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#zia romano
fotopadova · 2 years
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Walker Evans -  Parte prima: vocazione scrittore
di Paolo Felletti Spadazzi
  --- L'iniziazione alla letteratura
Walker Evans nacque a St. Louis, Missouri, il 2 novembre 1903. Egli, tuttavia, ha sempre sostenuto di essere nato il giorno tre, forse perché corrispondeva al numero romano III posto alla fine del suo nome (Rathbone 1995). Infatti, suo nonno si chiamava Walker Evans (senior), suo padre Walker Evans (junior) e quindi lui, per la precisione, si chiamava Walker Evans III.
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                                           1907, Walker Evans jr., Walker Evans III, Walker Evans sr.
Il padre, Walker Evans jr., non era laureato, ma già dai ventiquattro anni lavorava come copywriter, era cioè uno scrittore professionista e stilava testi per la pubblicità. Nel 1908 (Evans aveva 5 anni), a causa di un'interessante offerta di lavoro da parte del pubblicitario Albert Lasker, Walker Evans jr. (il padre) si trasferì con la famiglia da St. Louis a Kenilworth, un villaggio suburbano alla periferia di Chicago, progettato sullo stile dell'omonima cittadina inglese. Lasker era uno degli uomini più in vista d'America nel settore della pubblicità e Evans jr. non poteva certo perdere questa occasione. E poi Kenilworth era pieno di verde e molto adatto per un bambino dell'età di Walker III. Dopo la scuola Walker III ascoltava le letture fatte ad alta voce ai bambini del circondario da una vicina di casa, Fanny Phelps, che avrebbe fatto nascere in lui la passione per la letteratura. Il padre era stato incaricato da Lasker della campagna pubblicitaria per la farina di frittelle Zia Jemima. "Questo incarico avrebbe fatto un'impressione indelebile sul piccolo Evans, che in seguito avrebbe rabbrividito per l'imbarazzo al solo pensiero" (Rathbone 1995).
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                           1909, Le frittelle di zia Jemima, la cui  pubblicità fu affidata a Walker Evans jr.
Nel 1914, un'altra offerta di lavoro nel settore automobilistico fece sì che il padre si trasferisse a Toledo con la famiglia. Walker, che si affacciava allora all'adolescenza, fu traumatizzato da questo nuovo trasloco, poiché lo sradicò dal verde villaggio di Kenilworth, troncò i suoi legami col suo migliore amico e quelli con la signora Phelps e le sue letture ad alta voce, proiettandolo in un ambiente ostile, metropolitano e multietnico.
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                                               1915, Walker Evans poco dopo il trasloco  a Toledo.
Nove in inglese e quattro in latino
Nel 1918 il padre lascia la famiglia per andare ad abitare con Louise Hower, una vicina di casa con la quale aveva da tempo una relazione e, l'anno seguente, sua madre si trasferisce a New York con la sorella di Walker. Walker viene mandato alla Loomis Chaffee School, che dista circa 200 km da New York.
Walker nutre una immediata antipatia per Batchelder, il preside della scuola (chiamato mister B.). Il suo profitto è insoddisfacente: i voti migliori sono in inglese, mentre in latino i risultati sono totalmente insufficienti. Dato lo scarso rendimento e la forte depressione che lo affliggeva, i genitori, d'intesa con il preside, decidono di cambiare scuola, iscrivendolo dapprima a una scuola pubblica di New York e poi all'Accademia di Mercesburg (1921).
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                                       Cartolina del 1910. L'edificio più  antico della scuola di Loomis.
Però, dopo meno di un anno, Evans si trasferisce alla Phillips Academy di Andover, dove desiderava andare, probabilmente perché aveva letto che da lì proveniva il maggior numero di laureati di Yale. La Phillips è tuttora considerata “il collegio più elitario d’America” e vanta tra i suoi alumni ben cinque premi Nobel. Nel 1922 la sua richiesta di iscriversi a Yale fu respinta, perché i voti conseguiti alla Phillips erano troppo bassi. Allora Evans ripiegò sullo Williams College, università privata di arti liberali situata a Williamstown. Fu durante il suo primo anno alla Williams che divenne quello che in seguito lui stesso descrisse come "un bibliofilo patologico" (Rathbone 1995). Evans, infatti, "saltava le lezioni per ritirarsi nella biblioteca a coltivare i suoi interessi letterari".
 Il viaggio in Europa
Quando tornò a New York per le vacanze di Natale del 1923, Evans probabilmente sapeva che non sarebbe più tornato a studiare allo Williams College. A New York lavora in una libreria in lingua francese e alla New York Public Library.
Il 6 aprile del 1926, grazie al sostegno economico della famiglia, Evans parte per un gran tour in Europa. Visita Parigi, Versailles, Marsiglia, Cannes, Juan les Pins, Genova, Napoli, Roma, Firenze, Ventimiglia. Nell’agosto e settembre 1926, mentre si trova a Parigi, frequenta lezioni di letteratura alla Sorbona e cerca, senza successo, di scrivere dei racconti brevi.
L'idea che, per uno scrittore americano, fosse quasi obbligatorio fare un viaggio a Parigi non era certamente una novità. Inoltre poteva costituire un'attrattiva il fatto che, mentre in America c'era il proibizionismo, in Europa si poteva dare libero sfogo ad eventuali inclinazioni alcoliche.
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                             1926-1927  Evans in Francia in amena compagnia e con un fiasco di vino.
Tra 1910 e il 1911 troviamo a Parigi il poeta Thomas Eliot, uno degli idoli di Evans. Dal 1921 al 1924, vi abitava Francis Scott Fitzgerald e, nei primi anni '20, Ezra Pound. Facevano tutti parte di quella lost generation che gravitava attorno al salotto di Gertrude Stein. Ernest Hemingway, che nel 1933 sarà compagno di bevute di Evans all'Avana, si trovò diverse volte a Parigi tra il 1921 e il 1931. Anche Man Ray, che faceva parte del gruppo surrealista, lavorava a Parigi dal 1921. Non risulta, tuttavia, che, durante il suo soggiorno, Evans abbia incontrato qualcuno dei suoi scrittori preferiti. Dall'intervista con Paul Cummings (Cummings 1971) apprendiamo che Sylvia Beach propose a Evans di presentarlo a James Joyce. Evans nutriva un'ammirazione reverenziale per il personaggio ma, al momento dell'incontro, preferì sottrarsi. Racconta a Cummings: "Era il mio dio. Anche questo mi ha impedito di scrivere. Volevo scrivere così o per niente".
Tra i letterati del passato che ebbero maggiore influenza su Evans vi sono certamente Flaubert e Baudelaire. Nell'intervista a Katz del 1971 Evans afferma: "Il metodo di Flaubert credo di averlo incorporato quasi inconsciamente [...]. Ma spiritualmente è Baudelaire che ha avuto più influenza su di me" (Katz 1971).
Durante il viaggio in Europa Evans aveva scattato alcune foto con una Kodak portatile. Tornato a New York nella primavera del 1927 incominciò a prendere sul serio la fotografia, anche con l'aiuto del fotografo e film maker Ralph Steiner (1899-1986) che condivise con Evans l'interesse per i soggetti vernacolari e gli insegnò a maneggiare gli apparecchi di grande formato.
 Il primo articolo su Hound & Horn
In quell'epoca Evans incontra anche Lincoln Kirstein, che diventerà un suo grande amico e che avrà grande influenza sul suo lavoro. Kirstein, fin da quando è studente ad Harvard, ha fondato insieme a Varian Fry la rivista Hound & Horn, dove vengono pubblicate le foto di Evans e, nell'ottobre 1931, il suo saggio La ricomparsa della fotografia (Evans 1931).
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 Hound & Horn, le copertine di due  numeri contenenti foto di Walker Evans (autunno 1930 e luglio-settembre  1934).
L'articolo, che contiene le recensioni di alcuni libri di fotografia, delinea la posizione di Evans nel panorama fotografico dell'epoca e costituisce quasi un programma per la sua successiva attività.
A proposito di Steichen the Photographer (1929) di Carl Sandburg, Evans scrive: "Steichen è la fotografia fuori dai binari nel nostro modo reiterato di imponenza tecnica e di vuoto spirituale [...] la sua caratteristica generale è il denaro".
