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#pratica di scrittura poetica
marcogiovenale · 5 months
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22 aprile, accademia di brera: primo incontro di francesca marica sulla pratica di scrittura poetica
Inventario Privato, Accademia di Brera, aula 8.Ospite del Prof. Pasquale Polidori e del suo corso di Arti Pittoriche, domani mattina Francesca Marica terrà un primo incontro sulla pratica di scrittura poetica analizzata lungo tre direttive variabili e scalari: soggettività/ linguaggio ed elemento spaziale.Lo spazio è uno degli argomenti centrali del corso di studi di questo anno e sul concetto di…
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gcorvetti · 2 years
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Ed è arrivato il freddo.
Da un paio di giorni nevica e siamo sotto lo zero, normale in questo posto al confine del mondo, la rottura è che bisogna spalare la neve, che a differenza del taglio dell'erba che si effettua una volta a settimana, la neve si deve spalare continuamente e spesso giornalmente, una rottura di coglioni non indifferente. L'unica cosa bella e anche un pò poetica è fare la sauna quando nevica, per il resto è una rottura, andare al supermercato a piedi è fattibile ma è come camminare in spiaggia, anche andare al centro magari prendendo l'autobus è una cosa fattibile, sempre che la temperatura non cada rovinosamente sotto i -10, diciamo che entro i -10 andare per strada a piedi è fattibile, con parecchi strati di vestiario. Quindi è ufficialmente arrivato l'inverno, anche se il calendario dice altro. Oggi visto che mi sono svegliato presto andrò a dare una pulita e sistemata al micro studio in modo da poter riprendere da one man band con una vena garage rock psichedelica stavolta, senza tralasciare la parte gotica che mi piace tanto, quell'alone notturno e funereo che mi ha accompagnato per anni. Resta la parte dolorosa dei social perché oramai tutto passa da la, che vuol dire non solo postare i brani online ma anche fare dei video che sono un'ottima pubblicità, non so come farò forse mi metterò a fare dei montaggi video con sotto i miei brani, perché mettermi a fare anche i video non lo trovo produttivo, nel senso che perdo troppo tempo dietro a camera/luci/inquadrature/editing/postproduzione ecc ecc, tempo che mi viene sottratto alla pratica, l'idea è sempre quella di finire sul palco come è nella mia natura e nel cerchio creativo in cui credo che mi è sempre stato d'aiuto, che sarebbe creazione e scrittura, registrazione e divulgazione (oramai sui social) e concerto dal vivo che a me serve a capire se un brano funziona o meno, anche se ho forti dubbi sul pubblico locale per via della loro ignoranza in materia, ma questo a me importa poco perché sta volta sono pronto anche ad andare all'estero pur di suonare anche gratis, con le spese pagate naturalmente, in parole povere devo cercare di non andarci sotto, sarebbe brutto.
Il fondo di disoccupazione mi ha accettato la richiesta al pagamento del corso di marketing anche se nella email che mi hanno mandato, in estone naturalmente perché a scriverla in inglese si stufano, mi invitano a cercarmi un lavoro, ho risposto ringraziando e basta anche se volevo scrivere che lavorare per 5,30€ lordi all'ora è schiavismo e che il mio tempo, visto che è quello che ti pagano, vale molto ma molto di più, ma per evitare casini ho preferito tagliare corto, se non lavoro saranno anche cazzacci miei, se poi loro vogliono che io mi trovi un lavoro perché pensano che uno straniero in terra loro non può fare come vuole allora hanno sbagliato persona.
Detto questo metto anche un brano, l'unico video che ho salvato dalla vecchia situazione da one-man band di un branetto venuto fuori dal cazzeggio, pensai ci faccio un video magari chissà viene bene, stranamente perché lo filmai col telefono, niente male per una mezz'ora di prova e una singola ripresa :D
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antennaweb · 3 months
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queerographies · 1 year
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[Storia e cronistoria del Canzoniere][Umberto Saba]
Un'opera che – nel coinvolgere poesia e riflessione articolata sulla poesia stessa – ingloba e oltrepassa i confini di genere, per darci un attualissimo quadro d'autore sul senso e la pratica della scrittura poetica nelle sue aperte molteplici virtualità.
È questo il «romanzo» di una grande opera di poesia, di un capolavoro del Novecento: il Canzoniere di Umberto Saba. E insieme è il «romanzo» della vita del suo autore, che – con una «finzione diplomatica» – ne affida la trattazione a un fantomatico Giuseppe Carimandrei. Eccoci allora a un autoritratto idealizzato di Saba che, nell’intreccio narrativo in cui spiega se stesso, mette in risalto la…
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lamilanomagazine · 1 year
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Lecce: a Vittorino Curci 'L'Olio della Poesia 2023', è il primo pugliese premiato.
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Lecce: a Vittorino Curci 'L'Olio della Poesia 2023', è il primo pugliese premiato. Dal 2022, il Polo Biblio museale di Lecce, diretto da Luigi De Luca, ha assunto la direzione artistica dell'Olio della Poesia, storica manifestazione, alla sua XXVII edizione, promossa dall'Amministrazione Comunale di Carpignano Salentino che si svolge a Serrano, piccolo borgo della Grecìa Salentina, nell'ultima domenica di luglio, per leggere poesia, incontrare i poeti e per donare loro, olio, in cambio di versi. Il Polo Biblio museale e gli Osservatori di Poesia: Con un lavoro corale, che coinvolge gli "Osservatori di poesia" delle Biblioteche della Grecìa, il Polo Biblio museale ha maturato una nuova riflessione sul senso del Premio, del "premiare" e sulla necessità che i poeti siano testimonianza di un agire che non si ferma solo alla scrittura e al far versi per crescere un progetto volto ad allargare le interazioni con gli autori e con pubblico. Andare in cerca della poesia popolare, delle sue declinazioni metropolitane in una contemporaneità che sempre con più incisività tenta di rifondare la lingua, di appropriarsene, di giocare sul filo di sincretismi capaci di contenere il passato più remoto e un'idea di futuro volta alla speranza; una "parola mondo" che nel lavoro dei poeti trova il giusto strumento per veicolarsi: questo l'intento della XXVII edizione dell'Olio della Poesia. L'Olio della Poesia a Vittorino Curci: Nell'edizione 2023, nel centenario della nascita di Rocco Scotellaro - si sceglie di fare una forte riflessione sulla poesia a Sud, nel mezzogiorno d'Europa, nel Mediterraneo, premiando, per la prima volta nella storia dell'Olio della Poesia, un poeta pugliese: Vittorino Curci. Scrive di lui Simone Giorgino nel Quaderno che sarà donato al pubblico il 30 luglio, in Piazza Lubelli a Serrano: «La scrittura di Curci ha trovato, nel tempo, il suo stigma e il suo fulcro in versi dal ritmo molto cadenzato ora jazzati, ora salmodianti, sempre personali e riconoscibilissimi, che sembrano aggredire dall'interno, slabbrandole, le maglie della metrica tradizionale. (...) Curci non assume posture sacerdotali ma si presenta come un semplice testimone, un «verbalizzante», intento a fissare su carta lo scempio e lo sfacelo dei tempi nostri. (...) Non sono rari i momenti in cui Curci si sofferma a riflettere sul suo mestiere/destino di poeta, sul senso – o l'insensatezza – che può avere la scrittura in tempi così 'impoetici' come quelli che stiamo attraversando. (...) Nel crepuscolo infuocato della nostra decadenza, c'è ancora un modo, sembra suggerire Curci, per contrastare la deriva, per resistere umanamente, ed è la pratica quotidiana, ostinata, della poesia. La poesia è la sola fiaccola che può squarciare la spessa tenebra incipiente; è la nostra ultima occasione di riscatto, per una nuova palingenesi». Poeta, musicista e artista visivo, Vittorino Curci vive a Noci, in provincia di Bari, dove è nato nel 1952. Collabora alla rivista Nuovi Argomenti e al quotidiano Repubblica Bari dove dal 2019 cura la "Bottega della poesia", un vero osservatorio delle dinamiche e dei protagonisti del fare poesia a Sud. Nel '99 ha vinto il Premio Montale per la sezione "Inediti". È presente in varie antologie di poesia contemporanea pubblicate in Italia e all'estero. Nella veste di organizzatore culturale ha ideato e diretto l'Europa Jazz Festival di Noci e la rassegna Noci-Cinema. Nel 2002, con Pino Minafra, Roberto Ottaviano e Nicola Pisani, ha fondato la Meridiana Multijazz Orchestra. In passato ha anche ricoperto la carica di Sindaco del Comune di Noci e Assessore alla Cultura della Provincia di Bari. I suoi libri più recenti: Liturgie del silenzio (Primo premio della XV Edizione Concorso Nazionale di Poesia Città di Sant'Anastasia 2017) - La Vita Felice, Milano 2017; La ferita e l'obbedienza (nuova edizione ampliata) - Spagine, Lecce 2017; Note sull'arte poetica - Primo Quaderno, Spagine, Lecce 2018; L'ora di chiusura - La Vita Felice, Milano, 2019; La lezione di Hemingway e altri scritti di letteratura, Macabor, Francavilla Marittima (CS); Note sull'arte poetica - Secondo Quaderno, Spagine, Lecce 2020; Poesie (2020-1997) - La Vita Felice, Milano 2021, con prefazione di Milo De Angelis (Premio Giuria Viareggio e finalista al Premio "Viareggio-Rèpaci" 2021); Un giorno, due oppure vent'anni, Lyriks, Cittanova (RC) 2023; Cadenze per la fine del tempo, Musicaos, Neviano (Lecce) 2023. Gli altri riconoscimenti dell'Olio della Poesia: Premio Millennium Il Premio Millennium 2023, a cura dell'Amministrazione comunale di Cursi, è assegnato a "I Quaderni del Bardo Edizioni" di Stefano Donno per la ricerca e la caratura internazionale delle sue edizioni di poesia realizzate in stretta collaborazione con La Casa della Poesia di Como e per aver pubblicato, nel 2023, l'antologia della poesia ucraina "Clarinetti solari" realizzata a cura del poeta Dmytro Tchystiak con Laura Garavaglia e Annarita Tavani. Un'opera che permette ai lettori italiani di entrare in contatto con la realtà viva di una letteratura che ha dato al mondo scrittori tanto diversi come Gogol, Bulgakov o Shevchenko. L'antologia permette la conoscenza delle tendenze contemporanee della poesia ucraina, a partire dal fondatore della nuova letteratura ucraina Taras Shevchenko, passando per il grande rappresentante del modernismo Pavlo Tychyna, che ha avuto un grande impatto sulla generazione dei neo-modernisti degli anni '60, i restauratori delle strutture archetipiche ucraine ("Scuola di Kiev") fino alla generazione degli anni 2010. Premio Salento d'Amare Il Premio Salento d'Amare 2023 va all'Associazione Art&Lab, Lu Mbroia di Corigliano d'Otranto. Aggregato musicale di grande rilievo, punto di riferimento della Canzone d'Autore e della ricerca musicale in atto nel Salento in un confronto costante e continuo con la scena nazionale e internazionale. Luogo di esaltazione dell'autonomia autoriale - nato dall'iniziativa del cantautore Massimo Donno - che dà valore all'iniziativa culturale nello spirito dell'avventura creativa e del fare insieme. La musica, la leva di un lavoro sulla parola poetica, che va all'incontro con il pubblico nel solco di una tradizione capace di declinare l'umano, il suo sentire più intimo, la necessità di dialogare per dare prospettiva ai Vissuti, al Tempo e alla Storia. Un luogo di resistenza Lu Mbroia, che si è dato una funzione importante: rifondare la relazione tra gli artisti e il pubblico sempre pienamente partecipe, nell'ascolto, in una dimensione di intimità, una prossimità, da aia antica, come in una ronda dove l'inquietudine si sana con la condivisione.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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occhidibimbo · 2 years
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Filastrocche per bambini: Roberto Piumini Se siete in cerca di un testo speciale per il vostro bambino, o desiderate fare un regalo che non venga dimenticato, le filastrocche per bambini di Roberto Piumini sono un’ottima scelta. Chi ha avuto modo di leggere qualcosa di questo autore, ne è rimasto colpito in maniera particolarmente positiva. Ciò che salta all’occhio è la sua straordinaria capacità di giocare con le parole, stimolando il miglioramento delle proprietà linguistiche e la fantasia, senza mai essere troppo “complesso”. Di seguito trovere qualche informazione in più dell’autore, e per finire abbiamo scelto per voi alcuni testi che proprio non possono mancare nella vostra biblioteca. Roberto Piumini: chi è costui? Classe 1947, nato in Valle Camonica, Roberto Piumini è un’artista a tutto tondo. Difficile dare una definizione precisa di cosa egli faccia. Tutto ciò che attiene l’arte è per lui fonte di ispirazione, anche se il suo primo grande amore resta la scrittura. Digitando il suo nome e cognome sulla famosa barra di google, si scoprono subito le numerose sfaccettature della sua personalità. Quando ancora non aveva 20 anni era già insegnante di lettere presso gli istituti scolastici della provincia di Varese. Nel frattempo andava all’Università Cattolica di Milano dove si è laureato in Pedagogia. Ha frequentato anche la Scuola di Comunicazioni Sociali di Milano. Da sempre ha avuto un grande amore che è il teatro e per diversi anni ha fatto anche l’attore. Nel suo lungo curriculum si annoverano anche esperienze di burattinaio. E’ stato l’ideatore del magico Albero Azzurro, e per molti anni ha lavorato presso la famosa trasmissione Rai. Ha tenuto corsi di scrittura poetica e teatrale e di espressione corporea. Ha scritto e condotto trasmissioni radiofoniche. Ha scritto testi musicali e cartoni animati. Dal 1978 ha pubblicato numerosi libri principalmente per bambini e ragazzi, ma non solo. Nella sua produzione letteraria si annoverano testi rivolti agli adulti. Non possono mancare riconoscimenti al suo lavoro, come il Premio Andersen Baia delle favole 1983 e Le Palme d’oro nel 1984. Roberto Piumini: 3 filastrocche da non perdere Con un curriculum così ricco non si può non avere almeno un libro di Roberto Piumini. Ecco cosa abbiamo scelto per voi. La gazza rubina Edito Feltrinelli Kids, Roberto Piumini ha lavorato a questo testo di 66 pagine con Giulia Orecchia illustratrice di professione. E’ una specie di enigmistica per i più piccini. In pratica gli autori stimolano i piccoli lettori a comprendere come sottraendo una sola lettera ad una serie di parole, si ottengono parole dai nuovi significati. Il tutto avviene ovviamente usando lo strumento della filastrocca. Il testo è già consigliato dai 3 anni. Tuttavia si riesce ad apprezzarlo in pieno solo intorno ai 5 anni. L’albero delle fiabe Edito De Agostini, il testo conta 349 pagine. Si tratta di una raccolta delle più belle storie e filastrocche scritte da Piumini. Con poco più di 10 euro si può avere a disposizione un ricco catalogo di storielle, sono circa 29, ben illustrate da professionisti, adatte ad accompagnare il piccolo alla nanna ed in generale a stimolare la sua fantasia insieme ad animali, robottini e bambini. Consigliato dai 3 anni in su. Il librocidi Rimelandia, il giardino delle filastrocche Edito Mondadori, conta 32 pagine ed è corredato di Cd. Scritto da Piumini in collaborazione con Bruno Tognolini. Rimelandia è un paesino magico, in cui come in ogni filastrocca che si rispetti tutto è in rima. Nel paesino ogni bimbo avrà tanto da scoprire. Consigliato dai 7 anni in su.   Roberto Piumini è nato a Edolo, in provincia di Brescia, il 14 marzo 1947. Ha abitato a Edolo, Varese, Milano. Nel 1970 si è laureato in Pedagogia all’Università Cattolica di Milano, con tesi su La persona del poeta in Emmanuel Mounier. Ha frequentato la Scuola Superiore di Comunicazioni Sociali di Milano.
