Tumgik
torredellestelle · 6 years
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Titolo: Try Me Fandom: Final Fantasy XV Personaggi: Cor Leonis, Loqi Tummelt Relationship: Male/Male Pairing: CorLoqi Genere: Introspettivo Avvertimenti: World of Ruin, Established Relationshio Rating: SAFE Conteggio parole: 1200 Intro:
Quando erano arrivate delle richieste di aiuto da parte degli allevatori di Chocobo ubicati nella base di Meldacio, che avevano sfortunatamente perso alcuni esemplari a causa dei Behemoth sempre più violenti, Cor si era ritrovato suo malgrado diviso tra il “lasciamo che sia Iris ad occuparsi dell’organizzazione” e il “devo gestire la situazione personalmente”.
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torredellestelle · 6 years
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Il Principe Prompto di Niflheim sogna da sempre una vita normale, lontana dal Castello e dalle responsabilità che da troppo pesano sulla sua schiena. Suo zio, il Cancelliere Izunia, suo mentore e consigliere sin da quando era bambino, decide di firmare un trattato di pace con Insomnia, da secoli in conflitto con Niflheim. Così Prompto parte verso la Capitale, da sempre il suo sogno più ambito, entusiasta di poter cambiare aria e di vedere volti nuovi e, perché no, farsi finalmente qualche amico.
Tipo di Lavoro: Aesthetic Note: 1. Inspired by The Lonely Prince by @miryel89. 2. The Lonely Prince it's my favorite Italian fic! Soooo... keep it up, honey! I love your work and this is just a small gift!
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torredellestelle · 6 years
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Tipo di Lavoro: Aesthetic Note: 1. Inspired by the amazing Mer!Prompto AU created by @izuumii. 2. I can no longer draw as I would like, so I dedicate myself to these stupid things
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torredellestelle · 6 years
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Titolo: Il Passo Silenzioso della Neve Fandom: Final Fantasy XV Personaggi: Noctis Lucis Caelum, Prompto Argentum (Prompta Argentum), Ardyn Izunia Relationship: Male/Female Pairing: Promptis (Accennato LuNyx) Genere: Introspettivo, Fantasy Avvertimenti: Alternative Universe (AU), GenderSwap, Inspired by Frozen (2013), Inspired by Anastasia (1997), Inspired by Tangled (2010), Magic, Fem!Prompto, Major Character Injury, Injury Recovery Rating: SAFE Conteggio parole: 3590 Capitoli: 1 su 7 Intro:
Da secoli, Niflheim veniva chiamato l’Impero del Ghiaccio, da quando la Glaciale Shiva aveva fatto abbattere su quelle terre, un tempo verdi, la sua ira per punire l'ingordigia umana. Era una storia che aveva radici antiche, ma che solo nell'ultimo ventennio aveva assunto una nuova sfumatura di paura e pregiudizio. L'ennesima punizione che le genti di quelle lande avevano dovuto affrontare in seguito alla tragica fine del Re e della Regina di Niflheim, dopo l'ormai storica rivolta degli imperiali. Infatti, in quella notte di guerriglia e fiamme si era decretato non solo il ritorno, da alcuni tanto sperato, dell’Impero ma anche la fine dei due sovrani, colpevoli secondo gli imperiali di aver salvato la loro unica figlia e non la popolazione di Niflheim.
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Da secoli, Niflheim veniva chiamato l’Impero del Ghiaccio , da quando la Glaciale Shiva aveva fatto abbattere su quelle terre, un tempo verdi, la sua ira per punire l'ingordigia umana. Era una storia che aveva radici antiche, ma che solo nell'ultimo ventennio aveva assunto una nuova sfumatura di paura e pregiudizio. L'ennesima punizione che le genti di quelle lande avevano dovuto affrontare in seguito alla tragica fine del Re e della Regina di Niflheim, dopo l'ormai storica rivolta degli imperiali. Infatti, in quella notte di guerriglia e fiamme si era decretato non solo il ritorno, da alcuni tanto sperato, dell’Impero ma anche la fine dei due sovrani, colpevoli secondo gli imperiali di aver salvato la loro unica figlia e non la popolazione di Niflheim. Si narrava infatti che la Principessa, nata prematura, non fosse stata benedetta dall'amore degli dei, ma che invece fosse stata afflitta, sin dalla culla, dalla Piaga delle Stelle, una malattia febbrile che aveva costretto la neonata a restare sotto stretta sorveglianza medica alla ricerca di una cura non invasiva e pericolosa per la tenera età della Principessa. L'impotenza dei medici aveva spinto il Re e la Regina alla ricerca della benedizione degli dei come ultima spiaggia disponibile. Avevano pregato i Sei con tutta la purezza e il dolore di due genitori disperati e alla fine le loro richieste erano state accolte proprio dalla Glaciale, colei che aveva punito Niflheim con l'inverno eterno. La Principessa era miracolosamente guarita e con lei anche le speranze del regno in una possibile benedizione di Shiva, affinché la Dea li salvasse da quei ghiacci senza fine. Era stato proprio quel dettaglio ad alimentare la morsa dei ribelli imperialisti che resistevano in contrapposizione alla ben più pacifica famiglia reale sin dalla condanna di Shiva. L'Impero di Niflheim era caduto proprio in quel periodo. Lo scontento e la paura, generati dalla collera degli Dei che si era abbattuta indistintamente su tutto il territorio, erano stati tali da portare il popolo ad alzarsi contro l’Imperatore, dando inizio alla prima grande rivoluzione e alla creazione di una monarchia per elezione popolare, che rese i comandanti di quella rivolta i primi sovrani del neonato Regno di Niflheim. Nonostante la sconfitta, la scintilla imperiale non si era mai spenta, ed era stata alimentata da quei ghiacci che erano rimasti nonostante la gestione pacifica e giusta dei nuovi regnanti. Decennio dopo decennio, gli imperialisti avevano tenuto in vita quella piccola fiamma, che alla fine riuscì a divorare in un fuoco quando, dopo il dono della Glaciale, iniziò a spargersi la voce che il Re e la Regina avessero più a cuore la loro famiglia che il bene della popolazione, che non avessero mai pregato per la fine dell'inverno eterno... e nel malcontento generale, la loro dimora venne attaccata nel cuore della notte. Le guardie erano state prese alla sprovvista da un imperiale nascosto come amico all’interno delle sicure mura del palazzo, e con il supporto esterno degli altri rivoltosi, il Re e la Regina vennero dapprima arrestati e infine arsi vivi come sacrificio per l'Ardente, l'unico in grado di sciogliere quella neve perenne. Secondo la storia anche la Principessa fece quella stessa fine e sempre secondo le parole dei più superstiziosi la stessa Shiva, addolorata per la morte di quella sua ‘figlia’ e per il ritorno delle forze imperiali, non poté far altro se non vendicarsi, dando vita a una strega che nel cuore delle montagne di Niflheim uccideva i viaggiatori, rendendo quei luoghi dall'aspetto quasi fatato una trappola mortale. Erano trascorsi vent'anni fa quell'insurrezione e la strega continuava a mietere le sue vittime mentre l'Impero, guidato dalla ferma ed abile mano di Ardyn Izunia, piegava sotto il suo potere ogni libero pensatore, per spegnere qualsiasi scintilla di rivoluzione sul nascere. Chiudendo addirittura le porte di Niflheim a tutti i rapporti esterni sia con la vicina Tenebrae che con le più lontane Accordo e Lucis. Pochi erano infatti in grado di fuggire dall'inverno e dall'Impero e nessuno osava invece avventurarsi in quelle stesse terre innevate, portatrici di morte e maledizioni. Tuttavia, fu proprio dall'unione delle famiglie reali di Tenebrae e Lucis che nacque il bisogno di raggiungere le montagne dell'Impero. Una situazione non dissimile da quella che, vent'anni prima, gli ormai defunti sovrani di Niflheim si erano ritrovati ad affrontare. A soli quattordici mesi dalla loro nascita, il Principe Mani e la Principessa Sol avevano infatti contratto una malattia che traeva origine dalla Piaga delle Stelle e che, vista la giovane età, non poteva essere curata, almeno non senza operazioni troppo invasive e rischiose. I genitori avevano pregato i Siderei alla ricerca di una cura che non era tuttavia giunta sotto forma di miracolo, ma attraverso una visione che aveva destato Lunafreya Nox Flauret, Principessa di Tenebrae e madre dei due giovani gemelli, nel cuore della notte. «Helleborus », esalò, stringendo le braccia del compagno come se fosse la sua unica ancora di salvezza, «Cresce solo nelle montagne di Niflheim... tra la neve… è molto velenoso ma con un estratto di quel fiore potremo curare i nostri figli». Era un azzardo oltre che un rischio, ma era anche l’unica speranza di salvare i due bambini. Le discussioni non durarono a lungo perché, in un certo qual modo, la decisione era già stata presa: dovevano partire per Niflheim e sfidare i ghiacci eterni di quel regno e ogni sua superstizione. La vita dei gemelli era appesa a un filo e alla fine, senza dare l’opportunità di controbattere ai due genitori, fu Noctis Lucis Caelum a lasciare la sicurezza di Insomnia per avventurarsi nelle terre dell’Impero. Non poteva permettere né alla sua cara Luna né tanto meno a suo cugino, Nyx Ulric, di lasciare il capezzale dei figli. Per quanto Noctis volesse essere positivo, e convincersi che sarebbe tornato vincitore dalla sua missione, era ben consapevole che i suoi nipotini avevano le ore contate - poco più di un mese, avevano detto i dottori - e proprio per quel motivo avevano bisogno più della presenza dei genitori che della sua. Avrebbe fatto di tutto per la sua famiglia e per allontanare quel senso di impotenza dinanzi al malore dei bambini, quindi non esitò ad affrontare sia la traversata in mare che i ghiacci che abbracciavano il territorio adiacente al Regno di Tenebrae, terra natia di Lunafreya. Niflheim si presentò ai suoi occhi esattamente come l'aveva immaginata: una landa desolata di neve e gelo. Non fu difficile riuscire a superare i confini e a seguire la strada principale, battuta giornalmente dagli imperiali, alla ricerca di un qualsiasi segno di vita che riuscisse indirizzarlo verso il fiore che che stava cercando. Al contrario, non fu per niente semplice sfuggire al controllo delle guardie che pattugliavano i confini. Erano ostili verso gli stranieri, e Noctis dovette più volte nascondersi per evitare incontri spiacevoli che avrebbero rallentato non poco la sua missione che doveva essere il più rapida possibile. In groppa al suo Chocobo, unico suo compagno di viaggio, trovò un primo villaggio dopo mezza giornata di cammino e lì, con le tasche piene d'oro - l'unica moneta in circolo nell’Impero - fu quasi più semplice ottenere le informazioni desiderare che, tuttavia, si rivelarono non essere realmente utili come voleva. «L’helleborus cresce solo nel Picco di Vogliupe e significa andare incontro a morte certa, ragazzo. Non importa quanto oro tu possa possedere: la strega non guarda in faccia nessuno. Ricchi e poveri. Uomini e donne! E che il Tonante mi fulmini se non ha preso anche dei bambini quella strega!» Tutti nella piccola cittadina riferirono quelle stesse parole, chi in modo più spaventato e chi invece con toni più coloriti. La leggenda della Strega dei Ghiacci era giunta anche a Lucis, e Noctis l’aveva sentita raccontare addirittura da Lunafreya, il cui regno d’origine veniva sfiorato quasi con delicatezza dall’inverno di Niflheim. Eppure non poté non provare una sorta di inquietudine nel sentire vecchi e giovani mostrare senza alcuna vergogna lo stesso identico terrore. Anche a Lucis vi erano leggende non dissimili - come la Maledizione di Pitioss -, vi erano anche pareri discordanti che mettevano in dubbio la veridicità di quei racconti. Al contrario, lì a Niflheim, tutti sembravano aver fatto fronte comune contro quel nemico che, pur rimanendo nascosto agli occhi della popolazione, continuava a terrorizzare tutti coloro che si avventuravano tra le sue montagne. Ascoltò con attenzione ogni versione, fatta di fortunate testimonianze e fantasiose descrizioni ed epiteti per colei che si nascondeva tra i ghiacci, e solo dopo aver sborsato altro oro riuscì a convincere un uomo, ben restio a fornire quelle informazioni, a segnare in una mappa l’ubicazione del fiore che stava cercando… perché per quanto quella paura si stesse insinuando anche nel suo cuore, il suo animo conosceva già un timore ben più grande: la morte dei suoi amati nipoti. La loro vita era nelle sue mani, e non poteva né voleva tirarsi indietro dopo essere arrivato a un passo dall’helleborus. Lasciò il villaggio la mattina successiva, e con le tasche alleggerite di quasi tutto l’oro che possedeva e con una crescente premura, Noctis spronò il suo Chocobo - coraggio e resistente anche a quelle basse temperature - al galoppo, lanciandosi verso la sua meta: il Picco di Vogliupe, l’ultima speranza per Mani e Sol. Noctis vagò per due giorni interi, trovando riparo solo in cupe gelide grotte e ai piedi di alcuni secolari alberi cavi. Quando aveva lasciato Insomnia si era preparato all’eventualità di affrontare quelle gelide terre. Aveva indossato gli abiti più pesanti che possedeva e si era addirittura assicurato di portare con sé solo cibi facilmente conservabili anche alle basse temperature, non era andato allo sbando né aveva mai cercato di considerare quel viaggio semplice. Era partito con in mente solo il suo obiettivo, ben consapevole dei pericoli e delle difficoltà che avrebbe potuto incontrare durante il suo cammino. Tuttavia, nel accecante bianco di quella landa, che sembrava rendere ogni percorso e albero simile a quelli che li avevano preceduti, Noctis si ritrovò suo malgrado a guardare la mappa come se questa non esistesse. Quel pezzo di carta sembrava quasi aver perso ogni significato e punto di riferimento, e anche se i suoi occhi potevano vedere la sua meta, il Picco di Vogliupe, la strada non gli sembrava quella tracciata dalle carte. Trovò però la forza di impuntarsi ancora, allontanando lo sconforto e i dubbi dal suo animo per concentrarsi sempre e comunque sulla sua missione, soprattutto durante la terza notte quando, come un pianto disperato, una tormenta di neve iniziò a graffiarlo con le sue raffiche di vento. Si ritenne fortunato nell'essere riuscito a trovare un rifugio in modo più o meno celere, e mangiando della carne secca, rimase accovacciato accanto al suo Chocobo per abbracciarne il calore, mentre fuori dalla grotta il vento sembrava quasi ululare, trasportando con sé rumori vicini e lontani, trasformandoli in un canto di dolore e inquietudine, che accompagnarono Noctis in un sonno non privo di incubi, fatti di crudeli spiriti di ghiacci e morte. La mattina successiva fu complicato rimettersi in marcia. La neve sembrava aver cancellato ogni strada battibile e Noctis fu costretto a seguire una via quasi immaginaria, prendendo come unico riferimento il Picco di Vogliupe. Stava continuando a rischiare e non poté non ricordare vagamente gli avvertimenti degli abitanti del villaggio che aveva visitato. «La strega ti catturerà e ti impedirà di ritrovare la strada. Quelle montagne sono vive e cambiano», avevano detto e Noctis, tentando di ragionare nel modo più lucido possibile, aveva escluso a priori quell’ipotesi. Perché il bianco della neve immacolata e il freddo potevano portare una persona a confondersi, inoltre le frequenti tormente rendevano non poco complicato l’orientamento. Ogni superstizione legata alla strega poteva benissimo trovare una spiegazione logica, e a lungo andare l’unico nemico oltre il freddo era la mente che come un’arma a doppio taglio poteva sia mostrare la realtà che la finzione, alimentata dalle paure dell’animo umano. Noctis non voleva cadere in quella trappola eppure, quando raggiunse un’ampia vallata innevata, con alberi cristallizzati che venivano baciati dai tenui raggi del sole creando suggestivi giochi di luce, tutti gli sforzi fatti fino a quel momento sembrarono quasi venir meno. Una voce limpida e chiara risuonava come un triste eco tra le montagne fino a quella valle, un canto di solitudine che colpì il cuore di Noctis come una freccia, mozzandogli il fiato. Non era il canto del vento, né il verso di qualche animale, quella che stava ascoltando era una voce umana che la sua mente associò, crudelmente, alla figura della strega. Una ‘sirena dei ghiacci’ , l’avevano definita alcuni al villaggio, paragonandola a quegli esseri mitologici che abitavano il mare e che attiravano i poveri marinai nel profondo degli oceani con le loro voci suadenti. «La potrai sentire cantare… nella tempesta e nella quiete… ma non ascoltarla: è solo una menzogna», dicevano gli abitanti del luogo, raccontando di come quelle lande desolate, fatte di neve e gelo, si fossero trasformate in vere e proprie tombe tra i ghiacci. Tuttavia, per quanto Noctis volesse aggrapparsi alla logica e alla sua missione, non poté non chiedersi quanti di quei racconti erano reali e quanti, invece, ingigantiti dal pregiudizio e dalla paura di quell’inverno eterno. Perché, forse cadendo lui stesso nella trappola di quel canto malinconico, non riusciva a credere che una persona dalla voce così angelica potesse essere una strega malvagia. “Potrebbe esserci un villaggio non lontano, un rifugio…” , si disse, tentando di scacciare il pensiero dell’essere maligno che abitava quelle lande, “e il vento sta portando fin qui questa voce”. Era la spiegazione più logica, e a ben pensarci Noctis doveva anche ammettere che era più che normale vedere le menti più deboli e confuse per il gelo cadere vittime di quell’inconsapevole inganno, un rischio che lui stesso aveva corso. Quei suoi ragionamenti, tuttavia, trovarono un ulteriore conferma quando alle sue orecchie smise di giungere quel canto tanto triste e malinconico. L’intera vallata, infatti, venne riempita dal ruggito forte e rabbioso di un Behemoth che fece imbizzarrire il Chocobo di Noctis per lo spavento di trovarsi dinanzi al suo nemico naturale. Il giovane uomo cercò di calmarlo e di darsi alla fuga con il suo compagno, ma la bestia, probabilmente infastidita dall’ingresso nel suo territorio, si lanciò subito all’attacco impedendogli di scappare. Venne infatti disarcionato e la sua rovinosa caduta sulla neve e sulle rocce, gli strappò un alto lamento di dolore. Il Chocobo, spaventato e più leggero senza il suo passeggero, fuggì verso l’esterno della vallata inseguito prontamente dal Behemoth e dai suoi ruggiti irosi, i quali - per fortuna - impedirono a Noctis di perdere i sensi a causa dello shock. Quella era probabilmente la fine più verosimile dei viaggiatori che si avventuravano per quelle montagne, una distrazione dettata dalla superstizione e le bestie selvatiche che prendevano il sopravvento. Si rigirò nella neve fino a ritrovarsi in posizione prona, stringendo i denti per una lancinante fitta al fianco destro che lo fece quasi piegare in due. Portò una mano sulla parte lesa, trattenendo il respiro nel rendersi conto di provare lo stesso identico dolore non solo nel muoversi ma anche nel toccarsi. “Solo una botta” , si disse tentando di respirare in modo più controllato. Era caduto altre volte dai Chocobo e conosceva la sensazione, non doveva lasciarsi prendere dal panico perché era in un territorio pericoloso e non era per niente fuori pericolo. Si alzò con non poca difficoltà, continuando a stringere la mano sul fianco, e si guardò attorno cercando di individuare una via di fuga. Il Behemoth era lontano ma sarebbe tornato indietro ed era anche probabile che non fosse l’unico. “Devo stare attento” , si incoraggiò iniziando a muoversi verso degli alberi che gli avrebbero potuto fornire un riparo sia dalle bestie feroci che dal freddo della notte, se le cose si fossero messe ancor più male. Si trascinò, appoggiandosi più volte ai freddi tronchi degli alberi, sperando di poter utilizzare presto il richiamo per i Chocobo e riportare a sé il suo pennuto - possibilmente illeso. Era pienamente consapevole delle sue colpe, si era lasciato distrarre da quel canto struggente e si era reso conto della minacciosa presenza dei Behemoth solo quando era ormai troppo tardi. Strinse i denti e, aggrappandosi all’idea di un rifugio, o di un piccolo centro abitato non lontano da quel luogo - l’ipotetica provenienza di quella voce -, Noctis si impose di continuare a camminare, fermandosi solo di tanto in tanto per utilizzare inutilmente il richiamo per il suo Chocobo. L'animale aveva un ottimo udito, e le ipotesi erano due: o era troppo distante o il Behemoth lo aveva raggiunto. Ovviamente sperava fosse solamente troppo lontano per sentire il fischietto e per quel motivo non si arrese e continuò a richiamarlo sperando di incontrare di nuovo il suo prezioso compagno. Tuttavia, la fortuna non girò dalla sua parte e a poche ore dal calare del sole si rese conto di non aver ancora trovato un vero e proprio riparo e l’assenza del suo Chocobo a tenergli non solo caldo ma anche compagnia avrebbe iniziato a farsi sempre più pesante. Quando il sole sarebbe scomparso dietro le alte vette di quelle montagne innevate, le temperature sarebbero scese ulteriormente, e il rischio di altre tempeste notturne era troppo alto per poter anche solo pensare di accontentarsi di un qualche albero cavo. Aveva bisogno di un rifugio più sicuro e aveva poco tempo a disposizione, infatti appena il cielo iniziò a colorarsi di una piacevole tonalità rosa, segno del tramonto imminente, Noctis si ritrovò costretto a scivolare contro il tronco di un albero. Sentiva le gambe tremare e formicolare per lo sforzo, e il dolore al fianco non era diminuito, segno della formazione di un ematoma. “Sono nei guai”, si disse nervosamente, imponendosi di riprendere a camminare pur di non rimanere in una zona così aperta e facilmente raggiungibile dalle bestie selvatiche. Fece qualche altro metro, poi la vallata, che fino a qualche momento prima sembrava quasi brillare con gli ultimi raggi del sole, venne oscurata da delle cupe nubi richiamate da un vento gelido e crudele. Stava arrivando una nuova tormenta e Noctis sapeva che non sarebbe sopravvissuto ad essa. Avrebbe combattuto, non si sarebbe mai arreso, ma non sapeva quanto la sua forza di volontà sarebbe riuscita a contrapporsi a quella della natura, infatti le sue ginocchia furono le prime a cedere quando il vento e la neve iniziarono a sferzarlo con violenza. Arrancò con difficoltà, tenendo gli occhi socchiusi e una mano davanti al viso per potersi proteggere dal vento, i cui ululati, sempre simili a un pianto disperato, sembravano quasi accompagnarlo ad ogni passo. La visibilità si fece ben presto minima nonostante gli sforzi, e Noctis si ritrovò a muoversi solo di albero in albero per non cadere e per cercare un rifugio di fortuna. Tremava da capo a piedi, e non sentiva più né le mani né il viso, era in una situazione drammatica e per quanto stesse cercando di non fare ulteriori errori, non poté non mettere il piede in fallo, ritrovandosi a ruzzolare sulla neve di un piccolo dislivello che, ovviamente, non era stato in grado di vedere. Quella caduta inaspettata gli strappò un nuovo verso di dolore. Gli girava la testa - forse a causa di una botta, ma il freddo era tale da essere quasi un anestetico naturale -, ed era quasi certo di sentire il vento farsi più forte e quei lamenti diventare sempre più simili a dei singhiozzi. La sua immaginazione gli stava giocando dei brutti scherzi, soprattutto quando gli parve di vedere delle luci non lontano dal dislivello nel quale era caduto. Erano alte, simili a quelle delle torri di un castello. Da quel che ricordava della mappa non vi erano edifici così imponenti nelle vicinanze ma visto che aveva perso il senso dell’orientamento già da un po', poteva essersi spostato molto più di quello che pensava. Sperò non si trattasse di un'illusione, perché quella poteva essere per davvero la sua voce speranza di sopravvivenza, e arrancando ancora nella neve, con le forze che minacciavano di abbandonarlo, Noctis provò a raggiungere quelle lontane luci. Combatté contro la stanchezza e il vento, ma soprattutto contro quei lamenti sempre più forti e disperati che, ad ogni passo, gli entravano dentro lasciandogli un vago senso di angoscia. Ormai privato della cognizione del tempo, proseguì quella sua rincorsa verso la salvezza e non poté non trarre un sospiro di sollievo quando le sue mani si posarono sulla fredda roccia di un muro. Era reale, poteva sentirlo chiaramente a contatto con le sue dita ormai congelate, e seguendolo palmo a palmo tentò di trovarne l'ingresso. Perse più volte l'equilibrio ma, testardo, continuò ad alzarsi. Ancora e ancora, fino a quando non trovò ciò che stava cercando così disperatamente: un portone, fatto con un legno scuro e liscio. Strinse i denti e iniziò a battervi i pugni sopra nella speranza di attirare i padroni di casa. Sentì la debole pelle delle sue mani venire tagliata ad ogni colpo sul portone, ma neanche quello riuscì a fermarlo. «A-aiutatemi!», provò a gridare, ma la voce suonò bassa e flebile, troppo roca per essere realmente avvertita dagli abitanti del palazzo. Insistette ancora e ancora, fino a sentire le forze iniziarono ad abbandonarlo lentamente. Scivolò fino ai piedi del portone, appoggiandosi ad esso con gli occhi chiusi mentre la debolezza prendeva il sopravvento, trascinandolo verso un riposo che desiderava ma che sapeva di non potersi permettere. Non poteva finire in quel modo, si disse stringendo i denti. Noctis aveva una missione, delle vite dipendevano da lui... ma ormai la parola ‘fine’ sembrava già scritta.
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torredellestelle · 7 years
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The work of a whole day. Atlantis is one of my favourite Disney movie and Promptis is one of my OTPs. So… I continue to not be able to draw properly when it comes to these things, but I’m almost satisfied. I also put this thing in my bullet journal because I want to see my work whatever I wanted <3 #promptis #promptoargentum #noctisluciscaelum #finalfantasyxv #atlantis #bulletjournal #drawing #storyboard #leuctturm1917
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torredellestelle · 7 years
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Titolo: Fine di un Incubo Fandom: Final Fantasy XV Personaggi: Ignis Scientia, Gladiolus Amicitia, Original Characters, Noctis Lucis Caelum, Prompto Argentum Relationship: Male/Male Pairing: Gladnis (Accennato Promptis) Genere: Introspettivo, Angst Avvertimenti: Everybody Lives, Child Abuse, leggero MPREG, Hurt&Comfort, Violenza Rating: SAFE Conteggio parole: 12515 Capitoli: 1 su ?? Intro:
Erano trascorsi quasi undici mesi dal ritorno della luce su Eos e, grazie agli sforzi congiunti di tutti i sopravvissuti che si erano riversati a Lestallum in tutti quegli anni, Insomnia si stava lentamente risollevando, diventando un simbolo di speranza e di rinascita per tutti coloro che avevano visto la morte in faccia più di una volta. Il Re Noctis Lucis Caelum era salito al trono in modo quasi inaspettato dopo essere scomparso per oltre un decennio, ma il suo ritorno, insieme alla luce e alla fine della Piaga delle Stelle, venne accolto ugualmente con gioia e sollievo.
  Erano trascorsi quasi undici mesi dal ritorno della luce su Eos e, grazie agli sforzi congiunti di tutti i sopravvissuti che si erano riversati a Lestallum in tutti quegli anni, Insomnia si stava lentamente risollevando, diventando un simbolo di speranza e di rinascita per tutti coloro che avevano visto la morte in faccia più di una volta.
Il Re Noctis Lucis Caelum era salito al trono in modo quasi inaspettato dopo essere scomparso per oltre un decennio, ma il suo ritorno, insieme alla luce e alla fine della Piaga delle Stelle, venne accolto ugualmente con gioia e sollievo. Accanto a lui i compagni di sempre, il suo Scudo Gladiolus Amicitia, il consigliere Ignis Scientia e il suo migliore amico Prompto Argentum che si era rivelato essere molto più importante per il Re di quanto il mondo era pronto ad accettare.
La vita non era stata gentile con Prompto ma alla fine si era rivelata essere la migliore di tutte quelle che aveva mai immaginato. Ormai le sue origini erano di pubblico dominio così come le inusuali abilità che, il suo corpo creato in laboratorio, lo portarono ad essere l’unico uomo al mondo in grado di rimanere gravido e di dare alla luce un bambino, sano e forte, che divenne la sua stella in quella decade di buio.
Era stato Ardyn Izunia, quando ancora non sapeva nulla del suo stato fisico, a svelargli quella crudele verità. Lo definì un mostro, un essere che aveva ragione di esistere solo ed esclusivamente in un laboratorio, perché gli esperimenti fatti sul suo corpo lo avevano reso in grado di accogliere dentro di sé la vita e di donarla poi al mondo… ed era ironico, dato il destino di morte che spettava agli MT.
«Un inutile Piano B di tuo padre», aveva spiegato Ardyn e Prompto solo qualche mese più tardi, nella disperazione per la scomparsa di Noctis, comprese realmente a cosa si stava riferendo l’ex Cancelliere di Niflheim. Aspettava un bambino, il figlio del Re di Lucis, che lui e Noct avevano inconsciamente concepito ad Altissia prima della battaglia contro Leviathan. Avevano sempre fatto l’amore con le dovute protezioni ma quella notte, all’alba dell’evento che avrebbe potuto cambiare la vita di entrambi, avevano semplicemente deciso di condividere i loro sentimenti in modo più profondo e folle… e, ironicamente, era stato quello il risultato.
Solo grazie al pensiero di poter dare alla luce il figlio di Noctis, Prompto riuscì a farsi forza e a non lasciarsi abbattere e sempre affiancato e protetto da Gladio e Ignis, fu in grado di partorire Sirius Noctis Lucis Caelum . Un bambino dai capelli neri come la notte e gli occhi tendenti al viola che aveva ereditato da Prompto insieme ad una marea di lentiggini.
Sirius era il suo piccolo miracolo, l’unica cosa buona nata dal suo corpo creato in laboratorio. Solo per lui Prompto aveva superato dieci lunghi anni senza Noctis, sperando ogni giorno di poter guardare il Principe - che ormai doveva chiamare Re - e raccontargli di loro figlio senza scorgere perplessità e disgusto, come tante altre persone avevano già fatto durante quella decade di oscurità.
Alla fine, come il più lieto degli epiloghi, Noctis era tornato e aveva accolto la notizia di Prompto con emozione e incredulità, arrivando addirittura a definire quell’evento come un miracolo .
Era stata quella gioia, insieme all’estremo sacrificio dell’anima di Lunafreya, ad evitare il compimento della profezia e il miracolo si era rivelato essere vero. Il finale perfetto per quel capitolo di storia tanto cupo e triste e l’inizio di una nuova era, baciata dalla luce del sole e dalla speranza.
In quei dieci mesi, il Re Noctis e il suo consorte Re Prompto - ancora faticava ad accettare di essere diventato parte della nobiltà - si destreggiarono tra la ricostruzione di Insomnia e di Lucis e gli obblighi genitoriali, visto che l’ormai Principe Sirius aveva bisogno di conoscere il padre che, a causa dei Siderei e della profezia, non era stato con lui nei primi dieci anni della sua vita.
Fu facile per entrambi legare, in primis grazie al carattere solare e fiducioso di Sirius e per secondo il bisogno di Noctis di avere una famiglia con le persone che amava. Una famiglia che, a due mesi dal ritorno del Re e della Luce, iniziò già ad allargarsi con l’annuncio di una nuova gravidanza di Prompto… questa volta desiderata da entrambi.
La loro vita era perfetta, molto più di quanto avessero mai immaginato, ma com’era ovvio era necessario tenere i piedi per terra perché anche se a Lucis, grazie a Lestallum e all’energia del Meteorite, erano riusciti a cavarsela in qualche modo, altre zone di Eos e altrettanti abitanti non erano stati così fortunati.
Niflheim e Tenebrae erano diventati regni fantasma, e i pochi sopravvissuti che si erano rifugiati a Lucis, trovarono complicato far rinascere quei luoghi abbandonati da ormai troppo tempo, e per dare la possibilità a tutti di costruire una nuova vita, Noctis iniziò ben presto ad inviare aiuti verso ogni regno e città… anche nella capitale di Accordo: Altissia.
Data la posizione dell’arcipelago, pochi erano riusciti a lasciare le loro case per raggiungere Lucis e chi era stato costretto a restare nel Protettorato aveva dovuto affrontare il buio mitigato solamente dall’energia idroelettrica che sin dall’antichità aveva aiutato Altissia ad allontanare i daemon. Il buio perenne e la crescita esponenziale di quei mostri avevano tuttavia reso sempre più complicata la gestione della centrale idroelettrica e nel corso degli anni molte zone della città si erano ritrovate senza energia, in preda agli attacchi dei daemon.
Nel corso dei mesi successivi all’inizio della nuova era di luce, ad Altissia si erano subito impegnati con testardaggine e orgoglio per ricostruire l’amata città e restaurare tutto ciò che rischiava di andare perduto. Avevano accettato con sollievo gli aiuti provenienti da Lucis e, animati dalla speranza e dalla caparbietà tipica del loro popolo, furono tra i primi - dopo Insomnia - a restaurare una sorta di governo.