Di Foto-auge (1929), curato da Franz Roh e Jan Tschichold (dove compariva anche una foto di Atget), dice: "è un libro nervoso e importante".
Di Die Welt ist schön (1928) di Renger Patzsch, dichiara: "Le cento foto di Renger Patzsch rendono il libro emozionante da sfogliare in negozio e deludente da portare a casa."
In merito ad Atget photographe de Paris (1930) asserisce: "La sua nota generale è la comprensione lirica della strada, l'osservazione allenata di essa, la sensazione speciale per la patina, l'occhio per i dettagli rivelatori, su tutti i quali viene lanciata una poesia che non è "la poesia della strada" o "la poesia di Parigi, "ma la proiezione della persona di Atget".
Quanto a Antlitz der Zeit (1929) di August Sander, scrive: "E' più di un libro di "studio di tipi umani"; un caso in cui la fotocamera guarda nella giusta direzione tra le persone", "uno dei futuri predetti da Atget", un "montaggio fotografico della società, un processo clinico”.
 Fotografia e scrittura: un matrimonio problematico
Molti dei libri fotografici di Evans vennero realizzati in collaborazione con scrittori.
Tuttavia Evans pretese quasi sempre che le sue fotografie rimanessero separate dal testo, raccolte generalmente alla fine o all'inizio del libro. Anche in American Photographs, libro edito dal MoMA e impaginato da lui stesso, le didascalie delle foto sono raccolte alla fine della sequenza delle immagini. Sembra quasi, cioè, che Evans rifugga da una contaminazione tra i due mezzi espressivi, quello della sua vocazione giovanile e il suo sostituto, per il quale è diventato famoso.
Il primo in ordine di tempo è il libro di poesia The Bridge (1930) di Hart Crane. In questo caso non si può parlare di una vera e propria collaborazione, perché Crane, che era amico di Evans, gli chiese di inserire nel volume alcune sue fotografie del ponte di Brooklyn, che erano già state scattate da Evans e che Crane conosceva.
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                                        1930 The Bridge di Hart Crane, con foto di Walker Evans.
Nel 1933 Evans realizzò insieme a Carleton Beals, scrittore, storico e attivista politico americano, il libro The Crime of Cuba, che contiene 31 foto selezionate tra le diverse centinaia che Evans scattò durante il suo soggiorno all'Havana.
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                                1933 The  Crime of Cuba di Carleton Beals con foto di Walker Evans.
Forse il suo libro più famoso fu quello realizzato insieme a James Agee e pubblicato nel 1941, dal titolo Let Us Now Praise Famous Men. All'inizio del libro vi sono 61 foto fuori testo, che ritraggono tre famiglie di coloni dell'Alabama e che furono scattate cinque anni prima della pubblicazione, quando Agee ed Evans si recarono nel Sud su incarico della rivista Fortune, per documentare l'ambiente contadino durante la Grande Depressione. Il lavoro non venne mai pubblicato da Fortune, ma, solo cinque anni dopo, dall'editore di Boston Houghton Mifflin.
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                                     941 Let Us  Now Praise Famous Men (con foto del 1936).
Infine, nell'autunno del 1941, esegue 32 foto per li libro di Karl Bickel The Mangrove Coast: The Story of the West Coast of Florida. Le foto, che compaiono alla fine del libro, non sono direttamente in relazione con il testo e illustrano aspetti sociali e vernacolari della Florida, luogo di ritiro per pensionati benestanti.
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                                   1942 The Mangrove Coast: The Story of the West Coast of  Florida.
Tra il 1943 e il 1945 Evans scrive diverse recensioni su libri, film e opere d'arte per la rivista Time.
Dal 1945 al 1965 lavora per la rivista Fortune dove raggiunge una posizione con autonomia sempre più ampia, riuscendo a controllare interamente i propri progetti e curando, oltre alle foto e alla loro impaginazione, anche i testi.
Contemporaneamente, negli anni '50, scrive anche per il New York Times.
 Vorrei essere un letterato
Nell'intervista rilasciata a Paul Cummings nel 1971, l'intervistatore sottolinea il fatto che Evans fotografa spesso oggetti che recano molti segni e gli chiede se sia interessato alle lettere alfabetiche e alle parole. Evans risponde che i caratteri e segni sono molto importanti per lui, che hanno infinite possibilità, sia decorative in sé che come arte popolare, e anche dal punto di vista simbolico e del significato, o anche del doppio significato.
Allora Cummings gli chiede: "Sai perché sono importanti per te?"
Evans risponde: "No, non so perché. Penso che in verità mi piacerebbe essere un letterato. [...] I segni sono solo un simbolo visivo della scrittura."
 Bibliografia
Agee, James e Evans, Walker (2002). Sia lode ora a uomini di fama, Milano: Il Saggiatore (ed. or. 1941)
Crane, Hart (1930). The Bridge. New York: Horace Liveright
Beals, Carleton (1933). The Crime of Cuba. Philadelphia: J. B. Lippincott
Bickel, Karl A. (1942), The Mangrove Coast: The Story of the West Coast of Florida, New York: Coward-McCann Inc
Cummings, Paul (1971), Oral history interview with Walker Evans, Oct. 13-Dec. 23, Archives of American Art, Smithsonian Institution https://www.aaa.si.edu/download_pdf_transcript/ajax?record_id=edanmdm-AAADCD_oh_212650
Evans, Walker (1931). The Reappearance of Photography. In Hound & Horn (Oct.-Dec. ): 125-28. http://photohelios-team.blogspot.com/2009/02/essay-walker-evans.html
Evans, Walker (1966). Many Are Called, With an introduction by James Agee, Boston: Houghton Mifflin
Katz, Leslie (1971) in Bertrand, Anne - ed. (2017). Walker Evans. Le Secret del la Photographie. Entretien avec Leslie Katz, Parigi: Centre Pompidou parzialmente riportata in: https://americansuburbx.com/2011/10/interview-an-interview-with-walker-evans-pt-1-1971.html
Punket, Robert (2000), Walker Evans: Florida, Los Angeles: Paul Getty Museum Publications https://www.getty.edu/publications/resources/virtuallibrary/0892365668.pdf
Rathbone, Belinda (1995). Walker Evans: A Biography, Boston: Houghton Mifflin Harcourt 
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lamilanomagazine · 4 months
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Roma, minaccia ed estorce soldi alla zia: 33enne romano arrestato dalla Polizia di Stato
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Roma, minaccia ed estorce soldi alla zia: 33enne romano arrestato dalla Polizia di Stato. Gli agenti della Polizia di Stato della sezione Volanti della Questura di Roma e del Commissariato Colombo hanno tratto in arresto un 33enne romano perché gravemente indiziato dei reati di estorsione, minacce e oltraggio a Pubblico Ufficiale. Nello specifico, gli agenti, su disposizione della Sala Operativa, sono intervenuti nei pressi di un'abitazione di via Vettore Fausto dove hanno trovato la proprietaria, la quale ha raccontato che, poco prima, suo nipote si era recato a casa sua chiedendole denaro, minacciandola e dicendole che se non gli avesse dato nulla avrebbe buttato giù la porta d'ingresso. I poliziotti, giunti sul posto, hanno udito le urla minacciose dell'uomo in strada ancora nelle vicinanze dell'abitazione che, al tentativo degli stessi di placare la sua agitazione, ha iniziato a inveire chiedendo con atteggiamento aggressivo di andare via. Al contempo, è sopraggiunto il marito della donna il quale ha riferito che già nel pomeriggio della stessa giornata l'uomo li aveva intercettati a bordo della loro auto, in via Passino, costringendo la zia a scendere dall'autovettura tirandola per i capelli e pretendendo dei soldi. Il marito a quel punto era intervenuto consegnandogli 40 euro, consentendo così alla moglie di divincolarsi dalla violenza del nipote. Gli agenti hanno raggiunto il 33enne, il quale ha iniziato a insultarli e a minacciarli addirittura di morte e poi lo hanno immediatamente bloccato ed accompagnato in ufficio per le attività di rito. Terminati gli atti, per il 33enne è scattato l'arresto poiché gravemente indiziato dei reati di estorsione, minacce e oltraggio a Pubblico Ufficiale. L'Autorità Giudiziaria, su richiesta della locale Procura della Repubblica, ha in seguito convalidato l'arresto.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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londranotizie24 · 6 months
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reginadeinisseni · 11 months
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Frammenti del film "Caro Michele" girato a Trapani 1976
TONINO GUERRA AURORE CLAMENT (PRESUMO ZIA AURORA FOSSE CLEMENTE CON IL FIGLIO PEDOFILO)
NATALIA GINZBURG
MARIO MONICELLI
TONINO DELLI COLLI
LORENZO BARALDI
STORIE DI VITA, PROTESTE POLITICHE E DEPRESSIONE
Mariangela Melato: Mara Castorelli Delphine Seyrig: Adriana Vivanti Aurore Clément: Angelica Vivanti Lou Castel: Osvaldo Fabio Carpi: Fabio Colarosa Marcella Michelangeli: Viola Vivanti Alfonso Gatto: padre di Michele Eriprando Visconti: Filippo Isa Danieli: Livia Renato Romano: Oreste Giuliana Calandra: Ada Costantino Carrozza: marito di Livia Luca Dal Fabbro: Ray Adriana Innocenti: Matilde, cognata di Adriana Loredana Martinez: cugina di Mara Eleonora Morana: domestica di Colarosa Alfredo Pea: cognato di Livia
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weirdesplinder · 2 years
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Questo fine 2022 invece dei soliti post dedicati ai libri natalizi o ai riassuntoni di cosa si è letto durante l’anno ho deciso di regalarvi una serie di post e video dedicati ai LIBRI CON VIAGGI NEL TEMPO. Saranno 7 video dedicati a 7 gruppi di libri con viaggi nel tempo suddivisi per genere: 1genere fantascientifico-classico, 2narrativa generale, 3 romance, 4 fantascienza di difficile reperbilità, 5 romance di difficile reperibilità, 6 young adult, 7inediti in italiano.