Dal 1967 al 1973 è stato insegnante di lettere in scuole medie e superiori della provincia di Varese. Ha condotto numerosi corsi di dinamica espressiva, espressione corporea, scrittura poetica e teatrale. È stato attore per tre anni con le compagnie Teatro Uomo di Milano e La Loggetta di Brescia. Ha fatto esperienza per un anno come burattinaio. Dal 1978 ha pubblicato moltissimi libri di fiabe, racconti corti e lunghi, romanzi, filastrocche, poesie, poemi, testi teatrali, testi di canzoni, testi per teatro musicale e cori, traduzioni, adattamenti, testi parascolastici, presso circa 70 editori italiani...
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pangeanews · 5 years
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“Ho ritrovato il celeste e il selvaggio”. Catherine Pozzi, la poetessa della notte
Un secolo fa, nel 1920, incontra Paul Valéry, non ne è l’amante né la musa, piuttosto, il totem. Lo incontra il giorno del suo trentottesimo compleanno, la sua è una bellezza trasparente, elfica, d’androgino. Gli occhi sembrano un espediente della notte. Famiglia abbiente, quella di Catherine Pozzi: il padre, Samuel, chirurgo d’alta fama, amico di Clemenceau, eletto in stima da Robert Proust, il fratello di Marcel – che era solito frequentare il salotto di casa Pozzi – è dipinto in una affascinante vestaglia rossa da John Singer Sargent, è ammazzato, il giorno del compleanno della prima figlia, Catherine, nel 1918, da un paziente, un malato psichico.
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Figura di donna astratta, inflessibile e in fuga, Catherine: pratica la scrittura giovanissima, passa gli esperimenti poetici al vaglio del fuoco, studia a Oxford, si sposa nel 1909 con Édouard Bourdet, incerto drammaturgo, per noia, svogliatamente gli dà un figlio, Claude, preferendo la compagnia di Marcel Schwob. Destinata agli amori dispari, a stivare il corpo nella mandorla della mente, Catherine si fa incantare da André Fernet, letterato e ardito che nel 1916 muore durante un duello aereo. Nel 1921 pone fine al matrimonio con Bourdet, si unisce a Valéry – coniugato a Jeannie – ed è già rosa dalla tubercolosi che se la mangia, a Parigi, il 3 dicembre del 1934.
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Scrittrice iperborea, esoterica, che inietta il verbo in atto magico – perciò nascosto –, ardente nel carisma dell’autodistruzione, l’opera di Catherine Pozzi, di traslucida violenza, è del tutto postuma, prima nei Poèmes, per Gallimard, nel 1959, poi nell’Oeuvre poétique curata da Lawrence Joseph nel 1989. Il primo dicembre del 1929 è pubblica sulla “NRF” la sola poesia edita in vita dalla Pozzi – nome che s’incardina nel caso di quell’altra Pozzi, Antonia. La poesia s’intitola Ave, ha porzioni di indifesa grandezza, come se dagli occhi si potesse mungere vetro:
Quando sarò per me stessa perduta E divisa nell’abisso infinito Infinitamente, quando sarò sconfitta Quando il presente di cui sono rivestita Avrà tradito,
Per l’universo in mille corpi frantumata Di innumerevoli istanti non ancora riuniti Di cenere setacciata nei cieli fino al nulla Rifarete per una strana stagione Un solo tesoro
Rifarete il mio nome e la mia immagine Con mille corpi portati alla luce Viva unità senza nome e volto Cuore dello spirito, oh centro del miraggio Altissimo amore.
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Quindi va distillata come un arcano, da ispirati che leccano la provvisorietà della parola, Catherine Pozzi. Intorno ad Ave Michel de Certeau, concludendo Fabula mistica, scrive Ouverture a una poetica del corpo. Scrive, tra l’altro: “È mistico colui o colei che non può fermare il cammino e che, con la certezza di ciò che gli/le manca, sa di ogni luogo e di ogni oggetto che non è questo, che qui non si può risiedere né contentarsi di quello. Il desiderio crea un eccesso. Eccede, passa e perde i luoghi. Fa andare più lontano, altrove. Non abita da nessuna parte”. Per questo è appropriato che la poesia della Pozzi, specie di lamina orfica, lunare, non si faccia leggere, chieda di andare alla macchia – e cercarla.
*
Tre anni prima di Ave, la Pozzi, “Sotto influsso della morfina scrive Vale, la prima delle poesie maggiori. Rifiuta di pubblicarla perché prefigura la rottura con Valéry” (Marco Dotti).
Ho ritrovato il celeste e il selvaggio Il paradiso dove l’angoscia è desiderio. Il passato che cresce di tempo in tempo È il mio corpo e sarà la mia sorte, Dopo il morire.
Quando in un corpo, mia delizia obliata, Dove fu il tuo nome, prenderà forma di cuore Rivivrò il nostro grande momento E questo amore che ti avevo dato Per il dolore.
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La pubblicazione della Correspondance tra la Pozzi e Valéry, La flamme et la cendre (Gallimard, 2006) fu un evento, stipato in un malloppo di oltre 700 pagine. “Distrutto? Perduto? Sequestrato negli abissi di una biblioteca pubblica? Per tre quarti di secolo si sono sommate voci, sono esplosi pettegolezzi intorno a questo epistolario solforoso… Sullo sfondo dei salotti parigini e delle opulente stazioni di villeggiatura popolate dal bel mondo delle teste pensanti degli anni Venti, si sviluppa una relazione turbata, turbolenta, di insondabile disperazione, di indicibile pienezza. Diciamolo: queste lettere costituiscono, nel loro campo, un capolavoro”, scrive il curatore, Lawrence Joseph.
*
In Italia, l’esigua opera poetica della Pozzi è stampata in due libri, Il mio inferno (Medusa, 2006; per la cura di Marco Dotti) e Nyx e altre poesie (Via del Vento, 2013; a cura di Claudia Ciardi). Legata a Rainer Maria Rilke, di lui più glaciale – la Correspondance 1924-1925 è edita nel 1990 da La Différence –, installata da Cristina Campo tra gli spettri santi, la vita letteraria della Pozzi, che chiede il culto tributato alle divinità del sogno, è relegata nelle lettere – vasta la corrispondenza pure con Jean Paulhan – e soprattutto nel diario (edito nel 1987 come Journal: 1913-1934), pieno di agnizioni, di ulcere, di devote fratture. Da alcuni frammenti del diario, sembra che sia lì il diamante nero del carisma: “Io sono uno di quei punti particolari attraverso cui si irradia la sofferenza del pianeta”. Qui, in Agnès: “Tutto l’amore che nessuno raccoglie, chi sa mai dove va a finire? Ma io, io vi costringo anzitempo… Quando l’ora verrà, quando sarò pronta, con il vestito e col cuore – quando dirò: ‘adesso, adesso’, e voi non verrete (come tante altre volte in cui non siete venuto), non lascerò quel che ho di migliore dissiparsi fino all’altra riva del mondo”. Qui scrive di Valéry: “Parla, parla della sua potenza: un’ambizione implacabile improvvisamente alzata come un grande vento dietro questo spirito di cristallo, questo sentimento insensibile, questa impotenza della volontà. Vedo l’estremità della sua intelligenza. Il resto: vuoto assoluto”. Da qui andrebbero estratti materiali, macerie epistolari, per un grande libro su Catherine Pozzi.
*
Fu adorata da tutti – da Julien Benda a Ernst Robert Curtius e Paulhan – come l’altro che viene a screziare la fiducia nel mezzogiorno, come il veleno che rende sfrenata la gioia, sfuggente, in adempimento ai lutti. (d.b.)
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Nuovo post su http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/01/19/la-luna-adesso-un-romanzo-di-ricongiungimento/
"La luna adesso". Un romanzo di ricongiungimento
di Maria Domenica Muci
  “Il cielo smonta tardi anche stanotte, lavora su chi dorme e chi lo insegue. Non c’è una stella libera, guarda. Ora sposto il ramo, e le foglie. Ho parcheggiato qui, vicino all’ulivo del Parco. Se allunghi la mano puoi sfiorare il tronco. Aspetta, tiro avanti il sedile. Le tue braccia sono così minute. Sei appena una bambina e hai settant’anni. Cosa ti è successo per invecchiare al contrario, Rita, cosa è stato?“
  L’incipit del secondo romanzo di Pierluigi Mele, La luna adesso (Lupo Editore), apre un racconto notturno. Tutto accade davanti al mare di Porto Selvaggio, dove presso un grande ulivo un figlio e una madre trascorrono la notte. La donna, da tempo malata di Alzheimer, è immobile e assente; sopravvivono alla malattia soltanto il suo sorriso, “dimenticato sulle guance come il resto di un amore“, e una domanda insistente: “Dov’è lui?“.
La luna adesso è un romanzo poetico; ed è un romanzo intriso di notte, non di tenebre ma di quiete notturna. La quiete e lo scuro specchio del cielo e del mare sono lo scenario in cui Mimmo, un editore sconfitto, ripercorre la storia degli amori, dei disagi e dei non-detti di un’intera famiglia. Il mare, la luna e la madre malata sono la cornice entro cui si riposizionano le tessere della vita di Mimmo e di altri personaggi, secondo una narrazione che asseconda il ritmo della comprensione progressiva e inequivocabile:
“Accanto a questo ulivo ci si dimentica di tutto. Un pittore sostiene che l’unico modo di ricordare senza il male è di accompagnare la memoria. Lasciata sola, ammalazza di nostalgia. È una piaga eterna nella testa. Dice che i colori sono la sua guida nei ricordi, ma che per dipingere deve prima scrostare i muri, puntare allo scheletro, l’essenza. Così la memoria si trasforma in ciò per cui dovrebbe nascere, l’oblio. Che non è dimenticare, ma un abbandonarsi, guarire da ogni peso” (p. 17).
Mimmo è il narratore interno e per tutto il romanzo si rivolge a un ‘Tu’, cioè a Rita. Il ‘Tu’ è il perno del racconto, giocato sul duplice piano del ‘Tu’ di oggi, riferito a una madre bisognosa di cure quotidiane, di terapie e di controlli medici, e del ‘Tu’ di ieri, riferito a una donna dedicata alla famiglia e rassegnata: “Ordinavi ogni suo tradimento come il cambio abiti in armadio per la stagione nuova. Nella tua dedizione di sposa, lavavi i suoi piaceri, li stiravi a puntino e li appendevi alla gruccia” (p. 18). La focalizzazione del discorso è quindi orientata su Rita, muta e statica, con cui Mimmo dialoga senza ricevere risposte. La fissità della luna nella notte e la presenza/assenza della madre costituiscono l’elemento catalizzatore che consente la polarizzazione della memoria, sicché Mimmo si abbandona al movimento ondivago, lo stesso del mare di Porto Selvaggio, di avvicinamento e di distanziamento rispetto alle vicende familiari. Lui parla alla madre; da lei, muta, gli ritornano comunque delle parole, e sono echi che per rifrazione si espandono e vanno a toccare tasselli che mettono in moto altre parole. Così, nell’aria rarefatta dell’oscurità, vari medaglioni di storia familiare prendono forma in un nuovo (o, meglio dire, primo) ordine. Tutto ciò è reso possibile dall’oblio della mente materna che tuttavia rende ancora riconoscibile, per il figlio, l’amore, consentendo ai due l’abbandono e la ri-comprensione del passato.
