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#Racconti onirici
klimt7 · 2 years
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LA MAPPA DEL CORPO
( prima parte )
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Si allontanò dal letto e fece due passi verso il comodino per prendere anelli e braccialetti.
Le dissi di chiudere la porta dietro di sè, arrendendomi all'intorpidimento che gradualmente si impadroniva del mio corpo semiaddormentato.
Mi sentivo scisso in due persone: una era ancora stupita per ciò che questa ragazza aveva fatto con il massaggio e desiderava solo annullarsi in quel paradiso sensuale, mentre l'altra, razionale e pragmatica sapeva solo che era un massaggio speciale, nè più nè meno.
Rivissi la sensazione di come toccava il mio corpo e sussurrai dentro di me che non si trattava di un massaggio innocente.
E neanche di semplici sensazioni che si trasmettevano attraverso le mani. Assolutamente no. Anzi al contrario, lei aveva decifrato il mio corpo e lo conosceva come io non lo avevo mai conosciuto prima.
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"Il mio corpo era un villaggio damasceno" come recita una poesia e una città mondiale, come lo conosco ora.
Il mio corpo sotto le sue mani pulsava di una vita, fino ad ora ignorata ed era una città piena di sensazioni, non morta come questa in cui viviamo.
Dormivo supino quando la sentii salire sul letto e poi montarmi come se stesse cavalcando un cavallo.
Si sedette sua schiena, mi strinse le cosce attorno alla vita e cominciò piano ad accarezzarmi ritualmente le spalle, il collo e poi la schiena. Aveva mani esperte e allenate, quasi veggenti che somigliavano a quelle degli antichi indovini.
Mi toccava il corpo con i polpastrelli fino ai muscoli stanchi e irrigiditi e poi con mani esperte, li palpava, li tirava, li modellava, li strattonava e se percepiva una contrazione lavorava per interi minuti col suo gomito per scioglierla e non si stancava. Non mollava la presa fino a quando non vi ripulsava la vita.
Grazie alle sue mani, scoprii muscoli nascosti che non sapevo di avere, piccoli muscoli tra la spalla e la schiena e tra la vita e il sedere.
Lei mi afferrò il braccio destro e lo portò dietro alla schiena, mi aprì il palmo della mano e me lo spinse su una delle natiche, poi con la sua tenera mano, stretta alla mia - palmo a palmo - si mise a esplorare i muscoli delle mie braccia rivolte verso l'alto.
Un'intesa affettuosa attraversava le nostre dieci dita ripiegate, con onde di tenerezza e passione che fluttuavano tra le nostre mani intrecciate delicatamente, mentre con l'altra mano mi massaggiava piano i muscoli della spalla.
Con quel movimento mi trasmetteva un segnale che non avevo mai conosciuto prima, mi apriva una nuova porta dei sensi e illuminava sentieri mai esplorati.
Il mio corpo ora era pieno di vita, vibrante, carico di luce dopo una vita nell'oscurità.
La mano di quell'esile ragazza era il visitatore misterioso della città, l'angelo che nessuno vedeva, ma che con la sua presenza inondava gli spiriti di serenità e tranquillità.
Con una dolce pressione, ferma e misurata, mi massaggiava e mi premeva sulla schiena rivelando una delicata forza.
Non si trattava solo di un massaggio cieco e neutro, quello che mi faceva alle natiche ma in quelle mani c'era un fascino segreto nascosto, che mi si diffondeva per tutto il corpo.
Mi venne la curiosità di guardarla in volto, tanto più che se ne stava in completo silenzio.
Cercai di captare il suo respiro ma non sentii nulla, non ansimava e forse nemmeno respirava.
Pensai a quello che potevo domandarle.
Mi venne in mente di chiederle quando aveva cominciato a fare i massaggi. Mi voltai verso di lei. Avevo appena iniziato la frase quando mi guardò con occhi simili a quelli di una fata di antiche leggende che in un lampo annullavano con la loro esistenza magica, la realtà, e sorridevano prima di scomparire, malgrado l'ambiguità.
