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#6 maggio 1940
italianiinguerra · 5 months
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Pillole di Seconda Guerra Mondiale: 6 maggio
1940 – Norvegia. Truppe francesi e della Legione straniera sbarcano nella zona di Narvik, seguite poco dopo da un contingente polacco. Si forma a Londra un governo norvegese in esilio. 1941 – Grecia. Il generale Bernard Freyberg comandante del corpo di spedizione neozelandese sull’isola di Creta viene informato dai servizi segreti britannici circa le linee particolareggiate…
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pazzoincasamatta · 5 months
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Berlino, 10 maggio 1940, ore 14. 05 Buongiorno. Qui William L. Shirer, da Berlino. Dopo una settimana di accuse lanciate dalla stampa tedesca agli Alleati, che si sarebbero apprestati a una forte mossa offensiva, oggi l‘iniziativa l’ha presa la Germania. All’alba il suo esercito, appoggiato da una grande flotta aerea, è penetrato in Belgio, Olanda e Lussemburgo. ... Nessuno qui a Berlino è stato più sorpreso per questo nuovo sviluppo dei ministri belga e olandese. Hanno ricevuto ciascuno un memorandum in cui si spiegava perché la Germania ritenga necessario entrare nei loro paesi alle 6 del mattino, ora locale. In quello stesso momento, le truppe tedesche erano già in marcia. Nel memorandum consegnato ai ministri, il governo tedesco richiedeva ai due governi interessati di ordinare che non venisse opposta resistenza alle truppe germaniche. “Se le truppe germaniche dovessero incontrare resistenza in Belgio o in Olanda, tale resistenza sarà schiacciata con ogni mezzo. Solo i governi belga e olandese porterebbero la responsabilità” conclude il memorandum “delle conseguenze, dello spargimento di sangue che inevitabilmente conseguirebbe.”
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marcel-lo-zingaro · 1 year
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Il 13 settembre 1940 le truppe italiane guidate dal generale Rodolfo Graziani entrarono in Egitto e conquistarono immediatamente el sollum e sidi al barrani, la spedizione italiana numericamente era di gran lunga inferiore alle truppe inglesi, per cui Graziani si rifiutò di proseguire verso Marsa matru'h sino a che Badoglio non gli avesse inviato i giusti rinforzi.
Il Duce promise 30.000 camion blindati e una nutrita schiera di uomini, ma poi li mando' in Grecia e nell'inutile Jugoslavia, nel frattempo gli inglesi si erano rinforzati di nuovi arrivi dal regno di Albione che il 9 dicembre scatenarono la controffensiva polverizzando in tre giorni 5 guarnigioni italiane, a quel punto Graziani mandò un telegramma al comando polemizzando "continuerò le manovre quando la patria mi metterà in condizioni di agire" e ripiegò in quel di Tripoli.
Quello stesso anno, precisamente il 24 maggio a Dunkerque, dopo aver circondato l'esercito alleato Anglo Francese, Hitler ordinò la ritirata invece di dare l'assalto finale e vincere così la seconda guerra mondiale definitivamente, per poi suicidarsi con il successivo attacco alla Russia di Stalin il 22 giugno dell'anno successivo.
Ora mi porrei una domanda; è mai possibile che due statisti che sino allora hanno dimostrato tanta lungimiranza nelle politiche interne, risollevando l'economia di Italia e Germania e azzerando in toto la disoccupazione possano essersi bevuti il cervello con due distinti suicidi militari? I modi trionfalistici con i quali questi si sono fatti conoscere e rispettare dai rispettivi popoli, sembrano escludere il tradimento e far ricondurre il tutto a dei semplici errori di valutazione bellica, ma possibile che dei capi di stato circondati da generali esperti possano commettere simili errori? A volte la verità sta' innanzi agli occhi e ci si rifiuta di guardarla, per cui nel 2016 è passata quasi del tutto inosservata la notizia della desecretazione di parte degli archivi inglesi.
La notizia però non è sfuggita al bravissimo saggista Giovanni Fasanella, il quale unitamente a Mario José Cereghino si è precipitato a spulciare nei succitati archivi scoprendo come i servizi segreti inglesi abbiano creato, finanziato e guidato il fascismo e il fascista Mussolini, i risultati delle loro ricerche unitamente a copie delle documentazioni consultate hanno dato vita al libro edito da chiarelettere "nero di Londra" tuttora acquistabile. Ma in effetti qualche dubbio doveva sorgere sin dalla ridicola marcia su Roma, fatta in treno, senza sparare un petardo, annunciata in gran fanfara da tutti i giornali dell'epoca e culminata col Re prono ad accogliere al portone di palazzo Venezia, la delegazione di sovversivi e affidargli solo tre giorni dopo il governo dell'Italia. Facciamo un attimo di chiarezza, non molti anni (6/9 maggio 1898) prima un certo Bava Beccaris plurimedagliato dava ordine di sparare sulla folla lasciando a terra 81 morti e 450 feriti, due anni dopo i reali vennero uccisi in quel di Monza alimentando uno stato di allerta per l'incolumità dei sovrani, tale, che a rigor di logica, l'esercito avrebbe dovuto fare tabula rasa dei fascisti sin dalla stazione di Faenza, invece gli si è lasciata spalancata la porta; errore anche in questo caso o ordini superiori? A tal proposito rimando a chi mi segue la questione anglo Savoia, con la creazione del giornale Serbo "pijemont" (Piemonte ) grazie al quale vennero reclutati tutti i personaggi - era il periodo degli anarchici - che dapprima cambiarono la posizione geopolitica della Serbia, poi diedero il là alla prima guerra mondiale con l'uccisione dell'arciduca Ferdinando in quel di Sarajevo, una cosa talmente ben studiata che gli attentatori e gli attentati progettati furono 7 distinti nello stesso giorno; poche ore prima che Gavilo Princip sparasse all'arciduca, una molotov sbaglio mira colpendo l'auto della scorta, l'attentatore fu' linciato dalla folla.
Tornando per un attimo agli archivi inglesi, nel 2017 il Daily mail ha dato notizia della vendita all'asta del primo documento firmato da Chamberlain nel quale la Gran Bretagna dichiara guerra alla Germania: ebbene, è datato 25 agosto 1939, ovverosia una settimana prima che i tedeschi entrassero in Polonia, però attenzione, non dimentichiamo che Hitler posticipò la data di invasione, appunto di una settimana, cioè sembra quasi che tutte le parti in gioco sapessero.
In Germania qualcuno aveva capito il tradimento di Hitler, difatti organizzarono il famoso attentato fallito che costò la vita tra gli altri alla mitica volpe del deserto, il generale Ervin Rommel, e se qualcuno si stia chiedendo per quale oscura ragione Rudolf Hess fece il mitico volo su Londra nel maggio 1941, beh collegate tale data con quella dell'attacco alla Russia di Stalin. A proposito di quest'ultimo, sapete come reagì alla notizia dell'attacco tedesco? Si chiuse per 10 giorni nella sua Dacia a riflettere, ovverosia non se lo aspettava minimamente.
A questo punto la domanda è "cui prodest?"
Chissà perché, chissà percome, da ogni manovra i primi a trarne vantaggio sono sempre gli inglesi.
Facendo notare che se un esperimento funziona lo si replicherà ogni qualvolta lo si ritiene opportuno e vantaggioso, mi sposterei ai giorni nostri. Da circa un ventennio nel vecchio continente, a est, regna incontrastato un grande statista lungimirante che ha risollevato le sorti della sua nazione, quintuplicando stipendi e pensioni, quasi azzerando la disoccupazione, questo statista qualche anno fa' è entrato in guerra contro una piccola nazione e facendo esattamente il contrario di quanto sta' scritto in un manuale di tattica militare, è riuscito sinora nell'improbabile impresa di dilatare all'infinito un conflitto che avrebbe potuto vincere in pochi giorni: si è dimenticato di avere un aviazione, non distrugge le strade di accesso dei rifornimenti del nemico, ha mandato in prima linea gli istruttori distruggendo così il proprio stesso esercito, non salvaguarda le proprie postazioni strategiche, ha lasciato in bella mostra facendola distruggere la nave ammiraglia della sua marina, ha lasciato venissero distrutte le sue strutture logistiche, ha creato divisioni tra le sue stesse truppe creando presupposti per degli ammutinamenti, ma niente, non è bastato per far si che - al pari degli altri due statisti citati- la fiducia del proprio popolo venisse meno e qualcuno cominciasse a pensare che tali "errori" bellici siano in realtà un tradimento.
Veniamo al Mali, quarto produttore di uranio al mondo e unico fornitore per le centrali nucleari francesi; se la Francia dovesse perdere tali forniture dovrebbe ripiegare su altre fonti, amplificando l'attuale crisi energetica europea. La Francia - per chi avesse la memoria corta- è quella nazione che non ci ha pensato due volte a radere al suolo la Libia per impossessarsi del petrolio altrimenti destinato all'italia, ma in questo caso sembra che non abbia intenzione alcuna di muoversi.
Al tempo stesso la Russia ha allargato le sue manovre in Africa disperdendo ulteriormente le proprie forze belliche.
Avete ancora dei dubbi? Temete possa esserci una catastrofe nucleare? Tranquillizzatevi, nessun ordigno nucleare verrà mai utilizzato ( a meno che non si voglia provocare la Corea) e tra parentesi, la Russia amicissima dell'Iran mai si è sognata di fornire loro arsenale nucleare, sarà forse perché non sono allineati al sistema? Stesso discorso per la Siria, eppure Putin e Assad sono amiconi per la pelle.
In tutto questo ho una sola domanda; qual è il vero nome di Putin?