Il background familiare che man mano si profila è fatto di disagi e di incomunicabilità, più che di conflitti. A detta di Mimmo, la sorella Chiara ha avuto il coraggio di andarsene, anche se la sua vita non è un granché, anzi è ‘na mappina; lei è sempre in fuga “come un aquilone“, vive con Eugenio ma è un rapporto finito. Il fratello Tonio è chiuso nel suo guscio, come “un ospite senza l’invito“, e si lascia vivere in una quotidianità ristretta e meccanica. Un Salento di tradizione e un’ascendenza siciliana sono lo sfondo di appartenenza di Tonio, Chiara, Mimmo e Rita, in quanto la madre di Rita, Titina, è arrivata dalla Sicilia. L’influenza isolana è caratterizzata da un’identità linguistica che va a innestarsi nel contesto salentino, senza perdere il tratto della provenienza esterna. Si percepisce, infatti, come un ancoraggio venuto d’oltremare, e allo stesso tempo da sempre familiare, l’invenzione del siciliano ibrido e colloquiale di Titina approdata in Salento: “Volevo cuntarti del padre mio e della mugghieri sua nuova, ci pensai astanotti che eravamo insieme all’amore. Poi però non mi è venuto fiato di cuntare niente” (p. 45). Nel complesso i personaggi e le ambientazioni si collocano in un ‘sud delle due Sicilie’, che ha per denominatore comune il mare, i viaggi, il vento, la cucina, i gesti lenti e le parole poche.
La luna adesso può considerarsi un romanzo di ricongiungimento. Tutti i personaggi modulano le loro azioni e gli stati d’animo dall’interno di frizioni relazionali, difficili ma dinamiche. La ricostruzione in una sola notte della storia di Mimmo, sia quella della famiglia d’origine sia quella della sua vita con Rosalba, avviene tra rivisitazioni di trascorsi e, insieme, ‘saldature’ nello spazio e nel tempo. L’evocazione è tesa a elaborare e a mettere in ordine errori, abbandoni, perdite, insomma ogni irrisolto personale e familiare. La scrittura di Mele ha la capacità di far rinascere gli uomini dai personaggi e pare che i personaggi preesistano al racconto in certi passi, quando noi rimaniamo attaccati alle loro emozioni da dentro. La forza poetica dell’evocazione restituisce così senso ulteriore alle loro vite e dà rilievo diverso ai loro errori e ai loro strappi, e nello stesso tempo ci vede chinati per osservarli.
  “Adesso vorrei dirti ancora, Rita. Non ho detto niente da quando mi hai messo al mondo. Ho solo spiato il mondo. Anche il mare ho spiato, e questa luna che dall’alto ora scende per una notte. Sembra trasportare messaggi che il mare conserva nel fondo. Vorrei dirti tutto quello che non ho mai imparato. Solo così verrebbe l’alba e tutta un’altra storia fino ai paesi. Anche di là ho spiato. Le persone amate e le altre. E te, che sei tutte loro in una soltanto” (p. 197).
  L’intenzione poetico-espressiva prevale, e non poco, su quella narrativa. E si avverte pure che il discorso ‘io-tu’ tra Mimmo e la madre è così centrale e stringente da sovrastare su altre componenti strutturali del romanzo. Tuttavia il lettore attento non può non cogliere alcune peculiarità stilistiche: rimandi, rimbalzi di parole che aprono ai ricordi, iterazioni, parole-chiave che successivamente si trasformano in titoli, immagini liriche che vengono riprese per essere sgranate in racconto, ascendenze letterarie (tra le tante, la metafora dell’ostrica di verghiana memoria), sequenze riflessive che fanno da specchio a sequenze narrative, parole che agganciano una chiusa all’incipit del paragrafo successivo, ricorrenze verbali estremamente puntuali (come “continua“)… insomma, un’architettura filigranata di parole che, per un meccanismo di rifrazioni, genera il racconto giocando con il racconto.
L’intesa dialogica perdurante tra Mimmo e la madre rende possibile una corrispondenza e una particolare sintonia tra il lettore e la materia narrata, in quanto la scrittura di Pierluigi Mele, curatissima nei dettagli, lascia aperto un ‘orizzonte tra due zolle’ da cui possono sollevarsi voci taciute: risuonano nel lettore domande sue proprie e non sedate, dubbi, sensazioni mai sopite, e sono esiti di un transito emotivo, tonico e fluttuante tra sé e le pagine. Il leggere è legato al vedere, il vedere è tutt’uno col sentire: in questo libro ciò avviene più che in altre esperienze di lettura. Tra una frase e un’altra è come se emergesse un canto sommerso, impastato di racconto e del fiato intenso e strozzato di chi, mentre legge, si espone all’ascolto con tutto se stesso. A ciò concorre la descrizione lenta e avvolgente delle atmosfere mentre il montaggio di situazioni dagli effetti cinematografici crea visioni, stacchi netti e l’innesto rapido di quadri narrativi.
La luna adesso è atto unico e manifesto poetico di una ‘riammissione dell’umano’ avvenuta dopo una sospensione notturna e catartica, tanto profonda quanto intima e definitiva. Riammissione dell’umano che riabilita l’uomo a sé e alla vita, attraverso l’esercizio della cura esclusiva e della tenerezza e, ancor di più, attraverso la pratica esperta, orientata dalla memoria, di costruzione e decostruzione del linguaggio letterario, possibilità suprema di elevazione.
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Pierluigi Mele, La luna adesso, Lecce, Lupo Editore, 2018, pp. 200, € 14,00, ISBN 978-88-66670-67-4
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centroscritture · 3 years
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Il CentroScritture si prepara a salutare la primavera con un nuovo ciclo di corsi per continuare ad esplorare la poesia contemporanea e i suoi orizzonti.
da mercoledì 23 marzo FILOSOFIA DEL LINGUAGGIO "I limiti del mio linguaggio significano i limiti del mio mondo" diceva Ludwig Wittgenstein, gettando una luce sulla natura costitutivamente linguistica della nostra esperienza del mondo. Così la filosofia del linguaggio, tra logica, linguistica e psicologia, non smette di interrogarsi sui fondamenti di quella facoltà distintiva che ci rende umani. con Valerio Massaroni
da giovedì 24 marzo AUTORITATTI 3 Si chiude ​la ricognizione sulle scritture poetiche viventi con il terzo momento di un ciclo pensato per conoscere gli autori dei nostri giorni attraverso la loro voce, e qui a parlare saranno le più giovani generazioni, poeti e poetesse che si sono affacciati da poco, ma con forza, nel panorama letterario, e ne segneranno probabilmente l'avvenire. con Maria Borio, Simona Menicocci, Davide Castiglione, Simone Burratti, Francesco Maria Tipaldi, Carmen Gallo.
da lunedì 28 marzo LABORATORIO DI SCRITTURA POETICA Capitolo essenziale di un percorso completo di orientamento alle scritture poetiche contemporanee è la pratica della poesia. In questo corso-laboratorio si lavorerà sui testi degli iscritti che vorranno esporsi all'analisi, critica e costruttiva, dei docenti e della classe, per prepararli alla pubblicazione. con Marco Giovenale e Valerio Massaroni
*I testi degli iscritti, su cui si lavorerà durante il laboratorio, saranno pubblicati in una raccolta antologica da ECS Edizioni del CentroScritture​
NUMERO CHIUSO: MAX 40 ISCRITTI ________
Sette lezioni di due ore a corso / 60€ in tutto
Chi non potrà seguire in diretta avrà a disposizione la registrazione integrale delle lezioni dal giorno dopo il loro svolgimento, accessibile in ogni momento.
Tutte le informazioni su https://www.centroscritture.it/
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dunkelwort · 3 years
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Spiriti sull'Alta Via: la lezione del capriolo
Spiriti sull’Alta Via: la lezione del capriolo
Capriolo in una radura di bosco sull’Alta Via. cara *, in questo breve testo che ti indirizzo sotto forma di lettera, intendo tornare sul tema più volte sfiorato della nascita della scrittura poetica o dell’incontro con essa. Lo farò partendo da un dato non letterario e, per questo, forse più convincente, anche se già qui, scrivendoti, mi troverò a mettere in pratica alcuni espedienti di cui…
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sguardimora · 5 years
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Piccola Compagnia Dammacco #Finestre
Conversazione con Mariano Dammacco al quale si uniscono in un secondo momento Serena Balivo e Roberto Marinelli. 
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Come nasce questo nuovo progetto “Finestre” che ha portato all’apertura della compagnia verso nuovi artisti? Mariano: Dall’inizio della collaborazione tra Serena Balivo e il sottoscritto, intorno al 2009, una sorta di preistoria della Compagnia, sono trascorsi dieci anni. In questi anni di lavoro, che sono per noi il tempo della scoperta e dell’impostazione di una pratica e di una poetica, è nata la Trilogia della fine del mondo. L’inferno e la Fanciulla, Esilio e La buona educazione rappresentano il percorso di formazione della Piccola Compagnia Dammacco: nel tempo intercorso tra questi spettacoli si è affinata una capacità di intenderci tra Serena e il sottoscritto e si è definito uno scenario poetico e grammaticale. Dopo dieci anni abbiamo sentito la necessità di aprire, appunto, le finestre e cambiare l’aria, abbiamo voluto aprirci all’esterno, abbiamo voluto allargare il gruppo di lavoro. Crediamo che il teatro sia un percorso di pluralità - oggi per motivi economici accade meno - e di artisti che negli anni si confermano come compagni di strada. Mentre noi ragionavamo su questo bisogno di aprire le finestre, circa un anno fa, proprio qui all’Arboreto abbiamo incontrato Fabio Biondi e Gerardo Guccini, che sorvegliano il nostro percorso, e riflettendo insieme sui buoni esiti della trasmissione di un sapere tecnico e poetico da Mariano a Serena, ci siamo detti che sarebbe stato interessante riattivare un percorso pedagogico di Mariano attraverso l’incontro con altri attori. Così è nato il progetto “Finestre”.
Si può dire che la tua scrittura è incarnata sulla figura attoriale di Serena. Come nasce questo cortocircuito tra le immagini del reale tradotte dalle tue parole e il lavoro d’attrice di Serena e come ora affronterete questo tipo di lavoro con gli altri attori? Mariano: Prima di iniziare il lavoro con un nuovo gruppo di attori racconto sempre il nostro percorso. Se io e Serena in dieci anni siamo riusciti a fare quattro spettacoli, è probabile che siamo riusciti a comprenderci e a lavorare insieme. Per fare ciò abbiamo creato un percorso fatto di numerosi esercizi e parole d’ordine, un bagaglio di anni di pratiche sceniche, di principi comuni. Quello che racconto è che ora è venuto il momento di capire se anche altri attori si attivano per far partire un percorso di ricerca grazie alla nostra pratica. In queste residenze sto provando a riassumere il processo pedagogico mettendo in ordine quello che abbiamo fatto per dieci anni per offrirlo ad altri e non si tratta più del mio sapere offerto a Serena, si tratta di un sapere nuovo e dotato di una lingua pedagogica, si tratta di un modo di procedere di Dammacco e Balivo e non più soltanto di Dammacco. I primi due passaggi di “Finestre” sono stati di grande conforto poiché i gruppi di attori sono riusciti ad attivarsi: le cose accadono, l’efficacia dei percorsi scenici riesce ad esserci. Partendo dall’offerta e dalla condivisione di questi programmi di lavoro, il gioco sarà quello di attivare, come processi di lavoro, come poetica, come modo di spendersi in scena e come attitudine mentale, gli altri attori “alla maniera Piccola Compagnia Dammacco”. Molti sono giovani o giovanissimi ma ci onoriamo di avere con noi artisti come l’attore Roberto Marinelli e l’attrice Ksenija Martinovic. Roberto ha compiuto i quarant’anni e ha tutta una vita di lavoro d’attore e ha mostrato un’apertura mentale, una tale vitalità, una vera domanda sul suo mestiere e sul senso del teatro e si è offerto con una tale apertura, entusiasmo e verità che sta viaggiando con noi in un modo tale che sembra già della compagnia. La stessa cosa sta accadendo con Ksenija Martinovic. Nella Trilogia la nostra drammaturgia guarda al mondo, attraverso una lente distorcente che sono i personaggi di Serena. Ora il gioco si complica perché finalmente rapportandomi con attori diversi nascono conflitti drammaturgici diversi quindi ora la mia costruzione drammaturgica non sarà più solo legata al ritratto di un personaggio ma necessiterà anche della relazione tra loro. La particolarità è che sto producendo soprattutto drammaturgia fisica e non testuale: abbiamo solo qualche battuta che usiamo quando ci serve per attivare il corpo in altro modo. Serena ha un piccolo racconto che ha composto a Pistoia, che io sto iniziando a curare, e usiamo questo come testo di scena. La pagina scritta sembra mostrarsi un nemico dell’attore.
