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#la donna gelata
gregor-samsung · 4 days
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" Il cielo plumbeo di settembre, le voci accalorate degli uomini di sotto, nel bar, le siepi del cortile ronzanti di api: quasi tempo di tornare a scuola. Il futuro. Ho tra i sette e i dieci anni, so di essere nata per fare qualcosa. Nessun fratello mi sbarra la strada con la precedenza del suo destino sul mio. Adesso so che l’atteggiamento di mia madre era anche frutto di un calcolo. Solo perché non apparteneva alla borghesia non significa che bisogna fargliele passare tutte. Voleva una figlia che, a differenza sua, non finisse a lavorare in fabbrica, che potesse mandare tutti a fanculo, che fosse libera, e per lei l’istruzione era quel fanculo e quella libertà. Così, da me, non si pretendeva nulla che fosse d’intralcio alla mia realizzazione, né commissioni né faccende domestiche di quelle che consumano le energie. Ciò che conta: che quella realizzazione non mi sia stata preclusa perché ero una femmina. Diventare qualcuno, per i miei, non aveva sesso. "
Annie Ernaux, La donna gelata, traduzione di Lorenzo Flabbi, Roma, L'Orma editore (collana Kreuzville Aleph), 2021¹, pp. 39-40.
[1ª Edizione originale: La Femme gelée, Paris, Éditions Gallimard, 1981]
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12esima: A. Ernaux, La donna gelata, L'orma edit.
Da Ramsis Bentivoglio riceviamo A. Ernaux, La donna gelata. Ramsis ci scrive: “La donna gelata è un romanzo della premio Nobel francese Annie Ernaux, classe 1940. Nata da una famiglia di commercianti, né ricchi né poveri, riesce a studiare come le ragazze borghesi e si laurea, arrivando fino all’insegnamento scolastico. La sua vita, però, non è una vita standard. In un periodo storico in cui…
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evaporizzo · 2 years
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E ancora, quale scegliere tra queste maschere, dove collocarmi? Ottenere quel corpo, a tutti i costi. Altrimenti non piacerò mai a nessun ragazzo, non sarò mai amata e la vita non varrà la pena di essere vissuta. Quell'equazione, quella per cui, se si moltiplicava quanto si piaceva per l'amore, si otteneva come risultato il fine ultimo dell'esistenza, è penetrata in me senza incontrare ostacoli, e più subdolamente di ax² + bx + c = 0.
A. Ernaux, La donna gelata, 1981.
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turangalila · 5 months
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Giaches de Wert (1535 - 1596)
Il settimo libro de madrigali a cinque voci novamento composto & dato in luce (Antonio Gardano, Venice, 1581)
– Donna, se ben le chiome
Donna, se ben le chiome ho già ripiene / D’algente neve, il cor però non verna: / Sàsselo Amor che tacito ’l governa / E in lui conserve del suo ardor mantiene. / Etna cosí sul dorso alto sostiene / Le brine e ’l giaccio e dentro ha fiamma eterna; / Selce cosí gelata è ne l’esterna / Parte, e’l foco nativo ha ne le vene. //
Ben, se ’l petto talor mi ripercote / Colpo de’ tuoi begli occhi, a piú d’un segno / Vengon le fiamme mie, nel mio sembiante / Ma tu risparmi i colpi e vuoi ch’ignote / Siano: forse è pietà, forse è disdegno / Che alzi tanto osi sperar canuto amante. // [Torquato Tasso]
– Vive doglioso il core
Vive doglioso il core / Sol per servir Amore / Che d'eterna ferita / Vuol che peni mia vita / Per far il suo bel regno / Più glorioso e più d'ogn'altro degno. //
– Vani, e sciocchi non men ch'egri e dolenti
Vani, e sciocchi non men ch'egri e dolenti / Lumi perchè dal pianto or non cessate? / Qual maggior doglia oggi ch'allor provate / Che i rai del vostro sol v'eran presenti? / Quel ch'or vi tolgon de' begli occhi ardenti / Le luci a voi sparite e dilungate, / Già vi togliea la sua gran crudeltade / Che i pensier sempre ebbe a fuggir intenti. // [Ludovico Ariosto]
Giaches de Wert – Il settimo libro de madrigali. The Consort of Musicke, Anthony Rooley. (1989, Virgin Classics Digital – VC 7 90763-2)
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thecatcherinthemind · 2 months
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La psicologa solo sentendo raccontare di cosa è successo la scorsa settimana mi ha spiegato che mia madre sta facendo dei giochi psicologici per portami al suo livello, che definisce di gravità 3. Dice che ci sono diversi livelli di gravità, e che se nella 2 si arriva a rescindere i rapporti, nella 3 si arriva " direttamente al pronto soccorso o all'obitorio".
È stata una doccia gelata, perché da una donna che giustifica tutto al figlio maschio e fa correre me come una matta mi dovevo aspettare che cercasse di uccidermi sia metaforicamente sia fisicamente, perché non voglio stare alle sue condizioni. Campa di regole arretrate per cui ai maschi è concesso tutto mentre le donne devono fare la sua fine, che alla mia età trasportava le piastrelle del trasloco per cinque piani di scale mentre era incinta, mentre i fratelli maschi stavano al bar e mio padre si caricava solo i cuscini e i CD. Ed ecco a voi l'immagine di come tratta me: non dimenticherò mai la scena di qualche anno fa. Ha venduto la casa di mia nonna promettendo di lasciarla vuota, ma quando è arrivata l'inquilina c'erano mobili da buttare e mia madre non aveva chiamato nessuna impresa di traslochi. A quel punto io e un vicino li abbiamo smontati e lasciati sul pianerottolo. Io me li mi sono portati tutti giù per cinque piani da sola, a piedi senza ascensore, mentre mio fratello era a giocare al PC e lei stava sul divano di casa nostra a sbuffare che ormai era nervosa con la nuova inquilina. In tutto ciò al mio ritorno, quando ho detto che almeno qualcuno poteva aiutarmi, mi ha risposto "Nessuno te lo ha chiesto". Quando penso a lei la immagino sul divano a fumare col tablet in mano o davanti alla TV.
Quando dico che la odio, vi garantisco che non è una parola sufficientemente potente.
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flatsc · 2 years
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Avanzava, scalciando la neve profonda. Era un uomo disgustato. Si chiamava Svevo Bandini e abitava in quella strada, tre isolati più avanti. Aveva freddo, e le scarpe sfondate. Quella mattina le aveva rattoppate con dei pezzi di cartone di una scatola di pasta. Pasta che non era stata pagata. Ci aveva pensato proprio mentre infilava il cartone nelle scarpe.
