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#secondo me fatto di proposito
buscandoelparaiso · 5 months
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la differenza di caratterizzazione della ship etero rayan-viola vs .....quell'altra roba
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theladyorlando · 24 days
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Il gioco del silenzio
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La solitudine è una roba brutta. Me lo hai detto l'altro giorno, e tu hai due figli, un bel compagno e pure un cane che non è decisamente di taglia piccola: quindi non sembri molto sola. Eppure non c'è niente da fare: siamo tutti soli, e la solitudine è una roba brutta, hai ragione. Brutta proprio. Mentre me lo scrivevi su un messaggio, io mi aprivo una bottiglia di vino bianco, da bere a pranzo, da sola. La mia fiaschetta, mi sono detta, non è questa però: io per sentirmi meno sola in realtà non bevo ma compro libri. Loro sono la mia fiaschetta. Innanzitutto perché comprare -convieni con me?- dà sempre un certo senso di sollievo, di finalità, di proposito: un certo senso, insomma. Una borsa, una maglietta, un paio di orecchini, un reggiseno: se hai voglia di comprarmi, vuol dire che sei vivo, no? Eppure tra tutti gli articoli di consumo il libro non sembrerebbe un simulacro di vita, piuttosto un oggetto che di vita è fatto, c'è qualcuno lì dentro: un libro nuovo è una promessa di compagnia. E invece a volte penso che anche il libro sia un oggetto di solitudine. Forse il peggiore in assoluto. Ci cammini dentro e te lo godi, ti assapori le voci, la compagnia, ma cosa succede quando la fiaschetta piange? Cosa succede quando finisce un libro? Le poesie, quelle sembrano forse rivolerti indietro se te proprio non sai più come fare senza di loro. Ma la prosa? Un romanzo?
C'è questo libro di Patrizia Cavalli, una raccolta di saggi e di racconti, l'unica che lei abbia scritto in prosa: tu lo sai che quella è una bottiglia pregiatissima, la assapori con questa straordinaria consapevolezza, e ti inebria più di una qualsiasi raccolta di poesie perché -tu lo sai- la sua struttura, la sua complessità, il suo bouquet, sono unici, sono irripetibili, sono, in effetti, irripetuti. E allora, legittimamente, ti ci ubriachi, ci perdi la testa. Ma che succede quando finisci l'unico libro in prosa di Patrizia Cavalli? Che succede quando la fiaschetta piange? A quel punto arrivano i postumi e ti senti come un fucile sparato. Qualcuno lo ha detto, una volta, un fucile sparato: scarico, pieno soltanto di fumo, inutile. Io esco proprio così dal libro, come da una sbornia, e tocco con le mani il fondo della mia fiaschetta, di quell'oggetto di solitudine, tocco la copertina chiusa sopra la sua ultima pagina, la prova inconfutabile che il mio tempo con Patrizia Cavalli è scolato, la sua compagnia, la sua voce è ostinatamente chiusa dentro la sovraccoperta lucida della mia edizione Einaudi. E questa è una roba davvero brutta, questa è la solitudine. Questo è esattamente il momento in cui io voglio buttare via tutti gli autori e tutti i libri, perché loro mi fanno sentire come uno stupido fucile sparato.
Il piano allora è quello di allontanare ogni fiaschetta e riabilitarmi: il piano è quello di vivere da astemia e non bere mai più. Il problema è che non l'ho mai capito fino in fondo, quando uno ti dice "non bevo, sono astemio": è una condizione o un'elezione? Io nel dubbio è da un po' di tempo che lo chiamo il gioco del silenzio: andare per le cose della vita giocando a non sentire, a non vedere, a non saper leggere, a non aver mai letto: a non aver mai bevuto. Allora vado in giro così, riabilitandomi, e ad ogni passo che faccio mi sento più intera, meno alcolista, più radicata nella vita vera, quella degli obiettivi concreti, delle spese da fare, dei referti da ritirare, delle assenze da giustificare, delle bollette da pagare, dei caffè da offrire. Poi a un certo punto, quando meno me lo aspetto, quanto più intera mi sento, arriva come una coltellata alle spalle, come un assalto, un'imboscata. Salgo le scale di casa e mi fermo un secondo a guardare di sotto, il quartiere che all'imbrunire cambia faccia, gli alberi che da quassù sembrano altri alberi, e allora succede che lo sento:
"Camminavo nella gioia del presente quando, svoltando un angolo o attraversando una strada, un odore mi colpiva con violenza e quasi mi atterrava. Era l'odore dell'aria. Poteva essere un qualsiasi odore, un profumo e persino una puzza: era semplicemente l'odore della città. D'improvviso le mie gambe si facevano molli e dopo qualche passo prodotto dalla forza d'inerzia mi fermavo del tutto e poi tornavo indietro per cogliere di nuovo quell'odore, come qualcuno che abbia intravisto una persona conosciuta torna indietro per guardare meglio. Risentivo quell'odore, e allora il mio corpo sbandava ed ero costretta ad appoggiarmi a un palo o a un muro, e cosí restavo appoggiata contro quel palo o quel muro senza piú poter muovere un muscolo, se non quelli delle narici che aspiravano quell'odore come fosse diventato l'unico tramite della coscienza."
Cos'è questa cosa che mi sta succedendo? È una ricaduta o è un'epifania? Questa qui, signori miei, è Patrizia Cavalli in cima alle scale di casa mia. L'ho sentita, e proprio lì sopra si è rotto il gioco. Lì in cima ho sentito voglia di ridere e piangere insieme -questo il sintomo del vero, per me- perché è vero, è semplicemente vero, io lo so, anche se gioco ad essere astemia: che i poeti hanno ragione, conoscono il vero. L'unica verità perfetta che conosco io è quella che apprendo da loro, dai poeti, e quando la incontro la riconosco subito, proprio perché mi fa ridere e piangere allo stesso tempo, questo il sintomo: rido perché finalmente riconosco la benedizione dei miei più ridicoli e inconfessabili sentimenti -qualcuno li ha già provati esattamente così- li vedo finalmente legittimati dal loro esistere prima di me, fuori da me, accanto a me: qui con me c'è Patrizia Cavalli, in cima alle scale di casa mia, e con lei io ho sentito l'odore dell'aria. Allora non sono sola. E piango perché quell'odore non è per niente una buona notizia: mi colpisce con violenza e quasi mi atterra, e il mio corpo sbanda ed è infine costretto ad appoggiarsi alla ringhiera per non crollare. Un'immagine su tutte, quella con cui si chiude il documentario: Patrizia Cavalli che -ancora- cammina come può per le strade della sua adorata città. Così sento che il mio corpo è colpito dalla precisione della sua parola, più fedele di un'immagine diagnostica, più puntuale del dettaglio di una bolletta o di uno scontrino:
"Cosí restavo appoggiata contro quel palo o quel muro senza piú poter muovere un muscolo, se non quelli delle narici che aspiravano quell'odore come fosse diventato l'unico tramite della coscienza. Quella felice e compatta certezza del presente che fino a poco prima spingeva i miei passi, quella leggerezza ariosa che andava incontro al mondo per festeggiarlo, la musica, le parole, tutto si spegneva e al suo posto c'era una fissità attonita, uno stupore doloroso. I miei sensi, tutti aperti e ingenui, si erano consegnati all'apparenza, e nel loro incauto aprirsi, avendo dimenticato ogni difesa e ogni organizzazione, avevano sguarnito una certa zona remota del cervello che da quell'odore veniva penetrata senza censure, mediazioni o filtri. Era la zona della memoria e del tempo, era il sancta sanctorum del dolore. E l'olfatto ne era l'officiante. Qui in una contemporaneità impossibile convergono le lontananze dello spazio e del tempo, creando mostruosi intrecci; qui si mischiano insieme il passato remoto e l'altro ieri, Asie mai viste e il cortile di casa. E mentre le memorie reali e frantumate si accoppiano confondendosi a vicenda, un'altra memoria, precedente alla nostra storia viene in questa baraonda spinta a entrare in gioco e ci rovescia addosso tutto il repertorio della specie. Quel che è che non è piú si disputano il campo vantando uguali diritti e altrettanto accade per quello che forse mai sarà. Una volta che la mischia è cominciata, senza piú gerarchie, la ragione, se è ragionevole, non dovrebbe neanche tentare d'intervenire, dovrebbe soltanto lasciare che si consumi il delirio, come quando nelle droghe o nell'ubriachezza, sapendo che il loro effetto avrà termine, lo si lascia a se stesso libero di manifestarsi."
I poeti conoscono il vero e lo sanno dire.
Cardarelli che prende la rincorsa per coprire l'amore di fiori e di insulti:
"Oggi che ti aspettavo non sei venuta.
E la tua assenza so quel che mi dice.
Dice che non vuoi amarmi."
Vero.
William Carlos Williams, il medico, che prima di raccontare onestamente di carriole in giardino e di prugne rubate alla moglie dal frigo, referta così l'amore:
"Dai tuoi occhi, da tutto ciò che dici, aggrovigliato come un uccello che canta su un albero verde, sei entrato e ti sei diffuso dentro di me tutto, così che io possa ancora far tesoro della mia vita, desiderare che non si allontani mai da me poiché essa non è mia ma tua,
da tenere al caldo, al sicuro,
dentro di me, per sempre."
Vero.
Pavese -il fucile sparato- che si dichiara oggetto da reclamare al suo ultimo amore:
"Non posso darti gioielli - ne meriti molti - ma in tempi antichi si diceva che il gioiello piú raro è un cuore sincero. Credilo. Sono tuo."
Vero. Fa ridere per quanto è vero -sono tuo- e fa piangere perché Pavese si è tolto la vita solo qualche mese dopo questa lettera, tanto era solo, tanto era da reclamare, tanto era vero.
Stavamo tornando insieme a casa, qualche mese fa con i cartoni della pizza in mano. Forse era una sera di gennaio, e mentre camminavamo che era già completamente buio io l'ho sentito: nell'aria fredda, quell'aria dell'inverno che sembra quasi anestetizzata ai profumi, che mi fa sentire così al sicuro e ovattata per tanti versi, io l'ho sentito. E non c'è riparo, bisogna riscoprirlo ad ogni nuovo anno, perché esiste un momento preciso, una sera tra tutte le sere in cui quell'aria fredda e sterile per la prima volta si lascia attraversare, si arrende come ritualmente al primo profumo di fiore. Un appuntamento - il sancta sanctorum del dolore: quella era una mimosa, l'ho sentita. È così che fanno loro, ormai l'ho imparato: ti danno un ceffone quando non guardi e poi si lasciano volere, si lasciano cercare. Quell'odore sono tutte le mimose -quelle vicine, quelle lontane, quelle che non ci sono più, quelle che non ci sono ancora: insieme in una contemporaneità impossibile, convergono dalle lontananze dello spazio e del tempo, creano mostruosi e meravigliosi intrecci e poi ti colpiscono e ti urlano: tu non sei astemia - Svegliati!
Sai che gusto sentirlo mentre cammino vicino a te, con i cartoni della pizza in mano? Io e te che ancora non sappiamo nemmeno che Patrizia Cavalli ha scritto un libro di prosa e che dentro ci ha sentito un odore, proprio il nostro, proprio allora siamo insieme, e non siamo sole. E questo mi fa sentire, finalmente, mi fa sentire ancora una volta ubriaca e felice.
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yomersapiens · 2 years
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L'inesistente carriera di Viktor Gnoìnar
Ero al supermercato per animali, quello dove compri tutto ciò che concerne la sopravvivenza in casa del tuo felino da esterni. La scelta è immensa. Troppe scatolette e bustine diverse. Troppi colori, carni, illustrazioni. Cosa gli piacerà? E se questo lo fa vomitare? E se con questo ingrassa? Ah, che bello questo prodotto, si chiama Happy Cat, io voglio che il mio gatto sia felice, però aspetta, il gatto in fotografia mica mi sembra tanto felice, meglio non fidarsi. Ho passato un’ora così. Quando si tratta di scegliere qualcosa da mangiare per me lo faccio in un secondo ma no, per il gatto valuto ogni possibile variante e conseguenza.
Qualche tempo fa ero in Italia, nella mia vecchia cittadella. Una cosa che faccio sempre quando torno è aprire la nota app per appuntamenti e vedere chi è single adesso in città. Ah guarda, lei è alla ricerca, di nuovo, si era sposata con quello e boh, deve essere finita. Però sta bene. Oh lei me la ricordo, non ero figo abbastanza per te 20 anni fa e adesso? Chi ride adesso? Non io sicuramente, dato che sono a sparare acido su una app per appuntamenti. Faccio un censimento del passato. Guardo cosa mi sono perso, che futuri ho evitato. Poi è successa una cosa strana, capita un match con una ragazza. Quando una rarità del genere accade io penso solo a una cosa: ci deve essere stato un errore, sicuramente è un bot. Così non scrivo. Invece mi scrive lei. “Ma tu sei quello dei Diari dell’orso! Ti ascolto sempre!” e io non sapevo come rispondere. Mi sono sentito un po’ in imbarazzo. Nel senso, se ascolti il mio podcast sai praticamente tutto di me (o almeno di quello che decido di spettacolarizzare e condividere). Quindi parto con un immenso svantaggio. Ma sono fatto così: datemi un lampo di celebrità e io mi prostituirò. Mi lascio andare e si esce a bere una cosa. Ho pensato perché no, al massimo ci guadagno una storia nuova per il podcast. Dopo un po’ che ci raccontiamo dice “Ma sai che quando parli mi sembra proprio di sentire il tuo podcast!” eh grazie al cazzo zia, è la mia voce, non è che ho la vocetta da paperino che poi modifico con un software. Mi scappa uno sbadiglio (non per colpa sua, perché sono un anziano che la sera non dovrebbe uscire a bere dei drink) “No vabbè ma sbadigli proprio come nella sigla!” e li ho capito che deve essere durissima per una celebrità vera, non uno sfigato con un podcast che avrà manco un centinaio di ascoltatori, uscire con qualcuno. Ovviamente non è successo nulla, non c’era tempo e non mi piace seminare nel terreno che ho abbandonato di proposito, però alla fine era pure simpatica, sicuramente meritevole di finire in un racconto.
Sto cercando di andare avanti da quest’estate, di dimenticare cosa è accaduto. Non voglio buttarlo giù per iscritto perché poi diventa vero e io odio quando le mie paure diventano reali perché poi devo affrontarle. Quando i sospetti si materializzano e i “lo sapevo” vanno spuntati perché avevo ragione. La mia ex e il mio migliore amico. Penso stiano assieme. Non lo so di preciso, non appena è venuto lui a parlarmi di quello che stava per accadere io ho scelto di non voler ricevere nessun tipo di informazione ulteriore. Lo sentivo nell’aria però.
C’è questa idea che tutti hanno di me e vi farà ridere, ma fuori di qui sono percepito come una persona aperta, riflessiva ma divertente, leggera ma profonda, intelligente e cinica. Tutti pensano “Ma sì, Matteo capirà, a lui non da fastidio niente, è così rilassato” e quindi vengo spesso inondato di responsabilità o informazioni che non mi merito. Come appunto, il mio migliore amico che viene a dirmi “Ma sì, tanto tu sei uno in gamba, sicuro capisci, sicuro non ti da fastidio, poi sono passati anni, che vuoi che sia per te che sei così aperto e cool e rilassato”. Invece manco per il cazzo. Questa parvenza di stabilità che dimostro è il frutto di notti insonni passate a studiare cosa dire per non far trasparire quello che provo sul serio. La matassa informe di insicurezze che mi compone nonostante l’età. Non sono geloso, non me ne frega un cazzo sinceramente. Qualche anno fa dopo aver scopato nuovamente (per quella stupida cosa che si fa tra ex, una specie di aggiornamento per vedere cosa si è imparato in anni di distanza) avevo capito che non c’era nulla a legarci, se non appunto un po’ di curiosità. Avevo ascoltato tutte le volte in cui mi parlava dei suoi nuovi ragazzi, di come stava bene in tutte le nuove relazioni e lo avevo fatto con rispetto e neutralità, direi quasi con amicizia. Anche con lui, avevo ascoltato sempre, sostenuto in tutto e per tutto anche quando non condividevo per niente, ma questo si fa con gli amici no? Si ascolta, si supporta, si sfotte quando possibile.