Questo è il video n. 6 dedicato a libri con viaggio nel tempo young adult
-Principessa Saranghae, di Diego Galdino
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Trama: Yoo una Principessa  Coreana del 1300. Giulio un ragazzo romano dei giorni nostri  proprietario di uno straordinario negozio di palle di neve. Due anime  destinate ad incontrarsi grazie ad una magia. La palla di neve incantata  capovolge il tempo ed il destino. Così tra una carbonara preparata in  un tempio buddista e una cerimonia del tè nel centro di Roma, una storia  d'amore nasce a dispetto della distanza tra epoche diverse che pagina  dopo pagina, sembra assottigliarsi fino a sparire del tutto, perché  l'amore alla fine non cambia mai e resta sempre lo stesso dappertutto.
- La Trilogia delle gemme, di  Kerstin Gier  (3 libri)
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Per l’amica Leslie, Gwendolyn è una ragazza fortunata: quanti possono  dire di abitare in un palazzo antico nel cuore di Londra, pieno di  saloni, quadri e passaggi segreti? E quanti, fra gli studenti della  Saint Lennox High School, possono vantare una famiglia altrettanto  speciale, che da una generazione all’altra si tramanda poteri  misteriosi? Eppure Gwen non ne è affatto convinta. Da quando, a causa  della morte del padre, si è trasferita con la mamma e i fratelli in  quella casa, la sua vita le sembra sensibilmente peggiorata. La nonna,  Lady Arisa, comanda tutti a bacchetta con piglio da nobildonna e con  l’aiuto dell’inquietante maggiordomo Mr Bernhard, e zia Glenda considera  lei, Gwen, una ragazzina superficiale e certamente non all’altezza del  nome dei Montrose. E poi c’è Charlotte, sua cugina: rossa di capelli,  aggraziata, bravissima a scuola e con un sorriso da Monna Lisa. È lei la  prescelta, colei che dalla nascita è stata addestrata per il grande  giorno in cui compirà il primo salto nel passato. Charlotte si dà un  sacco di arie, ma Gwen proprio non la invidia: sa bene che si tratta di  una missione pericolosissima non solo per la sua famiglia ma per  l’umanità intera, e da cui potrebbe non esserci ritorno. E non importa  se Charlotte non viaggerà sola ma sarà accompagnata da un altro  prescelto, Gideon de Villiers, occhi verdi e sorriso sprezzante… Gwen  non vorrebbe davvero trovarsi al suo posto. Per nulla al mondo..
- Serie Time raiders, di Alex Scarrow (9 libri)
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Trama: Liam  O’Connor, Maddy Carter e Sal Vikram sono tre ragazzi che non hanno  niente in comune tranne un destino drammatico. Eppure, un attimo prima  di morire, appare loro un vecchio che gli offre una seconda possibilità,  a patto che siano disposti a lavorare per lui. Mr. Foster, il loro  salvatore, infatti, rappresenta un’agenzia segreta che opera in una  galleria di New York, in una bolla temporale tra il 10 e l’11 settembre  2001, con una missione molto importante: impedire che qualcuno vada nel  passato a riscrivere a proprio favore la storia, modificando così il  presente ed il futuro. Time raider è il primo romanzo per adolescenti  scritto da Alex Scarrow, un viaggio strabiliante attraverso il tempo e  lo spazio. La prima missione dei ragazzi è impedire che qualcuno aiuti  Hitler a vincere la Seconda Guerra Mondiale…
- La trilogia di Gideon, di  Linda Buckley-Archer  (3 libri)
Link: https://amzn.to/3VoOpun
Il ladro del tempo (primo libro della serie)
Dopo aver involontariamente attivato una  macchina anti-gravità, Peter e Kate si sono ritrovati nell'Inghilterra  del 1763: nella speranza di essere riportati a casa, hanno affidato la  loro vita a Gideon, un ex tagliaborse, che li ha difesi dalle mille  insidie di un'epoca così estranea e pericolosa per i due ragazzi. Tra  sorprese, rivelazioni e avventure, Peter e Kate stringono un patto:  torneranno nel XXI secolo insieme. Tuttavia qualcosa nell'operazione di  “recupero” va storto: Peter infatti rimane relegato nel passato. E gli  scienziati della NASA non intendono riportarlo alla sua “vecchia” vita,  spaventati dalle conseguenze catastrofiche dei viaggi nel tempo. Eppure  Kate non vuole arrendersi e, aiutata dal padre di Peter, riesce ad  attivare ancora una volta la macchina del tempo… Purtroppo, però, il  loro viaggio finisce nel 1792: Peter sarà ancora vivo?
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ozmontague-blog · 6 years
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Text message: what a surprise, they call me a kitten not a doll. Is this when I should just message them and correct the term? Just kidding, but hopefully this little ‘revelation’ of the gossip blog does not cause too much trouble for you, master.
Text: Well it is nice to know that the little viper missed one of her ‘facts’. 
Text: It is fine Zia. I hope this does not get you in trouble with your family.
@ziaxromano
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willxcapulet · 6 years
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Job Application
Parties: Zia Romano & Will Capulet
Events: Zia applies to work at the tattoo parlour
Date: Last week sometime
@ziaxromano
Zia:
Bouncing on her toes, Zia had done her best to look decent and elegant. A soft pastel blue dress reaching her to her knees, a white coat over, and her face just lightly decorated with makeup, but nothing too extreme. Really, she had done her best to look like one of the porcelain dolls one could find in a doll store. Nervous she had her resume in hand, and knocked on the door to the tattoo studio, remembering how he had told her that it was technically closed, but he would be in to do some paperwork. Really, she hadn’t expected to be allowed to come in on such a short notice either, yet there she stood, nervous. What if she didn’t get the job, because she didn’t belong to the same family as him? Or because she had been someone who misbehaved when she was younger? He had said that it shouldn’t be what kept her from getting it, but really, you never knew. Yet, she could be in luck, and be allowed to at least start working there.
Will:
Frankly they were in desperate need of a new receptionist. It had been ages since they had anyone decent. So Will was hopeful when the girl messaged him. He had the invoices spread out on the break room table when he heard the tap at the door. He walked through and tugged it open. “Hi there. Come on in.” he greeted before closing the door behind her and throwing the lock behind her. “So I’m Will Capulet. I’ve recently taken over as manager here so I’m kinda drowning a bit in paperwork.”