Detestava la neve. Faceva il muratore e la neve gelava la calce tra i mattoni che posava. Era diretto a casa, ma che senso aveva tornare a casa? Anche da ragazzo in Italia, in Abruzzo, detestava la neve.
Niente sole, niente lavoro. Adesso viveva in America, nella città di Rocklin, Colorado. Era appena uscito dall’Imperial Poolhall, la bisca locale. Le montagne c’erano anche in Italia, simili ai bianchi monti pochi chilometri di distanza verso occidente. Le montagne erano un gigantesco abito bianco caduto come piombo sulla terra. Vent’anni prima, quand’era ventenne, aveva fatto la fame per un’intera settimana fra le pieghe di quel selvaggio abito bianco. Doveva costruire un camino in una baita. Era pericoloso lassù, d’inverno. Eppure aveva mandato al diavolo il pericolo, perchè allora aveva vent’anni, una ragazza a Rocklin, e bisogno di soldi. Ma il tetto della baita era crollato sotto il peso della neve soffocante.
L’aveva sempre tormentato, quella bella neve. Non capiva per quale ragione non se ne andava in California. Rimaneva in Colorado invece, nella neve alta, perchè ormai era troppo tardi. La neve bianca e bella era uguale alla moglie bianca e bella di Svevo Bandini, così bianca, così fertile, adagiata su un letto bianco nella casa in fondo alla strada. Al numero 456 di Walnut Street, Rocklin, Colorado.
L’aria gelata faceva lacrimare gli occhi di Svevo Bandini. Occhi scuri, occhi languidi, occhi di donna. Nascendo li aveva rubati alla madre, perchè dopo la nascita di Svevo Bandini sua madre non era stata più la stessa, sempre inferma, sempre con gli occhi malati, finchè era morta. Ed era toccato a Svevo avere languidi occhi scuri.
Svevo Bandini pesava settantadue chili, e aveva un figlio, Arturo, che amava accarezzargli le spalle vigorose per sentirle guizzare. Era un bell’uomo, Svevo Bandini, tutto muscoli, e aveva una moglie, Maria, alla quale bastava correre col pensiero ai lombi muscolosi del marito per sciogliersi anima e corpo, come neve a primavera. Era così bianca, quella Maria, e a guardarla sembrava di vederla attraverso un velo d’olio d’oliva.
“Dio cane, Dio cane”. Così diceva Svevo Bandini rivolto alla neve. Perchè quella sera Svevo aveva perso dieci dollari a poker all’Imperial Poolhall? Era così povero, con tre figli a carico, e non aveva neppure pagato la pasta, per non parlare della casa che ospitava figli e pasta. Dio è un cane
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GOOD MORNING!
BUONGIORNO!
Guarda "CLAUDIO BAGLIONI / TUTTO IL CALCIO MINUTO PER MINUTO / VIDEO" su YouTube
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TUTTO IL CALCIO MINUTO PER MINUTO (CBS 1985)
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L'inverno passa basso in cielo
E un vento a strisce viene da lontano
Un cane gli corre dietro storto
Leccando i muri della strada
La ragazzina ha un sorriso croccante
E un cuore come un melograno
E lui la tiene ha paura che gli cada...
La ragazza respira distratta
E si ravvia i capelli ed i pensieri
Il ragazzo dà una schicchera alla cicca
E poi la calcia via come una palla
La donna ha messo il suo vestito più magro
E un po' più di allegria negli occhi seri
L'uomo ha lasciato i baffi
E la cravatta gli si rovescia sulla spalla...
La ragazzina
Sembra appesa a un palloncino
E sulle guance in fiamme
Le si accendono domande
La ragazza nell'acqua bella dei suoi occhi chiari
Di un mare al mattino
E tra i suoi teneri polsi
Trema già un destino troppo grande...
La donna guarda l'uomo
E vede un pezzo di sua figlia
E il loro vecchio modo
Di chiamarsi e di giocare
La ragazzina ha sguardi lenti
Che le cadono giù dalle ciglia
Due ali piccole che imparano a volare...
La ragazza si volta e il vestito
Si incolla sulle gambe e il seno
Lui si conta le parole in tasca
E la sua voce è come dietro un vetro
La donna ha lo stesso odore
E il tempo le ha portato qualche anno in meno
Si scalda dentro le mani e resta indietro...
La ragazzina e le sue scarpe inglesi
Schiacciano un fango di cioccolata
In un silenzio di gomma americana
Che butta e prova a fare centro
Per la ragazza il film si ferma di colpo
La verità sul collo è acqua gelata
E tra le labbra secche di cartone
Un urlo basso sale su da dentro...
La donna ride strano
E le mancano i ginocchi
E stringe l'anima e una vita intera
In mezzo ai denti
La ragazzina e il ragazzino
Hanno una voglia che gli invade gli occhi
Ed una folla di baci lievi e brevi
Come cerini spenti...
La ragazza e il suo amore
Che le muore tra le braccia
Raccoglie un pezzo di dolore
E ci si taglia il cuore
L'uomo e la donna accarezzando un sogno
Si accarezzano la faccia
Confusi stretti in uno stesso batticuore...
E a due a due vanno via
Dentro un'aria tagliente a vetrini
Di un pomeriggio nudo
Le radio dietro alle persiane
E "Tutto il calcio
Minuto per minutoooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooo"......
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quadernorosso · 2 years
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Dicembre per me, è stato solo Annie Ernaux! Mi sono immersa nella lettura dei suoi scritti che ho divorato senza riuscire a fermarmi. Oggi voglio parlarvi del libro "La donna gelata", un libro che parla della donna degli anni Quaranta alle temperie di liberazione degli anni Settanta; affronta uno dei temi più discussi del nostra epoca: la disuguaglianza di genere.
«Sempre attenta ai bisogni degli altri. Come se per una donna non ci fosse nulla, proprio nulla, di più importante.»
Questo libro è un punto di vista. Un racconto che illustra con parole leggere che l'uomo e la donna non sono la stessa cosa e quindi impossibile pretendere di essere sullo stesso piano. Certo, all'inizio è diverso. Anche se tutti le anticipano che il suo futuro è quello di moglie; si illude che lei non cadrà nella trappola. Poi, cresce, e si sente incompleta. Pensa che il matrimonio sia quel tassello di puzzle che la farà sentire finalmente completa. Si sposa. Rimane incinta. Ha dei sogni? Sì, diventare una professoressa, insegnare. Per il marito è facile continuare i studi. Lei deve badare al bambino e alla casa. Poi, nelle poche ore di liberazione, prova a studiare. Viene bocciata all'esame. Il marito no. Il marito prosegue nella sua carriera. È un percorso che è un suo diritto. A lei rimane il diritto di badare agli altri. Di sé stessa si dimentica.