Ci ho ragionato molto. Perché mi da fastidio? Perché prima ero amico di tutti e due e adesso non voglio sapere più niente? Purtroppo non ho una risposta. Il cambio di equilibrio mi ha spiazzato. Non voglio sapere le loro storie, sentire i racconti di lei (questa volta con lui come protagonista), o guardare le foto dal mare, magari uscire e sentire lui che si lamenta di atteggiamenti che io ho provato sulla mia pelle in anni di relazione passata.
Vorrei essere la persona che gli altri si aspettano io sia. Quella cool e intelligente e rilassata ma non lo sono. Sono un cazzo di adulto che sta in piedi per puro caso e vuole essere lasciato in pace dato che tutto mina la mia stabilità. Voglio le mie certezze. Quelle stupide che dicono che le ex dei tuoi amici non le devi guardare perché sono brandelli di un passato che non ti riguarda. Perché ci deve essere qualcosa di minimamente sacro ancora. Cioè dai, uno che pensa queste cose è completamente non cool. Io non ci credo quando mi vengono a dire “Eh che ci vuoi fare, ci siamo innamorati, mica le controlli certe cose, è successo!” ma andate a fanculo. Innamorarsi non succede. Certo, si può prendere una sbandata, ma innamorarsi è l’attuazione di un processo dopo attenta valutazione del tutto. Se si decide di andare avanti nonostante le conseguenze, allora è una scelta e io posso voler non essere coinvolto nelle scelte altrui.
Ho razionalizzato e deciso di andare avanti, tanto non vivo più nella mia vecchia città e qualunque cosa accada laggiù non mi riguarda. Perché devo restarci male? Beh perché ho perso due amici in una botta sola ma vabbè, ho un gatto adesso su cui riversare quasi tutte le mie frustrazioni. Infatti, non appena varcato il confine e tornato a Vienna, tutto il dolore era sparito. La distanza davvero aiuta. Si può guarire da quasi ogni male usando i chilometri e diluendo tutto con litri di tempo. La delusione resta e forse è per questo che voglio comprare cibo sempre miglior per il mio gatto, perché lui non mi tradirà mai (finché mangerà bene).
Mi sa che ho raccontato questa storia alla tipa del presunto appuntamento. Poi uno si domanda come mai non scopo.
Passeggiavo con mio nipote e lui è entrato in quella fase dove ripete tutto. Era bel tempo ed eravamo nel parco vicino casa. Lui mi chiede sempre di dare un nome alle cose. Vuole sapere come si chiama tutto e poi lo ripete, per allenarsi e per accumulare termini nel vocabolario. - Qvuetto? (che vuol dire “E come si chiama questo” nella sua lingua) - Questi sono i binari. I binari del tram. Qua passa il tram. Questi sono i binari. Sai dire binari? - Bi-na-i - Dai, quasi - E qvuetto? - Ecco questa è una panchina. Ci si siede quando si è stanchi. Sai dire panchina? - Pa-ì-na - Ma sei bravissimo!!! (Mento sempre a mio nipote dato che ancora non se ne accorge) Io sono contrario al cat-calling. Mi da fastidio tirare fuori del becero machismo per strada. Però faceva davvero caldo quel giorno e io vivo in un’altra nazione, 90% delle persone non capisce quello che dico quando parlo in italiano e io parlo spesso da solo nella mia lingua madre. Passa una ragazza davvero bella e scollata e io non urlo niente, perché cerco di fare meno schifo possibile, però nel mio piccolo mi scappa un commento. - Che bocce signorina - Qe bo-sce gno-i-na! - No!!! Vito!!! Non ripetere questo!!! - Qe bo-sce!!!! - Ti prego no!!! Smettila!!! - Boooo-sce!!!
Ho imparato che se un bimbo di poco più di due anni capisce che è sbagliato ripetere una parola, deciderà di ripeterla il più possibile solo per darti fastidio e ridere come un dannato. Per fortuna non ci ha sentiti nessuno e dopo qualche minuto si era dimenticato ed eravamo passati a nuove parole molto più eccitanti tipo altalena, cagnolino, camper, anticapitalismo.
Riporto mio nipote a casa sua e lo consegno a mio fratello. Dopo qualche giorno mi chiama: - Senti Matteo, ma tu sai perché Vito continua a ripetere “che bocce”? - Ah! Che strano! Forse ehm, si ricorda di quando siamo passati a vedere gli anziani giocare a bocce, ecco, sì! - Ma dove? Qua a Vienna nel nostro distretto nessuno gioca a bocce. - Eh no in tv! Anzi no, sul telefono, sai, gli facevo guardare qualche video per intrattenerlo… - Video di bocce? Tu guardi video di bocce? - Sì certo! Da lontano sento la vocina di Vito urlare: - Qe bo-sce gno-i-na!!! - Eh sì, sta proprio citando il grande giocatore di bocce Viktor Gnoìnar, Campione Nazionale 2022, dovresti vedere che giocate che fa!
Mio fratello mi saluta. Ovviamente non mi crede. Io vivo con la consapevolezza di aver rovinato mio nipote.
Ora mi resta solo il gatto. Con lui non posso sbagliare. Gli insegnerò ad essere rispettoso e a non provarci con le ex fidanzate. Anche se è una partita persa. Già adesso se qualcuna si invita da me è solo per passare del tempo con Ernesto. Vabbè, ho avuto le mie annate buone. Mi resta sempre il podcast e il piangermi addosso. Minchia se sono bravo in quello. Direi quasi che potrei essere chiamato il "Viktor Gnoìnar del piangersi addosso".
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gcorvetti · 5 months
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Ricaduta.
Nel fine settimana e visto che era il suo compleanno mio figlio è venuto a casa, non sta ancora bene e lunedì l'hanno mandato definitivamente a casa per curarsi, gli hanno riscontrato un'infiammazione ai polmoni, ora geniacci dell'esercito estone pensate che mandare un ragazzo di 19 anni con la febbre a 38 e qualcosa nella foresta a fare esercitazione anche notturna sia una bella idea, siete degli idioti. Fatto sta che sono ricaduto in quella influenza anche se in maniera decisamente più lieve, mentre la mia compagna è ko, un lazaretto va. Passerà come tutte le malattie, abbiamo anche preso il covid per dirvi e siamo ancora qua, l'erba cattiva non muore mai. Cambiando discorso, in questi giorni mi sono dilettato a provare degli effetti virtuali, plugin per DAW per chi mastica tecnicismi, e devo dire che non sono male, anche combinati agli effetti della pedaliera ottengo risultati incredibili e a tale proposito mi è venuto in mente di farci qualcosa, come sempre niente di eclatante ma con un occhio al futuro, certo portare dal vivo il pc, l'interfaccia audio e volendo il mixer non è proprio il massimo, però si può sempre fare. Dico questo perché essendo molto old style preferirei dare una visione analogica al pubblico, ma alla fine chi se ne frega è il risultato che conta, nel frattempo se mi viene qualcosa di masticabile ve lo faccio sentire.
Non parlo dei fatti di cronaca e di quello che è la mala informazione eccessiva e i commenti di politici che sarebbe meglio andassero a zappare la terra, mi astengo per carità ho già le mie gatte da pelare, ma come detto in passato è il modus societario che è sbagliato a monte, guardatevi intorno e vedrete solo un uso smodato del corpo femminile, la donna è un oggetto, dalle pubblicità ai film dove spesso viene trattata male e uccisa, ma quella è finzione mentre nel mondo reale le cose non sono diverse perché c'è quell'idea che la donna sia un oggetto da possedere e non una persona. Quella cosa del patriarcato mi sembra una stupidaggine, direi più che altro che la società è machista, maschilista, che è controproducente se ci pensate perché abbiamo bisogno di tutti per fare andare avanti questo carrozzone sgangherato che chiamiamo società occidentale moderna, na merda va. Si avevo detto che non scrivevo nulla, infatti ho ribadito quello che scrivo spesso e non solo in occasioni di omicidio, anche la parola femminicidio è orribile è maschilista femmina è un dispregiativo secondo me, anche se siamo animali non siamo a quel livello, spero. Concludo col dire che in Italia le cose accadono e chi dovrebbe pagare, l'omicida, spesso non sta in galera tutto il tempo che gli è stato assegnato, che in realtà dovrebbe essere a vita vista la gravità dell'atto.
Vi lascio con l'ascolto
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nusta · 1 year
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Questa sera sono andata di nuovo a fare un'esplorazione in libreria per cercare regali. Mi segno il link all'altro post che avevo fatto tempo fa per averlo comodo per le prossime occasioni. Questa volta stavo cercando qualcosa per un ragazzo di seconda media, un target relativamente inedito per me, anche perché mi ricordo cosa leggevo io, ma non ho abbastanza confidenza con lui da sapere se è roba che potrebbe apprezzare (e non so nemmeno se ci siano ancora in circolazione i miei titoli preferiti... ecco, ora che ci penso devo controllare se le raccolte di racconti della super junior mondadori siano ancora pubblicate e in che veste grafica, c'era serie di "storie di giovani ..." che mi piaceva un sacco e tipo quella degli alieni era a cura di Asimov e un paio di storie mi fanno ancora emozionare se ci penso *_*)
Intanto stasera volevo sfogliare un libro di cui avevo sentito parlare per mio papà e con l'occasione ho fatto una prima raccolta di titoli interessanti, poi vedremo.
Ho trovato questo "Noi inarrestabili" di Yuval Noah Harari che è una strana versione della storia dell'umanità e delle sue interazioni col mondo, con un filo conduttore del tipo qual è il nostro superpotere, ha anche delle belle illustrazioni ed è fitto di testo ma mi pare molto scorrevole e vorrei leggerne qualche altra pagina per capire meglio il taglio. Quello di Michela Murgia l'avevo già visto e mi era piaciuto, mi sa che lo volevo regalare anche a una mia amica e non ricordo se poi l'ho fatto per davvero, ma prima o poi lo prenderò sicuramente. Di libri come Lost in translation invece ne ho già regalati e ne ho pure io e mi piacciono un sacco, e sarebbe forse anche particolarmente adatto, considerato che il destinatario ha già vissuto in tre paesi con tre lingue diverse.
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Questi sulla lotta alla mafia e sulla vita di Gino Strada me li segno qui, ma sono troppo impegnativi per questa occasione, così come altri sulla Resistenza, i migranti e la storia delle battaglie sociali e del femminismo che per fortuna ormai riempiono scaffali interi. Mi piacerebbe un giorno essere nella condizione di regalarli, ma ancora non ci sono le premesse.
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Questi due romanzi me li sono salvati a promemoria degli autori: La figlia della luna di Margaret Mahy l'ho letto un sacco di volte (è uno degli ex Gaia Mondadori, una delle mie collane preferite da ragazzina) e vorrei vedere se ci sono altre opere della stessa autrice, invece quello di Gaiman non l'avevo mai sentito e vorrei provare a trovarlo in inglese, magari per l'anno prossimo.
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Per il mio giovane destinatario ho pensato anche alla serie di pseudo-diari di Keri Smith, che mi guardano sempre dallo scaffale e che non ho ancora avuto l'occasione di regalare a nessuno >_< anche se ogni Natale mi cade l'occhio perché sono bellissimi secondo me. Forse il più interessante per cominciare è anche il più comodo da portare, la versione pocket del diario da distruggere, però anche quello degli sbagli mi piace molto - così come quello del museo - insomma, ho letteralmente l'imbarazzo della scelta u_u
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Per le mie nipotine invece per una delle prossime volte mi sono segnata questi, che sono dei fumetti, dato che un vero e proprio fumetto loro l'hanno sperimentato poche volte e sarebbe anche ora di cominciare seriamente, dico io *_*
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A proposito di fumetti, personalmente ho lasciato un pezzo di cuore davanti ai ricettari di ramen e dumpling a fumetti, sono bellissimi *_* il ricettario ispirato a LOTR potrebbe essere interessante pure lui, ma non ho avuto tempo di sfogliarlo (e purtroppo credo non ci sia nessun fumetto >_<)
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E per finire, la Storia dell'editoria è il libro che ho preso per mio papà, ne avevo sentito parlare in un podcast e mi pare molto scorrevole e perfetto per lui. "Educare controvento" di Lorenzoni lo vorrei leggere io, così come quello di Munroe, che è una specie di esercizio mentale di quelli che mi tengono sveglia la notte ma nel senso buono, tipo le lunghe discussioni di approfondimento qui sul tumblr su roba assurda. Gli ultimi due li ho salvati proprio pensando chi qui sul tumblr è appassionato di flora e fauna come me (anzi anche di più, direi, a giudicare da alcuni post): il librone sui vermi è tutt'altro che breve, è un bel malloppo rosa fitto di informazioni, mentre il Bestiario selvatico stava nel reparto delle robe dei musicisti e della musica per via dell'autore, Massimo Zamboni, e ha delle belle illustrazioni realizzate da Stefano Schiaparelli raccolte tutte insieme alla fine.
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E insomma, più ne vedo e più ne vorrei e la scelta è davvero difficile! Mi sa che dovrò fare almeno un altro giro u_u
(Ma a chi la racconto, starò come minimo qualche altra dozzina di ore a girare tra gli scaffali XD)
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drheinreichvolmer · 5 months
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Capitolo 14
Era quasi l'una quando i due ragazzi fecero ritorno al castello, la serata era trascorsa in maniera molto piacevole e la giovane infermiera Edith non vedeva l’ora di raccontare quello che era successo allo zio. Come c'era da aspettarsi, il medico in quel momento era alle prese con le sue solite consulenze notturne. La nipote si era affacciò nello studio, scusandosi per l'eventuale disturbo. << Edith ciao, siete tornati vedo. >> disse il medico sorridendo. << Zio, hai un momento? So che sarai sicuramente molto impegnato. >> chiese l'infermiera timorosamente. << Edith quante volte te lo devo ripetere, per te non sono mai impegnato. >> replicò il medico togliendosi le sue cuffie rosa con le orecchiette da gatto. Uscì momentaneamente dalla piattaforma, intanto la nipote si tratteneva dal ridere, con quelle peculiari cuffie non lo si poteva proprio prendere sul serio. << Non posso ancora crederci che fai consulenza con queste cuffie. >> disse la ragazza ridacchiando. << Beh, le altre si sono rotte dopo anni di onorato servizio, e poi queste sono fantastiche…il migliore acquisto fatto questa settimana. >> replicò Heinreich. << Non ho ancora capito dove le hai comprate, sai? >> domandò Edith. << Le ho prese al Tiger di Zurigo quando ci sono andato l'altro giorno con Hans, dovevi vedere la sua faccia mentre le compravo. >> rispose il medico trattenendosi dal ridere. Ad un tratto il medico tornò nuovamente serio, aveva la sensazione che Edith doveva parlargli di qualcosa di importante. Ormai aveva imparato a riconoscere i segnali, ed era sicuro che quella fosse una di quelle volte in cui la ragazza aveva bisogno di confidarsi. << Dimmi la verità, c'è qualche problema? È successo qualcosa di spiacevole al pub? >> chiese insistentemente il barone. << No no, al pub è andata benone, è solo che sono un po' confusa su cosa dovrei fare adesso… >> rispose sospirando la ragazza, mostrandogli il profilo di Ingrid, gli spiegò che non era sicura se fosse o meno il caso di intraprendere una conversazione. Lo zio pensò per un attimo, e poi replicò: << Beh, secondo me è meglio vivere con una delusione che con un rimpianto, non potrai mai sapere cosa sarebbe stato meglio fare se non provi. >> << E se dovessi risultare inquietante ad andare a scrivergli così dal nulla..? >> domandò Edith timorosamente, avendo paura di lasciarle una brutta impressione. Purtroppo, quando si trattava di interagire con persone che non conosceva, non riusciva a fare a meno di farsi prendere dall’ansia. << Immagino che se Abigail ti ha dato il suo contatto, sicuramente questa Ingrid si immagina già l'arrivo di un tuo messaggio. >> cercò di rassicurarla Heinreich. << Ma se poi non mi rispondesse mai? >> incalzò la ragazza.