Hai letto il mio destino attraverso la mappa del mio corpo? Mi preparai di nuovo, ma persi la memoria nel giardino dei sensi.
Scoprii anche che non avrei potuto rispondere a domande sul mistero delle mani di quella ragazza, se non avessimo ripetuto quell'esperienza.
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Nel mio torpore vidi la zingara che avevo conosciuto un giorno lontano, in un paese che ormai avevo completamente dimenticato, ma di lei ricordo che era slanciata con belle ed esili mani dalle vene evidenti, con lunghi capelli e gambe snelle, che si scoprirono un poco quando si sedette a terra per leggermi la mano.
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Nel sogno, mi si avvicinò, mentre stavo aspettando un taxi per raggiungere un posto che non ricordo e mi disse: " Vuoi che ti legga la mano?" Mi girai verso di lei con un sorriso sarcastico.
I miei occhi incontrarono i suoi d'acciaio, con dentro una lucentezza brillante.
Mi sentii come ipnotizzato da una forza soprannaturale: due potenti occhi neri che stregavano chiunque li guardasse.
Le diedi la mano e lei l'afferrò senza badare ai passanti pieni di curiosità, la osservò attentamente e a lungo, poi disse che le linee della mano erano incomplete.
La guardai a bocca aperta per esprimerle tutta la mia incomprensione.
Fece segno ad un taxi di fermarsi, mi indicò la macchina, io entrai senza esitazione e subito mi si sedette accanto.
Disse all'autista qualcosa in una lingua che non riconobbi, e l'uomo con una lunga barba bianca annuì un paio di volte e ci condusse verso l'ignoto.
Mi voltai verso di lei e rimasi sbalordito: era una ragazza intorno ai venticinque anni.
Ora quando ricordo quel sogno, mi rendo conto che la giovane massaggiatrice non assomigliava molto alla chiromante zingara, ma mi comportai come fosse la stessa persona.
Sempre in quel sogno, le sue cosce splendevano di un bianco intenso, sotto la gonna di jeans rialzata, corta e stretta.
Credo indossasse la gonna sotto una leggera abaya nera. All'improvviso la sua pelle divenne color del grano come se quel candore fosse apparente, e mentre pensavo che il fenomeno fosse tale per via dell'oscurità la pelle si colorò di un bel colore rosato e prima che mi rendessi conto di quel cambiamento improvviso, la sua pelle assunse di nuovo un colore abbronzato che la facevano somigliare ad una affascinante giovane zingara.
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La fissai a lungo, aprì leggermente le palpebre. Una volta cessata la potenza del suo sguardo diretto, potei contemplare la bellezza di quei grandi occhi, mentre i capelli neri, morbidi e pesanti come quelli delle "Jinn" delle favole, le scendevano lungo la schiena, avvolgendole la vita.
Guardai fuori dal vetro appannato, su cui scorrevano gocce di pioggia lucenti. Sembrava uno schermo su cui vedevo le scene di un film girate in tempi e luoghi diversi.
Passammo attraverso città moderne, grattacieli e torri, da cui ci allontanammo rapidamente verso un'ampia strada che correva parallela a una vasta valle verde. Ma non riuscii a distinguere alcun dettaglio a causa della fitta nebbia che ci circindava da ogni parte.
La guardai furtivamente e mi accorsi stupito che la sua testa era calva: non capivo dove fossero i suoi capelli e quando li avesse persi.
La cosa sorprendente era come la testa calva apparisse minuta. I nostri occhi s'incontrarono e notai che mi stava fissando con una crescente e strana tenerezza. Avrei voluto abbracciarla e sentire la sensazione di toccarle la testa, ma non lo feci.
