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BURQA MADONNA
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Un blog di giardinaggio musicale
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burqamadonna · 10 years ago
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La bolletta dicembre
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Cos’è stato rilasciato di più o meno rilevante in questo mese? Facciamo un breve riepilogo.
D'Angelo - Really love Ommioddio è tornato D'Angelo, il nero più sexy del mondo, l'unico che riesce avere intrinseca quella cosa figa unendola pure all'hip hop che si chiama... no, non intendo lo swag, altrimenti avrei parlato di Kanye West. Ah sì, eccola come si chiamava quella parolina passata di moda: groove. D'Angelo torna dopo quanto, 14 anni? Eh, sì, e ci spara 'sta mina allucinante così, come se nulla fosse, passando tra l'altro, ingiustamente, in sordina. Che brutto il mondo oh. E soprattutto che belli gli anni '90. Tu D'Angelo invece sei sempre l'unico nero che riesce a mettere in dubbio la mia eterosessualità.
J. Cole - Wet dreamz Ecco, che i primi due artisti che trattiamo in questa bolletta sono gli unici due ad essere usciti con dei bei dischi. Il resto robetta da nulla. Comunque, parliamo di 'sto J. Cole, che non è Joe Cole, quello che giocava nel Chelsea per intenderci. J. Cole è questo ragazzotto mezzo afroamericano e mezzo crucco, un po' sottovalutato a mio modo di vedere, soprattutto negli States, dove è sì apprezzato, ma fino ad un certo punto, mentre invero non avrebbe da invidiare ad un inflazionatissimo Schoolboy Q qualsiasi, giusto per fare un nome altisonante. I beat sono da paura, e lui li cavalca come un purosangue. Ascoltate.
Ghostface killah - Blood in the streets (feat. AZ) Dicembre dal sapore di derby in casa Wu-tang clan. Del disco grosso ne parleremo più in avanti, ora dedichiamoci al mio componente del clan preferito, il nostro amico Dennis aka Ghostface killah. L'album è abbastanza carino, molto classico, con questo beat circolare e lui che martella. Le liriche sono un tantino meh, ma l'ascolto è tutto sommato piacevole, con 'sti pezzi brevi che non tendono a stancare.
Mr. Mitch - Don't leave L'unico disco di elettronica in questo dicembre. Un genere che quest'anno non ha avuto purtroppo grandi protagonisti, al contrario di quanto successo invece l'anno scorso; anzi, stupisce forse che le migliori produzioni in tale ambito, a livello internazionale eh, vengano proprio dalla nostra Italia. Giuro, davvero; magari in queste settimane ne parlerò anche. Comunque niente, si tratta sostanzialmente di musica d'ambiente, tutto qui. Nemmeno troppo bellino, ma tant'è.
Nicki Minaj - Only feat. Drake & Lil Wayne & Chris Brown Devo essere sincero, mi aspettavo qualcosa in più da questo disco. Un album che ha avuto un grande lavoro attorno, contornato da un certo alone di mistero che mi faceva ben sperare in qualcosa di qualitativamente simile all'ultimo di Beyoncé. E invece no, non se ne fa nulla, almeno per questa volta. Un disco pop rap che non riesce ad essere né l'uno né l'altro, nonostante certi pezzi siano tutto sommato buoni ed il disco sia oggettivamente stracurato come già detto -- anche se mi pare pure ovvio, con tutti i soldi buttatigli sopra.
PRhyme - Wishin' feat. Common Tanta black music per l'ultima bolletta dell'anno eh? Non che la cosa guasti più di tanto, sia chiaro, visto che, almeno per il momento, non mi sono ancora scassato il cazzo dell'hip hop, anche se di 'sto passo potrebbe mancarci poco; e sì, visto che delle volte mi tocca sorbirmi dischi inutili come questo ad esempio questo, l'ultimo progetto di dj Premier, ormai evidentemente alla frutta, insieme a Royce da 5'9''. Si salvano giusto un paio di pezzi, tipo questo con Common, altro storico rapper che il meglio della sua carriera sembra averlo ormai dato.
Silk rhodes - Pains Della gente si è eccitata per 'sta roba eh, che sia messo agli atti; siamo talmente messi male che dischetti come quello in questione passano per della musica che OMMIODDIO. E no, non è così. Si tratta di un album "suonato" che fa parecchio lounge, a cui viene poi aggiunta una certa dose di nostalgia vintage grazie a queste atmosfere anni '70 che gridano vendetta al funk & soul che fu. A freddo però una cosa di veramente carina 'sto disco ce l'ha: la cover, davvero bellina.
The smashing pumpkins - Being beige Dopo un anonimo Oceania ecco che ritorna Billy Corgan e compagnia, con un altro disco piuttosto insipido. Non c'è nulla di nuovo, veramente, niente che si elevi dal piattume generale che caratterizza la produzione, se non giusto una-due tracce tutto sommato dignitose. Ma non mi stupisco; gli Smashing pumpkins hanno fatto dei dischi bellissimi, dei veri e propri capolavori alcuni, ma ormai è da un pezzo che hanno finito le cartucce.
Wu-tang clan - Keep watch Concludiamo con uno dei ritorni più attesi dell'anno, quello Del Clan. Perché con 'sto hip hop che va anche troppo di moda c'era bisogno di qualcuno che alzasse la voce, qualcuno di autoritario tipo, ecco; anzi no, perché sì, fa sempre piacere ascoltare un disco con scritto "Wu-tang clan", però insomma, in disco è un pelino noiosetto, troppo ancorato ad un passato ormai bello che andato; un'operazione nostalgia insomma, con qualche apice eh, ma nulla di che, nonostante si percepisca la cura dedicatagli. Un album fatto per piazzare un bel po' di copie a tutti i fissati con l'old school, niente di più, anche se in fondo ci speravo.
Ecco invece le playlist della bolletta di questo mese su Deezer e Spotify, giusto per rendervi tutto più comodo. Visto come siamo bravi?
Black bamba
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burqamadonna · 10 years ago
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Cinque dischi tipo X di Ed Sheeran ma meglio
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Recentemente ho notato che sulle bacheche di Facebook questa cosa del condividere canzoni -- di cui anche io mi rendo tutto sommato colpevole -- vede protagonista nella maggior parte dei casi un ragazzotto dai capelli rossi e dalla faccia da rincoglionito. Il tizio in questione si chiama Ed Sheeran, e fa presa davvero su tutti. Adulti attempati con voglia di canzonette tranquille, fuori corso che fanno giurisprudenza, altolocati ascoltatori di Jamiroquai, o ancora la mia categoria preferita, quella delle ragazzine di quattordici anni che trovano nel piccolo Ed un certo tipo di amorevole intercambiabilità con uno qualsiasi dei One direction, nonostante il nostro rosso sia tutto sommato abbastanza cesso. È che c'ha la faccia coccolosa dicono; bah, sarà. Comunque, non è per vantarsi eh, anche perché non ci sarebbe granché di cui andare fieri, però io 'sto Ed Sheeran lo conosco da un bel po'. La prima volta che lo ascoltai fu nel 2010 se non sbaglio, e proponeva una roba parecchio grezza che suonava simile al Damien Rice scemo di 9 -- sì, anche sulla sua wikia si legge che Sheeran si ispira parecchio al cantautore irlandese in questione. Il fatto non è che mi avesse però impressionato; era il classico ragazzino che faceva le chitarrine folk che già da allora andavano di moda, tutto qui, e dunque, nonostante il retaggio damieniano -- mi accorgo solo ora dell'inquietante assonanza fra "d'alemiano" e l'appena coniato neologismo "damieniano" -- meritava di essere chiuso nel cassetto. Da allora sono passati addirittura cinque anni -- in questo momento mi sto sentendo vecchio, sappiatelo -- e Ed Sheeran è passato dal fare queste cose a fare queste altre di cose. Come? Dite che non cambia un cazzo? Sì, avete ragione. Sono entrambi dei pezzi folk con una base trita e ritrita e un testo stereotipato temi mai trattati tipo l'ammore, e stop. Il punto però è che fra i primo ed il secondo ci passano di mezzo due parole grandi come una casa: Atlantic e Asylum (records). Due paroline in grado di limare il progetto, soprattutto a livello sonoro, rendendolo il prodotto appetibile a chiunque che conosciamo oggi. Quindi diciamo che a conti fatti un po' di cambiamento effettivamente c'è.
Ora, non è che il sottoscritto stia facendo chissà quale affermazione dai connotati rivelatori, anzi, chi conosce anche lontanamente il funzionamento di qualsiasi industry, e non necessariamente di quella musicale, sa che funziona così. E quindi nulla, sono queste le cause principali che portano Ed Sheeran ad intasare le bacheche e a tappezzare le camerette delle ragazzine. Nonostante ciò, il nostro rosso amico non risulta però essere però, come invece spesso accade, un personaggio antipatico a chi in vita sua è andato oltre l'ascolto di Jovanotti. Ma non per quella faccia pacioccosa o per i capelli frufrù o o per il suo essere so british o per le lentiggini. Mmh, no. Anzi, credo che Ed Sheeran a questa fetta di pubblico non stia antipatico proprio perché potrebbe essere, potenzialmente, il passo successivo che porta alla buona musica. Cioè, almeno io ne sono convinto. Quando vedo che qualcuno lo ascolta penso "eh un po' così 'sto Ed, però sai, magari può appasionare al folk, e magari boh, fra due-tre anni il tizio in questione che ora sta ascoltando 'sta roba passerà a, boom, che ne so, Nick Drake, anche se poi non ci azzecca manco per il cazzo, ma comunque". Sì, ne sono convinto. Al contrario di altre modarelle passeggere, quella di Ed Sheeran non attrae alcun tipo di odio o sentimento rancoroso, e non perché si tratti di buona musica, ma perché potrebbe portare all'ascolto di roba quanto meno dignitosa, ecco. Il problema però è che i fruitori medi sono dei pigri del cazzo che si rompono i coglioni pure di esplorare le vaste lande desolate di Deezer e Spotify, ché tanto gli basta canticchiare le stesse quattro canzonette inchiodate in croce e via. Così eccomi qui: vi piace Ed Sheeran ma volete ascoltare qualcosa di più serio e che magari sia pure bello? Ci sono io, tranquilli. Ad esempio, nel 2014 sono usciti un bel po' di album folk che ad X di Sheeran il culo lo spaccano decisamente. E probabilmente sì, con il nostro rosso ciuffetto non c'entreranno una minchia, ma insomma, sempre chitarrine sono, dunque shh, fate silenzio, leggete ed ascoltate.
Damien Rice - I don't want to change you (tratto da My favourite faded fantasy) Come già scritto, Damien Rice si potrebbe considerare in qualche maniera una sorta di maestro spirituale dell'Ed in questione. Effettivamente ne riprende per certi versi una certa struttura ritmica, accantonandone però tutto il resto. Comunque, in questo disco Damien Rice cerca di tornare ai fasti di O, elaborando un lavoro tutto sommato piacevole ma non così ricercato. Se siete però avvezzi al massimo di roba tipo Lego house forse vi converrebbe buttarvi prima su 9, secondo album di Rice uscito nel 2006. Abbiamo parlato di questo disco nella bolletta di novembre.