«Sono finiti senza che me ne accorgessi, i miei anni di apprendistato. Dopo arriva l'abitudine. Una somma di intimi rumori d'interno, macinacaffè, pentole, una professoressa sobria, la moglie di un quadro che per uscire si veste Cacharel o Rodier. Una donna gelata.»
È un libro forte. Che insegna a scegliere sé stesse. E soprattutto, è un libro che dove essere letto, per conoscere la disuguaglianza che ancora oggi, nella nostra epoca, viene regolarizzata.
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sidmjkgc · 1 year
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Mi sveglio al mattino e sento gridare Qualcuno mi dice: "Ti devi sbrigare" In sette minuti mi lavo la faccia E prendo il caffè con un po' di focaccia Mi infilo la giacca, scendendo le scale Mi fermo un momento a comprare il giornale Sul tram affollato una donna si siede Mi strappa i capelli e mi monta su un piede Ma che bella giornata! Ma che bella giornata! Arrivo in ufficio che sono distrutto Il mio direttore mi dice di tutto Montagne di carta, cambiali in protesto Eppure la gente continua a far festa Ma che bella giornata! Ma che bella giornata! (Però noi siam sicuri che prima di stasera La tua giornata nera vedrai che cambierà Ti basterà soltanto la tua ragazza accanto E come per incanto vedrai che cambierà) Eh... magari! Nell'ora di sosta mi prendo un panino Con acqua rossiccia che chiamano vino Ma a casa alla sera è pronto un gran pasto Con carne gelata e pesce già guasto Ma che bella giornata! Ma che bella giornata! Se accendo la radio o la televisione M'accorgo che il mondo sta andando benone "Vogliamoci bene" dicono tutti Però l'indomani ci sono più lutti Ma che bella giornata! Ma che bella giornata! (Però noi siam sicuri che prima di stasera La tua giornata nera vedrai che cambierà Ti basterà soltanto la tua ragazza accanto E come per incanto vedrai che cambierà) Eh... magari! Uscendo per strada incontro due amici Che cercano invano serate felici Cerchiamo girando due ore di beat E mentre giriamo la giornata è finita Ma che bella giornata! Ma che bella giornata! Mi infilo nel letto e dico a me stesso Che forse domani non sono lo stesso Il sonno che arriva mi porta conforto Mi illudo che vivo invece son morto Ma che bella giornata! Ma che bella giornata! Ma che bella giornata! Ma che bella giornata! Ma che bella giornata! Ma che bella giornata! Ma che bella giornata! Ma che bella giornata!
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akille15 · 1 year
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Al Pacino papà a 83 anni: «Ha chiesto alla fidanzata il test del Dna». Ecco il risultato✅
Una vera doccia gelata per l’attore, che riteneva impossibile poter mettere incinta una donna per problemi di salute. Stando a quanto riporta Tmz e Showbiz 411, la gravidanza di Noor Alfallah è stata una vera doccia gelata per l’attore, che riteneva impossibile poter mettere incinta una donna per problemi di salute e si è sottoposto al test del Dna.Inoltre, gli avvocati di Al Pacino, a quanto…
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ultravita · 2 years
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Cuba
La strada è piena di buche, e l’autista della macchina sta guidando come un pazzo cercando di schivarle sorpassando carri trainati da buoi magrissimi.
Ai lati si vedo galline, capre legati a pali conficcati nel terreno, la terra è arsa dal sole e nell’abitacolo non c’è l’aria condizionate. L’automobile è messa abbastanza bene in confronto a tutte le altre che vedrò nei prossimi giorni.
Il viaggio dall’aeroporto a Santiago de Cuba dura circa un’ora in cui vedo la mia vita finire nei più disparati dei modi.
Ma prima di rendermene conto sono già seduto al tavolo di un bar bevendo una Cristal gelata.
Il volo in aereo che mi ha portato da Milano a qui è stato relativamente tranquillo ma io 10 goccine di tranquillante le ho prese comunque. Una dosa da bambino probabilmente, ma non sono abituato a stare tutte quelle ore senza avere il controllo su ciò che mi succede intorno.
La famiglia ci ha accolti con una felicità che solo chi non si vede da tanto tempo è capace di trasmettere. Il padre di Da, si è fatto addirittura prestare una macchina dal vicino per venirci a prendere dove ci ha lasciati il taxi, una piazza antistante un grosso albergo del centro, poco distante dal bar dove siamo adesso.
Da è cubana, e ha un fratello nato da un’altra relazione da parte di madre e una sorella nata dallo stesso padre ma da madre diversa. Qui a Cuba è la norma, una famiglia allargata diremo noi.
Saliamo tutti in macchina e ci dirigiamo verso la casa che ci ospiterà per le prossime due settimane.
Lungo i marciapiedi che costeggiano la strada noto subito le bancarelle dove gli abitanti del posto si sono ingegnati a vendere di tutto un po’, c’è che ha tutti per idraulici, chi frutta e verdura e qualcuno addirittura vende accendi assemblati con gli scarti di altri che non funzionavano più. Cercano di vendere tutto per sbarcare il lunario. Non è difficile che in questa città per alcune ore manchi l’energia elettrica e l’acqua corrente anche per intere giornate. Infatti ogni casa ha una vasca in cemento per immagazzinare quanta più acqua possibile e le abitazioni sono invase da taniche piene di acqua.
Le mie docce per i prossimi giorni saranno nel cortile di casa pescando l’acqua con un secchio da una tinozza piena. È proprio qui che ti rendi conto di quanto sottovalutiamo l’importanza dell’acqua nei nostri Paesi, apriamo i rubinetti, le docce e subito veniamo avvolti da un forte getto, mentre qui, in tutta l’isola, tranne negli alberghi per i turisti, capita che non esca nemmeno un goccia dal tubo. E ci si arrangia come si può.
Al mio arrivo a casa vengo accolto dalla nonna, una donna dai lineamenti molto tipici, magra, con le rughe della pelle che diventano di un marrone più intenso nella carnagione già scura. In testa un copricapo altrettanto tipico, ed il sorriso stampato sulla sua bocca, nonostante i pochi denti rimasti, è sincero e sereno.
Racconta di aver conosciuto Castro mentre beviamo un caffè, scopro solo ora che è fatto con i ceci perché quello vero costa troppo, e di tutto quello che è successo sull’isola negli ultimi quarant’anni. La macchina gialla, una vecchia auto americana degli anni 50, è parcheggiata davanti a casa. Di fronte un piccolo negozio di generi alimentari che conoscerò meglio dei giorni seguenti, quando mi divertirò a vedere il solito furgone delle uova che arriva lì davanti e che poi scaricherà il proprio contenuto mezzo rotto.
