sempre e comunque finto ci sarà. Dico questo perché spesso nella vita reale mi è capitato di prendere merda da personcine a modo, tutti simpatici e con le frasi giuste al momento giusto, una confezione niente male, ma vuota all'interno. Nella musica poi non ne parliamo, non è stato mai un ambiente sano, vorrei vedere tra alcolizzati, tossici e psicopatici (si spesso i musicisti sono così) non si ha mai la certezza di cosa possano fare le persone, almeno una volta era così e ci stava perché l'imprevedibilità era all'ordine del giorno e poteva capitare di tutto in qualsiasi momento. Gli artisti si sono venduti al sistema e non lo combattono più, anzi non hanno più il coraggio di combatterlo perché non gli conviene, sono tutti ristretti nei loro loculi di stile, di tecnica, di foglietti di carta, di apparire 'normali' (irritazione istantanea ogni volta che mi esce sta parola), l'appiattimento di tutta l'arte. Si ovvio ci sono quelli che hanno qualcosa in più, quelli bravi, quelli che creano qualcosa di artistico, che non deve essere per forza critico della società, ma in questo mondo nuovo mancano gli artisti che si ribellano, quelli che fanno quadrato creando un movimento e che vanno contro qualcosa, se lo fai sei fuori dal circolo e rischi anche di morire di fame o di non riuscire a sbarcare il lunario perché vieni esiliato dalla società, ti cancellano. Mi ricorda molto i video degli Outsider che vidi tempo fa, persone che nonostante la loro condizione, spesso mentale, non creavano arte per diventare famosi o ricchi, ma solo per terapia o per proprio piacere, molti di loro sono morti e i parenti scoprendo una quantità di materiale valido lo hanno venduto ai musei o a qualche gallerista che li ha pagati poco e ci ha guadagnato tanto perché ha in mano la chiave che apre determinate casseforti, un pò come i produttori del mainstream che se sei bravo e fai quello che ti dicono, guardate i maneskin, diventi famoso non so ricco, forse a lungo andare, ma quello è un mistero un pò per tutti fino a quando qualcuno non tirerà fuori i numeri, quanto guadagna va, non sapremo mai se i ragazzetti famosi sono anche ricchi. Tutto questo uccide l'arte non solo di adesso ma quella del futuro perché chi ha 13 anni ora e vede la situazione vuole fare anche lui così perché è in quel modo che si guadagnano i soldi. Nella mia vita, aimè, ho sempre pensato che fare un buon lavoro e sfornare qualcosa di valido artisticamente fosse più soddisfacente che prostituirsi, "Tanto se il lavoro è valido in qualche modo rientra qualcosa, no?", forse, resta la soddisfazione personale di restare integro e fedele a me stesso, alla mia arte e al portafoglio vuoto.
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curiositasmundi · 11 months
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Nelle ultime settimane sui social network sono circolati molto alcuni screenshot che mostrano messaggi di testo contenuti in un fumetto bianco, sovrapposti a una mappa della Striscia di Gaza dai colori inusuali: la terra è rosa, il mare lilla. «Non so quanto vivrò, quindi voglio solo condividere questo mio ricordo qui prima di morire. Non lascerò la mia casa, accada quel che accada. Il mio più grande rimpianto è non aver baciato un ragazzo. È morto due giorni fa. Ci eravamo detti quanto ci piacevamo, ma l’ultima volta ero stato troppo timido per baciarlo. È morto nel bombardamento. Penso che sia morta anche una grande parte di me. E presto morirò anch’io. A Younus, ti bacerò in paradiso», dice il messaggio che è circolato di più.
L’immagine proviene da un sito creato nel 2017 dal canadese Lucas LaRochelle per un corso universitario, che negli ultimi sei anni è diventato uno spazio digitale molto amato da decine di migliaia di utenti LGBTQ+: si chiama Queering the Map, “rendere queer la mappa”. “Queer” è la parola che in inglese letteralmente significa “strano”, e che fu a lungo usata in modo dispregiativo per rivolgersi a persone omosessuali, con identità sessuali non conformi o che semplicemente si discostavano dai comportamenti ritenuti appropriati per il loro genere. Nel tempo però la comunità LGBTQ+ l’ha rivendicata, e oggi è usata comunemente come termine ombrello che comprende persone gay, lesbiche, bisessuali, trans, non binarie, intersessuali, asessuali e così via (è la Q della sigla LGBTQ+).
Un altro messaggio pubblicato su Queering the Map e circolato in questi giorni fa riferimento al fatto che da anni sia praticamente impossibile per i palestinesi lasciare liberamente la Striscia di Gaza. «Ho sempre immaginato io e te seduti fuori al sole, mano nella mano, finalmente liberi. Ma ora te ne sei andato. Se avessi saputo che le bombe che piovono su di noi ti avrebbero portato via da me, ti avrei detto che ti adoravo più di ogni altra cosa. Mi dispiace di essere stato un codardo». «Per favore sappiate che nonostante quello che dicono i media, i palestinesi gay esistono. Siamo qui, e siamo queer. Palestina libera», dice un post geolocalizzato vicino alla città palestinese di Khan Younis, verso la quale migliaia di persone sono fuggite dopo l’ordine di evacuazione ricevuto dall’esercito israeliano.
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nonamewhiteee · 2 years
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pensa non essere più adolescenti e ragionare ancora con: "ho due blog e sull’altro faccio più like de te". che ridere che fate certe volte, appena qualcuno scrive qualcosa di personale non va mai bene e vi accollate il diritto di commentare o rebloggare con i vostri pensieri sucidi assolutamente NON richiesti. una società in cui i ragazzini sembrano rincoglioniti dal mito dei social influencer e gli "adulti" boh, probabilmente danno un esempio pessimo. generalmente non mi piace espormi, ma la vostra mentalità da provinciale mi fa uscire fuori dai binari, nonostante siate sempre i primi a vantarvi delle vostre esperienze internazionali e da tuttologi. detto ciò, prima di commentare fate un bel respiro, contate fin quando necessario e per una volta azionate quella sottospecie di massa grigia che avete nella scatola cranica. bacini, ora torno ad ascoltare quella stupenda playlist lo-fi mentre cerco di ricostruire tramite foto e pensieri il mio ricordo di Torino.