Fink - Looking to closely (tratto da Hard believer) A freddo, dopo diversi mesi di distanza, questo Hard believer potrebbe essere definito come il disco più coraggioso di un artista che negli States è comunque riuscito sempre a ritagliarsi il suo spazio, e quindi sì, complimenti per aver avuto le palle di cambiare caro amico Fink. Si tratta di un album che, pur rimanendo in un'ottica prettamente folk, spazia parecchio, andando a toccare diverse declinazioni del genere. Magari non per intero, però alcune tracce, come quella proposta in link, potrebbero anche risultarvi ben più che digestibili, sempre in ottica post-Ed Sheeran eh. Abbiamo parlato di questo disco nella bolletta di luglio.
J Mascis - Me again (tratto da Tied to a star) Allora, partiamo dall'assunto che, ammesso che già non lo facciate, se inizierete ad ascoltare J Mascis è venite da Ed Sheeran probabilmente non comprenderete a fondo la sua musica, ma poco importa; vi eleverete comunque. E non solo sotto un aspetto culturalmusicale, ma proprio moralmente. Questo Tied to a star è fra i migliori dischi del 2014, e merita a prescindere un ascolto, soprattutto se amate 'ste benedette chitarrine. Abbiamo parlato di questo disco nella bolletta di agosto.
Scott Matthews - Sunlight (tratto da Home part 1) Fra quelli presentati è forse il disco potenzialmente meno digestibile per tutti quei palati fini abituati a Ed Sheeran. Si fa per ridere eh; che poi forse sarebbe corretto utilizzare "ad" e non "a" davanti al nome, mettendoci una D in più insomma, ma poi potrebbe risultare troppo confusionario. Ad Ed. A Ed. Bah, comunque; dicevo che si tratta di uno dei dischi meno accessibili per via di una sua certa declinazione ad un blues tendente quasi al country, che potrebbe portare  ad un certo intronamento in caso non siate avvezzi, anche se si tratta comunque di una componente ben implementata. No, non abbiamo parlato di questo disco in nessuna bolletta.
Sun kil moon - Ben's my friend (tratto da Benji) Concludiamo con il disco più concettuale di questa mini lista, Benji, a detta di molti fra i migliori album dell'ormai trascorso 2014. Ed effettivamente sì, è una robina niente male. Insieme al già citato Tied to a star di J Mascis è un altro di quei dischi che al solo ascoltarlo vi eleverebbe sotto ogni punto di vista, anche se passaggio da Ed Sheeran potrebbe risultare effettivamente traumatico. No, non abbiamo parlato di questo disco in nessuna bolletta.
Black bamba
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burqamadonna · 11 years ago
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La bolletta di novembre
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Cos’è stato rilasciato di più o meno rilevante in questo mese? Facciamo un breve riepilogo.
Andy Stott - Science and industry Non è che quest'anno siano usciti chissà quanti disconi, eh. Mediamente gli album meritevoli, se proprio vogliamo dividerli per mesi, possiamo spalmari in uno-due ogni trenta giorni. Fa però eccezione novembre, dove invece sono usciti davvero diversi lp meritevoli. Fra questi, ad esempio, l'ultimo del nostro amicone Andy Stott, che ci propone un bel viaggione elettronico a metà fra trip hop e dubstep. Ascoltare per credere.
Azealia Banks - Desperado Un debutto così in tanti se lo sognerebbero, a maggior ragione se la matricola in questione gravita attorno a quel magico mondo definibile come puttan-pop. Non che Azealia lo sia (puttana) però, insomma, spesso viene erroneamente avvicinata ad esso (al puttan-pop, si intende). Comunque, il disco spacca. Un album dalla matrice ovviamente hip hop, condito da tracce caratterizzate da un gran numero di derive di genere (pop, black music, dub, jazz e via dicendo), che però non perde mai quel fil rouge che ogni album vario e ad ampio dovrebbe avere
Clark - Unfurla Un altro bel disco rilasciato questo novembre è l'omonimo di Clark. In realtà la traccia qui sopra consigliata, Unfurla, che è comunque un pezzone, potrebbe risultare parzialmente fuorviante. Si tratta infatti di uno di quegli album da ascoltare per intero, tutto d'un fiato, e non a spizzichi e bocconi, in modo da coglierne la magnifica essenza. Magari potrò risultare anche troppo entusiasta, ma quando ti ritrovi ad ascoltare un disco di elettronica e poi, seguendo sempre questa stessa strada, ti ritrovi ad a godere di suoni di tutt'altro tipo, la sensazione è quella.
Damien Rice - The box Amicici, Damien Rice è tornato. Sono passati otto anni dal suo ultimo disco, e, nonostante tutte le menate sulla sua autodecantata nuova ispirazione artistica trovata fra i geyser islandesi, la formula è rimasta a conti fatti invariata: testi strappalacrime, riff di chitarra acustici e climax orchestrali; tanti, ma proprio tanti di questi crescendo scanditi da archi, tromboni eccetera. Oh, però non è assolutamente una critica negativa. Tutto sommato il disco risulta pure ben fatto, a maggior ragione se paragonato con boh, che ne so, l'ultima merdata dei Baustelle?
Dean Blunt - FOREVER Fino ad ora abbiamo trattato di dischi che, pur essendo estremamente eterogenei, mantenevano quella compattezza che dovrebbe distinguere ogni album da una banale compilation. Ecco, Black, l'ultima uscita di Dean Blunt, sta scomodamente proprio in mezzo a questa definizione. A tratti troppo lounge, ad altri troppo rock, non si capisce mai dove il disco voglia andare a parare e, nonostante alcuni brani, come il suddetto FOREVER, siano davvero degni di nota, il disco risulta un minestrone di tracce più o meno riuscite. Peccato davvero.
Foo fighters - Something from nothing C'è questa concetto che mi frulla in testa da qualche tempo a questa parte, ve lo passo: "Dave Grohl spacca come ma diversamente da un Steve Albini qualunque. Si tratta di un professionista della musica, uno di quelli che chiami quando vuoi fare qualcosa di buono e stai sicuro che il risultato è assicurato. Magari l'invettiva non sarà quella del proverbiale genio, ma è uno che si spacca il culo, che ha sempre dedicato tutta, ma proprio tutta la sua vita alla musica, e tutti i suoi lavori extra-Foo fighters lo dimostrano, permettendogli di migliorare sempre più anche nella sua stessa band. Magari Dave Grohl non produrrà mai un capolavoro, ma di album buoni ne sa fare, eccome". Ecco, il suddetto discorso va più che bene anche in questo caso.
Full of hell & Merzbow - High fells Okay, questo è il disco pesante del mese. Una mina a metà fra i grindcore più brutale ed il death metal più quadrato, con derive ambient che echeggiano ad un certo tipo di musica drone. Ecco, al solito, un pastrocchio di generi missati insieme. Ma è fatto con criterio, ed è questo quello che conta.
Fugazi - Turn off your guns I Fugazi sono un po' come quel tuo amico che gioca a calcetto una volta ogni tre-quattro anni -- ed in questo caso anche di più. Il tizio ha un passato glorioso (che per gli standard del sottoscritto equivale ad aver fatto la panchina in una squadra d'eccellenza), e magari sì, la lucidità, la corsa, l'atletismo e tutte quelle robe non saranno più che una volta; ma i piedi sono sempre quelli. Ecco, un po' come i Fugazi, che dopo tanto tempo ci spiattellano in faccia un disco come questo; il bello poi è che si tratta pure di una demo registrata nell'88, quindi invece che gli acciacchi fisiologici al massimo si sente giusto un po' di nafta da armadio polveroso.
Knife party - Boss mode Il disco più tamarro e ignorante degli ultimi dieci anni. Beat assordanti, wobble a random e campionamenti che vanno dagli spari e finiscono alle esplosioni. Una di quelle robe da piazzare al massimo nei video di Call of duty su Youtube o da pompare in una di quelle discoteche con più spacciatori di ecstasy che ragazzine quindicenni. Insomma, se Michael Bay producesse mai un disco, con ogni probabilità suonerebbe esattamente come questo.
Machinedrum - Only 1 way 2 know Non sono proprio uno di quelli che si sborra in mano appena legge che l'etichetta di un dato disco è la Ninja tune (la label di Flying lotus per intenderci). Sicuramente tutti i dischi usciti da lì non suonano mai di merda, ed è bello vedere, come succede in questo caso, che si punti a valorizzare gente tutto sommato sempre considerata underground, ma da qui a bagnarsi per ogni release griffata FlyLo ce ne vuole. Comunque, ad un anno di distanza Machinedrum porta a termine la sua mini saga discografica di Vapor city, iniziata con l'episodio uscito nel 2013 e portatta a termine dodici mesi dopo con Vapor city archives, un disco che aggiunge poco o nulla rispetto a quanto proposto precedentemente. Quindi niente, passo
The night skinny feat. Colle der fomento & Lord Bean - Io non sono qui Definire la seconda uscita discografica di Night skinny come uno fra i migliori dischi italiani dell'anno sarebbe riduttivo. Zero kills è infatti fra i più bei album hip hop a livello mondiale usciti nel 201, senza troppi dubbi. Siamo su altissimi livelli su ogni fronte: dai beat alle liriche; anzi, nonostante le numerossissime collaborazioni di praticamente tutti i principali rapper italiani, il disco non perde mai la bussola, risultando invero tutt'altro che ripetitivo. E tracce come Io non sono qui, in cui prima Danno e poi Masito ribaltano un beat dalla struttura apparentemente lineare, ne sono la prova: quindici anni dopo, 950 di Fritz da cat ha il suo erede.
Pink floyd - Side 2, pt 4: Anisina Eccoci arrivati al disco più ignobile del 2014, The endless river, un album fatto palesemente da scarti di The division bell, altro abominio che fino ad oggi consideravo la peggiore uscita dei Pink floyd; che dobbiamo farci, Dave Gilmour evidentemente ci tiene proprio tanto a dimostrarci che al peggio non c'è mai fine.
Röyksopp - Running to the sea Per una band che torna, una che se ne va. I Röyksopp infatti, intesi come duo inscindibile, dicono addio al mondo della musica con questo loro ormai ultimo disco. Un album che, almeno personalmente, me li farà rimpiangere non poco. Mai innovativi, sicuramente, ma hanno comunque sempre saputo dire la loro, riuscendo ad imporsi con dischi interessanti soprattutto agli albori della carriera. E tracce come Running to th sea, brano al passo coi tempi e ben strutturato, un po' di malinconia me la mettono. Addio Royksopp, grazie a voi ho imparato che in Norvegia non esistono solo i satanisti piromani, ma anche gli hipster coi risvoltini. Grazie di tutto.
Tv on the radio - Happy idiot I Tv on the radio sono una di quelle band di cui non ne ho mai capito il successo, che nel loro caso è poi di portata planetaria. Return to cookie mountain era un buon disco, per il resto non ho mai trovato particolarmente illuminante una qualsiasi loro uscita. Art rock con una serie di variazioni atte a rendere i pezzi da "canticchiabili" a "diversamente canticchiabili"; poi basta. E quest'ultimo disco non è poi una sorpresa, visto che gli stessi difetti di sempre si palesano nuovamente in toto. Oh, però Happy idiot è un pezzo proprio simpatico.
Ecco invece le playlist della bolletta di questo mese su Deezer e Spotify, giusto per rendervi tutto più comodo. Visto come siamo bravi?