I sacchi della spazzatura sono come quelli delle patate, ma non in iuta, in materiale plastico, e qualche giorno indefinito durante la settimana, un furgone della nettezza urbana passa e l’uomo che sta appeso sul retro, prende il sacco e ne svuota il contenuto nel cassone, lanciando il sacco vuoto verso l’uscio di ogni casa. La cosa che mi colpisce di più è che sempre quell’uomo verifica attentamente il contenuto per poter stabile la presenza di qualche oggetto da portarsi a casa. Ovviamente qui non si parla di raccolta differenziata.
Con il passare dei giorni riesco a compiere anche da solo il tratto di strade e vicoli che porta dalla casa del padre di da fino alla casa della mamma.
Il tragitto passa davanti ad un grosso mercato all’aperto e non posso fare a meno di notare i pezzi carne tenuti sui banconi, neri e pieni di mosche ma che comunque lampeggio parte delle persone non si può permettere di acquistare.
La povertà è tanta e anche le case sono sistemate con materiali di fortuna. Qui i lavori non hanno bisogno né di progetti né di permessi, ogni tanto si aggiunge un pezzo o si copre alla con qualche latta una vecchia terrazza o un cortile.
La casa dove andiamo a magiare è accogliente, c’è anche la televisione e parte della cucina e dove si pranza è costantemente sotto una tettoia semi-aperta. Qui non piove quasi mai ed il caldo, ovviamente, è abbastanza insopportabile.
Tutti i parenti mi hanno addirittura organizzato una cena per festeggiare il mio compleanno che è stato qualche settimana prima, ed è stato veramente bello.
Il riso con tanti tipi di verdure, la torta che però scopro che va mangiata insieme ad una sorta di insalata russa con la pasta dentro, la birra, una specie di frappe delizioso che poi berrò nei successivi giorni e che accompagnerà, come sempre, riso e verdure.
Però, la cosa più importante, sono le persone, allegre, sincere ed unite. Il ritrovarsi tutti insieme è ancora una cosa importante e magica al tempo stesso.
Un giorno siamo andati con una macchina a noleggio in campagna, fuori città da alcuni parenti. Per accoglierci, anzi forse per accogliere me, avevano preparato un intero maialino che tutti i presenti, a turno, facevano girare sul fuoco tramite un lungo palo conficcato tra bocca e sedere. Certo per un vegetariano come me non è stato una bellissima immagine, però in un certo senso era la cosa più bella e più di cuore che potessero fare. Ovviamente non può mancare il rum, che si compra anche nelle bottiglie di plastica da un litro e mezzo. Ed è proprio per andare a comprare un po’ della bevanda più famosa di Cuba che posso guardare meglio il piccolo villaggio dove siamo ospiti.
Su ogni muro c’è una frase inneggiante al Che, piccole case con il tetto in lamiera sono disposte ai lati della strada sterrata. Vado a comprare alcune bottiglie al chiosco della spiaggia lì vicino e spendo qualcosa come 2/3 euro per alcuni litri di Rum.
Il capofamiglia mi spiega che dietro casa ha anche alcuni galli da combattimento e che non mancano mai gli incontri dove scommettere del denaro. Il pranzo è paragonabile, per durata, ad un nostro ricevimento di nozze, anche per la lunghissima cottura del povero maialino. Ed il rum continua a scorrere a fiumi.
Finito il pranzo, che poi si è trasformato in una cena, iniziano i balli con la musica che proviene da una vecchia tv in bianco e nero.
A notte fonda, molto in ritardo rispetto all’orario pattuito, arriva a prenderci l’auto a noleggio che ci aveva portati alla mattina. Ed dopo pochi minuti mi addormento sul sedile del passeggero, stanco e, ovviamente, anche un po’ brillo.
Ogni giorno è un continuo sorprendermi di quanto sia pacifica l’atmosfera in questo posto, tutto viaggia ad una velocità 1000 volte inferiore rispetto alla nostra. I vecchi camion usati come pullman o le macchine svuotate dai sedili posteriori, partono solo quando sono piene e non all’orario stabilito.
Ma qui nessuno ha fretta.
Si mangia quando si ha fame, si dorme quando si ha sonno e si beve una birra o un bicchiere di ruma quando si ha voglia.
Poi c’è anche il lato commerciale e turistico, quello con i grandi alberghi, le macchine europee a noleggio, la piaga della prostituzione.
Ma qui a Santiago si sente soprattutto la Cuba vera, quella di strada, quella delle persone sui marciapiedi a fumare sigarette guardando le macchine passare avvolti dai gas di scarico.
Quella dei carretti trinati o spinti da uopi che vendono ciò che la terra arrida riesce per a donare.
La Cuba delle palestre aperte 20 ore a giorno, delle che de per accedere ai punti wi-fi per connettersi ad una linea internet lentissima, la Cuba dei granchi di un rosa stupendo che attraversano la strada in riva al mare, delle macchine dei film, dei cani in giro per strada, randagi e magrissimi.
Ma le persone hanno una dignità mai vista, uno spirito socievole, sempre pronti a palare e a sorridere. Hanno quasi tutti poco o niente, probabilmente come i nostri avi dopo la guerra, ma non si piangono addosso, vivono alla giornata, si inventano lavori, vivono, anche, con il sogno magari un giorno di andare via e rifarsi una vita.
Perché non è davvero facile vivere qui, per un giovane, che sa cosa fanno i suoi coetanei a non molte centinaia di km da qui.
Ma la semplicità e l’amore con cui ti accolgono hanno ancor oggi un posto speciale nel mio cuore e nella mia mente.
Grazie Cuba.