Venne eletta Hyacintha Euanthe come Primo Ministro, una donna forte e coraggiosa tanto quanto la compianta Camelia Claustra, e sin dai primi contatti con il Re di Lucis, Hyacintha si dimostrò abile nella politica e nella gestione della città e di tutto il Protettorato che, come rese chiaro sin dall’inizio, avrebbe ripreso l’antico nome di Repubblica .
Tuttavia fu quasi al nono mese di gravidanza di Prompto che giunse un messaggio strano nella scrivania di Noctis, una richiesta di supporto militare proprio per Altissia. In passato Accordo non aveva mai vantato una forte storia militare e quella richiesta, durante quel periodo di pace, allarmò non poco il Re.
La lettera parlava di un’organizzazione criminale che, nonostante gli sforzi, non erano ancora riusciti a stanare e che derubava non solo gli abitanti di Altissia, ma anche i pochi visitatori di buon cuore che giungevano in quella città per portare aiuti. Il lavoro di ricostruzione teneva occupate gran parte della forza lavoro e non avevano nessuno in grado di lavorare a quel delicato caso e per quel motivo, Hyacintha aveva preso l’importante decisione di affidarsi al Re di Lucis, definendo la sua richiesta come l’ultima spiaggia, il tentativo finale per riportare la pace ad Altissia.
Noctis discusse a lungo con i suoi compagni su quanti uomini inviare per aiutare l'alleata e, alla fine, fu Ignis a dare la sua opinione riguardo quella delicata operazione. Non vi era bisogno di un esercito né di un impiego massiccio di soldati, avevano bisogno di persone forti e soprattutto attente, in grado di avvertire il pericolo e con abbastanza prontezza di spirito e capacità di strategia per stanare l'organizzazione criminale. E anche se non era semplice ammetterlo, Ignis si ritrovò quasi costretto a fare il suo nome come membro della squadra da inviare ad Altissia. Nonostante la cecità, era e sarebbe rimasto uno dei migliori guerrieri di Lucis nonché ottimo stratega, e per quanto non volesse lasciare Insomnia - e il ritrovato Noctis - sapeva che se volevano un fare un lavoro efficiente e in breve tempo doveva per forza mettersi in prima linea.
Con lui Gladio che, ovviamente, sembrò rifiutare quasi categoricamente l'idea di lasciare andare Ignis da solo fino ad Altissia. Sapeva di avere degli obblighi nei confronti del suo Re, ma in quei dieci anni aveva assunto anche un altro obbligo, di natura sentimentale, che lo legava a Ignis.
«Iris prenderà il mio posto accanto a Noct», sosteneva, testardo come sempre, «inoltre, ci sono anche il Generale Leonis e Aranea. I nostri Sovrani e il Principe sono in buone mani».
Con quelle parole cercava non solo di convincere Ignis ma anche se stesso perché l'idea di lasciare Noctis e il piccolo Sirius - nonché Prompto ormai pronto a partorire - non lo entusiasmava assolutamente.
Fu una battaglia dura quella tra Gladio e Ignis, e anche grazie all'intercessione di Prompto a spuntarla fu lo Scudo del Re.
«Risolverete la questione in quattro e quattr'otto, ragazzi! E tornerete qui giusto in tempo per vedere la fase finale della mia evoluzione in balena», scherzava Prompto per incoraggiarli ad andare via, accarezzandosi il ventre prominente che, secondo le ecografie, ospitava ben due Principesse di Lucis, «prendetela come una vacanza, una pre-Luna di Miele visto che quando tornerete ed io sarò libero di muovermi, verrete costretti a sposarvi ufficialmente e verrete anche sommersi dalle mie foto!»
Era un pensiero piacevole ed emozionante per entrambi che, finalmente, avrebbero a loro volta potuto vedere la conclusione di quel capitolo della loro storia per abbracciare quello della vita matrimoniale. Non avevano mai pensato seriamente di sposarsi anche a causa dell'obbligo di Gladio di creare una nuova generazione di Scudi del Re , ma alla fine avevano superato quell'ostacolo, decidendo di affidare ad Iris il compito di Capofamiglia - cosa che la giovane donna accettò con orgoglio e non poca commozione visto che per tutta la vita si era sempre considerata lo Scudo Senza Re.
Di conseguenza, dopo aver assicurato il Primo Ministro riguardo l'invio dei rinforzi, Ignis e Gladio si prepararono per partire alla volta di Altissia, consci di formare in due un vero e proprio esercito.
Presero in prestito lo yatch del padre di Noctis che, dal ritorno di questo, era rimasto ormeggiato al Molo di Galdin sotto la fiera custodia di alcuni degli Angoni che in quegli anni avevano protetto Angelgard. In quel modo, si sarebbero potuti muovere in totale autonomia senza dover chiedere passaggi né aiuto ad altre persone già troppo impegnate nel ricostruire le proprie case.
Il viaggio, come previsto, si rivelò essere piacevole e quieto e impiegarono le ore di traversata nella creazione di vari scenari d'azione per sgominare quell'organizzazione criminale. Ignis, con le sue doti, aveva aiutato spesso i cacciatori durante gli anni di buio a creare piani di trasporto per i beni di prima necessità e soprattutto di recupero dei sopravvissuti, e come aveva sostenuto a Insomnia davanti al Re: le sue abilità sarebbero state molto utili in quelle situazioni. E, come era ovvio, in caso di ritorsioni e scatti di violenza da parte dell'organizzazione ci sarebbe stato Gladio con la sua forza a sistemare ciò che l'intelletto superiore di Ignis non riusciva a coprire.
Erano una squadra perfetta ed erano certi che quelle persone che si stavano approfittando della debolezza di Altissia non avrebbero avuto vita lunga con loro, ma al tempo stesso dovettero anche considerare di dover affrontare una situazione simile anche nella stessa Insomnia e in altre città di Eos.
«Nei momenti di difficoltà sono tre le personalità che emergono. I coraggiosi che combattono per superarle, chi invece si autodistrugge davanti agli ostacoli e chi, sfortunatamente, cerca di arricchirsi alle spalle dei più deboli», constatò infatti Ignis a metà viaggio.
Gladio si trovò, ovviamente, pienamente d'accordo con lui.
«Per il momento Altissia si sta risollevando abbastanza bene, e questa può essere considerata solo una sorta di contro indicazione... che come hai detto dobbiamo aspettarci anche in altri luoghi».
«Sarà una sorta di prova per poter gestire in modo più semplice ed efficace altre organizzazioni se ce ne fosse il bisogno», assentì Ignis.
«Spero che non accada. Da anni ormai ho scelto la speranza e la fiducia», commentò Gladio con un sorriso che, lentamente, si spense nel vedere in lontananza il profilo della capitale di Accordo.
Quel suo leggero cambio d'umore non passò inosservato per l'altro uomo, ormai abituato a riconoscere le emozioni del suo compagno anche solo dal respiro, e in quel momento lo aveva chiaramente sentito mozzarsi per un solo istante.
«Va tutto bene?», gli chiese con delicatezza, tendendo ancora le orecchie per avvertire ciò che Gladio non era in grado di dire a parole.
«Sì... tutto bene», mentì infatti l'altro uomo, «tu piuttosto. Te la senti davvero di tornare lì? Ci ho pensato a lungo ma... solo ora che vedo la città in lontananza mi sembra una... pessima idea», ammise.
Ignis ascoltò le sue parole con attenzione, ripetendole mentalmente prima di rispondere con un neutrale: «Perché non dovrei sentirmela?»
Era facilmente intuibile il timore di Gladio, ma Ignis non voleva mostrarsi debole.
«Per ciò che è successo…», spiegò l’altro, «ma penso che la mia sia solo una futile preoccupazione, vero?»
«Non possiamo cambiare il passato, ma possiamo agire sul futuro. Quindi ciò che è accaduto qui non deve più preoccuparci», riprese Ignis con tono fermo, posando una mano su quella dell’altro uomo, ascoltandone il battito del cuore attraverso quel semplice tocco.
«È solo che... l'ultima volta non è stato bello», ammise sincero.
«Non preoccuparti per me, sono ormai passati dieci anni ed ho accettato le cose come stanno», rispose con delicatezza, aggiungendo poi un: «ma se sei ancora legato al passato e ai ricordi di Altissia, forse dovresti lasciare questa missione solo a me».
Gladio si irrigidì subito per quell’affermazione che sfiorava dei nervi scoperti. Gli errori e le sconfitte del passato per lui non erano diventate delle cicatrici, ma erano come tumori maligni: un fantasma dormiente pronto a perseguitarlo da un momento all’altro. E ciò che era accaduto a Ignis in quella stessa città, ciò che aveva sacrificato per Noctis… era per Gladio una ferita ancora aperta, ma doveva ugualmente dimostrarsi forte, non solo per il bene del suo compagno ma anche per la riuscita di quella missione.
Si sforzò infatti di sorridere e di stringere con sicurezza la mano di Ignis.
«Va tutto bene Iggy. L’Impero non esiste più e questo luogo ha bisogno di noi», dichiarò, sorridendo nel sentire la stretta della sua mano venire ricambiata.
«Io sono tranquillo, ma temo che tu non lo sia», riprese Ignis, «ti assicuro che sto bene. Ho perso la vista in questo luogo, ma non per questo lo considero la causa della mia perdita».
«Lo so… perdonami se… mi preoccupo per queste cose», mormorò Gladio, «meno male che ci sei tu a ricordarmi queste cose».
«Dovere», rispose l’altro appoggiandosi con la spalla al suo compagno per fargli sentire la sua vicinanza.
«Siamo quasi arrivati… ormai non esistono più i cancelli che abbiamo visto al nostro arrivo dieci anni fa», commentò a quel punto Gladio, cercando come sempre di diventare in parte gli occhi di Ignis.
«Immagino siano tra le cose da ricostruire, ma che non rientrino nelle priorità del Primo Ministro».
«Già», annuì, portando lo yacht fino a quello che, un tempo, era il porto turistico di Altissia. Quella zona della città era nel bel mezzo della ricostruzione e Gladio non poté non tentare di trasformare ancora in parole ciò che i suoi occhi stavano vedendo.
Descrisse ad Ignis i piccoli e grandi cambiamenti, dalle case trasandate fino a quelle che lentamente stavano riprendendo il loro antico splendore, arrivando anche a parlargli delle persone che si muovevano indaffarate per le strade adiacenti al molo.
«Mi rincuora sapere che tutti stiano cercando di dimenticare l’ultimo decennio», mormorò Ignis, mente Gladio faceva fermare lo yacht in una zona libera, nella quale il suo compagno si sarebbe potuto muovere tranquillamente e senza troppi ostacoli.
«Siamo arrivati», annunciò infatti, spegnendo i motori ed intascando subito le chiavi della piccola imbarcazione.
«La nostra prima tappa sarà l’abitazione del Primo Ministro per farci aggiornare su tutto ciò che non ci è stato riferito per iscritto», ricordò Ignis, accettando senza problemi la mano di Gladio mentre questo lo aiutava a scendere dallo yacht.
Per quanto Ignis possedesse un’ottima memoria, era ben consapevole che la città che stava visitando in quel momento era solo un ombra di quella che aveva conosciuto dieci anni prima, e non trovò strano il fatto che il suo compagno stesse cercando di guidarlo, soprattutto dopo il discorso che si era concluso neanche un quarto d’ora prima, durante l’ultima parte del viaggio.
Decise comunque di non puntualizzare e di lasciar correre, trovando però impossibile non accennare un sorriso quando Gladio fece una sorta di deviazione dalla descrizione delle strade
«Nonostante tutto potremo… venire qui a festeggiare il matrimonio?», esordì, «È una città romantica e piena di storia, e un po' di sano turismo non guasterebbe visti i lavori che stanno facendo».
«Mi trovi d'accordo», assentì, «e sono sollevato dal fatto che tu stia cercando di accettare Altissia».
«È solo un luogo», rispose Gladio, «e devo lasciare il passato nel passato», concluse. Non sarebbe stato semplice ma ci avrebbe provato, almeno per l'intera durata di quella missione.
«Hai ragione», commentò Ignis, palesemente sollevato dalle affermazioni del suo compagno.
Proseguirono il loro cammino alla volta dell’abitazione nella quale alloggiava il Primo Ministro e Gladio, sempre accanto a Ignis, continuò a impegnarsi per essere i suoi occhi per quando si sarebbero dovuti muovere in autonomia per quelle stesse strade.
La dimora del Primo Ministro, per ovvie ragioni, non era il palazzo dove chi aveva gestito l’ex protettorato viveva, ma era invece un'abitazione semplice, aperta a tutti, adatta alle esigenze di chi doveva gestire la rinascita di Altissia.
Vennero accolti da una guardia del corpo, un uomo alto e serio, che li condusse nell’Ufficio della donna solo dopo aver visto il Timbro Reale di Lucis.
Hyacintha Euanthe si presentò subito loro mostrandosi, come previsto, forte e autoritaria ma anche ben diversa da chi l'aveva preceduta.
«Se il Re di Lucis ha inviato solo voi non posso che fidarmi», aveva detto infatti con gli occhi castani che studiavano i corpi e i movimenti dei due, «avete carta bianca. Bloccarvi qui a discutere di quisquilie riguardanti le abilità e ciò che dovete fare sarebbe controproducente. Ciò che però dovete sapere è che sono furbi e abili ladri. Non abbiamo scoperto molto, ma dovete tenere gli occhi aperti».
Semplice e concisa non aveva atteso lunghe e pompose presentazioni, né li aveva stuzzicati e interrogati per scoprire le loro abilità. Si era semplicemente fidata, dando loro un importante via libera.
Quando Magnus si era svegliato quella mattina era stato accolto dalle quiete lamentele dei bambini più piccoli di lui e dalle minacce di Marcus. Intimava loro di stare zitti e di fare il lavoro per il quale erano lì.
Aveva dieci anni, da quello che dicevano gli uomini che vivevano lì con lui e gli altri bambini, ed era nato e cresciuto nell’oscurità di Altissia, abbandonato come tanti altri dai suoi genitori. Infatti, erano tutti orfani lì, piccole anime dimenticate dal mondo e che erano state raccolte una per una da Marcus e i suoi compagni.
Avevano dato loro una casa, anche se in rovina, e in cambio avevano sempre e solo chiesto fedeltà e cieca ubbidienza. Li avevano fatti diventare ladri e mendicanti perché, come sostenevano: «I bambini passano inosservati e fanno pena se sono degli straccioni come voi».
Era quella la vita che Magnus aveva sempre conosciuto e, più per proteggere se stesso che per altre reali ragioni, ogni mattina correva subito fuori dalla casa per fare il suo lavoro. Perché chi si attardava troppo veniva punito e chi tornava a mani vuote o dopo il tramonto subiva la stessa sorte.
Lo aveva imparato a sue spese e, per quel motivo, evitava accuratamente di far arrabbiare Marcus e gli altri.
Vagò come un’ombra per le strade di Altissia, cercando le persone migliori per rubare loro gioielli o il borsellino, soffermandosi solo qualche minuto in una delle poche bancarelle che avevano fatto la loro ricomparsa nella città.
Vendevano dolci, un modo come un altro per tenere il morale alto di chi stava lavorando, ma per Magnus erano le prede perfette per fermare almeno per qualche ora i morsi della fame.
Non poteva rubare niente di ingombrante ma solo caramelle e cose più piccole già incartato. Quindi, scivolando con attenzione alle spalle del rivenditore che si intratteneva a parlare con dei probabili clienti - dei muratori che, a detta loro, avevano bisogno di zuccheri -, afferrò le prime cose che gli capitarono tra le mani, le infilo nella sua borsa, e si allontanò ancora, come un fantasma.
Era un suo piccolo segreto perché non riportava mai a casa ciò che rubava dalle bancarelle. Non perché non volesse condividere ma perché sapeva, per esperienza, che sarebbe stato punito. Marcus non amava le iniziative che andavano oltre i suoi ordini e Magnus era ormai abbastanza grande per sapere di dover obbedire ciecamente agli ordini di quegli uomini.
Si nascose in un vicolo e iniziò a scartare un lecca-lecca, infilandolo in bocca con un’espressione beata e soddisfatta. Era dolce e sapeva di buono, e anche se non avrebbe placato realmente la sua fame, almeno avrebbe iniziato la giornata con quel sapore. In ogni caso, pur restando nascosto , continuò a tenere d'occhio le strade alla ricerca di una qualche vittima per la sua raccolta giornaliera … e fu in quel modo che i suoi occhi si posarono su due uomini mai visti prima. Un cieco e una montagna di muscoli .
Sono nuovi, e dai loro movimenti intuisce che stanno ancora cercando di abituarsi alla città. Non si chiede il perché si trovino lì né chi sono, ma sceglie semplicemente di derubarli perché sono vestiti in modo elegante e sono nuovi. Sa che non si aspettano di certo di venire presi di mira da un ladro.
Incarta di nuovo il suo lecca-lecca e, silenzioso, li segue per studiarne i movimenti e le abitudini. Camminavano vicini e l'uomo più alto e muscoloso descriveva con voce sommessa la città all’altro che si muoveva apparentemente tranquillo, ascoltando le descrizioni del suo compagno con attenzione.
Attese paziente che si fermassero davanti a qualche bancarella o da qualsiasi altra parte che li distraesse abbastanza da permettere a Magnus si avvicinarsi e di puntare al borsellino dell’uomo cieco. Ne vedeva la forma in una tasca dei pantaloni neri e, data la sua disabilità, pensò fosse la vittima migliore da derubare. Non che ne andasse fiero - era abbastanza grande da capire che quello che faceva ogni giorno era sbagliato -, ma si trattava della sua sopravvivenza.
L'occasione si presentò qualche minuto dopo, quando l'uomo più grosso propose all’altro di fermarsi a prendere un caffè nell'unico bar che era stato aperto lì in città.
«Ebony, se possibile», rispose l'altro.
«Come sempre», assentì il secondo con tono leggero e quasi divertito, e Magnus decise di ridurre il più possibile le distanze, nascondendosi alle loro spalle.
Trattiene il fiato, come se i due potessero sentirlo, e mentre i due ordinano allunga lentamente la mano verso il borsellino. Gli tremano le dita, come sempre, ma il suo bisogno di sopravvivere lo aiuta sempre a superare quella paura.
Doveva farcela, perché non voleva venire punito da Marcus e gli altri, non poteva permetterselo… perché ad ogni errore temeva di fare la fine di quei bambini che non tornavano più alla casa.
No, si disse con più sicurezza, non poteva proprio permetterselo di fare quella fine.
Ignis era ormai abituato ad affidarsi a tutti gli altri suoi sensi e quando, qualche minuto prima, aveva avvertito una presenza alle sue spalle non aveva potuto fare a meno di mettersi in qualche modo in allerta. Non gli sembrava una presenza minacciosa ma era insistente e, vista la sua esperienza, non si sentiva assolutamente pronto a dare per scontato un pericolo sopito, soprattutto quando quella sensazione li seguì anche all'interno del modesto bar.
Cambiò infatti posizione, assumendone una più rigida e tesa, mormorando un basso: «Gladio».
«Temo non abbiano l'Ebony», commentò il suo compagno con tono fintamente leggero che gli fece comprendere di non essere l'unico ad aver avvertito qualcosa.
«Sono certo che farai la scelta giusta in questo caso», rispose a sua volta.
«Senza zucchero, come sempre», dichiarò Gladio, «me ne occupo io, non preoccuparti», aggiunse poi e ad Ignis non restò altro se non annuire, continuando a tendere le orecchie in attesa di altri movimenti sospetti, analizzando mentalmente le sue sensazioni. Tende a voler escludere sia un membro dell’organizzazione e pensa più che altro a un qualche furbantello indipendente perché, da quello che gli ha detto Gladio, nonostante la rinascita della città sembravano ancora esserci degli orfani palesemente abbandonati, lasciati negli angoli delle strade a fare l’elemosina.
Non approvava il fatto che il Primo Ministro non fosse già intervenuto nel raccogliere quei ragazzini e affidarli ad una qualche struttura medica, ma non era compito suo disquisire su quelle scelte.
«Ecco il caffé», annuncia qualche attimo dopo Gladio, distogliendolo parzialmente dai suoi pensieri.
«Grazie», rispose e mentre stringeva le mani attorno alla tazzina senti chiaramente il suo compagno muoversi rapido alle sue spalle, stanando il loro inseguitore.
«E-ehi!»
Era la voce di un bambino e lo stesso Gladio, nel vedere di aver appena catturato un ragazzino pelle ed ossa, non poté fare a meno di sussultare, sorpreso.
«Lasciami! Lasciami subito!», strillò il bambino, divincolandosi e tentando disperatamente di liberarsi, attirando inconsciamente su di sé le attenzioni di tutto il bar. Cosa che fece istintivamente allentare la presa di Gladio. Approfittando di quella libertà provvisoria, il ragazzino si diede subito alla fuga, spintonando Ignis e sparendo alla vista di tutti i presenti, troppo sorpresi per poter agire per tempo.
«Tutto okay, Iggy?», domandò subito Gladio e l’altro, annuendo, non poté non sospirare.
«L’hai lasciato andare, vero?»
«Non potevo farne a meno… era un bambino».
Ignis strinse le labbra per l’affermazione di Gladio.
«Lo sospettavo… la sua voce era troppo infantile per essere quella di un adolescente o di un adulto», assentì, «ci stava seguendo da quando abbiamo imboccato questa strada».
«Me ne ero reso conto», rispose l’altro, proseguendo poi con un: «solo… non mi aspettavo fosse un bambino...»
«Mi dispiace per quello che vi è successo», si intromise il barista con tono quasi imbarazzato, «e mi fa male ammettere che ormai è… normale amministrazione».
«Come?», domandò Gladio, sorpreso da quell’affermazione.
«Molti orfani ultimamente si danno ai furti… non è piacevole, ma sono soli...», spiegò l’uomo, facendo ovviamente irrigidire gli altri due. Non era una notizia piacevole, soprattutto non per Ignis e Gladio che erano giunti lì proprio per smantellare un’organizzazione criminale.
«Per il momento non è successo niente», riprese la parola Ignis, «solo un piccolo incidente di percorso», proseguì per rassicurare il barista.
Gladio mugugnò, annuendo, comprendendo la scelta di Ignis di tagliare lì il discorso per non allarmare troppo le persone presenti.
«Ciò non cambia che mi dispiace per quanto è successo», aggiunse l’uomo dall’altra parte del bancone, accennando un sorriso di circostanza e spostandosi poi per continuare il suo lavoro.
Rimasti soli i due uomini finirono la loro consumazione e lasciarono il bar per cercare un posto più appartato per parlare di quell’ultima scoperta.
«Quante possibilità ci sono che i furti dei bambini siano solo dei casi isolati?», chiese Gladio, dando voce ai suoi dubbi, pienamente condivisi da Ignis.
«Poche… e questo ci fa comprendere il perché il Primo Ministro ha avuto difficoltà nel gestire questa situazione. Non è semplice collegare i furti a dei bambini… che sicuramente sono mossi da una mano adulta», spiegò, «e temo che il bambino di poco fa non sia scappato a mani vuote, il che lo rende più scaltro di quanto previsto».
«Mh? Come?»
«Mi ha rubato il borsellino», spiegò nel notare solo in quel momento di apparente calma l’assenza del familiare peso nella sua tasca.
Gladio grugnì.
«Dobbiamo ritrovarlo o riuscire a beccare un altro bambino con le mani nel sacco», commentò con una nota irritata, «usare dei bambini… che mostri sono?»
Ignis assentì con un sospiro. Erano dei mostri, non poteva definirli in nessun’altro modo neanche lui.
«Perché i bambini sono facilmente manovrabili, soprattutto gli orfani senza più speranza…», cercò di argomentare per dare una spiegazione logica a quella situazione, «inoltre… degli adulti che cercano di fermare o di parlare con dei bambini soli… è una scena facilmente fraintendibile. Il che gioca a vantaggio di questa organizzazione».
«Quindi… cosa consigli di fare?», chiese Gladio, incrociando le possenti braccia al petto.
«Terrai gli occhi aperti, avranno sicuramente un luogo di ritrovo», rispose, «e non potendo seguire tutti i bambini… non ci resta altro se non individuare quello stesso bambino di poco fa».
«Ricordo il suo viso. Lo riconoscerò di sicuro», annuì l’altro, concedendosi poi un sospiro, «Era... proprio un bambino. Come Sirius», concluse.
«Pensavo fosse un ladruncolo isolato», ammise Ignis, incapace di nascondere la sua stessa tensione, «ma ha più senso che il gruppo utilizzi per l’appunto degli orfani per fare il lavoro sporco».
«Hai ragione… e se così fosse dobbiamo smantellare quell’organizzazione al più presto. Non sopporto che dei bambini così piccoli vengano sfruttati in questo modo».
«Siamo qui per questo. E non ho intenzione di fallire», concluse Ignis, con più decisione.
«Neanche io», rispose Gladio con la stessa determinazione del suo compagno, proseguendo poi con un: «ricapitolando. Sappiamo che prendono di mira persone distratte, chi lavora e chi giunge qui per aiutare la città. Noi eravamo volti nuovi, quindi è probabile che quel ragazzino voglia girarci alla larga».
«Esattamente», annuì Ignis, «ma le zone della città aperte al traffico di persone non sono tante, quindi abbiamo più possibilità di rivederlo nelle strade più trafficate o nelle piazze. Quindi possiamo già escludere gran parte di Altissia».
«Di conseguenza possiamo iniziare ad appostarci verso una delle piazze principali», concluse per lui Gladio.
«Corretto», acconsentì l’altro e con i sensi sempre tesi ad avvertire altre presenze o movimenti strani, entrambi si avviarono verso una delle piazze dove si accalcavano più persone.
Ovviamente, sapevano benissimo che non avrebbero avuto tanta fortuna nel ritrovarlo così facilmente, ma potevano solamente andare per tentativi per non terrorizzare i bambini e allarmare l’organizzazione… perché l’ultima cosa che desideravano era mettere ulteriormente in pericolo quei ragazzini.
Magnus, nonostante la disavventura con quei due, poté definirsi davvero fortunato per essere riuscito a scappare con almeno un piccolo trofeo. Aveva avuto paura quando la montagna di muscoli l’aveva catturato, ma come sempre gli adulti reagivano tutti allo stesso modo davanti alle urla in pubblico di un bambino. Infatti, non era la prima volta che veniva preso da qualche persona e gli era sempre bastato strillare per attirare su di sé gli sguardi delle persone e far agitare chiunque all’idea che stesse accadendo un qualcosa di più grave.
Era stato Gaius, uno dei compagni di Marcus, a spiegargli quel piccolo trucco.
«Gli adulti non possono toccare i bambini, è sbagliato. Quindi se ti prendono urla e chiedi aiuto… vedrai che sarai libero in un attimo».
Era semplice e aveva sempre funzionato, eccetto quando era lo stesso Gaius a prendere per se alcuni dei bambini. Le loro urla non avevano mai fermato Gaius, e Magnus aveva sempre pensato che quel trucco funzionasse solo con gli altri adulti e non con chi abitava con loro.... perchè, d’altro canto, ciò che facevano per vivere era già sbagliato.
Cercò di non pensare più a ciò che era accaduto e a quello che invece succedeva ogni notte a casa , e nascondendosi in un altro vicoletto riprese in bocca il suo lecca-lecca e iniziò a guardare quanto quel suo primo furto gli aveva fruttato.
Il borsellino di quel tipo cieco era in pelle e particolarmente elegante. Un qualcosa che andava conservata perché, come gli avevano sempre detto, non erano solo i guil a valere ma anche gli stessi borsellini potevano essere rivenduti. Lo aprì con attenzione, restando piacevolmente sorpreso e sollevato nel vederlo pieno.
Non sapeva contare benissimo i guil, ma erano tante banconote e quello per lui significava solo una cosa: quella notte avrebbe potuto mangiare. Lo avrebbero sicuramente premiato per quel colpo e sentiva già lo stomaco contorcersi per il sollievo e il pensiero di poter finalmente mangiare un qualcosa di più sostanzioso delle caramelle o degli scarti che trovava in giro.
Deglutì la saliva e iniziò a togliere dal borsellino ciò che era ovviamente inutilizzabile, come le carte di credito - «Sono rintracciabili e il proprietario le bloccherà appena si renderà conto del furto», gli avevano detto - e le fotografie. Ne trovò due all’interno del borsellino, una ritraeva il proprietario insieme alla montagna di muscoli e la seconda vedeva come protagonisti un piccolo gruppo di persone.
Una famiglia o degli amici, che Magnus etichettò subito come importante . Non per lui, ovviamente, ma per l’uomo che aveva derubato. La osservò a lungo e in silenzio, fino a sentire solamente la stecca di plastica del lecca-lecca sulla lingua.
Quella foto, così come tutte, rappresentava un ricordo e Magnus sapeva quanto i ricordi fossero importanti e al tempo stesso dolorosi. Lui non aveva mai posseduto foto, ma nel gruppo c’erano dei bambini che ancora custodivano di nascosto e gelosamente dei vecchi ritratti di famiglia… delle loro famiglie.
Pochi avevano avuto la fortuna di conoscere la loro provenienza e vivevano nei ricordi di ciò che un tempo era stata la loro vita prima di arrivare ad essere soli. Erano i bambini però i più tristi, perché quei ricordi erano e sarebbero rimasti nel passato e non avrebbero mai riavuto indietro la loro famiglia.
Magnus, infatti, si riteneva più fortunato di loro. Perché non aveva nessun ricordo dei suoi genitori, e non poteva sentire la mancanza di un qualcosa che non aveva mai avuto.
Nonostante ciò, non riuscì a buttare quelle foto… perché se quell’uomo cieco stava continuando a conservarle, pur non potendole più vedere, dovevano essere realmente importanti.
Le osservò ancora a lungo, indeciso sul da farsi. Poteva lasciarle a casa del Primo Ministro perché, sicuramente, sarebbero andati lì a denunciare il furto… gli sembrava una buona idea anche se particolarmente pericolosa. Per quel motivo decise di pensarci un po’ più a lungo, magari ci avrebbe dormito su e con lo stomaco pieno come sperava avrebbe avuto la sua risposta. Buttò quindi le carte di credito e le altre cartacce - scontrini per lo più - e mise in borsa il resto, tenendo però borsellino e foto ben separate, in modo da non farle vedere a Marcus al suo rientro a casa.
Si attardò ancora un po’ in quel vicolo poi, facendosi coraggio, lasciò il suo nascondiglio per cercare qualcun altro da imbrogliare o per consegnare il resto delle caramelle che aveva rubato ad alcuni dei bambini che come lui vagavano per la città. Perché una delle regole della casa era che non potevano portare cibo all’interno di quelle mura e Magnus, così come altri bambini, era solito dividere la sua piccola refurtiva.
Non erano amici con gli altri bambini ma non erano neanche degli estranei, pensavano più che altro alla loro sopravvivenza e per farlo dovevano aiutarsi ogni tanto.
Compì quella sua personale missione e passando per vie laterali e con le tasche più piene di guil, si avviò verso la casa prima del tramonto. Era importante tornare prima che calasse il sole, perché come dicevano sempre Marcus e gli altri, anche se era tornata la luce i Daemon giravano ancora indisturbati e avrebbero ucciso tutti coloro che si trovavano fuori dal nascondiglio.
La casa si trovava non lontano da dove, secondo una storia vecchia di dieci anni, era morta una strega o un Oracolo. Magnus non ricordava bene quella storia ma nessuno si era ancora avventurato fin lì a causa delle rovine e dell’acqua, quindi era un posto sicuro per loro: lontano dai pericoli.
Al suo ingresso nell’abitazione in rovina scoprì di essere il primo del gruppo e un po’ si preoccupò, temendo di far arrabbiare Marcus e gli altri, ma quando vide arrivare altri bambini subito dopo di lui, non poté non tirare un sospiro di sollievo.
Attesero pazienti che Marcus li raggiungesse per controllare i risultati di quella giornata e neanche qualche minuto dopo l’uomo, vestito in modo pulito e ben diverso dallo stato di disagio dei bambini, giunse a loro accompagnato da Gaius e da Thycho, un altro membro del gruppo.
Iniziarono a far svuotare le borse e le tasche, complimentandosi con i bambini per il lavoro svolto e, ovviamente, quando arrivarono a Magnus restarono piacevolmente sorpresi nel mettere le mani sul borsellino in pelle pieno di guil.
«Hai fatto un ottimo lavoro», lo lodarono infatti, «e siamo certi che anche domani non ci deluderai».
Magnus sospirò sollevato quando andarono avanti a controllare gli altri bambini e si irrigidì quando, come se quella fortuna fosse solo uno scherzo, nella casa arrivò una bambina, in ritardo.
Era bagnata da capo a piedi e stava tremando per il freddo.
«M-mi dispiace», si scusò subito, «m-mi hanno inseguita e mi sono… d-dovuta nascondere».