Black bamba
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burqamadonna · 11 years ago
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L'ennesimo Natale passato a sbroccare, magari in compagnia di Mark Kozelek
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Arriva il Natale e con esso tutta una serie di usanze più o meno gradevoli. La parte culinaria, quella che io brutamente definisco “il mangiare”, è oggettivamente bella assai. Ci si rimpilza, si vomita, poi si va in coma e alla fine rimane ancora del cibo, nonostante i joint natalizi e la relativa fame chimica. Oh che bello. Torroni, capitoni, panettoni e tanta altra roba che finisce per -oni. Decisamente meno bella è, ovviamente, la musica che solitamente pompa durante le feste. Nei migliori dei casi ci sono le cover di Frank Sinatra. Quando ti va male invece becchi le cover di Michael Bublé delle cover di Frank Sinatra. Se invece sei proprio sfigato devi sorbirti il disco natalizio di Giovanni Allevi, il “bravissimo esecutore” più amato dai rottin’ culo come il sottoscritto. Che poi non sono nennemno il tipo che mette, boh, il sottofondo musicale in tinta col periodo, soprattutto a dicembre eh. Anche perché, fra le altre cose, sì, bello il Natale eccetera (che poi il 25 faccio pure l’onomastico, quindi), ma basta tutto quel rosso e quelle luci a forma di stelle a ricordarmi che sì, Santa Claus is coming. E non è che non ci servano pure le canzoncine a ricordarci che periodo è; piuttosto si tratta del fatto che siano proprio gli album natalizi  in sé e di riflesso tutte le canzoni contenute ad essere un qualcosa di ripugnante. Comunque, solitamente queste musichette tendono a pompare nelle casse o in televisione oppure nei centri commerciali e nei negozi più in generale, quasi a spingerti a comprare per forza qualcosa. E quando senti Bublé, ad esempio, quasi quasi inizia pure a mancarti la deep house di Zara. Il punto a cui voglio arrivare e che mi ha portato a fare questo inconsinstente preambolo è però sostanzialmente uno: stavo cercando qualche sconto interessante sull’ultimo giochino dei Pokémon. Amo i Pokémon e non me ne fotte un cazzo del fatto che ho 20 anni e passa e gioco ancora con Pikachu and co. mentre dovrei  invece farmi una vita o scopare le pischelle ubriache in discoteca e così via e NO PREFERISCO BREEDARE UN TOGEPI FLAWLESS INVECE. Btw; purtroppo niente, non ho trovato il giochino in questione a buon prezzo, così mi sono buttato, con una certa dose di sconforto, sulla sezione dischi nel negozio d’elettronica dove mi ero recato (ero in una di quelle catene di elettronica, l’Euronics, ecco). E fra gli album più venduti c’era l’ultimo di Mario Biondi. Anzi,mi correggo, l’ennesimo disco natalizio di Mario Biondi. Alla gente evidentemente eccitarsi con quel vocione profondo piace anche durante i cenoni. Oppure, più probabilmente, non sa che cazzo regalare con meno di 20 euro. Ma tant’è. L’anno scorso, per dire, ho consigliato i dischi natalizi di Sufjan Stevens, della robina mica male. Quest’anno vorrei buttare due parole invece sull’ultimo disco di Natale di Mark Kozelek aka Sun kil moon (quello che è uscito a gennaio con Benji, uno dei migliori album dell'anno, tipo), così magari ascoltate questo invece che i sotto prodotti di Giovanni Allevi. L’album in questione è Sings christmas carols. Si tratta di una serie di brani della tradizione anglofona più o meno noti, interpretati con la solita chiave folk tipica di Kozelek, E niente, ascoltatelo. Non sarà un disco trascentale — anzi, a tratti risulta pure parecchio noiosetto — ma insomma, meglio di, ecco, Mario Biondi, sì, questo decisamente, senza dubbio. Per il resto nulla, mangiate bene e passate un buon Natale.
Mark Kozelek - Christmas time is here
Black bamba
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burqamadonna · 11 years ago
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Le migliori dieci copertine del 2014 secondo noi, poi fate voi
Actress - Ghettoville
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Emptiness - Nothing but the whole
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FKA Twigs - LP1
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Gazelle twin - Unflesh
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Inter arma - The cavern
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patten - Estoile naiant
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Pharmakon - Bestial burden
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Sean Rowe - Madman
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Silk rhodes - Silk rhodes
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Virginia Wing - Measures of joy
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burqamadonna · 11 years ago
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La bolletta di ottobre
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Cos’è stato rilasciato di più o meno rilevante in questo mese? Facciamo un breve riepilogo.
Caribou - Can't do without you Nel Natale consumista il tempo riservato allo shopping, anche in tempi di crisi, occupa una porzione sempre abbondante, e con esso le ore passate da Zara e da H&M. Mi pare comunque superfluo sottolineare quanto quest'ultima catena d'abbigliamento sia nettamente di un altro livello, in quasi tutti i sensi. Una metafora emblematica potrebbe essere la musica che pompa in sottofondo mentre si cerca la taglia giusta. Da Zara c'è dell'anonima deep house. Da H&M c'è Caribou. Tutto un altro discorso; ma pur sempre di musichetta da shopping si tratta.
Fast animals and slow kids - Grand final Non nascondo un certo tipo di sentimento di nausea preventiva che mi si palesa involontariamente ogni qual volta mi approccio a produzioni italiche di questa tipologia, che si collocano a metà fra rock, punk ed emo. Nonostante questo mio freno inibitorio, l'ultimo disco dei Fast animals and slow kids mi ha saputo sorprende. Un album cazzuto, adrenalinico, uno di quelli da urlare a squarciagola, e che non bisogna assolutamente prendere sotto gamba nonostante alcune premesse non esattamente esaltanti; soprattutto la traccia conclusiva, Gran final, picchia davvero forte e seriamente, non vedo l'ora di ascoltarla dal vivo.
Flying lotus feat. Kendrick Lamar - Never catch me Ascoltatelo e basta. Non saprei che altro dirvi. Si tratta di un discone, ecco, in cui c'è un perfetto equilibrio fra tutto quel gruppone di musica concettuale anni '70 (free jazz e fusion) e musica intellettuale moderna (elettronica ed un certo tipo di hip hop). A dirlo sembra facile, poi ascolti l'album e boh, perdi le parole. Poi oh, c'è pure Kendrick Lamar. Ascoltatelo, che cazzo.
Godflesh - Imperator Nonostante le apparenze, anche nel mondo del metal ci sono delle belle persone. Una di queste è Justin Broadrick. Non che lo conosca personalmente, ovviamente; anzi, ad occhio mi sembrerebbe pure un tipo abbastanza incazzoso, però ha sempre fatto tanta bella musica (dai Napalm death ai Jesu, fino, appunto, ai Godflesh), e solo questo lo renderebbe una bella persona. Ed è proprio con i Godlfesh che torna dopo più di 10 anni di inattività; nonostante un ep rilasciato qualche mese fa facesse sperare per il meglio, il disco in questione, beh, è un pochino la solita solfa industrial. Ma noi a Justino gli vogliamo lo stesso bene.
Grouper - Holding Non so se definirlo il "disco ninna nanna del mese" oppure quello "lacrimone dell'anno". Ninna nanna perché se si è abituati a robaccia tipo Avenged sevenfold questo album potrebbe risultare soporifero, nonostante sia oggettivamente un pelino ripetitivo. Lacrimone dell'anno perché alcune tracce, soprattutto la sopracitata Holding, sono delle carezze che, attraverso un'ardita sinestesia, oserei definire "agrodolci". Se Liz Harris aka Grouper vi garba allora filate e recuperate di corsa gli album precedenti, soprattutto certi capolavori come Alien observer, altrimenti tornate ad ascoltare Ed Sheeran.
Iceage - Forever Gli Iceage sono questi ragazzotti danesi che ho scoperto quasi per caso giusto l'anno scorso, in concomitanza del loro secondo disco, You're nothing, un album di un punk abbastanza duro, che mi piacque abbastanza ma nemmeno troppo. Forse era anche un po' più grezzo del dovuto. Comunque, dopo nemmeno dodici mesi, rieccoli con Plowing into the field of love, disco che in generale ha riscosso maggiori consensi rispetto al precedente. L'album è infatti più quadrato, più rifinito e a tratti anche melodico, fatto questo che va ovviamente a discapito di quellignorante carica ritmica ormai dispersa. E boh, tutto sommato non l'ho trovato poi così superiore al disco passato. Evidentemente quel tipo di punk rozzo non tira davvero più.
Inter arma - The cavern Oh, eccoci giunti al miglior disco del mese. Questo ep degli Inter arma, un monolite che prende forma sotto un'unica e immensa traccia da 45 minuti, è probabilmente fra le massime espressioni di ciò che è e dovrebbe essere il metal moderno. Un letale mix fra sludge, progressive e doom combinato alla perfezione, che attenzione, raramente pone in primo piano i meri virtuosismi; no, si tratta piuttosto del classico viaggione sonoro, caratterizzato da alti e bassi ritmici e melodici, che alternano archi a distorsori con una naturalezza estrema. Ah, eccheccazzo, era da un bel po' che non ascoltavo un bel disco metal.
Nero di marte - Il diluvio Rimanendo in tema metallo, in Italia purtroppo non c'è tanta gente avvezza ad esso. Insomma, sono davvero poche le band metal italiane degne di nota. Poche ma buone però. Come i Nero di marte che, dopo l'assurdo debutto dell'anno scorso tornano con questa mina clamorosa di disco titolato, che cita tra l'altro, magari in modo pure periferico, un altro fantastico lavoro, e cioè Il sopravvissuto dei Marnero, che come loro sono bolognesi -- anche se forse questo è un trip mentale che mi sono fatto io, lo ammetto. La formula comunque più o meno resta quella di dodici mesi fa, e cioè metallo tecnico violentemente ragionato, che però ha in aggiunta una non indifferente componente d'atmosfera, da post metal ecco, ancora più massiccia; un gran bel disco insomma, che non ha nulla da invidiare a nomi più blasonati della scena.
Objekt - Ratchet Tj Hertz aka Objekt ci spara quella che è tristemente definibile come fra le migliori uscite nell'ampia e variegata categoria della musica elettronica dell'intero 2014. Blablablablah. Un album IDM, a metà fra il garage ed il dubstep ed in chiave quindi parecchio dance, che magari si farà anche ascoltare con piacere, ma che si perderà nei meandri del nostro oblio dopo nemmeno un'oretta. Il classico album "meh" dunque, nonostante ci siano comunque tracce degne di nota.
Pharmakon - Bestial burden Allora, partiamo dal presupposto che Margaret Chardiet aka Pharmakon è una gran fica e solo per questo meriterebbe di essere ascoltata. Spulciatevi le sue foto e poi ditemi se non è estremamente sexy mentre picchia sul sintetizzatore, eh. Tornando a noi, Bestial burden sì, è tutto sommato un buon disco. Parecchio autoreferenziale eh, con quel suo essere all'avanguardia a tutti i costi, anche se la nostra amica riesce sempre a combinare alla perfezione la sua formazione industrial a questa deriva più elettronica. Forse è un'occasione mancata per qualcosa di veramente figo, però.
Run the jewels - Close your eyes (and count to fuck) feat Zack de la Rocha Sinceramente non capirò mai il mistero che si cela attorno ai Run the jewels. Vengono incensati ovunque, nonostante abbiano prodotto ad oggi solamente due dischi mai oltre che sufficienti. Beats nella media, liriche buone ma insomma, nulla di che. In Italia si trova ad roba ben superiore. Un esempio? L'ultimo di Night skinny, per dirne uno: Zero kills. Orsù, andate ad ascoltarlo e tirate pure voi le somme.