Zia:
Oh thank God, he was actually there! Her heart could finally calm down as the redhead came out and allowed her to come into the studio, and she nodded her head. “Hello sir, thank you for inviting me.” She told him, her voice gentle as she spoke. She really, really needed to get this job. Somewhere to spend her time, which was not in Indros place, and, would get her a bonus point with Silvius. After all, he seemed to tolerate her more than Celeste did. “Oh that’s stressful. Hopefully I can help more with that, than cause more struggles with it, if you’d like me here at least. Anyways, I brought my resume, but if you have any questions, please do ask me anything about it Sir.”
Will:
Will gestured to the seating area just behind reception as he accepted her resume. “Thank you.Have a seat while I have a look.” he murmured as he read it over. “So why the gap? What was going on there? Travel or something?” he asked curiously as he picked up his pen and made a few notes in the margin.
Zia:
“Yes sir.” She nodded her head before making her way over to the seating area. Taking the coat off, she folded it together before laying it over her lap, her hands resting carefully on top of it. “Well, I am as said a Romano, and we have this…” How to explain it the best. “Institution of sorts, where we get sent if we are struggling a bit with behaviors. Sort of like a boarding school, for submissives, where we work and help out at a farm.” She explained, taking a deep breath. “I spent eight months there, due to some behavioral issues I used to have, with a bit too much extreme behaviors during parties, which made my family figure it was best to send me there to learn how to control myself better, and now I was allowed to come back out into the big world.” She hoped at least it wouldn’t ruin her chances to work there. She was being honest at least.
Will:
Will nodded as she started to speak, a few notes started and then stopped. “Seriously? You have like … behaviour rehab?” He was a little incredulously. He’d never heard of such a thing before. “Do you have … like issues of control? Like stealing or something?” That was a real concern for Will. If he couldn’t trust her, they couldn’t work here. Obviously.
Zia:
“Yeah, you can pretty much consider it that. But it is only for the submissives, it’s not for the dominants. Though sometimes you have submissives who are there, because it is the safest place for them.” She told him with a nod of her head. Though at his question she had to shake her head. “Oh absolutely nothing like stealing or anything. It was more, getting drunk during family gatherings, not really caring about whether or not people saw my underwear while I was dancing, and the final straw was me jumping off a roof, and into a pool. So no, it’s nothing criminal, it was purely just me having far too much energy with no shame in my body.”
Will:
“Huh? Wow. I’ve never heard of anything like that before. Sorry. I’m not trying to be judgy or anything.” Will replied with a shrug. “Okay … okay good. Well I have to admit that wouldn’t have gone over well at one of my family parties either. Sounds like you’d fit right in with the Montagues.” Then he laughed, “Okay so. How are you with computers?”
Zia:
“It’s perfectly fine, I judge that institution plenty myself, so it’s no worries.” The blonde told him with a small smile on her lips, honestly not having an issue with him minding the Aunties. “Well, I was young and quite… Well, you know how kittens are when they get those bursts of energies? That was me, but in well a human form.” She told him with a laugh in return, able to laugh at her own mess ups. “I am perfectly fine with those, sir. They’re not what I exist for, but I am perfectly comfortable with them.”
Wil:
Will burst into laughter at the description. He couldn’t help but think that his sister, Posey, would have been similar. Her shenanigans were legendary. But she was getting more together and responsible every day. He was super proud of how she had grown and he couldn’t help but think such a place would have squashed all the fun and interesting pieces of his sister. “Good good. So the position I am hiring for is reception. It does mean taking payment, handling clients, booking appointments and dealing with the rest of us. It isn’t glamorous but the pay is okay. So saying all that, what do you think would be your least favourite part of the job?”
Zia:
The fact that she made him start laughing, hoping that was at least a good sign. Though, how could it possibly be anything but a good sign? After all, it did mean that he found her fun at least. “I think I could handle dealing with the rest of you guys, after all I’m not an easily intimidated girl.” She told him with a bright grin. Though at his question, she tapped her chin, pretending to think for a moment. “To refrain from booking monthly appointments for new tattoos myself? I don’t think my brother would like it very much if I came home tattooed from head to toes suddenly.”
Will:
Will glanced down at his own well-covered arms, “I wouldn’t know.” he deadpanned in response. “You do get a discount by the way. What kinds of jobs have you had before? Or if not jobs, tell me about a time you were put to work and you accomplished something you were proud of?” he asked seriously.
Zia:
“Oh don’t mention the discount, I already have ideas for my other shoulder, sir. I have so many I want.” She said with a laugh, the blonde hair bobbing up and down around her face. “I used to help out at my elementary school with keeping the younger kids occupied during school breaks, and I also used to help out during sunday school in the church my family belonged to back in Ragusa. But at the farm I did mostly anything I got put to do. From cleaning up from the animals, to helping with painting walls, to helping with cooking meals to anything honestly. I like working and feeling useful, so honestly I am not too shy for any kind of task.”
Will:
Will just laughed, “This place is not a good influence when it comes to tattoos… you’ll want more and more. We also do piercings when needed.” He murmured in reply, “Okay … so busy is good. This place is busy. We are hiring for another artist as well. But our reception is becoming an issue. We have one person right now but she is getting claimed soon and wants more and more time off. I suspect after the ceremony, she is going to resign.” He shrugged lightly, “He’s quite traditional. Anyway, so I need, well we need, someone who can handle the desk so we can, you know, do our work.”
Zia:
“Oh don’t say that, you’re going to corrupt me into getting piercings too!” She giggled in response, unable to keep the smile from her face. “Busy is perfect, means there’s no time to get into trouble, and means I’ll actually use up all the energy I have. Though yeah… If she’s already asking for more and more time off, it would make sense if she would resign after the ceremony.” She agreed with a nod, feeling hopeful about this job. “I think I could handle it, and just also remind you all about drinking some water every now and then, as I know I at least often forget about that when I disappear deep into projects myself.”
Will:
“Sounds good. Listen we’re a bit desperate. “So I could continue. However, the fact is, we really need someone to start right away in January. Like January 2nd. So would you be willing to come in and do a few training days between now and then? Learn our booking system, how our till works and all that? See if you like it?”
Zia:
A brow raised as he offered her the job, and she nodded her head excited. “Yes, happily! Like… Yes? No doubt, at all. I am not going back to Ragusa for the holidays, so I am available more or less any day you want me to come in, sir. Oh god, thank you so much!”
Will:
“Okay then. Ummm…. Here are the forms to fill in. Identity number and tax forms for the family and all that.” he murmured as he passed over the forms. “Just bring them in … like next Thursday? You can come in for the day, see what it is like?” Will continued as he nodded. “Listen. If you end up not liking it… that’s cool. But I really hope you do. We could really use the help.”
Zia:
Zia could not help but be incredibly excited, both by how this had gone, but also by the fact that she could now say she actually managed it all on her own. No one in her family had fixed this for her, it wasn’t like anyone had made a call for her. It was all her own doing. “I will ask Lord Silvius to check over it so that you won’t have to worry about any numbers to be wrong.” She told him with another nod of her head. “I hope I’ll like it here too, it seems like a place I would like at least. So really, thank you for the chance, sir. I hope to impress and not disappoint.”
Will:
“Cool cool.” Will agreed with a nod. “Listen, everyone here is pretty chill and it may seem casual. This many tattoos and piercings and all that. However … this is our job and we love it. We work hard and treat our clients well. There is no dress code or anything. We want people to feel comfortable. Front desk is kind of … the face you know. So you just have to make sure people feel respected and welcome. No matter the designation or what they look like. Come with that in mind and you’ll be just fine.”
Zia:
She continued to nod her head, unable to keep from it. She was just so excited, so eager to finally get to show what she could do. To do something on her own. “Of course, I don’t really care what people look like. I know I look like a barbie doll almost at times, but trust me, that is nothing to do with what I think about how others dress, it’s just for my own sake.” Mostly so she remembered to not mouth off her own family. “I’m very firm in the belief that everyone deserves a chance, or ten. So don’t worry about that, I generally come with the mindset that anyone I meet could be a potential friend.”
Will:
“I like that attitude.” Will replied with a light shrug, “My claim is the same. Beautiful so people forget she’s also brilliant. It can be frustrating but we’ve given tattoos to everyone from punk kids to first designation to hollywood celebs. So this place is all about taking care of each other. The other artists are awesome. You’ll see my claim Ginny around. My cousin Daisy owns the florist shop not to far away. We’re all pretty cool around here. You know? I think you’ll like it.”