#me
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dolcifragole · 2 months
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Il surfista grande indecisione, mi caro giovanni dopo 3 anni hai competizione, io le cazzo dei emozioni forti non le so gestire ok? Allora perché cazzo mi fisso con le persone così? Oggi per la seconda volta mentre stavamo litigando ho visto nero e mi son detta ok fino a qui. Ha superato il mio limite, avrei solo voluto esplodere come una pazza e saltargli addosso, quindi era meglio evitare di continuare una cosa così, che mi fa sentire solo così stanca e fuori dai cazzo di binari che mi impegno a seguire, vado ai 20 all'ora per non sbandare e lui mi fa andare ai 200? E da stupide idiote, ma eccomi qui, per l'ennesima volta penso solo a quanto vorrei che mi sbattesse al muro, e mi facesse sua, quando litigiamo butta la bomba e pretende pure che io riesca a capire quello che dice dopo, non mi da neanche il tempo di ragionare su quello che dice perché se ne esce sempre con quella frase di merda "che fai ragioni su quale minchiata dire" "no guarda lascia stare, se ci devi pensare lasciamo stare, mollami" io che cazzo ne so di come mi sento a riguardo o come la penso, so la risposta che di solito qualcuno vuole sentirsi dire e in momento di panico in modo automatico senza nemmeno pensarci ti do quella risposta, ma mia bocca parla prima ancora che io capisca il senso della frase, poi fase 2 ripensare bene alla cosa da vari punti di vista per capire come mi fa sentire e se giusto che io mi senta così o se è la mia testa che ragiona come vuole. Ma questi momenti sono come i down di una droga, ci stai malissimo e vuoi solo che tutto finisca, non vuoi una conclusione, vuoi solo metterti a letto e aspettare che finisca e ti riprometti che è l'ultima volta, e il giorno dopo ti distrai, non ci pensi, ma appena ti si presenta l'occasione senti l'ansia che ti sale, il cuore che batte forte come davanti a una striscia, e inizi pensando no, ma finisci pensando sí, e stai così bene quando le cose vanno bene, mi sento come una persona normale, completa e tranquilla, e pure quella sensazione è così forte che mi stanca da morire, ma non riesco a dire di no. Per il resto onestamente non hanno nulla in comune, come acqua e fuoco, uno sembra quasi affeminato, l'altro è rozzo e menefreghista, uno un ragazzino per bene, l'altro un uomo che come me ha sperimentato strade alternative. Ma purtroppo troppo di quello che provo con lui mi è già famiglire, e stavolta non so proprio come comportarmi, per lui mi sono buttata non sapendo le possibili conseguenze, col surfista invece ho il 50 e 50 che vada bene o male, e le conseguenze sto giro le so
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shunkawakan-ita · 3 months
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AGRONOMIST
presenta
TUTTI PAZZI
primo singolo
tratto dal primo disco solista in uscita a fine anno
(Orangle / The Orchard / Sony)
GUARDA IL VIDEO
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Il video
Il video del brano è girato interamente sul territorio lucano con persone reali, differenti, anche neuro divergenti, senza comparse o attori professionisti.
Musiche, testo e concept di Vincenzo Lofrano - Agronomist
Video di Walter Molfese
Il brano
Tutti pazzi è il primo singolo estratto dal mio primo disco solista.
Un brano inclusivo per i generi musicali e per gli esseri umani che celebra.
Una matrice hip hop che danza su ritmi energici post punk e garage rock. Un testo che ho fatto fatica a scrivere e che mi fa piangere ogni volta che lo risento, perché scava nel profondo e dice la verità. Ho fatto forse un buon lavoro.
“I normali non li voglio più… quelli sani pigliateli tu. Tutti pazzi, tutti pazzi, gli amici miei so tutti pazzi.“
Cosa è la normalità, cosa è la pazzia? Chi sta dentro i binari del giusto e del regolare e chi li travalica, sta ai margini, non rientra in categorie prestabilite, è considerato dalla società quasi un reietto, disadattato, emarginato.
“Fluidi nei sessi”, con lavori con nomi inventati, non troppo attaccati ai danari, ma molto fissati con i legami, precari, come gran parte della mia generazione, che si sente sempre fuori posto. Artisti, senza un posto di lavoro fisso, che forse non hanno trovato un posto nel mondo o che non hanno concepito ancora un figlio.
Forse senza un conto in banca rigoglioso o con non abbastanza followers, a differenza di molti rapper o celebrità. O forse bullizzati o dimenticati, perdenti. Tutto ciò può portare a sentirsi diversi, sbagliati, “pazzi”. Questo brano celebra proprio la ricchezza della varietà e tratta anche il tema della salute mentale  e non per ultimo l’amicizia che unisce nella diversità, l’inclusività. Un’ analisi di ciò che vedo intorno a me e un’autoanalisi di ciò che vedo dentro di me.
La straordinaria bellezza della diversità, la non perfezione e la stranezza, come valori aggiunti, sia nella vita, che nell’arte, dove spesso si rimane appiattiti, schiacciati da etichette imposte dalle playlist, dai trend, dalle case discografiche, dai social, dai numeri, dalla società in generale, fino a non esprimersi più, fino a smettere di esprimersi e creare, per paura di essere fuori.
Libertà di essere sbagliati, diversi e bellissimi così. “Reietti, outsider, sottovalutati, ma altrimenti saremmo scontati. Decine, centinaia di nulla, che insieme hanno un valore straordinario.”
Estetica identitaria e unica che non si rifà a cliché esistenti, ma crea nuovi paradigmi, sonori, di linguaggio ed estetica.
Una Basilicata bucolica e quasi utopistica, ma anche futuribile e sicuramente alternativa, dove si può ricreare, ripartire, facendo perno sulla propria unicità, sulla propria lingua e molteplicità di dialetti, su una fauna differente con diversi usi, gerghi, stile e suoni.
I Boschi, i paesini, la piazza, i volti reali di ogni età, sesso, estrazione, persone reali con la loro “pazzia”, che li rende unici, preziosi e poetici.
Biografia
Agronomist: polistrumentista, producer, rapper, cantante, essere senza età. Emergente e emergenza, più artista che uomo. Sta forgiando un alternative hip hop con una forte contaminazione e commistione di generi. Non ha mai creduto nelle regole e nei dettami, quando tutti ci credevano. Non ho una scena di riferimento, solo la mia visione da esprimere. 
Nato in Lucania, è fondatore della band Smania Uagliuns, gruppo di hip hop sperimentale, che si è distinto negli anni per originalità e innovazione ricevendo molte lodi dalla stampa.
Il suo primo singolo da solista è stato “WOW” (2020), prodotto dai Gumma Vybz. Dopo i freestyle della serie “Hit Mania Enz”, alcuni featuring e varie collaborazioni, a febbraio 2021 ha pubblicato il secondo singolo “Hype Blog”, prodotto dal londinese HLMNSRA. Nel 2023 ha collaborato con un altro producer, Zero Portrait, per il brano “Instagram” e all’inizio del 2024 ha pubblicato “BERLIN (Travel Freestyle)”.