In che senso il testo è nemico dell’attore? Mariano: Partirei da tre livelli di sguardo e di studio. Il primo parte dall’osservazione di attori in formazione o incontrati negli anni. C’è la sensazione che un’intera pagina scritta data a un attore giovane come strumento di indagine e come territorio di ricerca per poi attivarlo, diventi ingombrante. Una pagina scritta da restituire in scena passa attraverso il fare la memoria in maniera che sia veramente utile per una libera ricerca e per agire sulla scena con gli spettatori. È quella memoria che in compagnia chiamiamo “memoria a menadito”: Serena in venti minuti può dirti a memoria il testo di uno spettacolo che dura un’ora e un quarto. Se tu sai un testo del genere così bene a livello testuale, tanto da poterlo dire così velocemente, sei padrone di un testo. Ma quando si lavora questo accade raramente. Un po’ perché siamo nei laboratori e, per quanto io consegni i testi con un mese di anticipo rispetto alle giornate di lavoro, abbiamo poco tempo, un po’ per difficolta e percorsi di formazione diversi certe volte il testo diventa un ingombro che porta dei rischi. Il primo è l’intellettualizzazione del lavoro e lo spegnersi del corpo. Il secondo è il rischio di un’attivazione dell’attore tutta spesa a cercare di ricordarsi il testo e di ricostruirlo parola per parola. Il terzo è la pronuncia goffa di parole imparate a memoria, non comprese e non digerite. Questo è stato uno spunto di ragionamento.  Una seconda riflessione riguarda la nostra pratica di costruzione in scena del testo: noi attiviamo la ricerca di un pensiero corrispondente al testo, alle immagini, al racconto e non la ricostruzione della memoria delle parole. Se, ad esempio, ho un racconto breve io posso comporlo in cinque punti di schema: un preambolo, un racconto, l’azione, l’apice e la conclusione. È chiaro che io invece di dare il racconto in toto compongo i versi di ogni sezione con l’attore così che può succedere che lui ogni volta cambi le parole, ma innanzitutto sa qual è il discorso che deve offrire allo spettatore o ai partner sul palco. Così l’attore e il suo discorso possono avere senso. Si parte da uno schema-canovaccio dentro al quale stare, poi si vanno a precisare le immagini e lentamente si arriva ad avere anche la scelta maniacale di ogni singola parola, di ogni virgola, di ogni respiro. Piano piano si stringe il campo sempre più sui dettagli con l’attore che è attore-autore della sua ricerca, delle sue forme, delle sue voci ma è anche un po’ coautore della ricerca drammaturgica. Tra i nostri spettacoli credo non ce ne sia uno che non abbia parole composte da Serena Balivo perché mentre agiva con un testo sono nate battute che erano così coerenti e giuste che sono state assunte nel testo definitivo. Terza riflessione: un percorso a partire dal corpo dell’attore, da un carattere fisico sembra riuscire non solo a non mettere in difficoltà l’attore ma ad attivarlo alla ricerca di una coerenza rispetto a come un corpo si muove, alla voce che emerge e al dire quei pensieri. In questo modo sembra esserci più organicità: l’attore è presente, il lavoro è preciso, c’è vita. Libero dalla pagina l’attore in ricerca sembra più vivo.
Rispetto alle tematiche ti chiederei cosa resta dopo la fine del mondo? Mariano: Dopo la fine del mondo c’è l’Amore. Durante la Trilogia ci è stato detto che era chiaro lo spirito costruttivo e politico del progetto: una fine del mondo per rassegnarci in senso costruttivo guardando i momenti critici che vive l’essere umano oggi per condividerli attraverso il teatro, la poesia, l’umorismo per uscire dalla visione pronti a essere costruttori di una realtà positiva. L’altro passo è l’amore: qui sta l’essenza dell’umano e del disumano, del politico e dell’esistenziale. La questione principale sarà la relazione e le difficoltà che si nascondono oggi nell’aprirsi all’altro.
Si parla molto di comunità in ambiente teatrale ma non si dice come mantenerle in vita, in questo senso ti chiederei riferendomi alla comunità compagnia di teatro, come si è compagni di lavoro in una compagnia e quali sono le difficoltà in Italia? Mariano: È necessario preservare l’igiene nelle relazioni e mantenere vivo l’eros del creare: continuare a intrigarsi ed essere curiosi. L’eros si mantiene conservando la sorpresa per non cadere nella noia del già noto. L’igiene delle relazioni sta nel tenere lontana l’eccesso di confidenza durante il lavoro per alimentare la complicità e la prossimità e orientarsi verso un obiettivo comune. Mantenendo le due coordinate crediamo di essere riusciti a conservare viva la forza creativa della compagnia. Per quanto riguarda lo stare insieme come compagnia e la necessità di confrontarci con altri attori e attrici, grande sostegno l’abbiamo avuto da Gerardo Guccini che ci conforta rispetto all’idea che uno degli elementi centrali dell’esperienza teatrale possa e forse dovrebbe essere l’esperienza di compagnia. In questi anni la mancanza di formazioni più ampie di artisti è anche dovuta alla mancanza di economie utili a sostenerle. Le compagnie che negli anni sedimentano lo stesso nucleo artistico sono poche però, a me pare si veda la differenza. È più complesso riconoscere un’identità ad una ricerca che cambia continuamente i suoi interpreti o agli attori che si prestano a scritture presso gruppi diversi.
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Entrano in teatro Serena e Roberto e si aggiungono alla conversazione…
Ho in alcuni momenti la sensazione di tendenza al “reality” anche nel teatro, mi spiego meglio c’è la necessità costante di aprire ogni momento del percorso creativo alla visione e alla discussione in pubblico. Ti chiederei se per voi è utile per una formazione dello spettatore e se è utile al vostro percorso come artisti questa continua apertura in creazione… Mariano: Per noi incontrare lo spettatore è utile a vedere se un attore con il quale lavoriamo da alcuni giorni, al momento in cui va in scena, tende a proteggersi e getta la nostra semina, la nega e torna a lavorare in scena come avrebbe fatto prima di incontrarci, o se invece prova a fare una raccolta della semina delle giornate di laboratorio, ad agire in scena secondo i principi di lavoro della Compagnia, se ha davvero fiducia o se fa ammutinamento. Inoltre noi lavoriamo senza quarta parete e dopo dieci giorni di lavoro rivolti a una platea vuota l’ingresso degli spettatori non può mancare. Questo è lo spirito con cui incontriamo gli spettatori in queste occasioni, e per quanto riguarda gli spettatori, questi restano in silenzio al buio e non vengono coinvolti, non vengono resi protagonisti. Serena: Trovo che nella pratica di formazione del pubblico ci sia l’intento di provare a riavvicinare gli spettatori al teatro e al suo linguaggio. E questo è un bene. E’ un’azione spesso portata avanti dai critici che così, oltre che fornire il loro contributo ai percorsi degli artisti, possono cercare un dialogo anche con gli spettatori. E’ un bene, a patto che lo spettatore non creda, dopo tre giorni di laboratorio sullo sguardo critico, di essere divenuto a sua volta un critico ma che intenda che i nuovi strumenti acquisiti possono servirgli invece per essere uno spettatore più sensibile e godersi gli spettacoli non correndo il rischio che una eccessiva attenzione ad analisi e codici gli impediscano di essere l’altra metà dell’evento teatrale, ovvero lo portino a non compiere l’azione giusta quando si è spettatori: un ascolto attivo e non un giudizio.
Roberto, cosa ha significato all’interno del tuo percorso d’attore questa esperienza con la Piccola Compagnia Dammacco? Roberto: Il lavoro sul corpo dell’attore in questo gruppo è centrale. Mariano e Serena si sono trovati e riconosciuti in questo linguaggio. Linguaggio nel quale anch'io oggi mi riconosco in quanto, nella maniera più dolce e sensata, scardina qualsiasi tipo di reticenza e di freno nella ricezione del metodo di lavoro e fa della diversità di esperienza lavorativa un punto di forza. Con Mariano all’esterno e Serena in scena ti senti tutelato, pronto ad accettare la loro visione. È una ricerca che nobilita il corpo/voce dell'attore. Lo spinge a tessere una drammaturgia fisica che letta  dall’occhio magistrale di Mariano, genera emozione. Pian piano senti che prendi forma e acquisisci senso. Un altro aspetto molto importante è il rigore. Quel giusto senso di igiene professionale, di immersione che Mariano e Serena richiedono per affrontare il lavoro e che poi inseriscono nel macro contenitore che è il gioco. Aprire le finestre significa far entrare quel germe sano che apre a nuovi scenari.
E per te Serena cosa porta l’incontro con altri attori? Serena: L’apertura ad altri attori è fondamentale perché permette di rilanciare una modalità compositiva che con il mio solo corpo d’attrice non era possibile indagare. “Finestre” non è solo aprirsi a nuovi incontri tra artisti, ma anche fornire all’autore e regista Mariano più strumenti, più corpi, più voci, più sguardi per mettere in azione una scrittura drammaturgica e scenica che solo con me non può avere a disposizione. In dieci anni, abbiamo fondato una pratica di lavoro e ora il tentativo è quello di condividere con altri corpi attorali questa nostro modo di lavorare in scena. In tal modo, Mariano può tradurre le sue visioni, può trovare parole e dare forma a strutture drammaturgiche e sceniche nella relazione tra più corpi.
*immagini scattate durante la prova aperta in teatro avvenuta domenica 12 maggio I love you but I don’t want to e durante la prima residenza. 
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acasadisarina · 5 years
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Rune futhark: libri e introduzione
Domenica 21 Aprile 2019 ore 15.00 Nuvolo Parlando di Rune (futhark) si tratta di argomento vastissimo, che non può certo essere liquidato con quattro nozioni, tre immagini e due giochi divinatori e che richiede studio e quindi tempo. Ne possiedo diversi set: di legno, di sasso e di pietre semi-preziose, le ho studiate molto, capite meno e usate poco, ma non le ho mai abbandonate. 
Avevo in casa due libri sulle rune:
"Rune frammenti di Stelle" di S Benetton - Ed. Cerchio della Luna
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É un libricino più che tascabile che, dopo una breve introduzione sull'esperienza dell'autrice, con i simboli fa un lavoro più meditativo che divinatorio, ma anche questo aspetto può essere di certo apprezzato.
"Il nuovo libro delle rune" di R. Blum - Hobby&Work Italiana Editrice
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É decisamente più completo (conteneva anche un bel set di rune) anche se non esaustivo, fa un po' di storia/mitologia/archeologia, prende in esame l'esperienza dell'autore con la meditazione ed infine l'oracolo vero e proprio.
Entrambi prendono in esame la venticinquesima runa, quella bianca/vuota detta "di Odino" e in entrambi c'è ancora il prezzo in Lire Italiane O_O
Quando, dopo così tanti anni ho riletto la sezione delle rune sul MaterTerra e ho preso in mano questi due libri per riscriverla, mi sono sembrati "inadeguati" e così mi sono procurata: Runemal- Il grande libro delle rune di Carmignani Bellini - Ed. L'Età dell'Acquario
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È un grosso librone che prende in considerazione l'argomento da molti punti di vista e che, per quanto mi riguarda (e mi serve), tratta l'argomento in modo fin troppo vasto. Leggendo diverse recensioni su altrettanti siti, c'è chi lo considera una bibbia indispensabile, chi lo crede inesatto: quale sia la verità, probabilmente non lo sapremo mai. Il libro inizia con un'introduzione storica, quindi (la parte che mi ha interessato di più) mette in relazione le rune vichinghe (Futhark) con altri "alfabeti" indoeuropei. Continua prendendo in considerazione altre notazioni "runiche" dilungandosi esageratamente su Antico Futhark, Futhork Anglosassone, Futhork Giovane, r. Gotiche, Ungheresi, Siberiane, Armaniche, Segrete e molte altre, includendo infine anche il Cirth, cioè la notazione inventata da Tolkien per le lingue dei suoi libri e qui devo dire che ho "storto un po' il naso"..
La parte di descrizione dei simboli e degli archetipi associati che segue, è a dir poco poderosa, l'argomento viene sviscerato da molteplici angolazioni (storico/mitologico/religioso/meditativo/archetipico/tradizionale) e un'altra cosa che mi è piaciuta molto, è che nella descrizione dei simboli, l'autore usa un filo conduttore, come se un simbolo fosse il proseguimento dell'altro in una ipotetica visione della vita, dei problemi e delle motivazioni che ci spingono a risolverli per migliorarci. Il libro non prende in considerazione la venticinquesima runa, nemmeno vi accenna.
Ma torniamo all'inizio. Per un attimo mi sono chiesta se fosse il caso di continuare a studiare un argomento "apparentemente" nemmeno riconducibile alle tradizioni italiche, ma ma ma.. Da quando abbiamo avuto accesso a internet e quindi i nostri "orizzonti stregoneschi" si sono allargati, ho sempre avuto una speciale attrazione per questi simboli "nordici", e con la nuova esperienza di studio, ho appurato che la mia insolita attrazione per l'esotico, non è poi così strampalata. Però, solo per elaborare qualcosa di decente, non troppo scarno ne troppo vasto e particolareggiato per il primo simbolo, ci ho messo una settimana; terminare l’argomento in un solo post avrebbe richiesto un'eternità. Quindi alla fine ho pensato che è meglio che condivida ogni mio "progresso" nello studio di questo "linguaggio", in modo che chiunque abbia cognizione possa correggere, integrare e portare il proprio contributo/esperienza.