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personal-reporter · 1 year
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L’arte e la guerra a Verbania
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Dalla collaborazione fra l’Assessorato alla Cultura del Comune, il Museo del Paesaggio, l’Associazione LetterAltura e l’Associazione Nonsoloaiuto nasce il momento di una nuova proposta culturale per Verbania, L’arte e la guerra, composta da una mostra fotografica  e un’ installazione di land art. La mostra fotografica L’arte e la guerra, di Alessandra Giacardi e Massimo Ferrando, è il  seguito del progetto per il parco archeologico a Karkemish in Turchia sud-orientale, sul confine turco-siriano al margine della Mesopotamia, a cura del Professor Nicolò Marchetti dell’Università di Bologna - Alma Mater Studiorum. Sulla sponda ovest dell’Eufrate, all’interno del parco inaugurato nel 2019, sono state ideate tra il 2017 e il 2018 alcune suggestive opere di Land Art, come Border, La sottile linea rossa e La soglia, poi nel 2022 l’artista Michelangelo Pistoletto, in collaborazione con il Professor Marchetti, ha realizzato l’opera Il Terzo Paradiso, a sancire il valore dell’area non solo da un punto di vista archeologico ma anche artistico e simbolico. La mostra è allestita a Casa Ceretti in Via Roma 42, e resterà aperta fino al 21 maggio. Invece l’installazione di land art Border, realizzata nel parco della Biblioteca Civica "Pietro Ceretti", in via Vittorio Veneto 138, è particolarmente suggestiva dato che si compone di 30 pali di alluminio rossi alti 6 metri, ognuno dotato di sonaglio e di luce notturna, che permettono di godere dell’esperienza di visita in tutte le ore del giorno e della notte. Ogni palo rappresenta simbolicamente una mina e vuole richiamare alla mente la pericolosità del paesaggio di guerra e in particolare di quello in cui si trova il parco archeologico di Karkemish. L’installazione sarà visitabile per tutta l’estate 2023. Città diffusa nata nel 1939 dall’unione di Intra, Pallanza e Suna, Verbania è una delle più note e apprezzate località turistiche del lago Maggiore. Ricca di storia plurimillenaria, immersa nella natura, signorile, offre panorami incantevoli e romantici sul lago e sulle montagne, eleganti e raffinati palazzi e ville di varie epoche, immersi in parchi immensi e giardini rigogliosi con alberi e fiori rari che nulla hanno da invidiare a posti più rinomati. Spesso palcoscenico a cielo aperto di romanzi e film. Un passato tra il 700, la Belle Epoque e gli anni 30 del secolo scorso che ha fatto sognare con la vicina Stresa. Luoghi e paesaggi che hanno incantato, inspirato e stupito re, regine, nobili, pittori, artisti, scrittori di ogni epoca e ogni latitudine. In molti presero ad abitare qui, su tutti Paolo Troubetzkoy, artista russo ma verbanese d’adozione. Costruì un vero e proprio cenacolo culturale, che diede vita a diversi movimenti pittorici e scultorei. Il celebre direttore d’orchestra Arturo Toscanini, dal 1927 al 1952 scelse di risiedere sull’isolino San Giovanni di fronte al centro di Pallanza. Isolino dove nel corso dei secoli si sono alternati numerosi personaggi illustri. Punto fermo il rigoglioso e coloratissimo giardino di Villa Taranto a Pallanza, uno dei più belli d’Italia e del mondo; fa parte del circuito inglese della Royal Horticultural Society. Visitato ogni anno da più di 150.000 persone, è stata realizzato tra il 1931 e il 1940 dal capitano scozzese Neil Mc Eacharn con l’aiuto del botanico Henry Cocker, su un’area di circa 20 ettari tra lago e collina con un patrimonio botanico che conta più di 20.000 varietà e specie di particolare valenza botanica provenienti da tutto il mondo. Particolarmente apprezzata è la fioritura dei 50mila tulipani in primavera. Decisamente gradito dai turisti e davvero comodo,  è l’arrivo con i battelli che solcano il lago e che hanno l’attracco proprio davanti ai giardini della villa. Dall’ingresso della villa parte una pista ciclopedonabile che porta in centro a Pallanza, apprezzatissima da visitatori e locali, da dove si può godere al meglio del lago. A Pallanza si possono ammirare anche Villa Giulia e Villa San Remigio, con giardini stupendi e una storia davvero unica da raccontare. La storia dell’ottocentesca Villa Giulia, in stile neoclassico è legata alla famiglia Branca, inventori nel 1836 di uno dei più famosi liquori italiani il Fernet. Negli anni 30′ del secolo scorso, divenne Hotel, ma anche Casinò noto come Kursaal. Negli anni ‘80 e primi ‘90 fu poi apprezzatissima discoteca all’aperto. Oggi Villa Giulia è di proprietà comunale ed è sede di numerose mostre ed esposizioni di arte, soprattutto, ospita importanti manifestazioni come la Mostra della Camelia, uno dei fiori tipici del territorio, sia in primavera che in inverno. Sulla sommità del Colle della Castagnola troviamo Villa San Remigio che domina il lago con un giardino di otto ettari, conosciuta per essere una delle locations per antonomasia dei matrimoni sul lago Maggiore. Deve il suo nome da una piccola chiesa romanica del XII secolo, dedicata appunto a San Remigio che delimita il parco. Realizzata a fine dell’800 da una coppia di nobili, il marchese Silvio della Valle di Casanova, musicista e poeta, e dalla moglie l’irlandese Sophie Browne, pittrice, che l’aveva ricevuta in eredità dal nonno. L’idea era quella di ricreare un ambiente di perfetta simbiosi tra natura e arte. Fecero trasformare e ampliare un preesistente chalet in stile svizzero, in una villa in stile barocco lombardo. Nel grande parco oltre a maestose e imponenti piante centenarie, fiori, essenze varie troviamo statue antiche di diverse epoche e Il parco è costituito da giardini a stanze e terrazzamenti, in vari stili, italiano, inglese, medievale e frutteto. Vari stretti passaggi immettono in giardini a tema: delle Ore, della Letizia, della felicità, della Mestizia, delle Memorie e infine in quello dei Sospiri. Grazie alla collezione di spartiti autografi di Liszt, la villa è stata anche un importante punto d’incontro di musicisti provenienti da tutto il mondo. Da Gabriele D’Annunzio, Isolde Kurz, Richard Voss, Georg Brandes, ai pianisti Emil Von Sauer, Wilhelm Kempff, al compositore Hugo Wolf e a Ferruccio Busoni che proprio qui fu ritratto da Umberto Boccioni. A Pallanza merita certamente una visita, il Museo del paesaggio, a Palazzo Viani-Dugnani, dove si possono ammirare affreschi e dipinti risalenti al XV secolo. Una parte è dedicata alla gipsoteca Troubetzkoy con lastre, stampe, disegni di vario tipo, oltre a una parte archeologica dedicata ai reperti appartenenti ai Leponzi. Sempre a Pallanza, la chiesa romanica di Madonna di Campagna, che custodisce opere di Camillo Procaccini, Bernardino Lanino, nota per il miracolo del sole, a marzo e agosto. Intra è il cuore pulsante di Verbania: il mercato del sabato mattina, l’imbarcadero in stile liberty del 1860 con i ristoranti affacciati sul lago, l’apprezzata Piazza Ranzoni, la movida nelle sere d’estate e la salita di Via San Vittore, ricca di negozi di ogni genere e locali vari, tra viuzze laterali e cortili che si aprono improvvisamente che conquista per i suoi colori e lo stile, meta di turisti di ogni angolo del mondo. Qui sorge anche il particolare ed avveniristico Teatro “Il Maggiore” progettato da un team di architetti sotto la guida dello spagnolo Salvador Perez Arroyo. La frazione di Suna con il suo chilometrico lungo lago con spiagge dove poter fare il bagno e un’ampia scelta di locali dove pranzare o prendere l’aperitivo ammirando il lago con lo straordinario tramonto che regala in ogni stagione, e il paesaggio con le luci notturne. Senza dimenticare le altre frazioni come Biganzolo con la sua spiaggia, Trobaso, Zoverallo e Arizzano, dove godere del fresco d’estate, contemplando il lago. Cavandone con il Monterosso luogo di culto dei Celti, e ammirare una pianta di tasso di oltre 400 anni. Uno dei punti di forza del territorio di Verbania è la Riserva Naturale Speciale di Fondotoce, che si estende su 365 ettari sul tratto della foce del fiume Toce. Un’area protetta che comprende una zona umida e un canneto, caratterizzata da un alto grado di biodiversità con molti animali selvatici di ogni genere. Per favorire l’avvicinamento dei visitatori ai luoghi più nascosti e suggestivi della riserva e per facilitare l’osservazione dei suoi abitanti animali è stato creato un facile sentiero pianeggiante, percorribile in un’ora circa. Read the full article
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papermoonloveslucy · 4 years
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THE BANK OUTING BASEBALL GAME
September 16, 1949
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“The Bank Outing Baseball Game” (aka “Baseball”) is episode #54 of the radio series MY FAVORITE HUSBAND broadcast on September 16, 1949.
This was the third episode of the second season of MY FAVORITE HUSBAND. There were 43 new episodes, with the season ending on June 25, 1950.  
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The date this episode first aired, a Gallup Poll listed Bob Hope as America's most popular comedian. Milton Berle finished second while Jack Benny, Red Skelton and Fibber McGee and Molly rounded out the top five. Coincidentally, a few years before this episode aired, Hope had become partial owner of the Cleveland Indians baseball team. 
Synopsis ~ Liz is determined not to be left out of the baseball game at the Annual Bank Outing, so she persuades her neighbor Mr. Wood to teach her how to play the game.
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“My Favorite Husband” was based on the novels Mr. and Mrs. Cugat, the Record of a Happy Marriage (1940) and Outside Eden (1945) by Isabel Scott Rorick, which had previously been adapted into the film Are Husbands Necessary? (1942). “My Favorite Husband” was first broadcast as a one-time special on July 5, 1948. Lucille Ball and Lee Bowman played the characters of Liz and George Cugat, and a positive response to this broadcast convinced CBS to launch “My Favorite Husband” as a series. Bowman was not available Richard Denning was cast as George. On January 7, 1949, confusion with bandleader Xavier Cugat prompted a name change to Cooper. On this same episode Jell-O became its sponsor. A total of 124 episodes of the program aired from July 23, 1948 through March 31, 1951. After about ten episodes had been written, writers Fox and Davenport departed and three new writers took over – Bob Carroll, Jr., Madelyn Pugh, and head writer/producer Jess Oppenheimer. In March 1949 Gale Gordon took over the existing role of George's boss, Rudolph Atterbury, and Bea Benaderet was added as his wife, Iris. CBS brought “My Favorite Husband” to television in 1953, starring Joan Caulfield and Barry Nelson as Liz and George Coope.  The television version ran two-and-a-half seasons, from September 1953 through December 1955, running concurrently with “I Love Lucy.” It was produced live at CBS Television City for most of its run, until switching to film for a truncated third season filmed (ironically) at Desilu and recasting Liz Cooper with Vanessa Brown.
MAIN CAST
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Lucille Ball (Liz Cooper) was born on August 6, 1911 in Jamestown, New York. She began her screen career in 1933 and was known in Hollywood as ‘Queen of the B’s’ due to her many appearances in ‘B’ movies. With Richard Denning, she starred in a radio program titled “My Favorite Husband” which eventually led to the creation of “I Love Lucy,” a television situation comedy in which she co-starred with her real-life husband, Latin bandleader Desi Arnaz. The program was phenomenally successful, allowing the couple to purchase what was once RKO Studios, re-naming it Desilu. When the show ended in 1960 (in an hour-long format known as “The Lucy-Desi Comedy Hour”) so did Lucy and Desi’s marriage. In 1962, hoping to keep Desilu financially solvent, Lucy returned to the sitcom format with “The Lucy Show,” which lasted six seasons. She followed that with a similar sitcom “Here’s Lucy” co-starring with her real-life children, Lucie and Desi Jr., as well as Gale Gordon, who had joined the cast of “The Lucy Show” during season two. Before her death in 1989, Lucy made one more attempt at a sitcom with “Life With Lucy,” also with Gordon.
Richard Denning (George Cooper) was born Louis Albert Heindrich Denninger Jr., in Poughkeepsie, New York. When he was 18 months old, his family moved to Los Angeles. Plans called for him to take over his father's garment manufacturing business, but he developed an interest in acting. Denning enlisted in the US Navy during World War II. He is best known for his  roles in various science fiction and horror films of the 1950s. Although he teamed with Lucille Ball on radio in “My Favorite Husband,” the two never acted together on screen. While “I Love Lucy” was on the air, he was seen on another CBS TV series, “Mr. & Mrs. North.” From 1968 to 1980 he played the Governor on “Hawaii 5-0″, his final role. He died in 1998 at age 84.
Bea Benadaret (Iris Atterbury) was considered the front-runner to be cast as Ethel Mertz but when “I Love Lucy” was ready to start production she was already playing a similar role on TV’s “The George Burns and Gracie Allen Show” so Vivian Vance was cast instead. On “I Love Lucy” she was cast as Lucy Ricarodo’s spinster neighbor, Miss Lewis, in “Lucy Plays Cupid” (ILL S1;E15) in early 1952. Later, she was a success in her own show, "Petticoat Junction” as Shady Rest Hotel proprietress Kate Bradley. She starred in the series until her death in 1968.
Gale Gordon (Rudolph aka Rudy Atterbury) had worked with Lucille Ball on “The Wonder Show” on radio in 1938. One of the front-runners to play Fred Mertz on “I Love Lucy,” he eventually played Alvin Littlefield, owner of the Tropicana, during two episodes in 1952. After playing a Judge in an episode of “The Lucy-Desi Comedy Hour” in 1958, he would re-team with Lucy for all of her subsequent series’: as Theodore J. Mooney in ”The Lucy Show”; as Harrison Otis Carter in “Here’s Lucy”; and as Curtis McGibbon on "Life with Lucy.” Gordon died in 1995 at the age of 89.
Ruth Perrott (Katie, the Maid) was also later seen on “I Love Lucy.” She first played Mrs. Pomerantz, a member of the surprise investigating committee for the Society Matrons League in “Pioneer Women” (ILL S1;E25), as one of the member of the Wednesday Afternoon Fine Arts League in “Lucy and Ethel Buy the Same Dress” (ILL S3;E3), and also played a nurse when “Lucy Goes to the Hospital” (ILL S2;E16). She died in 1996 at the age of 96.
Bob LeMond (Announcer) also served as the announcer for the pilot episode of “I Love Lucy”. When the long-lost pilot was finally discovered in 1990, a few moments of the opening narration were damaged and lost, so LeMond – fifty years later – recreated the narration for the CBS special and subsequent DVD release.
GUEST CAST
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Hans Conried (Mr. Benjamin Wood) first co-starred with Lucille Ball in The Big Street (1942). He then appeared on “I Love Lucy” as used furniture man Dan Jenkins in “Redecorating” (ILL S2;E8) and later that same season as Percy Livermore in “Lucy Hires an English Tutor” (ILL S2;E13) – both in 1952. The following year he began an association with Disney by voicing Captain Hook in Peter Pan. On “The Lucy Show” he played Professor Gitterman in “Lucy’s Barbershop Quartet” (TLS S1;E19) and in “Lucy Plays Cleopatra” (TLS S2;E1). He was probably best known as Uncle Tonoose on “Make Room for Daddy” starring Danny Thomas, which was filmed on the Desilu lot. He joined Thomas on a season 6 episode of “Here’s Lucy” in 1973. He died in 1982 at age 64.