Distolsi lo sguardo da lei e fui assorbito dall'onda dei sogni che per un momento fu in grado di cambiare di nuovo il colore della sua pelle che tornò roseo mentre i capelli mi parevano arrivarle ai piedi.
Ora sembrava una vecchia profetessa dei tempi antichi, che salvava le anime di coloro che ancora non avevano commesso peccati.
Fui completamente rapito ed emisi involontariamente un rantolo, simile a quello di una persona che sta per annegare ma che poi riesce ad uscire dall'acqua.
Mi lanciò uno sguardo che conoscevo bene. Era davvero lo sguardo di una Jinn che sapevo di non dover mai guardare negli occhi.
Mi avevano avvertito, ma dentro di me mi ripetevo che, anche fossi stato attento, non sarei sfuggito al destino.
Non ricordo come passammo dalla macchina a quel luogo spazioso. Un prato verde come quelli che delle fiabe si trovano davanti alle foreste. Stava correndo e io la rincorrevo tuttavia cona sensazione di star scappando da lei.
La mia immaginazione galoppava e capii che non sarei riuscito a raggiungerla.
È così che la mia mente riusciva a ragionare, mentre correvo più veloce del vento e lei, continuando a tenere la stessa velocità, si trasformava in una bambina.
Poi la vidi sollevarsi pochi centimetri da terra e volare, mentre il mio terrore aumentava di pari passo con la mia fantasia che superava ogni realtà; forse era un caso di deja vu, sicuramente avrebbe ritoccato terra e poi si sarebbe rialzata all'improvviso, rivolgendomi un sorriso infantile prima della sua repentina e drammatica trasformazione in un lupo che mi aspettava al varco con un ghigno vorace ed astuto.
E così vidi la scena, prima che accadesse, dentro la mia mente: io non riuscivo a smettere di inseguire la ragazza anche se ero sicuro che si sarebbe fermata all'improvviso, rivolgendosi verso di me nel momento in cui si stava trasformando in lupo.
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Di quale incantesimo ero vittima?
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Potevo sentire le sue parole acute che mi parlavano del mio destino, del mio passato e del mio futuro.
Nel sogno sentivo tutta la purezza del mio animo come se fosse pieno di un'energia di luce incandescente e vedessi davanti a me dettagliatamente tutto il mio futuro di felicità e di miseria. Nel dormiveglia mi resi conto che stavo sognando, ma una forza occulta mi stava spingendo a rimanere in uno stato di incoscienza.
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( Continua )
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Apulia Performing Arts
Apulia Performing Arts è una compagnia di animatori qualificati che lascerà tutti gli ospiti senza parole davanti alle performances originali di questo gruppo di artisti a 360º: perché il divertimento sarà assicurato con questi professionisti. Servizi offerti Gli spettacoli di Apulia Performing Arts sono un connubio di storie, leggende, racconti onirici e molto altro ancora per un risultato…
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sguardimora · 3 months
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Ieri sera, in occasione della festa di riapertura del teatro con la prova aperta di Collettivo Cinetico, è stata inaugurata la nuova esposizione nel foyer D.E.A., dal titolo Succulente.
Questa mostra è particolare perché le immagini sono tavole tratte dall’omonima graphic novel di Annalisa Trapani che ha curato i testi e Laura Nomisake che ha invece disegnato le tavole.
È un fumetto che mi sembra riprenda quel filone del fumetto auto prodotto che dagli anni ‘70 in avanti si concentra in particolare sulla tematica della ricerca dell’identità, declinata in questo caso in una dimensione del femminile.
Si tratta di una sorta di storia di formazione: è l’esperienza di crescita e di consapevolezza di un’adolescente come altre, in un certo qual modo in linea tematicamente anche con il lavoro che vedremo a breve. Non c’è una narrazione vera a propria ma a partire dal primo racconto più lineare Mausoleo, la storia si decostruisce nei due racconti successivi, Breccia e La Perla Lemniscata, dove la fa da padrone la poesia e un montaggio minimalista tra parole e immagini, costituite da un equilibrio tra spazi vuoti e linee tracciate nel bianco o dal nero.