Attualmente al lavoro sul suo primo progetto solista che sarà totalmente scritto, arrangiato, prodotto e cantato  da me, in fase di finalizzazione. 
Ogni aggettivazione o descrizione di generi e stili sarebbe fuorviante e sminuente.
Sarà ciò che nessun altro fa, con un’identità e una verità scioccanti sonicamente e liricamente parlando.
Il suo vero nome è Vincenzo Lofrano e, oltre a essere un musicista, è un dottore in traduzione letteraria e tecnico-scientifica.
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Non ti amo. E ancora lo ripeterò: Non ti amo. Solo questo. Non ti amo.
1
Ti avrei scritto molto tempo fa ma prima ho atteso
di essere fuori dalla solitudine
ovvero fuori da quella contrada dove gli alberi
stanno in posizione orante,
in se stessi inginocchiati,
e i fiumi scorrono in se stessi,
essendo a un tempo corpo e anima,
impossibili da distinguere; ho atteso
che se ne andasse anche il ragno che
con una punta d’argento si era disegnato sulla spalla
e ora eccomi pronta a dirti
che non ti amo.
2
Sto su un tetto obliquo di lamiera verde,
in pieno sole; potrei scivolare
ma il cuneo del sole mi inchioda
e il cielo stesso dispone le nuvole perpendicolari a me,
tanto da incastonarmi nel suo ordine, e sono come un idolo
di oro verde, con un occhio più grande dell’altro
e un orecchio lungo – quelli che mi concepirono
erano asimmetrici – sto sul tetto inclinato
e ricordo la striscia obliqua dei capelli
sulla tua fronte, l’intera tua natura obliqua
in rapporto all’universo e a me,
l’angolo del tuo corpo che indicava un punto cardinale misterioso
– e dico che non ti amo.
3
Sul tuo silenzio avrei potuto costruire una città.
Nulla si smuoveva, edificavo a vuoto,
un vuoto scintillante di fulmini ispirati.
Una volta costruii perfino un pianeta
dai monti sericei, a forma di uccelli dormienti,
con tre cascate e in ognuna avevo confitto
sette pesci viola e da qualche parte, ricordo,
avevo sepolto in quel suolo inventato un oggetto
per noi, soltanto nostro,
ch’era l’essenza stessa del pianeta, la sua fonte di uranio. Oh
il tuo silenzio – ma forse ero io a non sentire,
forse in quel mentre tu cantavi o ridevi o urlavi
e il silenzio non era che una forma speciale
del tuo canto, del tuo riso, delle tue urla,
forse il tuo silenzio era in realtà quel pianeta sconosciuto, popoloso,
e io non costruivo in un vuoto scintillante
ma cercavo solo di proteggere qualcosa di esistente,
come si protegge un malato di malaria
con una coperta, con un’altra ancora, con il cappotto,
con quattro cuscini finché non scompare
– ma non ti amo.
4
Ti scrivo questa quarta lettere
in una stanza di legno, a un tavolo di legno,
legno dappertutto, incredibilmente tanto legno,
e dappertutto scritte, con l’inchiostro,
la matita chimica, la punta del coltello,
nomi, date, usignoli, treni,
chiavi. (Puoi aprire un
treno con la chiave e calpestare l’usignolo
intirizzito sui binari e apporre la tua firma con
tanto di data). Ho paura.
Oltre la cornice di legno della finestra
palpita la manica scura dell’abete
notturno; una notte
mi aspettavi, era estate, sul letto avevi messo i miei libri.
Quando entrai, vidi me stessa,
forse non dovevo rimpiazzare
il mio corpo di libri, di carta, di legno,
il mio corpo effimero, così la penso ora,
ora che non ti amo.
5
Se tu cercassi di tirarmi addosso
il lunedì, il martedì, il mercoledì,
lunedì, martedì e mercoledì rimbalzerebbero
cadendo a terra senza suono,
giovedì e venerdì
non possono più ferirmi,
non possono lasciarmi neanche il segno
di un minuscolo ombrello giapponese, del vaccino,
giovedì e venerdì non hanno forze,
sabato non ha forze,
domenica – non so che cosa voglia dir domenica
– non ti amo.
6
Ora sto qui e mi guardo allo specchio.
Posso ringiovanire e invecchiare a piacimento.
Se voglio, posso assomigliare a un animale
o a una pianta, o persino
al progetto di una macchina volante.
Sopra le mie sembianze come lava
vulcanica colasti tu una volta, ma io no, io non divenni pietra,
la prova è quanto accade nello specchio,
le sue stagioni in connubio,
le mutazioni, e soprattutto la mia mano
che sorreggeva un tempo i tuoi occhi
perché non cadessero dalle orbite, come due gocce immense,
quella stessa mano scrive ora che,
ecco, non ti amo.
7
La settima lettera te la scrivo appoggiata a un muro grigio.
Ricordo la tua bocca obliqua,
il tuo abbraccio che mi soffocava,
tutto il fasto di quella sala da ballo
dove gli errori miei si innamorarono
a prima vista l’uno dell’altro,
il fatto che lasciasti cadere la clessidra e che, di colpo,
il tempo mi abbandonò,
e ricordo il gesto con il quale mi mandasti a morte.
Sono appoggiata al muro di un tribunale
ma dirò soltanto questo:
Non ti amo.
E ancora lo ripeterò: Non ti amo.
Solo questo. Non ti amo.
Non ti amo.