Fu Thycho a prendere la parola, scuotendo il capo.
«Questo perché se stata sicuramente disattenta, Titia…», la riprese. Il suo tono era dolce ma tutti i bambini sapevano che più quella voce era piacevole, più dovevano avere paura.
«N-no…», tentò di difendersi la bambina.
«Dovevi tornare prima e guarda… il sole è già tramontato», le fece presente, «e sai cosa significa?»
«S-stavo tornando! Ma… mi hanno seguita!», insistette Titia, bloccandosi quando negli occhi di Thycho lampeggiò per un momento un lampo d’ira.
«Piccola insolente», sibilò l’uomo.
«Sei arrivata in ritardo e qualsiasi sia la tua scusa, dovrai essere punita», si intromise Marcus con tono duro e serio, rivolgendosi poi agli altri bambini, «e questo vale per tutti. Questa notte avrete solo gli avanzi».
Magnus aprì la bocca ma la richiuse subito così come tutti gli altri bambini. Aveva sperato in una vera cena ma alla fine, come quasi tutte le notti, lui e gli altri si sarebbero dovuti accontentare solo degli avanzi. Sentì gli occhi pizzicare e le lacrime di delusione riempirli e offuscargli la vista, cercò di ricacciare dentro le lacrime, sfregandosi gli occhi con la manica della maglietta sporca e rovinata.
«Vieni, dobbiamo toglierti questi abiti bagnati», riprese a parlare Gaius con un ghigno compiaciuto, afferrando Titia, in lacrime, per trascinarla poi nei piani superiori dell’abitazione, dove lui e gli altri dell’organizzazione vivevano. Venne subito seguito da Thycho, mentre Marcus di rivolgeva con un’espressione seria a chi era invece era rimasto lì.
«Che vi sia da lezione. Le regole vanno seguite da tutti», ricordò con tono duro, prima di allontanarsi e di lasciare la sala. Magnus abbassò le spalle e solo in quel momento, mentre andava a rifugiarsi in un angolo della sala, si concesse di sfogare la sua frustrazione e tristezza. Pianse in silenzio, stringendo al petto la sua borsa lisa e rovinata come per proteggersi, ma niente poté difenderlo dal sentire delle urla provenire dai piani superiori.
“Alla fine” , si disse tappandosi le orecchie con i palmi delle mani e chiudendo gli occhi, “urlare non serve mai con loro”.
Era l’alba di un nuovo giorno ad Altissia per Ignis e Gladio che, la sera prima, erano stati costretti a tornare al Leville a mani vuote e senza alcuna novità riguardante l’organizzazione. Avevano parlato con parecchie persone che avevano riferito dei furti e del disagio crescente a causa di quella situazione, ma non avevano risolto nulla. Ovviamente, però, quello non li scoraggiò e iniziarono quella giornata con la stessa serietà che li aveva animati sin dall’inizio di quella missione.
La notte, prima di addormentarsi, avevano discusso a lungo su come agire nei giorni successivi e decisero non solo di cercare il bambino che aveva derubato Ignis ma di tenere d’occhio almeno uno di quelli che si fermavano negli angoli delle strade a fare l’elemosina, in attesa di una qualsiasi mossa.
Non sapevano se si sarebbe trattata o meno di una perdita di tempo, ma avevano già messo in conto il dover fare varie prove prima di trovare la strada giusta.
Dopo colazione tornarono alla piazza principale, osservando i lavori che riprendevano il via e le varie bancarelle che a loro volta si animavano, portando con loro un po’ di allegria e colore. Avevano trovato entrambi piacevole il vedere che quei piccoli commercianti non si erano arresi e che invece cercassero come potevano di rallegrare i lavoratori, loro stessi di soffermarono da alcuni di quelli ad acquistare sia qualche dolce che dei piccoli souvenir da riportare a Insomnia. Un po’ per aiutare l’economia di quel luogo e un po’ per passare inosservati.
Passarono gran parte della mattina a girare per le varie piazze e le strade più popolose e solo solo durante l’orario di pranzo scelsero di fermarsi in una posizione di rilevo che permetteva loro di vedere la piazza sottostante.
«Spero che anche questa giornata non sia un buco nell’acqua per noi», commentò Gladio, mangiando dei Cup Noodle, un piccolo lusso che si era preso vista l’assenza di veri e propri ristoranti.
«Tu continua a tenere d’occhio i bambini che fanno l’elemosina in piazza… almeno così potremo iniziare ad escludere dei sospettati», ribatté Ignis con calma.
«Lo so… ma questa situazione non mi piace», spiegò, «odio che queste persone siano disposte ad approfittarsi dei bambini per arricchirsi».  
«Sono delle bestie e ci occuperemo noi di loro. Avranno quello che si meritano e i bambini verranno affidati a delle strutture specialistiche», lo rassicurò l’altro, ricevendo in risposta un mugugno.
«Spero solo di risolvere tutto in fretta. Ogni giorno passato senza trovarli è un giorno in più per quei bambini in mano a quei bastardi».
Ignis assentì serio senza però aggiungere che, probabilmente, molti di quegli orfani erano con quel gruppo già da anni e che non voleva immaginare che razza di vita avevano vissuto fino a quel momento.
Sospirò infatti e si dedicò a sua volta al suo pranzo - sempre dei Cup Noodle -, lasciando che Gladio continuasse a parlare e a riempire quel silenzio. Aveva ormai smesso di descrivergli la città non per pigrizia ma perché a quel punto Ignis si sentiva già a suo agio nello spostarsi per quelle strade.
Avevano infatti messo in conto che, in assenza di risultati, avrebbero iniziato a lavorare separati per coprire più lati della città e per Ignis era stato importante avere un’infarinatura generale delle vie e di ciò che era cambiato dalla sua ultima visita.
Solo d’un tratto Gladio sembrò bloccarsi e Ignis, irrigidendosi, attese che l’altro riprendesse a parlare, dandogli delle spiegazioni.
«Nella bancarella che vende gli spiedini», mormorò dopo qualche attimo l’uomo, «ho appena visto il bambino di ieri».
«Sei sicuro?», domandò Ignis, sorpreso e anche un po’ speranzoso.
«Ne sono certo», rispose tenendolo sempre d’occhio il bambino che, a pochi metri da loro, aveva appena rubato degli spiedini dal retro della bancarella, approfittando della distrazione del proprietario.
Rimase un po’ spiazzato nel vedere quella scena perché al posto di puntare alla cassa aveva invece preferito impadronirsi di pochi spiedini. Il bambino era abile e se ne era già reso conto il giorno prima visto che era riuscito a prendere il borsellino di Ignis, e avrebbe potuto rubare manciate di guil senza difficoltà… e il fatto che avesse scelto invece di prendere del cibo la diceva lunga sulla sua condizione.
«Che cosa sta succedendo?», gli chiese Ignis, nervoso per quell’improvviso silenzio.
«Ha… solo rubato da mangiare…», spiegò Gladio, alzandosi per poter seguire il bambino che, con la refurtiva nascosta in una borsa, si stava allontanando lentamente per non destare troppo sospetti.
Quell’affermazione sembrò suscitare in Ignis gli stessi dubbi che si erano risvegliati in Gladio, ma vista la situazione preferirono stare in silenzio per stare dietro il bambino.
Lo seguirono fino all’imbocco di un vicolo e Gladio, nell’affacciarsi, lo vide seduto per terra intento a mangiare uno degli spiedini.
«È qui», sussurrò piano a Ignis, «sta mangiando».
L’altro annuì.
«Questo è un vicolo cieco… uscirà da qui sicuramente», ricordò Ignis, muovendo poi il capo a destra e sinistra come per trovare nella sua memoria un qualcosa di utile, «ci serve un luogo dove osservarlo e poterlo seguire».
«Sulla nostra destra ci sono delle panche in marmo», commentò Gladio e, stando attenti, si spostarono per raggiungerle. Pronti ad attendere che quel bambino lasciasse il suo nascondiglio.
«Se ha rubato da mangiare… è possibile che sia malnutrito», mormorò Ignis.
«È più che possibile», assentì Gladio, stringendo i denti, alimentando ulteriormente il suo bisogno di aiutare quei bambini, «dici che non è sicuro fermarlo e cercare di parlarci?»
«Se ha a che fare con degli adulti temo di no. Potrebbe vederci come minacce e non come persone degne di fiducia».
«Hai ragione», sospirò l’altro.
«Gladio…», cercò la sua mano, stringendola, «rilassati, abbiamo una missione e per quanto sia moralmente complicato accettare la situazione dobbiamo mantenere il controllo».
Cercò di rassicurarlo in quel modo, tentando con le sue stesse parole di trovare il coraggio e la forza di rimanere fedele a quella linea di comportamento che doveva assolutamente mantenere. Perché era certo che sarebbe bastato un solo errore… e per quei bambini sarebbe stata la fine.
Magnus assaporò con sollievo il sapore della carne degli spiedini che era riuscito a rubare. Il suo corpo era ancora provato da ciò che era accaduto la sera prima, tra le urla disperate di Titia e i morsi della fame, e riuscire finalmente a mettere in corpo un qualcosa di così sostanzioso lo rincuorava un poco.
Aveva già derubato alcune persone ma niente di ricco e prezioso come il borsellino del giorno prima. Sapeva benissimo che non avrebbe mai avuto la stessa fortuna e alla fine, per non nutrire più alcuna speranza né aggrapparsi al ricordo della giornata appena trascorsa, aveva lasciato le fotografie nella cassetta delle lettere del Primo Ministro come aveva pensato di fare il giorno prima.
Sospirò e stringe ancora a sé la borsa, decidendo poi di conservare metà di uno spiedino per il suo rientro alla casa, conscio di non doversi aspettare un trattamento diverso da quello della sera prima… ma quanto meno, si disse, non avrebbe dato a Marcus e agli altri l’opportunità di punirlo pesantemente come era successo altre volte.
Tremò al pensiero. Ricordava chiaramente le volte in cui lo mandavano a dormire senza neanche l’opportunità di avere gli avanti e, soprattutto, ricordava quelle notti ancora più terribili quando Marcus lo affidava a Gaius per punirlo.
Erano rare perché, forse per fortuna, a Gaius lui non stava simpatico al contrario delle bambine più piccole, ma quando succedeva si ricordava il perché gli adulti non erano persone brave e perché non dovessero mai toccare i bambini. Perché faceva male quando li toccavano e non era giusto.
Scosse la testa per allontanare quel pensiero, e rialzandosi lasciò il vicolo per andare alla ricerca di altre persone da derubare. Trascorse in quel modo le ore precedenti al suo rientro alla casa e, per evitare di arrivare in ritardo, decise di prendere la strada di rientro con un po’ di anticipo… perché non voleva arrivare per primo ma neanche per ultimo.
Mangiò il restante spiedino e solo in quel momento sentì lo stomaco chiudersi nel sentire una strana sensazione. Qualcuno lo stava seguendo, gli venne spontaneo pensare, e quando si infilò in uno dei vicoletti secondari che l’avrebbero portato a casa, gli venne spontaneo aumentare il passo con il cuore in gola, cercando al tempo stesso di ragionare in fretta.
Aveva ancora un ampio margine di rientro e di certo, se qualcuno lo stava seguendo, non poteva portarlo a casa. Marcus si sarebbe arrabbiato, e Magnus non voleva essere punito né venire cacciato… perché non aveva nessun altro posto dove nascondersi e ripararsi: soprattutto la notte, con i Daemon in libertà.
Cambiò quindi strada e si infilò veloce in vari vicoli, sperando di confondere chi lo aveva preso di mira, ma quella sensazione non si dissipò, anzi: sembrò quasi aumentare a tal punto che Magnus si chiese se fosse o meno una sua impressione.
Forse era solamente una sua stupida paura visto quello che era successo con Titia, ma non poteva esserne sicuro e, chiudendo gli occhi, entrò in un altro vicolo, schiacciandosi contro il muro e trattenendo il respiro in attesa che il suo cuore la smettesse di battere così forte.
Sentì di passi, e tappandosi la bocca con entrambe le mani sperò di non venire scoperto e di non fare troppo rumore. Solo a quel punto i passi si arrestarono, attese in silenzio per qualche momento poi, allontanandosi dal muro si azzardò ad uscire dal vicolo… comprendendo però di aver fatto un grosso sbaglio.
Perché lì, a pochi passi da lui, palesemente sorpresi, c’erano l’uomo cieco e la montagna di muscoli che aveva derubato il giorno prima.
Gli venne spontaneo iniziare a correre ma a causa dell’agitazione riuscì solo a cadere per terra, inciampando quasi sui suoi stessi piedi.
“È finita” , si disse tremando, con gli occhi già carichi di lacrime. Non sapeva che cosa sarebbe successo da lì a poco e poteva pensare solo a cose brutte.
«… ti sei fatto male?», la voce del tipo più grosso lo fece sussultare e si divincolò istintivamente quando si sentì tirare in piedi.
«L-lasciami subito!», strillò, conscio però che nessuno si sarebbe voltato perché erano soli e gli adulti facevano cose brutte ai bambini quando erano soli. Per quello le urla con Gaius non funzionavano mai.
«Ehi calmati! Non vogliamo farti niente!», esclamò l’uomo mentre l’altro, quello cieco, aggiungeva un: «Non volevamo spaventarti».
Ma Magnus non poteva fidarsi ed era così terrorizzato che non sapeva come comportarsi né se sarebbe stata la scelta giusta scappare.
«L-lasciatemi andare…», pigolò facendo subito un passo indietro quando le mani della montagna di muscoli si allontanarono dal suo corpo.
«Ti ho lasciato andare, vedi?»
«N-non potete seguirmi… perché lo fate? M-mi dispiace avervi derubato…», riprese Magnus, sperando in quel modo di impietosirli. Non era certo funzionasse ma doveva tentare.
«Vogliamo aiutarti», si permise di parlare l’uomo cieco, dopo un momento di esitazione come se non fosse certo di avere le parole giuste, «lasciaci spiegare… d’accordo?»
Magnus scosse il capo. Non si fidava e non poteva farlo e il cielo aveva già iniziato ad assumere i colori del tramonto, cosa che ovviamente lo fece agitare ulteriormente.
«N-no… io d-devo andare n-non posso tornare tardi!», tremava da capo a piedi e quello parve quasi stupire i due uomini, «v-vi prego… lasciatemi a-andare… n-non seguitemi… h-ho… ho lasciato le foto d-dal Primo M-Ministro… l-lo giuro…», li supplicò.
I due si scambiarono un’occhiata e poi annuirono.
«D’accordo», rispose la montagna di muscoli, «non ti seguiremo…»
Magnus non poteva essere sicuro che avrebbero mantenuto la promessa, ma in quel momento sapeva solamente di dover correre e di dover fare in fretta. Infatti, con il cuore che batteva così forte da renderlo quasi sordo, iniziò a correre lanciando solo mentre stava per svoltare un angolo un’occhiata ai due uomini, rimasti fermi. Non lo stavano seguendo, o almeno così sembrava… avevano mantenuto la loro promessa.
A Gladio e Ignis bastò vedere il bambino sparire dietro l’angolo per riprendere a seguirlo. Erano rimasti spiazzati quando erano stati scoperti ma alla fine erano riusciti a cavarsela o almeno così speravano. Lo avevano terrorizzato ed era palese e non si aspettavano di sentirlo così disperato, tant’è che Gladio non voleva neanche sapere che cosa lo stava attendendo alla base dell’organizzazione se solo avesse fatto tardi.
«Stava andando verso la zona in rovina dopo l’attacco di Leviathan di dieci anni fa. Forse è per questo che non li hanno stanati prima», commentò Ignis, usando la sua infallibile memoria.
«Sì… dobbiamo stare più attenti. Cercherò di starti dietro… tu riuscirai a seguirlo sentendone i passi?», gli chiese Gladio a quel punto e Ignis, annuendo, aumentò il passo lasciandolo solo. Avrebbe lavorato meglio in solitaria a quel punto, contattando Gladio solo quando avrebbe trovato la base dell’organizzazione.
Fu facile seguire i passi veloci del bambino anche perché, vista la zona disabitata, non vi erano altre persone che si aggiravano in quella parte della città.
Solo dopo qualche minuto, con il sole ormai scomparso dietro l’orizzonte, i passi del bambino si arrestarono e diede la sua posizione a Gladio che lo raggiunse poco dopo, descrivendo la zona e individuando con estrema facilità una casa in rovina come base dell’organizzazione. Aveva quasi tutte le finestre distrutte o rovinate e la porta non era altro se non una tavola messa di traverso.
«Avviciniamoci. Il perimetro è pulito ed è l’unica con delle luci accese», spiegò sottovoce, conducendo Ignis fin sotto una finestra illuminata, dalla quale sentono la voce di un adulto.
«Sei tornato tardi, Magnus… eppure hai visto cosa è successo ieri a Titia».
«M-mi hanno seguito… f-forse le stesse persone che hanno seguito ieri Titia… m-mi dispiace. P-prometto che non accadrà più…», sussurrò il bambino.
«Le regole sono regole e lo sai», tagliò corto una nuova voce, «credi di poter fare quel che vuoi solo perché ieri hai guadagnato tantissimo?»
«N-no…»
«Perché sei un rifiuto come tutti gli altri!», continuò la seconda voce, facendo stringere forte i pugni di Gladio. Stavano parlando con un bambino e non sopportava quel tono né quelle parole cariche d’odio.
Si azzardò ad alzarsi un poco, per lanciare un’occhiata all’interno della sala per capirne la conformazione.
Contò quattro uomini, vestiti con abiti normali e puliti, con una quindicina di bambini e bambine di varie età palesemente malnutriti e spaventati.
«M-mi dispiace…», pigolò ancora il bambino.
«Ti farai perdonare», commentò uno degli uomini rivolgendosi poi agli altri, «ricordate l’idea di ieri sera?», domandò.
«Sei sicuro di volerla fare con questo qui?», chiese un’altro, iniziando in quel modo un botta e risposta con i suoi compagni per le sorti del bambino.
Gladio strinse le labbra e si affrettò a parlare con Ignis.
«Sono quattro uomini. I bambini sono una quindicina. Possiamo stendere quei bastardi senza spargimenti di sangue… ma solo perché sono dei civili», ringhiò irritato.
«Sì, ma forse dovremo aspettare che i bambini non ci siano. Non voglio rischiare che vengano presi in ostaggio…»
«Dici di attaccare domani mattina?», chiese Gladio, «Ma stanno… parlando di punire quel bambino», che, come ben sapevano, era arrivato tardi a causa loro.
«Lo so… devo pensare a un piano migliore», ammise l’altro, accigliandosi. Non voleva neanche lui accettare che quel bambino venisse punito.
Tuttavia i loro discorsi vennero bloccati da un perentorio: «Magnus, vieni in cucina con noi», che fece sussultare il ragazzino.
«S-sì…», mormorò e, sotto lo sguardo di Gladio, seguì il gruppo spostarsi in una stanza al lato, dove venne accesa la luce.
«Sono soli con il bambino... qui accanto. Nella cucina», spiegò a Ignis, facendolo spostare verso l’altra finestra, sfortunatamente chiusa e integra, per poter ascoltare in religioso silenzio ciò che stavano per dire i quattro uomini e decidere come comportarsi.
Magnus seguì Marcus e gli altri fino alla cucina, tremava da capo a piedi e aveva paura di scoprire che cosa stava per succedergli.
«Ti sei comportato male, ma… sei sempre stato un bravo bambino», esordì Marcus, «e abbiamo deciso non di punirti… ma di affidarti un nuovo compito».
«Dovresti sentirti fiero: è una promozione», precisò Gaius, con tono malignamente compiaciuto.
Magnus, ovviamente, nel sentire la parola ‘promozione’ non poté non irrigidirsi. Perché, ogni volta che parlavano di promozioni… i bambini non tornavano più. Inizialmente aveva pensato fosse una cosa positiva, magari li portavano in un posto migliore dove potevano vivere e mangiare. Ma era una bugia, perché una volta Magnus, aveva sentito cosa succedeva ai bambini promossi e non voleva essere venduto. Non voleva finire da persone come Gaius.
«N-non posso… continuare a rubare?», chiese con tono basso e supplichevole.
«No», rispose Marcus, «Farai l'elemosina. I bambini che elemosinano guadagnano di più... soprattutto se hanno... qualche disabilità. Tipo essere ciechi», spiegò mozzando il fiato di Magnus.
«M-ma sono bravo!», cercò di difendersi, sperando di poter far loro cambiare idea.
«Lo sei e per questo sappiamo farai un buon lavoro», aggiunse Petrus, l’ultimo uomo del gruppo, spostandosi alle sue spalle per fermarlo.
«N-no! Ti prego, Marcus! N-non succederà più!», si divincolò subito Magnus, cercando di scappare e di liberarsi.
«Tienilo fermo Petrus», lo ignorò Marcus, prendendo un cucchiaino e riscaldandolo sulla fiamma di un accendino, «Gaius, apri la finestra. Penso che puzzerà parecchio», aggiunse ridendo.
«Dici?», ironizzò l’altro uomo, spalancando la finestra, mentre Thycho e Petrus facevano distendere Magnus sul tavolo.
Il bambino continuò a scalciare e Thycho, ridendo, lo afferrò per il collo.
«Non muoverti, o Marcus rischia di bruciarti qualcos’altro», sibilò divertito.
Magnus si paralizzò per quella minaccia, continuando però a mormorare delle suppliche bassissime, osservando terrorizzato il cucchiaio rosso abbassarsi verso di lui.
Gli bastò sentire il calore vicino all’occhio per voltare il capo di scatto per tentare di fuggire ma quel suo movimento non impedì a Marcus di colpirlo sulla guancia.
Sono le urla del bambino che fanno scattare Ignis e Gladio. Non hanno sentito granché a causa delle finestre chiuse fino a qualche momento prima ma a entrambi basta quello per capire di non poter aspettare oltre.
Saltano entrambi dentro la cucina mentre il bambino, bloccato su un tavolo, viene colpito ancora una volta con un cucchiaio ardente, ma sopra un occhio, strappandogli un altro urlo disperato di dolore.
Ignis sente l’odore di carne bruciata investirgli le narici e il pianto disperato e del bambino non può non debilitarlo, accendendo in lui un’ira tale da animare il suo corpo. Il gruppo di malavitosi era ancora troppo sorpreso dalla loro comparsa per poterli fermare e, in men che non si dica, vennero investiti dalla rabbia e dalla foga dei due.
Li stesero facilmente e mentre Gladio si assicurava di legarli con le prime cose che trovò a portata di mano, Ignis corse subito a soccorrere il piccolo che, tremando, si era messo in posizione fetale. Piangeva e urlava ancora e Ignis non era certo di come soccorrerlo. Certe ferite, come quelle, non potevano essere risolte con l’utilizzo di pozioni ed elisir. Avevano bisogno di un medico e di far arrivare lì le guardie del Primo Ministro e i soccorsi.
«Iggy… questi bastardi sono fuori gioco», lo avvisò con tono incerto Gladio.
«Chiama il Primo Ministro», ordinò subito Ignis e l’altro, ubbidendo senza ribattere, prese il cellulare, chiamando subito la donna per metterla subito in azione mentre il suo compagno cercava, di rassicurare il bambino anche se, ovviamente, sapeva che sarebbe stato inutile.
«Tranquillo…», gli sussurrò infatti, accarezzandogli la testa, «adesso ti porteremo fuori di qui. Non dovrai avere più a che fare con queste persone».
Magnus sentì quella voce, così diversa da quella degli altri e la trovò stranamente rassicurante e calma, ma la paura era troppo e faceva così male, piangendo e lamentandosi, arrivò a perdere i sensi senza neanche rendersene conto.
«I soccorsi stanno arrivando», dichiarò Gladio, «e… dobbiamo�� parlare con gli altri bambini… devono aver sentito tutto…»
Ignis annuì tenendo in braccio Magnus, incapace di lasciarlo. Si sentiva in colpa, perché se non lo avessero fatto tardare non lo avrebbero punito in quel modo e se… se avessero sentito meglio le parole e le minacce che gli avevano fatto lì in quella cucina lo avrebbero sicuramente potuto salvare.
Lasciarono la stanza e subito vennero accolti dagli sguardi terrorizzati e confusi dei bambini.
«Va tutto bene. Ora siete liberi», dichiarò Gladio, cercando di mantenere un tono calmo e rassicurante.
«Ora è tutto finito», aggiunse Ignis, «non sappiamo cosa vi abbiano detto quelle persone, ma non è vero niente… voi non siete dei rifiuti e non siete soli. Ci sarà un posto per tutti voi e non sarete più costretti a vivere in questo modo».
Ovviamente i bambini non sembrarono convinti e molti scoppiarono a piangere terroririzzati, chiamando i loro carcerieri come se fossero gli unici a poterli salvare… cosa che fece stringere il cuore di Ignis e Gladio.
Tentarono di calmarli senza però riuscirci e le cose sembrarono quasi degenerare quando il Primo Ministro giunse con i soccorsi e delle guardie.
La donna chiese subito di venire aggiornata e, quando vide il bambino tra le braccia di Ignis, ordinò ai medici di portarlo subito in ospedale con un codice rosso. Avrebbero parlato in seguito, quello era chiaro, in quel momento la priorità era curare Magnus e aiutare quei bambini. Ignis affidò quasi controvoglia il piccolo ai medici seguendoli poi dandosi appuntamento all’ospedale con Gladio.
Gladio riuscì a raggiungere Ignis in ospedale solo dopo tre quarti d’ora di discussione con il Primo Ministro e quando raggiunse il suo compagno lo trovò seduto nella sala d’attesa, immobile come una statua. Lo affiancò e gli prese subito le mani.
«Ignis… come stai? Il bambino?»
L’uomo sospirò.
«Pare che non potranno salvargli l’occhio…», rispose solamente, mostrando chiaramente il senso di colpa che Gladio condivideva con lui, «tu? Il Primo Ministro?»
«Le guardie hanno preso quei quattro e li interrogheranno presto. I bambini sono stati portati in un centro per delle visite… e il Primo Ministro ci ringrazia…»
«Quindi… il nostro lavoro è… finito?», domandò Ignis, incerto. Era raro per lui sentirsi così impotente, ma non riuscendo a vedere, aveva tutti gli altri sensi estremamente sviluppati e per lui era stato impossibile non sentire come uno schiaffo le urla e l’odore di carne bruciata.
«Teoricamente sì…»
«Teoricamente?», ripeté Ignis e Gladio annuì.
«Quel bambino… è solo. E avrà bisogno di qualcuno per quando si sveglia…», spiegò, mostrandosi a sua volta incerto e nervoso.
«Già…», assentì l’altro, «e anche dopo... sarà traumatizzato…»
«E anche se… non è una cosa totalmente positiva, almeno conosce la nostra faccia», stava proponendo una cosa complicata e non poteva non sentirsi in colpa.
«Ha bisogno di noi», dichiarò Ignis.
«Sì…», sospirò Gladio, prendendo posto accanto al suo compagno ed attendendo che i medici portassero loro delle novità. Attesero almeno un’altra mezz’ora e quando il medico li raggiunse confermò loro la perdita dell’occhio del bambino.
«Escludo infezioni», aggiunse il Dottore, «e per il momento ha solo bisogno di riposo e di mangiare».
«Possiamo vederlo?», domandò Gladio.
«Immagino non abbia nessun familiare…», commentò l’altro uomo, «siete stati voi a salvarlo?»
«Sì…», annuì Ignis.
«Potete entrare, ma non ha ancora ripreso i sensi».
«Aspetteremo», tagliò subito corto Gladio, permettendo poi al Dottore di condurli verso la stanza dove avevano messo il bambino che, con una benda nell’occhio, sembrava ancor più piccolo in quel letto.
Rimasero soli con lui e Ignis, lasciandosi guidare dal suo compagno, andò a sedersi accanto al letto. Lì si concesse un sospiro. «Com'è?», domandò cercando in Gladio una qualche descrizione.
«Magro… molto magro», rispose l’altro.
«… posso immaginare…», strinse le labbra Ignis, permettendo poi al suo compagno di continuare a parlare.
«Ha una benda sull’occhio, ovviamente… e dorme», concluse.
«Stavano parlando di punizione… credi che sia questa?»
Gladio sospirò, sedendosi a sua volta su una delle sedie.
«Abbiamo sentito poco a causa della finestra chiusa… e non oso neanche immaginare cosa sia passato per le teste di quei bastardi…», ringhiò, stringendo forte i pugni.
Erano entrambi scossi, spaventati da ciò che era appena accaduto perché, per quanto avessero avuto una vita piena e spesso drammatica, non avevano mai affrontato niente di così terribile. Quegli uomini erano peggio dei daemon, solo dei mostri potevano fare delle cose simili a dei bambini innocenti.
Attesero li ore, in silenzio, a pensare i modi più terribili per uccidere e far soffrire quegli uomini e quando finalmente Magnus iniziò a svegliarsi entrambi si fecero tesi.
Il bambino si mosse lentamente, si sentiva pesante e leggero al tempo stesso, confuso… cercò di aprire gli occhi ma riuscì solamente ad aprirne uno che puntò un bianco soffitto.
Si chiese, ancora troppo sconvolto, se era morto. Se aveva incontrato la fine della sua vita e non se ne era neanche reso conto.
«Ehi… ragazzino…», lo richiamò una voce familiare e sconosciuta al tempo stesso, che lo fece sussultare e voltare. Riconobbe subito i visi di quei due uomini, quello cieco e la montagna di muscoli e, istintivamente tentò di allontanarsi.
«Rilassati… sei in ospedale. Hanno cercato di curarti l'occhio…», spiegò l’uomo cieco, costringendo Magnus a toccarsi l’occhio che non riesce ad aprire, scoprendo solo in quel momento di avere un qualcosa sopra.
«C-che cosa… significa?», balbettò.
«Non toccarlo, sei appena stato operato…», riprese l’uomo muscoloso, senza però sapere come dirgli che aveva perso la vista da quell’occhio, tutto ciò che poteva fare era cercare di rassicurarlo in altri modi, «se sei qui è perché ti abbiamo portato via da quel luogo. E quegli uomini non ti toccheranno più, né a te né altri bambini».
«Li abbiamo fatti arrestare», aggiunse l’altro e Magnus abbassando la mano li guardò senza sapere cosa dire.
Era spaventato. Come poteva credere a quello che stavano dicendo? Erano degli sconosciuti e le persone adulte erano crudeli e lentamente stava anche ricordando cosa gli era successo. Ricordava tutto e non poteva fidarsi di loro.
Iniziò infatti ad ansimare, con il cuore che gli batteva fortissimo.
«Respira con me», si mise subito davanti l’uomo cieco, iniziando a respirare lentamente e Magnus, forse rassicurato da quella voce ferma ma gentile, tentò di assecondarlo. Anche perché, tra i ricordi dolorosi che stavano tornando a galla, iniziò anche a ricordare un’altra cosa: la voce proprio di quegli uomini.
«Perché…?», domandò incerto a quel punto.
«Perché non era giusto ciò che vi stavano facendo e ora… siete tutti liberi».
«N-non… h-ho un posto dove… s-stare… q-quella era la mia unica casa…», balbettò, cercando di mantenere la calma per paura di far arrabbiare quegli uomini, anche se sembravano stranamente gentili. Ma anche Thycho lo era, ed era il peggiore…
«Quella non era una casa», riprese l’uomo con i muscoli, mostrandosi particolarmente irritato.
«Gladio», lo riprese prontamente l’uomo cieco con tono fermo, come per riproverarlo per il nervosismo appena mostrato, «Come ha detto il mio compagno, quella non era una casa… e qualsiasi cosa ti abbiano detto quelle persone, per tutti voi, per te e per i tuoi amici, ci sarà un posto in cui stare al sicuro, senza dover elemosinare o rubare».
Magnus rimase in silenzio, ascoltando quelle parole che sembravano così sincere e buone da spingerlo quasi a crederci. Non si fidava, non poteva…
«Inoltre, non ci siamo ancora presentati anche se ci siamo già incontrati altre volte», continuò sempre quell’uomo, «Il mio nome è Ignis Scientia».
«Io sono Gladiolus Amicitia, ma puoi chiamarmi Gladio», aggiunse l’altro, con tono un po’ più calmo.
Magnus li guardò ancora più confuso. Continuavano ad essere amichevoli e non capiva il perché lo stessero facendo. Volevano conquistare la sua fiducia?
«Tu invece? Come ti chiami?», gli chiese Ignis e Magnus, stringendo le mani sulle lenzuola, esitò nel rispondere. Incerto sul da farsi.
«Magnus…», riuscì a pigolare dopo un po’ e sia Ignis che Gladio gli rivolsero un piccolo sorriso.
«Bene, Magnus. Cerca solo di riposare, ora. Forse possiamo chiedere al medico di portare da mangiare… avrai sicuramente fame», proseguì Ignis, alzandosi dalla sua posizione, seguito prontamente dallo sguardo incredulo di Magnus.
«... d-davvero?», domandò. Al solo sentire che avrebbe mangiato aveva sentito lo stomaco contorcersi.