Leggendo questo tre racconti mi è sembrato che negli ultimi due si rende visibile la processualità dell’esperienza di crescita e consapevolezza di sè della protagonista del primo racconto. E questo stato di visibilità, di resa appunto visibile di una trasformazione, è dato da una sorta di radiografia interna del corpo e della mente della protagonista.
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[ph. Mauro Baratti]
E ciò emerge chiaramente anche nel disegno. Se in Mausoleo c’è a livello cromatico un equilibrio tra il bianco e il nero, nei due racconti seguenti sembra di entrare nella testa, nel corpo della protagonista: in Breccia è il nero a dominare mentre in Pietra Lemniscata il bianco ha il sopravvento sulle linee nera. È un passaggio. Dal caos alla luce.
In Mausoleo utilizzando la ritualità del camminare, del viaggio attraverso spazi e paesaggi onirici, la protagonista scopre pian piano qualcosa di più di se stessa. C’è la metafora del fiore, che unisce maschile e femminile superando la dualità, il binarismo, semi e piante resistenti fin dal titolo e che permeano le tavole simboleggiando l’autodefinizione e il riconoscimento di un essere che cerca di smarginarsi da ciò che l’educazione e più in generale la società impone ai corpi.
Siamo in un luogo a metà tra il sonno e la veglia, dove la protagonista, ricercando forse tra i resti dell’infanzia per decifrare chi è oggi, si ritrova oltre le pieghe e i limiti imposti. È in sostanza una storia di autodeterminazione di un corpo femminile.
La mostra sarà visitabile fino all’inizio di agosto nei giorni di apertura del teatro o scrivendo a [email protected]
In consultazione e in vendita ci sarà anche la graphic novel Succulente.
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agrpress-blog · 11 months
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Debutterà martedì 24 ottobre 2023 alle ore 21.00 al Teatro Trastevere - via Jacopa de’ Settesoli, 3 - Le città invisibili di Italo Calvino,regia di Ivan Vincenzo Cozzi ed interpretato da Andrea Dugoni, Claudia Fontanari, Silvia Mazzotta, Brunella Petrini. In occasione del centenario della nascita di Italo Calvino (1923-1986), torna in scena, con un cast in parte modificato, lo spettacolo creato nel 2016, e trova nuovi gesti e nuova attenzione per i significati onirici, combinatori e visionari ideati dal grande scrittore, invitando il pubblico a ripercorrere le tappe di un viaggio fantastico, fra sogno e realtà, sulle orme di Marco Polo, al cospetto dell’imperatore tartaro Kublai Kan, alla scoperta di quei luoghi, reali ed immaginari, che compongono il grande regno del sovrano orientale. Le città invisibili mette in scena tredici delle cinquantacinque città che compongono il romanzo, scelte fra quelle più prossime alla nostra realtà per attualità, significati o simbologie; che riportano il ricordo di qualcosa di già vissuto altrove, trovano un nuovo significato e una differente dimensione temporale che prende forma nella parola narrata. Ogni città è nello stesso tempo eterna, segreta e in movimento. Il dialogo immaginario fra Marco Polo e Kublai Kan, punteggiato e accompagnato dalle musiche originali di Tito Rinesi, si attarda fra segreti, prospettive ingannevoli, fragilità e vita mentre attorno prende forma qualcosa di nuovo, perché forse è vero, come dice il Kan (Andrea Dugoni), che ogni città altro non è che la descrizione di una sola, unica città. Quella perfetta. E se ognuna fra le città immaginate da Calvino nel romanzo del 1972 ha nomi di donna, il regista affida proprio a tre donne (Claudia Fontanari, Silvia Mazzotta e Brunella Petrini) il ruolo del mitico esploratore: tre figure femminili quasi