Tumgik
#hai le fiamme negli occhi
bodyswap-it · 1 year
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Sono un eroe (parte 1)
“Martinelli” “Martinelli” strilla il prof di lettere, il mio sguardo va alla lavagna, poi lo abbasso alle mie mani ossute e sudate che tengono una penna, vedo tutto sfocato, sento che sto per vomitare, non riesco a muovermi ne a reagire. Sta succedendo di nuovo. Il mio battito è accelerato, il caldo è insopportabile ed ecco che diventa tutto nero.
Finalmente riapro gli occhi.
Davanti a me una corda alla quale sono strette due mani enormi e piene di calli, sul mio busto c’è avvinghiata una donna. Alzo lo sguardo e vedo il cielo. “Oh cazzo sono sospeso su un palazzo in fiamme. Ok, niente panico questo corpo saprà cosa fare, devo solo usare la sua memoria muscolare”.
Guardò in basso e vedo due grossi stivali da pompiere. “Andiamo sono nel corpo di un eroe, basta perdere tempo devo scendere”.
Sento gli incitamenti dei miei compagni da terra, allento un po’ la presa e con dei lunghi salti iniziò a calarmi giù. La ragazza strilla e si stringe più forte a me. Corro verso i miei compagni e cerco di mettere giù la donna ma lei non vuole lasciarmi “andiamo sei al sicuro ora, puoi lasciarmi fatti controllare dai paramedici”. Diavolo la mia voce e incredibilmente profonda e mascolina.
Finalmente mi lascia tremante e mi guarda senza dire una parola.
Mi guardo intorno e vedo tutti i miei colleghi, vedo sopra tutte le loro teste, allora è questo che si prova ad essere alti!
“C’è ancora un uomo intrappolato al quinto piano” strilla la radio.
Qualcosa scatta in me e iniziò a correre verso il palazzo in fiamme, salgo sul camion e percorro tutta la scala e salto sul tetto, ignoro tutti gli avvertimenti dei miei compagni di squadra, aggancio la corda alla vita e mi lancio verso il basso, sta volta a velocità molto più elevata dell’altra volta. Sento le urla dell’uomo e capisco dov’è. “Stai indietro” urlo con la mia nuova voce potente.
Mi lancio nuovamente nel vuoto e i miei piedi atterrano su una finestra mandola in frantumi. Ok sono dentro. Seguo le urla dell’uomo in mezzo al fumo, batte dietro una porta del corridoio, cerco di aprirla ma chiusa. “Allontanati dalla porta” intimo.
Poi do un calcio alla porta che va in frantumi. L’uomo sta a terra gli metto le mani sotto le ascelle per aiutarlo ad alzarsi e sono meravigliato da quanto sia stato semplice, ora siamo faccia a faccia lo guardò negli occhi lo tranquillizzo e gli dico che era deve correre dietro di me.
“Vvv va bbbene, però potresti mettermi giù ora?” Mi dice con voce tremante. Abbasso lo sguardo e vedo i suoi piedi penzolare nel vuoto, accidenti lo sto tenendo sospeso da terra e quasi non ne sento il peso, questo corpo è fantastico! Lo metto a terra e la sua testa ora arriva a stento al mio petto. “Ok dobbiamo correre ora”. Arriviamo alla finestra e mi aggancio di nuovo alla corda spingendomi fuori dalla finestra.
“Ok, ora vieni verso di me e stringiti al mio collo” dico con voce più calma possibile. Ma lui ribatte spaventato:
“No, non posso farlo, non posso”
Merda non c’è davvero tempo per questo, salto di nuovo dentro da lui e mi abbasso per prenderlo lui strilla e mi colpisce coi pugni sul petto, sono irritato dal suo comportamento ma allo stesso tempo divertito ho davanti a me un uomo adulto che sembra un bambino: piange e mi colpisce incapace di provocarmi alcun dolore. Lo ignoro, stringi un braccio attorno alla sua vita e mi lancio giù dalla finestra, in pochi salti sono a terra. Vado verso la squadra tenendolo come un bimbo.
“Ehi va tutto bene adesso fifone”
“Ehi”
Merda è svenuto. Lo adagio sulla barella mentre la ragazza di prima corre da lui. I ragazzi mi danno pacche ed elogiano la mia performance, mi sento da Dio, non posso credere a quello che ho appena fatto. Mi appoggio al camion e mi rilasso bevendo un po’ d’acqua. Poi vedo l’uomo di prima venire verso di me, vorrà ringraziarmi immagino.
L’ometto arriva da e inizia urlare diventando subito paonazzo:
“ potevi uccidermi, quello che hai fatto è stato stupido e pericoloso farò causa ai vigili del fuoco per questo”
“Ci farai causa per averti salvato la vita?” Controbatto confuso.
“Hai ignorato le mie richieste e contro la mia volontà hai usato la forza per mettermi in pericolo” continua lui.
Sento la rabbia montarmi dentro per le parole di questo ingrato, stacco le mie spalle dal camion e mi avvicino a lui guardando in basso verso i suoi occhi. Non strilla più ora. Ma ahimè sento una mano sull’addome spingermi via. “Andiamo ragazzo, non fare stupidagini” dice il capitano. Che poi va a parlare con l’uomo mentre io cammino via nervoso e mi accendo una sigaretta.
“Posso fare un tiro” dice una voce femminile, alle mie spalle ancora seduta sulla barella la ragazza che avevo appena salvato. La guardò e sorridendo dico:
“Non pensi di averne respirato abbastanza di fumo oggi?”
“Una boccata in più non farà male” dice lei. Così le metto la sigaretta in bocca e le faccio fare un tiro.
Buttando fuori l’aria mi dice:
“Sai mi spiace per il mio ragazzo, lui è fatto così vuole sempre farsi odiare da tutti, grazie per averci salvati. Appena finisce la sua sceneggiata provo a parlargli”
“È stato un piacere, e non ti preoccupare, lo capisco era sotto shock ha bisogno di sfogare la paura” dico mettendole la sigaretta in bocca. “Meglio che torni dalla squadra, ciao bella”.
E ancora una volta vengo fermato dal capitano che inizia blaterare di come sto tizio sia un avvocato, amico di tanti politici. E che debba scusarmi con lui. A nulla sono valsi i miei rifiuti.
“Tieni prendi il camion e accompagnali a casa, la gente adora salirci sarà più propenso a chiudere un occhio se è felice” dice il capitano.
Continua…
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odioilvento · 2 years
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E non sa come mi riduci
Hai le fiamme negli occhi ed infatti
Se mi guardi mi bruci
Coma_Cose
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johanisntsleeping · 6 months
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L'ultima lettera
Oggi il cielo è molto chiaro.
Si vedono pure le montagne.
Ho passato un po di tempo a guardarle.
Non perchè è un bel panorama, ma perchè sei lì da qualche parte adesso.
Forse ti ho visto senza saperlo.
Forse i nostri sguardi si sono persino incrociati se hai guardato nella mia direzione.
Vorrei che si potessero incrociare sempre.
Vorrei tante cose ma quella è la prima.
Mi sento fortunato perchè siamo riusciti ad incrociarli un ultima volta, anche se attraverso il finestrino di un treno.