Although his first name is not mentioned here, it will be in future episodes. 
THE EPISODE
ANNOUNCER: “Come with us to the quiet little town of Sheridan Falls and let’s look into the brown house at 321 Bundy Drive where the Coopers live. They’re entertaining George’s boss, Mr. Atterbury, and his wife. And the subject under discussion is the forthcoming annual bank outing.”
The episode opens with Liz and Iris discussing what to wear to the bank outing. George disapproves of Liz’s new play suit. 
LIZ: “George thinks it’s too daring. He says there’s too much play and not enough suit.”
It is typical for George to disapprove of Liz’s revealing wardrobe choices, although the conversation generally revolves around swimwear. Iris wonders if she should wear her new blue slacks.
RUDY: “Why do they call them slacks? I’ve never seen any in them.”
George and Rudolph imitate the girls by feminizing their own wardrobe predicament, another comedic tact the boys have done before. George and Rudolph reveal that they have been named team captains. Iris says she’ll get a bottle of Absorbine Junior. 
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Absorbine Jr. is a fast absorbing, deep penetrating topical pain reliever. It provides relief from sore muscles and cramps as well as athlete’s foot. The Absorbine company was established in 1892 as a lineament for horses. A version for humans (Absorbine Jr.) was introduced in 1903 and is still sold today.
Rudolph and George tell their wives that they won’t be playing at all, because the teams are comprised of husbands and wives, and they have no confidence in them on the baseball diamond. The girls beg to be allowed to play, despite knowing nothing about the game.
RUDOLPH: “Forget it, DiMaggio.”
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Joe DiMaggio (1914-99) was a professional baseball player who played his entire career for the New York Yankees. He was nicknamed “Joltin’ Joe” and “The Yankee Clipper” for his batting skill. The summer of 1949 was when DiMaggio shined the brightest. He batted .381 against the Red Sox that year, with six homers through 13 games.The Yanks would eventually win the World Series in 1949, the first of a record five straight. 
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Joe DiMaggio was mentioned on “I Love Lucy” in “Lucy is Enceinte” (ILL S2;E10), Fred gives Lucy a signed baseball for his future ‘godson’. When he asks Lucy to read out the signature, she at first says “Spalding,” the ball’s brand name, but then finds it is signed by Joe DiMaggio. In “Ragtime Band” (ILL S6;E21), Little Ricky asks Fred, “Who’s Joe 'Maggio?”
George rhapsodizes about his college baseball career, telling a story they’ve all heard before.
GEORGE: “There’s a certain group of spectators who will never forget the afternoon of August 25, 1933.” 
This date was actually Lucille Ball’s 22nd birthday. 1933 was Ball’s first year in Hollywood, and the year her first four films were released. 
After George does a dramatic play-by-play of his big college game victory, Liz says:
LIZ: “Thank you, Ted Husing.” 
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Edward ‘Ted’ Husing (1901-62) was among the first to lay the groundwork of sports reporting on television and radio. In 1946, Husing left CBS sports to pursue a career as a disk jockey and was succeeded by Red Barber. “The Ted Husing Bandstand” ran from 1946 to 1954.
The scene ends with the wives begging to play, and the boys uniformly shouting “no”!  That night in bed, Liz wakens in tears about being left out of the baseball game, feeling she is being left out.  
Next day, Liz tells Katie the Maid she’s decided to learn how to play baseball. Iris drops by with books about how to play baseball. Katie reads out the rules. The doorbell rings. It is the Cooper’s neighbor, Mr. Wood (Hans Conried), who is lonesome, despite having eleven children. He volunteers to teach the girls baseball. After all, he saw a World Series game once. He mentions Babe Ruth. 
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George Herman "Babe" Ruth Jr. (1895-1948) was a professional baseball player whose career spanned 22 seasons, from 1914 through 1935. Nicknamed "The Bambino" and "The Sultan of Swat", he began his career as a pitcher for the Boston Red Sox, but achieved his greatest fame playing with the New York Yankees.  
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Ruth was mentioned on a 1963 episode of “The Lucy Show” when Lucy and Viv’s sons join Little League. [Desi Arnaz Jr. played billy Simmons in the show, and Ball posed for this publicity still with her son.] 
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It is here that the episode starts to vaguely resemble “The Golf Game” (ILL S3;E30) in 1954. In it, Lucy and Ethel decide they want to play golf with their husbands, despite the boys saying they known nothing about the game. In fact, they don’t, so they fall for whatever ridiculous rules the boys make-up. Coincidentally, this sport-themed episode was filmed on Hans Conried’s 37th birthday. The Little League-themed “Lucy Show” mentioned above was first aired on Conried’s 45th birthday! 
Using the living room as their baseball diamond and sofa cushions as bases, Mr. Wood attempts to teach the girls the finer points of baseball.  
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In “Lucy and the Winter Sports” (TLS S3;E3) in 1964, Mr. Mooney attempts to teach Mrs. Carmichael how to ski without ever leaving the living room. Needless to say, the results are equally disastrous. 
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This is not the last time Mr. Wood (played by Hans Conried) will teach Liz an outdoor sport in her own living room. In June 1950 Conried returns to the series to play Mr. Wood, who teaches Liz to swim - without ever getting wet! 
Mr. Wood’s frantic lesson turns into a loosely familiar version of the famous “Who’s On First” comedy routine perfected by Bud Abbott and Lou Costello. 
LIZ: “Who’s on third?” MR. WOOD: “Abbott and Costello!”
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Although the routine had been around in different forms since vaudeville, Abbott and Costello first put their baseball spin on the routine in 1938. In 1999, Time Magazine named the routine Best Comedy Sketch of the 20th Century.  In 1945, Lucille Ball played herself in their movie Abbott and Costello in Hollywood. 
Mr. Wood gives up on his coaching, but Liz reveals that she’s already signed them up for the game!  
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A bank outing will also be the subject of “Lucy and Clint Walker” (TLS S2;E24) in 1966. Lucy and Clint win the balloon race, but baseball is not on the agenda. The day of the Bank Outing, Liz and Iris are enjoying hot dogs. Iris orders a second hot dog with pickle, mustard, chili sauce, ketchup, lettuce, butter, salt, pepper, and a dash of horseradish!  
RUDY: “Iris, at least give the hot dog a fighting chance.”
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Iris’s voracious appetite is a character trait that was later ascribed to Ethel Mertz. Baseball and hot dogs are classic Americana. The two were combined when Lucy Ricardo pretends to be a hot dog vendor to get a message to Bob Hope at Yankee Stadium in the “I Love Lucy” season six opener.   
George has worn his old college baseball uniform. Mr. Wood is acting as umpire. George’s strategy is to keep Liz on the bench till the team gets in a tight spot. 
RUDY: “Iris is up first. Has anyone seen the old bat? Oh, there it is on the ground.”
Miraculously, Iris hits a ball out of the park!  Shocked, she doesn’t run the bases.
Later, the score is ten to nothing with the Cooper side down but when the score quickly ties and Liz is still on the bench. At batting practice, George accidentally hits himself in the head with a bat!  George passes out and Liz is up at bat!  Liz starts out facing the catcher!  With two strikes, Liz hits the ball! 
Later, George revives and Liz tells him that they won by one run - made by her! Rudy reveals that they won by default when Liz got hit by the ball, forcing the runner at third to walk home and win the game!  
MORE BALL AT BAT!
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In addition to the episodes cited above, Lucille Ball also suited up in 1963′s “Lucy and Viv Play Softball” (TLS S2;E3).  
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Lucy Carmichael’s son got to meet Jimmy Pearsall of the Los Angeles Angels in the very first episode of “The Lucy Show” to take place in California. 
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In real life, Lucille Ball batted for Wildcat on the Broadway Show League in 1961. Julie Andrews of Camelot was catcher, and Joe E. Brown was umpire! 
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The year before this episode of “My Favorite Husband” aired (1948), the great Babe Ruth signed a game-used baseball that was then also signed by Lucille Ball and Rod Carew. 
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Batting practice for Kathleen (Lucille Ball) in The Dark Corner (1946). 
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Putting her Best Foot Forward for a pitch in 1943. 
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Like mother, like daughter! In 2011, the New York Yankees invited Lucie Arnaz to throw out the first pitch to mark Latin Heritage Month.  
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Gustav Holm e la scoperta della Groenlandia orientale
Il 6 agosto 1849 nacque a Copenhagen l'esploratore danese Gustav Frederik Holm.Seguendo le orme di suo padre e suo nonno, entrambi ufficiali, entrò nella Marina Reale danese come sottotenente nel 1870, e dopo una brillante carriera fu nominato direttore del Royal Pilotage Service nel 1912, un incarico di responsabilità che ricoprì con grande successo durante la prima guerra mondiale e fino a quando non si ritirò definitivamente dal servizio, nel 1919. I più grandi successi Holm, tuttavia, li ebbe in qualità di esploratore artico ed è così che comincia la storia che vogliamo raccontarvi. Nella seconda metà del XIX secolo, nacque l'idea di avviare una sistematica indagine geologica e geografica della Groenlandia: l'autore di questa proposta era Frederik Johnstrup, professore di mineralogia all'Università di Copenaghen, che nel 1875 presentò un piano dettagliato al governo, il quale tre anni dopo nominò una Commissione per la direzione geologica e geografica le investigazioni in Groenlandia.Nel 1876 Holm prese parte alla prima di una lunga serie di spedizioni nella Groenlandia occidentale come addetto al rilevamento, sotto la guida di Knud J. V. Steenstrup: le ricerche portarono alla mappatura di circa 4.000 chilometri quadrati nel distretto di Julianehåb, in cui vennero raccolte un numero considerevole di antichità e di piante. La sua conoscenza della costa orientale, la sua familiarità con i nativi della Groenlandia e con le loro tecniche di viaggio, spinsero Holm a condurre una spedizione in quelle regioni per rintracciare possibili tracce dell'occupazione norrena sulla costa orientale. Nel 1883 partì quindi con l’intento di seguire le acque costiere libere dal ghiaccio per mezzo di umiak, agili imbarcazioni Inuit ricoperte di pelle, ed esplorare la costa orientale, da Cape Farewell verso nord. Il suo secondo in comando era il tenente V. Garde della Royal Danish Navy, e lo staff scientifico era composto dal botanico P. Eberlin, dal mineralogista norvegese Hans Knutsen e da un gruppo di nativi, profondi conoscitori della lingua locale e delle tecniche di navigazione. I membri danesi della spedizione lasciarono Copenaghen nel maggio 1883 e dopo un lungo viaggio proseguirono verso il piccolo avamposto groenlandese di Nanortalik per svernare, portare avanti osservazioni meteorologiche e prepararsi per il grande viaggio che avrebbe avuto luogo l'estate successiva.Il 5 maggio tutto era pronto e la spedizione, che consisteva in trentasette persone, a bordo di quattro umiak e alcuni kayak di accompagnamento, si mise in viaggio verso la costa orientale. Di qui in avanti la morsa del pack fermò a più riprese il loro andare, finché nei pressi del ghiacciaio Puissortoq, considerato uno dei luoghi più pericolosi in quella parte della costa, metà dell'equipaggio dichiarò apertamente la propria riluttanza ad andare oltre. Holm fu così costretto a rimandarli indietro con uno degli umiak. Le barche rimaste si misero nuovamente in viaggio e dopo essersi divise, poiché parte della spedizione aveva il compito di indagare i fiordi meridionali, arrivarono sull'isola di Dannebrog raggiungendo, l'ultimo giorno di agosto, il tanto atteso obiettivo: Angmagssalik, a circa 800 chilometri da Cape Farewell. Holm da eccellente osservatore, scrisse un brillante resoconto della vita indigena prima di tornare indietro e ricongiungersi con Garde sulla costa occidentale. I risultati della spedizione furono numerosi sia dal punto di vista geografico che etnologico: l’opera di Holm è uno dei primi primi resoconti moderni e scientifici sugli eschimesi, un testo fondamentale per la ricerca etnologica. La spedizione ad Angmagssalik fu l'ultimo viaggio scientifico di Holm verso la Groenlandia, la terra verde, tuttavia quando il governo danese decise di istituire una missione e una stazione commerciale proprio ad Angmagssalik, il compito fu affidato a Holm che così nel 1894 visitò il luogo per la seconda volta. Nel periodo tra il 1884 e il 1894, infatti, la popolazione della Groenlandia orientale era drasticamente diminuita da 413 a 243 unità: per impedirne il totale spopolamento e per mantenere la sovranità danese in quel territorio lo stabilimento era di vitale importanza.Nel 1896 Holm fu nominato membro della Commissione per la direzione delle inchieste geologiche e geografiche in Groenlandia e negli anni successivi si occupò anche di studi di storia geografica, in particolare di argomenti riguardanti l’esatta ubicazione del territorio del Vinland, scoperto da Leif Eriksson. Gustav Frederik Holm fu un personaggio molto umile, schivo, che evitò con ostinazione di recitare un ruolo nella vita pubblica. Tuttavia, i suoi contributi alla scienza geografica ed etnologica non furono dimenticati. Nel 1890 ricevette la medaglia della Roquette della Geographical Society di Parigi e nel 1895 gli fu conferita la medaglia d'oro della Royal Danish Geographical Society. Nel 1923 fu nominato membro onorario della Greenland Society di Copenaghen e quando l'università di Copenaghen celebrò il suo 450esimo anniversario nel 1929, fu proclamato Dottore in Filosofia honoris causa. Morì a Copenhagen il 13 marzo del 1940.