                               RUNE - FRAMMENTI DI STELLE
                                      Al principio era il tempo:                                             Dio vi dimorava;                                    non c'era ne sabbia ne mare                                             ne gelide onde;                                       terra non si distingueva                                             ne cielo in alto:                                       il baratro era spalancato                                        e in nessun luogo erba.
                          Edda Poetica - Profezia della veggente
Si narra che il Dio Nordico Odino, per apprendere l'arte delle rune e quindi la saggezza, immolò se stesso rimanendo appeso al frassino Yggdrasill, l'albero cosmico della vita (o del mondo), oscillando al vento per nove giorni e nove notti, ferendosi con il filo della sua stessa spada, quando dalle radici dell'albero, immerse in un pozzo di saggezza, ricevette le rune e che, disceso dall'albero e divenuto saggio a sua volta, le incise su legno, pietra, osso e zoccolo di cavallo.
In realtà le rune sono un antico alfabeto nordico giunte fino a noi grazie a numerosi ritrovamenti che vanno dalla Scandinavia a molte parti d'Europa sino a giungere nelle Americhe. Probabilmente i simboli non hanno mai dato vita ad una lingua parlata ma venivano usati per la divinazione, per incidere il metallo (elmi e spade) e grandi steli di pietra. I sacerdoti tramandavo oralmente i loro segreti, quindi questi non sono sopravvissuti al tempo, in più, dal Medioevo in poi, con il definitivo tracollo del paganesimo, le rune vennero degradate dall'intolleranza religiosa e, aboliti e assorbiti gli antichi culti, feste e divinità, ad opera della demonizzante propaganda cristiana, le rune, insieme a scopa e calderone, diventarono i giocattoli delle streghe. UNA, SANTA, CATTOLICA E APOSTOLICA (...) Pare quindi che, come si può immaginare, le rune derivino da simboli più antichi diffusi in ampie zone di tutta l'Europa da stanziamenti di popolazioni indoeuropee, nei cui simboli vi fu una radice comune, che furono uno l'evoluzione dell'altro, che i popoli viaggiavano e migravano e che portavano la propria notazione nel luogo dove andavano e che questa veniva assimilata ed adattata, che mutava e che a sua volta veniva diffusa.
Per quanto riguarda la notazione Futhark (acronimo delle iniziali delle prime sei rune: Fehu, Uruz, Thurisaz, Ansuz, Raido, Kenaz), che inizialmente era formato da ventiquattro segni e che è quella prevalentemente diffusa e usata oggi , vi sono diverse teorie: forse derivano dall'alfabeto fenicio, o forse da quello greco.. (Quando ho letto questo passaggio ho finalmente capito la mia insolita attrazione verso qualcosa di non italico. Sul libro di storia alle scuole medie, c'era uno specchietto con l'alfabeto fenicio e io lo avevo imparato per tenere i miei affari lontani dai curiosi..), ma più probabilmente derivano da una scrittura appartenente al gruppo delle cinque principali varietà di alfabeto italico settentrionale derivato dall'alfabeto etrusco.                                                                       E parlando di storia e mutazioni alfabetiche potremmo scrivere per ore, ma nemmeno questo è il mio intento e spiegarvi quale sia non è così facile. Quando ho saputo dell'esistenza delle rune e le ho maneggiate per la prima volta, ho sentito subito il loro "potere magico". Sperimentare concretamente il vero presente, per la maggior parte di noi è estremamente difficile perché per nostra natura umana, sprechiamo buona parte della nostra esistenza soffermandoci sui rimpianti del passato e fantasticando sul futuro; eppure ci capita spesso di vivere il presente anche per brevi attimi, (ad esempio quando perdiamo un oggetto caro legato al passato, una fotografia, o delle pagine di diario), ma non ce ne rendiamo conto. Quando camminiamo lentamente o guidiamo per lunghi tratti ci mettiamo quasi automaticamente a riesaminare idee e pensieri.. Poi all'improvviso ci "svegliamo", molti chilometri dopo, senza nemmeno esserci resi conto del vento, degli alberi o di aver respirato l'aria. Le rune mi danno il "potere" di ancorarmi al presente, di godere del momento temporale, di vedere e sentire ciò che mi sta attorno e quando ho imparato a farlo, ho capito cos'è veramente la magia. Le rune fanno si che il fruscio che sovrasta e confonde la mente, lasci il posto al silenzio che mi tiene ancorata all'attimo presente. È un esercizio per niente semplice, che riesce solo se nella nostra vita spirituale ci consideriamo sempre e solo all'inizio e non desideriamo continuamente correre avanti. Quando infine sperimentiamo il vero presente, ci rendiamo conto che le cose, accadono qui e ora.
                        Perché io sono colei che è prima e ultima                        Io sono colei che è venerata e disprezzata,                           Io sono colei che è prostituta e santa,                                    Io sono sposa e vergine,                                     Io sono madre e figlia,                     Io sono sterile eppure sono numerosi i miei figli,                             Io sono donna sposata e nubile,           Io son Colei che da alla luce e Colei che non ha mai partorito,                   Io sono colei che consola dai dolori del parto.                                     Io sono sposa e sposo,                            e il mio uomo nutrì la mia fertilità,                                 Io sono madre di mio padre,                                    io sono sorella e marito,                             Ed egli è il figlio che ho respinto.                                     Rispettatemi sempre,            Poiché io sono colei che da scandalo e colei che Santifica. Inno ad Iside, rinvenuto ad Nag Hammadi, Egitto, risalente al III-IV secolo a.C. </p>
CONSULTARE LE RUNE
E dopo tanta teoria (cosa in cui sono molto portata), a descrivere la pratica mi trovo in difficoltà, pertanto vado a sfogliare nuovamente i tre libri in mio possesso, e mi viene la faccetta con la bocca tutta curve tipo così:  :-S "Determinate ore del giorno.. ..incenso.. ..candele.. panno di velluto nero, viola, rosso, fucsia, leopardato.. ..preparazione psicologica/concentrazione/preghiera.. .. meditazione con i simboli.. ..respirazione..
Io credo una cosa sola: le rune non sono come i Tarocchi, non predicono il futuro, ma chiariscono la situazione al momento presente: solo quando nella nostra mente c'è il silenzio di cui sopra, allora si estrae il primo simbolo. Una bella frase del secondo libro dice:" La runa giusta sa farsi riconoscere dalle mie dita" Le domande da porre sono quelle che si riferiscono all'opportunità e/o alla tempestività di un'azione. Per esempio, invece di chiedere: "Dovrei porre fine alla mia relazione?" Dichiarare: "Il problema ORA è la mia relazione". Invece di chiedere: "Dovrei accettare questo nuovo lavoro?" Dichiarare: "Il problema ORA è il mio lavoro. È questione di "focalizzare" il problema e non la domanda: pensateci, è MOLTO diverso. Se non abbiamo un problema specifico, ma desideriamo un quadro generale della situazione, potremmo dichiarare: "Che cosa devo sapere IN QUESTO MOMENTO riguardo la mia vita ADESSO?" Di solito la risposta è istruttiva.
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Lettura Nove rune hanno la stessa lettura indipendentemente da come vengono estratte, le altre sedici si possono "ricevere" dritte  o  capovolte. Per esempio, ricevere Ehwaz, la runa del movimento capovolta, sposta l'attenzione del consultante verso gli aspetti di quella situazione che potrebbero precludere qualunque movimento, oppure indicare che in quel momento è inopportuno muoversi o agire. La comparsa di una runa capovolta non è motivo di allarme ma segnale che sono richieste cura ed attenzione nella nostra condotta, oppure che dobbiamo considerare alcuni aspetti della nostra vita o del nostro comportamento che fino ad ora abbiamo evitato.
Costruire le proprie rune? Sull'onda di un attacco collettivo di faidate altamente infettivo e grazie anche al meraviglioso sito della cara Baubo (che purtroppo non c'è più), per un po' di tempo tutti hanno fatto la corsa a costruirsi il proprio set di rune. Potrebbe essere un'idea, ma in qualunque modo intendiamo farlo, deve essere un'occasione per il suddetto "ancoraggio al presente". Non vorrei però che l'ansia di non essere in grado di meditare, precludesse alla fine ogni nostra azione e ci facesse desistere dall'impresa qualunque essa sia. Proviamo a considerare meditazione/concentrazione/ancoraggio al presente, anche azioni semplici come sottolineare la frase di un libro, curare una pianta, preparare la cena o lavare l'auto.  Realizzare il nostro set di rune può costituire una piacevole e profonda meditazione.
Tenere un diario Non considero le rune un metodo divinatorio così facile da assimilare, come in tutte le cose ci vuole passione e dedizione, l'intuizione invece, secondo me si acquista solo con il tempo. Quando si stabilisce una metodologia di lavoro con le rune e si hanno dei riscontri, è utile annotare e registrare le indicazioni che se ne ricevono. Tenere un diario durante il cammino della stregoneria (non solo sulle rune) è qualcosa che si consiglia sin da subito e che, almeno per quanto mi riguarda, può continuare per sempre (io, andando a cercare, so cosa ho fatto e che tempo faceva un giorno anche di molti molti anni fa). Giorno, ora, situazione generale della nostra vita in qual momento, estrazioni, breve interpretazione. Tenere questi dati ci consente di seguire e verificare la qualità dei progressi fatti nel corso del lavoro con le rune.
Una runa ci guida nella giornata Estrarre una runa la mattina, registrarla sul diario e lasciare che ci faccia da guida nella giornata, annotare ciò che ne è derivato la sera. Annotare tutto ci aiuta ad acquisire maggiore familiarità con l'oracolo e con il tempo ci consentirà di valutarne l'accuratezza nella sua funzione di guida. Una volta raggiunta una certa disinvoltura, si possono sperimentare metodi nuovi e/o più articolati.
Qui finisce questa lunga introduzione alla divinazione con le rune. Ovviamente ci sarebbero decine di pagine da scrivere, ma non voglio di certo sostituirmi a chi studia la tradizione nordica e che quindi fa delle rune non solo un oracolo ma un archetipo della vita stessa. E sinceramente credo che il mio interesse sulle rune si esaurisca in questo modo (E menomale perché a scrivere questa introduzione ci ho messo "solo" otto giorni).
Continueremo questo viaggio un simbolo alla volta poi mi direte se le rune vichinghe non vi sono sembrate magiche.
Per la parte storico/mitologica mi sono servita dei tre libri citati all'inizio.
Sara Tratto dal sito www.materterra.it
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acrobat87 · 5 years
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Collezione di sabbia
tratto da “Collezione di sabbia”, di Italo Calvino, 1984.
La tradizione orale - scrive Giorgio Agamben - mantiene il contatto con l’origine mitica della parola, cioè con quello che la scrittura ha perduto e che continuamente insegue: la letteratura è l’incessante tentativo di recuperare quelle origini dimenticate.
Il linguaggio (ogni linguaggio) costruisce una mitologia, e questo modo d’essere mitologico coinvolge anche ciò che si credeva esistesse indipendentemente dal linguaggio. Da quando il linguaggio fa la sua comparsa nell’universo, l’universo assume il modo d’essere del linguaggio, e non può manifestarsi se non seguendone le regole.
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La scrittura nasce nella Bassa Mesopotamia, nel paese dei Sumeri, capitale Uruk, intorno al 3300 a.c.. Siamo nel paese dell’argilla: documenti amministrativi, contratti di vendita, testi religiosi o di glorificazione dei re vengono incisi con la punta triangolare d’una canna o calamo su tavolette che vengono poi seccate al sole o cotte. Il supporto e lo strumento fanno sì che la pittografia primitiva subisca in breve tempo una semplificazione e stilizzazione spinte all’estremo: dai segni pittografici (un pesce, un uccello, una testa di cavallo) scompaiono le curve che sull’argilla non venivano bene; in questo modo la somiglianza tra segno e cosa rappresentata tende a scomparire. S’impongono i segni che possano essere tracciati con una serie di colpi di calamo istantanei. È la scrittura cuneiforme, che trasmette un’impressione di rapidità e movimento ed eleganza e regolarità compositiva.
La linearità della scrittura ha una storia tutt’altro che lineare, ma che si gioca tutta in una zona geografica ben delimitata, nel corso di due millenni e mezzo: tutto succede tra il Golfo Persico, la costa mediterranea orientale e il Nilo. Se è vero che anche la scrittura indiana e probabilmente perfino quella cinese derivano dallo stesso ceppo, possiamo concludere che per la scrittura (a differenza che per il linguaggio) si può parlare d’una monogenesi.
Quel che è certo è che, a differenza del linguaggio, la scrittura è un fatto di cultura e non di natura.
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Perché proprio la Bassa Mesopotamia? 
Cinquemila anni fa in quelle aride terre si forma un nuovo sistema politico-economico che ha per centro la città e la monarchia sacerdotale; i lavori d’irrigazione rendono possibile un grande sviluppo agricolo e si assiste a un’esplosione demografica: nasce la necessità d’una contabilità complicata per controllare le esazioni, gli scambi, i catasti tra un gran numero di persone su vasti territori. L’argilla, aiuto essenziale per la memoria, già prima della scrittura serviva per fissare messaggi esclusivamente numerici; ed ecco che accanto alle tacche che corrispondono a cifre si comincia a incidere figure rappresentanti merci (animali, vegetali, oggetti) o nomi di persona. 
Ad aprire gli sconfinati reami spirituali della cultura scritta sarebbe stata dunque una necessità pratica, mercantile o addirittura esattoriale? 