Sarò sincero, ho passato l'inferno in questi mesi senza di te.
Non sentivo più nulla dopo quello che è successo. Ho provato ad andare avanti in tutti i modi ma non ha funzionato niente.
Ho provato scrivendo, andando al cinema, leggendo, studiando o uscendo con amici, ma non riuscivo a fare nulla veramente.
Non riuscivo a mettere il cuore in niente molto semplicamente perchè me lo avevi rubato.
Come si può vivere senza cuore? Non si può.
Poi ci siamo visti, e non so se lo hai fatto apposta, ma me ne hai ridato un po.
Un piccolo pezzettino, niente di particolare, però almeno qualcosa sta battendo per la prima volta dopo tanto tempo.
Non so cosa hai fatto per ridarmelo.
Forse è perchè ti ho visto e basta, forse perchè mi hai dato un regalo di natale, forse perchè sono riuscito ad accarezzarti il viso per un ultima volta.
Forse perchè mi hai guardato, con un po di lacrime negli occhi, e ho sentito che qualcosa ancora lo provavi per me.
Forse è perchè mi hai dato solo un po di speranza.
Speranza che forse c'è un futuro per noi due.
Speranza che forse un po lo vuoi pure tu questo futuro.
Speranza che forse devo solo aspettare.
Speranza che forse anche te stai aspettando.
Speranza che forse questo tango finirà un giorno.
Questo tango dove cerchiamo di catturare l'attenzione dell'altro in un modo o nell'altro.
Non credo tu mi abbia voluto vedere per chiedermi scusa. Cercavi di capire qualcos'altro.
E penso che tu l'abbia capito.
Pensavi che forse vedendomi un ultima volta avresti potuto smettere di pensare a me.
Lo so perchè è la stessa cosa che pensavo io.
Sembra che invece abbia avuto l'effetto contrario per tutti e due.
E' strano che ieri mi sia svegliato a quell'ora, poco dopo che mi hai scritto quelle cose.
Mi sono svegliato perchè ho avuto il mio primo sogno dopo tantissimo tempo.
Ovviamente ho sognato te.
Avrei voluto fosse qualcosa con più azione, un sogno dove magari ti baciavo e te baciavi me.
Invece è stato qualcosa di molto più semplice.
Eri in un bosco con alberi molto alti.
Io ti guardavo da lontano, e non penso te sapessi che fossi lì.
Avevi la tua fotocamera al collo e stavi scattando foto verso la cima degli alberi.
Era come se cercassi qualcosa di particolare. Non so cosa però.
Provavo a raggiungerti ma ogni volta ti allontanavi per andare a scattare altre foto.
E' andato avanti così per molto tempo, come un incubo che non finisce mai.
A un certo punto sono riuscito ad avvicinarmi abbastanza da toccarti una spalla.
Hai iniziato a girarti ma prima di vedere il tuo viso mi sono svegliato.
Ho controllato il telefono e ho visto che mi avevi cercato te, anche se da ubriaca.
Non so cosa voglia dire. Forse in quella foresta cercavi me alla fine?
Non so cosa ti stia passando nella testa. Mi sembra che neanche tu lo sappia.
Vivere è difficile. Sopratutto quando si ha un cuore bello come il tuo.
Spero che il cuore che mi hai rubato sia bello la metà del tuo. So che non lo pensi avvolte, come quando dici di essere una persona cattiva, ma credimi quando ti dico che non è così.
Sono fortunato che almeno sia stata tu a rubarmelo.
Te che hai avuto tutte le qualità per farmi innamorare.
Anche se non è lo stesso per te.
Forse è perchè siamo più diversi di quanto pensassi alla fine.
Abbiamo idee di amore diverse forse.
Quando guardavamo In The Mood For Love, Coup de Chance, o Ritratto Della Giovane in Fiamme io ci vedevo qualcosa, e tu forse qualcos'altro.
Forse quello che provi per me è leggermente troppo poco per fare quello che facevano in quei film che tanto ti piacciono.
Io non so più bene che cosa fare. Ho detto tutto quello che dovevo dire penso.
Vorrei sapere le parole esatte per convincerti ma non credo esistano.
Magari dovrei dirti che scomparirò.
Magari dovrei dirti che ti odio.
Magari dovrei dirti la verità.
Che ci sei solo te per me.
Che ti amo.
Aspetterò che torni con il resto del mio cuore.
Ora torno a guardare le montagne.
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jetaime03 · 1 year
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E mi hai preso, fatto sentire utile e poi buttato come un calzino. La mia mente è pura come la mia pelle perlacea ed entrambe sono piene di te e dei tuoi baci: succhiotti. Quelli che per amore non bastano mai, e tu stai lì a bagnarti le labbra con la lingua o con le dita, come solo un bambino che non sa cosa cerca e cosa chiede e fa disegni per far sentire speciale chi gli sta a cuore. E va bene, lo ammetto, ho sbagliato, sono scappato per non dare capocciate all'amore vero: in modo amaro ho preferito darle contro al muro fino a farmi male. Molte volte si perdono le persone, e non tutti quelli che si amano stanno insieme, non tutti quelli che sono disposti ad aiutare vogliono bene a sé stessi. Hai amato il mio odio, il mio carattere ma non me: quando ti ho offerto il mio cuore tu hai preferito abbandonarmi, ma io sono testardo, e cerco un dolce e casto bacio. Dopo tutte quelle ferite, e quel mancarsi che è tipico nostro, siamo l'esempio che l'amore non basta e se basta di incolla male, si appiccica la gelosia sulla pelle come se fosse sudore dopo un amplesso e tu ti senti sporco per aver dato e guardato tutto: tette, culo, mente, amore, cuore, tutto. Ma non basta e sono qui, a ricalcare con le dita i nostri nomi contornati da un cuore nel parco dove andavamo da piccoli: mi manchi, anche se hai detto basta. So che in un ricordo resterai sempre mia, perché io sono quel principe che ti contempla sull'erba, per cielo, e nelle mille poesie che sottolineo perché mi manchi. E anche se non parliamo, e ci pensiamo, spero che tu possa trovare e godere di quell'amore tanto puro quanto profondo come lo è stato il nostro anche se ti ha distrutto. Alcune volte lasciarsi è una dichiarazione d'amore specie se tentativo dopo tentativo non funziona: io ti amerò per sempre o per lo meno saremo legati da quel filo rosso indistruttibile, l'amore per le fiamme gemelle alcune volte è sinonimo di battaglia e il nostro amore assomiglia ad un velo nero che copre e opprime tutto. La tempesta ha portato via quello che restava di me, di te, di noi: siamo cambiati e cresciuti così tanto da non riuscire a guardarci negli occhi: respira, fallo con me, condividere la stessa aria dopo aver dormito con le gambe intrecciate l'uno dell'altro. Respira la mia notte e cerca il suo profumo quando ti manco e non sono lì con te: non tutti quelli che si amano stanno insieme, però per amarci ce l'abbiamo messa tutta. Alcune volte la vita insegna, e mi ha insegnato che l'amore, quello vero, quello sano non ha pretese ma dà tanto ad entrambi. Perciò grazie per avermi dato tutta te stessa, in un bacio, ho detto addio a chi mi ha reso le guance rosse e le labbra rosse per i morsi. Semplicemente te, in me, tuo, Aris-Val