<< Sarebbe sicuramente lei a rimetterci a non conoscerti. >> disse il medico. Ad ogni preoccupazione di Edith, lui aveva la risposta perfetta; le sue parole erano finalmente riuscita a darle un briciolo in più di sicurezza, anche se non era ancora del tutto convinta. Dopo aver abbracciato lo zio e averlo ringraziato, la ragazza fece ritorno nella sua stanza per dormire. Hanna, nel mentre, si era nascosta per non farsi vedere dalla cugina, doveva continuare a osservare il padre, sicuramente avrebbe fatto qualcosa di sospettoso. Purtroppo, le sue convinzioni vennero smentite dai fatti, l'uomo riprese le sue consulenze su Seven Cups, fino a quando la stanchezza non ebbe la meglio su di lui. Lo vide recarsi a letto, era ormai palese che quella sera non sarebbe successo niente, decise quindi che sarebbe stato meglio anche per lei farsi una sana dormita. Tuttavia, quando si trovava a metà corridoio, un pensiero le fece cambiare idea in proposito. Quello era esattamente il momento giusto per dare una sbirciata nello studio del padre, in fondo doveva sicuramente esserci qualche indizio in più per capire meglio la situazione. Raggiunse quindi nuovamente lo studio; e iniziò a guardarsi attorno, per poi esaminare ogni angolo e cassetto possibile, cercando di essere il più silenziosa possibile. Si faceva luce con la solita torcia, accendere le luci avrebbe potuto catturare l'attenzione di qualcuno e farla scoprire. Non si era però accorta che Nuvolino l'aveva seguita, e ad un tratto quel pestifero gatto fece cadere la lampada presente sopra la scrivania. La ragazza maledì il micio nella sua testa per poi nascondersi in fretta sotto la scrivania. Fortunatamente era chiusa ai lati, quindi esternamente era impossibile accorgersi della presenza di Hanna. Come immaginava, poco dopo il padre giunse a controllare la situazione. L'uomo scattò immediatamente al rumore e controllò la stanza per cercare di capire cosa fosse successo. Notò poi la lampada a terra, e Nuvolino che usciva tranquillo dall'ufficio. Attribuita a lui la colpa di quel fracasso fece ritorno a letto, avrebbe pensato a mettere a posto il mattino dopo. C'era mancato davvero poco, pensò Hanna tirando un sospiro di sollievo, aveva rischiato grosso, ma fortunatamente era riuscita a non farsi beccare. Poteva quindi proseguire la sua indagine, non poteva arrendersi. Esaminò ogni cassetto dell'armadietto grigio dove suo padre teneva archiviati i documenti importanti e la contabilità della clinica. Ad un certo punto, ebbe la sensazione di aver finalmente trovato qualcosa; prese dal cassetto di mezzo un fascicolo giallo un po' consumato dal tempo. Sperava che quella fosse la svolta, e che finalmente dopo tanta ricerca ci fossero stati dei risultati. Aveva ragione, poiché al suo interno trovò del materiale estremamente importante: erano appunti degli studi che un tempo il barone aveva fatto per creare la sua miracolosa cura. Veniva qui spiegato ogni singolo passaggio necessario per la sua creazione, e in particolare come all'epoca avesse dato ordine al suo giardiniere di procurargli delle cavie per la sperimentazione. Hanna non ci
mise molto a realizzare che il giardiniere a cui si faceva riferimento era suo zio Hans, e che era proprio quella la sperimentazione che aveva aiutato a guarire l'infertilità di sua madre. Di fronte a queste prove schiaccianti, non poteva evitare di provare emozioni contrastanti. Da un lato era scioccata e disgustata da quell’operato immorale; d’altro canto, provava quasi un senso di riconoscenza per tutto l'impegno che aveva messo per metterla al mondo. Dopotutto, se era arrivato addirittura a sperimentare su persone innocenti, era scontato che tenesse immensamente a lei. Decise di non riporre il fascicolo, piuttosto lo portò con sé – il giorno dopo avrebbe affrontato suo padre sull'argomento. Dopo aver lasciato lo studio, fece finalmente ritorno nella sua camera da letto, addormentandosi poco dopo. Il mattino seguente, Klaus fece la sua comparsa in sala per la colazione, e si accorse subito di Edith seduta al tavolo presa dai suoi pensieri. << Oggi non sembri avere il tuo solito spirito solare. >> disse l’infermiere. << Oh, ciao Klaus…beh, in effetti sono molto preoccupata. >> rispose la ragazza. << Se vuoi parlarne, io sono qui. >> fece presente lui sedendosi. L’amica si mise a parlare della sua ansia al pensiero di cominciare il tirocinio al CPS di Zurigo, ma soprattutto al pensiero delle enormi aspettative che sicuramente lo zio aveva. << Sì, capisco che tu sia spaventata. In fondo è qualcosa di nuovo, ma ricorda che l'ultima cosa che vorrebbe lo zio è metterti pressione inutilmente. >> rispose il giovane infermiere cercando di tranquillizzarla. << Lo so, non dico che lo faccia di proposito…ma tutta la storia che io debba mandare avanti la sua eredità inizia a mettermi ansia. >> incalzò Edith con uno sguardo perso nel vuoto. Klaus sospirò, non poteva certo darle torto, era grossa responsabilità. Provò comunque a rassicurarla facendole pensare che si trattava di una circostanza che sicuramente sarebbe avvenuta tra moltissimi anni. << Anche questo lo so…sono consapevole che avrò tutto il tempo per prepararmi, ma se non fossi all'altezza? >>, disse la giovane titubante, << Poi non sono ancora riuscita a scrivere a Ingrid… >> aggiunse sospirando sconsolata. << Cosa ti trattiene dal farlo? Secondo Abigail andreste molto d'accordo. >> domandò Klaus. << Lo sai come sono fatta, no? Mi faccio ansia da sola, mi metto a rimuginare sulle cose e poi mi blocco. >> si lamentò Edith. << Sì che ti conosco bene, ma non devi temere, non c'è una data di scadenza, puoi scriverle quando ti sentirai pronta a farlo. >> rispose l'infermiere accendano un sorriso. Klaus inoltre le fece presente che in qualunque
momento riteneva necessario del supporto per riuscirci, lui ci sarebbe stato per lei. << Grazie Klaus. >> disse Edith commossa mentre si avvicinò per abbracciarlo. << Ma figurati , con tutte le volte che tu lo fai per me! >> replicò il giovane ricambiando l'abbraccio. Finalmente la giovane infermiera aveva trovato la giusta motivazione, quindi, decisa, prese il suo cellulare e scrisse un messaggio a Ingrid. Nel messaggio faceva presente come Abigail le avesse parlato di lei, ma soprattutto che adorava il suo stile e che come lei, anche Edith era piuttosto nerd. In seguito si mise a fare colazione, adesso sentiva di essersi liberata di un peso, poteva finalmente cominciare al meglio quella giornata. Intanto Hanna raggiunse il padre nel suo studio, chiuse la porta a chiave e poi prese dalla borsa il fascicolo incriminante. << Non voglio girarci troppo attorno, che cosa significano questi appunti? >> chiese la giovane sbattendogli davanti il raccoglitore. << Beh, sono gli appunti per la creazione della cura, sia mai che io me ne dimentichi un giorno? >> rispose ironicamente il dottore. La ragazza si irritò rapidamente alla sua risposta, consapevole del fatto che l'uomo si ostinasse a mentire come al solito. << Non prendermi in giro, ho letto il fascicolo e so degli esperimenti sui paesani..dovevo aspettarmi che avessi combinato qualcosa per farti odiare tanto! >> replicò Hanna. << Non so davvero di cosa tu stia parlando, ma esigo che tu moderi il tono, signorina! >> controbatté l'uomo cercando di deviare il discorso. << Invece lo sai benissimo! Ho visto il laboratorio, e ho visto come quelle povere persone sono state ridotte da te e dalla tua mente malata! >> continuò con insistenza Hanna. La ragazza cominciava a sentirsi mancare l'aria, era evidente che la situazione le stava creando un attacco di panico. Heireich non si scompose, e nemmeno davanti allo stato d'ira della giovane figlia perse il suo portamento e la sua disinvoltura. Avvicinandosi alla figlia le massaggiò lentamente le spalle, invitandola a calmarsi, per poi versarle un po' d'acqua in un bicchiere. Hanna non si fidava a bere quell'acqua, fin quando il padre non fece lo stesso nel suo bicchiere. Se in quell'acqua ci fosse stato qualcosa di strano, suo padre non avrebbe dovuto bere a sua volta. Continuava a non essere convinta di quella gentilezza offerta, fin quando non bussarono alla porta dello studio. Era la signorina Keller, la quale non capiva per quale motivo la porta fosse chiusa a chiave, quel momento di distrazione permise al barone di mettere qualche goccia inodore nel bicchiere della figlia. Si trattava di un siero capace di rendere i ricordi delle persone confusi e sfuocati nelle loro menti. Poco dopo aver bevuto infatti, la ragazza cominciò a lamentarsi di sentire uno strano senso di stanchezza, faceva fatica a rimanere vigile. Il
medico finse di essere sorpreso da quella reazione improvvisa, mentre la giovane da lì a poco perse i sensi accasciandosi con la testa sul fascicolo. L'uomo ripose il fascicolo giallo al suo posto e la mise a letto, nessuno doveva sapere di quell’increscioso episodio. Quando Olga chiese cosa fosse accaduto, il barone disse che semplicemente stavano giocando come al loro solito, ma ad un tratto Hanna aveva iniziato a non sentirsi bene, incolpando un possibile principio di influenza. La signorina Keller non era troppo convinta, c'era qualcosa nei gesti di Heinreich che la faceva pensare che il titolare le stesse mentendo, ma poi si disse che non c'era motivo per cui il medico avrebbe dovuto farlo. Hanna sarebbe poi rimasta a dormire per l'intero pomeriggio, e al suo risveglio non aveva più idea di cosa fosse accaduto. Aveva un forte mal di testa, e aveva rimosso dalla sua memoria non solo la discussione col padre, ma anche le sue scoperte riguardanti la cura. Al suo risveglio, il padre era seduto al suo fianco, le accarezzò il viso, rassicurandola che andava tutto bene. << Mi sento così confusa e stanca…che cosa mi prende? >> domandò timorosa. << Hai avuto un attacco di panico, ti sei svegliata di soprassalto. Stavi scottando, probabilmente ti sta venendo la febbre. >> le spiegò il padre con un tono pacato, continuando a cercare di tranquillizzarla. << Non mi sento affatto bene, papà. >> disse la giovane, rimettendosi sotto le lenzuola. << Non temere, presto starai nuovamente bene, e io sarò sempre qui a prendermi cura di te. >> rispose il medico accarezzando la mano destra della ragazza, per poi prendere dal suo camice una boccetta, somministrando alcune gocce della cura alla figlia. Alle cinque del mattino seguente Edith e Klaus raggiunsero Olga nel bosco vicino al castello. Da quel giorno sarebbe cominciato il loro addestramento, e come la donna aveva anticipato, non sarebbe stato leggero. Mentre la caposala faceva fare ai due ragazzi un po' di riscaldamento, la giovane Hanna dormiva ancora serena nel suo letto. Suo padre fece capolino nella sua stanza per controllare che tutto fosse apposto, e sorrise soddisfatto nel vedere la figlia dormire serenamente. Sapeva bene che al momento del risveglio, la ragazza sarebbe stata confusa sui suoi ricordi, questo gli avrebbe permesso di manipolare la giovane per tenersela buona e calma. Quando si fecero le sei il medico uscì come a suo solito per andare a correre, sereno di essere riuscito a sistemare la spiacevole situazione che si era creata con la figlia, ignaro del fatto che in quel momento Edith e Klaus fossero ad allenarsi anziché nei loro caldi lettini. I due, nel mentre, avevano terminato il riscaldamento iniziale; e cominciarono ad apprendere da Olga le basi del combattimento corpo a corpo in abito di autodifesa personale. Rimasero particolarmente colpiti dalle
tecniche della donna – nonostante anni e anni di pratica, Hans continuava ad essere una spalla sotto alla donna. Poco prima del ritorno al castello del barone, i due giovani infermieri avevano già fatto ritorno a casa, e si trovavano pronti alle loro postazioni di lavoro. Nonostante l'ovvia stanchezza, avrebbero dovuto comportarsi come nulla fosse. Al suo risveglio, la giovane Hanna si era presentata in sala per fare colazione, proprio come il medico aveva immaginato non ricordava nulla di compromettente. L'unico ricordo indelebile era la conversazione avuta col nonno, di cui suo padre era allo oscuro, ma che lei cominciava a vedere come una montagna di accuse infondate al genitore. Ad un tratto, Hanna si rivolse sorridendo al padre, e gli fece presente la sua intenzione di voler al più presto cominciare i preparati delle nozze. Heinreich sorrise a sua volta, sorseggiando soddisfatto il suo latte macchiato. C'era mancato davvero poco, ma fortunatamente la situazione era tornata nel suo pieno controllo. Per essere però maggiormente sicuro, decise di far sparire dal suo studio e dal castello tutto ciò che poteva comprometterlo con Hanna. Sicuro che i preparativi delle nozze avrebbero tenuto presa la figlia, confidava di poter proseguire le sue illecite azioni senza doversi preoccupare di altri eventi del genere. Mentre padre e figlia trascorrevano lietamente la loro colazione, vennero interrotti dall'arrivo della signorina Keller. << Heinreich, mi dispiace disturbare il momento, ma è appena arrivato il nuovo bibliotecario mandato dal museo di Zurigo. >> disse la donna. << Oh finalmente, non vedevo l'ora di conoscerlo! Hanna perdonami, il dovere mi reclama. >> rispose il barone osservando le due donne e poi abbandonando la sala. La biblioteca del castello era la più grande al mondo, e conservava al suo interno 158 milioni di libri in oltre 470 lingue. Da quando aveva iniziato a conservare documenti importanti riguardo eventi storici e legati alla più importante famiglia nobiliare prussiana, il museo aveva stabilito che doveva essere gestita da un emissario inviato da loro stessi. Il precedente incaricato era recentemente andato in pensione, e finalmente il museo di Zurigo aveva inviato il nuovo rappresentante. Quando il barone si fece avanti nella grande sala della biblioteca, ad attenderlo c'era un giovane ragazzo magrolino e di statura alta. Il medico osservò il ragazzo dai capelli castano chiari e dai grandi occhiali da vista, quello che subito aveva colpito il barone era lo stile steampunk del giovane. << Finalmente è arrivato il candidato nuovo di zecca, ti do il benvenuto! >> disse l'uomo porgendo la sua mano. << Lieto di essere qui, signore! Sono Caleb Edward Cox. >> rispose il ragazzo balbettando. Il medico prese subito in simpatia la nuova recluta impacciata, sicuro che con un po' di tempo sarebbe diventato un buon dipendente. Nell'immediato il giovane Caleb si mise a catalogare i libri, poco dopo notò un