Nina Cassian, Tr. Anita Natascia Bernacchia, Ottavio Fatica, Lettere da C'è modo e modo di sparire poesie 1945-2007 -
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lamilanomagazine · 4 months
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Eurovision 2024: vince Nemo con “The Code”, la classifica finale completa
Eurovision 2024: vince Nemo con “The Code”, la classifica finale completa. L'Eurovision Song Contest 2024 è giunto alla fine e dopo una settimana più che movimentata, il pubblico ha scelto il vincitore, a trionfare la svizzera con Nemo e il brano The Code. Il cantante ha gioito sventolando una bandiera con i colori giallo, bianco, viola e nero, ovvero la bandiera non binaria. Secondo posto per la Croazia, terza l'Ucraina. L'Italia chiude al settimo posto con Angelina Mango, che ottiene 268 voti e viene penalizzata dal televoto (104) che invece fa volare Israele: Eden Golan chiude al quinto posto. La finale del contest europeo, andata in onda su Rai 1 sabato 11 maggio e commentata per l’Italia da Gabriele Corsi e Mara Maionchi, ha visto le esibizioni dei 26 finalisti: i dieci vincitori delle due semifinali e i sei Paesi che hanno avuto accesso di diritto alla finale. L’Italia era tra i Big 5 e perciò Angelina Mango ha fatto la sua prima esibizione per il televoto infiammando il pubblico con la versione con coreografia della canzone sanremese La Noia; ma ahinoi si è aggiudicata il settimo posto. Nemo, le dichiarazioni del vincitore “The Code parla del percorso che ho iniziato per giungere alla conclusione di non sentirmi né un uomo né una donna. Trovare la mia identità è stato periglioso e intricato, ma niente è meglio della libertà che si percepisce nel momento in cui dichiari di essere ‘fuori dai binari. È un onore per me aver rappresentato la Svizzera all’Eurovision, un palco sul quale costruire i ponti della comunicazione tra le culture e le generazioni.” ha dichiarato l'artista. La classifica finale - Svizzera – Nemo, 'The code' - Croazia – Baby Lasagna, 'Rim tim tagi dim' - Ucraina – Alyona Alyona e Jerry Heil, 'Teresa & Maria' - Francia – Slimane, 'Mon amour' - Israele – Eden Golan, 'Hurricane' - Irlanda – Bambie Thug, 'Doomsday blue' - Italia – Angelina Mango, 'La noia' - Armenia – Jako, 'Ladaniva' - Svezia – Marcus & Martinus, 'Unforgettable' - Portogallo – Iolanda, 'Grito' - Grecia – Marina Satti, 'Zari' - Germania – Isaak, 'Always on the run' - Lussemburgo – Tali, 'Fighter' - Lituania – Silvester Belt, 'Luktelk' - Cipro – Silia Kapsis, 'Liar - Lettonia – Dons, 'Hollow' - Serbia – Teya Dora, 'Ramonda' - Regno Unito – Olly Alexander, 'Dizzy' - Finlandia – Windows95Man, 'No rules!' - Estonia – 5miinust&Puuluup, '(nendest) narkootikumidest ei tea (kull) midagi' - Georgia – Nutsa Buzaladze, 'Firefighter' - Spagna – Nebulossa, 'Zorra' - Slovenia – Raiven, 'Veronika' - Austria – Kaleen, 'We will rave' Norvegia – Gate, 'Ulveham'... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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motolesechloe · 6 months
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Annette Messager
Allo stesso tempo sviluppa quelle che lei chiama le sue Collezioni che, ancora una volta, sono forme di gioco di cui è organizzatrice. In album che prendono in prestito dal diario, dall'album fotografico e dal ricettario, raccoglie immagini o frasi, trovate su riviste e giornali, che annota o trasforma., crea o riunisce disegni. Tutti i cinquantasei Album delineano l'identità di una donna particolare, colei che raccoglie - descrivendo la femminilità in modo più ampio - il suo mondo, i suoi personaggi, i suoi difetti.
Per il primo, Il matrimonio di Mile Annette Messager, ritaglia annunci matrimoniali e fotografie dai giornali e sostituisce il suo nome con quello della sposa. La collezionista che così si proietta al braccio di decine di presunti mariti, in piccoli montaggi fai da te raccolti in un taccuino, ci viene così subito presentata: è una ragazzina (dicevamo allora una midinette), ansiosa di compiacere e entrare nella norma, che affida le sue modeste fantasie a un album la cui creazione, si immagina, esaudisce tutte le sue
Un artista svalutato. Così si presenta Annette Messager. Svalutata perché ogni donna lo è, e ancor di più quando aspira all'arte. Perché, inoltre, una donna vuole diventare un'artista? Cita Robert Filliou: Rendere la vita più interessante dell'arte. Un progetto più apostolico che artistico, che nega all'arte il suo primato, e antepone la vita alla storia, la verità alla bellezza. Essere un artista per portare l'arte fuori dai suoi binari, per gettarla nel panico e riportarla all'individuo. La vita, per l'artista, è la sua stessa vita (e nello stesso movimento quella di ciascuno di noi, attraverso questo perpetuo spostamento che essa instaura tra il possessivo e l'indefinito - Mes
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cliché: Les Indices: Mes voeux), opposto alla nozione astratta di un'entità vitale Questa sottomissione dell'arte alla vita comporta anche una svalutazione di modelli e cornici: Annette Messager ne prende in prestito le forme e si sottomette alle ingiunzioni dominanti dell'arte. Diario e fotoromanzo, poi vocabolario minimo negli anni '70, pittura e composizioni barocche nel decennio
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quellotropposensibile · 8 months
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Caro amico ti scrivo perché ho una cosa importante da dirti. Hai presente Baricco, quello del pianista sull'oceano, si Novecento, è forse l'unico suo libretto che hai letto perché hai amato il film, ti è sembrato un sogno, insomma tu lo stimi, e lui oggi ha detto che siamo qui per un breve periodo, e in questo tempo che abbiamo spesso la felicità viene interrotta da brutti pensieri, sfighe, preoccupazioni. Lui dice di saper lasciare andare. Saper lasciare andare. Leggi bene questa frase, ripetila con me più volte finché non perde di significato. Saper lasciare andare. Tra poco avrai vissuto un quarto di secolo e quando avrai l'età della Vanoni, se la testa ti funzionerà ancora, avrai molto da raccontare ma soprattutto le parole di Baricco prenderanno più significato. Ora pensaci bene, dai significato ora a quelle parole. La tua cara amica ti ha detto che ogni volta che ti capita qualcosa lo vivi come una tragedia greca, lo impesantisci, ci stai malissimo e questo malessere lo trascini il più a lungo possibile. Quello youtuber dice che il dramma porta audience. Tu ami fin troppo il dramma, al punto che non ti rendi conto di quanto tu abbia romanticizzato il dolore. Lascia andare. Pota i rami morti affinché i rami vivi crescano rigogliosi, falli fiorire, raccogli i frutti e non farti uno strudel, tu odi la cannella. Quello che ti sto dicendo è che il rancore non porta a nulla e la solitudine è il giusto prezzo da pagare per essere felici, tanto lo sai anche tu che se qualcosa non ti piace lo rendi un'ossessione, fino a che non ti logora al punto da strappare tutto dalle radici. Lo so che sei passionale, ma ricordati cosa hai detto a te stesso per questo 2024, sii più maturo, più gentiluomo, più posato, più ragionevole. Basta con l'odio, lascia stare l'indifferenza che tanto ti sembra l'opposto di quello che tu sei e forse ti sembra la via giusta, sii ragionevole, non pragmatico, odi il pragmatismo. Sii felice. Lascia andare. Impara a lasciare andare ciò che ti allontana da quello che sei, da ciò che vuoi. Se provi piacere a perdere sangue ogni volta che cadi, non va bene, sii meno ossessivo, meno impulsivo, più tranquillo. Non ascoltare il cuore e l'uccello, ascolta la tua mente. Pensa a quanto stai bene sotto le coperte quando fuori piove. Pensa alla neve che cade formando un cielo di sole stelle cadenti. L'amaro è necessario per apprezzare il dolce, la vita è un cerchio e tu non puoi starne al centro guardandola scorrere, ma neppure salirci sopra percorrendo sempre la stessa strada, deragliala e fatti i tuoi binari. Accogli la sfiga come tua amica, allontana il caso il più possibile, smettila di essere così negativo. Caro amico, lo so che sei pigro e non hai voglia di leggere questo mare di parole che sembra solo una pozzanghera in questo oceano di lacrime, ma ascoltati e rileggiti. Tu usi tumblr perché quella che ti ha chiamato cbcr lo aveva reso la sua intera personalità. Sei migliore di lei. Fidati.