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arvtisticfra · 1 year
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Non serve una tua foto dopo tutto il tempo che abbiamo passato insieme ieri sera... Non dimenticherò mai il tuo sguardo -S
"Hai le fiamme negli occhi ed infatti se mi guardi mi bruci"
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my-infection · 2 years
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Hai le fiamme negli occhi ed infatti se mi guardi mi bruci
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opheliablackmoon · 2 years
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ㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤ  ㅤㅤ          ᴛʜᴏᴜɢʜᴛs  ❚  london, uk        new update  ﹫  opheliagrimaldi         h. 11.09, september 16th, 2022             ❪      🌑      ❫ ㅤㅤ ㅤㅤ ㅤ     Un passo alla volta. La distanza da un punto all'altro, che siano metri o poche decine di centimetri, la misuri in termini di passi. Un passo, due passi, dieci passi. Eppure alcuni passi sono più difficili di altri. Vuoi perché devi superare un ostacolo, vuoi perché il tuo sesto senso ti dice di voltarti indietro e scappare, o vuoi ancora perché è qualcosa che non vorresti mai fare ma in qualche modo ti ritrovi costretto a farlo, alcune delle cose più semplici diventano le più insormontabili, irraggiungibili. Hai pensato così tante volte a che cosa significa per te la parola matrimonio che ora lo stesso sostantivo diventa qualcosa di diverso nella tua mente, qualcosa di astratto. Si forma un concetto che si radica in te, fin da quando sei bambina, perché quale bambina non ha pensato all'abito bianco almeno una volta? Eppure con il passare del tempo il concetto cambia, matura, si evolve, e tu cambi assieme a questa accezione. Lo senti distante, poi di nuovo vicino, lontano un'altra volta, e man mano che cresci, comprendi che il termine matrimonio è qualcosa che puoi desiderare come no. Quando sei piccola sogni di essere una principessa, l'abito lungo, il velo, sogni di essere la protagonista e di avere tutti gli occhi addosso. Sogni di essere bella, di essere semplicemente perfetta, ma lentamente le cose cambiano, e tutto diventa più chiaro. Capisci ciò che desideri, li comprendi in modo più profondo, e il pensiero del matrimonio, della navata e delle arcate fiorate cambiano. Sogni di essere amata, apprezzata, voluta, accettata, desiderata, da qualcuno che possa condividere con te un percorso. Il cammino della navata come simbolo di cammino insieme, un passo alla volta, nella gioia nel nel dolore, ma sempre legati da un filo invisibile che è l'amore. E' questo quello che ti insegnano le storie d'amore, i libri, i film. Tutto ormai diventa consumistico, anche la semplicità di un matrimonio. E poi cresci ancora. Ti allontani da questo pensiero, comprendi che esistono motivi più tangibili rispetto a qualcosa di inconsistente come l'amore. Lo sguardo che scambi con il tuo amato non è quello che ti tiene aggrappato alla terra, ma qualcuno che devi tollerare per una responsabilità più grande, più forte: il potere. Eppure qualcuno di fortunato esiste. Lo vedi negli occhi di un uomo e una donna che si guardano come il primo giorno. Contornati da così tante persone che il loro sguardo ammalia, crepita come fiamme di un fuoco che arde nel calore di un camino. Lo sguardo così carico di amore, affetto che diventa troppo da osservare, troppo forte da lasciarti il bisogno di distogliere gli occhi da qualcosa di così intimo e sincero. E' reale ciò che vedi, continui a chiedertelo, continui a pensare che un giorno potresti essere tu in cima a quella navata e lui ti osservasse come se fossi l'unica dea sulla faccia della terra. Eppure, quell'uomo e quella donna, lo fanno, mettono in mostra il loro amore, la loro felicità, come se fosse la cosa più naturale, senza invidia, senza paura. Sei seduta, celebri l'amore di due persone che si amano, di due persone che stimi profondamente da sentire lo stesso nodo alla gola di quando le lacrime sono pronte a valicare le palpebre, ma te lo chiedi, perché è impossibile non farlo: sarai mai davvero felice? Cerchi i suoi occhi, cerulei come il ghiaccio, i capelli biondi baciati da sole eppure sei distante, non un passo ma ameno cento. Ed ad ogni battito sei sempre più lontano.
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anitaquellastrana · 2 years
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vorrei dirtelo, anzi lo vorrei urlare, vorrei sapessi che la sera non riesco a prendere sonno, che nonostante la stanchezza ho la mente che viaggia.
vorrei sapessi che la mattina non riesco a uscire dal letto, che spengo mille sveglie, ma non ho le forze di alzarmi, di fare colazione.
vorrei risponderti che non è questione del sonno, non è il mio corpo ad essere esausto, è la mia anima ad essere stremata, al suolo, inerme.
ho il cuore pesante, non riesco a mangiare, quando mangio ho il senso di colpa e mi dico che non era il caso.
vorrei farlo portare a te il peso dei commenti della gente, le battute che ricevo, vorrei saperlo spiegare quello che provo, vorrei con tutta me stessa essere in grado di farlo sapere al mondo quanto sono tormentata.
ho l'anima in fiamme, ma fuori sono spenta, nemmeno una scintilla.
guarda tu negli occhi i tuoi amici e dì che non hai la forza di uscire questo sabato, che vorresti solo urlare contro il mare, poi fai un passo indietro, indossa un bel sorriso ed esci comunque, dopo aver maledetto il tuo aspetto, i tuoi lineamenti, i tuoi pensieri.
spiega tu che se non rispondi ai messaggi non è per maleducazione, ma vorresti solo scappare da tutti.
dillo tu, a quei tutti, che forse non brillerai più, che quel girasole che hai tatuato è un ricordo di una te che non riesci a proteggere, guarda il sole, dritto negli occhi, digli che hai deciso di rinunciare.
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camdentown-library · 3 years
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Hai le fiamme negli occhi|| ITA ver. Ethan Torchio x reader
Capitolo Uno
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❝ 𝐌𝐚𝐫𝐥𝐞𝐧𝐚 𝐝𝐞𝐜𝐢𝐝𝐞 𝐝𝐨𝐩𝐨 𝐭𝐚𝐧𝐭𝐨 𝐭𝐞𝐦𝐩𝐨 𝐝𝐢 𝐝𝐚𝐫𝐞 𝐮𝐧𝐨 𝐬𝐭𝐫𝐚𝐩𝐩𝐨 𝐚𝐥𝐥𝐞 𝐬𝐮𝐞 𝐬𝐨𝐥𝐢𝐭𝐞 𝐠𝐢𝐨𝐫𝐧𝐚𝐭𝐞 𝐞𝐝 𝐚𝐜𝐜𝐞𝐭𝐭𝐚𝐧𝐝𝐨 𝐥’𝐢𝐧𝐯𝐢𝐭𝐨 𝐝𝐞𝐢 𝐧𝐨𝐧𝐧𝐢, 𝐚𝐧𝐝𝐫𝐚̀  𝐚 𝐭𝐫𝐚𝐬𝐜𝐨𝐫𝐫𝐞𝐫𝐞 𝐥𝐞 𝐯𝐚𝐜𝐚𝐧𝐳𝐞 𝐧𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐥𝐨𝐫𝐨 𝐬𝐞𝐜𝐨𝐧𝐝𝐚 𝐜𝐚𝐬𝐚 𝐚𝐥 𝐦𝐚𝐫𝐞.