libro che parlava del famosissimo conte Dracula. << Oh, Dracula. Si dice che fosse un grande condottiero e che avesse venduto la sua anima al diavolo per raggiungere fama e potere. >> disse il giovane osservando il libro. << Errato, non fece ciò per banali ricchezze.. al suo ritorno da una guerra trovò la sua sposa morta, uccisa da un branco di turchi che egli aveva precedentemente sconfitto. >> ribatté il medico correggendo il bibliotecario. << Poi cosa successe, signore? >> domandò curioso Caleb. << Distrutto dalla perdita, il conte rinnegò il suo Dio, e cedette la sua anima alle tenebre, così da poter avere i mezzi per vendicarsi di chi gli aveva portato via l'unica ragione della sua vita. >> spiegò il medico distogliendo lo sguardo. In fondo Heinreich era consapevole che, in un certo senso, era proprio quello che aveva fatto lui, essere disposto a tutto pur di raggiungere la sua vendetta sul paese. << Vedi mio caro Caleb, nessun uomo nasce mostro, ma spesso è il mondo a renderci tali. >> incalzò il dottore. Lasciò poi Caleb alla sua mansione, chiedendosi se potesse o meno stare tranquillo con quel giovane in circolazione. Nel contempo, Edith si trovava alle sue ordinarie funzioni, quando si accorse che il suo cellulare aveva emesso il suono di una notifica. Riconobbe subito che si trattava di una notifica di Instragram, quindi a meno che Klaus non avesse mandato una delle sue solite meme, doveva per forza trattarsi di Ingrid. La ragazza prese un respiro e si mise a controllare, per poco non le prese un colpo quando si rese conto che era proprio un messaggio da parte della rossa. Edith prese coraggio e lesse cosa la sua risposta. Nel messaggio Ingrid la ringraziava per i complimenti ricevuti, dicendo che aveva sentito parlare molto bene di Edith, di quanto fosse una persona genuina e sensibile, senza togliere il fatto che ad entrambe piaceva moltissimo “Le bizzarre avventure di Jojo”. Sembrava proprio che la giovane infermiera avesse fatto una buona impressione; adesso che si sentiva più sicura di sé, poteva risponderle con più serenità. Decise quindi di partire con la classica domanda: “Che cosa fai nella vita? Studi o lavori?” Dopotutto, Abigail non aveva raccontato quasi nulla sulla sua migliore amica, quindi c'era tutto un mondo nuovo da scoprire. Klaus nel frattempo aveva ricevuto un messaggio da parte di Abigail, la giovane dai capelli nero corvino gli aveva chiesto di vedersi quel pomeriggio in paese perché necessitava di parlare con lui urgentemente. L'infermiere, un po' preoccupato per quella richiesta tempestiva, le propose di vedersi nella piazza del paese, dove si trovava la meridiana. Poco dopo raggiunse la portineria, trovando Edith alle prese col suo cellulare. << Ti vedo presa bene, novità? >> le chiese Klaus interessato. << Sì, ho iniziato a scrivermi con Ingrid e per il momento mi sto trovando
molto bene. >> rispose Edith sorridendo. Al contrario, Klaus era visibilmente preoccupato, subito l'infermiera gli chiese cosa ci fosse che non andava. << Nulla, sono preoccupato…Abigail mi vuole vedere con urgenza oggi pomeriggio. >> spiegò titubante l'infermiere. L’amica gli diede un pacca sulla testa, incoraggiandolo a non preoccuparsi, secondo lei quell'incontro non predestinava nulla di male. Klaus annuì, sicuramente aveva ragione, si stava facendo solo delle inutili paranoie. Più tardi, alle cinque in punto, scese in paese per raggiungere la piazza principale e vedersi con Abigail; il suo cuore batteva forte, ansioso di scoprire di cosa doveva parlargli con così tanta urgenza. La ragazza era già arrivata e si era seduta accanto alla fontana ad aspettarlo. << Eccomi, che cosa è successo? Inizio a preoccuparmi sinceramente. >> disse l'infermiere pallido in viso. << Siediti e respira, non è successo nulla di male. Volevo solo discutere della nostra situazione. >> spiegò la ragazza. << Di quale situazione stiamo parlando? >> domandò Klaus confuso. << Della nostra, ovvio! Insomma, ormai ci vediamo molto spesso e ci sentiamo praticamente tutto il giorno…credo sia il momento di fare un passo avanti, se sei d'accordo. >> gli rispose Abigail, guardandolo negli occhi. << Mi stai dicendo che..stiamo tipo per fidanzarci? >> chiese stupefatto Klaus. << Beh sì, praticamente sì. Ma come mai tanto stupore? >> replicò lei. Alla sua domanda, il giovane le disse che era la prima volta che una ragazza faceva la prima mossa con lui, ma poco importava, perché in fondo era ciò che voleva a sua volta. << Allora dobbiamo festeggiare questo nuovo step! Dai, ti porto a prendere un gelato. >> disse Abigail sorridendo al biondo. Andarono ad una gelateria lì vicino tenendosi per mano e si fermarono a prendere un gelato; si stavano divertendo, e si fecero diverse foto assieme. Klaus intanto non vedeva l'ora di tornare al castello per dare quella magnifica notizia alla sua famiglia. Quando fece ritorno era ormai ora di cena, e il resto della famiglia lo stava aspettando in sala. Una volta che Klaus annunciò la lieta notizia, partì un fragoroso brindisi di festeggiamento. Edith osservava sorridendo la scena, era molto felice che le cose per Klaus e Abigail stessero andando così bene. Lo stesso valeva per Hanna, inoltre questo significava che si era appena guadagnata una damigella in più al suo matrimonio. Dopo cena, mentre il resto della famiglia si era ritirato nelle proprie stanze, Hanna aveva iniziato a dare un’occhiata ad alcune cose per il matrimonio, in camera sua. Suo padre invece aveva iniziato le sue consuete consulenze notturne, tutto al castello era tornato come doveva essere. Quella stessa notte, diversi membri del paese si erano riuniti alla taverna del
giovane Gilbert. Era stato il signor Ebermund, il più anziano tra i partecipanti, ad aver convocato tutti. Il motivo era semplice, andava finito il lavoro iniziato. Quale lavoro? Ovviamente, quello di togliere di mezzo il barone una volta per tutte. Il giovane Gilbert chiese come mai, a distanza di anni, quella faccenda continuasse ad esistere. Il signor Folkher trasse un sospiro, nessuno di loro poteva sottrarsi a quella incresciosa situazione che durava da oltre vent’anni. Folkher iniziò a raccontare come oltre trent’anni prima, il vecchio barone Von Reichmerl aveva aiutato economicamente molte famiglie del paese. In moltissimi si erano rivolti a lui per prestiti di soldi, con la promessa di saldare in tempi brevi quei debiti. Purtroppo, col passare del tempo, la situazione era soltanto peggiorata, e nessuno era stato in grado di ripagarlo. L'anziano nobile, da uomo vile e senza scrupoli che era, aveva cominciato a ricattare quella gente. Se non volevano ritrovarsi in mezzo alla strada, avrebbero dovuto fare quello che lui richiedeva, e quando lui lo esigeva. Ventidue anni prima, chiese addirittura che sua figlia venisse tolta di mezzo; Heinreich sarebbe invece dovuto rimanere vivo, riteneva che sarebbe stato più divertente vederlo eliminarsi con le sue stesse mani. Più avanti, aveva tentato di impossessarsi della creatura della coppia, ma sfortunatamente la presenza di Hans e Olga al castello non aveva permesso tale evento. Adesso, a distanza di anni, l'uomo voleva mettere fine a quella storia; e tutti quei debitori, convinti di potersi finalmente liberare del loro peso, avrebbero dovuto assecondare le sue volontà. Il giovane Gilbert fece presente che l'uomo era ormai vecchio e malato, sarebbe bastato attendere la sua morte per liberarsi di quel fardello. Purtroppo il signor Ebermud spiegò che non era così semplice, il loro vecchio aguzzino era probabilmente prossimo alla morte, ma non il suo fidato tirapiedi. Nessuno sapeva chi fosse, solo che si trattava di qualcuno che si prendeva cura di lui e che gestiva tutta la questione al posto suo. I paesani di Hartmann erano convinti che se alla morte del senile barone la situazione non si fosse conclusa, quell’uomo non avrebbe dato loro alcuna tregua. Quella storia doveva finire alla svelta, per questo motivo la loro idea era quella di mandare un povero disgraziato al castello a fare il lavoro sporco. L'uomo avrebbe dovuto fingersi un bisognoso di aiuto, di conseguenza il medico non si sarebbe potuto sottrarre ai suoi doveri. Gli sarebbe quindi bastato aspettare l’occasione giusta per ucciderlo. Tutti i presenti erano convinti che quella fosse la soluzione migliore per risolvere finalmente il loro problema. Non occorreva altro che attendere il momento propizio per agire.
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ross-nekochan · 1 year
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Ed eccomi qui, sfastriosa come qualche volta mi capita di essere, a scrivere cose che ho già scritto ma che non riesco a non scrivere di nuovo.
Durante la passeggiata di oggi ho pensato a tutte le cose che avrei voluto fare e che non ho fatto. Volevo studiare l'inglese per prendere la certificazione e non l'ho fatto, volevo tradurre la tesi e non ho nemmeno finito il primo capitolo, volevo entrare in qualche associazione culturale e non l'ho fatto, volevo, volevo, volevo e non ho fatto niente. Se ci penso è che a Settembre/Ottobre mi ci sono messa pure a studiare inglese, poi è arrivato Novembre pieno di colloqui e di pensieri, poi Dicembre pure qualche colloquio l'ho avuto, poi Natale ed eccoci a Gennaio. Vero è che non ho mica colloqui tutti i giorni però, non so il perché, mi si occupa la testa vedo solo Linkedin e Indeed e le giornate così se ne vanno via, senza che io abbia fatto niente, in sostanza.
Che poi, colloqui che boh, vorrei che vadano bene perché chi non lo vorrebbe ma in realtà io non lo so mica quello che voglio. A volte penso di fare il dottorato a 30 anni prendendomi una pausa e accumulando soldi, altre volte vorrei cominciare già da ora se non fosse che mentalmente è un'anticipazione grossissima, oltre a non sapere bene come funziona (ancora) il tutto. Poi penso alle cose pratiche: cosa pesa per me sulla bilancia, più lo stipendio o più la voglia di fare una cosa più piacevole di un'altra? Una mia amica mi diceva l'altro giorno:"Non è possibile che mi sono già scocciata di questo lavoro dopo solo 4 mesi". A me pareva di essere l'unica a fare sti pensieri e invece siamo tutta una generazione.
L'unica cosa che ho "concluso" (tra virgolette perché è giusto una cosa da mettere a curriculum) è questo corso a Londra che farà credere alla gente che non sto "perdendo tempo". Che poi in fondo se guardo altre vecchie amiche, laureate in tempo e quindi 2 anni prima di me non è che stanno messe meglio di me: una lavora sottopagata in una scuola privata, un'altra è vero che è partita in Giappone a sue spese per frequentare l'università da "assistente" del prof, ma dopo 1 anno di stasi. Io sto a 3 mesi e già mi lamento.
Il fatto è che, se non mi fisso degli obiettivi e vado alla deriva come adesso, mi pare di perdere tempo perché non faccio nemmeno una di quelle cose che mi ero prefissata di fare. Forse, se questo giro di colloqui va male, mi ci metto sul serio anche se so che vivrò col senso di colpa di essere una vera e propria NEET.
D'altra parte, bramo il ritorno della mia indipendenza come fosse ossigeno e per farlo devo per forza avere un lavoro e andare via da qua, ma ultimamente ho colloqui con aziende qui vicino e se me ne andassi il mio proposito di accumulare soldi per il dopo andrebbe a farsi friggere.
Guardo i "grandi" già arrivati nel mondo della cultura e mi chiedo: come hanno fatto? Come hanno fatto i TLON? Come ha fatto Chiara Valerio da insegnante e dottorata in matematica a lavorare adesso per le case editrici? Come ci si muove in questo marasma chiamato vita? Forse è semplicemente che la gente FA, io no. Ce le avrei pure qualche idea culturale da far nascere su Instagram però da una parte penso sempre che non sarei il profilo blessed dell'algoritmo e che sarei il solito profilino da 200 follower così come è successo al profilo fitness (che ok ci ho messo impegno zero proprio but still).
Londra, magari potessi andarmene per un po' lì. Sarebbe una cazzo di esperienza. Ma da qui è impossibile e per andare lì serve sempre il cash. Circolo solito.
La mia email universitaria sta per essere dismessa perché sono 6 mesi che mi sono laureata. A volte mi chiedo se è successo veramente, perché non ci posso ancora credere che è finita, tant'è vero che volevo anche andare a Napoli a frequentare qualche corso all'uni per aprirmi la mente, come mi piace sempre fare. Secondo voi l'ho fatto? Risposta corretta.
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seoul-italybts · 1 year
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[✎ ITA] Bustle, Intervista : JIMIN Si È Liberato Ed È Immediatamente Passato alla Storia | 14.04.23⠸
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JIMIN Si È Liberato Ed È Immediatamente Passato Alla Storia
"Like Crazy", singolo della star 27enne, è la prima traccia di un membro dei BTS, nonché di un solista sud-coreano, ad ottenere la posizione n.1 sulla Billboard Hot 100
__di Alyssa Lapid
Jimin non potrebbe essere più felice con nessun altro titolo o carriera al di fuori di quella di musicista. “Credo avrei comunque trovato un modo di essere nei BTS”, confida a Bustle.
Un settimo della boy band dei BTS da più di un decennio, Jimin ha saputo catturare i cuori delle/i fan del gruppo – notə come ARMY, con il suo falsetto, l'abilità nel ballo e la buffa ironia mostrata nel varietà del gruppo (Run BTS).
Ora, come i suoi compagni di gruppo prima di lui - i quali, negli ultimi mesi, hanno rilasciato progetti individuali – il 27enne sta esplorando il suo sound personale attraverso il suo album di debutto solista, FACE. Quest'ultimo sta già scalando le classifiche, dopo esser debuttato alla posizione n.2 della Billboard 200; il secondo singolo del progetto, “Like Crazy”, ha guadagnato la vetta della Hot 100, questo mese, facendo di lui il primo membro dei BTS, nonché il primo solista sud-coreano, ad ottenere un risultato simile su questa classifica.
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Per la durata di 7 tracce, Jimin ci racconta i suoi sentimenti più profondi. “Alone” è una ballata pop che tratta di solitudine ed isolamento, mentre “Set Me Free Pt.2” è una traccia hip-hop carica di bassi in cui troviamo anche il supporto canoro di un coro, al fine di enfatizzare il suo proposito di liberarsi. Il testo di quest'ultimo brano è più cupo, vi troviamo anche un linguaggio più volgare – cosa insolita per la musica dei BTS -, che ha sconvolto Twitter. Inoltre, è la prima traccia solista in cui Jimin rappa.