Scott Walker + Sunn O))) - Brando Atteso manco fosse Half life 3, questo nuovo disco di Scott Walker con i Sunn O))) non convince pienamente. Cioè, bello, per carità, in fin dei conti si tratta pur sempre di Scott Walker, con quel suo sound quadratissimo eccetera; forse sono i Sunn a portargli un po' di merda, boh, ma l'album dà l'impressione di suonare in modo parecchio banale, con soluzioni prevedibili e contrasti sonori assai ridondanti. Poi oh, c'è molto di peggio, però ci si aspettava qualcosa di meglio, ecco tutto.
Taylor Swift - Shake it off Ho un debole per le bionde, in particolare quando si tratta di pezzi di sticchio clamorosi come Taylor Swift, quindi diciamo che non è che la disprezzi proprio eh. Però 'sto disco è veramente una monnezza. Si salva giustappena questa traccia, Shake it off, il singolo di esordio. Ma non è che mi aspettassi chissà cosa in ogni caso. Piuttosto, Taylor, vedi di sbrigarti a fare un bel porno; magari un POV. Quello sì che lo guarderei e ascolterei con piacere.
Thurston Moore - Detonation Thurston Moore è questo tizio conosciuto ai più per essere il chitarrista dei Sonic youth oltre che marito di Kim Gordon, che sarebbe appunto la bassista della stessa band. Kim e Thurston hanno divorziato qualche anno fa, e a me non è che mi interessi più di tanto, visto che i Sonic youth non hanno praticamente più nulla da dire da un bel po' di anni. Per fortuna però al nostro amico Moore la voglia di musica non gli è mica passata. Difatti, dopo essersi dedicato alla propria carriera solista negli anni '90, in questi ultimi tempi si è concentrato ulteriormente su di essa, sparandoci un disco rock bello tosto, incazzato e melodico al punto giusto, e non la solita robetta derivativa da britpop e/o dal quel rock americano di merda.
Vince Staples - Blue suede Questo pischello è l'ennesimo rapper che d'oltre oceano definiscono come il "golden boy dell'hip hop". Americani, loro, insopportabili esaltati guerrafondai. Comunque, questo esordio di Vince Staples, preconcetti a parte, prende bene sul serio. Beats potenti, flow molleggiato e brani tutto sommato variegati nonostante siano compressi in un ep che dura meno di mezz'ora. Staremo a vedere.
Ecco invece le playlist della bolletta di questo mese su Deezer e Spotify, giusto per rendervi tutto più comodo. Visto come siamo bravi?
Black bamba
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burqamadonna · 11 years ago
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Club sdrogo in da aus
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"Chi se la vanta, ce l'ha tanta", con annesso gesto che disegna le ridicole misure di chi, col suo fare altezzoso, pensa di avere tra le cosce la terza gamba di Clarence Seedorf. Così si dice dalle mie parti. E penso che il detto sia tranquillamente riportabile al nuovo album dei Club dogo, Non siamo più quelli di Mi fist, i quali hanno pensato di possedere realmente le doti del membro genitale dell'ex centrocampista della loro squadra del cuore, il Milan per l'appunto. La crew meneghina, autrice di veri e propri pilastri come Mi fist (2006), si augurava con questo progetto, probabilmente, di ribadire la loro grandissima (macché?) e minchiafigazì capacità di SPACCOTUTTOZIO: ecco, sì, parafrasando, volevano far vedere ai più, agli haters per così dire, che li screditavano con la frase che ha dato il titolo all'album ("non siete più quelli di Mi fist!!1!"), che erano ancora in cima alla scena del rap italiano. O almeno io così ho pensato, visto che una ragionevole didascalia implicherebbe Non siamo più quelli di Mi fist (però spacchiamo lo stesso ndr). Insomma, volevano mostrare gli attributi, ormai persi strada facendo, vista la loro regressione musicale. Eppure, calandomi nel ruolo di urologo o di amante di un ermafrodita, mi sono messo a cercare i coglioni, trovandoli ora sterili, ora vecchi, ora cadenti (e scadenti), nel loro ultimo lavoro. E, senza particolare stupore, gli unici che ho trovato sono i membri stessi del gruppo: Gué ha rotto il cazzo, tanto per restare in tema, Don Joe ormai si droga attraverso l'iride, sparandosi addosso i raggi di dozzine di luci strobo per serata, e Jake, a mio avviso il più meritevole (o meno scarso) dei tre anche in quest'ultimo progetto, è offuscato dalla bassezza dei suoi colleghi. Insomma, tutto secondo la norma. Dicevo: Guè ha rotto. Mi rifiuto di credere che ci sia ancora qualcuno che ascolti con attenzione e idolatri il Guercio, con il suo personaggio da poeta della perdizione malriuscito. Giuro, per spezzare una lancia a favore di chi lo accusa, che anche a me, per quanto abituato a skills diverse, piaceva lo stile che usava (parliamo però di quasi dieci anni fa), tra il rivoluzionario e il napoleonico. Ora questa roba, creata attorno a canne-donne-locali, e ora "innalzata" a coca-Minetti-disco -- ma veramente crede di rinnovarsi così? --, penso sia superata. E forse lo spero vivamente. Spero vivamente che nessuno prenda più a modello una figura che ha avuto sempre dietro le spalle il lavoro dell'affermato padre scrittore.
La finta evoluzione del Club è il vero problema: gli album belli non erano poi così credibili, conoscendo tutti il passato, tutt'altro che poco gradevole (Sacre scuole ndr), che avevano passato i tre: ma non era tanto la credibilità il punto di forza, quanto il saper esasperare e romanzare luoghi comuni dell'hip-hop, servendosi del proprio tocco. Oltre alla bravura tecnica, quella è innegabile. Inoltre, hanno perso nel loro cammino figure di riferimento come Dargen ("ringrazio Dargen D'Amico / perché ora so stringere un micro", o qualcosa del genere, rimava Guè anni fa). Ora siamo arrivati all'esatto opposto: la credibilità abbonda, ma la stessa credibilità è tanto ingombrante quanto vecchia. Parliamoci chiaro, non per fare il grillino di turno, ma ormai in Italia si drogano tutti, a rimorchiare ballando ci vanno tutti, a puttane ci vanno tutti (il paese stesso va a puttane). Hanno perso il carattere anticonformista, forse loro unico ariete, e di rivoluzionario probabilmente gli sono rimaste "solo" (sono un amante delle sneakers) le nuove nike ai piedi. Collaborazioni con Arisa ne sono la prova, mossa di mercato questa votata chissà a quale santo e che non sta riscuotendo il successo sperato. Ahimè, un passo indietro anche per Don Joe, beatmaker dotato di incredibili capacità tecniche, ormai blando e ripetitivo: produce un lavoro piatto, un agglomerato di mode assemblate male in singoli da un ascolto e via -- parliamoci chiaro, non è presente neanche una canzonetta alla PES, per intenderci. Ragazzi, i Club dogo non ce la fanno più, e mi sembra che un po' tutti se ne stiano accorgendo -- statistica scientificissima, stilata da me, basata su quanti amici ho che ancora li ascoltano. Non siete più quelli di Mi fist, e l'abbiamo visto.
Club dogo - Soldi
Bruco madri
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burqamadonna · 11 years ago
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Il furbo occhio smircio di Thom Yorke
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Thom Yorke è spesso troppo facilmente etichettato con l'appellativo di "genio", o con altre definizioni che comunque ruotano intorno allo stesso punto. «Thom Yorke, forse il più grande artista della nostra generazione», giusto per dirne una. Non credo sia così. Sicuramente è il più brutto, mentre avrei qualche remora nel dire lo stesso a livello musicale. Sia chiaro, i Radiohead mi piacciono, e pure assai. Amnesiac e In rainbows su tutti sono i dischi che più mi hanno fatto strappare le mutande dalla palpitazione tanta era la fotta; quelli in questione sono tuttavia album nati dall'alchimia che c'era, o ci dovrebbe essere, all'interno di ogni band, data dall'apporto di ogni membro, e destinata, a seconda dei casi, a consumarsi molto più lentamente nel tempo rispetto alle produzioni delle one man band. Preso singolarmente, Thom Yorke è uno dei tanti cantanti dal retaggio U2, e che ora, con le spalle coperte da qualche milione sul groppone, cercano di fare un genere più ricercato, almeno in apparenza. Non lo definirei dunque un genio della musica. Un genio nel far soldi sì, questo senz'altro. L'operazione che sta dietro a Tomorrow's modern boxes, il suo secondo album solista, rilasciato lo scorso settembre dal nulla, senza alcun tipo di preavviso, è a conti fatti un'operazione da visionari della finanza. Il disco in questione, cosa di estrema importanza, è stato infatti messo in download solo su Bitorrent, ad appena 6 dollari, un prezzo onestissimo per qualsiasi disco digitale, mentre le copie fisiche vendute a parte su vinili, prezzati a 30$. La genialità dell'operazione sta nel fatto che, in rapporto al suo storico e vastissimo e trascendentale fanbase che contraddistingue Thom Yorke e più in generale i Radiohead (caratterizzato, mediamente, da persone più che smaliziate con le transazioni online), TMB sarà acquistato per N volte attraverso un semplicissimo p2p.
Detto fatto, dopo appena un giorno i download (legali) ammontavano a 100mila. Dopo tre giorni si era invece abbondantemente superata la quota di un milione. Tutti soldi che entrano nelle tasche del nostro Thom lisci lisci, senza spartire alcunché con major o chicchessia. Non serve una calcolatrice per capire dunque la validità di quest'operazione, che è riuscita a bypassare i maggiori colossi della distribuzione, arrivando direttamente al consumatore, e che, in termine di fatturato, risulta anche più riuscita dell'esperimento che, nel dicembre scorso, fece Beyoncé, buttando il suo album su iTunes così, senza alcun preavviso. Poi ci sarebbero un sacco di altri esempi più o meno recenti e dal successo più o meno relativo -- leggasi U2 o Skrillex -- ma questo è un altro discorso. In ogni caso, risvolti economici a parte, questo Tomorrow's modern boxes ha ben poco di interessante. L'ennesimo disco che suona chill-lounge-stocazzo a più non posso, fatto da un gruppo musicista che si è ampiamente rotto le palle da un bel pezzo di suonare cacate britpop -- che hanno poi dato vita a deprecabili surrogati britpop del tipo boh, i Muse -- e che mi ha fatto addirittura rivalutare album che forse avevo bollato troppo presto negativamente come Kings of limbs, ad esempio. Insomma, n'altra operazione commerciale riuscita questa per Thom Yorke, dopo quella con Flea negli Atoms for peace; sì, proprio quella che diede la vita a quella cacata pregna di fanservice chiamata Amok, una di quelle robe fatte appositamente per esclamare agli sprovveduti "che figa questa roba! (perché se non la capisco deve essere per forza figa!)". E niente, questo è tutto, in attesa del prossimo dei Radiohead. 
Thom Yorke - A brain in a bottle
Black bamba
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burqamadonna · 11 years ago
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Lo stato sociale: il peggio dell'Italia peggiore
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"Lo stato sociale fanno cacare e se li ascoltate fate cacare pure voi". Potrei iniziare a scrivere di loro, delLo stato sociale dico, in questo modo. Eppure a me, in principio, non mi stavano così sul cazzo. Cioè, ho sempre reputato le loro canzoni ignobili, ma in fin dei conti non mi repellevano nemmeno così tanto. Una volta sono andato addirittura ad ascoltarli live. Non saprei definire con esattezza il motivo che mi spinse a compiere una scelta così estrema, e di riflesso non so neanche collocare con precisione tale evento nel tempo. Con ogni probabilità stavo affrontando uno dei miei proverbiali periodi di noia cosmica. Comunque, dicevo, una volta li ascoltai dal vivo, e non mi dispiacquero affatto. Le canzoni erano quello che erano -- anche se di questo ne parleremo poi -- e nemmeno io potevo farci nulla, ma te le buttavano in faccia al pubblico con una tale forza che ne rimasi allibito. Suonavano cazzuti, ecco, proprio forte, e pestavano come se non ci fosse un domani, come si dovrebbe sempre suonare qualunque cosa che sia anche lontanamente avvicinabile al rock. Da qui la decisione di dare un'altra possibilità a Turisti della democrazia, il loro primo disco, un album che presi e buttai nel cesso dopo un solo ascolto e nemmeno troppo approfondito.