𝐒𝐞𝐧𝐳𝐚 𝐭𝐫𝐨𝐩𝐩𝐞 𝐚𝐬𝐩𝐞𝐭𝐭𝐚𝐭𝐢𝐯𝐞 𝐜𝐡𝐞 𝐪𝐮𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐞𝐬𝐭𝐚𝐭𝐞 𝐬𝐚𝐫𝐞𝐛𝐛𝐞 𝐬𝐭𝐚𝐭𝐚 𝐝𝐢𝐯𝐞𝐫𝐬𝐚 𝐝𝐚𝐥𝐥𝐞 𝐚𝐥𝐭𝐫𝐞, 𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐟𝐚𝐫𝐚̀  𝐥𝐚 𝐜𝐨𝐧𝐨𝐬𝐜𝐞𝐧𝐳𝐚 𝐝𝐢 𝐮𝐧 𝐢𝐧𝐬𝐨𝐥𝐢𝐭𝐨 𝐫𝐚𝐠𝐚𝐳𝐳𝐨, 𝐜𝐡𝐞 𝐧𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐬𝐮𝐚 𝐨𝐫𝐢𝐠𝐢𝐧𝐚𝐥𝐢𝐭𝐚̀  𝐥𝐞 𝐟𝐚𝐫𝐚̀  𝐧𝐨𝐭𝐚𝐫𝐞 𝐚𝐬𝐩𝐞𝐭𝐭𝐢 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐯𝐢𝐭𝐚 𝐜𝐡𝐞 𝐝𝐚 𝐭𝐫𝐨𝐩𝐩𝐨 𝐭𝐞𝐦𝐩𝐨 𝐚𝐯𝐞𝐯𝐚 𝐚𝐜𝐜𝐚𝐧𝐭𝐨𝐧𝐚𝐭𝐨❞
I fatti raccontati sono puramente frutto della mia immaginazione, non è mia intenzione fare un torto a nessuna persona citata, e soprattutto il carattere di Ethan potrebbe (sicuramente) non rispecchiare la persona nella realtà.
Buona lettura a tutti voi!
I primi raggi di Luglio erano colati sui tetti delle case di Roma, donando agli intonaci bianco sporco e le tegole rosee un riflesso dorato che sapeva il miele. I glicini erano in fiore, così come l'albero di nespole sotto casa di Marlena; il profumo della vita nel pieno atto del suo ciclo, bussava sempre alla finestra della sua sala da pranzo, riempiendolo di dolci fragranze.
La ragazza era solita prendere posto a tavola durante le ore della tarda mattina, circondata da libri e tomi abbastanza vecchi e rosicchiati dalla polvere, con il buon proposito che anche quel giorno avrebbe letto e studiato quelle pagine tanto noiose, di quell'altrettanto noioso esame di Egittologia. La sessione estiva era ormai iniziata, ella aveva appena sostenuto un paio di esami lo scorso Giugno e ora ne stava preparando altri due che avrebbe affrontato nelle prime settimane di Settembre.
Che il tempo potesse sembrare apparentemente poco a Marlena non importava più di tanto, cosa avrebbe potuto mai distoglierla dal proprio lavoro? Di amici non ne aveva, e ormai nonostante avesse in autunno varcato la soglia dei 21 anni, la ragazza trovava ormai del tutto estinta la sua ingenua gioventù, così come la sua voglia di oziare.
Il suono stonato ed inatteso del citofono fece scattare il capo chino sui libri della giovane, la quale dopo aver tirato un sospiro forse un poco contrariato, decise di alzarsi dalla sedia, uscire dalla sala da pranzo e varcare il largo e non troppo lungo corridoio a “L” del suo appartamento, arrivando infine a passo svelto verso l'apparecchio che aveva gracchiato per poter rispondere.
"Si?" chiese con tono abbastanza deciso ma non troppo cordiale.
"Sono il postino, mi apre?" rispose uno sconosciuto, mentre ella spinse il bottone per aprire il cancello.
Marlena aprì dunque la pesante vecchia porta di casa sua, rimanendo paziente ad attendere l'arrivo dell'uomo sull’uscio. Nonostante ella vivesse in quel condominio con il padre da quando ne avesse avuto memoria, non aveva ancora trovato una spiegazione razionale al fatto che esso fosse sprovvisto di cassette per la posta. Forse perché era un palazzo costruito negli anni venti? Beh questo spiegherebbe l'assenza anche di un ascensore, ma una dannata cassetta della posta non sarebbe stata difficile da aggiungere.
Il fiato affannato dell'uomo la riportò alla realtà, quando i suoi occhi lo videro fare capolino dalla rampa delle scale. Era già così stanco dopo neanche aver varcato il secondo piano? Si chiese la giovane donna un poco delusa.
"Siete la signora Levavi?" Chiese allora il postino riprendendo fiato e rovistando nella sua borsa. Marlena storse il naso d'istinto.
"Ahm...signorina, comunque si" Rispose lei scuotendo il capo, cosa poteva mai importare a quel postino se fosse stata "signorina" o "signora"? La ragazza si morse leggermente l’interno della guancia come rimprovero.
"Ecco a lei. Quanti piani ci sono ancora?" Chiese l'uomo asciugandosi con un fazzoletto la fronte sudaticcia.
"Altri due..." Rispose Marlena disinteressata mentre chiudeva la porta di casa, osservando le lettere.
Bollette della luce, dell'acqua, la tassa da pagare per il prossimo anno universitario e...una lettera?
Beh, sicuramente non era da parte di suo padre...
"Cara Marlena,
So perfettamente che forse sarebbe stato più facile telefonarti, ma sai che mi è sempre piaciuto scriverti delle lettere.
Ho notato purtroppo che nelle ultime che ti ho recapitato non hai risposto, immagino sia perché l'università ti tiene molto impegnata...
Comunque ho saputo che tuo padre è fuori Italia per un viaggio di lavoro e starà via fino alla fine di Agosto; Mi sembrava doveroso invitarti a trascorrere questi ultimi mesi d'estate nella nostra casa fuori città.
Lo so che da quando tua mamma se n'è andata, non hai più avuto il desiderio di venire a trovarci, ma credo ti farebbe bene cambiare aria per un po'. Il posto è tranquillo, c'è il mare e anche una grande ed estesa campagna con una pineta e la gente del posto è davvero cordiale e disponibile.
Puoi portare anche Lapo se vuoi, so che siete molto legati.
Ad ogni modo, fammi sapere il tuo verdetto.
Un forte abbraccio.
Nonna Agata.
La ragazza osservò ancora una volta il testo di quella lettera, rileggendolo e rileggendolo più volte, avvolta in un silenzio che probabilmente era insito di ricordi che le offuscavano il buonsenso, mentre lentamente dopo aver fatto alcuni passi indietro, posò delicatamente la schiena alla parete.