Le cose sono più complesse. Le forme primordiali di simbolismo grafico vengono adottate nei promemoria del dare e dell’avere perché già esse erano state elaborate in sede artistica, soprattutto nei vasi in ceramica dipinta. Già da tempo, in oggetti funerari e di culto come in oggetti d’uso, il “nome” degli individui e degli dei era stato rappresentato in figure che erano insieme espressione di ammirazione o paura o amore o dominio: stati d’animo, atteggiamenti verso il mondo. 
L’espressione che possiamo già definire poetica e la registrazione economica sono dunque i due bisogni che presiedono alla nascita della scrittura; non possiamo farne la storia senza tener conto di entrambi questi elementi.
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Al tempo di Ninive e di Babilonia queste impronte di zampa di gallina fitte fitte ci raccontano l’epopea di Ghilgamesh, o ci forniscono un vocabolario, un catalogo di biblioteca, un trattato sulle dimensioni della torre di Babele (che risulterebbe essere stato uno zigurat di sette piani, alto 90 metri). Mentre in Mesopotamia si può seguire l’evoluzione da una prescrittura alla grafica cuneiforme, in Egitto i geroglifici si presentano tutt’a un tratto, certo un po’ balbuzienti e disordinati agli inizi, ma senza antecedenti che si conoscano. Questo vorrà dire che la scrittura è stata importata in Egitto dalla Mesopotamia? La cronologia (un paio di secoli di differenza tra le prime pittografie di Uruk e i primi geroglifici) darebbe sostegno a questa tesi, ma il sistema egiziano è tutto diverso. Si tratta allora d’un invenzione indipendente? Forse la verità sta nel mezzo: gli Egiziani hanno con la Mesopotamia stretti rapporti commerciali e non tardano ad apprendere che i Sumeri “scrivono”; questa notizia apre nuovi orizzonti alla loro inventiva e non ci mettono molto a elaborare un metodo di scrittura originale, che resterà solo loro.
L’alfabeto, ossia la serie di segni che corrispondono ognuno a un suono e che variamente raggruppati possono rappresentare tutti i fonemi d’una lingua, nasce con 22 segni sulla costa della Fenicia (il Libano attuale) verso il 1100 a.c. Dal “consonantico lineare fenicio” derivano direttamente il moabita, l’aramaico, l’ebraico e più tardi il greco.
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Il destino d’ogni scrittura è di cadere in polvere, e pure della mano scrivente non resta che lo scheletro. Righe e parole si staccano dalla pagina, si sbriciolano. Il principio vitale di tutte le metamorfosi e di tutti gli alfabeti riprende il suo ciclo.
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claudiocisco · 4 years
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                  B I B L I O G R A F I A
 -COME SONO DENTRO
-ANIMA SEPOLTA
-APOCALISSE MENTALE
-COLEI CHE BREVEMENTE FU E CHE MAI IN VITA CONOBBI
-IL VECCHIO E LA RAGAZZA
-LA MIA ANIMA E' NUDA
-IL SILENZIO NEL SILENZIO
-SENSAZIONI
-LA FINE DELLA CICOGNA
-EROS E MORTE
-LA LUNA DI PETER PAN
-TUTTO SU DI ME
-L'ANIMA DEL MARE
-LUCE
-IL MIO MONDO IN VERSI
-ATTRAVERSANDO IL SOLE
-VIAGGIO NELL'ANIMO DI UNO SCRITTORE
-ENIGMI INTERIORI
-LAILA
-PREGHERO’
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                                                      R E C E N S I O N I
    È sempre difficile parlare di qualcuno con cui si hanno rapporti di profonda amicizia, mantenendo il giusto equilibrio.
Claudio Cisco nasce a Messina il 18/10/1964. Ho il piacere di conoscerlo da più di trent’anni, da quando cioè ero suo compagno di classe nelle scuole elementari. Non posso non ricordare con emozione quei periodi mai più ripetibili e in particolare il suo grande e quasi inspiegabile talento nello scrivere, rivelatosi sin dalla tenera età.
Ho ancora davanti agli occhi, come se il tempo non fosse mai trascorso, quel suo viso espressivo e misterioso insieme, meditativo e lontano che nascondeva chissà quali segreti, chissà quali pensieri, pensieri sicuramente molto più grandi di lui, fuori dal comune che nessuno all’infuori di lui poteva comprendere, così diversi e complicati rispetto ai miei e a quelli di tutti gli altri nostri compagnetti. Rivedo ancora nella memoria quei suoi occhi chiari e tristi di bambino, concentrati fissi sul quaderno e la sua mano che, come un automa, muoveva quella penna riempiendo infinite pagine, seguendo la traccia d’un tema, come se non riuscisse a fermarsi. Tutti noi suoi compagni, restavamo ammutoliti a guardarlo senza nulla saper scrivere, chiedendoci da dove riuscisse a tirare fuori tanta ispirazione pur riconoscendogli e ammirandone il suo grande dono di natura.
Continuo a seguire le immagini che il ricordo mi restituisce e rivedo con nostalgia i tempi dell’adolescenza quando ci frequentavamo, così diversi l’uno dall’altro. Lui solitario e introverso, un po’ timido che rideva a malapena d’un sorriso ineffabile e quasi celeste, io, al contrario, chiassoso ed esuberante ma ci rispettavamo sul serio, pur nella diversità dei caratteri, ci dividevamo ogni cosa, il panino in classe lo spezzavamo sempre in due, ci volevamo un bene dell’anima. Anzi, ad esser sincero, io sentivo verso di lui, quasi un complesso di inferiorità consapevole delle sue capacità artistiche ma mi sono guardato bene dal farglielo presente per non metterlo in una situazione d’imbarazzo.
Oggi che siamo diventati adulti, osservandolo, non riesco a staccare la sua immagine di adesso, da quella di quand’era bambino, sembra essere rimasto lo stesso, quasi si rifiutasse di crescere, a dimostrare che la giovinezza, quando la si possiede nell’anima, è eterna.
L’altro giorno, mi propone un suo libro “Come sono dentro”. Rimango, pur conoscendo la sua genialità creativa, stupito ugualmente e totalmente coinvolto dall’energia che emana. Il suo modo di scrivere è fuori da schemi. Le sue liriche danno risalto all’anima, a volte possente e virile, altre dolcissima e perdutamente sola ma sempre viva con un disperato bisogno di comunicare.
La lettura del libro poi mi rapisce totalmente. Colgo senza limiti il significato e la bellezza poetica.
Sono consapevole di essere di fronte ad una espressione artistica che va oltre le punte più avanzate degli scrittori di quest’epoca.
Non so se il lettore sia in grado di recepire tanta sensibilità e forza creativa, credo piuttosto che possa rimanerne sbalordito.
Questo libro raccoglie il meglio delle opere dell’autore dalla fanciullezza ad oggi, come sintesi della sua evoluzione poetica ed umana in genere. Per questo, con vivo interesse, vi invito a prenderlo in considerazione.
 Vincenzo Fratantonio
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    Claudio Cisco nasce a Messina nel 1964. Rivela sin da piccolo una fervida vita interiore che si sviluppò non solo nel fervore dell’immaginazione e nell’intensità del sentimento, ma anche in uno slancio artistico pertinace e costante. Ricco di intuizioni e creatività, soverchiato dall’impeto della sua fantasia e da una straordinaria capacità nel creare immagini, precocissimo nella sua inclinazione all’arte in genere, riesce ad estrinsecare il suo innato talento nello scrivere, esprimendo così il segreto palpito e il ritmo stesso della sua anima. Dotato di sensibilità profondissima e acuta, fuori dalla norma, di una freschezza vibrante di sentimento e di una vivida intelligenza intuitiva trasferisce, con grazia singolare, le sue interiori vibrazioni artistiche, nei ritmi della sua scrittura. Ottiene effetti potentissimi di rara e grandissima bellezza con la sola collocazione delle parole perfettamente associate alle immagini, padrone di uno stile raffinato e originalissimo, riuscendo così ad armonizzare tutte le proprie qualità artistiche. Focalizzando sempre più la sua genialità creativa e rinnovandosi continuamente su schemi da lui stesso creati, inventa uno stile tutto suo, ben definito, non paragonabile a nessun altro, frantumando così gli schemi cosiddetti logici della scrittura tradizionale. Fa nascere un’armonia di lettura quasi ritmica per via di creazioni fantasiose assolutamente nuove nella storia degli scrittori contemporanei, rappresentando le cose non solo per il gusto della semplice descrizione ma anche e soprattutto per l’anima e il sentimento che le pervade facendole apparire così vicine e familiari e insieme remote e sfumate. Ne vien fuori una musica di parole e immagini, sciolte da ogni saggezza logica che diventano forma dell’essere, incarnazione della profonda realtà dell’anima, dell’assoluto.
Con immediata freschezza, l’autore sa cogliere l’essenza intima e nascosta delle cose della natura e delle sue creature. Vede luci improvvise e parziali, immagini fantastiche e surreali. Tende a rendere nella sua scrittura l’incanto delle sue visioni e del suo quasi infantile stupore.
Mette in evidenza gli aspetti misteriosi dell’universo, attraverso moti che salgono dall’anima, simboli e immagini fugacissime, allucinanti e folgoranti con le quali osserva e trasfigura le forme più recondite della realtà, muovendosi con esse entro l’alone del mistero. È un’insurrezione straordinariamente creativa e istintiva, animata dalla volontà di essere, di esistere, di crearsi un suo spazio. È un mosaico, il suo, carico di immagini suggestive e fantastiche, intrise di sensibilità, testimonianza dell’eterno e quasi inspiegabile contrasto tra le forze misteriose che ci governano e le luci chiare della speranza e dell’amore che si alternano tra loro, creando l’immortale contrasto tra il bene e il male, tra il positivo e il negativo. L’autore rivela con impressionante intuito artistico questo contrasto, rappresentandolo nei suoi versi con alternanza di situazioni fantastiche e quasi inverosimili a immagini cupe e invisibili.
Nella rovina di ogni altro valore conoscitivo, nel moderno senso del reale inteso come fugacità, mutevolezza, inconsistenza, nell’opprimente senso del mistero e dell’inconscio, la sua originalissima scrittura appare come sola via di salvezza, come solo valore in un mondo senza valori, come il solo modo di intendere e svelare la realtà. I suoi versi, abbattendosi tra creature immaginarie e inconscio, hanno una funzione di illuminazione e immediata rivelazione. Non sono né conoscenza e né intuizione, ma immedesimazione istantanea col tutto, fuori da ogni chiarificazione definitiva. È il suo, un atto di vita (forse l’unico possibile), di immediata partecipazione al ritmo frenetico della realtà. I suoi versi hanno altresì il potere di catturare del tutto chiunque li legga, dando luce ai fondi oscuri del suo essere attraverso una descrizione analitica di fatti e situazioni psicologiche che investono rapporti e nessi del tutto inusitati. Il suo modo di scrivere, in conclusione, è baleno di luce e di fantasia, trionfo di immagini nell’oscurità di un mondo spento dalla praticità e dal mostruoso materialismo di tutti i giorni. La vita vuol essere, per potersi realizzare, arte e in Claudio Cisco tutto questo si realizza. Arte e vita si confondono, la fantasia eclissa la realtà grazie alla sua creatività e partecipazione emotiva. Questo libro diventa quindi purissimo atto vitale, allargando i suoi limiti sino ai confini della vita.
 Giovanni Pierantoni
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    È la seconda volta che mi è stato gentilmente chiesto dall’autore stesso, di offrire una piccola parte di mio contributo ad una sua opera. Lo faccio sempre con gioia e con immenso piacere essendo un convinto suo estimatore, profondamente certo delle sue qualità artistiche e prima ancora umane.
Anche in questa raccolta di liriche, le vicende psicologiche dell’autore divengono esse stesse motivo di poesia, del resto non c’è opera che insieme con il poeta non rispecchi anche l’uomo con i suoi timori, i suoi dolori, le sue speranze.
Cisco rivela chiaramente le ragioni psicologiche del suo isolamento dalla vita pratica e il suo amore per la solitudine. Esprime con vigore e precisione i suoi stati d’animo ed effonde con un rapimento quasi mistico il suo travaglio psichico assieme alla pienezza dei suoi sentimenti in perenne contrasto tra loro; con una fiamma viva e sempre ardente di curiosità tende a carpire il mistero che avvolge l’universo. Ne vengono fuori pagine intrise di tristezza ma anche di profonda meditazione.
Cisco esprime ancora una volta il suo animo agitato e tormentato, fedele specchio d’un uomo prima e d’un artista dopo, perennemente inquieto. Continua nei labirinti della sua mente l’incessante lotta tra umano e divino, tra sacro e profano, tra ciò che gli altri considerano male e il bene, sempre alla ricerca di un porto sicuro, di una certezza, di una pace.
Il dominio, Cisco, lo ottiene solo nella sua poesia, in cui ogni parola, ogni immagine si piega docile ad esprimere i moti più segreti del suo animo, elargendo nei suoi versi bellezza e armonia. Diffonde nella natura, come anche nelle sue liriche, le sue inquietudini, i suoi sogni, le sue delusioni e l’orizzonte naturale diviene il riflesso di quello interiore.
Il tema forse più profondo trattato in quest’opera, è rappresentato dal doloroso distacco tra la giovinezza e l’età matura. Nell’anima tutta raccolta in se stessa, si fa viva e struggente la memoria dell’infanzia con le sue dolci fantasie sbiadite e perdute.
Ma pur nell’accento doloroso della perdita, essa rimane sempre nel ricordo, un mito sereno chiuso in una luce limpida.