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avvocatoreale · 1 year
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In attesa della recensione letteraria di Ottobre, qui di seguito trovate quella di Settembre, curata come sempre da Sara Boringhieri
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"Prima dell'Alba" di Paolo Malaguti, un romanzo storico, è l'ultimo consiglio di lettura di Sara Boringhieri dell'Associazione Avvocati nella Polis
di Sara Boringhieri
Alle 6,30 del 27 febbraio 1931 il trillo violento del duplex sveglia di soprassalto l’ispettore Ottaviano Malossi, 32 anni, sposato da cinque, ufficiale della Polizia di Stato nella questura centrale di Firenze. Dall’altro capo del telefono il collega Vannucci gli dice che è atteso alla stazione dagli agenti della Ferroviaria, con una certa urgenza: a Calenzano, riverso sulla massicciata, sul lato esterno della linea che scende da Prato è stato ritrovato un cadavere.
 Vestito in maniera seria ed elegante, il defunto porta i chiari segni di una caduta. Il volto è quello di un uomo anziano e ben curato, capigliatura candida, pizzo lungo e folto. Gli uomini accorsi per primi sul posto lo guardano con un’espressione di timore mista a reverenza. Nel sole accecante del mattino Malossi non tarda a scoprire il perché. I documenti contenuti nel portafoglio del cadavere mostrano generalità da far tremare i polsi: Graziani Andrea, nato a Bardolino di Verona, il 15 luglio 1864, Luogotenente Generale della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale.
Un caso spinoso, dunque, per cui bisogna fare presto e trovare i colpevoli, se ve ne sono.
Resta da chiarire, però, come Graziani sia finito riverso al suolo sulla scarpata opposta a quella di marcia del treno su cui viaggiava: si è suicidato, spiccando letteralmente un balzo fuori dal portello, oppure qualcuno, prima dell’alba, lo ha spinto con violenza giù dal convoglio? Malossi inizia a scavare con prudenza, tra resistenze, false piste e pressioni dall’alto, in un viaggio alla ricerca della verità che, dai binari della linea Prato-Firenze, lo condurrà lontano nel tempo, fino all’ottobre del 1917, sulle tracce di un fante italiano testimone silenzioso del disastro di Caporetto e, prima ancora, di una vita di trincea resa intollerabile dai massacri e dal rigore insensato di una gerarchia pronta a far pagare con la fucilazione anche la più banale infrazione del regolamento.
“Prima dell’alba” è un romanzo storico pubblicato nel centenario della disfatta di Caporetto e che si svolge tra il 1917, con il racconto del disastro della battaglia di Caporetto e il ripiegamento delle truppe italiane, e il febbraio 1931, quando sui binari della ferrovia in direzione Prato viene ritrovato il cadavere del Cavaliere Andrea Graziani, Luogotenente Generale della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale.
Paolo Malaguti, grazie ad uno studio storico approfondito delle due epoche narrate, ed in particolare del gergo militare del 1917, restituisce uno spaccato realistico della vita di trincea della Prima Guerra Mondiale e del periodo storico che ne è seguito che si conclude con l’amara sorte di un noto personaggio del tempo ed il mistero che l’avvolge: l’autore regala ai lettori un giallo storico i cui intrecci corrono su due binari appartenenti a due epoche diverse, un romanzo che avvince ed appassiona dalle prime pagine fino al tormentato finale in cui viene risolto il mistero che lega a filo doppio le due trame e i due tempi sviluppati nel corso libro.
Nel 1917 la voce narrante è quella del “Vecio”, soprannome di un fante italiano testimone del disastro di Caporetto e delle crudeltà di Graziani, mentre nel 1931, protagonista indiscusso è l’ispettore Ottaviano Malossi, ufficiale della Polizia di Stato nella Questura centrale di Firenze a cui viene affidato, suo malgrado, l’arduo caso del ritrovamento del cadavere di Graziani.
Viene restituita così alla memoria collettiva la figura terribile di Andrea Graziani con i suoi innumerevoli, impuniti e dimenticati crimini, avallati all’epoca da leggi speciali in tempo di guerra, che consentivano un arbitrio pressoché illimitato a chi disponeva del potere di decidere, anche per futili motivi, della vita e della morte dei soldati.