Aveva ricordi lontani di quella casa, lontani ma pur sempre felici. Ricordava quando si svegliava la mattina presto assieme a nonna Agata e a nonno Laerte per poter andare al mare e le sue piccole mani mentre cercava paguri e conchiglie in riva alla spiaggia, come ricordava le musiche in piazza e le risate rieccheggiare allo stesso modo delle campane della chiesa la domenica, tutti erano felici...e la vita sembrava essere meno ingiusta con chi se lo meritava meno, aveva il sapore di marmellata e di gelatine alla frutta, di sale sulle labbra e di api che svolazzavano.
Il petto di Marlena si gonfió di aria, come se fino a quel momento avesse trattenuto il fiato...forse perché immergersi nella propria infanzia era come annaspare in un mare in tempesta con la pretesa di rimanere a galla.
L’abbaiare allegro del suo cane Lapo riportò la giovane al presente, la quale decise di posare le lettere su un davanzale poco distante dalla porta d’ingresso ed avviarsi assieme al giocoso animale verso la cucina. Lapo era un simpatico Bovaro del Bernese, dal manto nero, marroncino e bianco. Le era stato regalato cinque anni fa, forse perchè suo padre aveva intuito che anche la sua assenza aveva creato nel cuore dell’unica figlia, un senso di angosciante solitudine, che l’aveva consumata sino all’osso rendendola totalmente apatica per certi versi.
Ma Lapo, Lapo l’aveva salvata, con Lapo parlava e condivideva gesti di affetto, come carezze e piccole leccate tra le dita ed i capelli. A volte Marlena si addormentava nel suo letto, con l’ingombrante cane addosso, perchè sentire il suo fiato caldo ed umido sulle sue coperte le ricordava nel sonno che non era sola nel buio della notte. Finchè il cuore di Lapo avesse battuto la giovane ragazza non aveva timore di doversi svegliare, né di dormire.
“Lo so che dovrei rispondere...” mormorò lei mentre era intenta a lavare la buccia di una mela rossa nel lavandino della cucina. Il cane intanto si mise seduto guardandola con fare intenso mentre sconndinzolava in attesa.
“...E’ solo che, quel posto...e poi dovrei finire di studiare, ho un esame da dare a fine estate, Lapo” ma il cane inclinò la testa deluso per poi alzarsi e trotterellare via dalla stanza, in cerca di chissà quale svago, lasciando Marlena ai suoi pensieri, mentre addentava il frutto appena asciugato con il canavaccio.
Nonostante ella cercasse di autoconvincersi che sostare nella sua comfort-zone sarebbe stato più facile, piuttosto che rispondere di “si” alla richiesta della nonna, una parte di lei la stava di nuovo attirando a quella lettera; il suo sguardo fu catturato dall’orizzonte della sua mente, mentre in lontananza poteva quasi udire i suoni ed i sapori di un luogo quasi troppo fiabesco per essere parte del mondo materiale.
Era solo per poco più di un mese e mezzo, solo un mese e mezzo e poi avrebbe lasciato di nuovo tutto alle sue spalle, come fece molto tempo fa.
Marlena dopo aver posato la lettera di nuovo accanto al proprio comodino, afferrò il cellulare poco distante e digitando i modo non troppo convincente alcuni numeri sullo schermo, per poi portare l’oggetto all’orecchio.
Ci furono quei dieci secondi di attesa che le parvero lo scoccare di mezzo secolo, finchè una voce non disse “Pronto?”.
“Pronto nonna. Sono Marlena...”
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Ci vollero due giorni prima che la piccola ed esageratamente arretrata FIAT Punto di nonno Laerte facesse la sua impareggiabile entrata accanto al cancello color verde bottiglia del piccolo chiostro del palazzo di Marlena.
L’uomo aveva impiegato più o meno dieci minuti solo per parcheggiare, la nipote si era chiesta quanto egli avrebbe impiegato poi per riuscire e ripartire.
Marlena aveva portato ben due capienti borsoni con sé. Uno per i vestiti e l’altro pieno di cianfrusaglie come: libri, oggetti per il cane, trucchi e tutto quello che per la sua mente non così famigliare con i viaggi, reputava indispensabili. Non era così convinta che entrambi sarebbero entrati nel portabagagli, ma l’esemplare capacità di sapersi adattare ed arrangiarsi del nonno la lasciava sempre con lo stupore a fior di labbra.
La giovane era seduta ai posti dietro, assieme a Lapo. Teneva tra le mani un piccolo mazzetto di tulipani che Laerte le aveva portato, fatto da sé. Egli le disse:
“Sono andato a fare due passi nella campagna e ho cercato di cogliere i più belli tra tutti, come la mia nipotina!” seguito da un orgogliosa e gracchiante risata. Laerte era sempre stato un fiero ed inguaribile romantico, senza mai rinunciare ad un po’ della sua drammaticità, nonna Agata non faceva altro che rammentarglielo nelle lettere.
Come quando Marlena gli fece notare, che il volante dell’auto era troppo rovinato per far sì che quest’ultima fosse considerata a norma, ma lui aveva sempre risposto che un bravo soldato e partigiano avrebbe fatto appello alla sua esperienza alla guida ed un po’ d’olio di gomito, per poter avere la certezza che l’itinerario del viaggio sarebbe stato tranquillo e senza spiacevoli intoppi.
Lo sguardo di lei fissava assente ciò che scorreva, come il nastro in una cinepresa, fuori dal finestrino; Vedeva i palazzi della città farsi meno presenti, così come la puzza dello smog, ci fu poi un lungo tratto di autostrada, immersa nei campi di grano ed ogni tanto sbucava qualche piccola fattoria o industria di ricambi o altre mansioni.
Nella macchina avrebbe regnato del tutto il silenzio, se non fosse stato per la vecchia radio che riproduceva un disco intero di tutti i capolavori di Lucio Dalla; al nonno di Marlena piaceva quel cantante, ma non allo stesso modo chiacchierare mentre guidava, perchè secondo lui avrebbe aumentato le possibilità di incidenti stradali del 50%, e sinceramente, alla nipote non dispiacque affatto questa presa d’atto...non sapeva neanche da dove avrebbe dovuto cominciare e per quanto i suoi parenti cercavano di farla sentire a proprio agio, ella si immaginava come uno straniero, un estraneo, che aveva bussato alla loro porta ed ora stava solo cercando di imparare e ricordare le loro comuni maniere.
Lapo cacciò un abbaio entusiasta quando la gracchiante auto si era lasciata alle spalle il cemento infinito dell’autostrada, per poi imboccare una stradina tutta di curve ed in salita che li avrebbe condotti al piccolo paese.
“Se ti affacci a destra vedrai il mare, Marlena” la informò Laerte, mentre faticava con il volante ad ogni curva, ma non si azzardò a fare neanche un lamento sotto sforzo. La ragazza decise di accogliere quelle parole, ed affacciandosi (dopo aver tirato giù il finestrino) una frizzante aria di sale le pervase le narici come il balsamo di una mentina. I suoi occhi cercarono di mostrare il meno possibile la sconfitta di uno stupore che l’aveva travolta come un’onda in piena, facendole scalpitare il cuore.