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gregor-samsung · 1 year
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“ Mia madre, la voce profonda che le sentivo nascere in gola. Le serate di festa in cui mi addormento sulle sue ginocchia, quella corrente d’aria, le porte sbattute, tutte le cose che intorno a lei vibrano, a volte persino esplodono, come quel giorno, magnifico e stupefacente, in cui un posacenere vola dalla finestra e si schianta in mille pezzi sul marciapiede, di fronte allo scioccato fornitore colpevole di non averle consegnato non so più quale merce. Il risultato di uno dei suoi scatti d’ira, di quelle sue rabbie semplici che si autoalimentavano fino a sbraitare che basta, questo mestiere è proprio una merda, ma poi di nuovo la quiete, e il barattolo delle violette di zucchero che mi lasciavano la lingua scarlatta, la grande scatola di biscotti assortiti dalla quale pescheremo entrambe per consolarci del suo caratteraccio. Lo so, lo sappiamo che urla giusto per sfogarsi e per il piacere di farlo, ma che in realtà non si stancherà mai di essere la padrona, di un negozietto, certo, ma pur sempre la padrona. Quando abbassa la guardia dice che in fin dei conti si è giocata proprio bene le sue carte. Il lavoro occupa tre quarti del suo tempo. È lei che riceve i rappresentanti, controlla le fatture e calcola le tasse da pagare. Sono giornate di mormorii corrucciati, che trascorre china sui fogli, facendo le addizioni a mezza bocca e leccandosi le dita per sfogliare le fatture, che nessuno la disturbi. L’eccezione di un’intera giornata di silenzio, di solito intorno a lei regnano il rumore e la vita, tintinnare di bottiglie, sbatacchiare dei piatti della bilancia, storie di malattie e di morti. L’unico momento tranquillo, quello in cui scarabocchia un conto sul retro dell’incarto del camembert o del pacco di zucchero, poi si ricomincia con le storie, chi si è fidanzata, chi ha trovato lavoro, chi si ributta in pista. La prima eco del mondo esterno mi è arrivata attraverso lei. Non ho esperienza delle stanze in cui il silenzio è rotto solo dal ticchettio della macchina da cucire, i fruscii discreti delle madri al cui passaggio nascono l’ordine e il pulito. “
Annie Ernaux, La donna gelata, traduzione di Lorenzo Flabbi, Roma, L'Orma editore (collana Kreuzville Aleph), 2021¹; pp. 19-20.
[1ª Edizione originale: La Femme gelée, Paris, Éditions Gallimard, 1981]
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Lettera di Persefone, dea degli inferi:
Sono forse foglie quelle che vedo scendere davanti ai miei occhi? Magari sono piume, nere come il catrame o rosso intenso come sangue. Perché non entrambi? I miei piedi… I miei piedi sono immersi nella nebbia. Sento le mie mani leggere e il mio corpo vuoto e pieno nello stesso momento. E se fossero pietre quelle che sento abbattersi al suolo nel mio cuore? Vorrebbe, forse, dire che esso batte ancora? Vi prego, aiutatemi, c’è qualcuno che mi sta ascoltando? La mia voce è stata tramutata in brezza gelata? Avvertite qualcosa di molto freddo carezzarvi l’attaccatura dei cappelli sulla nuca? Non respingete i vostri sentimenti, sono qui. Anche se, qui, non so dove sia, ma vi osservo mentre trattenete il respiro, mentre vi stringete a voi stessi, con le braccia, a trattenere un brivido. Mi manca sentire la pelle di un altro corpo che scivola sotto le mie mani, mi manca poter solo vedere e mai accarezzare. Strano, non avrei mai pensato, prima, che potessi avvertire una sensazione in maniera così netta. Non volevo più sentire nulla, non mi interessava quando lui non era vicino a me. Ogni cosa aveva la stessa consistenza della polvere, cenere di fornace, non argenteo pulviscolo di luna. Poco più che sabbia vetrificata erano diventate le mie lacrime. Se voi foste me, avreste accettato qualsiasi cosa purché quel supplizio terminasse.Meglio la morte che una vita inesistente di inerzia forzata, non credete? Mi bastava solo un tocco, un unico sfiorarsi di indici. Questo sarebbe stato sufficiente.
Ho chiesto troppo all’acqua scrosciante sul tetto di quella casupola dove vivevo. Mura che dividevo con mia madre. Lei mi amava ma l’affetto materno, a volte, quando vorresti essere accarezzata dalla tempesta, è solo poco più di una brezza leggera: non basta per destare il cuore, la pelle e la passione. Anelavo l’Amore, per una sola volta, anche se sapevo di non meritarlo, anche se sapevo che altri ne bisognavano più di me. Lo volevo nel mio cuore, tra le mie braccia, nella mia testa e tra le mie lenzuola. Non ero come la donna che chiamavo madre, non era il dono ad appassionarmi, volevo ardere, volevo comprendere per quale motivo io esistessi. Volevo conoscere la follia e l’ansia delle mie domande. Io, figlia delle messi e dei boccioli di primavera, potevo fare simili domande? Se bastasse scrivere sui muri della grotta di Ade, se lui ascoltasse la mia preghiera sommessa forse potrebbe aiutarmi. In fondo, ho chiesto alla pioggia e lei rifugge dal suolo nascondendosi tra i meandri della terra, potrebbe essergli giunta una goccia a sussurrargli la mia voce. Lo chiamarono rapimento, non era quello il termine esatto. Io lo avevo chiamato ed era bastato uno sguardo, nulla più di quello. Due mani si erano congiunte, poi le braccia, infine eravamo un intreccio di corpi. La morte che si insinua nella vita. La vita che si insinua nella morte. Due mondi lontani, appartenenti l’uno all’altra. Ade, conosciuto per essere un sinistro sussurro nella voce delle caverne stregate, un oscuro abitante dell’esistenza. Mentre io, Persefone, ero l’emblema dell’esatto contrario. Ci siamo rapiti, questo è più esatto. Due corpi sulla soglia di due mondi, uno nell’altro, stretti e lontani, deliranti e doloranti, persi in un supplizio che sa di sole e terra, che sgorga in un sangue aspro e dolce. Volevo avere l’altra parte di me stessa ma quello che mi è stato dato è il seme dell’uomo che conosce solo la fine di ogni inizio. Finalmente mi sentivo viva ma non mi appartenevo più: esistevo nella morte e lei esisteva in me. Risalire la china della conoscenza, dopo un amplesso così folle e profondo, è inspiegabile. Nei nostri incontri, scontri, sudori e baci, ho scoperto che ero io il tramite: siamo, in realtà, tutti vivi ma anche il contrario, diventeremo rugiada e sangue, cos’altro potrebbe essere l’esistenza se non un flusso? Com’è avaro colui che non ha pazienza. Nella contemplazione di noi stessi avevamo perso la nozione del tempo. Ordinarono di restituirmi alla terra a cui appartenevo, dissero che non ero un suo diritto. Gli chiesero di rinunciare a me, come se mi avesse costretta. Solo un’anima, avrebbe dovuto rinunciare solo a quella. Cosa sarebbe mai cambiato nel suo regno a causa della mancanza di una sola presenza? Una voce mancante nell’eco dell’eternità, forse? Cedere un’anima non è poca cosa se hai timore del vuoto, non siamo così dissimili. Non ho mai pensato che laggiù potesse avere paura di qualcosa, di una dissonanza nel silenzio infinito di mille saggezze che avevano terminato il loro tempo. Anche io ho paura del silenzio, ne ho sempre temuto la risonanza. Lui aveva paura di perdere me, io non volevo perdere lui. Per questo rubai il frutto dell’eternità e lo legammo alla mia anima: ci avrebbero separato, solo per poco. Si paga per un pegno d’amore, sapete? Si vive in una continua bolla di vuoto, sospesi tra l’abisso e la terra, con un piede sul ciglio e un altro sullo strappo di un cuore spezzato che urla. Ne odo la voce in continuazione, è questa la mia pena: la stessa per entrambi. Una coercizione, se volete. Quando siamo separati, siamo condannati da noi stessi, a sentire, in ogni accezione del termine, il nostro cuore che cede, crolla e non smette di provare dolore pur anelando la fine di tanto bruciore. E ancora non cessa di battere. Ero morta in vita e chiesi, pregando, la mia anima. Come ho detto, la chiesi implorando alle gocce d’acqua tempestose e supplicai sul fiume di sangue di cui sono stata sorgente e foce nel richiamo dell’antica volontà del dio custode di ogni esistenza. Ho avuto molto più di quello che desideravo.