archetipiche, tre viaggiatrici del tempo e dello spirito, che suggeriscono la natura corale, arcaica, ancestrale ma anche sfuggente e impersonale del raccontare. In ogni tappa le nostre Marco Polo portano nei propri sacchi, al cospetto del sovrano, una testimonianza: pezzi d’avorio, un elmo, una conchiglia, cerbottane, tamburi e quarzi, disposti su piastrelle bianche e nere, e poi spostati, via via che il viaggio e il racconto si snoda, sotto gli occhi di un imperatore nostalgico che in quei racconti tenta di rintracciare un senso, di intuire le geometrie e i movimenti di quel «disegno tracciato dai salti spigolosi dell’alfiere, dal passo strascicato e guardingo del re dell’umile pedone, dalle alternative inesorabili d’ogni partita». Una partita che si gioca nel giardino fantastico del Kan, appena sotto le mura oltre il mercato, dove i viaggiatori scambiano le merci, o i bivacchi dove riposano. Anch’esso è un luogo, forse immaginario, dove il sovrano Kublai Kan cerca di rintracciare il senso e l’identità del suo regno, che va disfacendosi. Ma soprattutto di capire quale sia il senso e il fine del gioco stesso. E la risposta, forse non ancora trovata, spetta ad ogni spettatore/spettatrice, che, come Marco Polo, affronta il suo viaggio. Le città invisibili, di Italo Calvino - regia: Ivan Vincenzo Cozzi; interpreti: Andrea Dugoni, Claudia Fontanari, Silvia Mazzotta, Brunella Petrini; musiche originali: Tito Rinesi; scenografie: Cristiano Cascelli; costumi: Marco Berrettoni Carrara; tecnico luci/fonica: Steven Wilson; organizzazione: Isabella Moroni - rimarrà in scena al Teatro Trastevere fino a domenica 29 ottobre 2023 (orario: da martedì 24 a sabato 28, ore 21.00; domenica 29, ore 17.30).
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lamilanomagazine · 1 year
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Genova: Panta rei, la cultura che scorre: la 15° edizione del Festival Teatrale dell'acquedotto
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Genova: Panta rei, la cultura che scorre: la 15° edizione del Festival Teatrale dell'Acquedotto. Tutto pronto per il Festival Teatrale dell’Acquedotto, organizzato dal Teatro dell’Ortica e arrivato quest’anno alla 15° edizione: una rassegna teatrale che attraversa i luoghi e i territori della Val Bisagno, legati dalla storica infrastruttura monumentale che per secoli ha dissetato Genova. Un tempo lo faceva con l’acqua, oggi con cultura, teatro e storia. Un’occasione per far fluire ancora una volta arte e condivisione, mettendola gratuitamente alla portata di tutti: “Panta rei – la cultura che scorre” è il titolo di questa edizione, che ben descrive il flusso di eventi presenti nel suo folto calendario. “Lungo i corsi d’acqua scorrono le idee, i pensieri e le intense riflessioni – sottolinea Mirco Bonomi, presidente del Teatro dell’Ortica e direttore artistico della kermesse insieme a Mauro Pirovano – Anche in questa edizione il Festival Teatrale dell’Acquedotto propone possibilità, la possibilità di conoscere luoghi e territori, di assistere a racconti e rappresentazioni che ci portano su terreni fiabeschi e onirici, su pensieri dell’umanità, la sua storia e il suo futuro. Tutto questo in compagnia del Teatro dell’Ortica e di tutte le compagnie ospiti”. “Un festival che di anno in anno si rinnova – dichiara il vice presidente della Regione Liguria con delega al Marketing territoriale, Escursionismo e Tempo libero Alessandro Piana - su luoghi idealmente collegati dall’acqua e dalla storia del nostro entroterra. Dai punti iconici delle vallate sino alle passeggiate che portano al racconto del territorio e delle tradizioni con vere e proprie improvvisazioni teatrali, il