Il mare. Marlena adorava il mare. E da qualche istante si stava chiedendo cosa l’aveva costretta a chiudersi in casa per tutto quel tempo, ma poi la mente tornò statica e lucida. Lei sapeva perché, e non vi era bisogno di altra motivazione per farla ricomporre, anche se a fatica.
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Ormai erano quasi passate le due del pomeriggio quando l’automobile di Laerte sorpassò la soglia della piazza del piccolo paese, mentre lo sguardo attento (anche se apparentemente perso) della nipote osservava tutto nei minimi dettagli.
Nulla sembra esser cambiato di quel posto dall’ultima che vi si era recata. La strada era sempre ricoperta delle solite, vecchie e grossolane lastre di pietra bianca ed erosa dalle intemperie, così come i vari negozi che circondavano la piazza e le piccole case accostate, smaltate di un fresco intonaco bianco sporco e tetti marrone scuro, la fontana al centro, ed il piccolo ristorante con il suo balcone che affacciava verso la lunga pineta che si estendeva ai piedi della modesta altura che sorreggeva il paese.
Eppure sembrava esserci ancora poca gente in giro per le strade, forse perchè a quell’orario chiunque con un minimo di arguzia si sarebbe rintanato nelle fresche quattro pareti della propria casa, pur di sfuggire al torrido caldo che non cedeva fino allo scoccare delle cinque del pomeriggio.
Un sussulto scosse d’un tratto Marlena, quando il nonno decise di accostare e tirare su il freno a mano della propria FIAT, provocando così un lieve rinculo abbastanza inaspettato da svegliare bruscamente la ragazza dai propri pensieri. Ella si schiarì la gola, mentre apriva la propria portiera, così che Lapo potesse finalmente trotterellare e scodinzolare emozionato in giro, d’altronde non lo biasimava, doveva essere dura per un cane starsene buono in macchina per così tante ore.
“Eccoci arrivati!” proclamò l’anziano uomo mettendosi le chiavi della vettura in tasca per poi suonare al campanello della piccola casa che affiancava la FIAT “Tua nonna sarà così felice di vederti, scommetto che avrà preparato le ciambelle con il vino rosso per festeggiare la tua rimpatriata” aggiunse mentre aspettava che la donna da lui menzionata gli aprisse, pregustandosi già sulle labbra il sapore pungente e dolciastro di quei dolci che lui tanto amava.
“Allora suppongo ne abbia fatte minimo trenta” commentò ironica la giovane donna, mentre trascinava fuori i due borsoni con estrema difficoltà, attirando l’attenzione di Laerte il quale aggiustandosi frettolosamente i capelli crespi e bianchi, si affrettò a raggiungere la nipote per darle il proprio supporto.
“Ah non ti preoccupare, amore di nonno. Ci penso io, tu magari risuona alla porta, tua nonna ormai è divenuta sorda come una campana...” disse mentre tirò un leggero sbuffo per poi borbottare qualcosa.
“Suvvia nonno...” rispose allora Marlena alzando gli occhi al cielo cercando di non sorridere, quanto poteva essere melodrammatico quell’uomo?
Dopo aver pigiato nuovamente il dito dul campanello, la ragazza attese che qualcuno rispondesse e l’udire l’avvicinarsi di alcuni passi veloci assieme allo strusciare di infradito sul pavimento, le fece intuire che finalmente Agata aveva sentito il loro arrivo. Marlena non fece in tempo neanche a salutare l’anziana signora, che ella la prese tra le sue braccia, avvolgendola in un abbraccio che la colse impreparata ed a cui non rispose immediatamente.
“Oh amore mio! Sono così felice di rivederti! Ma guarda come sei cresciuta! Sembra solo ieri quando mi arrivavi a metà coscia e ora...” le mani un po’ nodose, ma dai polpastrelli morbidi della donna presero delicatamente il volto della nipote a mo di coppa, come per tastare se la sua presenza fosse solo fantasia o realtà “...Sei una donna a tutti gli effetti” sussurrò per poi spupazzarla di baci per tutto il viso, mentre Marlena mugolava pretendendo di esserne in qualche modo infastidita.
Dopo aver salito una breve rampa di scale che portava alla casa situata al piano superiore, le narici e la coscienza della ragazza furono inondate di ricordi e sensazioni già assaporate. Osservò il pavimento ormai vecchio dell’abitazione, mattonelle di granito che si alternava a una dipinta a mano ed un’altra no; Marlena rimebrò con una punta di divertimento quando da piccola passava i pomeriggi noiosi a giocare su di esse, saltando solo su quelle decorate perchè secondo la sua immaginazione quelle spoglie erano fatte di lava incandescente.
Le pareti erano sempre le stesse, ricoperte da una vernice celestina e lievemente grumosa a tratti, lo poteva percepire, quando l’indice ed il medio della sua mano destra ne sfiorarono assentemente la superficie.
La casa dei nonni di Marlena era assai semplice e forse apparentemente un pochino angusta. Aperta la porta di ingresso di legno, dopo aver passato il pianerottolo e le scale si aveva di fronte a se un corrdioio che si estendeva lungo alla propria destra, scandendo così le varie porte di ogni stanza che la casa raccoglieva al proprio interno. Quasi parallela all’ingresso vi era l’uscio della cucina alla parete opposta, senza ante, accanto ad essa la porta del bagno, e poi successivamente la porta della stanza dei due coniugi anziani. Alla fine del corridoio vi era un piccolo balconcino con la ringhiera ricoperta di vasi pensili dove come una cascata variopinta fuori usciva una fitta ramificazione di bucanville rosso corallo che oltre a lasciarsi poeticamente cadere dalla piccola nicchia, si arrampicava elegante e leggiadra sul corrimano della ringhiera per poi abbracciare le pareti esterne della casa.
Marlena ne approfittò, per potervi fare capolino, mentre a pieni polmoni respiro il fragrante e vellutato profumo di quei petali, misto alla brezza marina che veniva da oltre la pineta che circondava il paese. Ella osservò le piccole case attornò a sé, mentre strizzando gli occhi poteva distinguere la linea netta del mare piatto e calmo che si fondeva in una perfetta alchimia con il cielo limpido all’orizzonte.
La giovane cercava in tutti i modi di autoconvincersi che quel luogo incantato, quel piccolo angolo di paradiso non le era mai mancato...ma ad un tratto si autoproclamò stolta di aver minimamente pensato una cosa tanto cinica.
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TO BE CONTINUED . . .
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freedominthedarkmp3 · 2 years
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Hai le fiamme negli occhi ed infatti se mi guardi mi bruci. Ah no
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Hai le fiamme negli occhi ed infatti se mi guardi mi bruci
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tulipanico · 3 years
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È bello svegliarsi in lenzuola pulite, ancora più bello se ci fosse qui in mezzo l'odore di una pelle nuova, di un corpo da studiare. Tra le mille gif che vedo, ho voglia di baciare. Mi sono svegliata, come al solito ultimamente, con mille pensieri molto poco casti e tutti terminano con capelli ben più spettinati di come son ora, appena sveglia. In questi giorni, guardandomi allo specchio, vedo qualcosa di carino, da qui all'accettare l'idea di poter essere apprezzata da qualcun altro la strada è lunga, ma è già qualcosa. Penso che chiudere emozioni e sensazioni in gabbie dorate fatte di parole non sia una cosa utile. Più utile, invece, accettare di provare qualcosa, che sia vicino alla rabbia, alla tristezza, all'innamoramento, e fare pace con se stessi, in un qualche modo lasciarsi andare a quella cosa, viverla fino ad esaurirla, fino alla sua nuova mutazione. Indubbio, più facile a dirsi che a farsi, soprattutto per me che indago continuamente quel che mi passa per la testa. Intanto in sottofondo la voce di Francesca che canta 'e non sa come mi riduci, hai le fiamme negli occhi ed infatti, se mi guardi mi bruci'. Mi sento un po' come quel basilico sul balcone.