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personal-reporter · 1 year
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Autunno 2023 con il Treno del Foliage tra Italia e Svizzera
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Dal 14 ottobre al 11 novembre a bordo dei treni della Ferrovia Vigezzina-Centovalli, tra il Lago Maggiore e la Val d'Ossola, torna una delle esperienze turistiche autunnali più amate tra Italia e Svizzera per i passeggeri che ogni anno, grazie al biglietto speciale Treno del Foliage, salgono a bordo dei convogli della Ferrovia Vigezzina-Centovalli per riempirsi gli occhi degli incantevoli scenari autunnali che i treni attraversano dal 1923. Sono cento anni di storia per questa ferrovia alpina che unisce la Svizzera all'Italia grazie a 52 km di binari, inserita dalla Lonely Planet tra le dieci linee più spettacolari d'Europa e proprio nell'anno del centenario, festeggiato da SSIF e FART, le due società che gestiscono la tratta ferroviaria, il Treno del Foliage si conferma dunque tra le proposte della stagione più variopinta dell'anno. Lungo le curve dell'autunno il tragitto sarà una tavolozza di colori e sfumature nella tratta italiana, con partenza da Domodossola, sale fino alla valle dei pittori, la Valle Vigezzo, con il suo punto più alto nel borgo di Santa Maria Maggiore, poi i treni proseguono fino al confine e superato il valico, iniziano a scendere lentamente attraverso le Centovalli fino a raggiungere Locarno e la romantica sponda elvetica del Lago Maggiore. Tra ottobre e novembre i boschi attraversati dai treni bianchi e blu si infiammano di calde tonalità e rassicuranti sfumature, in un susseguirsi di gole profonde e incantevoli pianori di media montagna, incorniciati dalle cime imbiancate. In questo spettacolo naturale c’è il segreto del successo della proposta, nata nel 2016, che ha portato alla ribalta internazionale la Ferrovia Vigezzina-Centovalli, dove si sfila davanti allo spettacolo delle colline punteggiate di filari di vite giallo oro, ci si addentra nei boschi popolati da betulle e castagni, fino a raggiungere le faggete, alle quote più alte, dove la visione sui fianchi multicolori delle montagne riempie gli occhi di quella meraviglia naturale di un periodo limitatissimo dell'anno. Sarà possibile acquistare online – a partire da lunedì 18 settembre,  il biglietto speciale, valido uno o due giorni, per salire a bordo del Treno del Foliage dal 14 ottobre al 11 novembre, con la possibilità di effettuare una sola sosta intermedia per scoprire una delle località toccate dal tragitto ferroviario. Il viaggio potrà iniziare, a libera scelta, dalla piemontese Domodossola o la ticinese Locarno. Domodossola conserva nel suo centro storico gioielli architettonici e perle culturali nascoste tra le viuzze del cuore antico, come la splendida Piazza Mercato e i meravigliosi palazzi storici. Da non perdere la visita a Palazzo San Francesco, sede delle ricche dei Musei Civici, che ospita fino al 7 gennaio 2024 la mostra “l gran teatro della luce. Tra Tiziano e Renoir.  Locarno è la stazione di arrivo per chi parte dall'Italia, affacciata sul Lago Maggiore, con  un incantevole lungolago, ma anche un nucleo storico ricco di scorci, a due passi dalla rinomata Piazza Grande, simbolo stesso della città e sede del Festival del Cinema. A pochi chilometri da Locarno c’è Ascona, perla dal fascino mediterraneo sul Lago Maggiore e raggiungibile da Locarno in bus. Da segnalare alcuni eventi in programma da Locarno, dove gli amanti dei sapori tipici non potranno perdersi la 24a edizione dell’Autunno Gastronomico del Lago Maggiore e Valli, in calendario fino al 24 ottobre. Nella tratta italiana, Santa Maria Maggiore organizza il 14 e 15 ottobre Fuori di Zucca, apprezzata manifestazione per scoprire il borgo Bandiera Arancione del TCI con decine di eventi autunnali e un gustoso mercatino a km0., oltre una visita alla rinnovata Scuola di Belle Arti Rossetti Valentini, che ospita la mostra Enrico Cavalli (1849-1919) Tra la Francia di Monticelli e la Val Vigezzo di Fornara e Ciolina e l'esposizione temporanea Residenze d'artista. Per l iniziative volute per festeggiare i primi 100 anni della Ferrovia, spicca a Toceno, paese della valle dei pittori raggiungibile anche da Santa Maria Maggiore, lungo il percorso outdoor I paesaggi di Giovanni Battista Ciolina, la mostra Andrea Testore e Francesco Balli. Dall'idea al binario: come è nata la ferrovia dedicata alla nascita, nel 1923, della Vigezzina-Centovalli e a Malesco, nelle sale dell'ex Ospedale Trabucchi, oggi centro culturale, c’è la mostra fotografica VigezzinaCentoanni. La ferrovia ha numerose fermate tra Italia e Svizzera e il biglietto del Treno del Foliage prevede una sosta lungo il percorso di andata o ritorno, utile per visitare il Santuario della Madonna del Sangue di Re o i meravigliosi borghi di Malesco e Santa Maria Maggiore e, nella zona svizzera del percorso, le località di Intragna, con il campanile più alto del Ticino e il Museo regionale, e Verdasio, da cui partono due funivie per raggiungere comodamente le alte quote e ammirare i colori del foliage da un punto di osservazione privilegiato. I biglietti del Treno del Foliage saranno acquistabili su www.vigezzinacentovalli.com/foliage Read the full article
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tempi-dispari · 1 year
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Sviet Margot, ponte tra Sol Levante e occidente
Ottimo lavoro quello dei Sviet Margot. Ma prima di addentrarci nella recensione serve un’obbligata premessa. Soprattutto considerando l’estrazione musicale ed iconografica della band.
Il j rock è un genere apparentemente distante dal mercato generale. Fa un po’ storia a sé. I gruppi giapponesi o vengono amati o odiati. Pare non gli interessi più di tanto andare fuori dai propri confini. Questo lo possiamo dedurre anche dalla scelta di cantare in lingua madre piuttosto che in inglese. Noi occidentali, vuoi per deformazione, vuoi perché è stato il sol modo, prima dell’avvento di internet, per conoscerlo, ma lo associamo agli anime. A quelli che una volta erano semplicemente i cartoni giapponesi.
Quindi, se qualcuno propone un che di ispirato al rock giapponese, viene quasi immediatamente riferito al mondo anime. Gli Sviet Margot fanno parte di quelle band che prendono spunto dal jrock, quello lanciato da band come X-Japan, Luna Sea, Malice Mizer e via citando. E il richiamo è netto e identificabile dalla prima all’ultima traccia. Chiariamo subito, non stiamo dicendo che hanno copiato o non sono originali.
Li si sta solo inquadrando stilisticamente. Cosa che diversamente, date le innumerevoli influenze, sarebbe piuttosto difficile. E si. Le band nipponiche hanno sempre avuto dalla loro il non limitarsi ad un solo genere. La partenza poteva essere metal, rock, hard rock, techno, ma l’evoluzione aggiungeva allo stile base infinite sfumature. I nostri soprattutto in questo sono jrock. All’interno del loro ultimo Into the badlands gli stili sono quasi infiniti. Si passa dall’hard rock metal, alla techno senza dimenticare il pop.
Il tutto perfettamente amalgamato da una voce sempre all’altezza, una produzione cristallina ma potente e una melodicità che mai viene meno. Insomma, un mix esplosivo che potrebbe portare la band davvero lontano. Un aspetto va sottolineato. Certe soluzioni, che per noi sono nuove, per la terra del sol levante sono piuttosto comuni. La bravura dei nostri è stata soprattutto riuscire a filtrare il tutto attraverso il setaccio del retaggio culturale occidentale.
Ed ecco che, quindi, vediamo inserimenti di voce sul confine con la lirica inserirsi in contesti rock. Tappeti di chitarre metal rotti da interventi di synth. Tredici canzoni che fanno tutte storia a sé. Il disco apre mettendo subito le carte in tavola con All i need. Intro metal su cui si poggiano inserimenti tastieristici e una cassa dritta. Il ritornello riporta la matrice rock duro al comando. Tutto guidato dalla voce sicura e pertinente di Tiziana Giudici. È lei la nocchiera di questa nave in esplorazione.