Zia:
“Yeah, people have a tendency to forget that beautiful people also have a brain, but it just makes it so much more fun when you can tell them something they did not already know.” She said, smiling to the man sitting ahead from her. “Yeah? I think that sounds pretty great. I still remember how it was to get the tattoo for my designation and how terrifying that was, so hopefully I can help bring peace to people who have nerves when they come here.”
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blogitalianissimo · 4 years
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io che scopro dalle ask precedenti che sophia loren è la zia della mussolini 👁️👄👁️
Io immagino la faccia della Loren alla notizia di sua sorella fidanzata con quello: “Wa Sofì ho conosciuto un tipo” “Dimmi Marì, chi hai conosciuto” “È un pianista jazz” “Oh interessante” “Ci siamo incontrati a Roma, e pensa ‘npo si chiama pure Romano, *tosse* èilquartofigliodelducesìproprioquellodifaccettanera *tosse*, te l’ho già detto che è un pianista jazz?”
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monicadeola · 4 years
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«Mi chiamo Alberto Paolini, ho ottantotto anni. Ne ho passati quarantadue nel manicomio di Santa Maria della Pietà a Roma. Sono entrato che avevo quindici anni e ho rivisto la città nell’anno dei mondiali, il 1990. Ho subito per tre volte l’elettrochoc perché avevano scambiato i miei silenzi per una malattia.
Ma io non parlavo perché stavo male.
Cominciamo dall’inizio, come in tutte le storie che si rispettino. Vivevo con la mia famiglia a Via Piave 15, nel quartiere Pinciano di Roma. Papà faceva il portiere e per arrotondare riparava le scarpe del vicinato. Mia madre lavorava a mezzo servizio. Era una donna dura, severa. Comandava tutto lei, una mamma “padrona”. Era sempre nervosa, urlava. A mia sorella voleva bene, a me no. Mi brontolava sempre, mi picchiava. A casa nostra nessuno dei parenti si avvicinava più, la temevano.
Papà è morto quando io avevo cinque anni. Stava bene. Una sera si è portato le mani al cuore e ha cominciato a rantolare. Mia sorella ed io ci siamo tanto spaventati. Mamma ha detto poi che era stata una “sincope” a portarlo via da noi. Da quel momento tutto è precipitato. Mia madre non ce la faceva più a sostenerci, abbiamo dovuto lasciare la casa e ci ha messo in due collegi differenti, lontani. Poi, qualche anno dopo, anche lei è morta e ci siamo trovati completamente soli al mondo.
Nel mio collegio le suore erano cattive, non ci trattavano bene, spesso ci picchiavano. Insegnavano a stare zitti e obbedire senza discutere. In collegio era obbligatorio il silenzio, se parlavi eri punito. Tutti sembravano volere solo una cosa, quando ero bambino: che non parlassi. E io obbedivo, non parlavo.
Le suore non erano caritatevoli, stava cominciando la guerra, tutti avevano fame, tutti avevano paura. A 12 anni vengo mandato in un collegio di salesiani. Anche loro erano duri, severi. Anche loro picchiavano per un nonnulla. Io che, va bene, ero silenzioso e timido, subivo tante cattiverie dagli altri ragazzi.
Si faceva l’avviamento professionale e io stavo studiando in un laboratorio di sartoria. Ma quelli più grandi mi prendevano di mira. Io ero piccolo, anche fisicamente, e poi non parlavo, o parlavo poco. Mi facevano scherzi di tutti i tipi. Al laboratorio c’erano, di norma, un capo e un maestro. Il capo però era tornato al suo paese e un giorno il maestro si assentò. Al ritorno trovò una gran confusione e volle sapere di chi era la colpa. Tutti dissero che ero stato io. Ma non era vero. Un’altra volta mi spinsero fuori dalla classe e mi lasciarono in corridoio. Quando arrivò il maestro mi punì. Io non ci volevo più entrare, in quel laboratorio. Cercavo di richiamare l’attenzione del direttore che era più buono, ma non ci riuscii.
A un certo punto vennero due benefattori, due persone ricche che avevano un locale, forse un caffè, in Piazza di Spagna. Ci andava il bel mondo romano e, visto che eravamo alla fine della guerra, anche gli ufficiali americani. La signora, credo fosse svizzera, ho saputo più avanti che aveva fatto un voto. Suo figlio, durante la guerra, si era imboscato e i nazisti lo cercavano per fucilarlo. Lei si era rivolta alla Madonna garantendo che se si fosse salvato, lei avrebbe adottato un bambino in un collegio. Quel bambino fui io. Ma non venni adottato. Stetti a casa loro per un po’ e poi loro mi seguirono nel tempo. Ma da lontano. Perché a un certo punto anche loro pensarono che stessi male. Ero poco esuberante, per essere un bambino. E parlavo poco. Ma che volevano da me? Era quello che tutti, da mia madre al collegio delle suore fino ai salesiani, mi avevano imposto di fare.
D’accordo con i salesiani mi portarono alla clinica neuropsichiatrica dell’Università. C’era un giovane professore di guardia che si chiamava Giovanni Bollea. Lui disse che spesso i bambini strappati dalla famiglia o abbandonati che finiscono in collegio, hanno queste reazioni. E che dovevo solo stare sereno, stare fuori, conoscere la città e la vita. Per un po’ fu così. Ma io ero rotto dentro e le parole non mi uscivano facilmente.
Così i benefattori e i salesiani decisero di farmi ricoverare alla clinica dell’Università. Lì mi facevano tante domande, scrivevano dei moduli, mi fecero la puntura lombare che era molto dolorosa. Fui sottoposto a vari test psicologici, tra i quali quello delle macchie di Rorschach. Il dottor Finzi disse che ero un caso interessante e mi tennero lì cinque mesi.
Poi questo tempo finì e dovevo uscire. I medici dicevano che non avevo patologie, ero solamente stato troppo vessato da un’educazione repressiva.
Ma i benefattori non volevano o non potevano accogliermi e il collegio si rifiutò di riprendermi. Avevo una zia, lo scoprii allora, ma anche lei non mi volle, perché i suoi due figli erano contrari.
Non sapevano dove mettermi. Era il dopoguerra, c’era tanta fame. E allora decisero tutti insieme di ricoverarmi al Santa Maria della Pietà.
Lì mi trovai nel reparto dei bambini, anche se avrei dovuto stare con i grandi perché il limite era quattordici anni. Io ero piccolo, mingherlino e allora mi tennero con i ragazzi. Ho fatto amicizia con un bambino che si chiamava Franco. Lui era il contrario di me, faceva scherzi, si burlava di tutti e in particolare di Italia, un’infermiera che aveva paura dei piccoli insetti con i quali lui, immancabilmente, le riempiva le tasche. D’altra parte in quei tempi erano i ragni o le lucertole i nostri compagni di giochi preferiti. Non avevamo altro. Franco stava bene di testa, aveva però delle crisi epilettiche e per quello lo avevano chiuso lì. Il primo mese giocammo sempre insieme. Scaduto quel periodo, detto di osservazione, o qualcuno ti veniva a prendere oppure il tuo destino era in un padiglione di internamento. Lui fu portato al 22 e io mi sono ritrovato di nuovo solo.
Dopo altre due settimane toccò a me. E qui la storia prende un carattere che non so descrivere. Potrei dirla così: sono finito all’elettrochoc per un equivoco. C’era un giovane medico, non il primario, che mi fece un mucchio di domande. A un certo punto mi chiese se io sentivo ogni tanto delle voci che mi chiamavano senza che ci fosse nessuno vicino. Io risposi candidamente di sì, ma volevo solo dire che ogni tanto qualcuno mi chiamava dal corridoio, insomma che ci sentivo bene. Io ero nuovo lì, non sapevo che l’espressione “sentire le voci” corrispondesse alle allucinazioni. Ho risposto di sì perché volevo dire che non avevo problemi di udito. Quando mi sono accorto dell’equivoco, o del tranello, ho cercato di correggere ma il dottore mi incalzava, era un incubo, e io ero confuso anche perché non ero abituato a parlare, non sapevo rispondere perché, da piccolo, non dovevo rispondere.