Nonostante si tratti di un progetto solista, la creazione di FACE ha comunque coinvolto i BTS. “RM mi ha detto di riversare tutte le mie emozioni in ognuna di queste canzoni. I suoi consigli mi sono stati molto utili nel preparare quest'album”, ricorda Jimin, menzionando il supporto ricevuto dal leader del gruppo, il quale è anche creditato come autore in tre brani. Jimin, inoltre, ha reclutato Jungkook come supporto canoro in “Letter”, traccia inclusa unicamente nell'album fisico.
Di seguito, Jimin ci parla del processo creativo che sta dietro a FACE, dell'ispirazione che ha tratto da j-hope e dell'acquisto di alcuni vinili dei suoi idoli.
Riguardo la creazione di FACE e l'essere ansioso rispetto al giudizio delle/gli ARMY
Qual è stata la parte più difficile o inaspettata nel creare un album solista?
Ancora una volta, ho realizzato quanto io abbia sempre fatto affidamento sui nostri membri, più di quanto pensassi, e quanto sono loro grato. E poi, scrivere le canzoni non è stato semplice, ma mi sono divertito un sacco quindi vorrei ringraziarli di nuovo per avermi spronato e motivato a lavorare a quest'album.
Qual è il testo che ti piace di più?
“I wanna stay in this dream / Voglio rimanere in questo sogno”, parte del mio singolo principale, “Like Crazy”.
Sei noto per scoppiare a ridere, ogni volta che cerchi di rappare. Ora, però, hai intenzionalmente inserito una parte rap in “Set Me Free Pt.2”. Come ti senti all'idea delle/i fan che ascolteranno questa traccia?
Volevo mostrare vari aspetti della mia artisticità. Sono un po' timido, però, e mi chiedo cosa penseranno nel sentirmi rappare.
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Di quale canzone di FACE vai più fiero e perché?
Sono fiero di ogni singola traccia, in quest'album. Se proprio devo sceglierne una, però, sono particolarmente affezionato a “Set Me Free Pt.2”. Ho adorato ogni singolo passaggio nel suo processo creativo. Ad esempio, sono andato in America per registrare la parte corale ed è stato fantastico sentire e vedere i vocalist all'opera, nonché seguire l'intero processo. Credo le/i fan saranno d'accordo con me quando dico che credo questa canzone rappresenti al meglio ciò che Jimin dei BTS sa fare.
Quando pensi alle/i fan che ascolteranno FACE, quali immagini saranno i loro sentimenti?
Mi viene l'ansia al solo pensiero. Conosco le/gli ARMY e credo saranno tutto orecchi nel tentativo di scoprire ed analizzare a fondo ciò che ho provato e pensato nel cantare ognuno di questi brani.
Riguardo il riferimento ad un altro brano dei BTS e al supporto dei membri dei BTS
“Set Me Free Pt.2” sembra quasi la fase successiva ad “ON” — c'è pure un verso simile, quello che dice “impazzirò pur di restar sano”. È un riferimento voluto?
Quello è uno dei miei versi preferiti nelle canzoni dei BTS. E, sì, è stato un riferimento cosciente perché è una frase che mi ha dato molta ispirazione.
Sei noto per mostrare sempre tanto supporto ai tuoi membri per i loro progetti solisti. Sei persino volato fino a Chicago per sostenere j-hope al Lollapalooza. Tra i tuoi compagni di gruppo, chi ti è stato di maggiore supporto finora, e in che modo?
Di fatto, sono stati proprio i membri a darmi la motivazione necessaria ad iniziare questo progetto. Ho confidato loro ciò che ho vissuto e provato durante la pandemia, e loro mi hanno suggerito di trascrivere quelle esperienze e sensazioni in un album. Sono loro davvero molto grato per avermi ascoltato e dato conforto.
L'esibizione di j-hope al Lollapalooza è stata fenomenale! Stavo lavorando al mio album, in quel periodo, e vedere con quanta passione ed energia ha calcato quel palcoscenico mi è stato di grandissima ispirazione.
Dopo aver ascoltato il tuo album, quale delle loro reazioni ha significato di più per te?
Uno di loro mi ha detto che spera quest'album rappresenterà un nuovo inizio, per me, e che mi permetterà di crescere ancor più dal punto di vista artistico. Sono state parole davvero preziose e continuerò a fare del mio meglio perché quest'augurio diventi realtà.
Sei noto per la vulnerabilità ed introspezione che mostri sempre sia nei tuoi testi che nelle esibizioni, ma in quest'album sei ancor più schietto ed aperto. Nutri forse qualche timore all'idea che ora i fan ti conoscano ancor più intimamente?
Quest'album tratta alcuni dei miei sentimenti e pensieri più profondi, che non ho mai rivelato finora, quindi sono curioso di vedere quali saranno le reazioni e pensieri delle/gli ARMY
Riguardo i Westlife e gli altri suoi idoli musicali
Qual è una canzone della tua infanzia che ancora ricordi e di cui sai bene il testo?
“My Love” dei Westlife.
Qual è la tua canzone preferita al karaoke?
“An Old Love” di Lee Moon-sae.
Chi sono attualmente i tuoi idoli musicali?
Taeyang e Michael Jackson. Recentemente, ho comprato dei vinili per la prima volta, da un negozio di dischi vintage. Ne ho presi di Michael Jackson e dei Beatles.
youtube
Che cosa nasce prima, la melodia o il testo?
Mi piace scrivere melodie, quindi la melodia viene prima.
Quand'è che ti senti veramente un musicista?
Quando sono sul palco è davvero il momento più felice per me.
⠸ ita : © Seoul_ItalyBTS ⠸
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unwinthehart · 2 years
Note
E' abbastanza disgustoso che shippi Mahmood e Blanco
Io: faccio gif con cose che Mahmood/Blanco dicono e fanno senza pistole puntate alla testa, davanti alle telecamere. Anon: li ShIPpY!!!! Partendo dal presupposto che avrei potuto lasciar correre e non rispondere, ma rimugino su cose storte viste su altri social da qualche giorno ormai e che, appunto, tutto quello che ho fatto fino a questo momento è giffare momenti accaduti senza inventarmi nulla per una supposta narrativa "shippatoria" (??? passatemi il termine, va, che son stanca). Se pure io avessi scritto in proposito post lunghi come la Divina Commedia, avessi scritto fiumi di fanfiction, beh, sono affari miei. C'è una verità assoluta e magnifica che, una volta abbracciata, rende la tua esperienza di qualsiasi fandom tutta un'altra storia: ho, innanzitutto, la libertà sui miei pensieri, tutti ce l’hanno, guarda un po’. Secondo, questo è un mio spazio. Quello che decido di postare o rebloggare, sono per me e il mio enjoyment. Se non ti sta bene, se quello che faccio/condivido ti fa così schifo tu, dall'altra parte, hai l'assoluta libertà di bloccare e silenziare e non doverci interagire. Ognuno ha il potere e la liberà di formare la propria esperienza su internet; non puoi aspettarti che lo facciano altre persone per te. Sono stata in molti fandom, molti di questi diventati tossici e intollerabili. Ho a che fare con questo da almeno 10/15 anni e non ci posso credere che a cicli alterni ci sia sempre qualcuno che pretende di controllare quello che fanno altri fan, di limitare la libertà degli altri in un fandom, perchè si sentono meglio di questi altri fan. I prescelti di Dio per sindacare su cosa è giusto o no a casa degli altri. Fino a che si resta nei propri spazi, fino a che non si bullizza la gente nella loro vita reale, fino a che chi scrive fanfiction non va sotto casa di quei personaggi a dire "sì! ma adesso sc*pate!!", fino a che non si riversa la propria frustrazione per una fantasia che finisce col non realizzarsi su persone vere, viventi, che si fanno gli affari loro, dovresti farteli anche tu. Detto questo: il mio blog resta il mio blog ed è uno spazio sicuro e privo di judgement verso chiunque. Anzi, se qualche gif vi fa venire voglia di scrivere una fanfiction linkatemela che magari mi passa pure il blocco di leggere roba in italiano e iniziare a meritarmi queste accuse di shippare o meno gente 😎
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danilacobain · 1 year
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Ossigeno - 14
14. Pensieri
Zlatan si congedò da Mark con la scusa della doccia e salì in camera. Non poteva credere che fosse stato sul punto di baciare Sveva. Lo avrebbe fatto più che volentieri se Mark non li avesse interrotti ed era sicuro che anche lei lo voleva. Tanto quanto lui. Dio, che bello che era stato quel contatto inaspettato, averla fra le braccia e guardare da vicino quei grandi occhi azzurri... erano meravigliosi, di un azzurro intenso con venature blu intorno alla pupilla e piccole pagliuzze dorate disseminate nelle iridi. Non aveva mai visto degli occhi così belli. Sentire il suo calore addosso lo aveva fatto incendiare. Avrebbe tanto voluto baciarla e stringerla e baciarla ancora e perdersi nei suoi occhi. Con una sensazione di leggerezza si infilò sotto la doccia canticchiando.
Sotto la doccia, nello stesso momento, Sveva stava pensando di essere impazzita. Forse la nuova rottura con Logan l'aveva sconvolta più di quanto immaginasse. Che cavolo le passava per la testa? La sera prima aveva baciato Mark, un errore, certo, ma le era piaciuto, e adesso era stata lì lì per baciare Zlatan. Non era da lei. Lei non si sarebbe mai sognata di baciare un uomo sposato e dopo neanche un giorno desiderare ardentemente un altro uomo. Un uomo che aveva un profumo buonissimo, degli occhi magnetici e delle labbra invitanti... Innervosita dai suoi stessi pensieri, sbuffò e uscì dalla doccia. Si avvolse un asciugamano addosso e si avvicinò allo specchio a pettinare i capelli. «Smettila di fare la stupida» disse severamente al suo riflesso. Ma la sua mente continuava a farle rivivere quel momento tra le braccia di Zlatan e lei continuava a sentire una bellissima sensazione di calore che si diffondeva in tutto il corpo e si concentrava nel basso ventre. Lo desiderava. Non poteva negarlo, né ignorarlo. Però per il momento non ci voleva pensare e si sforzò di tenere la mente occupata pensando ad alcune sue ricerche che stava portando avanti in laboratorio. Uscendo dal bagno trovò Mark in corridoio, davanti alla porta della sua camera. Sentì le guance imporporarsi per l'imbarazzo. Era giunto il momento di mettere le cose in chiaro tra loro. «Mark.» «Sveva. Buongiorno.» «Senti, ehm... dobbiamo parlare.» «Sì, a proposito di ieri sera... volevo dirti che...» «Lo so, abbiamo fatto una cazzata. Sono contenta che anche tu la pensi come me» sorrise sollevata «quindi è tutto come prima, facciamo finta che non sia successo assolutamente nulla.» Mark le sorrise. «Sì, è tutto come prima.» «Bene. Gli altri dormono ancora?» «No, sono di sotto.» «Ok, allora vi raggiungo subito» stava per entrare nella camera da letto ma Mark la fermò. «Sveva...» «Sì?» Scosse la testa. «No, niente. Ci vediamo giù» le diede le spalle e scese.
Involontariamente, Zlatan dalla sua camera aveva ascoltato la conversazione tra Mark e Sveva. Sorrise tra sé. Quindi quei due non avevano nessuna relazione e non provavano nessun interesse l'uno per l'altra. Bè Sveva almeno non provava alcun interesse per Mark. Non era sicuro di poter affermare lo stesso per quanto riguardava Mark. Il modo in cui la guardava tradiva un interesse ben preciso. Però a lui non interessava, voleva solo provare a chiedere un appuntamento a Sveva, aveva voglia di trascorrere del tempo da solo con lei e approfondire la sua conoscenza. Sperava solo che lei glielo avrebbe concesso.
A colazione Sveva e Zlatan si guardarono spesso, nonostante lei cercasse di evitare il suo guardo. Si sorridevano qualche secondo e poi continuavano a guardare nelle loro tazze o chi stava parlando in quel momento. La mattinata trascorse tranquilla, i ragazzi prepararono le valigie e nel pomeriggio si imbarcarono sull'aereo per Milano. Sveva crollò quasi subito. Le due notti passate in bianco si erano fatte sentire e dormì fino all'arrivo a casa. Zlatan era seduto di fronte a lei, Mark accanto a lei e Ignazio accanto a Zlatan. Ignazio gli stava parlando, ma Zlatan era completamente concentrato su Sveva e sul suo volto bellissimo. Non riusciva a staccarle gli occhi di dosso. Immaginava di possederla, di affondare ripetutamente dentro di lei e di guardare ogni sua più piccola espressione di piacere, gli occhi azzurro mare che lo guardavano implorandogli silenziosamente di non smettere, di continuare a spingere, più forte, più a fondo... «Zlatan!» «È?» Zlatan si girò di scatto verso Ignazio. «Scusa, mi sono distratto. Cosa stavi dicendo?» «Stai fissando mia sorella con un sorriso da scemo stampato in faccia» disse Ignazio sorridendo. «Stavo solo ripensando a stamattina, quando è caduta nella piscina.» «Quando l'hai spinta, vorrai dire.» I due amici scoppiarono a ridere. «Sono contento che abbiate superato le vostre divergenze iniziali» continuò Abate. «Anche io.» Già, anche lui, e Ignazio non poteva nemmeno immaginare quanto.
A Milano, fuori dall'aeroporto, Zlatan si avvicinò a Sveva e le chiese se volesse prendere il taxi con lui, abitavano nella stessa zona e così avrebbe avuto modo di chiederle un appuntamento. Ci aveva pensato per tutto il viaggio, aveva deciso che l'avrebbe invitata a cena fuori. Lei esitò un attimo prima di rispondere di sì. «Vieni, la valigia dalla a me.» Sveva si sedette in macchina e dopo qualche minuto Zlatan la raggiunse. Rimasero in silenzio per un bel po'. Ognuno assorto nei propri pensieri. Avrebbe dato qualsiasi cosa per sapere cosa le passava per la testa. «Allora... ti è piaciuta la Svezia?» «Moltissimo. Si sta proprio bene. Immagino però che d'inverno faccia molto freddo.» «Abbastanza. E... stasera che fai?» «Stasera sono a cena da un'amica. E tu?» Merda, questa non ci voleva. «Io niente. Andrò a fare un giro in centro.» «Verrai anche tu al compleanno della fidanzata di Pippo dopodomani?» «Sì.» «Bè allora ci vediamo lì.» Il taxi si fermò sotto casa di Zlatan. «Certo. Scendo. Buona serata, Sveva.» «Grazie. Anche a te.» Zlatan si avvicinò e le diede un bacio sulla guancia, respirando una boccata del suo profumo. Le sorrise e aprì lo sportello. «Ciao.» Mentre guardava il taxi allontanarsi, decise che il giorno dopo le avrebbe fatto una sorpresa. Non poteva lasciarsi sfuggire l'occasione di conoscere una persona bella come lei.
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questouomono · 2 years
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Questo uomo no, #130 - Deconstructing un altro libro scəmo
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Come avevo detto a proposito  del  primo  libro  scəmo,  non ce la faccio a tacere su quest’altro. I due sono legati apparentemente solo per scelta dell’autore del secondo, che cita il primo, ma in realtà per la paurosa inconsistenza delle argomentazioni di entrambi, come vedremo più avanti. In effetti è di questo che a me urge parlare, chi lo ha scritto non ha la minima importanza - nel senso che di attacchi personali non so che farmene quando li ricevo, figuriamoci se perdo tempo a farli. Non citerò il nome dell’autore, è irrilevante anche se non andrebbe dimenticato. Però parliamo non, come nel primo caso, di un testo espresso fatto male e redatto peggio, ma di un saggio per Einaudi uscito in una collana piena di testi fantastici e interessantissimi. Ci vedo un grado superiore di gravità, considerato anche che persone che stimo lo hanno recensito non dico bene, ma sicuramente senza rilevarne le assurdità. Veniamo al dunque, e parliamo più specificatamente delle cose molto discutibili scritte in Così non schwa, Einaudi, 2022.