In quest'occasione dovetti prendere veramente coscienza di cosa fosse Lo stato sociale: la band indie per eccellenza, nell'accezione più negativa che il termine ha oggi assunto. I loro pezzi -- Sono così indie e Mi sono rotto il cazzo su tutte -- seguivano pedissequamente sempre la stessa struttura: musichetta electro-house ultra minimale, fatta da clap bruttarelli e basso saltellante, che faceva da base a lunghe elencazioni di sbagliati e distorti e rancorosi stereotipi, narrati attraverso una metrica che manco 'sto qui a descrivere. Una specie di teatro canzone di gaberiana memoria, minorato però in liriche, musica e soprattutto argomentazioni. Argomentazioni, oddio, sempre ammesso che di queste si possa parlare.��Lo stato sociale maschera il loro evidente vuoto concettuale attraverso questi testi, che, cercando di essere ironico-demenziali, scadono però inevitabilmente nel rosicone; si autopongo su un piedistallo rappresentato da questo apparente sarcasmo, e da lì puntano il dito su tutto e tutti. Giovani, politica, musica. Proprio tutto, ad esclusione loro. Ma si tratta di ironia, sì, certo, sicuramente. Un'ironia che però permea in modo talmente massiccio le loro produzioni che finisce per prendere sul serio quanto cantanto, legittimando così la posizione rialzata di 'sti quattro tizi bolognesi che li esclude da tutti i peccati che additano alla società. Un distacco solo apparente, come già detto, e che piace da morire agli amanti delle frasi fatte e aneddoti in età post-adolescenziale, che sarebbe il pubblico delLo stato sociale, in poche parole.
La stessa formula si ripropone, monca anche di quei pochi lati positivi (che sì, c'erano, seppur possa sembrare assurdo), nel nuovo disco delLo stato sociale, L'Italia peggiore. Anticipato dall'endorsement del Civ -- emblema lui stesso, insieme alla band che non a caso lo ha chiamato in causa, del "vorrei ma non posso" di cui Lo stato sociale tanto straparla, di quella generazione che subisce passivamente le conseguenze di una politica passata e che, di tutta risposta, non fa un cazzo affinché la situazioni cambi -- in questo album ritroviamo quanto di già visto e sentito in Turisti della democrazia. Il solito electro-house sempliciotto e balordo, e poi quei testi post-ironici sentenzianti, che risultano addirittura ancora più tangibili e radicalizzati rispetto al passato, inframmezzati tra l'altro da motivetti a metà fra il pop ed il reggae. Senza contare poi, Gesù, i featuring con Caterina Guzzanti ed il Piotta. Sì, er Piotta, proprio lui. Pensavate fosse morto, eh? Invece no, è tornato più trash di prima -- difatti fa 'sto duetto con Lo stato sociale, eh.
Un grosso merito bisogna però darglielo a 'sta band, suvvia. «Mi sono rotto il cazzo della critica musicale, non siete Lester Bangs, non siete Carlo Emilio Gadda, si fa fatica a capire cosa scrivete, bontà di Dio, avete dei gusti di merda». Ditemi voi se questa è o non è una difesa preventiva fantastica.
Lo scroto sociale - C'eravamo tanto sbagliati
Black bamba
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burqamadonna · 11 years ago
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Gli illuminati hanno preso Katy Perry? MISTERO!
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Non so se qualcuno di voi segue Mistero, quella trasmissione lì, in onda su Italia 1, in cui si parla di massoni, di illuminati, di complotti eccetera? Ecco, mi hanno fatto notare che proprio nella puntata di domenica scorsa c'è stato un servizio dedicato alla musica (che potete vedere qui) e a tutti quelli che si sono venduti l'anima al diavolo pur di avere successo e non fare così la fine di tutte quelle band che suonano cover nei pub del proprio paese di nascita. Ah, in questo pezzo penso che scriverò abbastanza frasi in caps lock, in modo da rendere meglio l'enfasi data dai misfatti raccontati dal nostro amorevole Adam Kadmon.
La puntata parte con alcuni pezzi estrapolati da brani di vari musicisti: Black sabbath, Judas priest, Bullet, David Banner, 2pac. Tutti legati da un unico filo in comune: UN PATTO COL DIAVOLO. Parte così una storiella, animata da un cartone stile Steamboat Willie, dove un musicista sfigato (e negro) evoca Lucifero stipulando con lui un patto: in cambio della sua anima, lui diventerà fra i meglio dei meglio chitarristi al mondo. Il nome di questo pezzente era Robert Johnson -- TADAAAAN. Però ci lasciano nel mistero, appunto; non approfondiscono 'sta storia interessante. Arriva così un'altra elencazione, in cui si citano brani di altra che che avrebbe venduto l'anima al diavolo. Eminem, Kanye West (pronunciato per l'occasione cani uest) e soprattutto lui, Bob Dylan, che, in un'intervista, lo si sente alludere ad un probabile sicuro patto fatto con qualcuno per diventare ricco, famoso, bello e via discorrendo. Ma c'è una persona che certamente ha fatto 'sto benedetto patto col diavolo: Katy Perry. Una che prima cantava in chiesa, e che le marchette le faceva solo in sacrestia (proverbiale luogo adibito al coito), e che ora le zozzerie invece le fa anche senza cantare quelle brutte canzoni cristiane; non che quelle che faccia ora siano necessariamente belle, ma insomma, ci siamo capiti. Questo cambiamento è coinciso col suo trasferimento a Los Angeles, dove ha cambiato nome, dando inizio al suo successo apparentemente meritato. E INVECE NO. Fare queste scenette simil-zozze sul palco è indice di atto massonico, e ciò lo si denota, ad esempio, dal brano con cui si è fatta conoscere, I kiss a illuminato girl.
Parte così un elenco su tutte le porcherie -- da massoni -- di cui Katy si è resa protagonista nella sua carriera, senza però mai accennare alle sue zizze che sparano roba -- fatto questo dovuto più probabilmente ad un intervento degli alieni. "Katy si traveste come un clown ed ammicca come una zoccola", dice fra le righe la voce narrante. Attirando ovviamente le ire del suo papy, 'sto tipo abbastanza bacchettone che il pastore tipo il prete là, il tizio di Settimo cielo indagato di recente per molestie sui minori (abbasso i luoghi comuni), che tuona contro la figlia «ah, io sono stato a quel suo concerto, c'erano tipo 20mila persone, COME IN UNA CHIESA, e la adoravano, COME SI ADORA DIO!». COS'È ACCADUTO A KATY PERRY? HA VENDUTO L'ANIMA A SATANA? OPPURE IL SUO SUCCESSO È SPALLEGGIATO DA PERSONE CHE VOGLIONO TRASMETTERE ATTRAVERSO LEI I PROPRI MESSAGGI? DIETRO KATY PERRY SI NASCONDONO GLI ILLUMINATI? Si prendono a questo punto in esame due sue videoclip per analizzare la situazione, Wide awake e Dark horse.
In Wide awake c'è la prova lampante che forse, in fondo in fondo, lo zampino degli illuminati c'è, sicuro. Troviamo il labirinto, che rappresenta la strada verso il successo, La farfalla, a simboleggiare il progetto monarch, una cosa da illuminati stile controllo mentale, ecco. Poi la fragola, che invece POTREBBE -- adducendo al fatto che quelli elencati prima siano dunque dati certi e approvati, mentre questo, mmh, insomma -- essere il frutto che assaggia per entrare nel magico mondo della massoneria. E infine c'è una bambina piccina piccion', che invece rappresenta lei quando era ancora un'adolescente innocente che le zozzerie le faceva solo in camera dei suoi genitori, rigorosamente dopo il coprifuoco, mica cazzi eh.
Però è Dark horse il video che testimonia più di tutte la sua probabile sicura appartenenza agli illuminati. La scenografia è l'antico Egitto, antico luogo pregno di mistero, dove lei, Katy, impersona tipo boh, una faraona, ecco. A questo punto una serie di tizi sfila davanti a lei portandole dei doni, e sfoggiando diversi dei segni che tutt'ora sono utilizzati dalle logge massoniche, tipo l'occhio di Horus, per dirne una. E vengono tutti polverizzati da sua maestà Katy Ramsete IV, aggiungendoci poi pure un'espressione pregna di sdegno. Fra i tanti pseudo re Magi recatisi lì ce n'è però uno, che le porge un dono apparentemente gradito: una piramide d'oro (MOMENTO WOW). Lei, per premiarlo, anziché ridurlo in cenere lo tramuta in un cagnolino. Poi scala la piramide, e si trasforma nella DDDEA ISIDE. Come se non bastasse, questa stessa canzone è stata poi rivisitata in un'esibizione dal vivo agli scorsi Grammy awards, in cui Katy impersona una strega, chiudendo il live con lei stessa che viene messa al rogo -- PROPRIO COME UNA STREGA, WOW CAZZO.
KATY PERRY SI È DUNQUE VENDUTA AL DIAVOLO? HA COMPIUTO SUL PALCO UN RITO IN ONORE DEL SUO PADRONE? GLI ILLUMINATI VOGLIONO DISTRUGGERE IL CRISTIANESIMO ED INSTAURARE LA RELIGIONE DI LUCIFERO? KATY PERRY È CADUTA NELLE LORO MANI?
Mentre tutte le mie convinzioni, cumulate in una vita intera, si sgretolano dopo un semplice video di Adam Kadmon, mi chiedo mestamente se nella prossima puntata si parlerà dei patti che Noyz Narcos e Nergal hanno stipulato con Mario Draghi, che forse è pure peggio di Lucifero.