«Certo, che domande! Non farai più la fame!», esclamò Gladio, facendo sussultare il bambino e guadagnandosi un’occhiataccia da parte di Ignis.
«Gladio cerca di parlare con più calma», lo riprese infatti, rivolgendosi poi ancora una volta verso Magnus, «ti giuro che qualsiasi cosa sentirai uscire dalle nostre bocche corrisponderà solo alla verità. Ogni nostra promessa verrà sempre mantenuta. So che per te sarà difficile fidarti, ma… non vogliamo farti del male, vogliamo solo il tuo bene».
Magnus deglutì, annuendo incerto, seguendolo poi con lo sguardo mentre, dopo aver fatto un cenno a Gladio, si allontanò sicuro dalla stanza. Si muoveva elegante, come se non avesse nessun problema di vista, tant’è che Magnus si chiese se avesse sempre fatto bene a definirlo cieco. Ma lo aveva sempre visto con gli occhi chiusi da sotto gli occhiali e aveva anche visto Gladio guidarlo per camminare…
Quello però sollevò in lui altre domande. Tipo il destino del suo occhio. Marcus… lo aveva colpito. Ricordava ancora il dolore e… non poté non tremare per la paura.
Si guardò attorno, guardando poi Gladio, rimasto fermo sulla sua sedia.
«Hai… delle domande?», gli chiese l’uomo, notando il suo sguardo, ma il bambino scosse il capo anche se, ovviamente, era una bugia.
Attese in silenzio, aspettando di vedere quella situazione tanto strana evolversi, e quando Ignis tornò non poté non guardarlo sospettoso.
«Tra poco porteranno da mangiare», dichiarò tranquillo e Magnus, per quell’annuncio e nel ricordarsi ciò che quell’uomo gli aveva detto poco prima non poté non aprire la bocca senza però lasciar uscire nessun suono. Era vero? Lo avrebbero fatto mangiare per davvero?
«Hai fame?», gli chiese Gladio e lui, abbassando il capo, annuì.
«Tra poco mangerai», lo rassicurò Ignis e Magnus trattenne il respiro.
Gli sembrava davvero troppo bello e, quasi senza accorgersene, si lasciò sfuggire una sola domanda.
«... i-il mio occhio?»
Si pentì quasi subito di aver parlato quando i due uomini si guardarono colpevoli.
«Mi dispiace», mormorò Gladio.
«Siamo arrivati tardi», aggiunse Ignis, «e i dottori hanno fatto il possibile per salvarlo…»
Magnus annuì in silenzio poi, come per timore di lasciarsi vedere, si nascose sotto le lenzuola, mordendosi la mano per non far sentire il suo pianto. Agli adulti non piaceva sentire i bambini piangere e lui doveva sempre trattenersi o farlo di nascosto.
Tuttavia quei due non dissero niente e lo lasciarono a sfogarsi senza rimproverarlo, richiamandolo solo dopo qualche minuto con un: «Magnus... vuoi mangiare?», che lo fece sussultare.
Rimase immobile senza rispondere, incerto se uscire o meno dal suo rifugio improvvisato.
«Prenditi il tuo tempo», lo rassicurò Ignis, «qui nessuno ti costringerà a fare nulla», e solo in quel momento Magnus scostò le lenzuola, come per assicurarsi che ci fosse per davvero da mangiare e, effettivamente, vide un vassoio con una ciotola piena di un liquido fumante, del pane e una mela.
Deglutì sentendo la pancia gorgogliare, guardando poi i visi dei due uomini incerto, soprattutto quando Gladio gli mise il vassoio vicino.
«... è per me... davvero?», chiese.
«Sì, tutto per te», rispose Gladio, accennando un piccolo sorriso e Magnus, sempre guardandoli sospettoso, iniziò a mangiare tenendoli d’occhio. Si bloccò quasi subito perché non aveva mai mangiato niente di così buono e, per timore che gli venisse portato via, iniziò subito a mangiare più velocemente.
Sentiva di nuovo la voglia di piangere ma si trattenne, bevendo addirittura dalla ciotola la zuppa e staccando a morsi il pane.
I due lo lasciarono mangiare senza dire niente, anzi, Ignis si offrì addirittura di pulirgli la mela e Magnus, sorpreso non poté non annuire ed osservare la maestria di quell’uomo mentre puliva e tagliava quel frutto prima di consegnarglielo.
Forse era tutto un sogno e lui era morto per davvero, perché non credeva possibile di potersi trovare lì, con quelle persone così gentili.
Finì di mangiare anche la mela e quando il piatto fu finalmente pulito, Gladio riprese la parola.
«Come ti sentì?»
«P-pieno…», ammise.
«E vuoi qualcos'altro?», chiese Ignis e Magnus scosse ancora la testa e, come se l’uomo avesse intuito, continuò con un: «Allora se lo vuoi, puoi riposare».
Magnus però si irrigidì.
«Non voglio…», mormorò perché se lui non era morto, e quello era un sogno… non voleva che finisse. Non voleva svegliarsi e ritrovarsi di nuovo in quella casa, non dopo aver visto una cosa così bella.
«Sarai stanco…», sussurrò Ignis, ma il bambino esitò.
«Ti prometto che quando ti risveglierai, sarai sempre qui e ci saremo anche noi», riprese Gladio «non preoccuparti».
Magnus lo guardò, incredulo e sospettoso… incapace però di nascondere un pizzico di speranza.
«... davvero?», gli chiese i due assentirono prontamente, senza esitare. Senza mostrare indecisioni ma solo sincerità.
«M-mi... sveglio qui?», chiese ancora per confermare.
«Sí, sarai ancora qui», assentì Ignis.
«E anche noi saremo qui», aggiunse Gladio e Magnus, quasi più tranquillo, non poté non distendersi di nuovo sul letto, osservando i due senza però dormire.
Non si muovevano erano sempre lì. Tranquilli e calmi, rassicuranti.
Solo qualche minuto dopo, Gladio, riprese la parola.
«Immagino tu non voglia dormire…», mormorò diretto a Ignis, «vuoi del caffé?»
«Immagini bene», assentì l’altro, «ti ringrazio».
«Torno subito allora», commentò Gladio, baciandogli rapidamente la fronte prima di uscire dalla stanza, lasciando Magnus solo con Ignis.
Lo osservò sentendosi realmente un po’ stanco e, solo per curiosità, alzò la mano per sventolarla e capire se quel tipo era davvero cieco.
«Hai bisogno di qualcosa?», gli domandò Ignis, facendolo sussultare.
«N-niente», mentì.
«C'è qualcosa che non va?», insistette l’uomo e Magnus si sentì di rispondere con un: «… sei.. un tipo strano… e anche il tuo amico…».
Ignis sembrò sorridere quasi triste.
«Lo dici perché ti abbiamo aiutato?», gli chiese e Magnus si accigliò un poco.
«Gli adulti sono… cattivi», ammise.
«Gli adulti non sono tutti uguali… ad esempio, quelle persone per cui rubavi non sono brave persone», spiegò Ignis e Magnus, mordendosi le labbra, guardò altrove.
«Ma... non ci... facevano dormire per strada. E se facevamo i bravi ci davano da mangiare…», spiegò incerto.
«Magnus… quelle persone vi stavano sfruttando», spiegò Ignis.
«… ma almeno avevo un posto dove stare… ora… che cosa mi succederà?»
«Per il momento rimarrai qui», riprese l’uomo, «poi si vedrà. Devi solo pensare a riprenderti, ci occuperemo noi di te».
Quelle parole accarezzarono dolcemente Magnus, rassicurandolo e permettendogli di lasciarsi andare lentamente. La stanchezza stava avendo la meglio.
«Stai tranquillo», sussurrò Ignis, «non sarai più solo… te lo prometto. Oggi la tua vita con quelle persone è finita, puoi iniziarne una nuova».
Magnus assentì debolmente. Voleva davvero crederci e non rimanere più solo e, con quei pensieri si lasciò andare del tutto.
Solo dopo qualche minuto Gladio tornò in camera con un bicchiere di caffé nero per Ignis che, facendogli segno di fare silenzio, gli indicò il bambino.
«Credo si sia addormentato», soffiò e Gladio, mettendogli in mano il bicchiere, annuì.
«Va tutto bene?», gli chiese e Ignis, sorseggiando il caffé, inclinò un poco il capo.
«Ha paura di ciò che gli succederà da ora in poi», spiegò.
«Comprensibile», assentì, sedendosi accanto al suo compagno, «Mi sono informato anche sugli altri bambini… hanno tutti mangiato e anche se sono malnutriti sono tutti fortunatamente in salute».
Ignis parve esitare prima di riprendere a parlare.
«Ha detto che se facevano i bravi gli davano da mangiare. Magnus, intendo», svelò, e Gladio non poté non emettere un basso ringhio irritato.
«Spero che il Primo Ministro gli dia la pena maggiore a quei bastardi…», sibilò, trovando in Ignis approvazione. La pensavano entrambi allo stesso modo e avrebbero addirittura testimoniato pur di permettere alla giustizia di fare il suo corso. Volevano per davvero che tutti i membri di quell’organizzazione facessero la fine peggiore a marcire a vita in un carcere.
Rimasero in silenzio a lungo e Ignis, come previsto, non dormì granché, al contrario di Gladio che riuscì, in qualche modo a darsi almeno due ore di sonno, almeno fino a quando i primi raggi del sole non iniziarono a illuminare delicatamente la stanza, segno di una nuova giornata appena iniziata.
La prima per Magnus lontano da quel luogo, forse non sarebbero rimasti lì per vederla per tutta la sua interezza, ma erano certi che per tutti quei bambini e per Magnus quello era il finale perfetto di un quel lunghissimo incubo.
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torredellestelle · 7 years
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Titolo: Awakening Fandom: Final Fantasy XV Personaggi: Prompto Argentum, Noctis Lucis Caelum, Ardyn Izunia, Luche Lazarus, Pelna Khara, Camelia Claustra Relationship: Male/Male Pairing: Promptis Genere: Introspettivo Avvertimenti: Alternative Universe Rating: SAFE Conteggio parole: 13240 Capitoli: 1 su ?? Intro:
È un tuono quello che fa spalancare gli occhi di Prompto, facendolo quasi saltare sul posto. Si appoggia, colto da un improvviso capogiro, contro una parete mentre la pioggia continua a colpirlo con violenza insieme al forte vento. “Dove sono?” Si sente confuso e non capisce cosa stia accadendo, ma la prima domanda che riesce a porsi riguarda semplicemente il luogo nel quale si trova. Non pensa al perché stia piovendo, né al fatto che le orecchie gli fischino quasi dolorosamente a causa del fragore della tempesta. Quelle domande passano in secondo piano perché non riesce proprio a capire dove si trova e il vento, reso più tagliente dall’acqua piovana, gli rende non poco complicato mettere a fuoco tutto quello che lo circonda.
È un tuono quello che fa spalancare gli occhi di Prompto, facendolo quasi saltare sul posto. Si appoggia, colto da un improvviso capogiro, contro una parete mentre la pioggia continua a colpirlo con violenza insieme al forte vento.
“ Dove sono? ”
Si sente confuso e non capisce cosa stia accadendo, ma la prima domanda che riesce a porsi riguarda semplicemente il luogo nel quale si trova. Non pensa al perché stia piovendo, né al fatto che le orecchie gli fischino quasi dolorosamente a causa del fragore della tempesta. Quelle domande passano in secondo piano perché non riesce proprio a capire dove si trova e il vento, reso più tagliente dall’acqua piovana, gli rende non poco complicato mettere a fuoco tutto quello che lo circonda.
Si scherma il viso con la mano, cercando di allontanarsi dalla parete alla quale si era appoggiato qualche istante prima. Altri tuoni lo assordano, e assottigliando gli occhi il più possibile tenta di trovare anche solo un piccolo punto di riferimento o indizio che gli faccia capire cosa gli è accaduto. Quel luogo, tuttavia, continua ad sembrargli estraneo.
È circondato da muri in rovina e calcinacci, sembrano delle costruzioni diroccate, distrutte non da quelle intemperie ma da un qualcosa di più vecchio che non riesce a individuare. Si guarda ancora intorno, sperando di ottenere almeno un indizio dalla sua posizione, l'unica cosa che trova però è un sentiero in una sorta di gola di pietra che decide di provare a seguire.
Tiene gli occhi bassi per non essere accecato dalla tempesta, osservando i suoi piedi affondare alle volte nel fango. Si interroga ancora sul perché si trovi in quel posto e anche dove sia esattamente, e senza una risposta può solo cercare di fare mente locale, ma anche il suo passato gli sembra solamente una fitta coltre di nebbia.
" Dove mi trovavo prima di svegliarmi qui? ", si chiede nervosamente, arrancando con più difficoltà per la stradina. Stringe i denti per lo sforzo, rischiando più volte di scivolare sulla fanghiglia di quel tratto sterrato e di venire colpito da detriti e rifiuti, abbandonati in quella gola come se fosse una discarica. Testardo, però, non si arrende e con quella stessa caparbietà si impone di andare avanti e di superare quell'ultimo ostacolo. Riesce in quel modo a raggiungere quello che gli sembra essere uno spiazzo in piano, vede altri rifiuti e addirittura una vecchia panca in legno a pochi passi da lui.
Gli sembra familiare e vorrebbe quasi guardarsi attorno, studiare quel luogo con più attenzione perché gli è addirittura sembrato di vedere un lungo ponte in lontananza... ma ancor prima di poter cercare di mettere a fuoco quell'imponente figura, le braccia gli cadono lungo i fianchi.
È ormai sulla cima di quel promontorio, fatto di rovine e trattato alla stregua di una discarica, e non sente quasi più il bisogno di schermarsi il volto dalle intemperie, perché i suoi occhi sono stati catturati da qualcosa di ben più terribile di un po' di vento e della pioggia. Davanti a lui c'è il più grande tornado che abbia mai visto e che sta attraversando il mare.
«Incredibile...», mormora piano. Inizia a convincersi che si tratti di un incubo in quel momento, perché solo nei film catastrofici ha mai visto un simile spettacolo, ma non sa come svegliarsi. Riesce finalmente a riacquistare il suo solito autocontrollo, e tentando di calmarsi, Prompto inizia a ripetersi che tutto quello non può essere reale, che è stato uno stupido ad agitarsi in quel modo… ma con altrettanta sicurezza continua a non sapere neanche come fuggire.
Non riesce a muoversi. Si sente come paralizzato, nonostante ciò riesce ugualmente a sollevare d'istinto le braccia sopra la testa, come per difendersi, quando vede un'imbarcazione venire scagliata sulle rocce alle sue spalle.
Gli sfugge un verso spaventato che lo costringe poi a mugugnare un basso: «Stupido», per quella reazione.
Si tratta di un incubo, si ripete mentalmente e niente può fargli male. Inoltre, sa benissimo che è solo un'idiozia la storia del 'se muori in un sogno, muori anche nella realtà' . Tuttavia la sua reazione spaventata non cambia minimamente quando, alzando di nuovo lo sguardo, scorge la parte superiore della parete di pietre colpita dalla barca franare verso di lui.
  Prompto sussulta, tirando indietro il busto di scatto. Avverte subito una fitta in mezzo alla schiena quando si scontra contro lo schienale duro della sedia, e in un istante capisce di essere stato scaraventato fuori al suo sogno - o incubo. Nelle orecchie sente ancora il sibilo del vento, ma i suoi abiti sono asciutti e il tenui raggi solari che attraversano le finestre gli regalano un rassicurante tepore.
Si trova nell'aula del corso di fotografia, e lentamente inizia a ritrovare il completo controllo del suo corpo, ancora scosso da quanto ha visto - ma stranamente non intorpidito dal sonno.
Sente Ardyn Izunia, l'insegnante, parlare delle foto in bianco e nero e di come siano stati introdotti i colori. Lo cerca con lo sguardo, trovando subito stranamente tranquillizzante la sua figura e il suo vestiario tutt’altro che comune.
“ Okay Prompto ”, si dice a quel punto, “ ti sei solamente appisolato e hai avuto un incubo, niente di che. ”
Chiude per un momento gli occhi e si concede un sospiro sollevato. Gli è capitato spesso di addormentarsi in classe, ma non era mai successo durante le ore dedicate al corso di fotografia, ma non può tornare indietro: è accaduto e basta. Deve solo stare attento a non ripetere più un’esperienza simile.
Riapre allora gli occhi, cercando di allontanare quelle sensazioni per concentrarsi sul presente, facendo scorrere lo sguardo sull’aula e sui suoi compagni. Sulla sinistra invece c’è come sempre Aranea Highwind, fiera e bellissima, con una smorfia in viso per chissà cosa.
Ha un talento innato per le foto oltre che per le illustrazioni, che viene nascosto dal suo carattere forte e autoritario. Totalmente diversa da lei, Iris Amicitia che si trova sul banco vicino alla finestra. È una ragazza luminosa e allegra, gentile con tutti ed estremamente capace quando si tratta di ritrarre in foto attimi di vita. È stata una delle prime ad accoglierlo quando è arrivato a Insomnia, a trascinarlo con il suo entusiasmo e buon cuore, tuttavia non può non notare come ultimamente Iris gli gli sembri diversa: più cupa e silenziosa.
Sposta lo sguardo altrove, per non mettere ulteriormente a disagio la ragazza con le sue attenzioni, e non può fare a meno di scorgere un altro dei suoi compagni di corso, l'esatto contrario di Iris e Aranea: Luche Lazarus.
Un atleta, membro della squadra di football dell’istituto - i Glaive -, ricco e stupido. Uno di quelli che Prompto tende ad evitare come la peste per non finire nei guai, infatti quando nota che Luche si è voltato verso di lui, abbassa subito il capo con il cuore di nuovo a mille.
Si rende conto che neanche il riconoscere quell’ambiente familiare lo ha aiutato perché non riesce a scacciare fastidioso groppo allo stomaco. Sospira prova a concentrarsi sul suo banco dove, oltre al suo portfolio fotografico, c’è anche la sua vecchia polaroid. Un po’ ammaccata ma ancora funzionante e con un’imbarazzante adesivo con un chocobo sul lato - adesivo del quale non è pronto a liberarsi, né ora né mai.
Quella macchina fotografica istantanea lo segue da ormai sette anni, da quando aveva lasciato Insomnia per trasferirsi a Gralea con i suoi genitori. Era stato un dono di suo nonno, che per tirare su di morale sia lui che il suo migliore amico, aveva regalato ad entrambi lo stesso modello di polaroid.
«Così potrete raccontarvi cosa vedete mentre siete lontani».
Prompto ricordava quelle parole come se fossero state pronunciate proprio in quel preciso istante, e sfortunatamente aveva ancora bene in mente come quella promessa si fosse infranta fin troppo facilmente. Perché alla fine era stato costretto a tagliare fuori dalla sua vita il suo migliore amico pur di cercare di capire come sopravvivere alla sua nuova vita. Anche se, in fondo, cos'altro ci si poteva aspettare da un ragazzino di tredici anni costretto a trasferirsi a Gralea?
Era stato costretto ad abbandonare la sua casa e gli amici, e solo per ‘salvare il matrimonio ' dei suoi genitori, o almeno era stata quella la scusa che gli avevano rifilato nella speranza che lui capisse. Ma alla fine Prompto aveva capito solo una cosa: era stata tutta fatica sprecata.
Dopo quattro anni di tira e molla si erano lasciati, forse nel peggiore dei modi, e da quel momento in poi tutte le loro belle parole e i buoni propositi si erano trasformati in armi a doppio taglio, che entrambi avevano iniziato ad utilizzare per ferirsi a vicenda, con o senza l'intervento degli avvocati divorzisti. E in tutto quello, Prompto era sempre stato l'ago della bilancia, tirato in ballo solo per essere costretto a schierarsi con uno o con l'altro. Tant'è che alla fine, per lui era stato impossibile continuare in quel modo, e per finire gli studi al college aveva semplicemente deciso di tornare indietro, a Insomnia... anche se in quella città non c’era più niente per lui. I nonni erano morti, i genitori avevano venduto la loro vecchia casa e, cosa peggiore di tutte, c’era il ricordo di un migliore amico che non sentiva da anni e che, proprio per quel motivo, non riusciva a contattare.
“ Cosa ti aspetti, in fondo? ”, si chiese un poco infastidito, “ Per sette anni non gli hai mandato neanche un messaggio, non puoi di certo presentarti da lui come se niente fosse ”.
Sospira di nuovo, sentendosi improvvisamente ancor più stressato, e dopo essersi ripromesso per l’ennesima volta che in quei giorni avrebbe trovato il coraggio per contattarlo, appoggia il mento sul palmo della mano, volgendo il suo sguardo verso il giardino dell’istituto. La classe si trovava al piano terra, e lui è ormai solito sedersi accanto alla finestra perché da quella posizione Prompto sa di poter godere non solo di una bella vista delle montagne, ma anche di quell’ampio spazio verde che circonda la scuola. Lo trova rilassante, tuttavia le sue attenzioni vengono tutte catturate da un movimento sospetto in uno dei cespugli più vicini alla finestra.
Lo segue con curiosità, sussultando poi quando il suo sguardo incontra le iridi castane di una volpe, appena spuntata dal suo nascondiglio. Resta interdetto da quella visione, meravigliato dal fatto che quell’animale, di natura schiva, sia stato in grado di spingersi così vicino all’interno del centro abitato, lasciando Leide e tutta la natura che circonda Insomnia.
Deciso a non lasciarsi sfuggire quell’occasione, Prompto cerca con la mano la sua polaroid, portandola prontamente al volto. Inquadra la volpe, che sembra quasi ricambiare il suo sguardo con curiosità, e dopo aver premuto il pulsante di scatto deve attendere solo qualche attimo per vedere spuntare la sua istantanea. L’animale scappa solo dopo quel momento, ma Prompto si sente quasi fiero di sé per essere riuscito ad immortalare quel momento.
«Va tutto bene, signor Argentum?», la voce melliflua del Professor Ardyn, tuttavia, lo strappa a quel suo istante di gloria personale.
«Uhm… sì», sente le guance minacciare di colorarsi di rosso, «Ho solo… visto una volpe ed ho fatto una foto…», spiega poi, tentando di non apparire troppo imbarazzato.
«Oh, davvero curioso~», commenta l’altro prima di rivolgersi al resto del corso, «Vedete, il nostro caro signor Argentum è quello che noi tutti possiamo definire un ‘fotografo naturalista’ perché lui, al contrario dei modelli umani, preferisce invece immortalare quelli naturali o animali».
Prompto, nonostante tutti gli sforzi, avverte il viso andargli quasi a fuoco quando tutte le attenzioni della classe di concentrano su di lui. Odia essere al centro dell’attenzione, come quando è stato costretto a presentarsi davanti a tutta la classe al suo trasferimento a Gralea.
A conti fatti, Prompto sa di avere sempre avuto problemi del fare amicizia. Il suo carattere timido e insicuro non gli aveva mai permesso di stringere delle vere e proprie amicizie, per quello aveva sempre preferito la solitudine all’essere sotto lo sguardo di tante altre persone… anche per quel motivo si nascondeva dietro l’obiettivo della sua fotocamera - o almeno si era convinto che fosse per quel motivo, perché senza Noctis tutto il suo mondo gli era sembrato sin da subito diverso.
«Uno dei maggiori pionieri della Fotografia Naturalistica è Sergius Mercator», prosegue Ardyn, «Signor Argentum, ci sai dire per caso in quale modo è riuscito a diventare noto per i suoi scatti?»
Prompto quasi fatica a sostenere lo sguardo malizioso e curioso di Ardyn, riesce in qualche modo a nascondere il suo disagio dietro un leggero broncio.
«Non… ricordo», risponde, tentando di ignorare anche il lampo di divertimento che nota negli occhi del professore per la sua impreparazione.
«Oh… beh, c’è qualcun’altro che lo sa?», domanda Ardyn, concedendo la parola a Tredd Furia.
«Con una trappola fotografica, creata con l’utilizzo di un filo con un’esca che, se tirata dall'animale che desiderava attirare, faceva scattare l'otturatore», rispose il ragazzo, scoccando un’occhiata a Prompto, che fu costretto ad incassare.
«Esattamente. Un sistema artigianale inventato da lui stesso e che gli ha permesso di essere pubblicato in una nota rivista, l’Accordian Geographic», continua il professore con finto entusiasmo, ritrovandosi costretto a congedarli poco dopo quando la campanella mette la parola fine all'ora dedicata al suo corso, «Vi ricordo che entro fine settimana sceglieremo la foto da presentare alla mostra fotografica che si terrà ad Altissia. Come ben sapete il tema è ‘La Storia della Città ’, catturate tutto quello che per voi ha fatto la storia di Insomnia… inutile ripetere che la partecipazione vi farà guadagnare crediti extra», la voce di Ardyn, stanca e annoiata, li segue fino al corridoio e Prompto, una volta fuori dall’aula, non può non sentirsi sollevato.
È la prima volta che si sente così a disagio al corso, tant’è che esce subito dall’istituto, andando a passo spedito verso una delle fontanelle. Ce ne sono tante sparse per il giardino ma cerca di andare verso quella più nascosta, perché non se la sente di affrontare altri studenti della scuola. Sente il bisogno di bere un po’ acqua e di rinfrescarsi, nella speranza di riacquistare il suo solito controllo.
Di certo quella giornata non era una delle migliori per lui. Dapprima quell’incubo, poi la volpe e la figuraccia fatta con i suoi compagni. Quando raggiunge la fontanella si sente quasi grato nel trovarsi solo, e appoggiandosi sui bordi in marmo, chiude gli occhi per tentare di trovare un po’ di controllo. È sempre la stessa persona di quella mattina... eppure non riesce a non sentirsi abbattuto. Si morde le labbra e girando la manopolina della fontanella si abbassa per infilare il capo sotto il getto d’acqua, scuotendo poi i capelli per scacciarne l’eccesso.
Sospira per l’ennesima volta in quell’ultima mezz’ora, ed i suoi pensieri vanno subito alla mostra e all’eccitazione che fino a qualche giorno prima lo aveva spinto alla ricerca del soggetto perfetto da immortalare… esaltazione che, in quel momento, sembra scomparsa.
Fa qualche passo di lato, per potersi appoggiare al muro dell’istituto, tirando fuori dalla borsa il suo portfolio e con esso l’istantanea che aveva scelto di utilizzare.
Una foto semplice, scattata con l’utilizzo del timer e di un treppiedi e che lo ritraeva di spalle davanti alla Cittadella. L'antico lungo dove risiedevano i primi sovrani di Lucis, ormai un immenso museo. Era un luogo pregno di leggende che lo aveva sempre affascinato.
«Ma dove vuoi andare, Prompto…», mormora.
Fino al giorno prima quella foto gli era sembrata geniale e perfetta, ma in quel momento non era poi così certo del suo lavoro. Si sente quasi schiacciato da quelle sensazioni così negative, e trascinato da quelle emozioni afferra la foto con l'indice ed il pollice di entrambe le mani. Non esita neanche per un istante mentre la strappa, lasciandola cadere per terra. Vorrebbe dire di sentirsi meglio per aver compiuto quel gesto, ma sfortunatamente continua ad avvertire quella stessa oppressione. Guarda la foto strappata, abbandonata sul terreno, e chinandosi per poterla raccogliere e buttarla poi nel cestino, ma è in quel momento che le sue attenzioni vengono attratte da un movimento sospetto nei cespugli.
Lì per lì crede che sia ancora la volpe ma quello che vede fare capolino dal suo nascondiglio è ben altro. Gli sembra quasi l'epilogo perfetto per la più strana delle giornate, perché quello che vede è uno scoiattolo che corre verso uno dei pezzi della fotografia, lo raccoglie e scappa di nuovo verso i cespugli.
Prompto sorride quasi istintivamente, e come per la volpe, cerca subito la sua polaroid nella borsa. Si avvicina lentamente ai cespugli, superandoli per cercare lo scoiattolo. Lo vede poco lontano, con ancora la foto tra le zampette e, stendendosi per terra con dei movimenti calcolati, spera di riuscire ad immortalare quell’ennesimo assurdo avvenimento della giornata.
L’animaletto resta fermo, quasi curioso, mentre Prompto preme il pulsante di scatto. Poi, senza sollevarsi, scuote l’istantanea per farla asciugare. La osserva, mettendosi seduto ed appoggiando la schiena contro uno degli alberi che spuntano in quella zona del giardino.
“ La foto è uscita bene ”, commenta mentalmente, “ Buona luce, ho centrato bene l’inquadratura… ho fatto un buon lavoro. Lo so e lo vedo… allora perché continuo a sentirmi così? ”
È irritante quella sensazione di incompletezza e insoddisfazione. Sbuffa, riponendo ordinatamente la foto nel suo portfolio, ritrovandosi poi a sussultare quando sente dei veloci passi alle sue spalle. Si irrigidisce istintivamente, restando quasi spiazzato quando vede lo scoiattolo spostarsi di nuovo per andare verso gli altri resti della fotografia, incurante della presenza di un’altra persona.
«Sta tranquillo, Luche. Tranquillo… conta fino a dieci e prendi un bel respiro…»
Prompto tende le orecchie nel sentire quella voce. In un’altra occasione, sarebbe uscito allo scoperto, ma quando, sollevandosi un poco dal suo nascondiglio, vede la familiare ed alta figura di Luche Lazarus decide di rimanere fermo. L’altro ragazzo sta parlando da solo, appoggiato alla fontanella e sembra addirittura che abbia bisogno di una spalla sulla quale piangere, o anche solo sfogarsi… ma Prompto non ha mai apprezzato la compagnia dell’altro ragazzo. Lo ha sempre trovato un po’ acido e idiota, il classico figlio di papà viziato, ed il fatto che stia facendo un monologo non fa altro se non metterlo a disagio. Per quel motivo decide di lasciargli quel momento di solitudine che, tuttavia, sembra essere interrotta da un'altra persona.
«Quindi cosa vuoi? Perché mi hai fatto venire qui?», domanda Luche.
«Spero che tu abbia controllato di essere solo, Lazarus», risponde una seconda voce. Prompto sa di avere tutto il diritto di restare lì, ma non può non sentirsi vagamente sollevato quando il secondo ragazzo, notando lo scoiattolino, esclama un leggero: «Ehi tu! Fila via!», diretto all’animaletto che, zampettando, abbandona la foto strappata a metà per sparire alla vista di tutti.
“ Non mi ha scoperto… ”, pensa rilassandosi contro il tronco, rizzando poi le orecchie quando i due riprendono a discutere.
«Ora siamo soli e possiamo parlare d’affari», esordisce per primo il secondo ragazzo.
«Non ho niente per te», taglia subito corto Lazarus.
«Sei ricco».
«La mia famiglia lo è. Non sono soldi miei».
«Povero piccolo bambino ricco…», dichiara l’altro senza però empatia nella voce, «ormai non puoi più nasconderti. So che spacci droga ed altra robaccia in questa zona…»
Prompto sa che origliare in quel modo è sbagliato e che non dovrebbe farlo, ed infatti cerca di guardarsi attorno pur di distrarsi. Guarda le finestre della scuola, un inutile allarme anti-incendio esterno poco sotto di esse, delle cartacce e altre piccole cose che non sono abbastanza per impedirgli di ascoltare quelle parole. Per quel motivo non può fare a meno di sollevarsi un poco per continuare a spiare la loro conversazione. Il secondo ragazzo gli è familiare, così come la sua voce, ma non riesce ad associarlo a nessun viso noto con quella cuffietta scura calata sul capo e le ciocche azzurre e nere che fanno capolino sotto di essa.
«Se è questo che vuoi, posso procurarti-»
«Non hai proprio capito, Lazarus», scuote il capo, «Non sono interessato alla droga. Voglio i soldi… non credi che una famiglia rispettabile come la tua non ti aiuterebbe se glielo dicessi? Immagino già lo scandalo...»
«Non parlare della mia famiglia!»
«Allora pagami e terrò la bocca chiusa. O vuoi davvero che vada a dire a tutti quello che hai cercato di fare?»
«Tu non sai quel che dici…», sibila con tono pericolosamente basso Luche, fronteggiando l’altro ragazzo, «Non osare MAI dirmi cosa devo fare! Sono stanco… STANCO delle persone come te che cercano di controllarmi!», esclama con rabbia, estraendo dalla tasca una piccola pistola che fa sussultare sia Prompto che l’altro.
«E-ehi! Stai calmo! Avrai problemi ben peggiori con quella che con la droga!»
«E allora? Immagino che non mancherà a nessuno un ‘fallito ’ come te, giusto?»
Prompto è certo di vedere un lampo d’ira attraversare gli occhi del ragazzo ed è in quel momento che sa di dover intervenire.
Si solleva velocemente per uscire dal suo nascondiglio, ma è troppo tardi. L’altro ragazzo infatti spintona Luche esclamando un: «Tieni quella pistola lontana da me, psicopatico!», seguito dal forte rumore dello sparo.
«NO! Fermo!», grida allungando la mano, mentre con gli occhi segue, quasi al rallentatore, il ragazzo accasciarsi per terra. Vede il sangue macchiargli la maglietta e lo shock si riversa in Prompto come una violenta botta in testa.