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Lo zio di Christian De Sica e l’omicidio di Trotsky
«Era zio di mia madre, non proprio il tipo che inviti al pranzo di Natale. Era un aristocratico che ad un certo punto è diventato comunista. Poi l'hanno mandato in Messico ad ammazzare Trotsky. Ci hanno fatto anche un film: con Richard Burton che faceva Trotsky e Alain Delon nella parte di mio zio» C.De Sica
Jaime Ramón Mercader del Río Hernández è stato un agente segreto spagnolo naturalizzato sovietico. Nato in Spagna nel 1913, trascorse gran parte della sua gioventù in Francia con la madre Eustacia María Caridad del Río Hernández. Fin da giovane abbracciò le ideologie comuniste, cooperando con organizzazioni di sinistra spagnole verso la metà degli anni trenta. Venne anche imprigionato per attività politica e fu scarcerato nel 1936, quando in Spagna salì al potere un governo di sinistra. Nel frattempo, sua madre divenne agente segreto sovietico e lui la seguì a Mosca dove venne soprannominato dai suoi superiori "Gnome".
Iniziò dunque ad operare per il NKVD - Narodnyi kimissariat vnutrennich del, organo di polizia segreta dell'URSS, ramificato all'estero – dal quale venne incaricato di assassinare Lev Trockij (Trotsky), che diversi anni prima era stato esiliato dall'Unione Sovietica, ma continuava a fare propaganda contro il leader sovietico Stalin attraverso i suoi scritti in Messico.
«Che c'è ‘a rumba? Io sò frocio pa rumba!»
Mercader si trasferì quindi in Messico nell'ottobre del 1939, con un falso passaporto intestato al nome di Jacques Mornard e con la falsa occupazione di uomo d'affari, nato a Teheran da un inesistente diplomatico belga. Attraverso una segretaria statunitense di Trockij, Sylvia Ageloff, che aveva appositamente corteggiato a Parigi e che aveva poi seguito negli USA e in Messico, riuscì a venire a contatto con Trockij, spacciandosi per un seguace canadese delle sue idee politiche. Il politico russo era appena sfuggito, nel maggio del 1940, all'assalto armato organizzato dal celebre pittore David Alfaro Siqueiros, di tendenza staliniana.
Il 20 agosto 1940, Mercader ferì a morte Trockij, sfondandogli il cranio con una piccozza da ghiaccio dal manico tagliato, nella sua residenza a Coyoacán. Mercader fu ferito e quindi arrestato dalle autorità messicane, alle quali non rivelò mai la sua vera identità: tuttavia, venne condannato per omicidio a 20 anni di carcere.
«Quali che siano le circostanze della mia morte, io morirò con la incrollabile fede nel futuro comunista. Questa fede nell'uomo e nel suo futuro mi dà, persino ora, una tale forza di resistenza che nessuna religione potrebbe mai darmi.» L.Trotsky
«Un discorso molto poetico... Non c'ho capito un cazzo!»
Nel 1953 la sua vera identità venne scoperta ma i suoi legami con NKVD rimasero segreti fino allo scioglimento dell'Unione Sovietica. Il 6 maggio 1960 venne rilasciato dal carcere dopo diverse richieste di grazia. Si trasferì così a L'Avana dove fu accolto da Fidel Castro, che si era appena avvicinato all'URSS. Nel 1961 si recò in Unione Sovietica dove in precedenza il governo staliniano lo aveva insignito con la medaglia d'Eroe dell'Unione Sovietica, una delle più alte onorificenze della nazione: l'onorificenza gli fu successivamente revocata nel 1963 per ordine di Chruščëv.
Trascorse il resto della vita tra Cuba, la Cecoslovacchia e l'URSS. Morì a L'Avana nel 1978 a causa di un sarcoma e venne sepolto a Mosca nel cimitero di Kuncevo, dove tuttora si trova la sua tomba. Il fratello raccontò che Ramón presumibilmente morì a causa delle radiazioni emanate da un orologio da polso donatogli a Mosca dai vecchi compagni. Nell'orologio era stata nascosta una pastiglia di un radionuclide di tallio.
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Vanda, all’origine della bellezza dei libri di Eugenio Corti
Il colpo di fulmine, l’esame fallito per il timore di non rivederla, la convinzione di aver incontrato la donna voluta per lui dal Cielo. Nell’epistolario di Eugenio Corti con Vanda ci sono tutti i tratti dell’uomo e grande scrittore de “Il Cavallo Rosso”. Che sapeva di avere contro la cultura dominante, ma sapeva anche di avere al suo fianco una moglie che non è «una donna comune, bensì nobile, e di antica nobiltà, in tutti i sensi».
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di don Giovanni Fighera (18-07-2019)
Eugenio Corti incontrò la futura moglie mentre attendeva di essere chiamato a sostenere l’ultimo esame all’Università Cattolica di Milano. Quando fu il suo turno, ebbe fretta di terminare l’interrogazione per paura di non ritrovare più quella ragazza che aveva conosciuto poco prima. Fu così che fu bocciato. Era il luglio 1947. Corti riuscì a rivedere la ragazza con cui aveva scambiato qualche parola prima della prova, si recò poi in visita a casa sua senza trovarla, infine le scrisse una lettera, datata 14 luglio 1947:
Quando ho visto te, mi è sembrato che la tua bellezza esteriore non fosse, come molte, soltanto esteriore, ma fosse lo specchio di quella dell’anima. Per questo ho desiderato conoscerti e divenirti amico. Tu hai accennato a una tua grande sofferenza. […] Anch’io ho molto sofferto. Quello che io sono lo potrai leggere in un libro.
Si trattava de I più non ritornano, il primo diario pubblicato sulla guerra in Russia, relativo a 28 giorni trascorsi in una sacca sul fronte.
Corti amava moltissimo la scrittura e continuò a comunicare per anni con Vanda e con gli amici attraverso le lettere. Negli anni della Seconda Guerra Mondiale, Corti aveva raccontato la sua esperienza umana e storica nelle lettere scritte dal 6 giugno 1942 al 29 gennaio 1943, che sarebbero state pubblicate con il titolo Io ritornerò nel 2016 (Edizioni Ares), un testo dalla grandissima rilevanza letteraria, perché quell’epistolario era una vera e propria fucina di uno scrittore che aveva già scoperto la sua vocazione.
Già dal 1940 Corti aveva iniziato ad affidare a un diario-zibaldone le sue riflessioni sulla vita, sulla guerra, sull’amore. Corti aspettava e sognava l’amore, quello eterno, che non l’avrebbe mai più abbandonato per tutta la vita. Dedicò addirittura i suoi ricordi memoriali a quella donna che ancora non aveva incontrato e promise che ne avrebbe parlato diffusamente il giorno che l’avesse conosciuta:
A te
che ancora non conosco
e che un giorno diventerai
la compagna della mia vita,
ai tuoi grandi occhi
lucenti
questi diari,
sui quali certamente mi accadrà di narrare
il nascere del nostro amore.
Corti non riuscì, però, a mantenere la promessa e nel diario sarebbe comparso di lei solo un fugace accenno: «Dovrei ora parlare di V., più importante di quanto detto finora, ma non lo faccio». Era il novembre 1947. Poco tempo dopo Corti interruppe il diario e dedicò all’amata lettere molto intense.
«Da giovane», mi raccontava Vanda Corti in un’intervista del 2016, «Eugenio è sempre stato in attesa di conoscere la donna che il Cielo gli avrebbe fatto incontrare. C’è una pagina di diario, scritta quando aveva vent’anni, in cui Eugenio attesta la certezza e, nel contempo, l’attesa gioiosa di incontrare la fanciulla che sarebbe diventata la compagna della sua vita. La sua era una visione stilnovista, la donna è un miracolo del Cielo, come la Beatrice di Dante. Nelle pagine di diario si vede questa attesa continua. Ma non c’era una ragazza che gli andasse bene. Prima di me si era innamorato di Margherita, che è stato un amore platonico, da cui rimase deluso, perché la ragazza gli apparve presto diversa da come si era immaginato».
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Vanda confidava, poi, che non era certa che avrebbe pubblicato le lettere che Eugenio le aveva inviato negli anni di fidanzamento e nei primi anni di matrimonio. Ora, finalmente, esce pubblicata da Ares la silloge «Voglio il tuo amore». Lettere a Vanda 1947-1951. Le lettere attestano il rapporto tra lo scrittore e Vanda: il primo incontro all’Università Cattolica, gli anni del fidanzamento fino al matrimonio celebrato ad Assisi il 23 maggio 1951 dall’amico don Carlo Gnocchi.
Il libro riporta anche le lettere che Vanda scrisse in risposta a Eugenio durante il fidanzamento. Poche settimane prima del matrimonio, il 7 maggio 1951 Vanda riconosceva con gratitudine la grazia di aver incontrato Eugenio: «In questi giorni mi sono sentita circondata dal tuo affetto, lo sento sempre come un dono, che possiedo sicuramente, che nessuno mi potrà togliere ed è questa sicurezza che mi dà la gioia più grande». La fidanzata rilesse in quei giorni quasi tutta la corrispondenza che il fidanzato le aveva inviato: «Ho ritrovato tutto di te, i tuoi entusiasmi e le tue ire, i momenti di serenità e di pessimismo. Ma, in un modo o in un altro, c’era sempre scritto che tu mi hai amata, fin dal primo incontro, quando mi hai visto là sulla scaletta di san Francesco, con una forza e una determinazione che hanno costretto me ad amarti. Qualche tua lettera mi ha veramente commosso».
Vanda scrisse, poi, del libro di Corti appena pubblicato da Garzanti il 2 maggio 1951 ovvero I poveri Cristi (sarebbe stato pubblicato da Ares nel 1994 in veste rielaborata con il titolo Gli ultimi soldati del re). Vanda lo lesse con un interesse particolare: «Io cerco te nel libro: voglio conoscere la tua storia di anni, quando ancora non ti conoscevo. Ma spesso ti ho dimenticato e mi sono lasciata attrarre solo da quello che racconti. Ti amo tanto. Non posso più concepire la mia vita se non unita profondamente a te».
Nell’epilogo della raccolta epistolare Vanda sintetizza gli anni del matrimonio: i periodi di profonda intesa alternati ad altri di scontro, le delusioni del marito per il successo clamoroso mai arrivato, neanche dopo l’uscita de Il cavallo rosso («i lettori erano sì molti» scrive Vanda «ma nella completa indifferenza della stampa ufficiale e della critica»), il senso di inutilità di lei che si tradusse nella poesia Andando che recitava «Voglio tornare alla mia terra». Era il 1993.
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Eugenio Corti rispose alla moglie con una lettera: «Per due volte parli di te stessa come di una “che non ha dato frutti”: ma non è vero, la realtà non è questa. La mancanza di figli della carne è evidente; anch’io un tempo li desideravo, ma noi due non eravamo chiamati a questo: la nostra unione, nei disegni di Dio, non aveva questo fine. […] I nostri veri figli sono i nostri libri che non vengono solo da me, ma anche da te. Essi si reggono interamente - come sai - su due colonne: la verità e la bellezza, e senza di te al mio fianco e sotto i miei occhi tutti i giorni, la loro bellezza non ci sarebbe stata, o sarebbe stata enormemente monca, cioè appunto, in conclusione non ci sarebbe stata».