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xsavannahx987 · 4 years
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- Alleanza - cap. 3
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“Quando i malvagi tramano, i buoni devono allearsi; altrimenti cadranno, uno ad uno, un impietoso sacrificio in una spregevole battaglia.” Edmund Burke
Il sole fece capolino dietro le alte colline di Brindleton Bay, illuminando la vallata sottostante di un caldo colore giallognolo. La neve al suolo brillò baciata dai raggi solari, così come la rugiada del mattino. Helena e Cassandra camminavano in silenzio, i volti accarezzati dall'aria gelida mista alla brezza marina. Non avevano proferito parola da quando si erano incontrate a Forgotten Hollow solo un'ora prima. La cacciatrice aveva tentato più volte di intavolare un discorso con la donna, ma la risposta di Cassandra era stata sempre la stessa "Il comandante ti spiegherà ogni cosa", come se non volesse avere alcun tipo di rapporto sociale. Era frustrante non interloquire con qualcuno con il quale ti ritrovi a camminare a lungo ed Helena odiava particolarmente le persone troppo silenziose. Lei era una ragazza di spirito, di un sarcasmo quasi disarmante, amava parlare ed ascoltare ed aveva un’ irrefrenabile voglia di condividere la sua vita con chi potesse comprenderla appieno. Cassandra, d'altro canto, era una donna taciturna che preferiva non mischiare il "lavoro" con la sfera privata. Eppure Helena sentiva che sotto quella corazza da vero soldato si celava un animo buono che chiedeva di essere ascoltato. Quando giunsero all'ingresso della fortezza dell'Organizzazione, tutto ciò che Helena vide davanti a sè fu una cancellata in ferro battuto dietro la quale non c'era altro che terra a picco sul mare. "Beh, devo dire che è un bel posto! Se volevi portarmi a fare una passeggiata romantica sul mare, potevi anche dirmelo prima" annunciò la ragazza, sarcastica come sempre. Cassandra non rispose a quella frase di spirito, limitandosi ad alzare gli occhi al cielo. Poi pronunciò qualcosa in latino e l'enorme fortezza apparve davanti a loro come per incanto. Helena rimase a bocca aperta, incapace di proferire altro. Neppure il suo sarcasmo le venne in soccorso. "Benvenuta a Tiamaranta's fortress" annunciò Cassandra con un sorriso trionfale.
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La barriera magica si richiuse al loro passaggio mostrando ancor di più la magnificenza di quel luogo agli occhi della cacciatrice. Le torri imponenti le suscitavano timore, ma al contempo si sentiva al sicuro, come se quella bolla fatta di incantesimi potesse proteggerla da tutti i mali del mondo. Camminò sul ponte a bocca spalancata, osservando ogni minimo dettaglio della struttura. "E' veramente...imponente" mormorò con lo sguardo perso verso l'alto. "Ti ci abituerai" rispose Cassandra prendendola del tutto in contropiede "Puoi alloggiare qui, se vuoi. Ci sono molte stanze libere e staresti più al sicuro del tuo appartamento in città" e lo disse con un tono quasi amorevole, come una mamma che vuole proteggere i propri figli. "Ci farò un pensierino" dichiarò Helena, continuando ad osservare i dintorni e sorridendo per aver ottenuto forse un piccolo assaggio della vera natura di Cassandra. Salite le grandi scale di pietra che conducevano all'ingresso principale Cassandra si arrestò. "Varcata questa soglia entrerai a tutti gli effetti a far parte dell'Organizzazione. Ti presenterò prima i membri della squadra e poi ti condurrò dal nostro comandante." annunciò senza neppure voltarsi verso la cacciatrice. "Bene. Voglio farne parte!" dichiarò Helena convinta. "Sei pronta?"
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L'enorme sala del trono si aprì dinanzi ai suoi occhi lasciando Helena ancor più esterrefatta di poco prima. La maestosità di quella stanza lasciava a bocca aperta. Era come trovarsi in uno di quei dipinti d'epoca dove vedi le persone danzare al cospetto di un re. Si sentiva frastornata e di nuovo intimorita, ma aveva accettato di far parte di loro e di combattere non più da sola. L'idea di avere finalmente degli alleati nella sua lotta solitaria fu la spinta ad andare avanti e percorrere quella lunga navata. "Aspetta qui." disse Cassandra prima di sparire dietro una delle numerose porte in legno. Rimasta sola nella grande sala, Helena osservò gli arazzi e i dipinti rischiarati dai raggi del sole che filtravano dalle alte finestre appannate. Sentiva il cuore martellarle nel petto, pronto ad esplodere. Se fosse gioia o paura non le fu dato di capirlo, mentre una lacrima le scappò fuori dai suoi grandi occhi celesti, baciandole dolcemente la guancia gelata dal freddo. "Ce l'ho fatta, Quentin" mormorò sotto voce "Ora potremo mettere fine a tutto questo male" "Chi è Quentin?"