Video random trovato su Youtube - Katy Perry e gli illuminati
Black bamba
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burqamadonna · 11 years ago
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#PIRROPARLADASOLO - I PUSH MY FINGERS INTO MY EARS
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NEL MONDO C'È UNA PIAGA: QUELLA DEL POSER NU METAL. ORA ESAMINIAMO IL CASO DEGLI SLIPKNOT, GENTE CHE NON HA MAI FATTO MUSICA, MA SOLO DEL RUMORE. PREMETTEREI ANCHE CHE PER ME CI SONO STATE PURE QUELLE QUATTRO CANZONI LORO CHE NON MI HANNO FATTO CACARE, ANCHE SE FORSE SI È TRATTATO DI PEZZI USCITI A CULO: DUALITY, PSYCHOSOCIAL ED I DUE VERMILION; IL RESTO SOLO CASINO O CAGATELLE SIMIL-ACUSTICHE MESSE LÌ PER FAR VEDERE ALLE PERSONE CHE COREY TAYLOR, IL LORO CANTANTE INSOMMA, SA FARE PURE ALTRO OLTRE A SBRAITARE CONTRO IL MICROFONO. VENIAMO COMUNQUE AL PRESENTE PASSATO PROSSIMO: NEL 2010 PAUL GRAY (IL "BASSISTA") È STATO TROVATO MORTO IN SEGUITO AD UN'OVERDOSE DI NON SO CHE, MENTRE DUE ANNI PIÙ TARDI JOEY JORDISON (IL BATTERAIO) È STATO CACCIATO A PEDATE NEL CULO DAVE MUSTAINE STYLE DA ALCUNI MEMBRI FONDATORI NON MEGLIO DEFINITI SE N'È ANDATO. MA GLI SLIPKNOT NON SI SCIOLGONO, NO, MANCO PER IL CAZZO. PUBBLICANO .5:THE GRAY CHAPTERS, DEDICATO ALLA DIPARTITA DI GRAY. UN'OCCASIONE SPECIALE E LORO -- VISTO CHE EVIDENTEMENTE GLI VOLEVANO ASSAI MA PROPRIO ASSAI BENE -- CI TENGONO A DIMOSTRARE AL MONDO INTERO CHE POSSONO FARE CACATE ANCORA PEGGIORI DI QUELLE REGALATE CON IL DISCO PRECEDENTE. UN REGALO ALLE MIE ORECCHIE RIASSUMIBILE IN UN'ORA DI TRISTEZZA, DEPRESSIONE, NONSENSE, SGOMENTO, SDEGNO, RAFFICHE DI "FUCKIN' FUCK FUCK" ECCETERA ECCETERA. LA MIA ESPRESSIONE ERA ESATTAMENTE COME QUELLA NELLA FOTO QUI IN ALTO, SOLO CHE IO NON SONO JIM ROOT, TIZIO DEGLI SLIPKNOT IN QUESTIONE AL QUALE VA COMUNQUE TUTTO IL MIO RISPETTO PER IL FATTO CHE OGNI SERA ALZA LA CHAMPIONS LEAGUE SBATTENDOSI CRISTINA SCABBIA. IL PEZZO MIGLIORE DELL'ALBUM È STATO SICURAMENTE QUEL MOMENTO IN CUI, DURANTE LO STREAMING, IN CUFFIA PARTIVA LA PUBBLICITÀ DI SPOTIFY. HO CERCATO DI ASCOLTARLO TUTTO PER INTERO, MA NON RIUSCIVO AD AVVERTIRE ALTRO CHE MISSAGGI RANDOMATI, UN'ACCOZZAGLIA DI DOPPI PEDALI, URLI CACATI CHE SI IMPONGONO DI ESSERE BRUTTI A PRESCINDERE. IL MIO È UN GUAITO CHE URLA ALLA VERGOGNA DI CHI SUPPORTA QUESTI COGLIONI MASCHERATI, GENTE CHE HA PURE IL CORAGGIO DI DEFINIRE 'STA MERDA "MUSICA". NO, SI TRATTA SOLO DI RUMORE E MAZZATE A BARILI DI BIRRA DEL LIDL. E BASTA.
Slipknot - The devil in I
Parco folgore
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burqamadonna · 11 years ago
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La bolletta di settembre
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Cos’è stato rilasciato di più o meno rilevante in questo mese? Facciamo un breve riepilogo.
Aphex twin - CIRCLONT14 [152.97][shrymoming mix] Si è fatto attendere per otto anni, ma alla fine Aphex twin è tornato, annunciando il suo nuovo disco nel deep web, quel posto frequentato di solito per comprarsi le droghe e altre cose belline. Quindi parrebbe ovvio che anche questo album sia di riflesso quantomeno bellino. Ribadisco questo diminutivo perché beh, Syro non è proprio il capolavoro di cui si legge in giro. Un buon disco, pompato dall'hype che il proprio autore ha saputo creare (mongolfiera londinese in stile ufo, tipo), e che vi farà piacevolmente dondolare la testa per qualche ora, ma nulla di più.
Banks - Waiting game Quella di FKA twigs è stata una sorprendente bomba r'n'b nell'agosto appena passato; così ecco che un'altra giovane e bella guagliona ci riprova sulla stessa strada. Il risultato è buono tutto sommato, nonostante non si raggiungano, ovviamente, le vette qualitative di LP1. Banks paga con ogni probabilità il poco coraggio, che si avverte nel disco, di oltrepassare determinati schemi, di sperimentare, unito questo ad un sound che forse è anche più pop del dovuto. Non è malvagio come album comunque, sia chiaro. Una di quelle robe da ascoltare in macchina, tipo.
Busdriver - Ego death feat Aesop rock & Danny Brown Probabilmente il miglior disco hip hop di questo inizio d'autunno, anche se ho avuto una certa difficoltà generale nell'assimilare l'album in questione. L'ho dovuto studiare, ecco. Bisogna infatti ascoltarlo con parecchia attenzione più e più volte, prima di apprezzarlo a pieno; un po' di pazienza e poi si inizia a ragionare. Beats cattivi e liriche taglienti, per dirla in modo professionale. Poi il brano con Aesop rock e Danny Brown è una bomba di adrenalina che manco vi dico.
Ensi - Stratocaster feat Noyz narcos & Salmo Ecco un altro disco hip hop, questa volta italiano e forse anche abbastanza atteso qui da noi. Atteso perché Ensi non ha mai convinto proprio nessuno nelle sue uscite discografiche: è un mc coi controcazzi, sicuramente, ma in studio ha sempre faticato a trovare una vera e propria identità musicale. E anche questo album conferma tutte le sue difficoltà in fase di produzione. Un disco scialbo, con una manciata di buone tracce, certo, ma che galleggia per tutta la sua durata fra pezzi esageratamente pop ed altri dalla mal riuscita vocazione electro-house. Evidentemente non era tutta colpa dell'ex label, la Tanta roba.
Esben and the witch - Blood teachings Oh, proprio bello questo A new nature. Si tratta del terzo disco, il secondo nel giro di due anni, per gli Esben and the witch, che hanno prodotto quest'ultimo loro lavoro in stretta collaborazione con Steve Albini, ed i risultati si sentono, eccome. Un'ulteriore evoluzione di quello che tanti definivano sciaguratamente, fino a qualche tempo fa, classico e stereotipato post-rock. C'è di più: una litania malinconia che ci guida in un sound oscuro, violento ma riflessivo, d'atmosfera. Un gran bel disco insomma.
Fabi Silvestri Gazzè - L'amore non esiste Le mie aspettative su questo album non erano sinceramente troppo pretenziose. Appena lo hanno annunciato, l'odore di progetto-commerciale-fatto-ad-hoc-per-radical-chic lo si sentiva ad un miglio di distanza. Una specie di Backstreet boys in salsa hipster milanese, dunque. Invece no. Cioè, in parte sì. Diciamo che il disco è diviso in due parti nemmeno troppo omogenee: quella fatta da canzoni belle -- sia musicalmente che liricamente, diamine, spaccano sul serio -- e quell'altra di pezzi scialbi, insignificanti e a tratti anche fastidiosi. Ecco, alla luce di ciò ammetto che il risultato di questo progetto è andato ben oltre le mie aspettative.
Interpol - All the rage back home Tornano gli Interpol, una di quelle classiche band con cui tutti si riempiono -- a ragione -- la bocca con frasi del tipo "il primo album era meglio". Effettivamente dopo Turn on the bright lights i risultati dei loro successivi dischi sono stati un tantino altalenanti, fra roba accettabile (Our love to admire) e merda notevole (l'omonimo Interpol). Paradossalmente questo El pintor potrebbe rappresentare, a 12 anni dal fortunato debutto, il loro secondo album che va oltre la sufficienza. Un disco che certo non osa, ma fa il suo compitino più che egregiamente, evolvendo giusto un po' il loro classico sound. 
Roman Flugel - Wilkie A me l'autunno piace per diversi motivi. Fra i tanti, c'è quello che, per una strana consuetudine, la maggior parte dei bei dischi d'elettronica escono praticamente a ridosso di questo periodo, tra i quali rientra ovviamente questo di Roman Flugel, che confeziona un album ampio e variegato, oscillando fra deep house all'edm, dal krautrock alla techno. Si tratta di un ascolto, nonostante le premesse, parecchio leggero, non uno di quei monoliti arzigovolati dalla difficile digestione. Ecco, forse sta qui il difetto; va anche troppo bene come sottofondo.
Sean Rowe - The drive Una delle mie personali sorprese del mese. Sean Rowe è questo tizio barbuto con la voce alla Leonard Cohen, e un sound folk dalle fortissime tinte cupe, che è praticamente un invito a nozze per me. Il disco è prodotto alla perfezione, sia a livello di sound che di gestione delle tracce, sempre diversificate e mai stancanti, anche dopo i boh, dieci-quindici ascolti? Assolutamente sì. Un sussulto che magari non innova, non dice nulla di nuovo, ma che risulta talmente ben realizzato da essere così imprescindibile anche in un pienissimo mese d'uscite discografiche qual è storicamente settembre. Poi le liriche, oh, mamma mia, che testi. E la copertina? Vogliamo parlare dell'artwork dell'album? Ecco bravi, correte ad ascoltare.
Shellac - Gary Il ritorno più chiaccherato di questo settembre, senza dubbio. Anche questa volta le gelide geometrie di Albini e compagnia ritrovano forma musicale. Gli Shellac fanno gli Shellac. Ecco, forse è proprio qui il problema. Gli Shellac fanno troppo gli Shellac. Sboroni, quasi prendono per il culo tutto e tutti, con quella copertina trollona in cui due scoiattoli fanno wrestling, come se quasi non ci fosse manco la voglia di fare qualcosa di nuovo. Che poi Albini l'ha detto chiaramente diverse volte, ché gli Shellac non hanno alcun vincolo, e pubblicano dischi quando cazzo gli pare a loro. Ma l'impressione che ho io e che si annoino pure, a dare qualcosa di diverso ad un pubblico ormai troppo abituato ad un panorama rock sterile e svilente. Ecco, l'ho detto.
Subsonica - Tra le labbra I Subsonica non li volevo manco mettere nella bolletta di questo mese. Mi sono sempre garbati, in questo loro galleggiare a metà fra underground e mainstream. Anche alcuni fra i loro dischi discussi, tipo gli ultimi Eden e L'eclissi, hanno trovato da parte mia un riscontro più che buono. Li ho sempre considerati dei professionisti della musica, nell'accezione più neutra possibile del termine. Fanno il loro, e cioè una roba che non fa mai cacare e che riesce ad accontentare una buona fetta della propria fanbase. Ed è forse proprio questa loro peculiarità nel mettere d'accordo tutti che rende questo disco, Una nave in una foresta, il loro album più brutto di sempre. Appena una manciata di pezzi accettabili, poi il nulla. Non una gran perdita, però.
The future sound of London - Dying while being held Sono passati vent'anni dal capolavoro che porta il nome di Lifeforms, l'apice compositivo dei FSOF, quel disco è e dovrebbe stare dentro il cuore di ogni appassionato di musica. La musica è troppe volte nostalgia, dunque il richiamo al passato è, più che voluto, necessario. Ed è sull'onda di questo sentimento che, in ambito di uscite elettroniche di questo mese, ho posizionato nella mia personalissima classifica di hype settembrino questo Enviroment five piuttosto che, boom, Syro di Aphex twin. Sono due robe diverse, senza dubbio, ma almeno qui c'è la voglia -- forse però nemmeno troppo riuscita -- di dire qualcosa di nuovo. Ma magari sarà che sono io, un romantico che prende spesso tanti abbagli.