È ancora la fragilità del tempo che scorre e dell’uomo che perisce, rivelata dall’autore nelle sue liriche, con grande maestria artistica e insieme struggente nostalgia.
E poi ancora la contemplazione della natura bella ma ingannevole, intesa come tremenda e vana fatica, incomprensibile agli esseri umani, che tende a sfociare nella morte. In questa intensità di vita così esclusivamente soggettiva, la natura, gli uomini e le cose tutte del mondo esterno, sono assunte entro lo stato d’animo dell’autore e rappresentano il battito che il suo cuore di volta in volta conferisce loro.
Le cose si umanizzano e cantano, piangono, sospirano in un’intima corrispondenza tra il poeta e la natura.
Tutto sembra malinconia di cose perdute e di vane promesse, quasi un sogno inappagato, una preghiera appena sussurrata senza speranza e gli esseri viventi sono creature che corrono verso la morte.
In conclusione, grazie alla lettura del suo quarto libro, ho potuto capire come Cisco sia impossibilitato di essere e di realizzarsi in un mondo che nega tanto più crudelmente la felicità, quanto maggiore è la nostra virtù.
 GIOVANNI PIERANTONI
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 Cisco non smette mai di sorprendermi, come Autore ma soprattutto come uomo.
Ho letto attentamente tutte le sue opere e sono stato uno tra i suoi più “incalliti” critici. Ma l’ho fatto sempre in buona fede e con profondo rispetto verso la sua persona, seguendo una linea coerente di attento valutatore letterario, dettata da principi ai quali presto solenne fedeltà. Come ricompensa a tutto questo, Cisco mi propone addirittura di introdurgli il suo libro, garantendomi massima libertà d’espressione. Confesso che non me l’aspettavo ma ciò non toglie che ho accettato con piacere, spinto da una volontà di esser ancora più sincero e imparziale di prima. L’Autore l’ho sempre apprezzato nelle sue capacità narratorie, sicuramente più che in quelle poetiche. Le sue liriche infatti, le ho sempre considerate poeticamente efficaci nel contenuto, ma con un linguaggio formale non sufficiente per attribuirgli lo “status” di poeta. Dopo la lettura dell’opera in questione, devo parzialmente ricredermi perché alcune liriche in essa contenute, ricalcano ancora lo stile di quelle precedenti. Nella maggioranza delle composizioni poetiche però, l’Autore dà l’impressione di crearne uno nuovo dimostrando coraggio e voglia di rinnovarsi, ottenendo discreti risultati. Il linguaggio nella sua ricerca del “vocabolo” appare più sofisticato, più raffinato, più studiato, anche nelle forme poetiche più lunghe, quasi prosaiche, si evidenzia questa ricchezza di sonorità e significato delle parole, assolutamente nuova nella poetica di Cisco.
Quello che più ammiro nel suddetto artista, è la sua capacità torrenziale di scrittura che sgorga spontanea ed istintiva dalla fervida sorgente della sua creatività e che lo spinge, sia pure in maniera istintiva e non sempre perfetta, a creare opere anche di lunghe dimensioni, in un lasso di tempo minimo. Testimonianza di un innato talento che andrebbe, secondo me, seguito, migliorato e indirizzato verso la strada giusta. In quest’opera poetica, finalmente, non più esasperate, affrante e maniacali esaltazioni della propria privata solitudine né continue ed infantili fughe adolescenziali, ma un’intelligente ed efficace apertura verso tematiche svariate di più ampio respiro: quella onirico-fabulosa (già presente in opere precedenti), quella orientata verso la riscoperta di culture e civiltà lontane e diverse dalla nostra (quella celtica, ad esempio, quella greca). E poi ancora la rivendicazione di libertà sessuali ritenute ancora tabù, le valide ed approfondite descrizioni paesaggistiche, introspettive, psicologiche.
In conclusione di questo mio intervento, auguro di cuore all’Autore e alla sua “nuova” opera, di ottenere un ottimo riscontro da parte dei lettori gettando così le basi per un cammino sempre più ricco di soddisfazioni e consensi e definisco Cisco un “istrione” della scrittura, uno che mischia religiosità e trasgressione, a volte divinamente, altre con limiti e margini di miglioramento ma riuscendo sempre a sorprendere.
 Walter Di Pietro
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  Leggendo gli scritti che Cisco propone in enorme quantità, attentamente col cuore predisposto e aperto alla poesia, mi convinco sempre più di quanta ricchezza vi sia in questo autore così particolare, in quest'anima solitaria, forse incompresa, meravigliosamente creativa. Cisco non balza agli occhi di chi lo legge solo come poeta, come uno dei tanti "scribacchini" persi nell'immenso viale della letteratura. No! Egli è di più di questo, molto di più, non può e non merita di essere confuso nella massa. E' il dramma interiore d'un uomo originalissimo e perennemente inquieto che risalta prepotentemente all'attenzione. Nella vita come nell'arte Cisco è uguale, non distingue i due aspetti, è coerente, vero, incredibilmente sincero, è lui, sempre e solo lui, senza maschere o finzioni di nessun tipo, degno anche per questo, ma non solo, d'essere apprezzato e seguito. Cisco è nella vita reale lo stesso che si mostra nei suoi scritti, e cioè quell'eterno bambino che mai crescerà e si realizzerà nella vita pratica, un'eterna impossibilità di essere che si manifesta chiaramente in ogni sua poesia, in qualunque sua narrazione, nei suoi scritti in genere. Non ho mai conosciuto in vita mia un modo di essere così particolare come quello suo, drammaticamente chiuso ad ogni contatto con la società e col mondo reale ma paradossalmente ricco di idee, pensieri, emozioni, cose da dire e comunicare, un vero vulcano di creatività, un flusso inarrestabile di sensazioni, di elettrizzante energia capace di travolgere chiunque lo legga. E' un esempio di vita interiore, di profonda meditazione cercata, voluta, desiderata, oserei dire quasi bramata, un contatto diretto col proprio io che sente la necessità e il bisogno di esiliarsi per ritrovarsi ancora una volta, esprimendosi e rinnovandosi continuamente. Cisco è talento naturale ed istintivo prima di tutto, è anima vivente che trova nella sua arte l'immortalità, trae dalla fervida fonte dell'ispirazione, la sua linfa vitale, quell'energia in grado di lasciar spaziare uno spirito così libero ed etereo, fuori dalla misera prigione del suo corpo mortale e la sua poesia piomba nel trascendente sospinta dalla forza del pensiero e della mente, dalla vittoria dell'immaginazione sulla banalità della vita pratica. Davanti a quest'ottica di valutazione del tutto singolare, qualunque suo scritto, anche una virgola o una semplice parola, diviene ricco di "LUCE" e palpitante di idee, di emozioni, di poesia nel vero senso della parola. E' impossibile insomma inquadrare Cisco in un contesto letterario ben specifico: E' la sua anima che si frappone prepotentemente davanti ad ogni valutazione, scardinando ogni identità letteraria. La sua inconfondibile e grandiosamente patetica figura d'uomo è al centro di ogni possibile giudizio; per questo motivo mi sottraggo volontariamente dalle tematiche riguardanti l'opera in questione perchè essa, sia pure fondamentale e valida, passa quasi in secondo piano eclissata dalla potenza espressiva in genere del proprio autore. In conclusione, auguro con tutto il cuore al mio amico, prima di ogni cosa, e poeta Cisco di continuare il gratificante cammino letterario in perfetta simbiosi con questo suo "strano" vivere, per formare una comunione di emozioni uniche, vive e sempre nuove che dura da sempre rinnovandosi continuamente, arricchendo il lettore ma soprattutto egli stesso.
 FRANCESCO RINALDI
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  Conosco da poco tempo il modo di scrivere di Claudio Cisco. Lo apprezzo sia come scrittore, sia come poeta. Trovo in quello che scrive sincerità e sensibilità.
È uno scrittore libero che ha il coraggio di scrivere sempre quello che sente, infischiandosene delle censure e dei falsi moralismi. È dolce, tenero, romantico ma se vuole, sa essere chiaro, duro, inequivocabile. Scrittori così ne nascono uno su mille. Si avvale di una scrittura lirica, gustosa e scorrevole, accessibile a tutti, di alta letteratura, capace di creare poesia pur facendo prosa. Ho letto il suo libro “Come sono dentro”, poi un altro ancora “Colei che brevemente fu e che mai in vita conobbi”, due libri che reputo artisticamente validi. Il giudizio su un’opera letteraria è sempre soggettivo e variabile. Posso tuttavia dirvi in base alla mia esperienza di critico d’arte, che nessuno di questi due libri citati mette in completa evidenza il grande talento di questo scrittore. È in quest’opera “Il vecchio e la ragazza” che tutte le sue grandi potenzialità escono fuori rivelando eccellente capacità di analisi psicologica dei vari personaggi narrati e superlativa arte descrittiva nel configurare armonicamente la trama del racconto. Soltanto un grande scrittore è capace di penetrare così a fondo nel cuore e nella mente dei suoi protagonisti, può parlare di erotismo senza scadere mai nella volgarità e nel cattivo gusto ma trasformandolo in pura manifestazione artistica, catturando del tutto il lettore dalla prima all’ultima pagina del libro.
Con quest’opera Claudio Cisco dimostra, a chi ne avesse ancora il minimo dubbio, di essere uno scrittore bravo e capace. Questo libro è, a mio giudizio, un autentico capolavoro destinato ad un grande successo di vendita, se preso in considerazione con attenzione e come merita, in questo mondo editoriale di oggi, troppo spesso carico di immondizie letterarie. Qualunque altra parola sulla validità di quest’opera risulterebbe superflua, il libro parla da solo, basta leggerne le pagine per rendersene conto. Chi capisce minimamente di arte, non può smentirmi.
 Antonio Cucinotta
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   Scrittore e poeta. Animo sensibilissimo, dotato di un'ottima vena creativa e di una ricchezza di idee, raccoglie tutte le sue liriche scritte sin da bambino e le inserisce nel suo primo libro "COME SONO DENTRO". Ma non fu un inizio facile per l'esordiente autore messinese. Apprezzato dal pubblico per l'accessibilità dei suoi veri, viene invece osteggiato dalla critica che non gradisce il suo modo di scrivere fuori da schemi letterari e i suoi testi che si barcamenano con troppa facilità nel trasformismo. Dalla poesia alla narrativa il passo è breve e l'autore crea in poco tempo due libri con storie e tematiche quasi opposte "COLEI CHE BREVEMENTE FU E CHE MAI IN VITA CONOBBI" e "IL VECCHIO E LA RAGAZZA", rivelando una innata e naturale capacità narratoria unita ad un'attenta analisi psicologica di persone e fatti raccontati. Ma il suo primo amore, la poesia, non conosce declino nell'ispirazione dell'autore e, uno dopo l'altro, nascono tre altri libri "LA MIA ANIMA E' NUDA, "Il SILENZIO NEL SILENZIO" e "SENSAZIONI" segno di uno scrittore che sa continuamente rinnovarsi proponendo opere sempre nuove ed attuali riuscendo a catturare e stupire sempre.
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  Appassionato dell'arte in tutte le sue forme e manifestazioni, trova prestissimo la propria realizzazione artistica nella letteratura, anche perchè sollecitato sin da giovanissimo da una innata predisposizione verso la scrittura che si è rivelata sempre viva e costante. Compone incessantemente sia in linguaggio poetico che in quello prosaico. Tra i temi trattati dall'autore con maggiore interesse durante questo cammino letterario spiccano l'amore per l'adolescenza e più in generale per la giovinezza, la continua e spasmodica ricerca di un contatto quasi epidermico con la natura come rifugio personale fin quasi a sentirsi in perfetta simbiosi con essa, la sempre presente attrazione verso l'irrazionale e l'indefinito che trova nel mondo della fantasia e dell'onirico, del misterioso e del fabuloso, la pià alta espressione della sua creatività. Malinconia e tristezza, desiderio d'evasione e tematiche esistenziali ma anche romanticismo e psicologia dell'animo umano, rappresentano i sentimenti e le attitudini più consoni all'autore che traspaiono riflessi emergendo attraverso i personaggi da lui creati che sono sempre gli ultimi e i disadattati, i sensibili e gli incompresi. Una fondamentale svolta nella creatività dell'autore, è stata data dalla sua recente conversione alla religione evangelica e cristiana che, avvicinandolo fortemente alla fede, gli ha permesso un radicale cambiamento di sentimenti e tematiche delle proprie opere, facendolo aprire conseguentemente all'ottimismo e alla certezza della speranza. I testi sprizzano da tutti i pori gioia e positività che hanno sostituito quel buio e quella negatività che vi aleggiavano prima della conversione.
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    Malinconico e meditativo per natura, rivela sin da piccolo in trasparenza una sensibilità profondissima
ed una straordinaria vocazione per la scrittura. Sospinto da un innato talento e da un'incessante ispirazione artistica che si alimentano progressivamente col trascorrere del tempo e con le esperienze di vita, segue parallelamente sia la strada della poesia, sia quella della narrativa, restando fedele ad un genere che richiama allo stile romantico e triste talvolta ironico con notevoli slanci verso l'onirico e il misterioso, sempre attentissimo e portato verso introspezioni psicologiche.
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Spirito irrequieto ed artisticamente creativo. Scrive in prosa e versi spaziando attraverso varie tematiche: dal fantastico al surreale, dall’erotico al lugubre, dal mistico all’introspettivo.