Una conducente che sa perfettamente dove andare a come arrivarci. Il brano alterna le due parti sopra citate aggiungendoci inserimenti che ricordano il prog o il miglior aor. Tales & tales inasprisce leggermente i suoni pur lasciando spazio ad una melodia orecchiabile in stile punk rock che può essere tipico di un certo jrock, appunto. La voce si destreggia ferma e sicura tra il cantato super melodico e quello più rabbioso. Molto ben azzeccato il break a circa ¾.
Voce maschile in giapponese recitato spezza il ritmo prima del rientro sul ritornello. Neanche le ballate sono scevre da infinite influenze. Crystal tears, la prima del disco, non può essere definita ballata canonica. Chitarra acustica, suoni aperti, ritornello che si stampa in testa dopo il primo ascolto. Non sono binari canonici. Senza tralasciare il passaggio super jazzato effettuato dal basso circa ad 1/3 della canzone.
Un passaggio molto urbano, fusion. Sempre presenti i suoni dei synth che introducono a accompagnano il solo di chitarra. Questo è al pieno servizio del brano. Lento, evocativo, sentito. Ultima corsa sul ritornello e chiusura in crescendo di intensità. Si arriva così alla quarta traccia, la sola cantata in italiano. È forse uno dei brani che meglio rappresentano il disco. L’equilibrio tra melodia catchy, suoni distorti, ritornello aperto, voce sognante, è dire più che perfetto.
Si sente in tutto e per tutto la potenzialità della musica leggera nostrana se unita a sonorità più dure. Melodia impeccabile, performance della voce ineccepibile arrivando al suo climax nell’ultimo ritornello dove offre sfumature liriche. Ottimo il coro in controcanto sul finale. Waterfire riallinea la barra del disco su sonorità molto più heavy. Le melodia, pur rimando ben presente, fa spazio a suoni più che decisi e spigolosi. È sempre il ritornello ad offrire le soprese migliori.
A ¾ cambio. Batteria percussiva sotto coro continuo. Ancora una volta arriva il cantato in giapponese ad appesantire passaggi già di per sé granitici. Blood lipstick presenta un intro al confine con il doom. Lento, mastodontico. In questo brano a dominare sono le orchestrazioni. Queste fanno da base per una voce che si supera facilmente da sola. Perfetto anche l’utilizzo della voce lirica a compensare quella melodica. Perfetto il crescendo che porta alla fine. Molto più incalzante la title track. Puro stile metal.
Doppia cassa e terzine ritmiche non spengono la capacità melodica. Proseguendo questa cavalcata sonora, ci si rende conto dell’enorme capacità narrativa della band. Lipstik blood potrebbe essere definita al di fuori del contesto. Infatti è distante il sound diretto che lascia spazio ad un intro techno cui segue un cantato lirico. Interludio hardrock per un ritorno techno. La struttura si alterna per aprirsi ad un ritornello accattivante. Molto apprezzabile la corsa sul finale che è un crescendo caratterizzato da un riff di chitarra circolare che esplode nel refrain.
Hope in fire apre un contesto moderno sospeso tra l’elettronica e l’aor. La voce cambia stile. Diventa narrante. In questo caso il ritornello aperto spezza l’andamento del brano spiazzando l’ascoltatore. Ai ¾ cambio. Si rallenta. L’elettronica si fa più presente. Le atmosfere si fanno progressive con un basso che si sgancia a creare una linea propria. Il breve intervento solista si appoggia su una base dove tastiera e basso seguono binari differenti. Davvero notevoli i cori in sovrapposizione sul finale.
Prog mischiato alla new wave l’intro di Blu Mind. A seguire torna un andamento standard per il refrain. Nuovo cambio. Questa volta al risvolto progressivo si unisce la voce maschile in controcanto. Il solo è sempre circostanziato e perfettamente dosato. Mai invasivo o inutilmente veloce. Le sovrapposizioni di voci portano alla conclusione. Wings of a star miscela invece chitarra acustica e suoni elettronici percussivi. La voce mantiene la coerenza del brano portandolo dove vuole.
Il bridge cambia leggermente atmosfera per poi aprire ad un refrain accattivante, suggestivo al limite del pop. A riportare le direttive su binari più complessi ci pensa un intervento di basso e batteria progressivi. Davvero notevole l’alternanza melodica. Il solo di chitarra risolve sul ritornello che chiude il brano. Angelo of the moon è il penultimo brano del disco. Ecco nuovamente, in apertura, ritmi più serrati ma non cupi.
Questa volta è la batteria a fare la differenza con dei cenni di poliritmia. Il tutto si riallinea sul ritornello cui si aggiunge un pianoforte. La struttura si ripete fino ad includere due distinti interventi solisti. Il primo a ¾ e il secondo sul finale. Chiude il lavoro Margot. L’architettura è leggera, segnata da un basso molto presente e una linea melodica incisiva. In questo caso più che al mondo anime ci avvicina al kpop, anche come andamento generale del brano.
Concludendo. Davvero un bel disco quello degli Sviet Margot. Variegato, ben suonato, che si discosta da produzioni nostrane hardrock in modo piuttosto netto. Un disco che pur nel suo essere orecchiabile nasconde moltissimi passaggi e livelli di lettura. A volte il gruppo li sottolinea alternando attimi più complessi a momenti più immediati ma sempre ben strutturati.
A volte invece lascia andare come se fosse l’ascoltatore a doverli scoprire di ascolto in ascolto. Un lavoro adatto a tutti gli amanti della melodia, dei suoni che si affastellano, delle soluzioni poco ortodosse e ricercate pur rimanendo easy listening. Un disco che potrebbe essere candidato per una grande diffusione completamente meritata per essere riuscito ad unire melodia e capacità tecnica sena per questo essere banale o scontato. Tutt’altro.
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Treno fuori dai binari, caos a Santa Maria Novella
Treno fuori dai binari, caos a Santa Maria Novella Firenze Un treno senza passeggeri, che stava andando in deposito, è sviato dai binari, nella zona del Romito, vicino alla stazione centrale. Non si segnalano feriti ma ripercussioni alla circolazione ferroviaria con ritardi. source
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ci-gi · 1 year
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To beef vuol dire portare rancore verso qualcuno. Beef indica più generalmente una disputa, una discussione che però si protrae nel tempo.
È bello quando per caso scegli una serie, sempre più raramente su Netflix, e ti viene fuori questo.
Se vi chiedono di cosa parla, è difficile rispondere. Parte da un banale litigio, di quello che chiunque potrebbe avere in un parcheggio del supermercato, in un qualunque giorno dove però sfortunatamente avete la luna più storta del solito e siete talmente al limite della vostra giornata di merda che decidete di sfogarvi su una persona completamente a caso.