I problemi cominciano già nell’introduzione (pp.3-11). L’idea di un linguaggio inclusivo è presentata come “seducente”, ma ci viene detto in fondo a p.3 che “il problema è: con quali strumenti? attraverso quale percorso? per mano di chi? E soprattutto: a quale prezzo?”. Chiunque faccia della formazione sul linguaggio inclusivo (come ad esempio il sottoscritto) sa rispondere tranquillamente a tutt’e quattro le domande senza provocare scandalo alcuno - c’è un’abbondante letteratura in merito. Il vero problema è che nel testo si identifica la questione “linguaggio inclusivo” con la questione “schwa”, e quindi nel libro non risponderà a nessuna delle quattro domande, perché parlerà solo dello schwa e praticamente mai del linguaggio inclusivo. Anzi, di una supposta equazione che li rende la stessa cosa, che è un vero e proprio grave fraintendimento, farà uno dei perni della sua argomentazione. A p.4 c’è un’altra confusione, che sarà un altro dei leitmotiv del libro: leggiamo che “le lingue sono organismi vitali che rispondono a bisogni pratici più che etici”. Ora, sarà che vengo da studi di filosofia, ma per me l’etica è una cosa del tutto pratica. Quindi “pratico più che etico” è una espressione che non ha senso; ma si chiarirà più avanti dov’è l’errore di fondo. Tanto la frase successiva è ancora peggiore: “[le lingue] devono garantire una comunicazione fluida ed efficace prima di farsi veicolo di istanze simboliche e identitarie”. Ora, per quello che mi risulta da alcuni manuali di linguistica - che tra l’altro più avanti saranno anche citati - e dalla mia preparazione in filosofia del linguaggio, è impossibile che usare la lingua non comporti anche (né prima né dopo) istanze identitarie e simboliche. La lingua che usiamo, in qualsiasi uso, dice anche chi siamo e a quale simbolico ci riferiamo. È un’acquisizione di base di praticamente qualsiasi teoria linguistica sensata: nell’usare una lingua noi diciamo anche chi siamo e come vediamo il mondo. Perché spingersi nell’introduzione ad affermare una cosa così forte, che la lingua prima deve avere un valore strumentale di efficacia e “fluidità” (non meglio definita) e dopo, in minore importanza, deve servire a dire chi siamo? Anche questo si capirà più avanti, ma sarebbe stato opportuno giustificare quella che non è affatto una pacifica acquisizione.
Intanto a p.5 si chiarisce in parte un fraintendimento precedente, peggiorandone il senso: “le buone pratiche, ove fondate su un nemmeno troppo implicito ricatto morale, rischiano di convertirsi in cattive regole”. Ah, ecco, si trattava di morale e non di etica - due cose molto diverse e che non sono affatto sinonime. In che consisterebbe questo “ricatto morale” individuato? Ci viene spiegato - o almeno si prova a farlo - a p.6, una pagina quasi interamente presa da un’unica frase di 21 righe. Meno male che era importante la “fluidità” della lingua.  Da “nondimeno il libro...” a “...i loro presupposti” sono anticipate in sintesi le ipotesi e le tesi del testo, tutte basate su fondamentali errori (cito in questo elenco tutte parole del testo):
(1) esiste una ampia fetta di individui che si riconoscono in valori progressisti che nei loro comportamenti sono certamente inclusivi - peccato che queste definizioni siano autoattribuite senza la minima spiegazione;
(2) questa fetta aborre l’ipocrisia pelosa di chi non vuole né il linguaggio inclusivo né i diritti per chi lo reclama - peccato che non ci verrà detto come viene svolta questa pratica di aborrire;
(3) questa fetta però è affezionata a una idea democratica di lingua - ma non ci verrà detto perché e percome altre idee non sono democratiche;
(4) questa fetta quindi ritiene sproporzionata e fuori fuoco l’attenzione data “al linguaggio” (il testo dice così, non alla lingua) come principale luogo di conflitto e rivendicazioni - peccato che non verrà detto sulla base di cosa;
(5) questa fetta è stufa di sentirsi definire gruppo conservatore e privilegiato - peccato che finora si sia descritto esattamente così proprio in questa lunghissima frase, e continuerà a farlo lungo il testo;
(6) ed è stufa di sentirsi definire così “per il solo fatto” di ritenere le soluzioni proposte sbagliate e pretestuose le ragioni di quelle soluzioni - senza spiegare perché questo “solo fatto” non sarebbe bastevole.
Se avete avuto l’impressione che la voce in questo testo che vorrebbe parlare dello schwa forse non ha capito alcune cose fondamentali sullo schwa e sulla questione sociale che c’è dietro, l’impressione vi sarà confermata a p.7, dove si dimostra che il libro ha esso delle intenzioni del tutto “fuori fuoco”: si dice che “le disuguaglianze risiedono essenzialmente nelle cose: nei diritti negati, nelle discriminazioni, nel gender gap, nella cronica mancanza di donne in posizioni apicali, nel sessismo quotidiano. La lingua è, il più delle volte, un sintomo”.
Quindi abbiamo un testo che vuole sostenere ancora (nel 2022) che la lingua (o il linguaggio? Nella pagina precedente si diceva così, altra sinonimia errata?) non è una delle “cose” che provoca disuguaglianza, al massimo è un sintomo. Infatti, poche righe dopo si dice chiaramente le azioni sui sintomi “non rimuovono la patologia”. È a questo punto già evidente che il testo manca del tutto la comprensione della questione relativa alla proposta dello schwa: rimuovere la patologia sociale della mancata presenza e rappresentazione nella lingua di un gruppo di parlanti che non si identifica nei generi femminile e maschile. Questo è un problema sociale, non linguistico; questa è una patologia sociale, non un sintomo; e sono cose chiare da decenni, c’è una vasta letteratura. Quella “fetta di individui” descritta prima non lo sa? Forse è a causa di questa ignoranza che le si dice di essere conservatrice e privilegiata.
Il seguito dell’introduzione dimostra che si tratta proprio di una particolare forma di ignoranza. Nelle pp.8 e 9 viene descritta “una battaglia” tra “i si-schwa” e “i no-schwa” che raccoglie esattamente tutto quello che il gruppo di studiosi e studiose che parla sensatamente dello schwa tenta da anni di evitare: l’appiattire il discorso sul linguaggio inclusivo allo schwa, e il replicare con contributi del tutto inutili a questo appiattimento - che in realtà nessuno vuole imporre, al contrario di come viene descritto in questo testo. La completa miscomprensione della questione è testimoniata dal testo nel modo in cui si conclude l’Introduzione, a p.11: si dovrebbe spiegare a chi non fa parte di questo dibattito (”l’amplissima maggioranza del Paese”) che “la vera posta in gioco” secondo questo libro è “la pretesa di far combaciare il codice linguistico con quello etico, l’idea che la lingua debba essere al servizio delle identità”, “la centralità stessa, nel discorso pubblico, dell’elemento identitario, proposto come paradigma morale assoluto”. Pensare che la questione dello schwa riguardi queste emerite cretinate appena elencate è esattamente l’errore che fanno ancora molti addetti ai lavori che non vogliono documentarsi sui problemi sociali che portano a proposte e tentativi come quello dello schwa. Pensare che da questa idea distorta in partenza si possa “fornire una mappa alternativa per affrontare il problema” (p.11), come pretenderebbe di fare il testo, è una pia illusione.
Sinceramente mi sarei aspettato, nell’introduzione di un libro che affronti anche polemicamente la questione dello schwa, almeno un riferimento a quel testo del 1975 (avete letto bene, millenovecentosettantacinque) della linguista Robin Tolmach Lakoff, Language and Woman’s Place, nel quale non solo si dimostrava quanto il linguaggio (e la lingua) fossero strumenti e istituzioni attive per ribadire distinzioni e gerarchie secondo genere, classe, potere sociale e politico (altro che sintomi), ma che gli strumenti di un qualsiasi possibile linguaggio inclusivo dovessero essere tre:
a) non imporsi per regola o legge - e infatti lo schwa è ancora solo e soltanto una proposta;
b) dare altre possibilità - e infatti lo schwa è proposto non come sostituzione obbligatoria, ma come alternativa possibile;
c) “make receiver feel good”, ossia salvaguardare sempre il disagio del destinatario della comunicazione - motivo per cui chi usa e propone lo schwa fa domande sulla denominazione preferita da chi interloquisce, e non “pretende” nulla.
Già venire a conoscenza di queste poche semplici cose avrebbe smorzato molto gli inutili fastidi di quella “ampia fetta di individui”, che saranno pure “progressisti” ma che, almeno per ora, sembrano mancare delle basi necessarie anche solo per cominciare una discussione sullo schwa. Ma è solo l’introduzione.
Il primo capitolo si apre con quello che dovrebbe essere un “riassunto delle puntate precedenti”, “per spiegare cosa sia lo schwa e per quale motivo sia diventato così importante”. Purtroppo non c’è nulla del genere: da pp.13 a pp.17 c’è solo il riferimento a un libro di Gheno, a uno di Sabatini (oltre alle Raccomandazioni) e una brevissima spiegazione del segno schwa, il tutto condito da un umorismo tipo: “ha l’indiscutibile fascino dell’eleganza, come tutte le cose che sanno di erudito e ricercato” - la classica ironia da fetta di individui progressisti e inclusivi, no?
La già scarsa e manchevole storia dello schwa proposta passa proprio alla finzione quando si racconta, da p.18 che “nei mesi seguenti” (al 2019) usano o dichiarano di voler usare lo schwa la casa editrice effequ, il comune di Castelfranco Emilia, il liceo Cavour di Torino, Murgia e Tagliaferri, Starnone. Fino a qui la storia, ancorché manchevole della giusta parte iniziale e di una spiegazione sociale dell’uso dello schwa, perlomeno sarebbe esatta. Poi a p.19 troviamo lo stesso macroscopico errore dell’altro precedente libro  scəmo: vengono presi a esempio di uso dello schwa i famosi verbali del Miur.
Io speravo sinceramente che dopo la magra figura precedente questa cosa venisse capita: quei verbali sono il perfetto esempio di come non va usato lo schwa: portarli a esempio significa, per l’ennesima volta, non aver capito niente. Portare poi come citazione il precedente libro  scəmo, di cui ho già dimostrato ampiamente la nullità scientifica ed etica, sa quasi di presa in giro del lettore.
Presa in giro che viene sancita dall’assurda descrizione dell’uso pernicioso dell’espressione “linguaggio inclusivo” che (pp.19 e 20) sarebbe “ormai assurta a locuzione-incantesimo”. Mentre il sottoscritto lavora da anni con aziende private e pubbliche che si sono date serie direttive di uso e rispetto del linguaggio inclusivo - e non usando lo schwa, ma lavorando alla costruzione di un intero ambiente linguistico non discriminatorio, altro che “egemonia sui significanti” - questo testo si autodefinisce una “mappa” e tiene fuori interi continenti importanti. In più si diverte a spacciare banale benaltrismo, ancorché erudito come quello del passo citato a p.20, di  Mattazzi, e sparando fandonie tipo “l’uso dello schwa, che del linguaggio inclusivo è diventato una specie di sineddoche” (p.21). Lo è diventato solo nell’opinione di chi non sa niente né di schwa né di linguaggio inclusivo.
Se fino adesso si poteva avere solo il sospetto di avere a che fare con un testo scritto (ed editato, vedremo poi) da chi di questioni sociali di genere non sa nulla - e che quindi non ha capito di base la questione dello schwa - l’inizio del capitolo 2 fuga ogni dubbio. Viene ricordato il testamento olografo di Amelia Vigorita,  riportato  in  una  raccolta, dove questa vedova, nello spartire il suo patrimonio, si definisce “padre di famiglia”. Il testo racconta di questa definizione dicendo “il ritratto folgorante di una famiglia patriarcale divenuta giocoforza (e temporaneamente?) matriarcale”. Basterebbe questa frase per chiudere il testo, non leggere avanti e avere la prova provata che chi lo ha scritto (ed editato) non ha la benché minima idea di cosa siano le questioni di genere.
La vedova si è espressa molto correttamente: la famiglia non diventa matriarcale perché la comanda una donna, lo diventerebbe se la sua struttura di potere, la sua gerarchia, non fosse verticistica come qualsiasi struttura di potere patriarcale. Visto che è proprio lei a raccontare che ha letteralmente preso il posto del marito, la struttura non è cambiata, la famiglia è rimasta del tutto patriarcale - e lei correttamente nel testamento si definisce padre di famiglia, avendo assunto quel ruolo. La differenza tra ruoli di genere e identità di genere è l’ABC di quello che dovrebbe sapere chi si occupa di genere - e chi si mette a scrivere libri sullo schwa.
Partendo da presupposti così ignoranti e manchevoli, il resto è del tutto farlocco. Non esiste alcun “dolo antifemminista” nelle parole della vedova, quindi l’argomentazione di p.24 è completamente insensata - oltre che paternalista nei toni. Anche, come si fa successivamente, inserire il tema delle “dissimmetrie semantiche e dissimmetrie grammaticali” (Sabatini) non ha alcun senso, perché il problema che l’uso dello schwa vorrebbe significare non è una dissimmetria semantica, ma una assenza semantica. Ci sono gruppi sociali che non mancano solo del significante, ma pure del significato - nella lingua italiana non ci sono. Partire in quarta con la storiella che “le battaglie sui significanti sono molto più popolari” ratifica che di quelle battaglie sociali non si è capito nulla: a nessun gruppo che non si riconosce nel maschile o nel femminile importa niente del segno usato, loro vogliono esistere nella lingua. Lo sanno benissimo che serve (p.25) “smontare l’impalcatura del nostro pensiero, e ci vogliono generazioni”, perché è quello che hanno insegnato tanti femminismi a proposito di queste lotte sociali - quelle cose che evidentemente “l’ampia fetta di individui progressisti” non vuole proprio imparare.
Che la mancanza di preparazione sia proprio su questi argomenti viene dimostrato alle pp.26-28, dove incredibilmente si cercherebbe di argomentare che il maschile non marcato, cioè che “il maschile comprende/implica il femminile” (p.27) non costituisce un problema, una forma di privilegio, ed è privo di conseguenze sociali. Questo non cancella donne (e altri generi) dal discorso, ma “al massimo nascondendole un po’ [...] senza generare disparità di trattamento tangibili (né dimostrabili) nella vita reale”. Questo testo pare scritto negli anni ‘50. Non solo si ignora il lavoro di Lakoff ricordata prima, ma anche quello di Suzette Haden Elgin, Luce Irigaray, Deborah Cameron, Janice Moulton, Penelope Eckert, Sally McConnell-Ginet, Mary Kate McGowan... e se non si può chiedere a chiunque di essere aggiornati sugli studi specifici, basterebbero quei sani classici del pensiero femminista a proposito del sessismo nel linguaggio per evitare di dire castronerie.
A p.28 si sostiene che “il fatto che anche nei bandi di concorso compaia il maschile non marcato non significa che gli uomini abbiano un qualche vantaggio competitivo rispetto alle donne”, scambiando completamente la causa con l’effetto; alla fine di p.29 si sostiene l’impossibilità di fare a meno non dell’opposizione marcato / non marcato, ma - secondo la scuola di Praga - della asimmetrica distribuzione dei significati. Quindi non avrebbe senso chiedere di non dire più ‘quanto sei alto?’ con ‘quanto sei basso?’ perché “le gerarchie di questi opposti non sono reversibili”: “alto può includere il concetto di basso ma non viceversa. La stessa cosa accadrebbe se decidessimo di sostituire il maschile non marcato con il femminile non marcato” segue l’esempio - davvero edificante - di Beatrice Venezi che può farsi chiamare “direttore” ma Riccardo Muti mai “direttrice”.