Corti riconosceva di aver contro la cultura dominante dell’epoca contemporanea, ringraziava Dio di non aver goduto in vita del grande successo (per non cedere alle tentazioni dell’orgoglio), invitava la moglie a continuare a cercare in sua compagnia solo il Regno di Dio (che è tutto ciò che occorre). «Forse non è facile per una donna condividere una tale impostazione di vita»: ma la sua Vanda non è «una donna comune, bensì nobile, e di antica nobiltà, in tutti i sensi».
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beppebort · 5 years
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Santa Gioacchina de Vedruna
Santa Gioacchina de Verduna nacque a Barcellona il 16 aprile 1783 e lo stesso giorno fu battezzata nella chiesa parrocchiale di Santa Maria del Pino. I suoi genitori furono Lorenzo De Vedruna e Teresa Vidal, di sentimenti profondamente cristiani e costumi integerrimi. Sin dalla fanciullezza Gioacchina si sentì spinta a offrire a Dio anche le più piccole azioni. Interrogata dalla mamma come facesse a mantenersi lungamente raccolta, rispose che tutto le parlava di Dio: gli spilli usati per il merletto a tombolo le richiamavano le spine della corona del Crocifisso, al quale voleva portare conforto con piccoli sacrifici; il filo da cucire le ricordava le funi con cui Gesù fu legato alla colonna; le erbe inutili delle aiuole le rappresentavano i propri difetti da sradicare sul nascere. A nove anni fece la prima Comunione e, a dodici, chiese di consacrarsi a Dio tra le Carmelitane di clausura di Barcellona, ma non fu accettata a causa della giovane età.
Contava appena sedici anni quando fu chiesta in sposa da Teodoro De Mas; anch’egli aveva sentito fortemente il richiamo alla vita religiosa, ma aveva trovato ostacolo nella volontà dei genitori per essere il primogenito e l’erede di un nome glorioso. Rassicurata dal suo confessore essere questa la volontà di Dio, Gioacchina contrasse matrimonio con Teodoro il 24 marzo 1799. La perfetta affinità di queste due anime fece della loro casa un regno di concordia e di pace. La giornata cominciava per entrambi in chiesa e si chiudeva con la recita del rosario, cui si unì, con l’andare degli anni, il coro di ben nove figli. Gioacchina amava con tutto il cuore le sue creature e per questo correggeva pazientemente i loro difetti, li incoraggiava nella pratica delle virtù e dava in ogni momento la lezione del suo esempio.
Fatto ardito dalla facile conquista del Portogallo, Napoleone risolse di volgersi anche alla Spagna. All’attentato contro la libertà della nazione il popolo sorse in armi; Teodoro de Mas, discendente di valorosi guerrieri, non giudicò opportuno rimanere in disparte e si arruolò volontario in difesa della patria. Allorché la fortuna fu avversa ai patrioti, egli resistette con un pugno di valorosi in un castello presso Vich, che gli invasori non riuscirono ad espugnare. Impossibile ridire le sofferenze di Gioacchina in questo periodo burrascoso e le sue ansie per la vita del marito, le preoccupazioni per i figli, la povertà estrema. Fu allora che rifulse la sua fortezza e sconfinata fiducia nella Provvidenza: nulla valse a turbare la serenità del suo animo, ad affievolire il suo spirito di orazione, a far uscire un lamento dalle sue labbra.
Santa Joaquima de Vedruna. Retrat a loli pintat el 1903 per Francesc Morell i Cornet
Sfinito dagli stenti della guerra, Teodoro morì il 6 marzo 1816, quando Gioacchina contava solo trentatré anni: nello stesso istante parve alla giovane vedova che il grande Crocifisso appeso alla parete di fronte al letto in cui ella giaceva ammalata le dicesse: «Ora che perdi il tuo sposo terreno ti scelgo io per mia sposa». La giovane vedova si trattenne per qualche mese ancora a Barcellona allo scopo di difendere gli interessi dei figli dalle pretese dei parenti; poi si ritirò a Vich, nel feudo lasciatole dal marito, chiamato Manso Escorial: lì avrebbe potuto meglio occuparsi dell’educazione dei figli, dedicare all’esercizio della carità le sue ancor fresche energie ed attendere con più largo respiro alla propria santificazione. Tre figli, intanto, morirono in tenera età, quattro abbracciarono lo stato religioso e due furono esemplari nella vita coniugale.
Santa Joaquina de Vedruna frances carulla2
Nel sentirsi più libera dagli impegni familiari Gioacchina pensò che fosse arrivata l’ora per realizzare ciò che credeva essere la volontà di Dio: entrare in un Ordine religioso di grande austerità, ma Dio dispose diversamente attraverso la direzione spirituale di Stefano di Olot, cappuccino di Vich, il quale le assicurò che Dio non la voleva in un chiostro, ma la designava fondatrice di una congregazione di religiose per la educazione delle fanciulle e la cura degli ammalati. Ella chinò il capo e pronunciò ancora una volta il suo “fiat”. Il 6 gennaio 1826 fece la professione religiosa di Carmelitana della Carità nella cappella episcopale di Vich, nelle mani del vescovo Paolo di Gesù Corcuera, che aveva incoraggiato l’opera e dato il nome alla Congregazione.
Il 26 febbraio successivo, di buon mattino, ella e nove giovani aspiranti si recarono alla chiesa dei Cappuccini, ascoltarono la Messa e fecero la Via Crucis; poi si diressero al Manso Escorial dove ebbe inizio la nuova vita in un’atmosfera di pace e di fervore. Non mancarono le privazioni e alle volte gli stenti: ma la virtù e l’amore della madre rendevano liete le pene e sopportabili le prove. L’amore materno usato da Gioacchina nella formazione delle sue figlie spirituali fu la caratteristica trasmessa alla Congregazione e divenne un fattore fondamentale del metodo educativo delle Carmelitane della Carità. Un po’ alla volta la pianticella crebbe ed estese i suoi rami, anche se tra persecuzioni, prove ed opposizioni che dimostrarono chiaramente — come diceva la santa — che la Congregazione «non era opera sua, ma di Dio». Ancora vivente la fondatrice, una fitta rete di case si era formata per tutta la Catalogna.
Colpita da un primo attacco apoplettico nel settembre del 1849, altri ne seguirono, che la resero — come ella, stessa aveva chiesto al Signore — inutile e spregevole agli occhi degli uomini. Il 28 agosto 1854 un nuovo attacco la prostrò e qualche ora dopo si manifestarono in lei i sintomi del colera. Circondata dall’affetto delle sue figlie si addormentò nel Signore serenamente. Fu beatificata il 19 maggio 1940 da papa Pio XII e canonizzata il 12 aprile 1959 da San Giovanni XXIII.
Ramona Escudero ccv, da Santi del Carmelo, a cura di Ludovico Saggi Ocarm, Institutum Carmelitanum, Roma, 1972.
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claudio82clod · 4 years
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212 di 366 After a landing mishap on 22 March 1939, Savoia Marchetti S.73 OO-AGP (cn 30003) ended up against the Steense Dijk at Oostende airport. Un atterraggio lungo in Belgio. La Sabena destinò gli S.M.73 alle rotte Londra-Parigi-Bruxelles-Amburgo-Copenaghen-Malmö, Bruxelles-Lilla-Ostenda ed alla Londra-Ostenda. Nel 1935 ebbero inizio le consegne all'Ala Littoria. Il primo volo per l'Ala Littoria (svoltosi il 19 dicembre 1935) fu destinato a trasportare 200 000 lettere destinate agli italiani in Africa Orientale. Il velivolo raggiunse Asmara quattro giorni dopo (ed oltre 6 600 km percorsi), per rientrare a Roma il successivo 6 gennaio. Questo volo, leggermente rivisto nel percorso (accorciato di circa 600 km), divenne regolare tratta passeggeri nel corso dello stesso anno. Sempre l'Ala Littoria impiegò lo S.M.73 per collegamenti Roma-Berlino (quotidiani), Roma-Salonicco (trisettimanali) e, a partire dal 1937, per collegare la capitale con altre città (italiane, europee, nordafricane). Lo scoppio della seconda guerra mondiale determinò la fine della carriera commerciale dello S.M.73. I primi esemplari interessati dal conflitto furono i velivoli della Sabena: inquadrati nei reparti dell'Reale aeronautica militare belga, operarono a supporto delle truppe alleate contro l'invasione tedesca. Nel maggio del 1940 sette esemplari superstiti riuscirono a fuggire verso il Regno Unito, dove furono impiegati dalla Royal Air Force. Trasferiti in Nordafrica per essere utilizzati nelle missioni di trasporto tattico nell'ambito dell'omonima campagna, quattro di essi vennero catturati dalle truppe italiane e trasferiti nei reparti della Regia Aeronautica. Per quanto riguarda l'Italia, al momento dell'entrata in guerra, nove S.M.73 erano impegnati sotto le insegne dell'Ala Littoria in Africa Orientale e qui vennero militarizzati. Dopo la caduta dei territori coloniali, tre S.M.73 riuscirono, avventurosamente, a rientrare in Italia e trovarono nuovo impiego sul fronte orientale. #storie #storieefoto #regiamarina #regiaaeronautica #aeronautica #airforce #italia #anr #savoia #savoiamarchetti #sm73 #trimotore #history #ww2 #worldwar #worldwar2 #warthunder #fligh https://www.instagram.com/p/CDUVrrenhAt/?igshid=1ro747220b7bi
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lragazzamaiamata · 4 years
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VEDETE NELL’ARCO DELLA STORIA MOLTE SONO LE DATE RICONDUCIBILI AL 15 MAGGIO, PER ESEMPIO NEL 1648 CI FU LA PACE DI VESTFALIA, NEL 1768 IL TRATTATO DI VERSAILLES, NEL 1860 LA BATTAGLIA DI CALATAFIMI, NEL 1869 SUFFRAGIO FEMMINILE, NEL 1910 LA NAZIONALE DI CALCIO ITALIANA VINSE 6-2 CONTRO LA FRANCIA, NEL 1940 DURANTE LA SECONDA GUERRA MONDIALE LE TRUPPE TEDESCHE OCCUPANO AMSTERDAM E INVASERO LA FRANCIA.
EPPURE, NON TUTTI SANNO, CHE IL 15 MAGGIO 1994 VENNE ISTITUITA LA GIORNATA MONDIALE DEDICATA ALLE FAMIGLIE. SI PARLA DI FAMIGLIE, AL PLURALE, EPPURE OGGI IN ITALIA SI FANNO CONFERENZE STAMPA PER DIRE CHE ESISTE UN SOLO TIPO UN SOLO MODO PER ESSERE UNA FAMIGLIA; DOVE L'UOMO HA LO STIPENDIO PIÙ ALTO E LA DONNA SI ACCONTENTA DI UN LAVORO PART-TIME PER AVERE IL TEMPO DI STARE DIETRO AI FIGLI, OPPURE CHE LA FAMIGLIA PUÒ ESSERE CONSIDERATA TALE SOLO QUANDO È COMPOSTA DA UN UOMO E UNA DONNA.
MA CHE COS'È UNA FAMIGLIA? PER ME FAMIGLIA È TUTTO CIÒ CHE TI FA SENTIRE PROTETTA, TUTTO CIÒ SU CUI PUOI SEMPRE CONTARE. IO LA FAMIGLIA L'HO VISTA NEI MIEI GENITORI, NELLE FAMIGLIE ALLARGATE, L'HO VISTA NELLA MIA CLASSE E L'HO VISTA FINO A DUE MESI FA OGNI GIORNO NEI GRUPPI DI AMICI CHE ENTRAVANO INSIEME A SCUOLA. LA FAMIGLIA È AMORE RECIPROCO. OVVIAMENTE NON VOGLIO DIRE CHE UNA FAMIGLIA È MIGLIORE DELL'ALTRA, STO SOLO DICENDO CHE DOVREMMO ACCETTARE L'IDEA CHE L’AMORE PUÒ ASSUMERE FORME DIVERSE E CHE DOVREMMO ESSERE CAPACI DI RICONOSCERLE ED ACCETTARLE.