«Ah!», gli sfugge un gemito e si porta le mani al capo come per placare il dolore, ma quando riapre gli occhi lo scenario è cambiato ancora. Si trova di nuovo nella classe del corso di fotografia e il professor Ardyn sta parlando delle foto in bianco e nero.
“ Come? Perché? Ero… vicino alla fontanella e Luche ha sparato a quel ragazzo. Ho… ho solo allungato la mano e sono tornato qui… »
Si guarda le mani, cercando di regolarizzare il respiro improvvisamente più veloce. È agitato ed ha paura, ma tenta ugualmente di imporsi il controllo.
“ Come può essere? Okay… ora rilassati Prompto. Cerca di fare mente locale… ”, chiude ancora gli occhi per calmarsi, “ Hai già sentito questa lezione… e… oddio… ora dovrebbe uscire una volpe da quel cespuglio… ”
Sposta lo sguardo verso la finestra, pallido e ancor agitato, e quando vede il familiare muso dell’animale spuntare tra i bassi arbusti, Prompto non riesce a trattene un violento sussulto che lo scuote da capo a piedi, facendogli colpire il banco... causando in quel modo la rovinosa caduta per terra della sua polaroid e di alcune penne.
«Oh… che disastro, signor Argentum», commenta subito Ardyn, davanti a quello sfortunato evento e Prompto, imprecando a mezza voce, si piega per raccogliere i pezzi della macchina fotografica, bloccandosi però nell’osservare le sue dita tese.
«N-niente…», risponde tremante, mordendosi le labbra. Neanche gli sguardi dei suoi compagni riescono a metterlo a disagio come, normalmente, sarebbe accaduto e né tanto meno si sente irritato per la distruzione della sua polaroid.
I suoi pensieri sono sempre più confusi, come un filo attorcigliato continuano a legarsi tra di loro rendendogli ancor più complicato capire come comportarsi.
“Non posso credere a quello che sto per fare… ”, pensa a quel punto. Non ha senso quello che gli è accaduto ed è assurdo, ma prova ugualmente a concentrarsi tenendo gli occhi fissi sulla polaroid, visualizzando l’esatto momento in cui ha visto la volpe spuntare nel cespuglio. E come un film, gli sembra di vedere la macchina fotografica ricomporsi fino a tornare sul banco: immacolata.
«Cazzo», mormora senza rendersene conto, «L’ho fatto davvero…»
Si guarda attorno come per assicurarsi di non essersi immaginato niente, mentre alle sue orecchie giunge ancora l’ormai familiare voce del professore e tutto quello che riesce a pensare riguarda il ragazzo che ha visto vicino alla fontanella con Luche.
“ Quel ragazzo… non è morto! Devo andare assolutamente a salvarlo! Devo fare qualcosa! ”, pensa agitato, lasciandosi animare da quei pensieri.
Non sa più cosa sia vero e cosa no. Potrebbe essere un sogno e, lì per lì vorrebbe alzarsi, correre subito nel giardino e studiare un piano per evitare quell’omicidio, ma qualcosa lo blocca. Perché, anche se quella è solo un’illusione della sua mente, tutto quello resta così strano da spingerlo a cercare un’ulteriore conferma.
“ Quando ho fatto la foto alla volpe, Ardyn mi ha fatto una domanda. Se lo farà anche questa volta… saprò che tutto questo è reale ”, si dice cercando di aggrapparsi a quella convinzione. Sa di doversi ritenere un folle per quei pensieri ma non vuole che qualcuno muoia in quel modo… senza che lui abbia potuto fare niente per evitarlo.
Attende di nuovo di vedere spuntare la volpe, e dopo un momento di esitazione, scatta di nuovo l’istantanea.
«Va tutto bene, signor Argentum?»
Ed eccola di nuovo lì, la stessa domanda che gli aveva rivolto Ardyn la prima volta. Sente ancora gli sguardi della classe su di sé, ma in quel momento la sicurezza del dover andare alla fontanella e salvare quel ragazzo, gli impedisce di provare un eccessivo imbarazzo per quella situazione - in fondo, ha appena scoperto di poter tornare indietro nel tempo: perché dovrebbe sentirsi a disagio per una 'piccolezza' come quella?!
«Ho solo visto una volpe ed ho fatto una foto», risponde rapido, ma ancor prima di poter chiedere una pausa per andare in bagno, Ardyn continua a parlare.
«Oh, davvero curioso~ vedete, il nostro caro signor Argentum è quello che noi tutti possiamo definire un ‘fotografo naturalista’ perché lui, al contrario dei modelli umani, preferisce invece immortalare quelli naturali o animali».
Prompto ha ovviamente già sentito quelle parole e conosce anche la successiva domanda che Ardyn gli rivolge.
«Uno dei maggiori pionieri della Fotografia Naturalistica è Sergius Mercator. Signor Argentum, ci sai dire per caso in quale modo è riuscito a diventare noto per i suoi scatti?»
«Vorrei andare in bagno», risponde senza pensarci su due volte, restando sorpreso dinanzi alla smorfia che appare nel volto di Ardyn.
«Signor Argentum, non credo sia il modo migliore per fuggire dalle domande», insinua e Prompto si sente quasi sprofondare.
Non ha tempo da perdere e, tendendo ancora la mano, cerca di visualizzare di nuovo la domanda appena fatta da Ardyn, e come in precedenza insieme a una leggera emicrania, si risveglia nell’esatto attimo in cui sente l'insegnante pronunciare una frase ormai familiare.
«Vedete, il nostro caro signor Argentum è quello che noi tutti possiamo definire un ‘fotografo naturalista’ perché lui, al contrario dei modelli umani, preferisce invece immortalare quelli naturali o animali«Uno dei maggiori pionieri della Fotografia Naturalistica è Sergius Mercator. Signor Argentum, ci sai dire per caso in quale modo è riuscito a diventare noto per i suoi scatti?»
Fortunatamente sa come reagire a quella situazione e senza esitare risponde con un deciso: «Con l'utilizzo di una trappola artigianale, creata con l’utilizzo di un filo con un’esca. Quando veniva tirata dall'animale desiderato, questa faceva scattare l'otturatore».
«Esattamente. Questo sistema, inventato da lui stesso, gli ha permesso di essere pubblicato in una nota rivista, l’Accordian Geographic», continua l'insegnante con il suo solito finto entusiasmo e come in precedenza, è la campanella a mettere fine alla sua lezione.
Prompto raccoglie rapidamente tutte le sue cose e neanche sente Ardyn ricordare loro della mostra. La sua mente è volta solamente al salvataggio di quel ragazzo, e dopo aver lasciato la classe quasi di corsa, esce nel giardino avviandosi a grandi falcate verso la fontanella.
Come in precedenza non c’è nessuno in quella zona e Prompto tenta allora di calmarsi. Si trova esattamente dove vuole essere e non è il momento di lasciarsi prendere dal panico.
“ Okay… devo ripetere esattamente quello che ho fatto ”, si incoraggia, infilando la testa sotto il getto dell’acqua. Scuote il capo, e dopo aver strappato la sua fotografia, abbandonandola per terra, punta subito lo sguardo verso i cespugli, dai quali vede apparire lo scoiattolo.
Sta accadendo ancora e non deve agitarsi, si ripete con convinzione. Segue l’animaletto, e dopo aver preso la stessa posizione assunta la prima volta, prende la polaroid per scattare di nuovo la foto. Ha lo stomaco chiuso, e mentre ripone la macchina fotografica nella borsa con mani tremanti, ed infilando l’istantanea appena fatta dentro il portfolio senza curarsi della sua posizione, attende l’arrivo di Luche.
Non sa ancora esattamente come riuscirà a salvare quel ragazzo ma troverà un modo… possibilmente che non comporti il venire sparato a sua volta. I suoi pensieri vengono azzerati solo qualche attimo dopo, quando alle sue orecchie giungono i passi di Luche.
«Sta tranquillo, Luche. Tranquillo… conta fino a dieci e prendi un bel respiro…»
Luche sta di nuovo parlando da solo e Prompto sa di non poter perdere tempo. Si guarda attorno alla ricerca di qualsiasi cosa che possa allontanarlo. Ci sono le pietre, potrebbe lanciarle contro qualche finestra, oppure…
I suoi pensieri vengono interrotti di nuovo dalla voce di Luche e dal suo: «Quindi cosa vuoi? Perché mi hai fatto venire qui?»
«Spero che tu abbia controllato di essere solo», Prompto si impone di nuovo una totale immobilità per non farsi scoprire anche quando l'altro scaccia lo scoiattolo, «Ora siamo soli e possiamo parlare d’affari», lo sente riprendere qualche momento dopo.
«Non ho niente per te».
Fa ancora scorrere lo sguardo attorno a sé, dandosi dello stupido per non aver organizzato un piano prima di correre alla fontanella.
“ Pensa Pensa... pensa! Non devi farti uccidere da quel pazzo ma devi anche salvare quel tipo! Pensa! ”, si sforza ed è in quel momento che vede l'allarme anti-incendio davanti a sé, protetto da un immacolato vetro, “ Posso usarlo! ”
Lo aveva visto anche la prima volta ma lo aveva classificato come inutile, un errore di progettazione o, forse, un eccessivo zelo per la protezione della scuola e degli studenti. Di certo, in quel momento, sarebbe servito proprio a proteggere uno di quei ragazzi.
«Non parlare della mia famiglia!»
«Allora pagami e terrò la bocca chiusa. O vuoi davvero che vada a dire a tutti quello che hai cercato di fare?», proseguono i due, e Prompto comprende di non avere più tempo.
«Tu non sai quel che dici…», sibila con tono pericolosamente basso Luche, «Non osare MAI dirmi cosa devo fare! Sono stanco… STANCO delle persone come te che cercano di controllarmi!»
Prompto pensa solo ad afferrare una delle pietre che trova e, sollevandosi lentamente nella speranza di non attirare la loro attenzione, si accosta all’allarme.
«E-ehi! Stai calmo! Avrai problemi ben peggiori con quella che non la droga!»
«E allora? Immagino che non mancherà a nessuno un ‘fallito’ come te, giusto?»
Colpisce il vetro con un colpo secco, e chiudendo gli occhi preme il pulsante facendo scattare la sirena.
«Stammi lontano, psicopatico!»
Prompto sente quella frase, seguita da un verso di dolore di Luche, e subito dopo dei veloci passi… e li capisce di esserci riuscito. Si nasconde ancora, per evitare le ire dell’altro ragazzo, osservandolo rialzarsi dolorante da terra con una mano sullo stomaco.
«Maledizione...», lo sente imprecare mentre abbandona la zona della fontanella, lasciando Prompto da solo.
Si lascia andare appoggiandosi di nuovo contro l’albero, improvvisamente debole. Tutto quello è assurdo. Non ha senso… ma è successo per davvero e mai come in quel momento sente di avere bisogno di andare a distendersi.
Si alza e, dopo essersi pulito i pantaloni, si allontana a sua volta dalla fontanella mischiandosi alla folla che si apprestava ad abbandonare l’istituto come da prassi per l’allarme anti-incendio.
Si trova costretto a passare accanto all’ingresso dell’istituto per poter andare verso i dormitori ed è lì che scorge la preside e non può fare a meno di sentire uno straccio di conversazione con uno degli addetti alla sicurezza.
«È solo un falso allarme. Lo stupido scherzo di qualche ragazzino».
Abbassa la testa, colpevole, cercando di superarli senza dare troppo nell’occhio.
«Signor Argentum».
Tuttavia, nell’infinita sfilza di sfortunati eventi, Prompto si sente richiamato proprio dalla preside, Camelia Claustra.
«Sei pallido», gli fa notare la donna, congedando l’addetto alla sicurezza, «Ti è successo qualcosa?», domanda.
Prompto non ha mai avuto a che fare con Camelia Claustra, tuttavia la sua fama la precede. Per anni era stata ai vertici della scena politica di Eos, una donna forte e autoritaria che si era fatta strada in un mondo maschilista.
Si muove irrequieto Prompto, incerto se rispondere o meno al suo quesito. Anche se da una parte vorrebbe fidarsi della donna e svelarle quanto ha visto, dall’altra non è certo di poterlo fare.
«Niente, Preside Claustra», dichiara, ricevendo un’occhiata di disapprovazione da parte della donna.
«Lavoro qui da anni, signor Argentum e so quando un ‘niente’ significa qualcosa di più», gli fa presente la preside, aggrottando le fini sopracciglia.
«… ho appena visto Luche Lazarus con una pistola », mormora a quel punto, scegliendo di svelare quel pesante segreto.
«Luche Lazarus? Ne sei sicuro?», lo interroga la donna, alzando un poco la voce, forse per la sorpresa.
«Era vicino ad una fontanella, in fondo all’istituto, e parlava da solo», riprende con più decisione, scegliendo di cancellare del tutto la figura dell’altro ragazzo. «Ho visto tutto, sembrava… impazzito».
«E… l’avresti visto senza essere scoperto?»
«Stavo facendo una foto e ho visto la pistola. Ero un po’ nervoso! Sono rimasto nascosto».
Prompto non riesce a decifrare la reazione della donna. Gli sembra sul punto di esplodere e di iniziare ad urlare, ma dall’altra gli dà l’idea che invece stia cercando di calmarsi.
«Lo immagino, ma voglio solo essere sicuro che tu abbia visto esattamente il signor Lazarus», risponde invece la preside, mostrandosi controllata anche se con un pizzico di irritazione nella voce, «Come ben sai è l’erede di una delle famiglie più illustri della città, nonché uno dei nostri migliori studenti e sportivi. Per questo temo di trovare impossibile immaginarlo mentre brandisce un'arma davanti ad una fontanella. Cosa è accaduto poi?»
«Dopo... dopo è scappato quando ha sentito l’allarme anti-incendio e così ho fatto io. Lo farete arrestare?»
«Si tratta di un’accusa pesante... ma ti prometto che farò personalmente delle ricerche», conclude la preside, facendo irrigidire Prompto.
«Solo questo? A-aveva una pistola!», pigolò.
«Continueremo la discussione più tardi, nel mio ufficio. Ora ti chiedo di lasciare l’istituto, signor Argentum», gli impone la donna con un tono deciso e fermo, e Prompto non può far altro se non stringere le labbra senza neanche tentare di nascondere il suo disappunto, riprendendo il suo cammino verso la sua strada.
“ Solo delle indagini? Ma stiamo scherzando? ”, pensa nervoso, prendendo la stradina verso i dormitori dell’istituto, continuando a sentirsi irritato anche quando sente la voce della preside richiamare Luche attraverso l’altoparlante. Con quella sua denuncia sa di essersi quasi giocato la sua carriera scolastica - e di essersi anche messo contro la famiglia di Luche -, ma gli era sembrata la cosa più giusta da fare.
Potrebbe tornare indietro nel tempo con i suoi nuovi ed inspiegabili poteri... ma non se la sente, e non è certo di volerli utilizzare per il suo solo tornaconto.
Si passa una mano tra i capelli, ancora un poco umidi, e contando fino a dieci riesce a trovare un po’ di controllo. Ha fatto la cosa giusta salvando quel ragazzo, e non ha bisogno di sapere altro.
Una volta arrivato allo stabile adibito a dormitorio si sofferma un momento ad osservare alcuni degli alunni rilassarsi nel giardino, e non può fare a meno di sentirsi vagamente rassicurato nel trovarsi lì.
L’Università di Insomnia era una delle più antiche di Eos e comprendeva, tra le varie strutture, anche dei dormitori... senza i quali, Prompto, non sarebbe mai potuto tornare ad Insomnia.
Leggermente più rilassato entra nello stabile, schivando per pura fortuna Nyx Ulric e Libertus Ostium, due giovani uomini di qualche anno più grandi di lui, attraversare quella stessa porta.
«Siamo in ritardo per l’allenamento».
«… a questo punto immagino che Crowe ci ucciderà...»
Prompto li ascolta quasi distrattamente vedendo come sua unica meta la sua stanza, quello però non gli impedisce di fare una breve sosta davanti alla bacheca degli annunci. Vi erano tanti fogli colorati di suoi compagni che si proponevano come tutor, poster motivazionali per le squadre dell’istituto e altri piccoli annunci. Niente di nuovo. Esattamente come il volantino di una ragazza scomparsa faceva bella mostra su quella bacheca, e in tante altre pareti dell’istituto. Si trovava lì già dal suo ingresso nell’università. Lunafreya Nox Flauret. Una ragazza bellissima, quasi un angelo dalla foto che la raffigurava nel manifesto.
Si concesse di nuovo di leggere i vari dati.
  S C O M P A R S A
Scomparso da: Insomnia
In data: Lunedì, 16 Ottobre 2017
ALTRO
Anni: 24
Altezza: 165 cm | Peso: 53.5 kg
Capelli: Biondi | Occhi: Azzurri
  Sul fondo i vari numeri da contattare in caso di avvistamento ed ulteriori informazioni molto dettagliate che spingono Prompto a pensare che chiunque abbia affisso e creato quei volantini tenesse davvero tanto a Lunafreya. Rivolge un’ultima occhiata al volto della ragazza, poi riprende a camminare verso la sua camera, la numero 4. Una volta chiusa la porta alle sue spalle sente tutte le sue forze abbandonarlo, e lasciando la borsa sul comodino si butta direttamente sul letto.
“ Che giornata assurda… ”
Prima quell’incubo poi tutto il resto e quel suo… potere . Era reale? O si sarebbe risvegliato da lì a poco?
“ Magari sono caduto dal letto, ho sbattuto la testa e sono finito in coma ”, si dice, concedendosi una breve risata. Sapeva in ogni caso di non dover dare di matto. Doveva cercare di ragionare sempre a mente lucida, anche se non era per niente semplice.
Era diventato una sorta di supereroe? Tipo i protagonisti degli anime e manga?
Si rigira per cambiare posizione, ed una volta supino rivolge il suo sguardo dapprima verso il soffitto e poi sulla destra, verso la testiera del letto alla ricerca di qualcosa in grado di distrarlo.
Ha appeso delle foto lì sul muro. Alcune fatte a Gralea - compresi i suoi primi esperimenti con la polaroid -, ed altre sulla sua infanzia lì ad Insomnia. Tipo quelle con Noctis Caelum, il suo migliore amico. In una foto sono ritratti con dei kigurumi, lui è un chocobo mentre Noctis, imbronciato, ha addosso quello di un cactuar. Hanno sette anni ed era un ‘pigiama party’ per la festa di compleanno di Noctis.
In un altra si trovano su una panca in legno, ed era stata scattata durante un picnic del promontorio fuori Insomnia e in un’altra ancora indossano la loro divisa scolastica e sono al primo anno delle medie, prima che Prompto sia costretto a lasciare Insomnia. Noctis è sempre serio mentre lui di fianco mostra un sorriso emozionato e felice.
“ Che cosa sta facendo ora… magari potrei avvicinarmi a casa sua visto che non l’ho ancora incrociato qui al campus… ”, pensa chiudendo gli occhi. “ Devo... solo trovare il coraggio di contattarlo… non posso continuare ad evitarlo in questo modo… ”
Sa di non essere stato il migliore degli amici, ma le cose gli erano sfuggite di mano e può solo sperare di riuscire a rimediare.
È una notifica di Eosgram quella che, fortunatamente, riesce a distogliere Prompto dai suoi pensieri. Prende il cellulare leggendo il messaggio che gli ha appena inviato Pelna Khara, un ragazzo dei Glaive che ha conosciuto qualche settimana prima.
-- Ehi Prompto! Mi dispiace! Ma devo chiederti indietro il libro che ti ho prestato! Mi serve per una ricerca! --
Prompto sorride divertito quando gli arriva l’ennesimo ‘ scusa ’ del ragazzo e, mettendosi seduto, si appresta a rispondergli.
-- Non preoccuparti Pelna. Posso portartelo subito. Dove ti trovo? --
La risposta dell’altro non tarda ad arrivare.
-- Sono alla fermata, aspetto il pullman. --
Prompto lancia solo una veloce occhiata all’orario riportato in alto sul cellulare, mancano dieci minuti all’arrivo del mezzo e sa di doversi sbrigare.
-- Sto arrivando. --
Ci mette giusto due secondi per afferrare il libro sulla scrivania, rimettersi la borsa in spalla e ad abbandonare di nuovo la sua stanza. Ripercorre il corridoio rapidamente, dirigendosi poi subito verso la fermata dei pullman una volta fuori dal dormitorio.
Attraversa il giardino principale dell’istituto, infilandosi nel marciapiede subito dopo il cancello d’entrata e camminando infine lungo il breve tratto di strada che lo separa dalla fermata.
Riconosce subito la slanciata figura di Pelna e quel suo sorriso allegro e spensierato. Ha delle stampelle che usa per reggersi in piedi a causa del piede ingessato, un incidente durante l’ultima partita di campionato con la squadra di football.
«Mi dispiace amico, ci tenevo davvero che tu leggessi questo libro!», lo accoglie all’istante.
«Non preoccuparti», lo rassicura subito, porgendogli il libro, «Ho iniziato a leggerlo ed è molto interessante, dopo la ricerca potresti riprestarmelo, okay?»
«Certamente! Sarà una cosa veloce, visto che sfortunatamente al momento ho fin troppo tempo senza gli allenamenti».
«Immagino!», ridacchia Prompto, «E sta arrivando il pullman, faresti meglio a non perderlo», gli fa presente non appena avvista il mezzo rallentare per accostare alla fermata.
«Sì! A domani Prompto!», lo saluta il ragazzo, e con un semplice gesto della mano Prompto decide di tornare lentamente sui suoi passi. Ha la sua polaroid in borsa e per un momento pondera se dedicarsi o meno alla ricerca di qualcos'altro da presentare ad Ardyn per la mostra di Altissia. In quel modo, magari, potrebbe anche cercare di non pensare ai suoi poteri e a tutto quello che gli è successo.
Tuttavia i suoi pensieri vengono interrotti dalla familiare figura di Luche che, dopo averlo squadrato da capo a piedi, lo blocca sul marciapiede.
«Argentum», lo saluta senza riuscire però a nascondere una certa preoccupazione mista alla rabbia nella voce, «Cosa sei andato a dire alla preside?»
Prompto si sente sovrastato dalla sua altezza e, istintivamente, fa un passo indietro.
«I-io… solo la verità», gli risponde piano, «Che ho visto uno studente con una pistola».
Sa che è una pessima mossa e che probabilmente Luche è ancora armato, ma non riesce a tenere la bocca chiusa - forse, si sente anche forte del fatto di poter tornare indietro nel tempo e rimediare.
«No, gli hai detto che IO avevo una pistola!», controbatte l’altro, «E mi ha trascinato nel suo ufficio!»
«Io...»
Luche si concede una risata nervosa, quasi malata.
«Forse non l’hai capito ancora, ma la mia famiglia ha in pugno questo posto! Posso farti finire sotto terra come e quando voglio se continui a ficcare il naso dove non devi!»  
Prompto stringe le labbra, intimorito da quella minaccia.
«N-non costringermi a… c-chiamare la polizia», cerca di ribattere, tentando di aggirarlo per lasciare il marciapiede. Lo separano pochi metri dal cancello d’ingresso dell’istituto. Luche tuttavia non gli permette di passare, spingendolo indietro.
«Stiamo parlando, Fotofanatico !», esclama.
«Non toccarmi!»
«Altrimenti cosa fai? Mi farai un’altra foto mentre stai nascosto tra i cespugli?»
« Non ti ho fatto nessunissima foto!», controbatte Prompto, sentendo il viso andargli in fiamme per l’imbarazzo e lo spavento. Luche ovviamente non demorde e, spintonandolo invece con più forza, riesce addirittura a fargli perdere l’equilibrio a causa del leggero scalino tra il marciapiede e la strada. Prompto sente qualcosa scattare in sé, e pensa subito di scappare e di iniziare a correre lontano. Infatti scatta in piedi come una molla, stringendo la tracolla della sua borsa al petto, ma viene tuttavia bloccato all’improvviso una moto che inchioda vicino a loro - lo stava per investire: il motociclista ha avuto per davvero degli ottimi riflessi.
Anche Luche, in reazione a quella brusca frenata, fa quasi un balzo indietro per lo stupore e lo stesso Prompto resta spiazzato.
«Prompto?»
Il ragazzo in moto solleva la visierina del casco pronunciando il suo nome con un tono meravigliato e Prompto, nonostante le ciocche azzurre tra i capelli neri che spuntano da sotto il casco, si da dello stupido per non aver subito riconosciuto il suo migliore amico.
«N-Noctis?»
«Ancora tu?», si intromette Luche qualche momento dopo, ricevendo in tutta risposta un calcio da parte di Noctis non appena cerca di avvicinarsi di nuovo.
«Salta su, Prompto!», lo incoraggia, e senza pensarci due volte Prompto sale a cavalcioni sulla moto, stringendosi subito all’altro ragazzo quando questo riprende a correre. Sente gli insulti di Luche farsi improvvisamente più lontani, e tenendo gli occhi chiusi a causa della velocità, non può far altro se non attendere che il suo cuore smetta di battere così furiosamente.
Non sa per quanto tempo corrono in moto, sa solo che quando si fermano si trovano vicino alla zona portuale di Insomnia, e la prima cosa che Prompto riesce a pensare è che... che quello è il suo migliore amico e che lo ha visto morire solo un'ora prima. Lo osserva togliersi il casco e sistemarsi i capelli con una mano. Ovviamente è anche più alto, ed il suo viso è più magro e maturo di quel che si ricorda, e Prompto non può fare a meno di chiedersi se Noctis dorma e mangi regolarmente, soprattutto quando nota i leggeri cerchi scuri sotto i suoi occhi. È diverso dal ragazzino che aveva lasciato a Insomnia quando avevano entrambi tredici anni, ma si dà ugualmente dell'idiota per non averlo subito riconosciuto nonostante l'abbigliamento - maglia attillata scura e jeans altrettanto stretti - ed i capelli con i ciuffi azzurri.
In quel mese da quando era tornato in città aveva spesso immaginato a come sarebbe stata la loro riunione, ma di certo quella non era una delle ipotesi che si era fatto.
«Spero che la corsa in moto non ti abbia scombussolato troppo», commenta Noctis con quel suo solito tono semi divertito che fa riempire il cuore di Prompto di ricordi.
«Ma ti pare?», controbatte prontamente, anche se si sente lieto di avere finalmente i piedi su una superficie solida.
«Allora, che voleva da te quel tizio? Non ti facevo tipo da andare ad attaccare briga in questo modo».
Prompto allontana per un momento lo sguardo.
«Che ne so... è Luche, che ti puoi aspettare da un tipo come lui?», mente. Non sa perché stanno parlando così tranquillamente, come se non si fossero mai separati per sette anni, ma è certo di sapere che non è una cosa positiva. Gli sembra di essere dinanzi all'innaturale calma prima della tempesta... e la cosa lo mette ancor più a disagio.
«Già, è un idiota», commenta Noctis, sedendosi sul muretto che separa il marciapiede dalla rimessa per le navi. Prompto prende subito posto accanto a lui, nervoso.
«Allora, come è stato lasciare la fredda Gralea per tornare qui?», gli chiede Noctis.
«Mi immaginavo un rientro più tranquillo in realtà».
«Quindi Gralea faceva così schifo?», domanda ancora l’altro.
«No. Ci sono dei luoghi fantastici, ma preferisco Insomnia. Sono nato e cresciuto qui, in fondo… poi l’Università è la migliore», risponde, omettendo volutamente di parlare dei propri genitori.
«E sei tornato qui solo per ‘nostalgia’ e per l’università, non per il tuo migliore amico?»
Prompto accusa il colpo, e per un momento cerca di evitare di rispondergli perché non ha scuse.
«Senti, è… è stato un periodo di merda!», mugugna piano.
«Che prevedeva l’escludermi totalmente dalla tua vita», rincara Noctis.
«Non ho mica obbligato io i miei genitori a trasferirsi!», esclama, «Poi lì le cose sono andate a rotoli, avevo altre cose per la mente...»
«E pensavi che io non potessi aiutarti come abbiamo sempre fatto?»
Prompto sospira, sa che Noctis ha ragione e non può difendersi.
«Mi... dispiace, okay? A quanto pare abbiamo avuto entrambi un periodo di merda».
«Puoi dirlo forte», annuisce Noctis, «E questo è uno di quei giorni che vorrei dimenticare...»
Prompti annuisce, anche lui vorrebbe davvero dimenticare tutto quel giorno. Vorrebbe risvegliarsi in camera sua e riprendere la sua vita come se non fosse accaduto niente. Nessun potere e nessun mancato omicidio
«Perché… non mi hai cercato quando sei tornato qui?», gli chiede ancora Noctis, formulando una delle domande che Prompto non voleva sentire. Esita per un momento poi, vista la situazione, sceglie di dover essere sincero.
«Proprio perché non ci siamo sentiti per sette anni. Non avevo il coraggio di cercarti, non sapevo come fare».
«Gralea ti ha proprio rammollito, non sei più il ragazzino che mi seguiva ovunque...», commenta Noctis.
«A quanto pare…», sospira ancora Prompto cercando di concentrarsi su qualcos’altro, come ad esempio la sua polaroid. Potrebbe fare una foto alle navi ormeggiate, ad esempio. Tuttavia quando la tira fuori non può fare a meno di imprecare nel vederla con alcuni pezzi staccati. Probabilmente, suppone con un moto d’ira, si deve essere rotta quando Luche lo ha spinto a terra.
Sente gli occhi riempirsi di lacrime perché non ha i soldi per acquistarne una nuova e quella polaroid… era importante. Troppo importante.
«Uh! Mi mancava sentirti imprecare», mormorò quasi divertito Noctis, ricevendo in risposta un’occhiataccia triste e carica di lacrime da parte di Prompto che sembra prontamente costringerlo a fare un passo indietro, «A casa dovrei avere un sacco di attrezzi per ripararla».
«Mi servono degli attrezzi specifici, Noctis...», gli fa presente, rimettendo la macchina fotografica nella borsa, tirando poi su con il naso.
«Il mio tutore si è fissato con le miniature, potrebbe avere qualcosa che fa al caso tuo», lo incoraggia ancora.
Prompto registra quell’informazione un po’ sorpreso. Noctis aveva detto ‘tutore’ , non aveva parlato di padre né dei suoi genitori… il che lo porta a chiedersi: quante cose sono cambiate in mia assenza?
«Beh… tentar non nuoce… credo...», decide di accettare, scendendo dal muretto per seguire Noctis diretto di nuovo verso la sua moto.
«A questo punto non posso che dirti: ‘ Bentornato a casa, Prompto ’!»
«Grazie…», risponde senza però riuscire ad allontanare quel senso di ‘sbagliato’ da tutta quella situazione. È davvero felice di aver incontrato di nuovo Noctis - cambiamenti e tutto quel casino con Luche compreso -, ma non può davvero ignorare quel tassello mancante che lo fa sentire a disagio. Prende di nuovo posto alle spalle dell’altro ragazzo, ignorando il buonsenso che gli dice che non dovrebbero andare in due in moto - e soprattutto il fatto che lui non ha il casco -, stringendosi poi al suo corpo quando, con una sgommata, si rimettono in strada.
L’immagine che ha di Noctis è così diversa da quella che gli si è appena presentata davanti, ed è in quell’istante che si rende conto che, fino a quel momento, il suo ‘migliore amico’ non l’ha mai chiamato: “ Prom ”.
Era il nomignolo che gli aveva dato quando si erano conosciuti, e con un sorriso nostalgico non può fare a meno di ricordarsi di quel piccolo episodio che aveva segnato l’inizio della loro amicizia.
«‘Prompto’ sembra il nome di una bevanda energetica»
«Puoi chiamarmi, Prom se vuoi»
«Solo se tu mi chiami ‘Noct’ »
«Eheh! Okay Noct!»
Erano così piccoli e inseparabili… come erano riusciti a cambiare così tanto?
Non riesce a trovare ovviamente una risposta, e quando si fermano davanti ad una casa a lui sconosciuta dopo dieci minuti di viaggio.
La trova piccola, diversa dalla villa lussuosa che aveva lasciato quando era partito per Gralea. Il padre di Noctis, Regis Caelum, era un uomo molto ricco e famoso e… quella casa non gli sembra assolutamente adatta alla ricchezza della famiglia Caelum.
«Ormai vivo qui», commenta Noctis, aprendo la porta d’ingresso.
All’interno l’abitazione è semplice. Arredata con semplicità e silenziosa.
«A quest’ora non c’è nessuno. Vieni, saliamo in camera», prosegue l’altro, facendogli strada fino al piano superiore.
La camera di Noctis è disordinata. Ci sono calze e vestiti per terra, alcuni contenitori di Cup Noodle utilizzati, buste e altrettante scatole piene di indumenti, come se a Noctis non importasse più di mantenere l'ordine nella sua stanza. In un angolo vede addirittura delle stampelle, insieme a canna da pesca.
«Benvenuto nel mio regno!», scherza senza troppa convinzione Noctis, andando subito a distendersi sul letto. Prompto lo segue con lo sguardo, avvicinandosi poi lentamente a lui.