Io ho cercato di farmi capire ma lui ha scritto sul verbale che io non ero capace di spiegare la ragione per la quale sentivo le voci. Alla fine lui ha scritto qualcosa sulla cartella clinica: avevo uno “stato depressivo” il che mi rendeva, chissà perché, “una persona pericolosa”. La suora ha chiesto dove mi dovessero mandare. Lui ha risposto gelido: “Al padiglione sei a fare l’elettrochoc”.
Io mi sono subito spaventato. Quando ero con i bambini avevo visto applicare quella tecnica a un ragazzino, Claudio, e lui, a ogni scossa, era come se si alzasse in volo, se levitasse. Lo dovevano tenere per evitare che cadesse dal lettino. E poi faceva la bava alla bocca, mi aveva molto impressionato.
Tornando nella mia camerata ho chiesto a un’infermiera, si chiamava Teresa, se davvero lo avrebbero fatto anche a me. Lei mi rispose “Ma no, stai tranquillo. È per quelli che non capiscono.”. Mi rassicurò.
Ma poi mi chiamarono e mi ritrovai in una fila, tutti erano silenziosi più che disperati, gli avevano detto che dopo la cura sarebbero tornati a casa.
Arrivò il mio turno. Io volevo scappare. Avevo sentito che l’elettrochoc non si poteva fare agli anziani, ai malati di epilessia e a quelli con problemi al cuore. Allora, una volta entrato, dissi al medico che avevo male al cuore, sperando di farla franca. Lui mi appoggiò un istante lo stetoscopio al petto e disse che non avevo nulla e si poteva procedere. E procedettero. In quattro mi tennero mentre la suora mi inumidiva le tempie con un batuffolo bagnato di acqua e sale e mi appoggiava due elettrodi alle tempie. Io piangevo invocando la mamma che non avevo.
Il medico ha chiesto: “È pronto?”. La suora ha risposto: “Sì, è pronto”.
Poi non ho sentito più nulla. Mi sono risvegliato in una corsia piccola, con una sensazione penosa, non sapevo dove fossi e cosa stessi facendo, mi sentivo con la testa con la nebbia, i nervi del corpo tutti tesi.
Me ne hanno fatti tre, così. La cura prevedeva tre cicli di quindici applicazioni. Quarantacinque scosse alla tempia.
Ma poi anche io ho avuto una fortuna. Un giorno è venuta a trovarmi la benefattrice. L’aspettavo da tanto, mi aveva promesso che sarebbe venuta a trovarmi ma era passato più di un mese e non si era visto nessuno. Ero disperato, pensavo che mi avessero abbandonato tutti. Avevo quindici anni. Quando la signora è entrata e mi ha visto in quello stato, in quel padiglione, si è arrabbiata moltissimo. Non era quello che aveva concordato al momento del mio ricovero. Le dissero che c’era stato un disguido e mi mandarono subito al padiglione dei lavoratori. E lì sono rimasto fino al 1990.
Si sono avvicendati, nel tempo, vari direttori. Chi apriva i cancelli dei padiglioni, chi li chiudeva. Un direttore, Buonfiglio, diceva che i pazienti non erano dei reclusi, che dovevano muoversi, dovevano distrarsi. Organizzava feste, spettacoli, veniva spesso Claudio Villa. E anche gite. Vabbé solo una volta all’anno, ma erano bellissime. Ci si poteva anche incontrare con le donne, nascevano degli strani fidanzamenti. Ci si facevano i regalini, che so, un fazzoletto ricamato o cose così. Io avevo conosciuto una ragazza, avevamo fatto amicizia, stavo bene con lei. Ma dopo un mese è uscita e non l’ho più rivista.
Ho lavorato, per trent’anni, in tipografia, all’ufficio statistica e poi in biblioteca. Era per i medici, con testi specializzati, ma c’era un armadio con libri vari. E io li leggevo. Un infermiere una volta mi portò in regalo un pacco di riviste. Ne ero ghiotto. Mi piaceva lo sport, tifavo Venezia perch�� c’erano Loik e Valentino Mazzola. Poi il mio cuore lasciò posto al Grande Torino, dove giocavano i miei eroi. Di Superga seppi dalla radio e fu un dolore acuto, inconsolabile.
Un giorno vennero a dirmi che sarei uscito, avrei avuto un appartamento con altri al quartiere Ottavia. Stavo al Santa Maria della Pietà dal 1947 e ora eravamo nel 1990, la città fremeva per i mondiali. Ero entrato bambino e ora avevo quasi sessant’anni. Non sapevo cosa ci fosse fuori, in fondo stavo bene lì, tutti mi volevano bene. Quasi mi dispiaceva uscire. Quando nel quartiere seppero che stavamo per venire a vivere qui ci fu una rivolta, non ci volevano. “Questi arrivano dal manicomio, saranno pericolosi”. Hanno fatto pure manifestazioni. Poi, piano piano...
Per me era un’esperienza nuova. Solo quando ero piccolo avevo dormito da solo a casa. Dopo ero sempre in camerate insieme agli altri. Ora avevo una stanza tutta per me e una casa da condividere con altri come me. Avevo un po’ paura.
In manicomio ci ho lasciato un po’ di vita, tanta, e un po’ di cuore, tanto. Ho tanti ricordi.
Per esempio quando, attorno al 1968, vennero dei ragazzi a manifestare perché si aprissero le porte del manicomio. Avevano cartelli, bandiere, i capelli lunghi, esponevano le loro idee, idee di libertà. Parlavano di un professore che si chiamava Basaglia. Occuparono un padiglione. La polizia voleva mandarli via ma loro resistettero. Misero uno striscione con scritto “Centro sociale”. Ci facevano andare per corsi di ceramica, di lavorazione del cuoio. C’era anche un laboratorio di scrittura, che frequentai con passione.
Ed è lì che forse io, Alberto Paolini, ho finalmente imparato a parlare, a parlare con gli altri».
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chez-mimich · 5 years
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UN PIEMONTESE IN ESILIO
 Non so se qualcuno di Voi ha mai avuto intitolata a suo nome, una via o una piazza Sono escluse le omonimie, per esempio non contano coloro che si chiamano Colombo poiché non è lo stesso Colombo a cui è intitolata , la via Cristoforo Colombo a Roma. Sono anche esclusi coloro che abitano in una strada privata che prende il nome dalla famiglia. Intendo proprio parlare di uno spazio urbano dedicato a Voi o ai Vostri parenti. No? Io si. Quando ero bambino passavo una settimana all’anno a Roma, ospite dei miei cari zii e dei miei cuginetti, Luigi “Gino” e Massimo Grella. Mio zio Pasquale lavorava per le telecomunicazioni ferroviarie ed abitava nei pressi della stazione di Roma Tuburtina. Anzi, abitava nella stazione. Se volessimo proprio cavillare, abitava in mezzo ai binari. Avete capito bene, proprio dove passano i treni. Negli anni Sessanta esisteva ancora una sorta di casello ferroviario, molto alto, di architettura littoria, dal quale si governava il gran traffico dei treni in transito nello scalo romano. Una specie di torre di controllo o un faro in mezzo a un oceano di binari. Gli zii abitavano all’ultimo piano di questo castello kafkiano delle Ferrovie dello Stato. Per raggiungere la “terra ferma” si utilizzava una lunghissima passerella metallica che univa il casello al ponte di Via Tiburtina, che sovrastava la stazione. Un luogo da incubo per il rumore infernale dei treni, ma per me, allora bambino di provincia, una costruzione incantata. Per giocare nei pomeriggi d’estate la zia, dopo aver attraversato con mia grande meraviglia la passerella, ci conduceva sulla “terra ferma” e, percorso un tratto della Via Tiburtina, ci portava in un enorme spazio, circondato da palazzoni in costruzione. Un luogo che poteva ricordare qualche periferia pasoliniana. Tra quei cantieri era nata l’erba e i miei cugini, Luigi (Gino) e Massimo Grella, erano soliti radunare lì un gruppo di amichetti per giocare al pallone. Le mamme dei loro amici sapevano che i loro figli si sarebbero trovati a giocare in quei prati spontanei. Con l’inarrivabile arguzia e disincanto dei romani, qualcuno aveva preso un ondulato metallico e con la vernice rossa aveva scritto: “Prati di Grella”. E così la mia famiglia, ed io piccolo piemontese in esilio, avemmo intitolata una “piazza” di Roma, come i Della Rovere o i Colonna. Eccomi, nella foto, nei “Prati di Grella”. Dedico questo post ai miei cugini, e agli indimenticabili zii.