E succede che quella persona, sta avendo anche lui una giornata di merda, provando a restituire degli articoli in un negozio, non riuscendoci e venendo anche pubblicamente schernito dal cassiere. E allora anche quella persona deciderà di reagire, di rispondere allo sfogo della prima persona con altrettanta rabbia.
Ma Beef non è solo rabbia di quelle che si estingue in una giornata. Di quelle rabbie che bruciano velocemente. Beef è rancore. È livore. È l'incapacità di andare oltre le cose. Diventa ossessione per quell'unica cosa che pensiamo essere in grado di governare.
Solo che in realtà quello che accade è completamente l'opposto. La storia esce completamente dai binari, i due protagonisti perdono completamente il controllo di ciò che gli accade intorno e vengono inevitabilmente travolti da quelli che sono il susseguirsi di avvenimenti all'apparenza casuali, ma che sono in realtà perfettamente l'uno la conseguenza possibile del precedente. E che culmina in un punto di totale disordine, dal quale non è possibile tornare indietro. Da quello stesso momento, però, genera l'ennesima situazione surreale che fa da sfondo alla riconciliazione, grazie a quello che per tutta la serie manca, ovvero, la comunicazione tra persone.
Beef è una bella serie, perché parla del vuoto che oggi come oggi sentiamo spesso. E di tutte quelle cose, famiglia, lavoro, relazioni, che utilizziamo per riempire quel "vuoto, ma solido" di cui si parla nell'ultima puntata. Ironizza su quanto ci focalizziamo troppo sull'introspezione, sull'importanza di capire se stessi come cura di tutti i mali, omettendo però un passaggio basilare, la capacità di guardare anche le vite degli altri e di rispettarne i limiti e i dolori.
Pippone a parte, è na bella serie. Dateci n'occhio.
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lamilanomagazine · 8 months
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IL CALAMARO GIGANTE con Angela Finocchiaro e Bruno Stori al Teatro Manzoni di Milano
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IL CALAMARO GIGANTE con Angela Finocchiaro e Bruno Stori al Teatro Manzoni di Milano dal 13 al 25 febbraio 2024. Enfi Teatro e Teatro Nazionale di Genova presentano, dal 13 al 25 febbraio 2024 al Teatro Manzoni di Milano, Via Alessandro Manzoni, 40, 20121 Milano, lo spettacolo "IL CALAMARO GIGANTE" con Angela Finocchiaro e Bruno Stori. La vita di Angela è assurda e incomprensibile, come quella di ognuno di noi. Da ragazza tanti sogni e passioni le facevano battere il cuore, ma i binari rigidi della famiglia e della società l'hanno portata a una situazione che è come un boccone amaro incastrato in gola, e non va né su né giù. Oggi più che mai: tornava a Milano per la cena dell'ufficio, ma il rientro dei vacanzieri dal mare la blocca in coda verso Roncobilaccio. Angela maledice tutta quella gente, maledice pure il mare da cui tornano. E ha ancora la bocca aperta, quando un'onda impossibile la porta via, travolgendo e stravolgendo la sua vita. In un vortice fuori dal mondo e dallo spazio, dove si ritrova a girare insieme a un tipo strano e antiquato, Montfort, che arriva da un'altra nazione e un altro secolo, e in comune hanno solo di non sapere come sono finiti lì. Così inizia il loro viaggio, che onda dopo onda li sbatterà a vivere le avventure di donne e uomini che invece hanno avuto il coraggio di abbracciare il mare e la vita come un'unica, strabiliante meraviglia. Come Don Francesco Negri, parroco quarantenne che nel Seicento parte da Ravenna e raggiunge a piedi il Polo Nord. Come il piccolo Tommy Piccot, pescatore alle prime armi e maltrattato dai suoi colleghi più grandi, che nel momento del pericolo sarà l'unico ad avere il coraggio di affrontare il Grande Sconosciuto, e portarlo davanti agli occhi del mondo. Insieme a loro marinai delle Antille, solitarie custodi di musei di provincia che resuscitano animali morti da millenni, ragazzini sognatori vessati dai compagni di classe, nonne che a cena parlano col marito morto, ragazze che per non calpestare le formiche smettono di camminare... Vite sconosciute ma fondamentali, incredibili ma verissime, legate dall'aver creduto con tutto il cuore all'esistenza di un animale così enorme e lontano dalla normalità che per millenni lo si è considerato una leggenda: Il Calamaro Gigante. Nei loro panni, Angela e Montfort vivono le loro battaglie, si esaltano ai loro trionfi e si disperano alle tragiche rovine, in un racconto che schizza tra i secoli e i continenti ricorrendo a tutti i linguaggi offerti dalla narrazione: immagini, scenografie, musica, danza...in un abbraccio appassionato che raggiunge i cuori di ogni età, dai giovani a quelli che giovani lo sono dentro. E se nel mondo esiste il calamaro gigante, allora non c’è più un sogno che sia irrealizzabile, una battaglia inaffrontabile, un amore impossibile. Per Angela e Montfort, e per chiunque salga a bordo di questo spettacolo, che ci spinge ad andare avanti, o dovunque ci portino i venti e le correnti e le passioni, alla sorprendente, divertente, commovente scoperta delle meraviglie della Natura e quindi di noi stessi. Perché la storia più incredibile di tutte è proprio la realtà.   ANGELA FINOCCHIARO e BRUNO STORI IL CALAMARO GIGANTE dal romanzo omonimo di Fabio Genovesi adattamento di Fabio Genovesi, Angela Finocchiaro e Bruno Stori Quando: feriali ore 20,45 - domenica ore 15,30 sabato 24 febbraio ore 15,30 e 20,45 Regia Carlo Sciaccaluga Musiche Rocco Tanica e Diego Maggi con Gennaro Apicella, Silvia Biancalana, Marco Buldrassi, Simone Cammarata, Sofia Galvan Stefania Menestrina, Caterina Montanari, Francesca Santamaria Amato scene e costumi Anna Varaldo disegno luci Gaetano La Mela Video Robin Studio Ideazione creature marine Alessandro Baronio Costumi Quindi Cooperativa Sociale e di Comunità Nanina Direttore di allestimento Daniele Donatini Assistente regia Silvia Biancalana Assistente scenografa Nina Donatini BIGLIETTI Prestige € 36,50 - Poltronissima € 33,00 - Poltrona € 25,00 - Poltronissima under 26 anni € 16,00 Per acquisto: - biglietteria del Teatro - online https://www.teatromanzoni.it/acquista-online/?event=3425728 - telefonicamente 027636901 - circuito Ticketone... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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