«Allora, dimmi un po’! Cosa fa ora questo nuovo Prompto per divertirsi?»
«Niente di che… ho scoperto che mi piace… davvero tanto la fotografia», ammette, conscio che quello non è più il momento adatto per nascondersi. Sa di voler recuperare la sua amicizia con Noctis, nonostante tutti i cambiamenti, e mentire o temporeggiare potrebbe solamente costargli caro.
«Wow… sei passato dai chocobo alle foto», commenta l’altro.
«E tu dalla pesca ai capelli azzurri», controbatte, dandosi poi dello stupido per aver pronunciato quelle parole quando scorge un lampo di disappunto negli occhi di Noctis.
«Comunque… nello studio del mio tutore ci devono essere gli attrezzi che ti servono», taglia corto, facendo comprendere a Prompto di aver toccato un tasto dolente.
Si morde le labbra e, anche se sa che si tratta di imbrogliare, allunga un poco la mano visualizzando nella sua mente l’ultima battuta di Noctis. Gli arriva l’ennesima leggera ondata di emicrania e non può fare a meno di sorprendersi quando sente l’altro parlare e ripetere le stesse parole di poco prima: «Wow… sei passato dai chocobo alle foto».
«Uhm… non sono andato tanto lontano...», decide di rispondere, «In realtà, faccio foto anche ai chocobo… sono sempre fantastici...», confessa strappando a Noctis un piccolo sorriso che lo fa sentire quasi felice di aver cambiato strada.
«Okay! Un giorno voglio vederle! Ma ora perché non mettiamo un po’ di musica?», propone a quel punto Noctis, «Accendi il lettore, intanto! Dovrei avere dei cd proprio qui», prosegue, buttandosi a pancia in giù nel letto per poter guardare sotto di esso. Prompto annuisce, spostandosi verso il mobile accanto alla scrivania per accendere l’impianto Hi-Fi. Lo accende quasi distrattamente, osservando le varie lattine di integratori e pepsi sopra e sotto la scrivania.
“ Noctis è… così cambiato… ”, si ritrova a pensare, concedendosi poi un piccolo sorriso quando nota delle lattine di Ebony nella scivania, “ Alcune cose almeno ci sono ancora ”, ammette sollevato.
Tuttavia le sue attenzioni vengono catturate da dei volantini familiari, sui quali capeggia a grandi lettere la scritta “SCOMPARSA” ed il nome di “Lunafreya Nox Flauret”.
Guarda subito Noctis, sorpreso, e poi di nuovo la foto in bianco e nero sulle fotocopie. Si trovano in una scatola e la conclusione gli sembra fin troppo ovvia.
“È stato lui a distribuirli e ad appenderli… ”, constata infatti con un pizzico di amaro in bocca.
Lo raggiunge di nuovo con le labbra strette senza sapere come commentare quella scoperta, limitandosi infatti ad osservarlo frugare in una scatola alla ricerca di un cd.
«In tutto questo disordine dubito che tu possa trovare quel che cerchi», lo rimprovera qualche momento dopo.
«Non ti ci mettere pure tu», si lamenta Noctis in risposta, «Piuttosto aiutami e controlla un po’ in giro».
«Okay…», sospira Prompto, chinandosi a sua volta sotto il letto per tirare fuori altre scatole da controllare. Lì dentro trova dei vecchi disegni, e anche delle foto e tante altre cose che lo fanno tornare con la mente indietro nel tempo a quando erano inseparabili. Ciò che però lo fa irrigidire, è l’ennesima prova del legame tra Lunafreya e Noctis, trovata all’interno di una scatola in metallo. Si tratta di una foto fatta sicuramente ad un purikura , vista la cornice colorata e le varie decorazioni, e che ritrae i due vicini. Lunafreya ha un sorriso dolce e felice e Noctis, pur non sorridendo apertamente, ha un’espressione rilassata e tranquilla… e sono bellissimi. La foto però gli viene subito strappata via di mano da Noctis che gli mette invece davanti il cd che stava cercando.
«Ecco qui. Vogliamo sì o no ascoltare un po’ di musica?», lo incoraggia con un falso sorriso che Prompto sente di odiare. Potrebbe tornare di nuovo indietro nel tempo, evitare di trovare quella foto… ma sa di volere delle risposte, e dopo aver inserito il cd nell’impianto HI-Fi, torna accanto al ragazzo, sedendosi sul letto.
«Quella è Lunafreya Nox Flauret…», commenta piano osservando Noctis annuire lentamente, «La... città è tappezzata dei suoi annunci di scomparsa… ti dà fastidio parlare di lei?», chiede poi con delicatezza, osservando le mani del suo amico stringersi un poco.
«No… lei… Luna è stata la mia salvezza», ammette qualche momento dopo, «Sai… dopo che ti sei trasferito, la mia vita è andata a rotoli. Sono stato un idiota e se è successo è solo colpa mia. Un incidente in macchina. Io me la cavo con qualche frattura. Mentre mio padre è morto. Sono finito qui perché ho perso tutto. E tu non c’eri…»
Prompto si irrigidisce nell’apprendere quella notizia.
«E che devo dirti? Mi sentivo abbandonato... e Luna mi ha salvato la vita. Mi ha teso la mano e mi ha aiutato...»
«Ha semplicemente preso il mio posto…», constata Prompto. La sua frase suona più acida di quanto vorrebbe. Si sente geloso all’idea che ci sia stato qualcun’altro nella vita di Noctis, ma dall’altra parte sente di dover ringraziare Lunafreya per essere stata vicina al suo migliore amico.
In quel momento inizia a vedere ogni pezzo di quella complicata situazione andare al suo posto. A partire dalla casa fino alle stampelle che sono abbandonate lì in un angolo...
«Prompto…»
«Non fraintendere», lo interrompe Prompto, «Sono felice che ci sia stato qualcuno accanto a te».
Noctis esita ma annuisce e guarda ancora la foto che stringe tra le mani.
«Io e Luna eravamo così diversi, ma ci trovavamo bene insieme. Era paziente ma aveva quel pizzico di malizia e maturità che… era fantastica. Non posso descriverla in altri modi».
«Posso immaginarlo…»
«Ci stavamo organizzando per lasciare questa città. Volevamo andare via… andare a Tenebrae...»
«E cosa è successo? Il tuo tutore l’ha scoperto o... i suoi?»
«No. Sei mesi fa è scomparsa, senza lasciare neanche un messaggio. E non riesco a credere che abbia semplicemente lasciato Insomnia. Lasciandomi indietro… come tutti…»
Prompto si trattiene dall’alzare la mano per posarla sulla sua spalla, non sa come consolarlo. Come dargli forza… sono stati lontani per troppo tempo ed è tutto così complicato.
«Sei davvero sicuro che sia scomparsa?»
«Ovviamente! A differenza tua, lue me lo avrebbe fatto sapere, okay? Sono certo che le sia successo qualcosa!»
«Scusa volevo solo avere delle ulteriori informazioni… voglio aiutarti», risponde Prompto, pizzicato da quell’accusa, «I suoi genitori?»
«Solo suo fratello. Ravus è convinto che sia scappata con qualcuno…»
«Qualcuno?»
«Luna mi aveva detto di aver incontrato una persona che le aveva cambiato la vita… ma non può essere scappata. Mi rifiuto di crederlo. So che non è così. Lo saprei», insiste Noctis con sicurezza, e Prompto decide di non contraddirlo.
«Capisco…»
«Comunque… lo studio di Clarus è nella stanza accanto. Puoi arrivarci anche da solo e cercare da te l’occorrente per riparare la tua macchina fotografica...»
Prompto traduce subito quella frase come un: “ Preferisco restare un po’ solo ”, e annuendo decide di lasciare la stanza per permettere a Noctis di calmarsi.
Una volta fuori dalla camera si concede un altro sospiro. Gli sembra passata un'eternità da quando si era alzato quella mattina, sono successe così tante cose che non sa come comportarsi o come reagire. Tuttavia, tra tutto quello, ciò che però lo lascia senza parole e con un enorme peso sulle spalle è proprio Noctis. Non può non sentirsi in colpa per tutto quello. Sente che è proprio a causa della sua assenza che il suo migliore amico ha fatto delle pessime scelte… e sa che neanche il suo potere può portarlo così tanto indietro nel tempo per evitare che succeda tutto quello.
Scuote il capo, iniziando poi a percorrere il corridoio allo per entrare, con un po’ di imbarazzo e tensione nello studio del tutore di Noctis.
«P-posso?», mormora piano, trovando però la stanza vuota.
Lo studio è ordinato e, come aveva annunciato Noctis, il suo tutore si era davvero appassionato alle miniature. Ci sono piccole navi in bottiglia ed alcune ancora in fase di costruzione. Si guarda intorno curioso poi, prima di fare qualche danno, decide di cercare nelle varie cassette degli attrezzi ciò che gli serve. Fatica un po’ a trovare l’occorrente, ma alla fine riesce a tornare nella stanza di Noctis vittorioso.
Al suo ritorno vorrebbe dirsi sorpreso di vederlo fumare disteso sul letto, ma in un certo qual modo se lo aspettava.
«Ci sei riuscito?», gli chiede l’altro sbuffando per aria una nuvoletta di fumo.
«Certo. Il… il tuo tutore ha una gran bella collezione», commenta, decidendo di ignorare quel dettaglio.
«Già…», mormora Noctis in risposta, «Puoi usare la scrivania se vuoi».
Prompto annuisce, cercando poi di mettere un po’ d’ordine nel suo improvvisato piano di lavoro.
«Non dovresti fumare», gli fa presente quasi distrattamente.
«Non sei mia madre», ribatte Noctis.
«Ma posso usare ancora i miei occhi da cane bastonato per farti fare quel che voglio», dichiarò riuscendo incredibilmente a strappare una risatina a Noctis. E non può non trovare estremamente piacevole il poter ancora avere quegli scambi di battute con lui.
Si siede nella sedia girevole davanti alla scrivania, svuotando il contenuto della sua borsa su di essa. Mette da parte il suo portfolio, riordinando poi il più possibile i pezzi della macchina che si sono staccati e lo stesso corpo della polaroid. Ha già lavorato su delle piccole riparazioni ma, sfortunatamente, ci mette pochissimi minuti a comprendere che nonostante gli sforzi tutto quello va oltre le sue capacità.
«Merda…», impreca appoggiandosi allo schienale della sedia.
«Niente, eh?»
«È andata», sospira passandosi una mano tra i capelli. Alle sue spalle sente Noctis muoversi per scendere dal letto e solo qualche istante dopo avverte il suo respiro, calmo e caldo - con un pizzico di nicotina -, vicino alla sua guancia. Si irrigidisce istintivamente per quell'improvvisa vicinanza, ma cerca di non darlo a vedere.
«Effettivamente è proprio messa male», commenta Noctis, osservando la macchina, «Ma ne ha viste tante, eh?»
«Sì…»
«Non credi sia giunto il momento di passare a qualcosa di più… moderno?», gli chiede a quel punto.
«Potrei, ma mi piace vedere subito su carta gli scatti. Poi… mi sono affezionato a questa polaroid», ammette sincero.
«Capisco», mugugna a quel punto Noctis, allungandosi poi per prendere il portfolio di Prompto prima che questo potesse impedirglielo, «E questo cosa sarebbe?»
«N-Noct! È privato!»
«Oh dai! Solo un'occhiata!», ghigna l'altro, iniziando a sfogliarlo con malcelata curiosità.
Prompto sente le guance andargli quasi a fuoco. Solo Ardyn, in quanto suo insegnante, e poche altre persone hanno visto i suoi lavori e l'idea che Noctis possa giudicarlo - e probabilmente prenderlo in giro - lo mette a disagio.
«Wow... non scherzavi quando hai detto che sei passato a fare foto ai chocobo», commenta.
«Già...»
«Però mi piace», aggiunge Noctis continuando a sfogliare il portfolio con calma, «Non pensavo potessi essere così... bravo», ammette dopo qualche attimo.
«G-grazie...», risponde Prompto, allungando la mano per riprendersi il portfolio quando Noctis decide di restituirglielo. Quel movimento però fa scivolare per terra le ultime foto che aveva fatto e che non aveva ancora avuto modo di sistemare con ordine. La volpe e lo scoiattolo. È Noctis il primo a chinarsi per raccoglierle e Prompto è costretto a mordersi di nuovo le labbra.
«Questa...», mormora il ragazzo restituendogli la foto della volpe per tenere invece in mano quella dello scoiattolo, «Tu eri lì?»
«No...»
«Oh andiamo! L'ho visto anch’io questo scoiattolo!», ribatte Noctis, con tono quasi offeso per quella menzogna, «Sei… sei stato tu ad attivare l'allarme anti-incendio?»
Prompto muove solo il capo, annuendo senza sapere esattamente come rispondere.
«Ed è per questo che stavi litigando con Luche! Ora si che ha senso!», prosegue esaltato l’altro, «N-non ti ho proprio notato! A Gralea sei diventato tipo un ninja o un ladro degli RPG?», continua sedendosi ancora nel letto senza smettere di guardare la foto.
«Se… fossi stato un personaggio di un gioco di ruolo non sarei rimasto nascosto… avrei preso a calci Luche», controbatte a quel punto Prompto, prendendo posto accanto a lui.
«Sei stato comunque piuttosto figo a non farti beccare. Ma dimmi... mi hai riconosciuto?»
«Sinceramente? No. Ero troppo sconvolto dalla pistola», si trova costretto a confessare.
«Te lo concedo. Sono cambiato parecchio», annuisce l'altro, «Dunque… avrai sentito la nostra conversazione...»
Prompto esita per poi annuire.
«Solo qualcosa riguardo a soldi e droga», svela.
«Il punto più saliente insomma... e... l'hai detto a qualcuno?», Prompto avverte subito un nota d'esitazione nella sua voce, e non può non sentirsi un idiota per aver parlato alla preside.
«Non ho parlato assolutamente di te. Ho solo... detto alla preside che Luche aveva una pistola e che parlava da solo con una fontanella».
«Alla preside? Bel buco nell’acqua! Non farà un bel niente», sbotta subito Noctis, «La preside fa tanto la dura con gli studenti per ricordare a tutti che era in politica! Ma non è diversa da tutti gli altri! È interessata solo ai soldi che le passano i Lazarus! Anche i poliziotti sono come lei, non c’è nessuno onesto in questa città quando si tratta dei soldi dei Lazarus!»
«Me ne sono accorto…», si trova d’accordo Prompto, aggiungendo poi un timido: «Mi ha detto solo che avrebbe indagato… ma temo che non lo farà...»
«In ogni caso... mi hai salvato la vita...», aggiunge alla fine l’altro ragazzo.
«Noct...»
«Ti devo la vita… e un giorno di racconterò tutto, ogni cosa… te lo prometto. Ma... sono davvero felice che tu sia tornato, Prom ...», prosegue Noctis con un sorriso che Prompto riconosce come sincero, e non una pallida imitazione o ironico come quelli che gli ha rivolto fino a quel momento... e si sente anche arrossire quando alle sue orecchie giunge di nuovo quel dolce diminutivo.
«A-anche io sono felice di essere qui... con te», rivela.
«Beh, per il momento posso solo ripagarti con una nuova polaroid!», esclama Noctis, andando verso l'armadio, intascando la foto dello scoiattolo con un: «E questa la tengo io per ricordarmi che ti devo la vita, Prom!»
«Ma dai...», mugugna Prompto, concedendosi un sorriso, «E non devi fare niente…», aggiunge poi.
«Shh!», lo zittisce Noctis, tirando fuori da una scatola una macchina istantanea che Hajime non fatica a riconoscere. Nonostante l’adesivo di Kenny Crow su un lato, è esattamente come la sua… e sa benissimo da dove proviene.
«Te la ricordi?», chiede Noctis.
«Certo…»
«Non la uso da tanto tempo, e sono certo che tu ne farai un uso migliore», mormora, porgendogli la polaroid.
«Era un regalo per te…»
«Che ora sto regalando a te, perché voglio che venga utilizzata per fare tante foto. Perché sei davvero bravissimo»
Prompto si sente arrossire, accettando con mani tremanti la macchina istantanea.
«O-okay… grazie…», mormora, mettendosi subito alla scrivania per poterla controllare e sistemare i piccoli difetti dovuti alla prolungata inattività. E, come cosa finale, ci concede di attaccare accanto al Kenny Crow del suo migliore amico il suo adesivo a forma di chocobo.
«Ora è perfetta», commenta Noctis, osservandolo al lavoro. Prompto annuisce con un mugugno, continuando a fissare la polaroid con un piccolo sorriso.
«Che ne dici? Andiamo a farci un giro?», gli propone a quel punto l’altro ragazzo.
«D’accordo. Ma pretendo di avere il casco», controbatte.
«Affare fatto!», accetta Noctis e Prompto, animato da quella improvvisa vicinanza, non può fare a meno di afferrare il suo amico.
Rigira la polaroid verso di loro dichiarando un: «Ma prima di tutto… selfie !»
Il flash li acceca per un momento mentre vengono entrambi catturati da quell’istantanea che strappa a Noctis un basso: «Tsk», palesemente divertito prima di mettersi a cercare il casco nell’armadio.
Prompto scuote la foto, aspettando di vedere i loro volti apparire. Li vede definirsi lentamente e non può notare quanto Noctis sia bellissimo in quello scatto. Ha un’espressione sorpresa ma gli occhi sembrano brillare.
Sono insieme, pensa con un pizzico di sollievo Prompto, e per un attimo vorrebbe anche credere che non sia cambiato niente, che sia tutto normale... come prima che il trasferimento li dividesse. Ma sa che non è così e che non sarà semplice riportare per davvero il loro rapporto alle origini, ma Prompto è certo che non si arrenderà tanto facilmente. Vuole per davvero che Noctis rientri a far parte della sua vita.
«Ecco qui!», annuncia Noctis lanciandogli il casco, preso al volo da Prompto.
«Possiamo andare ora», concede, infilando la macchina istantanea in borsa insieme al suo portfolio.
«Perfetto!», e solo qualche attimo dopo sono di nuovo in sella alla moto. Prompto, finalmente con la mente sgombra da Luche e dalla precedente discussione con Noctis, non può non trovare anche quella situazione estremamente strana. Sente il suo cuore battere veloce per l’adrenalina di quella corsa e si stringe ancor di più al suo amico, ma quello al contrario sembra non riuscire a calmarlo, anzi: gli sembra di provare una diversa agitazione.
Cerca di ignorarla, e di concentrarsi invece sulla strada, mettendoci solo un momento per capire dove sono diretti. Si infilano verso l’esterno della città, attraversano il ponte che separa Insomnia da Leide… verso il promontorio.
Quella consapevolezza lo spiazza per un momento, facendogli ricordare il suo incubo. Nella distruzione e nel vento del suo sogno non era stato in grado di riconoscere quel luogo che, in realtà, conosceva bene. Da bambini, infatti, lui e Noctis, andavano spesso sul promontorio ad osservare gli animali selvatici e Insomnia da lontano.
Era Regis ad accompagnarli, ed era uno dei loro posti preferiti. Era più che normale che il suo amico cercasse di andare lì… forse era il suo modo di cercare di riavvicinarsi a lui.
Noctis ferma la moto alla base della salita, togliendosi il casco ed appendendolo al manubrio.
«Siamo arrivati...», commenta, «Questo posto è cambiato parecchio dall’ultima volta che ci sei stato...»
«S-sì...», risponde incerto, scendo dalla moto con l’altro, avviandosi poi verso il sentiero sterrato che gli avrebbe portati in cima.
«Un incendio ha distrutto tutto qui e ormai nessuno viene più qui a fare gite o picnic», si permise di spiegare Noctis, spiegando in quel modo il perché di quella distruzione.
«Sembra più una discarica a cielo aperto», mormora.
«Ormai viene utilizzata per questo», annuisce l’altro, e Prompto è certo di avvertire una nota malinconica nella sua voce. Lo osserva andare avanti, superando con attenzioni le rovine pericolanti.
«Stai venendo, Prompto?», lo richiama qualche momento dopo Noctis.
«Sì, sì… sono dietro di te. Stavo… solo osservando questo posto», mente.
«Okay...»
Sanno entrambi che non è quella la verità, ma decidono di lasciar correre almeno per il momento. Prompto allora riprende a seguirlo, osservando come i raggi dell’ormai prossimo tramonto riescano a filtrare tra pareti in pietra che circondano il sentiero finale verso la cima. Uno spettacolo che, forse il giorno prima, sarebbe anche riuscito ad apprezzare e si sarebbe addirittura attardato a fare foto ad ogni fiore, agli uccellini e anche a quel… chocobo nero che li sta osservando poco più avanti, in cima alla gola
Sussulta nel rendersi conto di quanto ha appena visto, ma quando riporta di nuovo gli occhi su quello stesso punto si rende conto di essersi sbagliato. Non c’è niente. Nessun chocobo o animale simile.
“ Che idiota… ”, si insulta, “ I chocobo neri si sono estinti da anni ”.
Doveva essere stata solo un’allucinazione, causata dallo stress di quell’assurda giornata. Scuote il capo e rivolgendo i suoi pensieri verso Noctis lo raggiunge, certo di trovarlo seduto su una delle rovinate panche in legno che, anni prima, venivano utilizzate per chiunque si avventurava fin lì per fare dei picnic o anche solo per vedere Insomnia dall’alto. Lo trova effettivamente su quella panca, davanti all’immensa distesa di mare.
Sembra essere ormai l’unica panchina intergra, salvata dai vandali e dalle intemperie, e quello non può non far sentire Prompto ancora più strano. In quello stesso luogo, su quelle stesse panchine, lui e Noctis hanno passato ore ad osservare la città… e gli sembra strano, quasi incredibile, l’averla vista anche in quella visione.
«Tutto okay?», gli chiede quando è ormai abbastanza vicino, cercando di allontanare quei pensieri.
«Certo. E puoi sederti se vuoi, Prompto», risponde Noctis, guardando ancora verso l’orizzonte. Prompto prende posto, e dopo qualche momento di silenzio decide di riprendere a parlare. Non può davvero ignorare tutta quella situazione, e anche se Noctis gli ha promesso che gli avrebbe detto tutto un giorno: e non vuole aspettare.
«Voglio aiutarti…», esordisce, «Ma se non mi dici tutto… come posso farlo?»
«Non vorrei metterti in mezzo…», sospira Noctis.
«Ormai ci sono e non voglio tirarmi indietro!»
«Come ai vecchi tempi, eh?», mormorò l’altro, «Diciamo che… speravo di prendere abbastanza soldi dal ricatto a Luche per potermene andare da qui e vivere in tranquillità lontano… abbastanza soldi per me e per Luna», conclude.
«Immagino… ma Luche…»
«L’ho beccato a spacciare una sera, in un locale», la risposta suona alle orecchie di Prompto troppo rapida per essere… totalmente vera.
«C’è dell’altro?», chiede infatti.
«… una sera mi ha portato nella sua stanza nel dormitorio», ammette dopo un momento Noctis, «Abbiamo bevuto parecchio e… sai, se preso bene non sembra poi così male. Puoi parlare tranquillamente con lui. Però... ad un certo punto deve avermi dato qualcosa. Non ricordo esattamente cosa è successo, so solo di aver visto tutto appannato e quando ho ripreso i sensi quel bastardo era sopra di me con una fotocamera...»
Prompto si irrigidisce nel sentirlo pronunciare quelle parole, stringendo i pugni come per trattenersi.
«Ti… ha…?»
«No, cazzo no! Per fortuna!», esclama subito Noctis, «Ci ha provato ma sono riuscito a tirargli un calcio e a colpirlo con qualcosa, credo una lampada, e sono scappato… è stato terribile», mormora, «Ho provato a comprare il suo silenzio... credevo sarebbe stato semplice e gli ho dato appuntamento alla fontanella. È la più isolata dell’università… e il resto lo sai».
«Io… d-dovresti denunciarlo», esclama subito Prompto, scattando in piedi senza nascondere la sua ira. Noctis sorride istintivamente per la sua reazione.
«Ti giuro che… che nessuno ti farà più del male. Dovranno passare prima sul mio corpo», prosegue Prompto con sicurezza, guardandolo negli occhi senza mostrare esitazione.
«Grazie, Prompto… ma non ho bisogno di essere protetto, lo sai…», annuisce l’altro, rivolgendo di nuovo lo sguardo verso l’orizzonte, «Però… sono felice che tu sia qui… e che mi abbia anche salvato la vita… forse è stato il destino a farci incontrare di nuovo in questo modo...»
In un’altra occasione, Prompto avrebbe ribattuto con un: “ Sei davvero romantico, Noct ”, ma in quel momento non si sente poi così certo di quelle parole.
«E se questo è il destino…», prosegue Noctis, «Allora spero di ritrovare Luna… mi manca da morire, Prom…»
«La troveremo…», mormora.
«A volte vorrei che una bomba distruggesse questa città, in modo da non avere più niente da lasciare alle mie spalle…», svela l’altro, alzandosi e andando verso la ringhiera protettiva davanti alla panchina, «Solo… cenere. Ricordi… niente che mi trattenga…»
Prompto vorrebbe raggiungerlo, prendergli la mano per dargli il suo supporto, ma una violenta emicrania lo fa piegare quasi in due per il dolore. Gli sfugge un lamento e preme i palmi contro gli occhi nella stupida e inconscia speranza di placare quella fitta. Tuttavia quando riesce a riaprirli, oltre a delle fastidiose lucine bianche, davanti a sé vede di nuovo la stessa distruzione dell’incubo di quella mattina.
«No…», mormora schermandosi il viso con la mano per proteggersi, «Ancora?»
Si trova ai piedi della salita che ha appena percorso e sa… sa che Noctis è lì in cima ! Erano lì insieme fino a qualche istante prima!
Agitato, si costringe a muoversi nonostante le violente raffiche di vento, arrancando sulla fanghiglia e superando i vari ostacoli smossi dalle intemperie. Mentre si trascina verso la cima, gli sembra quasi di rivedere quello stesso chocobo nero che lo aveva confuso al suo arrivo al promontorio con Noctis, ma in quel momento non si lascia spaventare dalla sua presenza, anzi: si sente quasi sollevato.
Il chocobo si sposta non appena lo raggiunge, facendogli quasi strada fino alla sua meta, dove lo perde di vista. Lì i suoi occhi vengono ancora catturati dal tornado. Terribile, esattamente come la prima volta che lo aveva visto.
Cerca tuttavia di ignorarlo per provare invece ad arrivare alla panca in legno che qualche momento prima stava occupando con Noctis, e quando non lo trova lì Prompto non sa se sentirsi sollevato o meno dalla sua assenza.
«Dove sei… dove sei Noct?», mormora ancora a mezza voce guardandosi attorno, venendo poi colpito alle gambe da un pezzo di carta trascinato dal vento. Lo riconosce come uno dei fogli del giornale della città e quando lo prende tra le mani non può far altro se non lasciarselo sfuggire, di nuovo catturato dalle raffiche.
Guarda ancora il tornado che si sta facendo strada verso Insomnia… in mente, impresse quasi con il fuoco, la data letta su quel giornale.
«Questo… questo succederà tra quattro giorni…», esala quasi senza fiato, voltandosi poi di scatto quando sente una mano posarsi sulla sua spalla.
«Prom?»
Mette subito a fuoco il volto preoccupato di Noctis, illuminato dalla luce calda del tramonto.
«C-che…?», Prompto si volta agitato.
Nessuna tempesta, nessun tornado…
«Stai bene?», insiste Noctis.
«N-NoctOikawa... sei qui... è tutto vero… è reale...», ansima a quel punto Prompto toccandosi la testa.
«Cosa? Sei pallido, che succede? Vieni, siediti»
Prompto scuote il capo ma permette lo stesso a Nocris di accompagnarlo di nuovo fino alla panca, aiutandolo a sedersi.
«Io non…», esordisce cercando di calmarsi. Non ha dato di matto per tutto il giorno, ma in quel momento sente che è davvero tutto troppo reale... che non si tratta di semplicemente di un incubo o di uno scherzo.
«Ho avuto altra visione… I-Insomnia sta per… per essere rasa al suolo da un tornado...», mormora.
«Oh, andiamo...»
«L'ho visto Noct! Ti sembro uno che dice cazzate?», esclama quasi arrabbiato, facendo sussultare l'altro.
«Okay... okay! Prendi un bel respiro ora!»
«Non trattarmi come un pazzo...», mugugna allora, prendendo la decisione di raccontargli tutta la verità. Deve farlo. Non può tenersi tutto dentro... rischia di impazzire.
«C'è una cosa che devo dirti. Una cosa che… potrebbe sembrarti assurda ma è vera...»
«Dimmi tutto, sono qui...», lo incoraggia Noctis, e Prompto cerca di guardarlo negli occhi, come per dimostrargli che non sta mentendo.
«Durante la lezione del corso di fotografia, ho avuto questa stessa visione… un tornado gigantesco diretto verso Insomnia, e quando ho ripreso i sensi ho scoperto di poter tornare indietro nel tempo...»
Anche solo pronunciare quelle parole lo fa sentire un'idiota oltre che un folle, e lo sguardo di Noctis gli fa capire che anche questo la pensa allo stesso modo.
«Ma non sono pazzo!», aggiunge.
«Sicuro di non aver preso... niente di strano?»
«Non diciamo cazzate! Ma ti pare? Come pensi ti abbia salvato alla fontanella?», insiste Prompto nervoso.
«Hai fatto troppi giochi di ruolo mi sa», ironizza Noctis, strappando un basso lamento all’altro. Prompto sente le lacrime pungergli gli occhi, si sente irritato e spaventato.
«Ho visto Luche che ti sparava!», esclama a quel punto, «Ti… ti ho visto morire! Per questo sono riuscito a tornare indietro e a premere l'allarme...»
«Ti rendi conto di quello che mi stai dicendo? Sembra tanto la trama di un anime o di un videogame...», si difende l'altro.
Prompto annuisce, cercando di calmare il suo respiro, mormorando poi un: «Ovvio che lo so... ma ho questo potere e la città verrà distrutta tra quattro giorni...»
«È stata davvero una giornata incredibile per entrambi… forse dovresti semplicemente distenderti… e...», Noctis non riesce quasi più a parlare, alzando il capo verso l’alto, «Che diavolo...? Questa è... neve?!»
Prompto lo imita guardandosi attorno insieme a Noctis, entrambi sorpresi dal quell'improvvisa nevicata in un luogo generalmente caldo e inospitale come i confini di Leide.
«Ci saranno almeno 26 gradi… com'è possibile?», commenta Noctis, tendendo le mani per raccogliere altri fiocchi di neve come per assicurarsi che fossero reali.
«Sta cambiando il tempo...», constata piano Prompto prendendo poi un profondo respiro, «Oppure sta arrivando una tempesta...», conclude guardando di nuovo verso Noctis, che gli rivolge uno sguardo altrettanto serio… come se finalmente avesse deciso di credere alle sue folli parole.
Si sistemò meglio su quella panca di legno che, da bambini, li aveva accolti così tante volte e che era diventata testimone di sogni e giochi in passato.
«Okay Prom... ricomincia dall'inizio e... raccontami tutto. Qualsiasi cosa accada… sono con te!»
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Titolo: College Fandom: Kuroko no Basket Personaggi: Kise Ryouta, Aomine Daiki Relationship: Male/Male Pairing: Aokise Genere: Introspettivo Avvertimenti: Established Relationship, Alternative Universe Rating: SAFE Conteggio parole: 590 Intro:
Kise non era soddisfatto della sua vita. Era bello, riusciva ad eccellere in ogni sport e pur non essendo un genio era ugualmente stato in grado di ottenere dei buoni voti per l'ingresso all'università. Inoltre aveva anche una promettente carriera da modello dinanzi a sé, con uno stuolo di ammiratrici pronte a tutto per lui.
Kise non era soddisfatto della sua vita.
Era bello, riusciva ad eccellere in ogni sport e pur non essendo un genio era ugualmente stato in grado di ottenere dei buoni voti per l'ingresso all'università. Inoltre aveva anche una promettente carriera da modello dinanzi a sé, con uno stuolo di ammiratrici pronte a tutto per lui.
Qualsiasi altra persona l'avrebbe definito fortunato, ma Ryouta avrebbe di gran lunga preferito una vita normale, senza alcune doti particolari, a quella che stava vivendo… perché se solo non fosse stato così bravo, avrebbe trovato semplice gioire delle piccole cose della vita. Ma non poteva, perché non riusciva a sentirsi 'completo', e quella sensazione di vuoto era ormai così familiare e ben legata alla sua esistenza che aveva addirittura smesso di cercare stimoli.
Era infatti con quella convinzione che aveva iniziato il college e con quella stessa certezza era andato incontro alla sua prima, bruciante ed allo stesso tempo eccitante, sconfitta.
Aomine Daiki per lui era un perfetto sconosciuto che, a detta di chi lo conosceva era arrivato all'università per meriti sportivi - sicuramente non brillava nello studio. Era una giovane promessa del basket che aveva avuto il coraggio di colpire Kise alla nuca con un pallone.
