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#incomunicabilità
aitan · 6 months
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Le sintesi surreali di Benito (sic!) Jacovitti (1923-1997).
Alle medie passavo il tempo a copiare i suoi omini e i suoi salami dal Diario Vitt.
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somehow---here · 2 years
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Tutto il problema della vita è dunque questo: come rompere la propria solitudine, come comunicare con altri.
Cesare Pavese, "Il mestiere di vivere", frammento (15 maggio 1939)
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yourtrashcollector · 13 days
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Ma le persone non sanno mai quello che fai per loro. E tu non sai mai quello che fanno per te.
Antonella Lattanzi, Cose che non si raccontano
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valentina-lauricella · 9 months
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(Non è come una tegola sul capo)
Se esci da sola di sera, potrebbe
accaderti qualcosa. - No, qualcuno
potrebbe scegliere di farmi
qualcosa di brutto. È diverso.
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marcogiovenale · 3 months
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centroscritture.it: oggi, 14 febbraio, il secondo dei due incontri di valerio massaroni su shelley e hofmannsthal
info e iscrizioni https://centroscritture.it Anno 1821. Il poeta inglese Percy Bysshe Shelley risponde a un saggio dell’amico Thomas Love Peacock, nel quale si dichiara la morte dell’arte e della poesia in un’epoca di progresso sociale dominato dalla scienza e dalla tecnica, e scrive una “difesa della poesia” in cui ribadisce e rilancia con passione il valore eterno dell’arte poetica…
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officialpenisenvy · 6 months
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se dici "piuttosto che" tre volte di fila di fronte a uno specchio a mezzanotte ti spunta davanti un milanese a spiegarti che in realtà il suo utilizzo disgiuntivo è perfettamente corretto e che sei tu nel torto per averlo messo in dubbio
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esamedistato2024 · 1 month
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Vincent van Gogh (1853-1890)
Vita
Van Gogh si colloca nel post impressionismo aprendone un nuovo capitolo. L'impressionismo perde il suo smalto. Van Gogh si discosta dall'arte contemporanea e sviluppa una sua propria tecnica, anche perché per lui la sua arte è l'espressione del suo mondo interiore.
Nasce a Groot Zundert da una famiglia modesta. I suoi studi furono poco costanti. Tenta inizialmente di diventare predicatore come il padre, poi lavorò in una casa d'arte francese, poi da predicatore andò a vivere nel Borinage, tra i minatori e nella loro povertà. Venne cacciato dai superiori perché viveva troppo da povero tra i poveri. In seguito studiò l'anatomia e la prospettiva a Bruxelles, e pittura a L'Aia. Poi si trasferì a Parigi dove fece la conoscienza degli impressionisti e dei divisionisti. IN seguito si trasferì ad Arles, dove invitò anche Gauguin. Tuttavia dopo due mesi i due non si potevano più soffrire, tanto che van Gogh si tagliò parte di un orecchio. SI fece poi seguire dal medico Gachet. Morì suicida nel 1890 tra le braccia del fratello Theo.
I mangiatori di patate
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Nel dipinto è raffigurata una scena di povertà, di cinque contadini che cenano solamente con patate e caffè nero. Si tratta d un dipinto molto realistico, in cui tutte le linee prospettiche provewngono dalla lanterna a petrolio, che è anche l'unica fonte di illuminazione della stanza. Tramite i tratti realistici, accentuati, quasi caricaturali delle persone, le cui mani nodose sono rese da intense pennellate, sono espressione del tema sociale del proletariato e dei contadini. Il violento tipico della pittura d van GPgh si può gia individuare dall'utilizzo di luci e ombre nel dipinto. Van GOgh infatti si concentra sullo studio della luce nell'intento di comunicare con il quadro una realtà cruda e crudele. Solo più tardi avverrà l'indagine dei colori tipica di van Gogh.
La notte stellata
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Si tratta di un'eccezione per van Gogh, perché si tratta di un dipinto creato in un periodo tranquillo della sua vita. Nel dipinto è rappresentata l'alba, in cui sono ancora visibili le stelle, in particolare Venere. L'immagine cosmica viene interipretata in maniera impressionista. Nel tratto gli alberi sono quasi scultorei, infatti hanno una forma plastica. La natura viene rappresentata come grandiosa e sublime. Van Gogh utilizza uno schema prospettico costituito solamente con linee di fuga verso destra, non c'è una vera e propria prospettiva. Si concentra più sulla corposità degli elementi.