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ao3feed-fierrochase · 5 years
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Os Deuses da Mitologia
read it on the AO3 at http://bit.ly/2X3HngT
by kagome95ingrid
CONTINUAÇÃO DOS LIVROS DO RICK RIORDAN. E se os egípcios, gregos, romanos e nórdicos do mundo do Rick Riordan se vissem em um problema enorme que acabaria por ter que obrigar todos a, não só se conhecerem, como também terem que enfrentar uma situação tão grande que pode levar (ou não) ao fim do mundo? Não que eles nunca tenham tentado impedir o fim do mundo antes, mas poucas vezes tiveram que lidar com tantas mitologias de uma vez tendo até que ir além dessas quatro mitologias. Direto do tretudo mundo mitológico de RICK RIORDAN, uma FIC com um super crossover de TODAS AS MITOLOGIAS por ele exploradas!
Num crossover de destruir o mundo em completo caos, nossos semi-deuses e magos favoritos terão que salvar o mundo mais uma vez sendo que dessa vez várias mitologias resolveram se juntar para criar um fim do mundo que vai deixar o Ragnarok no chinelo. E n são só as mitologias greco-romana, nórdica e egípcia que vão preocupar nossos heróis não. Os perigos surgem até daqueles que séculos atrás eram inimigos ou aliados desses povos.
Words: 3949, Chapters: 2/100, Language: Português brasileiro
Series: Part 2 of Rickverse
Fandoms: Percy Jackson and the Olympians - Rick Riordan, The Heroes of Olympus - Rick Riordan, The Trials of Apollo - Rick Riordan, Magnus Chase and the Gods of Asgard - Rick Riordan, The Kane Chronicles - Rick Riordan
Rating: Teen And Up Audiences
Warnings: Major Character Death
Categories: F/F, F/M, Gen, M/M
Characters: Anubis (Kane Chronicles), Sadie Kane, Nico di Angelo, Frank Zhang, Hazel Levesque, Annabeth Chase, Carter Kane, Zia Rashid, Magnus Chase, Alex Fierro, Mallory Keen, Halfborn Gunderson, Camp Half-Blood Campers, Thalia Grace, The Hunters of Artemis (Percy Jackson), Reyna Avila Ramírez-Arellano, Samirah al-Abbas
Relationships: Anubis/Sadie Kane, Nico di Angelo/Will Solace, Annabeth Chase/Percy Jackson, Hazel Levesque/Frank Zhang, Calypso/Leo Valdez, Magnus Chase/Alex Fierro, Halfborn Gunderson/Mallory Keen, Carter Kane/Zia Rashid, Samirah al-Abbas/Amir Fadlan
Additional Tags: continuação, Crossover
read it on the AO3 at http://bit.ly/2X3HngT
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ozmontague-blog · 6 years
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Text: My lord, I know I might be too forward with this but as we’ve both seen, being forward and asking does get one much further. Text: I would just like to know if there might be the chance to hold off a dance for a young blonde during the new years gala? text: I know you are a busy man and would of course not ask for more, though I do suspect you would find one of my surprises for it rather entertaining.
Text: I will be in attendance at the Gala, although I am not much inclined to dancing this year. I will however, look forward to being entertained by whatever surprise you come up with.
@ziaxromano
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willxcapulet · 6 years
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Text: Hi! I managed to find your number online... Anyways, I'm Lucrezia Romano, and I was just wondering if you maybe have any open positions in the tattoo saloon? I can come in with a resume of course, I just wanted to ask before I suddenly showed up.
Text: Hey! Well timed message. We have a couple of positions available. Mostly for non-tattoo artists though. If you are looking for that, you have to apply for the training program. 
Text: Come by on Monday. The shop is technically closed but I’ll be there doing some paperwork.
@ziaxromano
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fair-verona-rpg · 6 years
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Lucrezia Romano
Neha Romano
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ziaromano-blog · 6 years
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Not having a claim was not an option, and Lucrezia Romano would not be without a claim for long. The girl had a wild heart, wild and independent ideas for her life, but those had isolated her from her family and, what was worse, driven her all the way to the Auntie’s arms.
She was humbled now, perhaps domesticated, but she knew that wayward girl was in there somewhere. How to keep her suppressed?
Zia started with her own little experiment, in public, though at the Museum. It seemed innocuous enough, though looking at all of the artifacts, knowing that moving through time were those who were willing to fight for what was right and just... well. Her insubordinate heart fluttered.
And then, she remembered the corporal punishment of the Aunties, the feeling of disappointment they would have had -- not that they’d showed any sort of warmth otherwise -- and she stopped. Her blood less warm, her body buzzing a little less, she loosened her clenched fists and turned to the one who had joined her here by this display.
“Strange, isn’t it?” she asked, daring eye contact, wearing the slightest hint of amusement. “All of the violent years and all of the broken lives along the way. All to lead us to this, where we are amenable to anything.”
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giotanner · 6 years
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Pub AU!MetaMoro
Gentilmente offerto da Aperol Spritz, Bacardi e Amaro del Capo dall’anon Cla
Prompt: Prendersi una cotta per un tipo che lavora in discoteca e balla sul bancone (yep, that's me!) Nella fattispecie, Ermal!ballerino, fa anche serate con la band sul suddetto bancone, perchè dai, con quelle giacche sbrilluccicose ci sta benissimo, e un certo Bizio lo adocchia.
Certamente quel pub non era il Piper o il Qube, ma era comunque un centro nevralgico della movida romana, ogni giorno infatti faceva il pienone
Ermal Meta era un ragazzetto di Bari che si era trasferito per provare a far carriera nella musica insieme al suo gruppetto ben assortito
Non c’entrava poi molto con la musica house/dance/rap e dei dj che suonavano dentro quel locale, né con chi lo frequentava
Però era anche vero che il venerdì facevano serate pop/rock di complessi indie e con la sua band aveva provato più volte a farsi prendere per suonare lì.
Il proprietario aveva voluto sentirli suonare nel pomeriggio, gli aveva dato l’okay, ma aveva anche lasciato una clausola:
“Sai balla’ te?”E aveva puntato il dito contro Ermal
“Più o meno? Ma son più sciolto sul palco, non si preoccupi signore, quando canto e ho pubblico- non saremo una delusione- 
“No, n’hai capito. Se volete sona’ qua t’ho chiesto se sai balla’... o se ‘n sei capace. Perché se sai balla’ potresti prenne ‘no straordinario (i soldi in più) cor fisichetto che c’hai. O così o niente.”  e aveva indicato col mento il bancone dove i ballerini si esibivano (in modi assai poco casti) per il pubblico in pista e ai tavolini mentre la musica house e dance revival suonava dal lunedì al giovedì, fra i fumi delle luci soffuse.
Marco l’aveva guardato terrorizzato, aspettandosi che Ermal sbroccasse. 
Ermal invece si era lasciato convincere con la scusa del “ti diamo uno straordinario” avrebbe avuto così più soldi da investire per la band...
 e insomma era maggiorenne /da un annetto/ e vaccinato, no?
Ammettiamolo era pure PURO orgoglio personale perché era un coglione di natura e al ‘non sei capace’ chiesto come frecciatina aveva visto nero oltre che tutti i colori dell’arcobaleno
come far capitombolare Ermal in 3...2...1
“Accetto. Basta che posso scegliere cosa mettermi e cosa non.” E non transigeva. Affare fatto, ciao, caput.
Così dalle 23 fino alla mezzanotte e passa Ermal ballava.
Le prime volte era stato assai imbarazzante
Ma aveva avuto invece che i fischi dei suoi amici l’appoggio appena gli aveva confessato quei soldi per cosa li investiva.
Anzi, andavano sotto al bancone solo per tifare per lui.
Ma era tutto un po’ strano
Poi era divenuta l’abitudine e dopo due mesetti Ermal ballava sul bancone con quelle giacche che erano rimaste polverose nei camerini per anni, ma che a lui stavano certamente più bene rispetto al 89% delle persone in sala.