Era stato un incidente, ma complice la convinzione di Ryouta di essere il migliore maturata in tutti quegli anni e la fama di Aomine, quella situazione non poté far altro che degenerare in una sfida.
« Non prendertela troppo se ti straccio, Aomine-kun», lo avvertì Kise, togliendosi la giacca ed arrotolando le maniche della camicia.
« Non esiste che mi faccia battere da un principiante», ribatté prontamente Aomine, concedendogli il possesso palla.
Erano entrambi sicuri delle rispettive abilità, e dopo un'imbarazzante one-on-one durato neanche quindici minuti, l'unico ad aver avuto ragione nel riporre fiducia nelle proprie capacità di rivelò essere Aomine.
Kise era stato sconfitto. Umiliato senza neanche l'opportunità di segnare un canestro.
Aveva cercato di tenere testa ad Aomine in ogni modo, ma alla fine aveva perso... e non riusciva a smettere di sorridere.
Era la prima volta che provava sulla sua pelle quella sensazione e faceva schifo. Perdere era orribile ma continuava a sorridere perché l'aveva trovato. Aveva trovato qualcuno migliore di lui: qualcuno da ammirare e inseguire. E non poteva non sentirsi realmente euforico!
« Ti è passata la voglia di tirartela, eh?», lo stuzzicò Aomine.
« Giochiamo ancora», rispose solamente Kise con la gioia che gli brillava negli occhi.
« Ehh? Ora?»
« Oggi, domani... quando vuoi. Ma giochiamo ancora!», esclamò.
« Per essere uno che è stato appena umiliato sembri parecchio allegro», commentò diffidente, e come nei peggiori cliché delle commedie romantiche, da quel giorno continuarono ad incontrarsi sempre più assiduamente.
Ryouta aveva ormai perso il conto di quante sconfitte aveva collezionato da quando aveva conosciuto Aomine - diventato ormai Aominecchi -, ma aveva anche trovato qualcosa di più importante, che mai si sarebbe aspettato di trovare in quel modo. Il che, non poteva non renderlo ulteriormente euforico a livelli estremi.
« Sai, sono... davvero felice di essere stato colpito da quella pallonata», rivelò infatti Kise un giorno, appoggiando la testa sulla spalla del suo compagno.
Aomine sbuffò, piegando però le labbra in un piccolo sorriso.
« A volte credo di averti colpito troppo forte per quanto sei idiota», commentò.
« Non essere così antipatico, Aominecchi! Cercavo di essere romantico!», si lamentò subito Ryouta, venendo poi zittito da un rapido bacio.
« Siamo ancora in tempo per la tua cinquecentoquattresima sconfitta».
« Ehh? Non sono così tante! Sono sicuramente meno! Non esagerare, Aominecchi!»
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torredellestelle · 7 years
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Titolo: Post Apocalisse Fandom: Haikyuu Personaggi: Kozume Kenma, Kuroo Tetsurou Relationship: Male/Male Pairing: KuroKen Genere: Introspettivo Avvertimenti: Post!Apocalisse, Alternative Universe Rating: SAFE Conteggio parole: 475 Intro:
Kenma poteva chiaramente sentire il sudore mischiarsi alla polvere mentre arrancava verso quello che, da qualche settimana a quella parte, era diventato il loro rifugio. Kuroo aveva definito la loro scelta della palestra della Nekoma 'significativa', forse per cercare di tenergli l'umore alto, ma per Kenma ormai un posto valeva l'altro.
Kenma poteva chiaramente sentire il sudore mischiarsi alla polvere mentre arrancava verso quello che, da qualche settimana a quella parte, era diventato il loro rifugio. Kuroo aveva definito la loro scelta della palestra della Nekoma 'significativa', forse per cercare di tenergli l'umore alto, ma per Kenma ormai un posto valeva l'altro.
Odiava quel mondo e provava rabbia e ira nel vedere quel luogo un tempo così felice e pieno di vita trattato come un rifugio… strinse i denti e si tolse la maschera antigas una volta chiusa la porta alle sue spalle, e superati gli altri rifugiati, percorse a grandi falcate la distanza che lo separava da Kuroo.
Era magro, più del solito, pallido e debole, tant'è che Kenma arrivò quasi a sentirsi in colpa, sempre più arrabbiato, per non aver rubato qualcosa in più dai cosiddetti 'quartieri alti'.
« Ehi! Sei in ritardo!», scherzò subito il suo compagno, regalandogli quel sorriso che nonostante tutto non si era mai spento.
« Mh», mugugnò in risposta Kenma, svuotando il contenuto del suo zaino.
Carne secca e acqua, da consumare nei giorni a seguire. Frutta e pane, per il bisogno più immediato.
« Stai diventando un ladruncolo con i fiocchi», si complimentò Tetsurou, senza però nascondere quel pizzico di vergogna per non poter essere lì fuori ad aiutarlo.
« Mangia e sta zitto, Kuroo», lo riprese prontamente Kenma, nascondendo i suoi sentimenti così irosi dietro la sua solita espressione apatica.
« Ora dai anche ordini?», prese una mela, addentandola quasi subito, « Non ti servi?»
« Ho già mangiato», mentì Kenma.
Kuroo doveva riprendere le forze. Doveva guarire.
Altra gente in quel rifugio stava male come lui, forse anche peggio, a causa di quell'aria ormai irrespirabile... e dovevano farsi coraggio. Riprendersi e battersi per ottenere gli stessi privilegi di quella gente un po' più ricca che, dopo quella sorta di apocalisse batterica, avevano creato un rifugio tagliando fuori i meno fortunati.
Kenma odiava quella distinzione. Le persone per lui erano tutte uguali e vedere ogni giorno quella netta separazione, vedere la morte e il suo compagno sempre più debole per la mancanza d'aria pulita e delle cure più adeguate lo stava uccidendo… non aveva mai provato sentimenti così forti e simili all’ira ma per tutto c’era una prima volta.
« Ehi, vieni qui», mormorò Kuroo, costringendolo a distendersi accanto a lui, « Conosco quella faccia e non mi piace», lo rimproverò.
« Mh».
« Domani verrò con te, mi sento meglio sai?»
Era una bugia, ma Kenma annuì ugualmente… cercando di mettere da parte l’ira solo per il bene di Kuroo.
« Sì», assentì, sistemandosi accanto a lui. Chiuse gli occhi, per sperando almeno in sogno di veder arrivare quel miracolo che, sfortunatamente, sembrava non voler arrivare. Almeno non per delle povere e disperate anime come loro, vittime della rabbia e della stupidità delle persone più ricche.
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torredellestelle · 7 years
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Titolo: Stolen Kiss Fandom: Free! Personaggi: Momotarou Mikoshiba, Sousuke Yamazaki Relationship: Male/Male Pairing: SouMomo Genere: Introspettivo Avvertimenti: Alternative Universe, Fluff Rating: SAFE Conteggio parole: 1010 Intro:
Quel poliziotto era furbo, atletico e soprattutto tenace, e Momotarou in un certo qual modo lo stimava per quella sua testardaggine. Era stato l'unico a capire il suo diversivo e a scovarlo poco prima che sparisse in uno dei vicoletti. Ma per quanto la sua intuizione fosse degna di nota, lui non si sarebbe mai lasciato catturare, né da quel poliziotto né da qualcun altro.
L'umido rumore delle loro veloci falcate era l'unico suono che faceva da testimone a quell'inseguimento per le strade bagnate di quel quartiere.
Quel poliziotto era furbo, atletico e soprattutto tenace, e Momotarou in un certo qual modo lo stimava per quella sua testardaggine. Era stato l'unico a capire il suo diversivo e a scovarlo poco prima che sparisse in uno dei vicoletti. Ma per quanto la sua intuizione fosse degna di nota, lui non si sarebbe mai lasciato catturare, né da quel poliziotto né da qualcun altro.
Almeno non prima di aver ottenuto la sua vendetta.
Perché Momotarou ricordava ancora i litigi dei suoi genitori con quelle persone che spesso andavano a trovarli, e di come suo fratello maggiore cercasse di tappare le orecchie e lui e a sua sorella per proteggere entrambi da quelle parole che ancora non conoscevano, ma che avevano un suono così duro da essergli rimaste ugualmente impresse nella mente.
Ricordava quando neanche il suo abbraccio e gli infantili disegni che regalava a sua madre erano in grado di strapparle un sorriso o di impedirle di piangere chiusa in bagno, quando pensava che nessuno potesse sentirla.
E ricordava anche come suo padre avesse scelto la via più semplice per non dover sopportare più quella situazione.
Momo, a dirla tutta, odiava suo padre per aver deciso di mettersi quella corda attorno al collo, abbandonando tutta la famiglia. Si era comportato come un codardo, ed il debito - il prezzo per la protezione che gli era stato richiesto di pagare per continuare a lavorare e vivere in quel quartiere - non era stato seppellito con lui... ed era stato proprio quello a portare anche sua madre allo stesso destino.
Quegli uomini, infatti, erano tornati per riscuotere e Seijurou, come sempre, si era rinchiuso con lui e sua sorella dentro un armadio. Li aveva stretti al petto, tappando loro la bocca quando uno sparo aveva fatto calare il silenzio nella casa.
Momo ricordava perfettamente quei momenti... come solo il rumore delle sirene della polizia aveva impedito a quegli uomini di aprire l'armadio e come quel piccolo spiraglio che si era formato tra il suo nascondiglio e il resto della casa gli aveva permesso di vedere un tatuaggio, impresso nell'avambraccio di uno di quegli uomini.
Una tigre.
Poi il nulla, era successo tutto troppo velocemente. Era stato portato via dalla sua casa e messo in una macchina. Aveva lottato per non essere diviso dai suoi fratelli, ma era stato inutile.
" È un rischio", gli avevano detto. " Insieme siete un bersaglio troppo semplice", ma a lui non importava.
Per settimane aveva cercato di scappare dall'istituto nel quale era stato portato. Le settimane ed i continui fallimenti, si trasformarono presto in mesi... e quando finalmente era riuscito a fuggire, Momo si era ritrovato e dover affrontare la realtà: aveva perso tutto.
Aveva iniziato a vivere per la strada, nascosto dagli occhi del mondo senza però dimenticare il suo vero obiettivo.
Cercava l'uomo con la tigre tatuata e gli uomini che avevano distribuito la sua famiglia, e il diventare un ladro di fama quasi nazionale era stato solo uno dei risultati della sua caccia.
Non rubava per la ricchezza o per divertimento, ma era certo che quel suo atteggiamento l'avrebbe presto portato ad incrociare quelle persone, e lui avrebbe ottenuto la sua vendetta.
Per quel motivo non poteva lasciarsi catturare, e nascondendosi dietro un angolo attese il poliziotto per stenderlo con uno sgambetto.
La caduta stordì il suo inseguitore, e per impedirgli di riprendere subito a corrergli dietro, Momo gli ammanettò rapidamente le mani dietro la schiena.
« Lasciami subito!», ringhiò il poliziotto, iniziando a contorcersi quando si rese conto della situazione.
« Mi dispiace», rispose semplicemente Momo, « Ma proprio non posso permettermi di lasciarmi catturare da te».
« Ti prenderò», insistette con convinzione l'altro, strappando una risata tanto allegra quando amara al ragazzo.
« Certo che per essere uno ammanettato ne hai di convinzioni strampalate!», scherzò, per poi ripetere con un tono più serio un: « Ma non posso lasciarmi prendere».
Girò il poliziotto sulla schiena - non era di certo così crudele da lasciarlo con la faccia in qualche pozzanghera sporca -, tappandogli gli occhi con una mano per nascondere il suo viso, mentre con l'altra indossava di nuovo la sua maschera.
« Appena avrò trovato chi cerco», aggiunse impedendo all'altro di parlare, « Forse mi farò catturare proprio da te, sarebbe divertente!»
« Cosa stai cercando di fare? Agire come un ladro non è la soluzione!»
« Non sai niente di me... e non sai chi sto cercando. Ma soprattutto, non credo che la polizia possa aiutarmi», rispose sincero, allontanando dal volto del poliziotto la sua mano.
Nonostante l'espressione sorpresa e arrabbiata, era un bel tipo. Lo apprezzava già per la sua testardaggine e la tenacia, e di certo aggiungere il suo nell'aspetto tenebroso alla lista dei suoi pregi non gli dispiaceva.
Non sarebbe stato male farsi catturare proprio da lui.
« Non sottovalutarmi», insistette con convinzione, ma Momo scosse il capo.
« La mia strada mi porterà verso qualcosa di più grande delle forze di polizia, non ci avete aiutati in passato... e dubito possiate ora».
« ... che intendi dire?»
« Sousuke!», la voce di un terzo poliziotto, più lontano, spezzò il loro dialogo costringendo Momo ad allontanarsi.
« Fermo! Non ti lascerò scappare!»
Guardò il viso dell'altro - Sousuke. Si chiamava Sousuke - e gli sorrise prima di abbassarsi verso di lui e posare sulle sue labbra un leggero bacio.
« Ci vediamo la prossima volta, Sousuke~», sussurrò sulle sue labbra, regalandogli poi un altro bacio più veloce, « ci conto! Magari sarà la volta buona per entrambi!», esclamò con il viso rosso per la sua stessa intraprendenza - non poteva credere di averlo baciato per davvero! -, riprendendo poi a correre con una risata, lasciando alle sue spalle il poliziotto e i suoi compagni appena giunti in suo soccorso.
" Sousuke", ripeté mentalmente, quasi sognante. Gli piaceva già tantissimo e non vedeva l'ora di rivederlo e, magari, di rubargli qualche altro bacio.
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torredellestelle · 7 years
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Titolo: Passione Fandom: Lo Hobbit Personaggi: Dís, Frerin, Thorin Oakenshield Relationship: Male/Female/Male Pairing: Dís/Frerin/Thorin Oakenshield Genere: Introspettivo, Eros Avvertimenti: Established Relationship, Incest Rating: NSFW Conteggio parole: 2050 Intro:
Dìs non si stupì più di tanto quando le labbra di Frerin si scontrarono sulle sue quasi all'improvviso, coinvolgendola in un bacio che le mozzò il fiato. Non era la prima volta che si trovava in quella situazione, schiacciata tra i passionali corpi dei suoi fratelli pronta a donare e ricevere piacere, subendo al tempo stesso gli atteggiamenti rudi di Frerin.
Dìs non si stupì più di tanto quando le labbra di Frerin si scontrarono sulle sue quasi all'improvviso, coinvolgendola in un bacio che le mozzò il fiato.
Non era la prima volta che si trovava in quella situazione, schiacciata tra i passionali corpi dei suoi fratelli pronta a donare e ricevere piacere, subendo al tempo stesso gli atteggiamenti rudi di Frerin. Suo fratello non era mai stato dotato di grazia e tatto, era un essere istintivo e testardo come un animale, tant'è che il più delle volte si rivelava complicato riuscire a tenerlo a bada. Tuttavia, a Dìs piaceva così com’era: con quel suo carattere passionale e imprevedibile che lo spingeva a compiere azioni spropositate o, come in quell'istante, ad insinuare le dita sotto la gonna della sua sorellina per carezzare la pelle liscia e morbida delle cosce.
Lo sentì sorridere in quel vorace bacio, e mordendole poi le labbra quasi per gioco la costrinse a spingersi all'indietro, fino a farle premere la schiena contro l'ampio e nudo petto di Thorin, la cui sola presenza era in grado di rassicurarla.
Thorin, al contrario di Frerin, era duro e sicuro come la roccia, ma nelle sue ruvide mani Dìs riusciva sempre a percepire quel controllo e la dolcezza che mancavano all'altro.
I suoi fratelli non si somigliavano neanche lontanamente. Da una parte i capelli d'oro di Frerin mentre dall'altra quelli color del manto notturno di Thorin che erano il segno più tangibile della loro differenza, annullata in parte dai tratti fieri del loro volto simili in entrambi.
Erano diversi come due diamanti, ma altrettanto preziosi per Dìs. Erano la sua ragione di vita, e per quanto assurdo potesse sembrare erano i suoi amati. Perché nessuno in tutte quelle Ere - dal risveglio di Durin il Senza Morte e degli altri Padri dei Nani - era ancora stato in grado di spiegare come fosse possibile per la loro razza sviluppare quel forte e indissolubile legame affettivo e passionale che riusciva addirittura a superare i vincoli di sangue.
Forse il loro amore era uno sbaglio per le altre razze, quel loro unirsi in modo così carnale poteva essere visto come indecente o malato agli occhi degli altri abitanti della Terra di Mezzo, ma Dìs aveva imparato ormai da tempo a non prestare troppe attenzioni ai pensieri degli altri.
I Nani erano diversi, erano un popolo più riservato. Lei stessa era diversa, e quando Frerin spinse le dita tra le sue gambe, Dìs smise addirittura di respirare normalmente, allontanando all’istante ogni pensiero riguardante il resto della Terra di Mezzo.
Riuscì solo a trattenere il fiato, tirando il capo indietro fino a posarlo sulla spalla di Thorin, lasciando le labbra socchiuse in un muto gemito.
Solo la stoffa del suo intimo separava la sua intimità dalla curiosa e ruvida mano di Frerin, ed allargando le gambe tentò quasi di invitarlo ad andare avanti.
Ansimò appagata quando suo fratello cambiò repentinamente la pressione della mano e delle dita contro la sua femminilità, mugugnando poi quando le labbra di Thorin si posarono sul suo collo scoperto.
Il Nano sfregò la bocca socchiusa sulla pelle della sorella, arrossandola al solo passaggio della barba e strappandole nuovi sospiri e dei brividi.
Dìs sentì ben presto la testa girare e le ginocchia molli per quelle attenzioni, tant'è che fu solo in grado di portare le mani tremanti sul suo corpetto, tentando di slegarlo il più velocemente possibile perché era maledettamente troppo vestita.
Tuttavia, per quanto fosse abituata a fare e a sciogliere quei nodi ogni singolo giorno, in quel momento le sue dita sembrano aver perso ogni singola maestria e capacità, costringendola a compiere un movimento di involontario nervosismo.
«Qualche problema, namadith ?», la riprese Frerin, esibendo un sorrisetto compiaciuto che fece ringhiare Dìs. Per quanto adorasse quel suo atteggiamento spesso indisponente, che equilibrava quello più calmo e controllato di Thorin, in quel momento sentì quasi di detestarlo.
«Fa meno l’idiota, nadad !», ribatté la Nana, riuscendo finalmente a sciogliere il nodo e concedendosi un sospiro sollevato che rubò uno sbuffo divertito anche a Thorin - Dìs lo sentì vibrare contro il suo collo.
«Ti avrei dato volentieri una mano…», si difese piccato l’altro, allontanando le mani dal corpo della sorella per togliersi a sua volta la tunica, rimanendo a petto nudo come il maggiore.
«Sei un pessimo bugiardo…», ringhiò Dìs, lanciando via l’inutile corpetto ed iniziando poi a contorcersi per potersi togliere anche il vestito.
Frerin non rispose, limitandosi invece a sorridere quando Thorin si mosse placido per aiutare la sua sorellina a sfilare l’abito, che raggiunse ben presto il corpetto sul pavimento.
Sollevata da quell’improvvisa libertà, riprese posto tra le gambe del maggiore dei suoi fratelli che, stringendola a sé, riprese a baciarle il collo e la spalla, andando poi ad accarezzarle il morbido ventre ed i fianchi prima di far scivolare le mani sul suo abbondante seno.
Dìs trattenne ancora il respiro quando senti i palmi rovinati e ruvidi di Thorin toccarla prima con delicatezza poi con più decisione, gemendo addirittura quando quelle familiari e desiderate mani iniziarono a manipolarle il seno, stringendolo e schiacciandolo come per saggiarne la consistenza.
Frerin, rimasto per qualche istante in disparte, ridacchiò per i versi emessi dalla sua sorellina, e afferrandola per i fianchi iniziò a far scivolare verso il basso l’intimo, lasciandola ben presto nuda. Il Nano sembrò concedersi un breve momento per osservarla, facendo scorrere lo sguardo prima sui fianchi morbidi e la pancia rotondeggiante, poi sui capezzoli che diventavano sempre più duri sotto le carezze di Thorin e, infine, sulle gambe tenute larghe in un chiaro invito che ovviamente non mancò di accettare.
Si inginocchiò, sfiorandole le cosce con la punta delle dita, premendo poi sulle ginocchia per costringerla a rimanere ferma in quella posizione.
Dìs sembrò volerlo quasi ignorare mentre reclamava le labbra di Thorin, e come se quella fosse una questione di principio, Frerin spinse il volto tra le sue gambe, ispirandone il forte profumo e assaggiandone poi il sapore quando utilizzò la lingua per accarezzarla.
Quel gesto costrinse i due Nani ad interrompere il loro bacio, Dìs infatti non riuscì a non inarcarsi contro Thorin, emettendo un gemito quasi stupito quando sentì Frerin esplorare la sua femminilità in quel modo, e il Nano, palesemente soddisfatto dalla reazione della sorella, non poté far altro se non continuare a lambire le piccole labbra e a giocare con il clitoride che finiva talvolta intrappolato dentro la sua bocca.
Dìs non riuscì a trattenersi dall'imprecare in khuzdul quando Frerin iniziò a succhiare con energia il suo clitoride, tendendosi come una corda di violino. Lo stuzzicava con malizia e passione, fiero di essere riuscito a catalizzare su di sé le attenzioni della sua sorellina... ma per quanto fosse soddisfacente, quello non era il suo vero obiettivo. Infatti, iniziò ben presto a toccarla con la chiara intenzione di portarla al limite, non solo fisico, ma anche della sua pazienza, tant'è che Dìs arrivò addirittura a tirargli i capelli, irritata.
Era pericoloso comportarsi in quel modo con la Nana, ma era più forte di lui perché Frerin adorava torturarla.
«Che c'è, namadith ? Pensi di non farcela?», domandò, ricevendo però in risposta lo sguardo truce di Thorin, il primo difensore della più giovane della famiglia.
Si metteva sempre in prima fila quando si trattava di proteggere la sua amata sorellina, anche se questa il più delle volte non ne aveva bisogno.
Ferin sorrise per quello sguardo che non aveva bisogno di voce per far tremare tanti altri Nani e, schioccando un bacio nell’interno coscia della sorella, riprese poi a toccarla con più decisione, usando anche le dita per donarle piacere, spingendosi presto dentro il suo corpo con l'indice per iniziare a prepararla.
Dìs emise subito un gemito soddisfatto per quelle attenzioni e anche lo stesso Thorin parve mettere da parte la sua espressione di rimprovero per riprendere a baciarla e a massaggiarle il seno e i capezzoli.
Le dita di Frerin divennero presto due e poi tre, si muovevano abili nel suo orifizio, allargandolo e sfiorando ogni volta quel punto nascosto che la faceva tremare e gemere per il piacere. Ogni carezza la stava portando rapidamente all'apice, ma quando il suo corpo iniziava a cedere, Frerin ghignava pronto a giocare.
Ritirava le dita per dedicarsi alle labbra e al clitoride prima di affondare ancora nell'entrata già abusata dalle sue falangi per portarla di nuovo all'apice e negarglielo.
Iniziò ben presto a muoversi irrequieta contro il corpo di Thorin, le cui mani continuavano a stuzzicarle il seno ed i capezzoli, concedendosi dei lamenti via via più esasperati… versi che, per quanto volesse giocare, portarono ben presto Ferin al limite.
« Namadith» , la richiamo e lei, riconoscendo il tono disperato del fratello non poté non sorridere compiaciuta.
«Qualche problema, nadad ?», gli fece il verso, strappando un lamento non solo a Ferin ma anche a Thorin, che li riprese con un basso: «Non iniziate di nuovo».
Entrambi i minori mugugnarono e, cambiando posizione, Dìs salì a cavalcioni sulle gambe di Ferin, disteso sul pavimento, sfregando la sua femminilità contro l'erezione dura e sensibile del fratello.
La fece entrare lentamente dentro di sé, trattenendo il respiro e tremando quando sentì Thorin insinuare una mano tra il suo corpo e quello di Ferin per massaggiarle il clitoride, come per aiutarla a superare l'iniziale fastidio.
Solo in quei momenti Ferin sembrava diventare paziente, non giocava né scherzava. Attendeva sempre, con rispetto e dolcezza, che sua sorella si sentisse a suo agio, andando ogni volta a imitare Thorin, l'unico che riusciva ogni volta a rassicurare e calmare l'animo ardente di Dìs.
Iniziava infatti a toccarle il seno già sensibile, stuzzicando i capezzoli duri prima con le dita e poi con le labbra, mantenendo il bacino immobile fino a quando il maggiore non gli avrebbe dato l'autorizzazione per muoversi.
Sembrò quasi passare un tempo infinito per tutti e tre, e solo quando Dìs riuscì ad accogliere dentro di sé tutto il sesso di Ferin questo poté iniziare a muoversi con dei movimenti lenti, volti a far abituare il più possibile sua sorella.
Thorin si allontanava solo un poco in quei momenti come per osservarli, quasi incantato dalla bellezza e dalla passione che i suoi amati erano in grado di emanare. Tentava sempre di mantenere il controllo ma ogni volta gli bastava poco per cedere ai due e, masturbandosi lentamente con una mano, si accostò a Dìs invitandola a chiudere le labbra attorno alla sua erezione.
La Nana non si tirava mai indietro e aprendo la bocca accoglieva anche il sesso del maggiore dei suoi fratelli dentro di sé. Lo leccò e succhiò dapprima piano, poi con crescente convinzione e sicurezza tentando al tempo stesso di assecondare i movimenti di Ferin.
Ci misero qualche minuto prima di riuscire a trovare il giusto ritmo senza intralciarsi l’un l'altro, ma da quel momento in poi riuscirono a muoversi senza più problemi.
Ferin iniziò a spingersi con maggiore velocità dentro il corpo di Dìs, emettendo dei bassi e gutturali versi di piacere, che si rispecchiavano anche in Thorin, vittima della maliziosa bocca della sorella che si muoveva avanti e indietro sul suo sesso.
Non si preoccupavano mai di nascondere la loro passione né i gemiti di quell’amplesso. Si muovevano liberi da ogni dubbio e incertezza, accogliendo solo il piacere e il loro amore come se non esistesse nulla di più importante.
Il primo a venire era generalmente Ferin a quel punto, e per quanto l'orgasmo lo lasciasse quasi sempre senza fiato, quello non lo fermava mai dal portare le dita sul ventre morbido di Dìs, facendole scivolare verso il basso fino a portarle sul clitoride sensibile e arrossato con la sola intenzione di far raggiungere l’apice del piacere anche a sua sorella.
Dìs, infatti, venne poco dopo mugugnando contro l'erezione di Thorin il quale, quasi liberato da un peso - non veniva mai prima di sua sorella e di Ferin -, non poté far altro se non concedersi di imitare i suoi amati raggiungendo a sua volta l'orgasmo.
Solo dopo quei momenti, Dìs si trovava di nuovo schiacciata tra i corpi caldi dei suoi fratelli. Si distendevano vicini sul letto ormai sfatto, abbracciandosi stretti per recuperare fiato e riposarsi, mentre la passione di qualche istante prima iniziava lentamente a scemare lasciando dietro di sé solo il piacevole ricordo e il crescente desiderio per un altro di quegli incontri.
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torredellestelle · 7 years
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Titolo: Ragazzo Ideale Fandom: Kuroko no Basket Personaggi: Reo Mibuchi, Eikichi Nebuya Relationship: Male/Male Pairing: MibuNebu Genere: Introspettivo, Eros Avvertimenti: Established Relationship, Fluff Rating: NSFW Conteggio parole: 1030 Intro:
Nebuya Eikichi non era il suo tipo di ragazzo ideale, perché a Mibuchi erano sempre piaciuti più tipi come Akashi Seijurou o Mayuzumi Chihiro. Educati, con un carattere interessante e per niente scontato e, possibilmente, anche più bassi di lui. Eikichi, al contrario, era rozzo e rumoroso, estremamente muscoloso e poco più alto di Reo. Era in tutto e per tutto ben lontano dallo standard di eleganza che Reo aveva sempre preferito.
Nebuya Eikichi non era il suo tipo di ragazzo ideale, perché a Mibuchi erano sempre piaciuti più tipi come Akashi Seijurou o Mayuzumi Chihiro. Educati, con un carattere interessante e per niente scontato e, possibilmente, anche più bassi di lui. Eikichi, al contrario, era rozzo e rumoroso, estremamente muscoloso e poco più alto di Reo. Era in tutto e per tutto ben lontano dallo standard di eleganza che Reo aveva sempre preferito.
Tuttavia, Mibuchi era stato costretto ad ammettere che i suoi muscoli, forti ed allenati, erano sempre stati una distrazione fin troppo grande persino per lui. Aveva infatti scoperto che, oltre guardarli, gli piaceva anche toccarli, percorrerli con le dita o con le labbra, stringerci poi sopra i pugni quando il piacere diventava quasi insopportabile... e a ben pensarci, doveva ammettere che sembrava pure assurdo avere la consapevolezza di essere arrivato fino a quel punto per un motivo così futile. Infatti, si era avvicinato a Nebuya, iniziando a guardarlo con occhi diversi, non per un reale interesse ma più che altro per "cogliere due piccioni con una fava". Da una parte aveva deciso di dare un'opportunità ad Eikichi e ai suoi rozzi tentativi di corteggiamento, mentre dall'altra si era trattato di un suo capriccio. Perché Reo era una persona ben disposta alle novità e agli esperimenti, e come per ogni cosa non poteva sapere se Eikichi gli sarebbe piaciuto o meno senza 'provarci'. E, suo malgrado, Mibuchi aveva gradito fin troppo il suo compagno di squadra.
Aveva scoperto che oltre i muscoli gli piacevano le sue mani ruvide sulla sua pelle nuda, e adorava quel brivido che gli dava il leggero pizzicorio della barba. Gli piaceva la sua forza e la sicurezza. La lussuria che riusciva ad accendere nel suo corpo facendogli desiderare sempre di più. E infine c'era anche la dolcezza di quel gigante che gli faceva tremare lo stomaco e le gambe ogni singola volta.
Se Reo non avesse per davvero deciso di "indagare sui suoi gusti", per modo di dire, non avrebbe mai provato quel sincero coinvolgimento fisico ed emotivo che stava scoprendo con Eikichi, e se ne sarebbe pentito. Perché sentiva davvero di non poter più fare a meno di lui.
Gli sfuggì un gemito un po' più alto degli altri per quel pensiero, e portò le braccia attorno al collo di Nebuya per stringersi a lui. Notò solo distrattamente il contrasto tra la sua pelle pallida e quella più scura di Eikichi, e addirittura faticò a tenere gli occhi aperti per il piacere, ed i suoi stessi pensieri iniziarono ben presto a perdersi sotto le spinte decise del suo compagno, seguite dai suoi mugugni bassi e lussuriosi.
Le mani di Nebuya erano ancora strette sui suoi fianchi, accompagnandolo in ogni movimento, e Reo si permise di godersi quelle sensazioni senza ripensamenti o dubbi. Gemeva e ansimava, mentre alle sue orecchie giungevano sempre più frequenti rochi i versi del suo compagno, e si spostò solo un poco per inclinare il capo e cercare le labbra di Eikichi. Sfregò la guancia sulla barba, mugolando compiaciuto, e solo dopo quella tenera carezza riuscì a far unire le loro bocche, spingendo subito la lingua tra le labbra di Nebuya per coinvolgerlo in un bacio umido e lento.
Solo la mancanza di ossigeno lo spinse ad allontanarsi dopo qualche minuto, e allacciandogli le gambe alla vita, Reo tirò indietro il capo per emettere un gemito più alto.
Sentì subito la bocca di Nebuya correre sul suo collo. Iniziò ad alternare ai mugugni sempre più frequenti a dei baci voraci, ma allo stesso tempo Reo era certo di avvertire anche una certa dolcezza ad attenzione in quei gesti. Eikichi non voleva lasciargli segni troppo evidenti, anche se ne avrebbe avuto tutte le capacità, e quella consapevolezza fece rabbrividire Mibuchi da capo a piedi.
Gemette il nome del suo compagno, inarcandosi un poco quando le mani calde e ruvide di Nebuya si spostarono dai fianchi fino alla schiena di Reo, carezzandola prima di attirarlo il più possibile contro di sé.
Mibuchi gemette ancora, dandosi seriamente dello stupido per aver ignorato Eikichi per così tanto tempo. Se il piacere non fosse stato così intenso, se non avesse sentito la lussuria scorrergli dentro come lava ardente, gli sarebbe quasi venuto da sorridere tra un brivido e l'altro, perché si sentiva felice: protetto e completo.
Non poteva smettere di pensare al fatto che Nebuya fosse ben lontano dalla sua idea di perfezione. Aveva così tanti difetti che sarebbe stato complicato anche elencarli, ma era il suo "ragazzo" - era stranamente emozionante poterlo definire in quel modo - e sapeva di poter benissimo andare oltre per potersi concentrare solo ed esclusivamente sui suoi pregi, che superavano di gran lunga le sue aspettative.