15/05/2020
00:46 am
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adrianomaini · 5 years
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La Resistenza a Bordighera (IM): cenni
La Resistenza a Bordighera (IM): cenni
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La propaganda antifascista e antitedesca fu praticata nella zona di Bordighera da Renato Brunati [Renato Brunati, arrestato il 6 gennaio 1944, deportato a Genova e fucilato dalle SS il 19 maggio 1944 sul Turchino]e da me in un contempo indipendentemente, senza che nemmeno ci conoscessimo: ma nel 1940 ci incontrammo e d’impulso associammo i nostri ideali e le nostre azioni, legati come ci trovammo…
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faxmacallister · 5 years
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CONVERSIONI (quando una catechista cattolica svela il suo passato in Abissinia…)
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Mi chiamo Fax Mac Allister, sono nato in un castello ma non sono ricco, sono semplicemente il nipote dei custodi. Nel Colinshire, dove io sono cresciuto, non importa a nessuno quale sia il tuo gruppo sanguigno, SEI CATTOLICO O PROTESTANTE… Questo ti rende puro o marcio. Anno 1990, ogni Martedì pomeriggio la sequenza si ripropone immutata. Selva, mia madre, è nella sala giorno del nostro appartamento nel castello. L’eco dei passi avanza dal corridoio, la porta si spalanca, entro io, lancio il libro del catechismo che plana sul tavolo e precipita sul pavimento – “ Io non ci vado più al catechismo cattolico!”-
Lei, assaporando l’amaro déjà-vu -“Fax, raccogli subito quel libro!”-
-“ Tutti i miei amici vanno al catechismo anglicano, anche la nonna Laura è anglicana, perché io no?”-
-“Perché io e papà siamo cattolici e un po’ italiani! Dobbiamo discuterne ogni Martedì?”-
-“Io la odio quella catechista idiota!”-
-“Cosa è successo ancora con Agata?”-
-“Quella vecchia ha detto che Dio premia i buoni. “-
-“E cosa c’è di sbagliato?”-
-“Ha tirato fuori le caramelle per tutti e solo a me non l’ha data. Ha detto che a casa le aveva contate giuste e che la mia caramella l’ha fatta sparire Dio perché non sono buono.”-
-“E’ la cosa più stupida che abbia mai sentito! Direi invece che Dio ti ha voluto salvare dalla carie. ”-
-“Agata mi ha fatto ripetere un Atto di dolore in piedi mentre gli altri mangiavano le caramelle, poi ho dovuto raccogliere le carte e buttarle nel cestino.”-
–“Ti ha fatto fare questo?”-
-“Dice che noi Mac Allister non sappiamo cosa sono i sacrifici perché viviamo in un castello.”-
-“Basta, è troppo…”-
Si precipitò fuori dal soggiorno e ricomparve con indosso il pastrano. -“Vado giù al villaggio. Sali dai nonni e aspettami lì.”-
Appena conosciuta Agata Perego, ebbi la vaga sensazione che non sarebbe stata una mia estimatrice. Allora avevo sei anni, sedevo sui banchi della chiesa cattolica di Gardar per la prima lezione di catechismo. I miei compagni di classe italiani non mi parlavano perché la mia famiglia è un misto di anglo-latini. Agata fece l’appello in ordine alfabetico, ma il mio nome venne pronunciato per ultimo dopo i cognomi Traniti e Zorra.
Alzai la mano per suggerirle –“Mac Allister comincia con la M. Non è l’ultima lettera.”-
–“Avete sentito? Non sono mai stata umiliata così tanto in vita mia. Questo bambino pensa di essere superiore perché di cognome fa Mac Allister e la sua famiglia vive in un castello.”-
–“No, ho solo…”-
-“In nome del cielo! Non ho mai conosciuto un bambino più sguaiato.”-
-“Ma io non…”-
-“Maria Vergine, proteggimi da questo arrogante! Noi ti ospitiamo nella nostra chiesa e tu ci ringrazi così? E’ proprio tipico di voi.”-
Tornai al castello in lacrime. Mio padre le chiese delle spiegazioni quello stesso pomeriggio.
Sette giorni dopo Agata lesse il mio cognome rispettando l’ordine, però pontificò -“La bellezza sta nelle cose semplici e tradizionali. E’ un nome Fax? Nessuno si chiama così.”- Odiavo quelle ore di indottrinamento ottuso e timorato. La situazione andò avanti in questo modo per due anni, fino a quel Martedì pomeriggio. Fomentato da mia sorella Melissa immaginavo la mamma tornare al castello ferita e graffiata. Io, mosso da gratitudine, le avrei detto –“Corro a prendere bende e disinfettante!”-
Lei mi avrebbe risposto –“No, prendi una vanga, prima dobbiamo seppellire il cadavere di Agata in giardino.”-
E orgoglioso di mia madre avrei sotterrato il problema del catechismo cattolico. Invece quando tornò sembrava perfettamente in ordine.
Melissa le corse in contro –“Mamma, hai picchiato Agata Perego? Chi ha vinto?”-
-“Abbiamo solo parlato.”-
-“Non le hai dato neanche un pugno?”-
-“No.”-
-“Però lei ti ha spinta, vero?”-
-“Ma no, Melissa! Fax torniamo di sotto, devo parlarti.”-
A casa nostra lei mi disse –“ Dio non ha fatto sparire la tua caramella, questo lo sai anche tu. Agata è solo una donna sfortunata, non devi reagire alle sue provocazioni.”-
-“Però non è giusto!”-
-“Lo so, ma ha promesso che non ti offenderà più, sembrava sincera. ”-
Ero deluso dall’esito della visita alla catechista. Eppure mia madre si era precipitata al villaggio con l’impeto facinoroso da vendicatrice. Anche mio padre espresse delle perplessità mentre la aiutava a sparecchiare la tavola–“Tutto qui? Lei tratta nostro figlio come un netturbino penitente e tu le domandi gentile di non farlo più?”-
-“Abel, ho visto la casa di quella donna, piove sul suo letto.”-
-“Questo la autorizza a umiliare un bambino di otto anni?”-
-“Io e te siamo nati dentro case come quella. Ricordi cosa significava ?”-
-“Si, ma non è colpa nostra! Mi sveglio tutte le mattine alle 6, pago le tasse, scelgo tra fare le vacanze estive o risparmiare per la scuola dei miei figli, e indovina un po’? Niente vacanze.”-
-“Lo so benissimo, ma è difficile spiegarlo a chi vive in un tugurio mentre noi abitiamo in un castello.”-
-“Selva, quella gente mi detesta da prima che nascessi perché mia madre era scozzese, e detesta anche te perché mi hai sposato. Non voglio che i nostri figli crescano così.”-
-“Ho parlato civilmente con Agata.”-
-“Civilmente, immagino! Ogni volta che le ho parlato ha potato tutti i rami del mio albero genealogico a colpi di bestemmie.”-
-“Oggi era diversa, mi è sembrata stanca…”-
Agata Perego sognava un posto al sole fin da bambina, un posto lontano dal grigiore freddo e reumatoide del suo paesino in Piemonte. Era nata in un casolare con genitori, zii, fratelli, per un totale di 21 persone, due capre e una vacca, tutti sotto lo stesso tetto. L’ Italia prometteva l’espansione coloniale in Africa, Agata pregava Dio per benedire la missione civilizzatrice di quelle terre selvagge. Quella del 9 Maggio 1936 a Roma è una tiepida notte di Primavera, Benito Mussolini affacciato dal balcone di Palazzo Venezia, annuncia alla folla in delirio –“L’Italia ha finalmente il suo impero.”- L’entusiasmo si propaga come una febbre verso ogni estremità della nazione, si arrampica fino ai paesi più lontani dalla capitale e contagia la diciassettenne Agata. Agata sogna un posto al sole e lo raggiungerà. Poco importa se per farlo ha dovuto sposare Carlo Quaglia, un compaesano di cui non sa niente, se non che presterà le sue forti braccia all’edilizia del nascente impero in Etiopia. Poco importa se consuma la prima notte di nozze in un fienile a Condove, nauseata da quel corpo che la possiede alitandole il fetore di vino e pessimo tabacco.Poco importa, Agata chiude gli occhi e si concentra sulle illustrazioni dei giornali che celebrano il conturbante esotismo africano. L’attesa è un’apnea che dissipa le immagini di una vita miserabile. Quando Agata riapre gli occhi, respira l’aria fragrante di eucalipto e gerani nel giardino della nuova casetta di Addis Abeba. Uno sciame di lucciole coreografa un comitato di benvenuto scintillandole intorno. Le iene ululano sulle Ambe circostanti. Il casolare in Piemonte è un incubo lontano. Sulle lettere indirizzate alla famiglia, non manca di sottolineare che due sguattere etiopi lavano il bucato, cucinano e spolverano per lei. Per le vie di Addis Abeba si fischietta “Africanina”, “Faccetta Nera”, “Vieni a Macallè” e altri inni fascisti, mentre a opera degli italiani sorgono ordinate strade, scuole, ponti, ferrovie, opifici, chiese e cinema. Agata benedice l’ Abissinia come la prodigiosa conferma di un disegno celeste. Ignora che il suo luminoso posto al sole è stato conquistato con 300 tonnellate di gas tossico sulla popolazione inerme, corrosa viva dall’iprite. Ignora le deportazioni, gli stupri, le mutilazioni, i genocidi compiuti da quegli “italiani brava gente” contro gli africani. Ignora l’esistenza dei lager fascisti di Nocra e Danane, dove i detenuti soccombono agli stenti divorati dai vermi, ignora il Piano Regolatore di Addis Abeba, modello di separazione razzista precursore dell’apartheid. Ma soprattutto, Agata ignora che dietro a quel posto al sole si celano tutte le fragilità di un grottesco, amatoriale, tardivo, scimmiottato impero coloniale, destinato a fallire dopo cinque miseri anni. Giugno 1940, Mussolini entra in guerra contro l’Inghilterra.Si combatte anche nelle colonie in Africa. Dopo i primi tiepidi ruggiti, la resistenza italiana contro l’avanzata britannica rasenta il tragico per disparità di mezzi. Come ingenui orfani di una madre collassata, braccati dalla morsa albionica, stoici battaglioni attendono il supporto dalla patria. Il 17 Maggio 1941, il Duca Amedeo di Savoia Vice Re d’Etiopia si arrende sull’Amba Alagi consegnandosi agli inglesi.Ottiene l’onore delle armi. Morirà un anno dopo in una prigione di Nairobi. Tramonta mestamente il sole sull’impero fascista. I soldati italiani ripercorrono le strade costruite con entusiasmo e fedeltà come schiavi sgomenti. Agata Perego detesta le bandiere britanniche che adombrano il prestigio littorio, ma rifiuta di salire sulle navi bianche della Croce Rossa dirette in Italia.Preferirebbe morire piuttosto che rivivere la depressione reumatoide del casolare in Piemonte. Migliaia di connazionali vengono deportati dagli inglesi in Kenya, Sudafrica, Egitto e Rhodesia. Agata e Carlo sono tradotti su una nave che da Massaua raggiungerà una destinazione “oltre il Canale di Suez”. L’accecante torrido bagliore di Massaua,la Perla del Mar Rosso, sarà l’ultimo ricordo luminoso di Agata. Sul ponte della nave prigione, una sventurata compagna di viaggio scalza e cenciosa le sussurra -“Oltre il Canale di Suez potrebbe essere Nuova York. Un mio cugino ci è andato Lì i grattacieli sono più alti della casa del fascio.” Agata chiude gli occhi vinta dalla stanchezza e dalla calura soffocante. Sconfitta da un disegno celeste incomprensibile, nessuna illustrazione dall’esotismo confortante le sovviene. Le parole della scalza sventurata si distorcono come un gemito nel sonno. Massaua si dissolve nel caleidoscopio di fisionomie tra le voci concitate, nella bipolare eleganza arabo sabauda, con l’odore della salsedine speziata al berberè; lasciando nella donna una presentimento di angoscia, di irreparabile distacco dalle cose vive. Dopo 60 giorni di navigazione quel generico “oltre Il Canale di Suez” è svelato. I grattacieli di New York non compaiono all’orizzonte.I passeggeri vengono scaricati nel Colinshire, un possedimento inglese nel nord dell’Atlantico, dove serviranno come manodopera gratuita. Sbarcata su un’isola sconosciuta e battuta da una pioggia violenta, intontita nell’inferno di urla disperate fra migliaia di profughi dalle colonie, per Agata il sole somiglia a un’effimera bugia, inghiottita dai flutti di un oceano gelido. Anno 1945, terminata la Guerra, l’Italia in macerie dimentica di reclamare i profughi del Colinshire…Gli italiani delle colonie vivranno confinati ai margini di una società britannica isolata in mezzo all’Atlantico. Carlo Quaglia incolpa sua moglie di averlo condannato a quel posto rinnegato dal mondo. Quotidianamente, dopo aver affogato i turbamenti nell’alcol, la punisce con spinte e schiaffi. Carlo fu trovato morto da un pescatore ai piedi della scogliera di Prince George, si dice abbia perso il senso dell’orientamento nel buio della campagna. Torniamo a quel Martedì del 1990, sette giorni dopo l’ episodio della caramella. Questa la sequenza, mia madre nel soggiorno del castello sentì l’eco dei passi avanzare nel corridoio, la porta si aprì, entrai io poggiando il libro del catechismo sul tavolo e le mostrai una caramella. Lei –“Dunque, com’è andata?”-
-“Oggi Agata non mi ha offeso, poi ha tirato fuori le caramelle e ne ha data una anche a me!”-
-“Oh, finalmente! Vedi? Parlare civilmente tira fuori il meglio delle persone, Agata è una buona cattolica, e tu che pensavi ti odiasse. Ora dammi quella caramella.”-
-“Perché?”-
-“Che domande, devo assicurarmi non sia una fiala di cianuro!”-
Mio padre tornò al castello all’ora di cena, mia madre fece per dargli un bacio –“Abel, qualcosa non va?”-
–“Giù al villaggio dicono che Agata Perego si è suicidata.”-
Lei impallidì come la tovaglia sulla tavola.