Se non è ignoranza crassa questa, non so quale sia. Qui si è completamente perso - e di nuovo, e ancora - il motivo sociale della questione schwa: il fatto che il maschile - sia il marcato che il non-marcato - hanno un valore sociale, gerarchico e “politico” superiore per una precisa gerarchia culturale - il patriarcato - che anche così esprime il suo potere di cancellare la presenza di altri generi. Questa ignoranza è talmente accecante che neanche citando il lavoro di Chiara Cettolin (pp.30 e 31) il testo sembra capire dove sta il problema, concludendo allegramente e spensieratamente che “evidentemente non è tanto e solo questione di desinenze, ma di stereotipi, di imprinting culturali, di maggior presenza e visibilità degli uomini nel discorso pubblico” (p.31). E CERTO CHE È QUESTO IL PROBLEMA, ED È PER QUESTO CHE GRUPPI DI PARLANTI USANO LO SCHWA: PER NON FAR PESARE PIÙ QUESTA PRESENZA NEL DISCORSO PUBBLICO. Non si tratta affatto, riguardo il problema delle disparità di genere e della invisibilizzazione di interi gruppi, di “chiedere a una desinenza di risolverlo” (p.32) ma di segnalarlo, di farlo presente, di renderlo vivo come la comunità di parlanti che ne soffre. Sostenere la cretinata “qui ho scelto di usare il maschile non marcato, più per ragioni di leggibilità che di principio” significa non aver capito che, come sostengono anche quelle studiose citate sopra e come hanno capito quelle autrici e autori citatə ancora più sopra, LA LEGGIBILITÀ È UN POTERE LEGATO AL GENERE - IL MASCHILE È IL GENERE TROPPO PIÙ “LEGGIBILE” DI TUTTI GLI ALTRI, ecco perché a qualcunə è venuto in mente di usare lo schwa anche per iscritto. Non per fare dispetto alla “ampia fetta di individui progressisti”, dei quali non importa proprio un bel nulla e chi soffre ogni giorno per non sentirsi, leggersi e pronunciarsi nella lingua nella quale vive. A proposito di privilegi, secondo chi ha scritto (p.33) “non esiste, allo stato attuale, soluzione più economica, più efficace, più salomonica e più inclusiva del maschile non marcato”, per poi concludere (p.34) “il patriarcato, insomma, c’è ma non si vede. Non nella morfologia, almeno”, di cosa starebbero parlando quei gruppi che provano a usare lo schwa? Non del privilegio di quella “fetta di individui” di sostenere su un saggio edito da Einaudi queste gravi e ignoranti stupidaggini?
Le pagine 34 e 35 continuano con il solito assurdo paragone con la lingua inglese, dal quale si conclude che ovviamente va tutto bene così; non si vede come poter concludere altro, non avendo considerato le differenze sociali e storiche delle società anglofone, che i problemi di rappresentanza nella loro lingua ce l’hanno eccome, altro che le chiacchiere riportate sul they. Ci sarebbe da ridere, se non fosse tragica, la conclusione autoironica di p.36, nella quale si lancia un anatema contro “l’idea che ogni gruppo sociale (o frazione di gruppo sociale) abbia diritto di costruirsi un codice su misura a cui gli altri dovrebbero fare la cortesia di attenersi”. Che è esattamente quello che il gruppo sociale degli uomini bianchi etero ha fatto negli ultimi secoli, e non solo nel linguaggio e nelle lingue - cosetta che andrebbe tenuta in considerazione, se si vuole fare un libro sullo schwa, no?
Il capitolo finisce, ovviamente, con la spruzzata finale di quel colonialismo culturale che a questo punto non poteva mancare: il consiglio paternalista che “il riconoscimento morfologico delle persone non binarie [è] abbastanza marginale rispetto al vero traguardo, che è un riconoscimento sociale compiuto e definitivo della categoria”. Che, amicə non binariə, secondo questo testo dovrete riuscire a ottenere evidentemente senza potervi neanche nominare come volete.
Il capitolo terzo comincia proponendo una “analisi costi-benefici” dello schwa. Il paragone è presentato così: “gli interventi sulla morfologia e l’ortografia di una lingua sono equiparabili a grandi opere”. Invece no: le grandi opere sono decisioni di chi è al potere, lo schwa è la proposta di una minoranza senza potere, quindi il paragone è assurdo e malevolo. Questo basterebbe a buttar via tutto il capitolo, ma perché perdersi altre chicche argomentative come il tentare di far passare lo schwa come una imposizione (pp.40 e 41), cosa che non è mai stata e mai potrebbe essere; oppure l’idea altrettanto falsa che il suono dello schwa in italiano non esista - cosa corretta tecnicamente, ma che fa finta di non sapere che milioni di parlanti italiano lo usano e lo conoscono, visto che fa parte di notissimi dialetti diffusissimi da personalità dello spettacolo e dei media in generale. Il meglio arriva però alle pp.43 e 44. Si racconta che in un podcast dedicato al film Matrix Murgia e Tagliaferri hanno usato il maschile parlando dei fratelli Wachowski prima della loro transizione, poi il femminile per il periodo successivo del loro lavoro. Troverete scritta la seguente mostruosità: “ci si sarebbe potuti aspettare che Murgia e Tagliaferri utilizzassero lo schwa per sottolineare l’identità fluida dei due registi diventati registe. Invece le due autrici non se la sono sentita [...] forse spaventate dall’effetto di irriducibile alterità che quella pronuncia avrebbe prodotto”.
Qui io mi chiedo perché non sia intervenuto unə editor, come deve accadere in questi casi, a chiedere l’immediata correzione di questa paurosa mancanza di competenza. È un altro esempio sbagliato di come non va usato lo schwa: chi ha scritto il testo vorrebbe dimostrare la mancanza di coraggio in chi lo sostiene, ma ignorando come andrebbe usato, mostra tutta la sua incompetenza. In questo caso lo schwa non c’entra nulla: le donne trans si nominano di solito tranquillamente al femminile perché sono donne. In più non parliamo certo di sconosciute, è noto come vogliano essere chiamate le sorelle Wachowski. Come può venire in mente di dire che andrebbe usato lo schwa, se non perché dello schwa non si è capito nulla, e nessuno vicino a noi ha saputo consigliarci per evitare di vedere stampata una figuraccia simile?
Poco dopo un altro strafalcione incredibile: asserire che Gheno “ha registrato l’audiolibro del suo Femminili singolari usando il suono neutro dove necessario, ma agendo all’interno di un contesto di persone che usano lo schwa”. Chiunque può constatare che l’audiolibro è pubblicamente in vendita, ma di quale contesto si parla? Non si capisce davvero a cosa ci si riferisce, se non alla sterile polemica seguente (da p.44 a p.46) tutta costruita sul nulla precedente, che culmina con l’ennesima assurdità: “nella fattispecie si tratterebbe in sostanza di ripristinare un terzo genere - il neutro”. ESATTAMENTE LA COSA CHE LE PERSONE NON BINARIE NON VOGLIONO, perché essere non binariə non significa riconoscersi in un altro genere, ma non riconoscersi in quelli vigenti. Altra prova d’ignoranza degli argomenti di base: confondere il desiderio di sottrarsi alla codificazione come volontà di imporre una nuova codificazione.
Continuando a credere a questa assurdità, il testo va avanti con un inutile sproloquio contro il neutro fino a p.52, dove ritorna - forse per mancanza di argomenti? - la storiella del verbale di concorso universitario, verbale che com’è ormai arcinoto non può essere usato come esempio di confusione alla quale porta lo schwa, dato che in quel verbale lo schwa è usato scorrettamente, non certo come richiesto da chi lo propone. Giudichereste efficace un attrezzo per incidere il legno dopo che qualcuno ve lo ha mostrato usandolo come frullatore? No, ma pare che invece per lo schwa si possa fare. Dopo altri esempi scorretti che quindi non dimostrano niente, il libro riporta l’opinione in merito di De Santis, che “osserva con amara ironia la disinvoltura con cui, in questa storia, chi si fa le regole da sé stabilisce per sé anche le eccezioni”. Evidentemente si riferisce proprio a libro che stiamo esaminando.
Non contento delle precedenti esibizioni d’ignoranza, il testo continua a sciorinarne: p.56, “è tutto da dimostrare che la desinenza del maschile non marcato costituisca effettivamente un privilegio”, specie se ti sei perso gli ultimi tre secoli e mezzo di femminismi; p.58: “davvero per un individuo non binario l’identità di genere è più importante di tutte le altre identità che lo compongono’”, sì davvero, specie se si trova sempre circondato da gente che pensa di sapere “davvero” cosa è più importante per lui; sempre a p.58 lo schwa sarebbe “proposto per neutralizzare le differenze di genere”, certo come no, è proprio quello che vogliono fare chi lo usa: sparire nell’indistinto, visto che nella lingua è già molto presente...
Come nelle migliori occasioni, non poteva mancare l’esempio biografico: l’aver assistito in una scuola a un dibattito sul linguaggio inclusivo organizzato da studenti. Si narra che viene posta una giusta domanda: a proposito della opportunità di chiedere alle persone con cui si parla con quale pronome vogliono essere nominate, non è già questo “l’indizio della presenza di un bias mentale?”. Una persona minimamente informata sull’argomento avrebbe risposto: “certo, e non solo, è molto di più: è l’indizio che si vuole costruire una cultura del consenso malgrado quel bias mentale, che metta al centro le identità scelte e non quelle imposte da una evidenza percettiva distorta da molti altri bias mentali in azione nella nostra cultura” - ricordate il “make receiver feel good” sopra? Invece il testo se la prende con questo domandare il pronome come un “mettere sé, il proprio corpo, la propria identità davanti a tutto”. E questa sarebbe la fetta d’individui progressista.
Di quanto progressismo c’è nel testo abbiamo testimonianza anche nel capitolo 4, un lungo panegirico pro domo sua degli esperti di questioni linguistiche, costruito molto artatamente. Le pp.60 e 61 presentano erroneamente il problema della provenienza dal basso o dall’alto della questione schwa come rigidamente diviso in due blocchi - lo stesso modo di fare sbagliato tipico delle discussioni in rete che qui si pretenderebbe di confutare, e invece lo si adopera. A p.62 veniamo a sapere che i sì-schwa “dimenticano che a dare risonanza pubblica alla questione non sono state le piazze o un’improvvisa e diffusa voglia di schwa, ma una microbolla di intellettuali e militanti che ha, per così dire, adottato la causa facendone una sorta di bandiera ideologica”. L’ignoranza alla base di questa fantasiosa ricostruzione dei fatti data per buona senz’altri riferimenti che la propria voce sta appunto - e di nuovo - nella storia della proposta dello schwa, che esiste e viene usato da molti anni precedenti l’esistenza di qualsiasi “microbolla”. Se non si vuole ammettere questo - cioè la pratica di numerosi parlanti che vivono su di sé un grave problema sociale - si continua a usare il pretesto della ideologia dei pochi per farsi gli affari propri.
Uno degli affari propri portato avanti nel capitolo è il consueto lamentarsi (p.63) del discredito degli esperti, dato il proliferare “di coloro che, senza essere propriamente degli addetti ai lavori, si sentono autorizzati a dire la loro su com’è o come dovrebbe essere fatta la lingua che parlano”. Premesso che sto ancora aspettando la stessa verve di questi esperti su tante altre questioni linguistiche nelle quali però non gli si tocca il privilegio, rimane il fatto che andrebbe discusso, visto che ormai siamo al penultimo capitolo, di che cosa si deve essere esperti per parlare di schwa. Questo sarebbe il problema da esaminare.
Invece assistiamo - a proposito di “ipocrisia pelosa”, ricordate? - all’eterna lotta tra il bene e il male, raccontati a p.64 come Crusca contro Google oppure “personalità di spicco della nostra accademia” contro Vera Gheno. Questo modo di procedere porta, come di consueto, a bollare come incredibile quello che invece altrove è realtà: si dice (p.65) che “per molti di loro [i sì-schwa] il linguaggio inclusivo non può essere solo una scelta individuale, ma dovrebbe costituire un obbligo esplicitamente normato” dimenticando che proprio in molte prestigiose accademie (non italiane, ma evidentemente il paragone con l’estero si usa solo quando fa comodo) questo è realtà da un pezzo e di schwa o di linguaggio inclusivo non è ancora morto nessuno. L’esempio portato da Johnny Bertolio viene denigrato (p.65 e 66) mentre invece è il cuore del problema da affrontare; se ne capisce così poco che (nota 3 a pagina 66) si prende a esempio di accademico che ha subito un trattamento ingiusto a proposito di nominazione corretta uno come Jordan Peterson.
Jordan Peterson - un altro caso in cui tutta una squadra di persone intorno a un testo edito come questo mostra davvero di non sapere nulla. Come puoi portare a esempio positivo, in un testo che vorrebbe parlare di temi sociali e di inclusività, di antisessismo e linguaggio, un soggetto come Jordan Peterson?
Questa stessa scelleratezza è quella che fa asserire - seriamente! - che “in questo momento non c’è settore di ricerca più florido [...] di quello degli studi di genere” (p.66), mentre nella realtà che evidentemente la “fetta di individui progressisti” non conosce affatto si contano sulla punta delle dita i corsi universitari che se ne occupano, si lotta per ottenere gli scarsissimi finanziamenti, esistono sparuti dottorati e pochissimi master. Il problema da affrontare sarebbe che parlarne da ignoranti e privilegiati porta a credere che il “dibattito culturale più mainstream [...] sul linguaggio inclusivo e sul politicamente corretto” (p.66/67) sia veramente un dibattito e sia veramente culturale. La statistica sulle tesi di laurea presentata come prova che se ne parla tanto (p.67) dimostra quanto chi studia vorrebbe parlarne e farne la propria ricerca - speranze per ora frustrate - e non che “l’Inquisizione, diciamo, era un’altra cosa”.
Infatti: era qualcosa di simile a chi, come ci viene raccontato da p.67 a p.69, vede un problema sociale che non sa né capire né affrontare, e per paura di perdere potere e visibilità - perché non gli va di rimettersi a studiare - s’inventa che non solo esiste il fronte compatto e unitario dei “sì-schwa”, ma che questo vorrebbe “imporre non tanto lo schwa in sé, quanto la cornice morale e filosofica di riferimento” (p.67), che poi viene sintetizzata in quattro fandonie che si pretende di aver dimostrato nelle pagine precedenti; che invece sono solo la versione scritta degli argomenti fantoccio usati per non occuparsi seriamente del problema sociale testimoniato dallo schwa, visto che non si vuole ammettere di non averne le competenze.
Giustamente il capitolo si chiude con una speranza: “meglio dunque stare zitti [quindi scrivere un libro per Einaudi è il modo in cui la “fetta di individui progressisti” tace] e aspettare che la febbre dello schwa faccia il suo corso. Nella speranza che, prima o poi, si torni a parlare d’altro” (p.72). Io non so se a quella fetta conviene parlare d’altro: a me, per esempio, piacerebbe cominciare a parlare della ignoranza di tanti linguisti, filosofi, accademici citati qui riguardo le questioni di genere. Perché a questo punto del libro è già chiaro che le sorelle Wachowski ne sanno molto di più di loro.