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Una voce alle sue spalle la ridestò dai suoi pensieri malinconici e si affrettò a ricacciare dentro le lacrime. Josephine la guardava con un affabile sorriso dipinto sul volto, i capelli raccolti nella solita crocchia che le mettevano in risalto gli occhi color cioccolato. Helena non rispose alla domanda della donna, lasciando che rimanesse in sospeso, in attesa di un momento migliore per raccontare tutta la storia. "Penso che la cacciatrice non voglia rispondere a questa domanda adesso, Jo" annunciò Leliana, superando l'amica e dirigendosi verso Helena. "Sono Leliana. E' un onore fare la tua conoscenza, cacciatrice" annunciò poi allungando la mano. Helena la strinse ricambiando il saluto. "Loro sono Dorian e Amelia, i nostri maghi. E' grazie alle loro doti se ti abbiamo rintracciato" parlò ancora Leliana introducendo i presenti. "A dire il vero sono stata io a trovarti, mia giovane ragazza" le fece eco Amelia prendendosi tutto il merito "Il nostro Dorian era impegnato in altro" "Sempre con questa mania di protagonismo!" si intromise Dorian avanzando verso Helena "Non credo che interessi molto alla cacciatrice chi sia stato a trovarla. L'importante è averla qui." e allungò la mano "E' un vero piacere averti con noi. Sento che diventeremo ottimi amici" Helena sorrise a quella prospettiva, scacciando via anche l'ultimo brandello di malinconia che l'aveva pervasa pochi istanti prima. "Io sono Josephine, ma puoi chiamarmi Jo. Sarai affamata! Vieni, facciamo colazione" disse Jo invitando Helena a seguirla. "Non sarebbe più opportuno condurla da Cullen?" dichiarò Cassandra, le braccia strette sul petto nella sua consueta posa da dura. "Cullen non è ancora rientrato e poi questa ragazza ha vagato tutta la notte al freddo e avrà sicuramente fame" concluse Josephine senza dare il tempo a Cassandra di controbattere.
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Cullen fece ritorno alla fortezza due ore più tardi. Era malconcio, segno di aver avuto una nottata piuttosto movimentata. Si trascinò a fatica nelle sue stanze senza farsi notare da nessuno ferito e debole. La nottata appena trascorsa era stata dura. Si era scontrato con un gruppo di vampiri piuttosto agguerriti che lo avevano conciato per le feste, ma era riuscito comunque a sconfiggerli. E poi c'era la questione della cacciatrice che non era riuscito a trovare, sebbene avesse vagato tutta la notte battendo a tappeto tutto il borgo. E se Amelia si fosse sbagliata? Si spogliò degli abiti sporchi ed immerse il suo corpo pieno di ecchimosi nell'acqua bollente della vasca. La pelle iniziò a riprendere un colorito umano grazie al vapore e i muscoli si rilassarono. Chiuse gli occhi cercando di liberare la mente e allontanare l'idea che la maga potesse aver commesso un errore e che non ci fosse nessuna cacciatrice nei dintorni. E fu allora che il viso di Helena bussò prepotentemente nella sua testa.
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Il sole si fece alto scaldando i prati innevati. Un gabbiano si librò in volo stridendo nel cielo e sorvolò sopra le onde del mare un pò mosso dai primi venti in rinforzo da nord. Dopo un'abbondante colazione Helena era rimasta ad intrattenersi con Dorian, in attesa di essere ricevuta dal comandante. Questo le permise di farsi una prima impressione su uno dei suoi nuovi alleati. Dorian era un uomo affascinante e sicuro di sè, dotato di una tagliente arguzia, un pò arrogante, sebbene questa sua qualità fosse dovuta al fatto di essere stato rinnegato dalla sua famiglia dopo aver dichiarato di essere gay. La sua aria ombrosa celava però un cuore tenero, ferito, ma desideroso di rimettersi in gioco e di trovare qualcuno che potesse amarlo per ciò che era. "Magari poi ti racconterò la mia storia" annunciò Dorian bevendo un ultimo sorso di caffè. "E io l'ascolterò molto volentieri" confessò Helena con un sorriso. Cassandra varcò la porta della sala da pranzo schiarendosi la gola: "Il comandante è rientrato. Andiamo!" Helena salutò Dorian ringraziandolo per averle tenuto compagnia. "E' stato un piacere, principessa. Bussa pure alla mia porta quando vuoi un pò di compagnia. Non ti garantisco che ci scambieremo consigli sul makeup o sulle scarpe, ma avrai sempre una spalla se ne sentirai il bisogno!" dichiarò Dorian.
Avanzando lungo i corridoi di Tiamaranta's fortress, Helena tentò nuovamente di aprire un dialogo con Cassandra, sebbene la donna continuasse a mantenere un certo distacco. "Che tipo è questo comandante?" domandò di slancio. "Lo vedrai" rispose Cassandra. "Non puoi dirmi qualcosa? Ascolta, se dobbiamo lavorare insieme vorrei quantomeno conoscervi" incalzò allora Helena. Cassandra sospirò, quasi contrariata da quelle domande: "Cosa vuoi sapere?" "Beh te l'ho detto. Che tipo è? E' uno molto autoritario?" chiese ancora Helena incuriosita. "Cullen è un leader. Deve essere autoritario, ma è anche piuttosto alla mano se devo essere sincera. Lo conosco da anni e se non ci fosse questa ignobile guerra sarebbe quel genere di persona con la quale si può trascorrere del piacevole tempo insieme." asserì Cassandra. "Cullen..." mormorò Helena "Ha un bel nome..." "E' anche un bell'uomo, se te lo stai chiedendo" terminò Cassandra per lei. Helena arrossì "Non me lo stavo chiedendo" mentì per poi proseguire "Voi due avete..." ma si interruppe, lasciando che Cassandra recepisse cosa intendeva dire. La donna scoppiò a ridere inaspettatamente, di una risata fragorosa, quasi liberatoria. "Ma dove vivi, ragazzina?! Questo non è un romanzo rosa da quattro soldi!" e continuò a ridere di gusto. "A me piacciono i romanzi d'amore e non è sbagliato sognare, soprattutto nel nostro mondo" sussurrò Helena leggermente offesa.
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Giunsero davanti la porta dello studio del comandante senza aggiungere ulteriori parole. Quella breve chiacchierata però aveva acceso altre curiosità in Helena sul conto di Cassandra. Non era poi così dura come voleva dimostrare, ma sapeva anche ridere, sebbene lo avesse fatto con un pizzico di malizia. La donna bussò e una voce calda e vellutata le rispose di entrare. "Comandante!" salutò Cassandra restando ferma sulla porta e intralciando la vista alla cacciatrice che non riusciva a vedere la figura di Cullen. "Cassandra! Dimmi che hai buone notizie questa volta, perchè io ne ho di pessime sul conto della cacciatrice. Non sono riuscito a trovarla stanotte" rispose Cullen, il viso appena illuminato dal fuoco che ardeva nel camino. Aveva il volto sfregiato dalla lotta e stava a malapena dritto sulle gambe, ma nascondeva bene il dolore che provava a causa delle ferite del corpo e di quelle dell'anima. Il non aver trovato la cacciatrice era per lui un'enorme sconfitta e continuava a temere che Amelia si fosse sbagliata. "Ho ottime notizie Cullen" annunciò Cassandra interrompendo il corso dei suoi pensieri e facendo segno ad Helena di entrare. "Salve" mormorò timorosa la cacciatrice varcando la soglia dello studio.