Thom Yorke - A brain in a bottle Album a sorpresa per Thom Yorke, così, manco fosse Beyoncé. A differenza di quest'ultima però il nostro Thom non è una strafiga, e l'album non l'ha mica pubblicato su iTunes, ma su Bittorrent, prezzato ad una cifra (quasi) simbolica: 6 dollari. Sei spicci che, moltiplicati per boh, tantissimi download, diventano bei soldoni che entrano dritti dritti nelle tasche sempre sue, del nostro Thom, che si consacra così passando da "uomo più brutto del mondo" a "uomo più furbo del mondo", senza dare un bel niente né ad etichette né a chicchessia. Ma questo è un discorso da trattare in un'altra sede. Questo Tomorrow's modern boxes potremmo ridurlo a classificarlo come il meglio di The eraser ed il peggio di The kings of limbs, un mediocre segmento di questi due lavori -- il primo una merda, il secondo non proprio nonostante i pareri contrastanti. Così ecco che abbia un album inutile, di cui nessuno sentiva il bisogno tranne che i fanboy dei Radiohead. E sono tanti, per la sua gioia; sì, dico, del nostro Thom.
Tweedy - Nobody dies anymore Tweedy è questo progetto dei Tweedy, denominato così in virtù cognome del dei fondatori, i Tweedy, Jeff papà Tweedy e Spencer figlio Tweedy. Jeff papà Tweedy è quello dei Wilco, non so se avete presente. Comunque, si potrebbe facilmente auspicare che questo disco, Sukiarae (da non leggere alla latina), sia il classico side-project atto a succhiare soldi ai fan, proponendo roba precotta buona solo per masturbarsi. E invece no. Il disco è buono regà. Un folk da viaggio in auto che Eddie Vedder se lo sogna, sicuramente, ma pur sempre un disco folk da viaggio in auto.
Questo settembre è stato bello pieno di uscite, come di consueto accade alle porte di autunno, fra le quali possiamo annoverare: Marlene kuntz, Franco Battiato, Lady Gaga, Tricky, SBTRKT, Prince, Marianne Faithfull, Alt-j, Goat e tanta altra roba che tutto sommato non ho troppa voglia di scriverne.Ecco invece le playlist della bolletta di questo mese su Deezer e Spotify, giusto per rendervi tutto più comodo. Visto come siamo bravi?
Black bamba
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burqamadonna · 11 years ago
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Fedez, icona metrosexual per mamme arrapate
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Federico Leonardo Lucia, anagrafe alla mano, sono le tre persone che racchiudono un'unica e distinta entità riconducibile al nome di Fedez, rapper italiano che intasa le principali frequenze radiofoniche italiane da almeno due-tre anni. Fedez è uno con la faccia da bravo ragazzo, quelli di cui si innamorano prima le mamme che le figlie. O meglio, lo potrebbe essere con estrema facilità se non fosse per un semplice motivo: c'ha i tatuaggi, pure sul collo, come si evince da quasi tutte le sue foto, fatto questo che mena fortemente alla proiezione mentale che tante donne ultra quarantenni potrebbero avere nel guardarlo così, di primo acchito, inficiando così quei tratti tenerelli quali la camminata effeminata, i dentoni sporgenti o quello sguardo perso nel vuoto tipico di chi a scuola veniva sempre preso per il culo. Si dia il caso però che anche in Italia sembrano essere arrivati gli anni '10, e con essi tutte le mode del cazzo evolutesi dal vuoto culturale-musicale che ha contraddistinto i precedenti anni '00, fra cui ci sono, per l'appunto, i tatuaggi tamarri in posizioni indicibili; uno scenario questo all'interno del quale i signorotti che gestiscono il media televisivo hanno visto evidentemente estremamente tagliato il nostro Fedez. Del resto lui, FLL -- acronimo abbastanza figo che riassume Federico Leonardo Lucia, e che sembra, direi, uno di quei partiti di fascisti che piacciono tanto al nostro amico -- a conti fatti sembra essere proprio quello che appare: un bravo ragazzo di periferia con la fissa per l'hip hop. Nato a Milano e cresciuto nella periferia della stessa, si appassiona prima al punk rock, e poi, poco meno che adolescente, al rap, accompagnato anche da altri ragazzi che poi seguiranno, su per giù, la sua stessa via, come ad esempio il suo amicone Emis Killa, anche se quest'ultimo è un caso da trattare a parte.
Fondamentalmente il problema di Fedez è uno: lui ed il rap sono due mondi incompatibili. Rime facili, flow farlocco e metrica balbettante caratterizzano tutte le sue barre, peculiarità ancora presenti ma ben più evidenti ad inizio carriera. Emblematica ad esempio la fase finale dell'edizione 2007 del Tecniche perfette, contest italiano per freestyler, dove viene letteralmente demolito da Dank. FLL però non demorde, e nel 2011 co-produce il suo primo disco, Penisola che non c'è, distribuito alla buona da un'etichetta tutto sommato sconosciuta. Quest'album, come facilmente auspicabile, si rivela un pochino 'na cacata, con le liriche che cercano di elevarsi intellettualmente scadendo però nel banale, e con dei ritornelli che manco Britney Spears. La svolta tuttavia arriva appena pochi mesi dopo, in concomitanza della nascita di una nuova label milanese, la Tanta roba, capeggiata da Gué Puqueno, membro dei Club dogo, che decide di puntare forte su questo ragazzotto tatuato con la faccia un po' da scemo -- in accezione positiva, ovviamente. Ed ecco che boom, arriva il successo per Fedez. Il mio primo disco da venduto è il titolo del suo secondo album, il primo con Tanta roba, e quasi ci scherza su, sul fatto che la gente con cui condivideva il palco fino a qualche tempo l'avrebbero bollato come money grabber, come colui che è riuscito a bypassare la sua scarsa inclinazione al rap semplicemente "vendendosi", diventando un prodotto per il business della musica. Il disco è una schifezza, e spazza via quel poco che di buono c'era all'esordio. Ma nel suo piccolo, numeri alla mano, è comunque un successo.
La faccia da bravo ragazzo tatuato vende bene, e così la scalata verso la popolarità ha inizio. Collaborazioni con Max Pezzali, nomination agli MTV hip hop music awards, duetti con teenstar fresche di talent show: è questo il preludio che porta alla sua terza uscita in appena due anni: Sign. Brainwash - L'arte di accontentare. Ovviamente anche questo disco è una merda: autotune a palla, ospitate del cazzo, electro-house a gogo e sempre quei ritornelli brittaroli. Il fatto è che questa volta i ritornelli sono pure anche troppo radiofonici -- sì, Britney Spears mi repelle, l'ho detto -- e dunque Fedez, grazie a canzoncine come Faccio brutto o Cigno nero, subisce un'ulteriore upgrade, passando da "fenomeno transitorio" a "potenziale personaggio nazionale". Inizia a spuntare praticamente ovunque: sui talk show, con altre ospitate ad X factor, nelle pubblicità. Se c'è uno schermo collegato ad un digitale terrestre stai tranquillo che almeno una volta al giorno lo beccherai, a FLL, che sembra aver toccato il suo momentaneo apice di popolarità proprio in questi mesi, grazie, ad esempio, alla sua presenza, questa volta come giudice fisso, all'ottava edizione di X-factor (senza dipenticare poi all'imminente uscita dell'inno del Movimento 5 stelle di cui lo stesso sarà l'autore) e, soprattutto, grazie al suo ultimo disco che impazza online, Pop-hoolista. Fedez ormai ce l'ha fatta dunque, è dentro quel sistema che proprio nei suoi testi traballanti sembrava criticare aspramente, attraverso battutine banali e soprattutto tramite un look, specchio di uno stile di vita che ormai è stato ampiamente sdoganato, e che dunque non estranea più, ma anzi, trasforma il personaggio prima scomodo in alternativo, facendolo così passare da socialmente evitabile ad omologato. Ed è soprattutto nella sua nuova veste di opinionista televisivo che possiamo assistere a quello che Fedez ormai è agli occhi degli abitué del tubo catodico: un maschietto con la faccia da bravo guaglione, pronto a destabilizzarsi e a piangere come una checca non appena vede e sente qualcosa di lontanamente simile alla melodia musicale, da cui lui è ben distante, e pronto tra l'altro a ribadire, ad ogni pausa-trucco, la sua "perdita di credibilità nei confronti del mondo dell'hip hop", quasi a giustificare se stesso per la deriva imboccata ormai troppo tempo fa e di cui nessuno, nel vero ambiente in questione, si è mai sorpreso.
Tutto sommato nella sostanza è un qualcosa di già visto, che non dovrebbe attirare troppe attenzioni, se non fosse per il fatto che, dio mio, Fedez intellettualmente si sente pure tre cazzi e mezzo. E forse nemmeno questo sorprende più di tanto, visto che lo si può intuire semplicemente sentendo le sue assai ritmate canzonette, pregne di luoghi comuni, di demagogia e di critiche che coincidono, nella stragrande parte dei casi, con quelle ritrovabili in un profilo Facebook di un qualsiasi tredicenne simil-hipster con l'ossessione per l'alternativo e con l'ostentazione di qualunque cosa possa in apparenza elevarli culturalmente. Ecco, è questo il quadro che ne esce fuori ad una breve analisi del personaggio di FLL, ex ragazzo di provincia che ha ormai nel pieno della sua popolarità mediatica. Nonostante tutta la merda sopra elencata si ripresenti qui in toto, devo ammettere che in Pop-hoolista non è tutto da buttare, giuro; ammesso che si escludano tutti quei brani dall'audio pompato, le collaborazioni penose, i luoghi comuni ancora più comuni (su tutti il brano "social" e soprattutto il pezzo diretto contro Barbara D'urso, che è un po' come sparare sulla Croce rossa). Forse c'è ancora un minimo di dignità professionale in quest'uomo, credo. L'album è composto da una ventina di canzoni, ma devo ammettere che di queste almeno tre-quattro sono più che salvabili. Si tratta di quei brani dalle dinamiche punk rock (tributo, forse, ai suoi inizi di carriera), caratterizzati non da quelle deprecabili liriche grilline di polemica sociale e blablablablah, ma simpatiche rime giocose e irriverenti, che boh, non rendono Fedez un prodotto malvagio nella sua interezza. Si tratterà sicuramente di una breve parentesi, destinata a chiudersi col prossimo disco, è probabile. Perché, nonostante la sua apparente ma ostentata insofferenza nei salotti televisivi, Fedez lì in fondo ci sta bene. Si guadagna tanto e si scopa pure di più. Due stilemi di vita riconducibili spesso alla rapstar americana. Peccato per il lato musicale, che invero conterebbe parecchio, ma vabbè, forse due pezzi tutto sommato buoni -- quelli con Fritz da cat e Dargen D'amico -- bastano in Italia per fare di una tizio qualsiasi un musicista.