  DEDICHE E RINGRAZIAMENTI CONTENUTI NEI LIBRI:
 “COME SONO DENTRO”
Come sono dentro è dedicato a mia madre che non ha mai smesso di volermi bene nonostante la mia vita sia stata un fallimento.
Ringrazio voi tutti che credete in me e nel mio libro.
Marietta per avermi ispirato ancora una volta
e infine me stesso per aver dato, nello scrivere e nella realizzazione di questo libro, tutto quello che avevo dentro.
  “LA MIA ANIMA E’ NUDA”
La mia anima è nuda è dedicato al mio caro e grande amico Giovanni Pierantoni che mi ha sempre incoraggiato a proseguire il mio cammino lungo la mia strada di scrittore.
  “PREGHERO’”
Pregherò è dedicato ai fratelli e alle sorelle della chiesa apostolica.
  “SENSAZIONI”
Sensazioni è dedicato alla mia cara amica Giovanna Taranto che sta guidando i miei passi finalzzati all’incontro con Cristo.
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pionchan-blog-blog · 5 years
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Professore psicopatico scrive libro utilizzando la vita di uno studente
Professore psicopatico scrive libro utilizzando la vita di uno studente
In realtà la trama è molto più di questo, ho visto questo film non troppo tempo fa quindi credo sia recente, ma non esiste traccia sul web. In pratica ricordo tutta la trama, un ragazzo prende lezioni private di scrittura poetica (credo) da un professore, successivamente questo ragazzo scompare, inizialmente fanno credere che il professore sia il colpevole, viene indagato (credo fosse anche gay,…
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retegenova · 6 years
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Il NiNiN Festival per gli adulti
Una grande kermesse a misura di bambini e ragazzi  ma anche utile strumento per gli adulti
Festival ecologico, ludico e culturale ber bambini e ragazzi, ma anche formativo per genitori, insegnanti ed educatori con momenti di incontro per tutti gli operatori del settore dell’infanzia e dell’adolescenza
VI edizione – Tema “La Libertà” 6, 7 e 8 luglio 2018a Bogliasco (GE)
Dal 6 luglio 2018 prende il via la VI edizione del NiNiN Festival di Bogliasco ludico, culturale e formativo ber bambini e ragazzi, con tema principale la “Libertà” analizzato attraverso laboratori, musica, spettacoli di teatro e danza, giochi, incontri ed attività per bambini.   Ma il NiNiN Festival è un appuntamento di grande interesse e di formazione per gli adulti – genitori, insegnanti ed educatori – a cui è dedicato una vasta parte del programma, che comprende tavole rotonde, presentazioni di libri e di progetti educativi.
Tutti gli eventi e le attività sono gratuiti/e |   www.nininfestival.com Parcheggio gratis presso i campi sportivi con servizio navetta gratuito
  È risaputo, Quello del genitore è il mestiere più difficile del mondo. Ma anche insegnare ed educare non sono impegni semplici da assolvere, tutt’altro. Se poi si pensa a quanto i cosiddetti “tempi moderni” siano capaci a volte di creare fratture generazionali importanti, è evidente che questa considerazione e tutt’altro che banale.Un aiuto a comprendere alcune dinamiche e dipanare qualche dubbio sul rapporto tra giovani ed adulti lo si può avere dal confronto ed il dialogo.
In questa ottica un appuntamento importante in Liguria è rappresentato dalla VI edizione del NiNiNfestival, in programma dal 6 all’ 8 luglio 2018 a Bogliasco con tema portante “LA LIBERTA’” che attraversa tutto il programma declinato nelle forme più diverse: libertà di parlare, di pensare, di esprimersi, di muoversi, di decidere, di agire…Il bellissimo borgo ligure che si trasformerà nuovamente in un mondo a misura di bambini e ragazzi grazie alla direzione artistica di Mariagrazia Bisio, organizzato attraverso la Pro Loco di Bogliasco e sostenuto dal Comune di Bogliasco con concorsi, tantissimi laboratori, musica, spettacoli di teatro e danza e giochi per bambini ma anche la Fiera dei Servizi al Bambino, la Fiera della Maternità, tavole rotonde, presentazioni di libri e di progetti educativi per genitori, insegnanti ed educatori, tutto a fruizione gratuita.
  Venerdì 6 luglio La mattina del primo giorno sarà dedicata all’apertura del Festival con la presentazione del programma della manifestazione alla presenza delle istituzioni. Da non perdere alle ore 10.00 la tavola rotonda dal titolo “Liberi di leggere” che si propone di orientare gli adulti tra le letture più adatte ai piccoli e sarà moderata da Valeria D’Agata, direttrice della “Biblioteca Italo Calvino” di Sori, coj la partecipazione, tra gli altri Cristina Accolla (Il progetto Arianna), Adele Caprio (Scuolagire) e Lara Caputo (“Storie da non raccontare”, scrittura visiva). Tra le ore 16.00 e le ore 18.00 presso il negozio L’Amaca ci sarà la presentazione del servizio Mamaca: condivisione, libero confronto, attività creative per mamme e future mamme, a cura della educatrice e consulente baby-wearing Giulia Bohrer, con l’ostetrica Teresa Lin Simonazzi e l’animatrice Lucia Razeto.
  Sabato 7 luglio La giornata di sabato sarà come sempre ricca di appuntamenti con i tantissimi laboratori, quasi tutti per bambini e ragazzi, tra i quali anche “Pilates mamma e figlio”, tenuto da Alessia Fontana dell’Atelier della danza. la tavola rotonda dal titolo “Liberi di apprendere”, che si propone di analizzare il tema della libertà a scuola. L’appuntamento sarà moderato da Valeria D’Agata, direttrice della “Biblioteca Italo Calvino” di Sori, e vi parteciperanno tra gli altri Cristina Accolla (Il progetto Arianna), Adele Caprio (Scuolagire), Lara Caputo (“Storie da non raccontare”, scrittura visiva). Dalle 11.00 in poi “Questo bimbo a chi lo do”, ovvero un seminario di sopravvivenza durante il primo anno e oltre tenuto da Elena Menichini, doula e musicoterapeuta presso il negozio L’Amaca in via Mazzini 103. Alle 16.00 presso la sala Bozzo sarà la volta della proiezione del film “Figli della libertà” (2017) di Anna Pollio e Lucio Basadonne (www.storielibere.it) con seguente dibattito con i registi. Il film racconta la storia di Anna e Lucio, due genitori che hanno deciso di fare una scelta per l’educazione della loro figlia Gaia: lasciare la scuola e tentare un approccio più familiare, che rispetti i tempi e gli interessi del bambino. Gaia arriva a frequentare un progetto di pedagogia libertaria dove viene riconosciuto ai bambini la capacità di decidere come, quando, che cosa e con chi imparare. Niente voti, niente compiti, niente banchi. Ma se a livello teorico è tutto perfetto, nella pratica i dubbi cominciano ad arrivare. Si riesce davvero ad imparare fuori dagli schemi scolastici? Dalle ore 15:00 ci sarà una bgrande novità di questa VI edizione: la “Fiera della Maternità” a cura dell’associazione We Love Moms con tanti servizi e informazioni per la maternità. Si alterneranno eventi, performance, presentazioni di diverse attività con l’interazione di professionisti tra cui pediatri, ostetriche, doule, consulenti dell’allattamento, osteopati, ginecologi, counsellor, psicologi, consulenti del portare, consulenti del lavoro e molte altre figure di supporto alle future e neo mamme. E ci sarà anche lo Speed Moms! Sulla falsa riga degli appuntamenti mordi e fuggi per single, ci sarà la possibilità di incontrate tantissimi professionisti dell’area materno-infantile.
  Domenica 8 luglio Ricco di appuntamenti anche il terzo ed ultimo giorni di Festival, a cominciare dal laboratorio dal titolo “Se il mostro mangiasse…?”, progetto “AlimentiAmo il futuro” (educazione alla corretta alimentazione per bambini) in collaborazione con la Facoltà di Architettura di Genova, per poi passare alla tavola rotonda dal titolo ”Liberi di crescere. Dire, fare, mangiare, vaccini e verità”, un confronto su nutrizione e vaccini moderato da Valeria D’Agata, direttrice della “Biblioteca Italo Calvino” di Sori, con la partecipazione del dottor Dario Miedico e del dottor Lucio Piermarini. Nel pomeriggio invece, spazio alla tavola rotonda dal titolo “Libertà di accudimento dalla nascita all’adolescenza”, moderata ancora da Valeria D’Agata. Infine, dalle ore 19.00 “Libera-mente”, aperitivo/tavola rotonda senza stereotipi sul tema dei condizionamenti mentali e i pregiudizi che decidono per noi. Al termine, il ristorante Just Peruzzi offrirà un gustoso buffet.
  I LABORATORI PER BAMBINI E RAGAZZI
Sono circa 90 i laboratori artistici, creativi e didattici rivolti a bambini e ragazzi suddivisi nella tre giorni di Festival. I laboratori sono condotti da operatori specializzati e durante il loro svolgimento i genitori e/o gli accompagnatori dei piccoli potranno curiosare oppure visitare tranquillamente il paese o farsi un tuffo in mare per rinfrescarsi. I laboratori del NiNiN Festival rappresentano un esempio di apprendimento ludico che stimola la socializzazione, la concentrazione, la responsabilità e la fiducia verso se’ e gli altri. Alcuni laboratori sono basati su animazioni con letture di storie e giochi sulla spiaggia. Appuntamenti fissi per tutti i tre giorni del festival saranno laboratori di sport in mare come vela, sup e kajak, senza dimenticare la possibilità di provare a nuotare con le bombole ed il casco da palombaro nella “Vasca in Piazza” allestita nella centrale Piazza XXVI Aprile. Tra le tantissime proposte ci sarà per esempio l’eco pinneggiata in mare con attività di snorkeling alla ricerca della plastica abbandonata con conseguente laboratorio che prevede l’uso delle stampanti in 3D, un evento a cura della Scuola di Robotica che unisce il contatto con la natura e il rispetto per l’ambiente all’uso consapevole della tecnologia. Per partecipare ai laboratori è necessario prenotare ai numeri di telefono o alle email indicate nel programma scaricabile da www.nininfestival.com Come nelle precedenti edizioni, tutte le attività saranno fruibili gratuitamente, così come il parcheggio e la merenda bio e gluten free offerta a tutti i bambini presenti!
GLI SPETTACOLI Per ciò che riguarda gli SPETTACOLI, il festival propone teatro, narrazione, cinema, performance, installazioni, danza e la musica come principale protagonista; musica che unisce, portatrice di valori e che libera i sentimenti, per sentire grandi emozioni e riconoscere anche negli altri ciò che si prova… Le OPEN NIGHTS di venerdì e sabato saranno particolarmente ricche di proposte con street food, spettacoli, concerti, performance, pedane da skateboard, pareti per arrampicare ed esibizioni che si concentreranno nella piazza principale del paese dalle ore 18:30 in poi. La prima, venerdì 6 giugno, sarà un vero e proprio inno alla libertà espressa attraverso il linguaggio dell’arte contemporanea, nel quale musica e danza si fondono dando al pubblico presente la possibilità di interagire sperimentandosi attraverso lo spettacolo “Pallaprigioniera”, un viaggio che accompagna grandi e piccini in una riflessione poetica sulla libertà attraverso il movimento. La seconda, sabato 7, ospiterà lo spettacolo “Rosaspina” della Compagnia del Piccione, una fiaba delicata e forte che ci racconta di crescita e autonomia attraverso la magia del teatro.
  LO STREET FOOD Dopo il successo della scorsa edizione, confermata la presenza dello spazio dedicato allo STREET FOOD, che stuzzicherà gli appetiti dei visitatori con trofie, trenette, frittelle dolci e salate, acciughe fritte ed anche le specialità gluten free.
SERVIZI E INFOPOINT Solo venerdì: 10.00-12.00 Servizio “Riposamamma” presso l’Amaca in via Mazzini 103. Solo sabato: 10.30 -18.30 “101 Gite in Liguria”. Infopoint in piazza XXVI Aprile. Solo domenica: 10.30-12.30 e 14.30-17.30 Presso lo stand di “Società Nazionale di Salvamento” e “Rotary Club Golfo Paradiso”, informazioni sul “Progetto Piccolo Bagnino” e prenotazioni per il corso futuro.
TUTTI I GIORNI VASCA IN PIAZZA: immersioni con le bombole e casco aperto da palombaro per bambini dai 3 anni. A cura di C.A.S. (Centro attività subacquee) Il Paguro. Prenotazione in loco. Dalle 16.00 in poi “Merenda in libertà”. Tutti i giorni, in piazza XXVI aprile, merenda biologica e glutenfree GRATIS per tutti offerta dalla Farmacia Corsanego di Bogliasco. Dalle 10.00 alle 18.30 Lo sportello dell’ostetrica: presso “L’Amaca” (via Mazzini 103), l’ostetrica Teresa Lin Simonazzi, presente nei momenti di attività del centro per tutta la durata del Nininfestival, è disponibile a incontrare le mamme e a rispondere alle loro domande. Servizio prestito fasce e zainetti portabimbi presso Punto Informazioni in via Mazzini 24 (di fronte alla Biblioteca “Casetta Burchi”). Parcheggio GRATIS presso i campi sportivi di località Poggio con servizio navetta gratuito
  Ufficio Stampa Lp Press Luigi Piga
  Cooperativa Battelieri del Porto di Genova
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