Giacche piene di brillantini e metalliche, sotto di esse alle quali metteva alle volte magliette bianche, alle altre magliette di band e alle altre rimanendo a petto nudo
Ora arriviamo a Fabrizio
Fabrizio che “spostate io vado solo a Garbatella se devo magna’, a San Basilio se devo saluta’ mi zia e a Tor bella monaca se devo scrocca’ ‘n passaggio” e insomma era da un po’ che non frequentava i locali notturni.
I pub delle ventidue pure, pure
Ma quelli notturni un po’ meno perché lavorava come muratore la mattina presto e in più le volte che faceva le ore piccole era perché aveva finito di cantare in qualche pub pure lui.
E insomma con gli amici si accordano FINALMENTE di andare in ‘sto pub che sono quasi tre mesi che non ci vanno e che cazzo facciamola ‘sta rimpatriata che la vita è una e bisogna viverla (?)
Lì dove Fabrizio esordisce con un “Qua m’hanno fottuto er posto. Ora ce sona ‘na band o che cazzo ne so! Quanno ‘na mattina so’ annato a chiede a parte che er proprietario m’ha squadrato da capo a piedi e ve giuro m’ha fatto ‘a TAC, ma poi ha detto che non me poteva prenne a sona’ er venerdì perché ce stavano altri fissi... LI MORTACCI LORO, che botta de culo, magari so’ raccomandati come ‘a merda.”
Qualcuno l’ha sentito, non farò il nome di chi è passato di lì insieme ad altri ballerini e amici, va.
Va beh tricchete e tracchete si mettono a bere
ed è giovedì
e a Fabrizio la musica house scazza parecchio, mentre quella dance gli fa troppo ridere, ma ballucchia un po’ di qua e un po’ di là sorseggiando rum e cola
Entrano i ballerini (tre femmine e due maschi) e così la folla può scatenarsi copiando le mosse o strusciandoglisi addosso
Fabrizio si spizza prima la tipa mora con il visetto carino carino e il seno che oh, mica male
Ma poi mentre continua a dondolarsi alla “guarda come dondolo, guarda come dondolo, baaallo il Twist” si ritrova a guardare il ragazzo che muove un sacco bene le gambe e ha un bel fisico slanciato, i capelli ricci e gli occhi semichiusi
e insomma tutte quelle pailettes sulla giacca che era impossibile NON vederlo
In realtà Ermal c’ha gli occhi semichiusi perché 1) sente meglio la musica e si sente più sciolto, si lascia trasportare 2)non vede così le persone che gli si strusciano pure troppo addosso per i suoi gusti e può ignorarle 3)è ancora un po’ impacciato comunque, nel senso che un pochino pochino si vergogna, ma ehi ‘io sono Ermal -c’ho la faccia tosta- Meta’ e quindi niente.
Fabrizio gli si avvicina e se lo guarda dal basso, prova a parlargli, ma nisba
Ermal proprio non lo calcola
Ermal non demorde nella sua opera di ‘faccio il mio lavoro, lasciatemi in pace, cristo’ finché quello non gli dà un pizzicotto sulla caviglia
Ermal ora trova il moro davanti a sé: oh no è quel tipo un sacco antipatico che sì, ha ascoltato prima dire cose sulla sua band con insulti a casaccio.
E insomma sempre fidelis quindi tiè: io suono qui e tu no e mi stai sul cazzo a pelle perché anche se non lo sai io ti sto sul cazzo a pelle perché sono un membro di quella band che t’ha soffiato il posto.
“Oh me chiamo Fabbbbrizio, te?”
Dall’alto Ermal se lo guarda un po’ confuso perché in realtà riguardandolo bene quello davanti mica è poi tanto male
e non sembra un depravato
o una assatanata
ma un tipello con un bicchiere in mano dove il ghiaccio gli ha fatto ‘ciao ciao’ dieci minuti prima ed è tutto annacquato il contenuto
“Io sono Ermal” gli fa, mentre si accuccia a guardarlo mettendosi alla stessa altezza e piegando i bei jeans cerati
La musica è un sacco forte quindi urlano in realtà
Parte “What is love” ed Ermal se la ridacchia leggermente: “ti va se ti ballo qualcosa? Non te ne andare”
“E CHI SE MOVE” (frase che mia sorella ha sinceramente urlato mentre stavamo a Mirabilandia dentro la casa della paura, va beh, che ricordi... come farsi riconoscere da brave romane, va beh va beh)
Fra ancheggiamenti vari e un culo praticamente troppo bellino per Fabrizio, la canzone finisce
Ed Ermal deve andare nei camerini, ma Fabrizio lo segue su sua richiesta
“Sembra l’inizio di un porno”
“No ‘o ‘so è l’inizio di un porno?” gli fa eco Fabrizio
“Ma, guarda, non credo proprio” ribecca Ermal che sorridendo sornione si leva la giacca, la maglia bianca e si dà una sciacquata nel rubinetto, poi si asciuga, si rimette una nuova maglia e continua a guardare Fabrizio attraverso lo specchio
“Non ti fare una impressione su di me. Non sono uno da una botta e via.”
Fabrizio tace. Non ha capito se è serio o lo sta prendendo per il culo
“Sono un po’ difficile, sai?” continua Ermal e si sistema i capelli allo specchio
“Non sei ancora scappato via? Oh, mi fa piacere. Appena metto in chiaro queste cose mi mandano a fanculo”
“No in realtà... mi sa che ho bevuto troppi shottini e non ci sto capendo un cazzo” prova Fabrizio
Ridono entrambi
Poi Ermal se ne esce con: “Io sono il cantante della band su cui hai scazzato quando sei arrivato e no, non sono raccomandato. Arrotondo proprio con questi soldi qua” E aveva fatto uscire una banconota dalla cintura dei jeans che qualcuno gli aveva infilato chissà quando chissà come fra i vari strusciamenti e le persone che salivano sul bancone solo per ancheggiare vicino ai ballerini
Fabrizio.exe
ma tanto
profondamente
Ma perché gliel’ha detto.
Ermal glielo ha detto perché è un po un figlio di buona donna /pora stella/ e gli piace proprio stuzzicare le persone e c’ha l’orgoglio ed è permaloso e non gli è andato giù il commento.
Fabrizio è romano de roma super sciallo quindi tossicchiando e mettendosi una mano sugli occhi fa: “Eh beh oh allora grazie al cazzo che non c’avevo possibilità, guara che figurino sei. Sul palco a canta’ farai innamorare tutti”
Fabrizio.exe che insomma prova a rigirare la frittata.
Ma Ermal è permalosino suscettibile e: “Non voglio che quando suono mi si dica “SEI BELLISSIMO” non sono un modello, sono un cantautore.”
Porello Fabrizio, voleva fargli un complimento
Però ha capito che intende
Perché manco lui vorrebbe questo trattamento, anzi, nelle sue canzoni c’è anche questo aspetto “il successo è troppo facile per quelli belli SVEGLIATI” (grazie Fabbrì)
“Hai ragione.-
-Scusa.” ci prova. In realtà più ci parla e più gli piace il caratterino di Ermal e anche se la situazione è tutta un ????????? e stanno in un camerino comune e gli altri ballerini e staff gli passano accanto loro si ritrovano in questi battibecchi un sacco bene e a loro agio
“Però oggi ballavi no? E allora te posso dì che sei bravo a balla’, no?” Daje Fabbrì all’attacco.
“Certo.” Ermal fa spallucce, ma in realtà sta gongolando.
Inutile dire che l’indomani a lavoro Fabrizio c’arriva con due occhiaie e non hanno manco scopato
ma minchia quanto hanno parlato e quanto si trovavano d’accordo
e poi hanno pomiciato
ed è stato tutto così cute e scemino e ha perso di vista pure i suoi amici che boh, c’ha 25 anni e invece che sesso, alcol and rock n’ roll, si è trovato il fluff, tell me more and dance with my self
E non se ne lamenta.
Quella sera va ad ascoltarlo cantare col suo gruppo sempre nello stesso pub e Fabrizio forse non vorrebbe dire che ha una crush fortissima
ma ha una crush fortissima
perché ha visto Ermal chiudere gli occhi mentre canta ed è cento volte più travolgente di tutto il fisico e la gambe e le giacche appariscenti e i ricci carini e il sorriso smirk e gli occhi semichiusi mentre balla
È Ermal
Quello è Ermal
Che cazzo ne sa? Non lo sa. Ma gli piace pensare sia così.
“Cazzarola”
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