Rivalutai ampiamente la visita fatta da mia madre alla catechista sette giorni prima. Il problema era stato risolto senza l’impiccio di scavare una fossa in giardino.
Le chiesi –“Ma quando una catechista muore finisce anche il catechismo?”-
Poi Melissa –“Mamma, glielo hai detto tu di uccidersi?”-
Infine , mio fratello John Marc –“Che forza!”-
Lei –“Cominciate a mangiare, torno tra qualche minuto.”-
Mio padre la seguì nella loro camera, le si sedette di fianco sul letto –“Stai bene?”-
-“Non lo so.”-
-“Cosa vi siete dette l’altro giorno?”-
-“Ero molto arrabbiata dopo quello che mi aveva raccontato Fax. Quando ha aperto la porta di casa Agata non ha detto una parola, ma mi ha fatta entrare. C’era tanfo di muffa e minestra, abiti stesi ovunque, un materasso umido poggiato contro il muro. Le ho chiesto, lei vive qua?”-
E lei –“No, è la villa delle vacanze…Non gradisci l’arredamento signora duchessa?”-
-“Agata, non voglio litigare ancora. Lei sa benissimo che sono nata nella casa in fondo a questa via. Perché è così difficile credere che siamo delle persone oneste?”-
-“Cosa mangerai stasera al tuo castello?”-
-“Del pesce…”-
-“Io mangio una zuppa di patate annacquata. Sai cosa ho mangiato ieri? Zuppa di patate. E indovina cosa mangerò domani! Cosa ho fatto di disonesto io? Vivo come se fossi morta, sono morta la notte che quella nave mi ha abbandonata su questo schifo di isola, siamo tutti morti, nessuno sa chi eravamo prima, a nessuno è mai interessato niente di noi. Vedo tutti i giorni quel castello sulla collina con la sua bandiera inglese bugiarda, e quando mi trovo davanti tuo figlio mi chiedo perché Dio ami voi e non me.”-
-“Non siamo delle cattive persone e non siamo degli insensibili, che lei ci creda o no. Le sue umiliazioni feriscono Fax, lo ignori piuttosto, ma non usi le preghiere per mortificarlo. Come può dire a un bambino che Dio non lo ama?”-
–“Basta, basta, non voglio ascoltarti…”-
–“Non ho niente da offrirle Agata, e non ho intenzione di comprare il suo rispetto. Se è convinta che non vedere Fax al catechismo la renda una donna più felice, allora smetterò di mandarcelo. Ma mi addolora sapere che nutre del rancore verso Dio.”-
Agata cadde seduta su una sedia del desco nascondendo il volto fra le mani, poi con gli occhi chiusi si massaggiò le tempie.
Selva fece per andarsene, quando Agata, placata -“Tua madre Rachele era con me su quella nave. Ti ha mai raccontato quanta luce c’era in Africa?”-
-“Si, spesso, ma i ricordi adesso le fanno più male.”-
-“Addis Abeba significa nuovo fiore. Quanto amavo il sole, il profumo dell’aria. Nel pomeriggio la luce filtrava dalle persiane chiuse, mettevo un vinile sul grammofono e danzavo in sottoveste nella mia camera. Non ero una brava danzatrice, ma dopo aver raggiunto un posto in Africa tutto sembrava possibile e sognavo di esserlo. Non immaginavo che l’Impero sarebbe crollato. Ho smesso di danzare da allora. Qui la tundra è così deprimente…Puoi stare tranquilla, non offenderò più Fax.”-
-“Grazie Agata.”-
-“Almeno di me si potrà dire che ho ricevuto una visita della duchessa a domicilio.”-
–“Mi spiace deluderla, ma nessun titolo nobiliare!”-
-“Oh lo so, ma vi prendiamo molto in giro.”-
Dopo aver distribuito le caramelle agli allievi del catechismo, Agata aveva preso il giradischi dalla sacrestia. Arrivata a casa si spogliò per rimanere in sottoveste. Vuotò due flaconcini in un boccale di ceramica mescolati a tre cucchiai di zucchero. Pose sul giradischi l’ unico vinile che possedeva, “Aprite le finestre” di Franca Raimondi, sollevò il bicchiere colmo, reclinò il capo indietro e trangugiò quel miscuglio dolciastro. Poi iniziò a danzare. Agata Perego fu prontamente sostituita da una “nuova” catechista, Sorella Ippolita da Tripoli, affetta da borsite dell’alluce, fottutamente sorda, di età indefinita fra i 95 e i 130 anni, sopravvissuta a malaria, colera e difterite. E’ Martedì pomeriggio, mia madre nel soggiorno aiuta Melissa con i compiti di matematica, l’eco dei passi avanza dal corridoio, la porta si spalanca, entro io, lancio il libro del catechismo che plana sul tavolo e precipita sul pavimento –“Io non ci vado più al catechismo cattolico! La odio quella suora, perché non posso essere anglicano?”-
Selva, preda di un reflusso gastrico psicosomatico –“Fax, raccogli subito il catechismo! Cosa è successo stavolta?”-
-“Sorella Ippolita mi ha fatto ripetere dieci Eterno Risposo in ginocchio. Dice che Agata è morta per colpa nostra e che stermineremo tutti gli italiani.”-
–“Oh no, ti prego…”-
Melissa –“ Mamma, non puoi far morire anche quella suora? “-
–“ Melissa, Io non ho fatto morire nessuno!”-
-“E allora io domani non ci vado al catechismo, Sorella Ippolita sgriderà anche me!”-
Io –“Però Agata l’avevi convinta, non puoi almeno parlarci?”-
Melissa- “E’ vero mamma, non puoi?”-
Mia madre esitava, guardò me negli occhi, poi guardò Melissa, sospirò, sorrise nervosamente e –“Congratulazioni bambini!”-
–“Per cosa?”-
–“Per la vostra conversione anglicana!”-
–“ Possiamo diventare anglicani?!!”-
-“ Potete diventare tutto pur di non farmi avere una suora sulla coscienza…”-
CONVERSIONI (parte1) tratto da “A life in a Fax” di Fax Mac Allister 
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benedettobasile · 6 years
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Marcello Panni (1940) Veni, Creator (1968)
SIO Sicilian Improvisers Orchestra Eva Geraci flauto Benedetto Basile flauto Dario Compagna clarinetto Giuseppe Viola clarinetto e sassofono soprano Lelio Giannetto contrabbasso
Scrive Marcello Panni: “Il 28 dicembre 1968 andava in scena sul palco del Politeama alle 22.45 un mio pezzo per 6 esecutori dal titolo Veni, Creator scritto con la tecnica del collage pittorico, intendo quello cubista o quello di Mimmo Rotella, ritagliando e incollando su una pagina, o in uno spazio inventato di volta in volta, frammenti di musica originale, o schegge di trattati di armonia, di tecnica strumentale, o di pagine corali, seguendo una sua logica più o meno “patafisica”. Il risultato e la loro aleatoria realizzazione sonora e l’esecutore come il giocatore (player) diventa quindi arbitro e creatore (Veni, Creator) del risultato sonoro, a cui l’Autore ha dato solo le carte per giocare. […] Veni, Creator consiste di un gruppo di 6 frammenti da uno a sei esecutori per strumenti indefiniti, da eseguire con la tecnica che si usa nello studio di uno strumento, ripetendo a velocità diversa lo stesso inciso più e più volte come un mantra, con ritmi diversi e dinamica diversa, per poi passare al frammento seguente. Tra una serie di ripetizioni e l’altra l’esecutore deve cantare nello strumento se a fiato, o se ad arco a voce alta accompagnandosi con lo strumento, delle parti frammentarie di un corale luterano sul testo del Veni, Creator “Komm, Heiliger Geist ...” con il doppio senso sottinteso ironico dell’implorare l’assistenza divina perché venga fuori qualcosa dall’aleatorietà del pezzo.
L’esecuzione palermitana del 1968 ebbe sei illustri esecutori tutti giovanissimi: il quartetto Nuova Musica, (Massimo Cohen e Mario Buffa, violini, Fausto Anzelmo, viola, Luigi Lanzillotta, violoncello), Federico Rzewsky al pianoforte, Steve Lacy al sassofono, ma che curiosamente non compare nel programma di quel 28 dicembre nell’amplissima lista di esecutori. Sarà stata una sostituzione improvvisata all’ultimo momento... Curiosità del destino, coincidenze astrali, affinità elettive... come potevo immaginare che cinquant’anni dopo... nella stessa città di Palermo...”
L’esecuzione della Sicilian Improvisers Orchestra, autorizzata dall’Autore, è stata realizzata per quattro strumenti di cui le uniche parti originali sono rimaste quelle per contrabbasso e per clarinetto. Le altre parti dagli originali per trombone e viola, sono state trascritte rispettivamente per clarinetto basso e per due flauti con due esecutori che utilizzano il flauto in do e il flauto basso.
Sicilian Improvisers Orchestra Si costituisce per eseguire musiche del nostro tempo, dalle forme espresse in notazione tradizionale a quelle più avanzate e della composizione istantanea. Il suo organico è composto di musicisti provenienti da diversi ambiti musicali e generazionali. Coniugando musica, cultura e società, l’ensemble ha svolto una serie di residenze creative per l’esecuzione di nuove opere non soltanto legate a forme tradizionali di scrittura musicale. Ha collaborato con Silke Eberhard, Michael Fischer, Jeremy Peyton Jones, Edoardo Marraffa, Christopher Dell, Sebastian Gramss, Carl Ludwig Hübsch, Gunda Gottschalk, Ernst Reijseger. Nel 2017 l’ensemble è stato ospite per una residenza artistica in Svizzera in collaborazione con la prestigiosa Werkstatt für Improvisierte Musik, ma anche a Wuppertal (Germania) insieme alla Wuppertalers Improvisers Orchestra. È specializzato su pratiche esecutive come conduction e soundscape composition. In Sicilia ha collaborato con importanti Istituzioni culturali come: Fondazione Teatro Massimo di Palermo, Fondazione Orestiadi di Gibellina, Parco Archeologico della Valle dei Templi di Agrigento, Associazione Filarmonica Laudamo di Messina, Galleria d’Arte Moderna di Palermo, Associazione Amici della Musica Salvatore Cicero di Cefalù, Goethe-Institut. La SIO è prodotta da Curva minore - associazione per la musica contemporanea di Palermo.
19 Maggio 2018 Palermo Cantieri Culturali alla Zisa Sala Perriera
Video Melqart Productions
Audio Rosario Tomarchio
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pangeanews · 5 years
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Henry de Montherlant, il Minotauro, l’amicizia con Henri Matisse e la virtù del disprezzo. “Non è insana la passione, è insana la convinzione che la passione sia insana”
Nell’alcova della luce giace la tenebra, così la ferocia esalta il cibo in rito. L’ardore per la tauromachia porta Henry de Montherlant, un secolo fa, a sondare la bestia, che lo perfora. Il dolore esegue il canone sacro: diventa gorgo che ispira. Il rapporto con la bestialità – in fondo: con il corpo, la sfida, il sangue – domina l’opera di Montherlant, che aggioga il caos in una scrittura caravaggesca, corrosiva, aristocratica, antistorica. Da Les Bestiaires a Les Olympiques, la solarità della carne – cioè, la sua ombra – è il carisma del libro; d’altra parte, il ciclo de “Les jeunes filles” – memorabile: s’affretta Adelphi a pubblicare gli altri tre libri del ciclo dopo Le ragazze da marito, era il 2000, un millennio editoriale fa? – non è che una pervicace, preziosa, cruenta tauromachia. Al posto del toro, lì, c’è una follia di donne. Inevitabilmente, dal toro Montherlant passa al Minotauro.