Fedez & Morgan feat. Ale Cattelan - Alluparsi, a ragione, con Wonder Woman
Black bamba
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burqamadonna · 11 years ago
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Pillole drogatamente swag: Vaporwave
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Torniamo indietro negli anni '70, a Londra e a New York. Avete presente i veri inizi del punk? Quello nei garage però, che poi iniziò ad uscire fuori di casa e andare nei locali di nicchia del tempo popolati da gente dal look bizzarro con tanto di borchie, capelli alla cazzo e vestiti strappati. Ecco, tenete a mente anche tutta la varia sottocultura creatasi, sopratutto quella visiva. Adesso proiettiamoci quaranta anni dopo: nel 2010, sull'internet. Sostituiamo i locali di nicchia con le imageboard o con gli angoli più profondi di Reddit; l’iconografia punk con la glitch/pixel art, le borchie con con statue greche di età classica e i riff di chitarra con i sintetizzatori strettamente lo-fi e distorsioni degne delle vecchie VHS. Cosa abbiamo allora? Vaporwave. Addentrandoci nella mini universo delle categorie musicali, possiamo classificare il vaporwave come un sottogenere della musica elettronica, vicino ai suoi cugini synth-pop e chillwave, ma che imita e ricontestualizza la cultura pop degli anni ‘80 e ‘90, mettendola in ridicolo tanto da enfatizzare quella nota di kitsch o quel forte sentimento di estrema artificialità che chiunque con un minimo di senso estetico potrà provare guardando una di quelle vecchie pubblicità degli '80. Vektroid è, senza scomodare i pezzi grossi (Daniel Lopatin aka Oneohtrix point never, per dire), etichettabile come fra i principali pioneri della categoria; conosciuto anche come Macintosh plus, Laserdisc visions, Fuji grid TV o altre decine di nomi diversi. Beccate qualche suo lavoro magari, che io un po’ mi annoio a linkarveli pure questi. Vi consiglierei così, su due piedi, FLORAL SHOPPE o New dreams ttd. Comunque il vaporwave è una specie di magma, un qualcosa in continuo mutamento, non so se mi spiego: si va dal vaporwave sempliciotto che si rifà molto alla musica ambient con tanto di white noise e l’uso di suoni e distorsioni rilassanti per arrivare dal ramo più melodico fino al vaportrap, o ancora al future funk dove si tratta di generi decisamente più animati ma di stampo fortemente vapor, ovvero fino ad artisti come Saint Pepsi. Un bordello di cose insomma. Ci sarebbero poi pure le sue molteplici ramificazioni, e cioè la sopracitata — e così chiamata — “aesthetic”, arrogantemente considerabile come la sua componente artistica, di certo successo anche slegata dalla musica. Tra sfondi rosa neon fino al ciano, palme e statue classiche si riconosce immediatamente dai riferimenti alla cyberculture anni ‘90: pixel a vista d’occhio e immagini decisamente del “vecchio” internet.
Waterfront dining - Italian yatch night
Orso bipolare
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burqamadonna · 11 years ago
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La figlia di Beppe Grillo lo fa ruock
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Settimana scorsa è passata quasi inosservata la notizia della prima uscita discografica di Luna Grillo, la figlia del Beppuccio nostro nazionale. Ora non è che ci sia la voglia di far prendere a questo fantastico blog a tema musicale una deriva politica, però ci teniamo davvero tanto a dare comunque il giusto risalto al debutto discografico alla prole del Dvce 2.0 -- ops, battuta dalle tinte forse un pochino politiche, ma vabbè. Luna è la primogenita nata, nel 1980, dal matrimonio di Beppe Grillo con la sua ormai ex prima moglie Sonia Toni, dalla quale si è separato per convolare a nozze nel '96 con Parvin Tadjk, figlia di uno di quei imprenditori iraniani che importano tappeti persiani, e a cui quindi non mancano i big money. Tornando a noi, l'annuncio del disco -- ammesso che di annuncio si possa parlare, visto che si è trattato piuttosto di una specie di premessa, sulla scia di boh, che ne so, Thom Yorke? -- da parte della nostra Grilla è avvenuto in compagnia di nientepopodimeno che Andrea Diprè, il quale, in uno dei suoi caratteristici video, si è poi lasciato andare in uno dei suoi anticlimax dal sapore trash, trasformando l'intervista in uno dei suoi tipici incontri dai tratti inconfondibilmente catafratti e sibaritici, o almeno così si fa per dire. In caso non conosciate il personaggio di Diprè vi consiglio di approfondirlo unicamente se siate attratti verso il marcio, il putrescente, il malsano eccetera. Comunque, il debutto discografico della Grilla non è un vero e proprio album; si tratta bensì di un ep, un extended play intitolato Rex mida composto di cinque brani. Purtroppo il sottoscritto non è riuscito a trovare l'intero disco per intero, ma solo il suo singolo di debutto, e cioè una cover in salsa rock di un In da club, pezzo di 50 cent, a cui ha poi allegato anche un videoclip tinteggiato da un trash, a mio modo di vedere, fino ad oggi inusitato. Purtroppo, in virtù della parziale visione del prodotto Rex mida, sarebbe poco corretto esprimere un parere al riguardo di questo debutto, ed è un vero peccato, visto che, facendo riferimento al suo papy, la Grilla ha dichiarato che: «nel mio sound porto la stessa sua grinta e lo stesso suo carisma».
Luna Grillo - In da club (rock version)
Black bamba
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burqamadonna · 11 years ago
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Slash pollice verde
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Quando, nel lontano 1994, quella checca di Axl Rose causò lo scioglimento UFFICIOSO dei Guns n' roses grazie ai suoi problemi da primadonna drogata, portò anche ad una vera spaccatura all'interno dei propri fanz, dividendoli così in due categorie: quelli che pensavano che il declino fosse Axl la causa del declino della band, ed i fans dei Guns n' Roses. Saul Hudson (Slash, per gli amici /), questo tizio definito dalla massa come "il buffone col cilindro che fa quattro accordi come fossero assoli e si atteggia anche" nonché chitarrista dei Guns, non perdendo tempo, una volta toltosi dalle palle Oral sex aka corvo gracchiante, da buon precursore renzusconismo, comincia i suoi progetti "solisti", rottamando così gli scarti dei Guns, e, lo ammetto, nei suoi album riesce ad incidere pure dei bei pezzi. Oggi: se Axl Rose dopo lo scioglimento ha fatto quello che ha fatto, cioè tanta ma tanta ma tanta ma proprio tanta merda, Slash è invece riuscito ad incedere ben sette album, di cui, addirittura, ben due sarebbero pure carini, direi. Fa monologhi su quanto siano fighi i brani e anche chi li suona con lui, e sul palco continua a suonare come dieci anni fa; nessuna innovazione importante. Ed ecco che qualche giorno fa esce World on fire, titolo del suo ultimo disco. Partiamo dalle premesse pre-ascolto. «In pratica è un album felice con temi dark -- dice lui, Slash -- che finisce in maniera positiva ma ti lascia anche non tanto confortevole». Insomma già questa frase piena di contraddittorio mi farebbe un po' girare le palle, ecco. Tutti i testi sono stati poi scritti da una delle sue nuove presenze fisse, Myles Kennedy, voce degli Alter bridge (da tutti preso un po' per il culo manco fosse quello lì, Oral sex dico), il ché sinceramente non so dirvi se è un bene o un male, dato che entrambi scrivono pressapoco le stesse quattro tematiche/minchiate in croce nei propri testi. Se dovessi fare una sintesi post ascolto sarebbe: tracklist di 17 pezzi della durata di 80 minuti, al quale ho deciso che non ci avrei dedicato non oltre i due, tre ascolti. Non cantano Sweet child o' mine o Welcome to the jungle, e questa è già di per sé una cosa molto importante, direi. Poi il sound è hard rock di quello classico, non più quella cacata grezza che c'era negli Slash's snakepit. Il vero problema di 'sto disco è che per più della metà è composto di pezzi inutili e rompi coglioni, con certi riff che ti portano a pensare di ascoltare una brutta copia di Apocalyptic love, il disco precedente. Poi boh, a tratti questo World of fire sembra essere uno schifoso omaggio agli Iron maiden, che sfancula quindi tutte le premesse di ripetere le derive blues degli album precedenti. Ad occhio dire che è l'album eco-riciclaggio dell'anno, sì. E un po' mi dispiace pure, visto che si sarebbe potuto ripartire dalle buone base del sopracitato Apocalyptic love, ed evolverlo, in barba a tutti i rotti in culo come me che spaccano sempre le palle. E invece no. Si vede che proprio ci tengono a darmi ragione.
Slash - 30 years to life
Parco folgore
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burqamadonna · 11 years ago
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Murubutu, il rap non era in arial
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Ricordo che, quand'ero più piccolo, avevo un registratore, con il quale ascoltavo fiabe e favole, tratte dai libri più disparati e trasportate in cassetta, prima di addormentarmi lievemente e soddisfatto. Era fantastico prendere sonno così: cullato, proiettandomi in un universo inedito, sempre nuovo, sempre fresco. Qualche mese fa, mentre stavo navigando su Facebook, macinando la stessa immaginazione, che un tempo coltivavo arditamente e inconsciamente, una notizia mi balza all'occhio; anzi, non una notizia, un video. La miniatura mi attrasse subito (sì, sono così superficiale da giudicare i video dalla miniatura). Il video in questione era Marco gioca sott'acqua, di tale Murubutu. Ecco. Ascoltando il pezzo mi accorsi che le sensazioni che riusciva a suscitare in me erano simili a quei racconti, quelli dell'infanzia, per intenderci. Meravigliato da questa esperienza, decisi di ordinare l'album, dal quale era tratto il brano in questione, a scatola chiusa, per così dire. Ancora più meravigliato quando, arrivando a casa, notai, leggendo i titoli dei brani, che si trattava di un concept album. Gli ammutinati del Bouncin' è una piccola perla, un bel progetto, che, innanzitutto, parla unicamente del mare e delle sue innumerevoli storie, leggende, aneddoti, e che, poi, unisce rap, storytelling e cantautorato, oserei dire. Ogni brano è un racconto che fa storia a sé e allo stesso tempo un capitolo indispensabile al prosieguo dell'opera: a tal proposito è interessante notare che i pezzi siano legati tramite skit in cui vengono campionate delle onde, che oltre a catapultare perfettamente l'ascoltatore nel mood dell'album danno coerenza al progetto, che non resta una sola idea lirica, ma che viene influenzato anche musicalmente. I testi sono dei veri e propri capolavori, spesso quadretti consacrati con una minuziosità espressionistica, che il rapper/insegnante (ebbene sì, anche queste sono due occupazioni conciliabili in una sola vita) scrive spaziando dalla storia alla filosofia, dalla letteratura all'arte. Sicuramente ascoltarlo per troppo tempo fa cadere un po' le palle a terra, come quando si esce da un museo dopo ore e ore, o come quando si decide di vedere l'intera saga del Signore degli anelli in una nottata. ‘Na mattonata insomma. Le canzoni musicalmente si somigliano molto tra loro, ed ecco perché ogni brano va preso nella sua unicità, ascoltandolo e riascoltandolo, più e più volte, cogliendo le sfumature (soprattutto a livello lirico) e facendolo proprio. Ad ogni passaggio si rivela un particolare sempre nuovo, come quando ci si trova davanti a un quadro fiammingo. Attenzione e pazienza, insomma. Merito del rapper emiliano è, comunque, non cadere nella banalità: i suoi lavori non sono puri esercizi letterari, che cadono nel frivolo, ma spesso, questi rapconti (gioco di parole eh-eh), trattano tematiche delicate; ed è proprio qui che sta la vera innovazione, vedi ad esempio in Marco gioca sott'acqua, che narra della storia di un ragazzo sordo e della sua solo "apparente" normalità nel ritornare sott'acqua, dove nessuno sente nulla, per essere come gli altri. Il rap è un nuovo strumento per far letteratura? Chuck D può essere un Lord Byron nero? Quanta distanza c'è tra il cantautorato e il genere appena citato? Io vi consiglio di darci un ascolto, magari boh, oggi ascoltate Murubutu, domani leggerete Conrad.
Murubutu - Marco gioca sott'acqua
Bruco madri
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