Dulcis in fundo, si dice, ed è confermato da questo libro, che all’inizio del quinto e per fortuna ultimo capitolo ci regala tre pagine di gratuito razzismo spiegando perché (p.73-75) l’accanimento contro la n-word è sbagliato. “La parola n [nel testo è scritta per intero e in corsivo] rimane un termine denotativo, che serve semplicemente a designare le persone con la pelle scura”. Non è il caso di commentare, anche perché a p.76 ritorna la solita obiezione dell’uomo della strada “a che scopo sostituire le parole [...] se le intenzioni rimangono le stesse?” che butta al secchio decenni di studi di filosofia del linguaggio e femminismi a proposito di intenzioni, espressioni, condizionamenti... ma che ce frega, noi siamo la “fetta di individui progressisti”, quindi dato che esistono i titoli razzisti di ‘Libero’ (p.76 e 77), che senso avrebbe non usare quelle parole? Tanto “le classi dominanti troveranno sempre modo di mascherare il loro razzismo” (p.77) quindi la lotta per avere una lingua meno razzista (e sessista) non serve a niente, no? La tipica escalation argomentativa dell’ignoranza non finisce qui, mancano le decisive tappe che non ci vengono certo risparmiate: proporre alternative al linguaggio discriminante “permette ai fascistoidi di ogni risma di fare i martiri della censura” (p.78), anche se da tempo si è capito che non si tratta di censura; si cita però, a proposito di fascismi, la “soglia di decoro e rispetto oltre la quale è bene non avventurarsi” (p.78); e “non bisogna dimenticare”, mi raccomando, che “certe parole smettono di essere parole per convertirsi a tutti gli effetti in atti performativi” (p.79), che è esattamente quello che da decenni si dice della n-word, della p-word e di tutti i riferimenti ai soli due generi della nostra lingua. Il problema è proprio che sono atti performativi, quindi hanno una enorme importanza nella vita delle persone, mentre il testo ha appena cercato di dimostrare, per quasi cento pagine, che invece sono chiacchiere inutili e manipolate da oscure figure per fini poco chiari.
Ci avviciniamo alla fine, e partono i fuochi d’artificio - come se quelli sparati finora fossero poco spettacolari: a p.80 ci si richiama comicamente a un  articolo  di  De  Mauro che sarebbe stato meglio, a questo punto, farsi spiegare che non era il caso di usarlo visto quello che dice; poi ci viene portato l’esempio di Walter Siti, che non si capisce perché dovrebbe aver ragione a portare avanti, ancora nel 2022, la differenza tra sostanza e forma che evidentemente non ha capito neanche lui; si dice ancora la cretinata che il lavoro su linguaggio inclusivo consisterebbe in un sollecitare “la rimozione di ciò che è cattivo” (p.82) mentre invece si tratta di un’assunzione collettiva di responsabilità; e poi parte l’ovvia tirata contro la versione ignorante della questione “politicamente corretto” (p.82 e seguenti) mostrando per l’ennesima volta che chi ha lavorato al testo manca di parecchie competenze proprio nelle questioni che il testo voleva affrontare.
È inutile soffermarsi sulle pagine finali, riassunto di quanto detto prima con altre citazioni insensate. Mi raccomando però di tenere a mente, nel caso aveste comprato il libro, i nomi contenuti nei ringraziamenti. Sicuro riverranno fuori dietro, accanto o sotto l’ennesima cretinata scritta o detta a proposito di questioni di genere, linguaggio, poteri discriminanti.
Dei quali si parla sensatamente altrove, non in questo testo.
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A volte mi chiedo come sarei ora se fossi rimasta in Italia.
Se sarei diventata una persona meno stressata più realizzata, più aperta
"diventare" straniera mette in moto un'infinità di meccanismi che è impossibile capire almeno che tu non li viva in prima persona. In molte occasioni vieni messa in secondo piano, hai un valore diverso. Non dico che sia fatto volontariamente anzi magari spesso non è così. Ma rimane un fatto.
Devi saperti far valere, far sentire la tua voce e quindi dipende tutto dal tuo carattere e io, a volte, mi mette invece di proposito in secondo piano. Questo mi rende una di quelle persone da "tappezzeria" che ci sono ma se non ci fossero sarebbe uguale. In altre situazioni invece succede il contrario, faccio di tutto per essere la prima. Non so da cosa dipende.
Vabbè per farla breve succede che mi capiti di pensare che cosa sarebbe successo se invece che andarmene me ne fossi andata che ne so, a Roma (proprio a caso 'sta città). Il posto dove vivi ti condiziona moltissimo, a 18 anni ancora di più. Non mi pento delle mie decisioni, ma sono cosciente che non sia tutto oro colato. L' Austria mi ha insegnato tanto, ma mi ha cambiato anche in negativo, in molti lati.
Kein plan. Mi chiedo solo come faccia a capire se sono più i lati positivi o quelli negativi, non vorrei che stessi solo perdendo tempo stando in una realtà che non fa altro che svalorizzarmi...
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gcorvetti · 10 months
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This is not america.
Era il titolo di un brano di Bowie e Pat Metheny degli anni 80, giusto per introdurre il fattaccio della settimana, in Francia un poliziotto ha ucciso un ragazzo con un colpo di arma da fuoco, non so se accidentale o meno, fatto sta che ci sono tafferugli da giorni e assalti alle caserme di polizia. Ricordo bene il caso di George Floyd e di altri afro-americani uccisi dalla polizia, caso che ha avuto uno strascico lunghissimo su twitter. Di controbalzo Polonia e Ungheria non accettano le condizioni sui migranti che vuole imporre l'UE, semplicemente perché sono razzisti e non gli piacciono le persone di colore, pensare che i polacchi sono molto cattolici e la loro religione dovrebbe essere di apertura a tutti senza esclusione. Su Orban non c'è molto da aggiungere, sappiamo che tipo è. Estremismi di destra che piacciono agli alleati oltre oceano, ma che non sono bene accettati da questo lato dell'oceano. Altra notizia, fatalità, su nazisi vari è che il ministro dell'economia Finlandese si è dovuto dimettere, dopo 10 giorni che si era insediato, per delle frasi naziste, che strano eh? Avevo letto tempo fa che il nuovo governo delle renne si è accoppiato con l'estrema destra. Mi viene in mente quel coglione della lega con tanto di camicia nera e banda con la svastika, che nonostante le aspre critiche non ha neanche pensato di dimettersi, beh in Italia si sa che comandano gli yankee e che certi decerebrati fanno comodo, sono bassa manovalanza. Ci sono poi altre notizie ma niente di così incentrato su una situazione che è a dir poco preoccupante, beh si quella delle destre in Europa, ricordiamoci che 100 anni fa le destre salirono al potere e ci portarono ad una guerra, certo i tempi sono cambiati, ma secondo me dietro c'è lo zampino degli yankee, si si, lo so che non può essere tutto colpa loro, però conoscendo come si è evoluta la loro finta democrazia che è diventata piano piano un nazionalismo a baffetto, mi sa che ci stanno inducendo a fare la stessa cosa per controllo sulla popolazione, dico io, ma cosa devi controllare più delle leggi che ci sono, allora si può chiamare repressione del popolo, tenerli in tensione, la paura l'uno dell'altro, del popolo vicino, ecc ecc. Non è una gran cosa, stiamo a vedere come evolve.
E' ufficiale ho un lavoro, anche se per poco e anche questo non è chiaro, ieri il boss mi ha preso i documenti e penso che a breve mi darà il contratto e così capirò finalmente il periodo, se ho inteso bene al colloquio mi diceva solo luglio e agosto, quindi a settembre sono di nuovo a spasso ma nel frattempo non è male, un pò pesante passare da un periodo lungo di rilassamento, anche quando lavoravo su twitter stando a casa non era sta gran fatica, a passare 8 ore in piedi e davanti i fornelli non è il massimo. Mi sono sempre detto da almeno 7 anni a questa parte "questo è l'ultimo lavoro", pensando che magari potrei monetizzare la mia arte, ma questa volta è diverso, sono cambiato e vedo la situazione in maniera differente. Lo so che se voglio fare qualcosa dopo mi devo dare da fare adesso, a tal proposito la tendinite sembra sia quasi passata, ho ancora un pò di fastidio quando sono sotto sforzo, tipo quando suono, ma sento che sono sulla strada giusta per la guarigione, che però dovrò tenere sotto controllo con esercizi di mantenimento che mi ha dato il fisioterapista. Vado avanti così, sono fiducioso.
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blogdimar · 1 year
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Eccomi di nuovo qua..come sempre a scrivere come mi sento e ciò che ho dentro.
So che sono stata assente per molto tempo, ma in questo periodo sono successe tante cose.
Inizio con il darvi le buone notizie ☺️
Finalmente, dopo 2 anni e mezzo mi sono trasferita nella città del mio ragazzo!!!
Finalmente possiamo viverci al 100%! Possiamo viverci nella quotidianità, possiamo fare tutte quelle cose che fanno due persone fidanzate.
E vi dirò di più, stiamo cercando casa 😍 così da poterci vivere ogni giorno e piano piano iniziare a crearci una nostra vita e una nostra famiglia.
A proposito di famiglia…
Ora arrivano le notizie “brutte”..
Io e il mio ragazzo per due volte abbiamo provato ad avere un bambino, ma purtroppo entrambe le volte è andata “male”..😞, ma la seconda volta devo dire che ci sono rimasta davvero molto male, molto di più rispetto la prima volta..
Vi spiego il perché..
La prima volta quando è successo dovevo solo aspettare il ciclo e fare il test è così ho fatto, ma poco dopo mi venne il ciclo…la seconda volta invece, nei giorni previsti del ciclo, non c’era traccia, avevo un ritardo!
Tutto molto bello, noi felici e speranzosi 🥰, faccio il primo test ma risulta negativo..ci poteva stare visto che era solo il secondo giorno di ritardo e magari l’ormone ancora era in fase di sviluppo, almeno così mi avevano anche detto..arriviamo al 5 giorno di ritardo e..puff mi viene il ciclo..😞
Qua devo dire che ci sono rimasta davvero tanto male..forse perché ormai pensavamo fosse per forza quello, forse perché ci siamo e ci hanno “illuso” troppo, non lo so..so solo che ci sono rimasta davvero male, così tanto male che sono addirittura arrivata al punto di pensare di non poter avere figli, cosa che spero di no perché mi sentirei crollare il mondo addosso..
Adesso per me ed il mio ragazzo, sarà un po’ difficile, ma ripartiremo più forti di prima, pronti a riprovarci e crearci una famiglia tutta nostra, anche se non sarà facile, io so che ce la faremo 💪🏻.
Detto questo, per il resto direi che siamo sempre alle solite..
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missingchronicles · 1 year
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Tra i fumi del sonno e i buoni propositi
Premessa: Questo testo è una rielaborazione di un mio audio che ho salvato su telegram e su quello che mi è successo negli ultimi tempi. L’audio lo trovate in allegato in fondo.
Non so bene neanche come iniziare questo post, non so precisamente cosa scrivere. L’idea è un po’ quella di argomentare quelli che secondo me potrebbero essere i buoni propositi per l’anno nuovo. È molto difficile parlare di questo 2022 perché la sensazione più grande che mi resta di questo anno appena passato e il fatto che mi sia scivolato addosso, e non so bene come interpretare la cosa, i mesi sono volati e non me ne sono reso conto. Non saprei neanche dire il perché tutto questo tempo mi sia scivolato addosso con così tanta leggerezza.
Ci sono anni passati che ricordo di più, altri che ricordo di meno e che mi hanno lasciato varie emozioni addosso, invece questo 2022 per la prima volta in vita mia mi ha lasciato un senso di assenza totale , il tempo è passato e non me ne sono reso conto. È strano, questa sera ho festeggiato capodanno insieme ad alcune persone del team del Mc Donald’s dove attualmente lavoro, ma non l’ho sentito come un capodanno, non ho sentito questo primo gennaio come l’inizio di un nuovo anno, ma come un giorno normalissimo, non dissimile da qualsiasi altro giorno che io abbia vissuto negli ultimi tempi.
Quindi mi chiedo, quali sono i buoni propositi per un anno nuovo se io questo anno nuovo non l’ho percepito? Credo che tutto dipenda dal grande cambio di rotta che ho avuto negli ultimi 2 mesi. A fine ottobre mi sono licenziato dal mio lavoro di graphic design ed ho deciso di mandare il mio CV ad un MC Donald’s qui vicino, soprattutto perché avevo bisogno di soldi. Ho così cambiato direzione, ed ho perso quella che avevo perseguito in tutti questi anni. Questa nuova direzione non ho idea di dove mi stia portando e non ho un obbiettivo chiaro in mente, mi sento perso, talmente tanto perso che se domani sparissi (in senso letterale, non mi riferisco ad un eventuale suicidio) non mi importerebbe più di tanto.
Parlando di pensieri suicidi non ne ho da un bel po’ ormai. Quello che mi ha donato questo nuovo lavoro è sicuramente una tranquillità maggiore e credo di stare bene o almeno non sto male, diciamo così. Mi sento tranquillo.
Tornando a noi, quello che intendo dire è che non riesco più a vedere un punto d’arrivo, e quindi questo 2022 per molte cose è da cancellare. Non tutte ovviamente, alla fine sono 6 mesi che convivo con Christian, ho una mila libertà ed indipendenza economica, sono piccoli passi verso un futuro migliore. Ma questo 2022 è stato purtroppo soprattutto un periodo pieno di angosce e alcune di queste angosce ancora me le porto dietro, e non sono sparite magicamente allo scoccare della mezzanotte del nuovo anno.
La maggior parte erano provocate da stress lavorativo e mancanza di fondi, cose che comunque come ho detto si stanno aggiustando, ma quel senso di vuoto che percepisco ultimamente non ha smesso di esistere.
Torno quindi alla domanda originale: Quali sono i buoni propositi di un nuovo anno se io questo nuovo anno non l’ho percepito?
L’unico buon proposito che in questo momento posso sperare di realizzare è quella di avere una maggiore stabilità, sia mentale che lavorativo-monetaria. Questo è l’unica cosa che voglio attualmente, perché se questa cosa piano piano si realizzerà andrà a cascata a migliorare tutto quelle che mi circonda. La relazione con Christian, e la sua relazione con Alessio sicuramente andrà a migliorare di pari passo.
Per quanto riguarda il mio obbiettivo attuale non ci voglio pensare, perché sto bene così, non sono soddisfatto ma vado avanti. Se un obbiettivo ci sarà verrà fuori quando sarà il momento.
Ora vado a dormire. Sono le 6:36 del mattino e questa sera attacco a lavorare e mi faccio 5 ore di MC dopo averne fatte 6 di notturna. Quindi buonanotte, anzi, Buongiorno.
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ferrugnonudo · 2 years
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Penso di non riuscire a scrivere e anche i sogni sono scomparsi, perché non sento più nulla o quasi, a parte il dispetto. E anche dell'anima nera di certi scrittori, a proposito della cancel culture, non me ne importa proprio un fico secco. Credo di non essermi mai interessata nemmeno un mezzo secondo, alla vita degli autori xhe ho amato e amo. Leggo di Handke, uno dei miei pilastri e poi di Roth e resto di sasso, nel senso del quanto poco rilevi sul gusto di leggerli il fatto che uno fosse un estimatore di un criminale nonché un negazionista e l'altro un misogino che forse maltrattava le donne. E quindi? E a me che me ne importa?
Poi mi viene anche in mente che potrei come no essere davvero una personaccia, e la mia totale i differenza al tema esserne la riprova e anche la ragione per cui quando mi capita a tiro qualche vigilantes della morale e del linguaggio, sentire la necessità di dissolvermi all'istante.
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