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Affascinato dall’altro, dallo ‘strano’, Montherlant offre carattere di mostro al suo Malatesta: un principe recluso in un labirinto di sguardi, nell’effimero della propria grandezza. Anche lui, in effetti, il divo Henry, vive, scrivendo Malatesta, nel labirinto: a Parigi, osteggiato dai collaborazionisti, odiato dai resistenti, troppo individualista, individuo puro, perciò, mostro. Dove gli altri ansimano di contraddizione, egli vive nel cristallo del sé, fuori da tutto.
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Mentre, il 7 febbraio scorso, dispensavo – manco fossi un D’Annunzio sulla Vienna della nostra ignavia – copie del Malatesta di Montherlant, al Teatro Galli di Rimini (così restaurato da restare ignifugo alla meraviglia). Qualche ora prima, direi. Una signora mi si fa accanto. “Questi sono per lei”. Sfodera libri da una sacca. Non si presenta se non con un, “Sa, Carlo Bo veniva a casa mia, parlavamo di letteratura francese”. Le è piaciuto il mio estro energumeno – perché, poi?, mah… amo chi sfida l’oblio con eccesso di aggettivazione, direi – nel divulgare didatticamente Montherlant. Esito: ho vinto una catasta di libri. Prime edizioni Gallimard dei testi teatrali: La ville dont le prince est un enfant, Celles qu’on prend dans ses bras, ad esempio. I libri più importanti, per me che sono una iena bibliografica, però, sono altri, sono due. Il profilo di Montherlant stilato da Henri Perruchot (sempre Gallimard, 1959) e quello di Pierre Sipriot, Montherlant par lui-même edito da Seuil in quello stesso 1959. Il repertorio fotografico è vasto: ho bisogno di vedere il volto di uno scrittore per confortare l’opera. Fin da bambino: la faccia supponente di chi suppone per sé un destino diverso, fino all’atomo di morte. Poi, trentenne, orecchie a punta, labbra carnali ma volto astratto; eleganza e spada in mano. Certo: Montherlant posa, ma sa che tutto è posizione, posa, postura. In alcune immagini, gioca a pallone, in porta.
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Ovviamente, ci sono dei testi, tra mistica e narcisismo, superbi, superiori. “Finis gloriae mundi è un luogo comune. Ni mas ni menos non lo è. Ovviamente, il primo è il punto di vista cattolico. Non si tratta qui, però, dell’equivalenza tra vizi e virtù intesi secondo la tradizione cristiana. Si tratta, piuttosto, della presenza di ciò che è contrario in ciascuna cosa, come manifestazione della vita. C’è solo una divinità, ed è la vita. Questa idea si trova in ciascuno dei miei libri, sotto forma di principio o di aneddoto. Questa morale è la mia morale. E questo equilibrio, più ancora delle corna del toro e della torre in fiamme o altro, dovrebbe essere il segno della mia vita e della mia opera”.
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Tra i testi che la nobile signora – dileguatasi prima di un aureo grazie, come le creature autentiche – mi dona, mi cattura l’edizione che raccoglie Demain il fera jour e Pasiphaé (Gallimard, 1949). M’interessa, soprattutto, quest’ultimo testo, Pasiphaé, scritto nel 1936 – all’altezza de “Les Jeunes Filles”, dunque in quel delirio dell’eros, in una estatica del torbido – e andato in scena la prima volta al Théâtre Pigalle di Parigi il 6 dicembre 1938, con Catherine Seneur come Pasifae. Nel discorso introduttivo, Montherlant dice: “Pasifae è un’opera dell’immaginazione: ho inteso tastare la parte patetica e quella razionale dello spettatore, essere un moralista, cioè uno che studia le passioni, e un moralizzatore, cioè colui che propone una certa morale. Sia chiaro che questa morale, se in alcuni punti corrisponde esattamente (senza che l’autore ne apporvi il gene) a una moralità volgare, in altri vi si oppone del tutto”.
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Montherlant gode nel sondare il contrasto: figlia di dèi, Pasifae, insieme a Minosse, partorisce Arianna e Fedra, donne dall’amore ‘mostruoso’; unendosi al toro bianco partorisce Minotauro – questa brama è colpevole o sacra? Quando Pasifae si lancia tra le tenebre della passione, il Coro risponde: “Non esiste tenebra né voragine né nulla di simile. Non c’è una zona oscura nell’anima. Se lei commette il caos, tutta la natura è caos. Non è insana la sua passione, è insana la convinzione che la passione sia insana. Metà donna e metà dea, l’infermità umana la fa soffrire di un male che è orrore solo nella sua mente. O vergognose spirali del cervello umano!”.
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Nel 1944 Henri Matisse realizza alcuni disegni per una edizione speciale di Pasiphaé, uscita per Fabiani in 200 copie. Il libro è un capolavoro. L’amicizia tra Matisse e Montherlant è testimoniata da una serie di ritratti realizzati dall’artista dal 1940 che bloccano il cranio miceneo dello scrittore. Il mito del Minotauro, in effetti, attrae i grandi: Picasso disegna e dipinge minotauri dagli anni Trenta; la Yurcenar dà voce ad Arianna nel 1939. Il legame tra Matisse e Montherlant si sviluppa in una serie di lettere; questa la scrive l’artista, da Nizza, il 3 maggio 1943.
Caro povero Schiavo,
mi fai pietà! Con il talento eccezionale che hai, con il genio di cui sei stato glorificato, e da cui devi lasciarti possedere, mi immagino il panico che ti affligge, leggendoti. Meno ti infastidisci, più sarai considerato – tanto da avere sufficiente celebrità per una vita… Non fraintendere il mio rimprovero: sono già passato da queste sensazioni, ho avuto il coraggio di voltarmi dall’altra parte e sono felice. Per Pasifae e Canto di Minosse, non preoccuparti, già mi conquistano, sarai soddisfatto del mio lavoro. Sono testi emblematici, pieni di contasti eccessivi, che mi eccitano… Perché non ti piace l’incisione su linoleum? Questa incisione è difficile come suonare il violino: tutto dipende dalla flessibilità dell’arco e dalla sensibilità dell’esecutore. È la prima volta che lavoro con uno scrittore difficile come te… Le foto che mi hai inviato non mi convincono, sono troppo all’acqua di rose per il Montherlant che conosco. Ci vuole un Minosse che incendia, che metta a fuoco l’Inferno. Queste foto, invece, fanno pensare a cappelli a piume, creature ben pettinate, in accordo con una spada ottimamente rifinita e l’introduzione di un accademico stimato, burocratico. Ti prendo in giro, scusami. Ricorda: puoi fare e essere ciò che vuoi, per questo, non fare troppo per la Gloria. Ti saluto con affetto,
Henri Matisse
*
Henri de Montherlant secondo Henri Matisse, 1942
In una lettera del 12 novembre 1944, pur parlando delle opere per Pasifae, Matisse svela il dolore. La moglie Amélie è stata arrestata dalla Gestapo insieme alla figlia Marguerite. La prima viene rilasciata dopo sei mesi; alla seconda combinano di tutto. “Mia figlia è appena tornata da Belfort, una delle 500 liberate su 1500 prigioniere. È stata torturata. Il medico assicura che potrà guarire. I tedeschi sono dei bruti immondi…”.
*
Il costruttore del labirinto e lei che ne svela l’enigma, sovvertendo lo stratagemma con la strategia, sono entrambi umani. Del mostruoso a volte sentiamo il sussurro, altre il morso, il ghigno di corna sulle pareti della prigione. Non chiede più di uscire, benché continuiamo a sacrificargli il vergine del giorno. (d.b.)
***
Lettera di un padre al figlio
Le virtù che devi coltivare sono anzitutto il coraggio, il senso civico, la fierezza, la drittura, il disprezzo, il disinteresse, la grazia, la gratitudine, e, in termini generici, tutto ciò che intendiamo come generosità.
Il coraggio morale è una virtù facile, soprattutto per chi non si cura dell’opinione altrui. Se non lo possiedi, acquisirlo è un affare della volontà, dunque cosa semplice. Di contro, se ti manca il coraggio fisico, conquistarlo è questione di allenamento. La vanità, che guida il mondo, è un sentimento ridicolo. L’orgoglio, se fondato, non aggiunge nulla al merito; se non è fondato, è ridicolo. La superiorità dell’orgoglio sulla vanità è che questa si attende tutto, l’altro non ha bisogno di nulla, non ha bisogno di nutrirsi, è di una sobrietà folle. A metà strada tra la vanità e l’orgoglio trovate la fierezza.
Il disinteresse ti eleva dal volgare. Il disprezzo comprende la stima. Uno dei segni inequivocabili del declino della Francia è l’incapacità del disprezzo. La riconoscenza è un sentimento tanto ostile ai nostri tempi che se non sei addestrato rischi di ignorarlo. Se possiedi questa virtù, il resto verrà di conseguenza.
Devo prevenirti contro l’ambizione. È una passione che fa parte della stupidità della giovinezza. Passati i ventotto anni, l’ambizione è una passione borghese. Certo, puoi coltivare quel sentimento, come qualsiasi altro, come un passatempo, che non ti tocca intimamente.
Henry de Montherlant
L'articolo Henry de Montherlant, il Minotauro, l’amicizia con Henri Matisse e la virtù del disprezzo. “Non è insana la passione, è insana la convinzione che la passione sia insana” proviene da Pangea.
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tmnotizie · 5 years
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GIULIANO VA – Sarà presentato venerdì 6 dicembre, alle ore 17.30 nella chiesa di San Rocco posta all’interno del complesso “Castorani” di Giulianova Alta, il nuovo libro dello storico Sandro Galantini dal titolo: La cura, l’attenzione, l’assistenza. Storia dell’Istituto “Castorani” (Artemia Nova editrice). La presentazione, moderata dal giornalista Rai Antimo Amore, sarà preceduta dai saluti del sindaco Jwan Costantini e del presidente dell’ASP 2 Teramo Roberto Prosperi che ha fortemente voluto e sostenuto la pubblicazione del volume.
Ricorrendo ad uno stile sobrio ed essenziale, Galantini ripercorre la vicenda plurisecolare dell’importante istituzione cittadina, sorta a fine Ottocento ma le cui radici affondano in tempi remoti legandosi indissolubilmente all’ospedale di S. Rocco, erede dell’ hospitium presente sin dal XII secolo nel centro medioevale di Castel San Flaviano quindi ricollocato nella Giulianova rinascimentale edificata per volontà di Giulio Antonio Acquaviva nel 1470.
Struttura di riferimento per i pellegrini diretti soprattutto al santuario mariano di Loreto, l’ospedale di San Rocco si connota dunque come luogo di accoglienza e di assistenza anche spirituale: non casuale è infatti la compresenza, nella originaria struttura che appare nei documenti sin dal 1526, dell’omonima chiesa, la seconda per importanza in città dopo quella di San Flaviano e dotata di apposite sepolture per i viandanti.
Alla chiesa e all’ospedale di San Rocco, ristrutturato nel 1867, si uniscono, nei decenni successivi all’Unità d’Italia, un asilo infantile, giuridicamente eretto il 10 gennaio 1869 ma entrato in funzione il 1° maggio 1871 sotto la gestione delle Figlie della Carità di S. Vincenzo de’ Paoli, e quindi, nel 1873, un Convitto-educandato per fanciulle, egualmente sotto la direzione delle suore Vincenziane.
L’orfanotrofio “Castorani”, così chiamato per via di un cospicuo lascito effettuato dal giuliese Flaviano Castorani, fa invece la sua comparsa nel 1886 andando ad integrare l’asilo e il Convitto-educandato. Le successive vicende del “Castorani” si svolgono in parallelo con gli interventi legislativi sugli istituti di pubblica beneficenza, a partire dalla legge del 1890. Nel 1930 il “Castorani” veniva eretto in Ente morale e nel 1940 si inauguravano le scuole medie “Edmondo De Amicis”.
Due svolte epocali si hanno dapprima, nel dicembre 1960, con la nascita degli Istituti Riuniti di Ricovero di Giulianova come conseguenza dell’accorpamento amministrativo dell’Opera Pia Orfanotrofio Femminile “Castorani” e dell’Asilo infantile “Edmondo De Amicis”, e quindi con la legge 8 novembre 2000 n. 328, che inserisce le ex I.P.A.B. nella rete dei servizi sul territorio favorendone la trasformazione in Aziende di Servizi alla Persona (ASP).
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