Il colore in van Gogh
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klimt7 · 29 days
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La stanchezza di non essere capiti
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astra-zioni · 1 year
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Sto vivendo un momento molto delicato ultimamente. Scrivo poesie di merda. E quando scrivo di merda significa che è la fine per me. Non riesco più a contare le persone che in questi mesi mi hanno destabilizzata, con cui non sono riuscita a comunicare, che m’hanno fatto continuamente pensare d’essere un problema, che il mio approccio mentale alle cose fosse sbagliato. E non so voi, ma finché capita con due persone è normale, quando diventa una roba frequente cominci a pensare d’essere effettivamente tu il problema. Il punto è che questo lo so da quando ho circa 4 anni, da quando vedevo gli altri bambini giocare tranquilli ed io no perché soffrivo già di disturbi ossessivi debilitanti; mi è sempre stato chiaro d’essere diversa e questo pensiero qui si è radicato negli anni, perché da ragazzina non hai le facoltà mentali per pensare che le cose da “pazza” che fai son cose assolutamente normali, patologiche forse, ma appunto derivanti da un disturbo, che non c’è niente di sbagliato in questo. E non è servito neppure averlo capito da grandicella tramite articoli online e poi in terapia. Quando sviluppi queste problematiche così presto è come se in un certo senso crescessi tarato in quel modo, con quelle convinzioni lì, quasi impossibili da sradicare. Non mi ricordo cosa stavo dicendo, ah, la gente. Io so di essere un problema, un coacervo ambulante di disturbi mentali, ma mai come ora ho sperimentato questa assurda incomunicabilità con l’esterno, queste discussioni continue e le incomprensioni infinite. Mi sto facendo dunque due domande, come è logico che sia. Poi però penso che con le persone che ho conosciuto qui, a loro volta coacervi ambulanti di disturbi e debolezze umane (vi voglio bene, scusate) io non ho avuto un singolo problema di comunicazione, non c’è mai stato un singolo momento in cui ho pensato “io a questo, non lo capisco proprio”. In cui sono risultata “strana” o in cui mi siete risultati strani. Nemmeno nei reparti psichiatrici popolati da schizofrenici e Gesù cristo reincarnati ho avvertito questa sensazione. E allora mi chiedo: dato per assodato di essere un problema umano, perché però con i “pazzi” io non ho mai problemi di comprensione? Con persone spezzate, ai margini, malate, mentalmente e fisicamente, c’è sempre reciproco rispetto, reciproca stima, empatia e contatto umano? Perché il corto circuito si genera sempre “con quelli normali”? Arrivo a chiedermelo perché sono anni che involontariamente e in maniera più conscia poi io ho progressivamente attirato persone indubbiamente problematiche nella mia vita che teoricamente avrebbero dovuto mettermi in difficoltà ed ho anche sperimentato il frequentare la gente comune, che vedi su Tinder, che aggiungi su Instagram, che sì c’ha dei problemi magari, ma son persone, almeno nella società, assolutamente funzionali e funzionanti. Io credo ci sia una ragione di fondo che vada al di là del mio essere una psicotica borderline. Con le persone come me, o almeno con chi ha sperimentato alti livelli di sofferenza nella propria vita e ne è stato cosciente e magari ci ha lavorato, riesco a sviluppare una comprensione emotiva e umana che con gli altri evidentemente non riesco a creare. La mia inettitudine sociale rimane sempre, non ne scappo, e valuto seriamente l’idea di interrompere i rapporti con l’umanità in generale, ma poi vi leggo, provo empatia, comprensione, mi commuovo, e penso: ma voi siete umani, come tutti gli altri, perché con voi è più facile? Perché voi mi capite?
(Perché invece chi è entrato nelle mie mutande o in casa mia no?)
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aitan · 11 months
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Edward Hopper, Summer in the city (1950)
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yourtrashcollector · 13 days
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Ma le persone non sanno mai quello che fai per loro. E tu non sai mai quello che fanno per te.