«Ah... E-Eikichi», ansimò ormai al limite, e con altre spinte profonde, Nebuya lo portò all'orgasmo. Il piacere di Reo si riversò tra i loro corpi, inarcandosi e irrigidendosi per quelle sensazioni così intense per qualche istante, gemendo poi con molta più forza quando, dopo un breve momento di pausa, sentì il sesso ancora eretto di Eikichi riprendere a muoversi dentro il suo corpo.
Le spinte si fecero rapide e decise, energiche e profonde, talmente pregne di lussuria e desiderio tant'è che Reo sentì la testa girargli per il piacere. Lo abbracciò con forza, affondando quasi le unghie nella dura pelle di Nebuya, gemendo fino a sovrastare i versi più bassi del suo compagno, che diventarono tuttavia un po' più alti quando raggiunse a sua volta l'orgasmo.
Eikichi lo abbracciò con più decisione come per proteggerlo e Reo, senza fiato, iniziò ad accarezzargli la nuca ed i suoi corti capelli scuri quasi distrattamente, rilassandosi lentamente nell'ascoltare il battito impazzito dei loro cuori. La foga di qualche momento prima si spense pian piano, lasciando spazio ad un attimo di pace e di soddisfazione, ben lontano dalla lussuria che aveva animato i loro corpi. E senza smettere di sorridere Mibuchi si spostò un poco per accettare le labbra di Eikichi sulle sue.
Per quanto Reo avesse sempre cercato la perfezione nei suoi partner, ed anche degli standard di eleganza bel precisi, era in quei momenti che capiva di aver trovato esattamente ciò che aveva sempre cercato.
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torredellestelle · 7 years
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Titolo: Crazy Fandom: Kuroko no Basket Personaggi: Haizaki Shougo, Nijimura Shuuzou Relationship: Male/Male Pairing: NijiHai Genere: Introspettivo, Erotico Avvertimenti: Omegaverse, Dub-con Rating: NSFW Conteggio parole: 1060 Intro:
Non è la prima volta che Nijimura è costretto ad andare fino a casa di Haizaki per trascinarlo con la forza all'allenamento. Ovviamente, Shuuzou preferirebbe evitare quella faticaccia, ma il suo kohai riesce sempre, in un modo o nell'altro, a mandarlo non solo su tutte le furie ma a farlo addirittura impazzire. Di conseguenza quando si sente chiudere il telefono in faccia, senza nemmeno ricevere una risposta da parte di Shougo, parte in quarta senza pensare a quello che sta per fare.
Non è la prima volta che Nijimura è costretto ad andare fino a casa di Haizaki per trascinarlo con la forza all'allenamento. Ovviamente, Shuuzou preferirebbe evitare quella faticaccia, ma il suo kohai riesce sempre, in un modo o nell'altro, a mandarlo non solo su tutte le furie ma a farlo addirittura impazzire. Di conseguenza quando si sente chiudere il telefono in faccia, senza nemmeno ricevere una risposta da parte di Shougo, parte in quarta senza pensare a quello che sta per fare.
Vuole solo spaccare la faccia a quell'idiota, e quando arriva a casa di Haizaki, l'intenzione di ucciderlo e poi di trascinarlo, vivo o morto, in palestra non si è di certo spenta. Ringrazia mentalmente la madre del suo compagno di squadra che, il mese prima, gli aveva rivelato il nascondiglio della chiave di riserva - per aiutare Shougo nel caso si fosse messo nei guai -, ed entra nell'abitazione, percorrendola rapido fino alla camera del ragazzo.
Per poco non sfonda la porta con un calcio, ed ancora prima di esordire con un: «Haizaki!», tutti i suoi istinti omicidi vengono all'istante placati dal forte profumo che lo investe in pieno. Chiude gli occhi, inspirandolo a pieni polmoni quasi senza rendersene conto. Sa che cosa sta succedendo anche senza posare lo sguardo su Haizaki. Lo sa ancor prima che le sue orecchie possano sentire gli ansiti ed i gemiti di Shougo, brutalmente spezzati a causa del suo ingresso in camera...
"Quell'idiota non ha preso i soppressori", quel pensiero gli attraversa la mente veloce, ma Shuuzou lo ignora con fin troppa facilità. Perché lui è un Alfa, e l'odore emesso da Haizaki, visibilmente in calore, lo fa impazzire in un lampo.
Riapre gli occhi, mordendosi le labbra nel vano tentativo di trattenersi, ma Haizaki è nudo sul letto. Il viso arrossato, le gambe spalancate quasi oscenamente per far spazio alle dita che, come guidate da vita propria, continuano a muoversi dentro e fuori l'orifizio bagnato. Lo sente mugugnare, e quando gli rivolge uno sguardo voglioso e disperato - forse inconsciamente - Nijimura perde del tutto la ragione.
Con lo sguardo fisso sul corpo nudo di Shougo percorre con brevi falcate la stanza. È consapevole del casino nel quale sta per andare a cacciarsi, e per quanto la sua mente gli urli di non farlo, di fermarsi e di andare via, il suo corpo preferisce invece agire di testa propria. Odia gli ormoni Omega di Haizaki e odia anche se stesso per essere un Alfa senza cervello che non riesce a ragionare con la propria testa davanti a quell'odore.
È certo di scorgere un lampo di paura negli occhi di Haizaki, ma il suo corpo, ulteriormente eccitato per la presenza di un Alfa, lo fa apparire incoerente.
«V-vattene, cazzo», ansima infatti Shougo, tentando di fuggire alle ferme mani di Nijimura sui suoi fianchi. Shuuzou lo blocca con più decisione contro il materasso e quella dimostrazione di forza gli fa emettere un altro gemito. Sembra imbarazzarsi per quella debolezza, e per quel motivo lo insulta ancora, continuando al tempo stesso a cercare di allontanarlo.
«Sta zitto», sillaba Shuuzou in risposta, costringendolo a voltarsi. Gli spinge il petto sul letto già sfatto, imponendogli di tenere i fianchi alti e le gambe divaricate. Haizaki geme di nuovo, alzando la voce per insultarlo ancora e ancora.
È chiaro che nessuno dei due voglia trovarsi in quella situazione, ma ormai non possono più tornare indietro. Nijimura sa che Shougo desidera di più, vuole qualcosa che quelle sole dita non possono dargli... e sa anche che è a causa della sua condizione che Haizaki è inconsciamente pronto ad accettare che sia Shuuzou a prenderlo e soddisfarlo.
Si slaccia i pantaloni, abbassando i boxer solo per liberare la sua erezione. Afferra il polso di Haizaki, costringendolo ad allontanare la mano che era tornata tra le sue gambe alla ricerca di un po' di sollievo, abbassa subito lo sguardo sull'orifizio stretto e umido. Lo sfiora con il pollice, spargendo per i bordi ruvidi dell'apertura i liquidi che l'Omega secerne durante il calore. Haizaki sussulta emettendo un gemito frustrato per quella carezza, e Nijimura, certo di non potergli fare male, accosta il suo sesso per potersi spingere all'interno del corpo del più giovane con una sola e lenta spinta.
«B-Bastardo», mugugna Haizaki, tremando per il piacere, lasciandosi poi scappare dei versi più alti quanto Nijimura inizia a muoversi. Shougo continua ovviamente di intimargli di smetterla tra un gemito e l'altro, e Shuuzou stesso lo insulta, perché Haizaki è stato un idiota ad aver ignorato i soppressori. Tuttavia non si ferma e presto anche Shougo inizia a muoversi verso di lui, assecondando le sue spinte.
Haizaki è il primo a venire qualche minuto dopo senza neanche avere bisogno di toccarsi, e anche Nijimura dopo un po’ raggiunge l'orgasmo, riversando il suo seme dentro il corpo del suo kohai.
Crollano entrambi sul letto, sporco e con le lenzuola stropicciate, riprendendo fiato in silenzio. Shuuzou pensa solo distrattamente al disastro che ha appena combinato, ma quando sente Haizaki muoversi accanto a lui smette di ragionare.
Si scontra infatti lo sguardo un po' più lucido di Shougo che lo fissa adirato, con però anche di un pizzico di imbarazzo. Ed è solo grazie ai suoi ottimi riflessi che Nijimura riesce a bloccare un pugno diretto al suo volto - che, forse, si sarebbe anche meritato.
«Sei un'imbecille!», gli abbaia contro Haizaki cercando di liberarsi dalla presa del suo senpai.
«Non sono stato io a dimenticare i soppressori», si difende prontamente Shuuzou, ingaggiando con l'altro una piccola lotta che lo fa finire bloccato sotto il suo compagno. Mugugnano entrambi quando i loro bacini entrano in contatto ed Haizaki, vittima del suo stesso corpo, si ritrova di nuovo ad ansimare, eccitato.
«Ti odio», sibila qualche momento dopo, afferrando Nijimura per il colletto della divisa, «ti odio così tanto che... credo di essere impazzito...»
Respira già a fatica e Shuuzou non può fare a meno di eccitarsi a sua volta.
«È reciproco», ribatte con i denti stretti, stringendogli i polsi con decisione.
«Allora farai meglio a prenderti le tue fottutissime responsabilità», ringhia ancora Haizaki, facendo unire con rabbia le loro labbra. Nijimura mugugna, preferendo rispondere a quel bacio con altrettanta foga piuttosto che all'affermazione di Shougo. Ci avrebbe pensato in seguito, perché in quel momento sa di essere in grado solo di soddisfare il suo Omega e nient'altro.
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torredellestelle · 7 years
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Titolo: La Peggior Tecnica di Corteggiamento della Storia Fandom: Haikyuu Personaggi: Semi Eita, Tendou Satori, Shiratorizawa Relationship: Male/Male Pairing: TenSemi Genere: Introspettivo Avvertimenti: Fluff Rating: SAFE Conteggio parole: 760 Intro:
La squadra di pallavolo della Shiratorizawa, nonostante le apparenze, è molto unita. Spesso infatti, dopo gli allenamenti, sono soliti uscire tutti insieme per concedersi un panino alla McDonalds o per un film, ed è in quei momenti che la squadra assiste a quella che, a furor di popolo, era stata definita "la peggior tecnica di corteggiamento della storia".
La squadra di pallavolo della Shiratorizawa, nonostante le apparenze, è molto unita. Spesso infatti, dopo gli allenamenti, sono soliti uscire tutti insieme per concedersi un panino alla McDonalds o per un film, ed è in quei momenti che la squadra assiste a quella che, a furor di popolo, era stata definita "la peggior tecnica di corteggiamento della storia".
Tutti, eccetto i diretti interessati ovviamente, sanno che a Tendou piace Semi e che, per disgrazia di quest'ultimo, il middle blocker è pienamente ricambiato.
Per quel motivo quando vedono Satori raggiungerli all'entrata del cinema, sanno già che squadrerà da capo a piedi Eita - vestito con dei pantaloni color panna e una semplicissima felpa bianca e azzurra - e lo saluterà con un: «Non ti donano per niente quei vestiti, E~i~ta~kun ».
Semi sbuffa e dal suo sguardo è chiara la sua indecisione. Sembra che non sappia se prenderlo sul serio, chiedendosi cosa debba indossare per soddisfare l'altro, oppure se arrabbiarsi e riempirlo di calci come merita.
Al contrario i loro compagni si limitano invece a pensare che Tendou sia un idiota e che, visto che la maggior parte di loro si conosce da più di due anni, abbia bisogno di una piccola spinta. In fondo, sono tutti stanchi di quella situazione.
Si scambiano infatti delle occhiate incerte che non hanno bisogno di essere espresse a voce, perché per quanto vogliano aiutarli non fanno come fare... ma alla fine, per fortuna, è Kawanishi a venire loro in aiuto.
«Stanno sicuramente meglio sul pavimento della camera di Satori», commenta infatti con calma. Non è solito parlare, ma quando lo fa riesce sempre a colpire nel segno. E Tendou, per l'appunto, si irrigidisce e lo stesso Semi si ritrova a sgranare quasi impercettibilmente gli occhi, sorpreso dall'affermazione del loro compagno.
«Taichi! Ci stai provando con Semi per conto mio?!», esclama Satori dopo qualche momento di incertezza, puntando il suo compagno di squadra con entrambi gli indici in una mossa teatrale, volta soltanto a cercare di nascondere l'imbarazzo - ben visibile attraverso le punte delle orecchie arrossate. Spera che il suo tono suoni allegro e canzonatorio, e che giunga alle orecchie di Eita come un: "Non voglio mica provarci con lui!"
«Qualcuno dovrà più farlo visto che fai pena», risponde però Yamagata e, incredibilmente, Tendou non riesce a controbattere.
Non sa come reagire. Indeciso non sa se sentirsi tradito o grato per il fatto che si sono tutti messi in testa di aiutarlo in quel modo. Alla fine però sceglie di sentirsi tradito perché i suoi compagni, le persone che lo hanno accompagnato per quei tre anni, lo hanno appena umiliato e lo hanno fatto davanti al ragazzo per il quale ha una cotta da altrettanto tempo!
Non può credere che sia appena successo e anche se la loro intenzione era chiaramente quella di aiutarlo, Tendou non può non chiedersi: “Perché non lo hanno fatto in privato?!”
Solo in quel momento si azzarda a lanciare un'occhiata incerta verso Eita, avvampando ulteriormente nel notare le guance rosse del ragazzo - bloccando con violenza il: "Semi è carino anche così!", che gli balena in mente.
Boccheggia e in quell’istante il resto della squadra capisce di aver fatto la scelta giusta.
«Entriamo. Dobbiamo ancora scegliere il film e sono tremendamente indeciso tra due titoli», dichiara con un ghigno Yamagata, avanzando verso la biglietteria seguito dagli altri, palesemente compiaciuti.
«Sì, sì», borbotta a sua volta Semi, «Arriviamo subito», aggiunge permettendosi di voltarsi verso Tendou con le mani sui fianchi ed un’espressione baldanzosa nonostante l’imbarazzo fin troppo visibile.
Satori si costringe a sostenere quello sguardo, cercando di sorridergli innocentemente.
«Sei un idiota», esordisce subito Eita, aggiungendo poi un sconsolato: «ma questo lo sapevo già, quindi non è una novità...», che fa emettere un vago lamento a Tendou.
«Ma Eit-»
Semi però alza la mano per fermare le sue parole.
«E al momento sono indeciso se prenderti a pugni o se…», si trattiene per un momento, scuotendo il capo, «okay, facciamo così: la prossima volta cerca di farmi un complimento e vedrai... vedrai che verrai ricompensato», concluse con il viso ancor più rosso, decidendo di darsi poi alla fuga per il troppo imbarazzo.
Satori a quel punto sa di essere diventato tutt'uno con i suoi capelli, ma il suo sorriso si allarga a dismisura nel leggere tra le righe di quelle affermazioni.
Tant'è che riesce addirittura a ridere quando sente Yamagata commentare con un divertito: «Mi sa che ho capito chi porta i pantaloni tra i due», prontamente seguito da Wakatoshi e dal suo piatto: «Sono due maschi, portano entrambi i pantaloni...»
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torredellestelle · 7 years
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Titolo: Ira Fandom: Final Fantasy XV Personaggi: Loqi Tummelt, Cor Leonis Relationship: Male/Male Pairing: CorLoqi Genere: Introspettivo Avvertimenti: Established Relationship. Minor Injury Rating: SAFE Conteggio parole: 700 Intro:
Loqi non è mai stato un tipo incline all’ira anche se, ovviamente, è ben lontano dal definirsi una persona calma. Si arrabbia come tutti, certo, ma non si è mai lasciato comandare da quei sentimenti troppo intensi, perché l'ira acceca i sensi e rende le persone stupide nei momenti dove il controllo è essenziale.
Loqi non è mai stato un tipo incline all’ira anche se, ovviamente, è ben lontano dal definirsi una persona calma. Si arrabbia come tutti, certo, ma non si è mai lasciato comandare da quei sentimenti troppo intensi, perché l'ira acceca i sensi e rende le persone stupide nei momenti dove il controllo è essenziale.
Per quel motivo, quando vede Cor mettersi tra il suo corpo e la lama di un Ronin si sorprende nel sentire la rabbia esplodere come una bomba, rimasta silente fino a quell'istante.
Odia Cor Leonis in un modo così intenso che, spesso e con non poco imbarazzo, pensa che sia quasi amore, e non riesce a sopportare il fatto che l'uomo gli abbia fatto da scudo. Per quello non può non insultarlo, dandogli addirittura dell'idiota per averlo protetto.
«Ma chi ti credi di essere! So cavarmela anche da solo, maledetto bastardo!», grida infatti, usando la sua pistola per colpire in piena fronte il daemon e ucciderlo.
«Un grazie andrebbe bene», mugugna però Cor, e Loqi non può non vedere rosso.
La rabbia cresce perché Leonis l'ha protetto impedendogli di venire ferito, e cresce ulteriormente, nei suoi stessi confronti questa volta, perché vede il sangue dell'uomo sgorgare dal fianco colpito dalla spada del daemon.
Cor è rimasto ferito a casa sua, e quella cosa gli risulta più difficile da accettare di qualsiasi altra.
Lo sorregge subito, facendolo scivolare per terra senza smettere di insultarlo, gridando poi al resto della squadra di portargli un dannatissimo elisir perché Leonis rischia di morire dissanguato se non agiscono in fretta.
Loqi non capisce neanche che cosa sta succedendo perché si è lasciato trasportare dall'ira peggiore: quella nata dalla preoccupazione e dalla vergogna.
«Sei Cor l'Immortale ! Non osare morire qui!», ringhia, premendo le mani sulle ferita per fermare l'emorragia. Cor si lascia sfuggire un lamento basso ma non perde il controllo neanche in quel momento, al contrario di Loqi.
«È solo un graffio», commenta infatti.
«Sei un maledetto bastardo! Azzardati a morire e vedi come ti concio!», lo insulta ancora, ritrovandosi poi ad aggredire un cacciatore con un iroso: «Era ora!», quando gli viene finalmente portato l’elisir.
Lo utilizza subito su Cor e non può non trattenere il respiro nell’osservare con apprensione la ferita rimarginarsi, cosa che però non riesce a placare la sua rabbia.
Ha le mani sporche di sangue, il cuore in gola e un’immensa voglia di spaccare qualcosa, qualsiasi cosa. Leonis ha rischiato la vita per lui e l'ira in quel momento per lui è stato solo un modo come un'altro per nascondere lo spavento e la preoccupazione.
«Non farlo mai più!», sbotta, stringendo i pugni per nascondere il sangue.
«Prima di tutto calmati», lo riprende piano Cor, sollevandosi e rivolgendosi poi al resto della squadra, fiero Generale di quella missione nel buio di Eos, «ritiriamoci, la zona è libera. Raggiungiamo il punto di raccolta e torniamo a Lestallum».
Loqi lo ascolta parlare, tentando di calmarsi e di non fare altre scenate come quella appena fatta. Si alza per seguire gli altri cacciatori, trattenendo con orgoglio la voglia di sfogarsi.
«Loqi», lo ferma però Cor.
Si irrigidisce e gli scocca subito un'occhiataccia adirata.
«Che c'è?», abbaia senza però alzare troppo la voce.
Leonis gli prende le mani, e con un fazzoletto inizia a pulirgli i palmi ancora sporchi di sangue.
«La prossima volta stai più attento», lo riprende con tono quieto e Loqi non può non puntare i piedi per terra, arrabbiato più per quell'affermazione che per il resto.
«La prossima volta tu stai attento! Sono troppo giovane e bello per... p-per...», le parole gli muoiono in bocca, imbarazzate, e diventano solo un lontano ricordo quando un ghigno spunta malizioso sulle labbra di Cor.
«Per rimanere vedovo?», ironizza l'uomo, suscitando in Loqi una nuova esplosione di rabbia e imbarazzo che si palesa con degli insulti più o meno pesanti.
«La prossima volta di lascio morire!», esclama infatti, allontanandosi con un il viso rosso per quell’insinuazione che, sinceramente, preferiva non sentire… almeno non dopo aver rischiato di perderlo.
Ha avuto paura e la sua esplosione d’ira, che l’ha privato della capacità di ragionare per qualche momento, è solo la prova di quanto lui tenga a quel maledetto di Cor Leonis.
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torredellestelle · 7 years
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Titolo: Nuova Vita Fandom: Haikyuu!! Personaggi: Oikawa Tooru, Iwaizumi Hajime Relationship: Male/Male Pairing: IwaOi Genere: Introspettivo Avvertimenti: Alternative Universe (AU), Medieval Rating: SAFE Conteggio parole: 885 Intro:
Oikawa Tooru ha diciotto anni quando decide di mettere la parola fine alla sua vita. La sua esistenza è pressoché perfetta. È il bellissimo principe del Regno di Seijou nonché futuro sovrano, è amato da tutti e in battaglia ha sempre guidato il suo esercito alla vittoria.
Oikawa Tooru ha diciotto anni quando decide di mettere la parola fine alla sua vita.
La sua esistenza è pressoché perfetta. È il bellissimo principe del Regno di Seijou nonché futuro sovrano, è amato da tutti e in battaglia ha sempre guidato il suo esercito alla vittoria. Inoltre Kiyoko, la sua promessa sposa, è talmente bella da eclissare qualsiasi altra fanciulla del regno.
Sa di essere nato sotto una buona stella, eppure non può fare a meno di sentirsi pronto a scambiare la sua vita con quella di uno stalliere qualsiasi, perché tutto quello che desidera è vivere il resto della sua esistenza insieme al suo cavaliere e migliore amico.
Ma non può perché lui è il principe e la sua vita è già scritta dall’inizio alla fine, per quel motivo prova un’immensa invidia per chi invece può scegliere chi amare.
«Imparerai a amare la tua futura sposa», l'aveva rassicurato suo padre, ma Tooru ha già imparato ad amare qualcuno e non ha alcuna intenzione di dimenticare come si sente davanti ai rari sorrisi di Iwaizumi.
Non vuole più quella vita così perfetta. Vuole qualcosa di diverso e per averlo... il principe deve morire.
È più una follia che un vero e proprio piano ben orchestrato, e non sa neanche se Hajime sarà ancora una volta al suo fianco, ma quando riesce ad allontanarsi dal castello, per una finta battuta di caccia, non può non iniziare a sentirsi una persona nuova. Un qualcuno che non proverà più invidia per nessuno perché ha le tasche piene di monete d'oro, degli indumenti semplici e non troppo ricchi - adatti per la sua finta battuta di caccia - e davanti a lui vi è la strada per un altro regno lontano. Verso un’altra vita.
«Me ne vado», dichiara di punto in bianco.
«Sei voluto uscire tu e già vuoi rientrare?», lo riprende seccato Iwaizumi, fermandosi per guardare il viso del suo compagno.
Oikawa sorride e scuote la testa.
«Sono uscito da quel castello per l'ultima volta», gli risponde. Non si è preparato un discorso, ma spera che Iwaizumi lo capisca ugualmente.
«Me ne vado, e sta a te decidere se essere con me o... contro di me. Ma in un modo o nell'altro me ne andrò», prosegue.
«... sei un idiota o cosa?», controbatte Hajime, aggrottando le sopracciglia, « Ma ti senti quando parli?»
«Certo! E… ci ho pensato a lungo. Non è questa la vita che voglio… non voglio più vivere guardando le persone giù al villaggio e provare invidia per ciò che hanno che io non potrò mai avere».
«Sei il principe, puoi avere tutto», sospira Iwaizumi.
«Ma non posso avere chi amo… e per questo non voglio sposarmi».
Hajime sembra quasi irrigidirsi per quell’affermazione, conscio dei sentimenti di Tooru nei suoi confronti. Non sono mai stati un segreto ma, da nobile cavaliere quale è, ha sempre messo davanti a sé il bene del Regno.
«Pensi davvero che la fuga sia una soluzione?», domanda il cavaliere e Oikawa cerca allora di assumere un’espressione meno seria, più che altro per alleggerire la tensione di quel momento.
«Si, perché in questo modo non dovrò sposarmi e Iwa-chan sarà con me».
«E chi ti ha detto che verrei con te?», tagliò corto Hajime, e Tooru spalanca la bocca sorpreso da quell’affermazione.
«Ma… ma… mi lasceresti andare davvero via da solo?»
Iwaizumi non risponde ma porta lo sguardo verso l’orizzonte e tutte le opportunità che li aspettano oltre quel confine.
«Vieni con me, saremo solo noi due come abbiamo sempre fatto... non ho bisogno di nient'altro se non di te», ammette sincero Oikawa, aprendo il suo cuore nella speranza di convincerlo.
«Ci cercherebbero», gli fa presente Hajime.
«E noi ci nasconderemo. Ho pure delle monete d’oro, non vivremo come dei pezzenti!»
«Ma verrò trattato come un traditore».
«Ma se sei sempre fedele al tuo bellissimo principe come puoi essere un traditore?»
«Dovrò prenderti a calci tutti i giorni perché ti lamenterai», aggiunse ancora Iwaizumi e Oikawa non poté non sorridere, leggendo tra le righe di quell’affermazione.
«Dicendo così stai già accettando di scappare con me, lo sai Iwa-chan?», cantilenò e Hajime non può non sbuffare, seccato da quell'ennesima risposta.
«Solo perché so che se ti lascio da solo finiresti morto in fondo a qualche burrone».
«E non perché non vuoi vedermi andare all'altare con Kiyoko-chan?», aggiunse Tooru, incapace di nascondere la sua felicità.
«Non tentare troppo la fortuna», borbotta l’altro, e le nocche bianche strette sulle redini del cavallo sono una risposta più che esauriente per Oikawa.
«Preferisco sposare un cavaliere rozzo e sempre imbronciato che una dolce fanciulla», confessò tornando ad essere quasi più serio.
«Mh... dove vuoi andare?», domanda a quel punto Iwaizumi e Tooru, sorridendo, guarda a sua volta verso l’orizzonte.
«Ho sentito dire che il paese di Nekoma è molto accogliente».
Fuori dai confini del Regno di Seijou li attendeva una nuova vita, e anche se non sarebbe stata semplice - ne è pienamente consapevole -, Oikawa è certo di ciò che vuole. Non proverà mai più invidia perché da quel momento in poi ci sarà sempre Hajime al suo fianco.
«E Nekoma sia», lo asseconda a quel punto Iwaizumi. Si scambiano un ultimo sguardo, complice, poi incitano i loro cavalli a correre, spingendoli verso la loro nuova vita lontana dai titoli di Principe e Cavaliere.
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torredellestelle · 7 years
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Titolo: Superbia Fandom: Free! Personaggi: Sousuke Yamazaki/Momotarou Mikoshiba Relationship: Male/Male Pairing: SouMomo Genere: Introspettivo Avvertimenti: Alternative Universe (AU), Vampire Rating: SAFE Conteggio parole: 900 Intro:
La pelle di Yamazaki è di un pallore quasi lunare, talmente liscia e marmorea che Momotarou si sente sopraffatto dai suoi desideri. Tutto di Sousuke Yamazaki lo ammalia, dal suo viso serio alle forti linee marcate dei suoi muscoli. È stupendo, e ancora si sorprende che uno come Sousuke si sia interessato ad uno come lui.
La pelle di Yamazaki è di un pallore quasi lunare, talmente liscia e marmorea che Momotarou si sente sopraffatto dai suoi desideri.
Tutto di Sousuke Yamazaki lo ammalia, dal suo viso serio alle forti linee marcate dei suoi muscoli. È stupendo, e ancora s i sorprende che uno come Sousuke si sia interessato ad uno come lui.
Si morde le labbra, trattenendo a stento l'istinto di toccarlo. Di allungare le dita per percorrere quel petto sicuramente gelido, privato chissà da quanto tempo del battito del suo cuore.
Deglutisce e preme la schiena contro la parete fredda alle sue spalle, lasciandosi pervadere dalla tremenda ed incoerente sensazione di essere ormai in trappola.
Non può scappare, e anche se ci fosse riuscito, sa che Yamazaki non gli avrebbe mai permesso di andare troppo lontano… perché Momotarou è la preda di un vampiro, e i vampiri non sono altro se non superbi cacciatori. Esseri immortali che si sono innalzati sopra l’uomo, sconfiggendo la morte e sottomettendo con la loro superiorità gli esseri umani.
«Se... senpai», pigola piano.
«Hai paura?»
Annuisce, senza riuscire ad aprire bocca.
«Hai paura di me... o del vampiro?», domanda di nuovo Sousuke, sovrastando con la sua altezza Momo.
Sono solo dieci miseri centimetri, ma in quel momento gli sembrano quasi il doppio.
«Non... n-non lo so», ammette sincero, diviso ancora una volta dal terrore e dalla necessità di toccarlo, di sentire quella pelle fredda e dura sotto le dita. Si da mentalmente dell'idiota ma non può fare a meno di sentire quel desiderio perché ha sempre ammirato il ragazzo più grande e cercato di attirare su di sé il suo sguardo così distante che alle volte sembra quasi apparire altezzoso.
«Hai paura, eppure i tuoi occhi mi guardano ancora in quel modo», commenta Sousuke, piegando le labbra in un sorriso quasi divertito, mostrando i suoi denti bianchi ed i canini singolarmente appuntiti.
Momo si sente arrossire per quell'affermazione, ma ancor prima di poter distogliere lo sguardo per la vergogna, le dita di Sousuke vanno a stringersi sul suo mento, costringendolo a tenere gli occhi puntati sui suoi.
«Non smettere di guardarmi», ordina con voce calma ma incredibilmente ferma. Resta fermo per qualche momento poi inizia a spostare la mano dal mento fino al collo di Momo, scostandone la maglietta.
Il respiro del ragazzo si mozza, ma per timore di disobbedire all'ordine di Yamazaki si impone di continuare a fissarlo.
«Sono morto da secoli», mormora Sousuke, percorrendo con le dita la giugulare, «ormai ricordo solamente cosa significa provare dei sentimenti. So quando devo mostrarmi arrabbiato o felice, so quando devo sorridere... ma non ho più in cuore e un animo per sentire quelle stesse emozioni», spiega con gli occhi fissi sulle sue dita.
«Perché mi... dici questo?», domanda Momo, deglutendo ancora e stupendosi per il suo stesso tono di voce che giunge alle sue orecchie come un sussurro, debole e spaventato.
«Perché un tempo ho amato, ho memoria di quei sentimenti... e voglio tenerti con me per l'eternità», risponde Yamazaki serio.
Egoista e folle, quelle sarebbero state le prime parole che Momo avrebbe usato per definire quell'affermazione, anzi: quell'assurda confessione.
«Eternità?», ripete invece con incertezza, affascinato dal sapore di quell'insana promessa. Come una droga, quelle parole si insinuano nel suo animo facendogli comprendere di essere speciale in un certo qual modo, diverso dagli altri mortali perché lui è stato scelto dal vampiro… e Sousuke lo vuole per sempre. Vuole renderlo un essere immortale come lui.
«Farà male», lo avverte Sousuke, fermando le sue carezze.
Momotarou sospira e si umetta le labbra.
«Ma… non per sempre, vero?»
Il sorriso di Yamazaki sembra quasi allargarsi e tingersi di soddisfazione, conscio di aver ormai in pugno ciò che da secoli ha cercato e inseguito. Momo non sa esattamente cosa stia pensando il vampiro, ma continua a sentirsi desiderato, e anche se è certo di poter descrivere quel che legge negli occhi di Sousuke, sa di poter invece descrivere i suoi di pensieri e vuole essere un pari di Yamazaki.
«Vuoi scoprirlo?», gli chiede il vampiro, ma Momo esita. Non riesce quasi a muoversi, desidera credere alla dichiarazione di Sousuke ma... vuole di più. Vuole sapere e vuole altre conferme per alimentare quella strana e inusuale sensazione di superbia che si è insinuata nelle sue vene.
«P-perché proprio io?», domanda piano.
Sousuke si abbassa sul suo collo, inalando il suo profumo e sfiorando la pelle con le labbra. Momo trema ed emette un basso gemito che diventa quasi un sospiro quando l'altro riprende a parlare.
«Perché ho aspettato di rivedere il viso della persona che ho amato e perso...», spiega restando nascosto in un atteggiamento che Momotarou, in un altro momento, avrebbe interpretato come imbarazzo.
«C-chi... chi era?», si aggrappa a lui. Ogni parola sussurrata sulla sua pelle gli fa tremare le gambe.
Per la prima volta Sousuke sembra quasi esitare prima di rispondere.
«Un mortale che mi è stato portato via dall'ignoranza e dalla paura umana... e non permetterò che accada ancora», dichiara alzando finalmente il capo, rivolgendogli uno sguardo quasi infuocato. È serio come non mai e Momo vuole accettare. Vuole restare con lui per l'eternità.
Annuisce timidamente e a quel minimo cenno i denti affilati di Sousuke affondano subito sulla morbida pelle di Momotarou, strappandolo a quella vita terrena per farlo rinascere come vampiro. Un essere immortale incapace di morire, talmente superbo da innalzarsi al di sopra degli Dei e della morte.
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