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Cullen si voltò sorpreso e fu allora che i loro occhi si incontrarono per la prima volta. Il blu degli occhi di Helena erano come un mare calmo di inizio estate, luminoso e limpido e il comandante si perse totalmente in loro. "Ho il piacere di presentarti la nuova cacciatrice, comandante." annunciò Cassandra che aveva notato lo stupore misto ad imbarazzo nello sguardo di Cullen. "Cacciatrice..." sussurrò il comandante cercando di mantenere un tono fermo. "Helena, comandante, solo Helena" rispose lei allungando la mano in segno di saluto. Cullen la colse totalmente alla sprovvista quando, presa la sua mano, l'avvicinò alle labbra poggiandole appena sul dorso. "Cullen...niente formalità tra noi. Siamo una squadra!" annunciò perdendosi ancora nei suoi occhi. Le guance di Helena si arrossarono divampando di un insolito calore. "Com'è galante" pensò tra sè.
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La cacciatrice non potè fare altro che dare credito alle parole di poco prima di Cassandra. Cullen era davvero un bell'uomo, il genere che ad Helena avrebbe potuto far perdere la testa con pochi semplici gesti e quel baciamano fu solo la punta dell'iceberg. "Bene. Avrete molte cose di cui discutere" Cassandra, attenta come sempre a tutto, notò lo sguardo del comandante ed inventò una scusa per lasciarlo solo con la cacciatrice, asserendo di avere del lavoro da svolgere prima di riposare qualche ora, in vista della prossima caccia notturna.
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Rimasti soli nel tepore del piccolo studio dalle pareti di pietra, Cullen invitò la cacciatrice a sedersi sulla comoda poltrona davanti al fuoco, deciso a farle quante più domande possibili sulla sua vita di prescelta. Egli rimase in piedi, le mani dietro la schiena e le gambe divaricate proprio come un soldato, mentre osservava distrattamente l'ambiente esterno per evitare di incontrare gli occhi di lei nei quali iniziava già a perdersi irrimediabilmente. Doveva sforzarsi di mantenere il più possibile la sua posizione di comandante, prima che di uomo, ricordando a sè stesso che qualsiasi relazione a lungo termine non gli era concessa e, soprattutto, non era il tipo da intraprendere un rapporto puramente fisico. "E' molto che sei una cacciatrice?" domandò senza voltare lo sguardo nella direzione della ragazza. "Anni ormai, ho perso il conto" rispose Helena guardandolo, benchè non potesse vederlo in volto. "Cullen, forse chiedo troppo ma, potresti venire a sederti? Non mi piace parlare con persone che mi danno le spalle" aggiunse poi. "Perdona la mia mancanza di buone maniere." disse voltandosi e i loro sguardi si incontrarono ancora.
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Fece qualche passo verso la poltrona libera, ma il dolore al fianco si acutizzò all'improvviso e si sentì mancare. Tentò di rimanere in piedi, ma le gambe iniziarono a cedere e la vista si annebbiò. L'ultima cosa che sentì prima di perdere i sensi fu Helena che chiamava il suo nome con preoccupazione e lo afferrava tra le braccia.
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paper---airplane · 4 years
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Ieri notte ho sognato che ero il primo uomo ad amare una donna
& mi sono svegliato tremante & sono uscito a guardare
lo straccio stinto del cielo incendiarsi nell’alba.
Sono stanco del fiume prima ancora di sentirlo,
la gioia dobbiamo ritagliarla dall’ombra,
stanco della mia lingua intorpidita dal viaggio.
Non posso offrirti il mio respiro né avvolgerti l’orizzonte
intorno al polso & farmi perdonare.
Non posso sfregare il legno secco delle mie costole per fare il fuoco
& dormire. Il bordo del sonno non è sonno.
Vago di stanza in stanza annodando sensazioni.
Lo spazio che riempivamo ora riempie me.
Luce & buio non si mescolano.
Non posso rimanere come una casa gelata sullo sfondo.
Io sono questo corpo & questo tempo in tutte le stagioni.
Penso alla luce che ti inondò il nostro primo mattino,
come il vetro nei miei polmoni divenne suono
& io ti vidi donna & bambina & non riuscivo a respirare per amore.
La paura è il limite di quel rischio che è l’amore.
Puzza di sangue, attira gli squali.
Le notti che ballavi il valzer nuda intorno al letto,
io abbracciato alla sedia che avevo ridipinto di azzurro,
i gatti che correvano tra le ali dei tuoi bei capelli biondi.
C’è molto che gli uomini non sanno delle donne,
come le tue mani trasformano l’aria in acqua, il seme in vita,
perché il sale sulla punta dei tuoi seni splende
& sa di mollusco.
Ci sono ore in cui il futuro perde ogni speranza
& si ferma in mezzo a strade affollate
& non se ne cura. Ma pensa a quanta strada abbiamo fatto,
le mani che ci hanno stretto.
Ce ne saranno altre.
Ho letto che nell’antichità
si puntavano rasoi alla gola del medico
mentre operava – come se l’amore si potesse bilanciare,
come ali.
Una notte ho seguito le tue orme nella neve alta
& mi sono fermato in una vecchia scuola a guardare il nuovo sole
farsi rosso & mandare bagliori sui campi distesi,
il mondo bianco & piatto & una luce
che conoscevo da sempre mi bruciava in testa come un pugno di stracci,
come se non ricordassi più cosa temevamo
di aver preso o lasciato,
le mie braccia spalancate sulla tua figura, come se non potessi tirarmi
fuori dal mio corpo, la bocca gelata
intorno al suono del tuo nome.
Philip Schultz
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sisif-o · 4 years
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sono le 00.14 e dovrei dormire, ma la mia mente è totalmente focalizzata sull'immagine del corpo femminile.
non un'immagine specifica, ma un'immagine prototipica, riassuntiva e sublimata.
combatto contro me stesso nel tentativo di addormentarmi, mentre rifletto su quanto il corpo femminile sia sintesi di bellezza.
mi rendo conto che il mio corpo è lontano, troppo lontano da quel prototipo e mi sento in difetto: vorrei avere la stessa grazia, dolcezza, armonia di una donna.
vorrei partecipare a quella stessa bellezza.
mi lascio trasportare dalle fantasie, mezzi sogni, e mi convinco che chissà forse in un'altra vita nascerò donna e potrò toccare con mano cosa sia la bellezza; passerei i giorni davanti ad uno specchio.
ma un secchio d'acqua gelata mi congela la sonnolenza: chissà se ci sarà un'altra vita.
e mi sento così vuoto, inutile su questo mondo, senza bellezza e senza futuro.
un sacco di carne ed acqua, cui una scintilla ha donato il pensiero, che un'altra scintilla porterà via con sé, a diventare un sacco di polvere e atomi sparsi.
niente bellezza, niente vita, niente sonno
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