Antonella Lattanzi, Cose che non si raccontano
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marcogiovenale · 3 months
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centroscritture.it: oggi, 7 febbraio: il primo dei due incontri di valerio massaroni su shelley e hofmannsthal
info e iscrizioni https://centroscritture.it Anno 1821. Il poeta inglese Percy Bysshe Shelley risponde a un saggio dell’amico Thomas Love Peacock, nel quale si dichiara la morte dell’arte e della poesia in un’epoca di progresso sociale dominato dalla scienza e dalla tecnica, e scrive una “difesa della poesia” in cui ribadisce e rilancia con passione il valore eterno dell’arte poetica…
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deathshallbenomore · 6 months
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qualcosa qualcosa il senso di incomunicabilità con una persona a cui vuoi un gran bene ma rispetto alla quale purtroppo è rimasto poco terreno comune su cui riuscire a stare in piedi insieme :///
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ambrenoir · 25 days
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Le dipendenti affettive:
Sono spesso donne di successo in altre aree della vita. Di loro si dice che erano brave a scuola, all’università e sul lavoro risultano sempre essere molto competenti.
Hanno uno spiccato istinto materno (attenzione! l’istinto materno non ha nulla a che vedere con l’essere madre: esistono madri affatto materne e donne che mai diventeranno madri che invece posseggono una riserva di istinto materno inesauribile).
Funzionano bene nelle professioni d’aiuto: è come se il ruolo di salvatrici fosse loro cucito addosso.
In amore sono poco selettive: si aggrappano spesso al primo venuto non concedendosi un tempo iniziale di valutazione dell’altro.
Non ascoltano la loro voce interiore: nonostante all’inizio della relazione una vocina suggerisca loro che qualcosa nel partner non va, scelgono di ignorarla in nome dell’illusione dell’amore romantico che lui promette.
Confondono il possesso con l’amore: un compagno possessivo viene spesso preferito a uno più equilibrato in quanto la costante presenza e l’eccessivo controllo sulla propria vita viene erroneamente considerata una dimostrazione d’amore.
Credono che se si comporteranno bene l’altro le amerà, pertanto metteranno in secondo piano i loro bisogni e ridurranno gradualmente le loro richieste in modo che la stabilità della relazione non venga mai messa in discussione.
Non rispettano i confini del partner né hanno rispetto dei propri e credono di avere il diritto di straripare nella vita dell’amato in virtù del fatto che, appunto, l’amano più della loro stessa vita.
Maturano un pensiero di tipo egocentrico: poco alla volta tenderanno a riferire a sé i comportamenti della persona che amano. Tale patologica modalità di pensiero trasformerà evidenti segnali d’abbandono in confuse prove d’amore o, più semplicemente, porterà a sottostimare i segnali di disconferma e a sovrastimare, indorandoli, quelli di conferma.
Nonostante si dicano innamorate talvolta hanno l’impressione che la loro relazione non sia guidata dall’amore ma piuttosto dalla paura: paura di restare sole, paura di non essere degne di amore e di considerazione, paura di essere ignorate, o abbandonate o annichilite.
Provengono spesso da famiglie in cui i loro bisogni emotivi di bambine, per motivi che possono essere anche molto vari, sono stati ignorati e pertanto sono cresciute con la sensazione di essere “invisibili” o non meritevoli d’amore.
Molte di loro hanno sperimentato un attaccamento ambivalente alla loro madre: ripercorrendo la loro storia troviamo mamme sintonizzate con i bisogni delle figlie in maniera intermittente, in modo da provocare nelle bambine un perenne stato d’attesa del momento (del tutto imprevedibile) in cui sarà somministrata una “dose” d’amore.
Tendono a riprodurre nella propria vita di coppia un ruolo simile a quello vissuto con i genitori, nel tentativo paradossale di scrivere un copione diverso (il tentativo di salvare lui spesso non è altro che il tentativo di salvare se stesse dalla propria storia familiare).
Da bambine sono state spesso triangolate nelle dinamiche di coppia, talvolta usate in maniera strumentale per tenere vicino il partner o captate in coalizioni perverse da uno dei genitori con la finalità di attaccare e indebolire l’altro.
Raccontano spesso d’aver avuto un padre distante, non necessariamente negligente o maltrattante. Il padre della dipendente affettiva è più spesso un padre freddo, emotivamente distaccato, talvolta narcisista, sempre e comunque un padre che si è percepito come irraggiungibile e con il quale si è sentito ci fosse una sorta di “muro” di incomunicabilità. In alcuni casi, al contrario, sono state talmente adorate dal genitore di sesso opposto da non potersi permettere di “tradirlo” trovando un uomo migliore o con cui, semplicemente, essere felici (“come papà nessuno mai”).
La loro mente non si sente attrezzata per affrontare la rottura della relazione, che pertanto risulta impensabile e viene procrastinata all’infinito. Immaginarne la fine apre a scenari drammatici nei quali ci si immagina cadere in un baratro di dolore senza fine.