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odoredifragolerosse · 2 years
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Hai le fiamme negli occhi e infatti se mi guardi mi bruci
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comeuncampoamaggese · 3 years
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Hai le fiamme negli occhi ed infatti
Se mi guardi mi bruci
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iltempomiscivolavia · 3 years
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Resta qui ancora un minuto
Se l'inverno è soltanto un'estate
Che non ti ha conosciuto
E non sa come mi riduci
Hai le fiamme negli occhi ed infatti
Se mi guardi mi bruci
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fiafico · 3 years
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Eclisse
L'intera storia è stata ispirata da questa splendida canzone, vi consiglio caldamente di ascoltarla: https://youtu.be/0iU5Snr_D44
•~•~•~•= Atto I =•~•~•~•
Sul calar della sera, quando il sole già si distendeva pigramente sull'orizzonte del mare e la bianca sagoma della luna emergeva dal cielo in fiamme, una donna senza nome, senza onore né virtù, cadde in ginocchio sul ciglio di una scogliera, le braccia spalancate e innalzate verso il cielo. Pregò il sole di risponderle, mentre la tenebra si allungava dietro di lei e le ombre si facevano più dense. La foresta alle sue spalle era animata dai suoni striduli e inquietanti della fauna notturna; un brivido per percorse la colonna vertebrale e poi le scapole. Ciononostante rimase lì, con le ginocchia nell'erba, a pregare. Poi improvvisamente ci fu calore, un immenso e bruciante calore proprio davanti a lei, oltre il bordo della scogliera, ma non osò alzare gli occhi dal terreno. Una voce risuonò nella sua mente, profonda, imperiosa...pericolosa. Le chiese cosa volesse, perché lo disturbasse in un momento come quello. <È per amore>, rispose lei, <Lo rivoglio indietro> <È la Luna che devi pregare per questo, non me> La donna scosse rapidamente la testa, tentando di calmare il tremore che le stava prendendo la voce. <Non c'è più tempo! Sta per abbandonarmi> <Dovresti davvero rivolgerti alla Luna, che non ha pretese. Io esigo un pagamento> <Qualunque cosa! Sono disposta a dare qualunque cosa> Ci fu uno scoppiettio improvviso, come fuoco che divora all'istante un ciocco rinsecchito, o una risata, difficile dirlo. Poi silenzio e quando la voce riprese a parlare, il suo tono era velato dalla più sottile e invisibile punta di rabbia. <Non mentire. Voi umani avete sempre qualcosa che non osereste mai cedere. Siete fatti di desideri e per natura peccate di egoismo, in continuazione. Che cos'è che sei disposta a sacrificare?> <Tutto! Basta che lui torni da me> <Sciocchezze! Non osare mentirmi, donna. Lo vedo nel tuo animo, vedo ciò a cui non rinunceresti mai con assoluta chiarezza> <Qualunque cosa!> <Allora dammelo, dammi l'unica cosa a cui sembri tenere nel tuo piccolo e insulso cuore. Dammi il tuo primo figlio quando nascerà> La donna si fermò, sentì di respirare aria gelida e le mani persero in un'istante il loro calore, nonostante sentisse quell'aura spaventosa bruciarle la pelle e le vesti. Esitò, combattuta.
Poi un'ombra le scivolò lentamente lungo il braccio e comprese di non avere davvero più tempo. La disperazione la vinse in breve tempo.
<Lo farò. Rinuncerò a mio figlio, al secondo, al terzo, a tutti loro, se questo renderà degna di considerazione la mia supplica> Seguì un silenzio così lungo che la donna ebbe paura di essere rimasta sola. Alzò velocemente la testa, ma gridò per il dolore quando si ritrovò accecata da una luce splendente oltre ogni immaginazione. Cadde all'indietro, ansimando e coprendosi gli occhi con le mani, piangendo e lamentandosi, pregando di non aver perso la vista. Poi sentì nuovamente la voce, ora priva di qualsiasi emozione. O forse era solo lei che non riusciva a concentrarsi su qualcosa di diverso dai suoi occhi brucianti. <Il patto è fatto. Ora va' e fa che non ti veda mai più, creatura senza cuore, se non il giorno in cui affiderai la tua prole a mani più capaci> Così disse e la donna, senza farselo ripetere due volte, scappò via, incespicando nella vegetazione oscura. Il Sole alzò lo sguardo e vide la Luna, sempre più visibile nel cielo buio. Stava lì, muta e attenta. Una gran seccatura. <Quanto hai visto?>, chiese. L'astro non rispose subito, poi ad un certo punto una voce maschile, piuttosto preoccupata, riempì i suoi pensieri. <Ne sei proprio sicuro, DIO? Avrei potuto accogliere io quella supplica se le avessi concesso ancora un po' di tempo> Quello non disse nulla, semplicemente fissò l'orizzonte e la minuscola porzione di Sole che ancora resisteva oltre la linea del mare. <Soffriranno>, disse ancora la pallida Luna. L'altro si spinse con leggerezza oltre la scogliera, lasciandosi cullare dal vento della montagna, mentre ancora fissava la spada di luce che divideva in due la superficie marina. <Nessuno può pretendere di avvicinarsi tanto al Sole e non scottarsi almeno un po', non è vero?> Poi si adagiò sull'orizzonte e si abbandonò al sonno, lasciando che la luna iniziasse il suo turno come custode dei desideri degli uomini.
•~•~•~•= Atto II =•~•~•~•
Accadde durante una notte di primavera. Un pianto di bambino si levò da una bella casa in aperta campagna e la Luna, sentita la nuova voce, si inclinò per sbirciare tra le tende. Nella stanza illuminata da un camino pieno di legna scoppiettante la donna giaceva esausta in un letto morbido. Accanto a lei un uomo stringeva tra le braccia un neonato. I raggi pallidi non riuscirono a raggiungere il nuovo arrivato e così la Luna non poté vederlo. Tutto quello che fece fu controllare la stanza con attenzione fino al mattino. Quando le prime luci dell'alba proiettarono ombre sulla campagna, l'astro era già sprofondato in un sonno agitato.
Un mese più tardi accadde la tragedia. La Luna osservò impotente la lite sbocciare e poi degenerare attraverso le tende aperte. Il bambino stava nella culla, un dito puntato contro di lui, l'altra mano del genitore stringeva un coltello. L'uomo gridò ancora, facendo sempre la stessa domanda: come può mio figlio avere riccioli biondi e occhi azzurri? Effettivamente, neanche la luce lunare poteva schiarire abbastanza le ciocche castane di entrambi i genitori o illuminare i loro occhi scuri di blu. La donna stava piangendo, fissava il coltello, poi il marito, poi il bambino, e poi di nuovo il coltello. Farfugliava, inventava scuse, ma raramente la Luna aveva visto qualcuno di così poco credibile. Ed era lui di solito a essere testimone di tutti i segreti e le bugie troppo scottanti per essere confidati alla luce del giorno, per cui quello era tutto un dire. La tragedia accadde quando l'uomo si avventò sulla moglie. Non le diede neanche il tempo di gridare prima che lei cadesse in terra senza vita, un taglio profondo le squarciava la gola. Poi l'uomo, tremante e in lacrime, si girò di scatto verso il bambino. La Luna ringraziò il chiarore che già illuminava l'orizzonte. Appena il Sole fece capolino da dietro i dolci pendii la Luna gridò. Gridò così forte che persino le stelle la sentirono, nonostante fosse ormai praticamente scomparsa dal cielo albeggiante. <Il bambino!>
Un uomo correva senza fiato attraverso un bosco, il terreno era in salita e il peso tra le sue braccia gli rendeva ancora più difficile respirare. Raggiunse il bordo della scogliera quando il Sole era già sorto per metà. Lo vedeva all'orizzonte e la sua luce gli deriva gli occhi. Guardò per un'ultima volta il bambino che stringeva al petto: minuscolo, paffuto, bei ricci biondi come il grano e occhi grandi, blu come il cielo a mezzogiorno. Il piccolo lo guardava tranquillo, la testolina inclinata di lato come se non capisse realmente quello che stava accadendo. E come biasimarlo? Non era neanche riuscito a capire perché sua madre fosse improvvisamente caduta per terra. Così tanta innocenza, così tanta purezza. Ma era così sbagliato. <Figlio di un tradimento>, mormorò l'uomo. Tese il braccio in avanti, oltre il bordo. Il bambino stava in equilibrio nelle fasce. Il Sole splendeva all'orizzonte, il freddo vento della notte soffiava forte attorno a lui. Aprì le dita. Una freccia dorata gli trapassò il cranio. Il bambino cadde con un piccolo grido. L'uomo schizzò all'indietro e rotolò nell'erba. Grandi mani calde circondarono il corpicino sospeso oltre la scogliera. Le avide mani della morte reclamarono l'anima dell'uomo negli inferi. Una figura abbagliante fece alcuni passi sull'erba, facendola ingiallire leggermente. Il Sole guardò il bambino nelle sue mani, così piccolo da entrare nei suoi palmi uniti, così simile a lui da spaventarlo. Gli stessi capelli, la stessa pelle chiara, lo stesso sguardo profondo. Rimase a fissarlo in preda all'incertezza per più tempo del previsto, ma si riscosse quando la creaturina gli afferrò un pollice e iniziò a stringerlo tra le sue manine, piegandolo in varie posizioni. Il sentimento che fiorì dentro di lui lo lasciò senza parole. Un calore che non gli apparteneva gli incendiò il petto e sentì l'ebbrezza della vera felicità annebbiare la sua mente e offuscare il suo giudizio. Il bambino rise mentre provava a mordergli sperimentalmente il dito. Non aveva pensato a questo quando aveva esaudito la preghiera di quella donna, non si era immaginato in questo ruolo. Il piccolo mise da parte il pollice e si rivolse direttamente a lui, e poi, sorprendendolo come mai nulla prima di quel momento aveva fatto, gli sorrise. A quel punto DIO pensò davvero di aver perso la testa, ma se la ricompensa per quella follia era un tale, autentico amore, allora forse avrebbe potuto rischiare di allontanarsi un po' dalla retta via. Rivolse lo sguardo all'orizzonte e, vedendo il cerchio brillante ergersi sul mare, si volse di nuovo verso il bambino. Lo sistemò ben bene nelle coperte per proteggerlo dal freddo, poi se lo portò al petto e lo strinse forte. Una sola lacrima di gioia cadde sull'erba mentre sorrideva. <Ciao, Giorno>, disse e pensò che dal quel momento il mondo fosse diventato un posto più luminoso.
•~•~•~•= Atto III =•~•~•~•
Un uomo camminava canticchiando nella campagna, un bambino di poco più di un anno sonnecchiava sereno tra le sue braccia. L'alone pallido e delicato che circondava l'uomo sembrava non disturbare il suo sonno. La Luna sorrise. Cullò ancora il piccolo, cantando una ninna-nanna di cui neanche lui ricordava bene tutte le parole. Ma il suono era piacevole e questo bastava. Alzò lo sguardo verso il cielo puntellato di stelle e le sue vesti candide si mossero nel venticello caldo dell'estate. Presto il Sole sarebbe sorto e Giorno si sarebbe svegliato. <Jonathan> Una voce lo chiamò e non ebbe bisogno di girarsi per sapere chi era. <DIO>, mormorò, <È un po' presto, non trovi?> <Come sta?> Jonathan sorrise. Non era ancora riuscito a trovare le parole giuste per descrivere quanto fosse contento di quella situazione. Il suo cuore vibrava di felicità e sapeva che era lo stesso per la stella del giorno. <Tutto bene, è con me dopotutto. Se continuerai a essere così protettivo con lui, temo che presto o tardi comincerà ad odiarti> Il silenzio che seguì poteva solo essere un segno della preoccupazione dell'altro dopo aver udito quelle parole. Allora Jonathan si voltò, allungò una mano e la posò sulla spalla del Sole, stringendo delicatamente. La sua espressione insicura lo turbò più del necessario. <Va bene, stavo solo scherzando. Stai andando bemissimo> <Lo pensi davvero?> La Luna annuì con convinzione. <Certo. Lui è felice, noi siamo felici. Non vedo lati negativi in tutta questa storia> DIO non sembrava convinto. Girò la testa di lato e lasciò che il suo sguardo vagasse sui profili delle case in lontananza. <Io...spero solo di non aver commesso un errore> Jonathan stava per rispondere, ma Giorno lo batté sul tempo. Il piccolo, svegliatosi probabilmente a causa dei discorsi dei due, si divincolò dalla presa dell'altro e si allungò verso DIO, sul volto rotondo aveva un'espressione piena di determinazione. Il Sole lo afferrò e lo strinse a sé, Giorno si tirò su e gli piantò un tenero bacino sulla guancia. Quello rimase stordito. <Papà>, disse solo il piccolo con decisione. Jonathan sorrise e desiderò poter immortalare quel momento mentre DIO, con un sorriso più radioso del sole di mezzogiorno, baciava il pargoletto sulla fronte e lo stringeva al petto come se fosse una parte della sua anima.
•~•~•~•= Epilogo =•~•~•~•
Il Sole teneva il bambino di giorno, lo faceva giocare e gli insegnava tutto ciò che c'era da sapere sul mondo; la Luna lo cullava di notte, leggendogli favole e insegnandogli a sognare. Dall'alto le stelle guardavano i tre e ogni tanto si avvicinavano per stare col bambino, riempiendo il cielo di frecce argentee e spingendo gli uomini a rivolgere ad esso le loro preghiere.
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