Hanno una quota di narcisismo detto “nevrotico” per cui credono che il loro amore basterà a curare le ferite altrui, insegnare ad amare a chi proprio non ci riesce, convertire ai buoni sentimenti chi non ne ha. Anche questo è un delirio di onnipotenza.
Somatizzano: ansia, attacchi di panico, insonnia, condotte di abbuffate, umore tendenzialmente depresso che si alterna a picchi di eccitazione nei momenti in cui il partner è maggiormente presente o mostra segni d’innamoramento, sono solo alcuni degli esiti sul versante psicologico che possono manifestarsi nel corso di una dipendenza affettiva. Se il partner, però, è francamente patologico (narcisista, psicopatico o sociopatico) è frequente che si sviluppi un vero e proprio Disturbo Post Traumatico da Stress (PTSD) o che si configuri la cosiddetta Sindrome di Stoccolma.
Mi scuso con tutti gli uomini che soffrono di dipendenza affettiva per aver usato il femminile. Le donne con questa difficoltà relazionale che giungono all’osservazione clinica sono di gran lunga più degli uomini ma questo non esclude che anche gli uomini possano avere una spiccata sofferenza a causa della dipendenza affettiva.
Tratto dalla pagina FB
“Dipendenze Affettive Maldamore”
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esamedistato2024 · 1 month
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Franz Marc, Der Panther
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Reiner Maria Rilke, Der Panther
Sein Blick ist vom Vorübergehn der Stäbe so müd geworden, daß er nichts mehr hält. Ihm ist, als ob es tausend Stäbe gäbe und hinter tausend Stäben keine Welt. Der weiche Gang geschmeidig starker Schritte, der sich im allerkleinsten Kreise dreht, ist wie ein Tanz von Kraft um eine Mitte, in der betäubt ein großer Wille steht. Nur manchmal schiebt der Vorhang der Pupille sich lautlos auf –. Dann geht ein Bild hinein, geht durch der Glieder angespannte Stille – und hört im Herzen auf zu sein.
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nineteeneighty4 · 7 months
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Ogni volta che vedo un anziano per strada più che domandarmi come ha vissuto in passato, mi soffermo sul presente. Ho un'idea tutta strana del tempo. L'ho sempre avuta, del resto, fin da piccola quando trascorrevo interi giorni a scrivere nello studio di mio nonno con la sensazione che se non avessi impresso la realtà sul foglio mi sarebbe sfuggita di mano. Anche lui, come coloro che oggi osservo, era lontano dal mio mondo e ciò non riguardava solo il fatto che avessimo idee differenti, né che la sua pelle paragonata alla mia mi sembrasse insolita : troppo sottile e/o rugosa. Era come se mio nonno ci fosse e non. Il modo di camminare, porsi, il suo essere calmo e tranquillo in una realtà dominata dal progresso se da un lato mi affascinava, dall'altro mi faceva paura perché sapevo che ogni cosa, ogni persona, vuole la sua epoca. Come dicevo, più che giocare con il tempo provavo a capire in cosa consistesse. Mi domandavo se avrebbero mai potuto sopravvivere nel mio tempo le persone anziane come mio nonno i cui occhi interpretavano sulla base di un'epoca distante, come fosse stata un'altra vita. Fu così che giustificai la sua morte. Al momento dei saluti, presso il cimitero di B, gli dissi pressapoco questo :"Caro nonno, oggi sei venuto a mancare. Senza di te la casa sarà vuota. Nessuno scriverà più lettere e mamma non potrà più contare sul tuo supporto morale ma io ho sempre saputo che tutto ciò sarebbe accaduto, prima o poi. Ti ho osservato a lungo, nelle sere d'inverno e d'estate. Non eri come me, come tutti noi. Ti estasiavi fissando qualcosa che non riuscivamo a percepire e quel tuo modo di parlare e talvolta sfiorare persino tanto le persone quanto le piante, mi ha aiutata a lasciarti andare. Ho capito che c'è un tempo per ogni cosa e che ognuno di noi è lì che vive,che questa appartenenza ad un altro mondo, questo passaggio da una storia all'altra, da una realtà semplice ad una più complessa, ad un certo punto deve avere fine. Non so come sarà il futuro in cui mi mancherai sempre. L'unica cosa che so è che se fossi rimasto accanto a me ti avrebbe ucciso qualche altra cosa : forse l' incomunicabilità"
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