Festival dell’Acquedotto conferma la sua formula vincente proponendo un palinsesto variegato e coinvolgente. Spazio alla storia, ai cosiddetti ritmi lenti, all’outdoor, ai momenti di condivisione in cui le arti si intrecciano e si lasciano toccare”. “L’animazione dell’acquedotto storico con iniziative culturali e aggregative, rivolte anche a giovani e giovanissimi, è fondamentale per fare conoscere non solo ai residenti della Valbisagno, ma a tutti i genovesi e ai turisti la straordinarietà di un luogo sospeso tra le bellezze della natura, a due passi dalla città, e la storia millenaria dei percorsi – spiega l’assessore al Marketing territoriale e Politiche giovanili Francesca Corso – come amministrazione siamo impegnati nel rilancio dei percorsi della cultura del nostro entroterra, un’attrattiva molto apprezzata dai visitatori della nostra città per fare attività all’aria aperta, ma anche un efficace volano di sviluppo per l’economia delle vallate”. “Il percorso dell’Acquedotto Storico di Genova rappresenta una vera e propria Via dell'Acqua, un elemento che oggi, in un momento storico in cui facciamo i conti con i cambiamenti climatici, acquista un valore simbolico particolare – sostiene l’assessore alla cultura Barbara Grosso – gli elementi culturali, le stratificazioni architettoniche, civili e monumentali, che spaziano fino all’archeologia industriale, fanno dell’acquedotto, luogo del cuore per i genovesi, un ponte per la storia, immerso nella natura, che collega Genova anche ad altre grandi capitali europee con cui abbiamo uno storico legame come Lisbona e pertanto un link anche di promozione a livello internazionale”. “Sono nata e cresciuta in questa vallata, tra i quartieri attraversati dal tracciato dell’acquedotto e so quanto questo luoghi siano nel cuore di chi li abita e di chi li vive – sottolinea l’assessore alla cultura del Municipio IV Media Valbisango Angela Villani – in questo territorio ci sono inoltre molte realtà anche associative che danno vita a numerose iniziative, tra cui spicca questo festival che ha il merito di valorizzare e mettere alla portata di tutti la storia di questa vallata e dei suoi abitanti”. Il festival comprende spettacoli teatrali in diverse location della Val Bisagno, ma non solo: oltre ai due appuntamenti presso il Cimitero Monumentale di Staglieno e presso l’auditorium di piazza Boero, si conferma anche quest’anno la collaborazione con Villa Bombrini con ospiterà la rassegna per tre spettacoli, tre ‘trasferte’ che anche in questa edizione permetteranno al festival di ‘svalicare’ e allargarsi a tutta la città. Un legame prezioso tra due territori il cui denominatore comune può essere la cultura e l’arte. Doppio appuntamento per il Cimitero Monumentale di Staglieno, cornice unica le rappresentazioni teatrali: venerdì 7 e sabato 8 luglio in scena in doppia replica “Sei personaggi in cerca di incontro”, di Mauro Pirovano, mentre domenica 30 luglio ore 17.30 sarà la volta di “Constance Lloyd: l’incontro”, di Mirco Bonomi. “Portare gli spettacoli a Staglieno per noi è sempre stato un modo per valorizzare i monumenti che abbiamo nella nostra vallata – spiega Mauro Pirovano – quest’anno però, invece di partire dai luoghi, partiamo dalle persone e dalle loro storie, iniziando proprio dalla nostra Anna Solaro” Tre saranno gli spettacoli ospitati a Villa Bombrini, per una rassegna che terminerà il 27 luglio ore 21 con la prima nazionale di ‘Prosit Arci Matto: Gioan Brera’, una produzione del Teatro dell’Ortica, di Ivano Malcotti, per la regia e l’interpretazione Mirco Bonomi. E poi il cuore del festival, composto dai sei spettacoli in calendario che alterneranno produzioni nostre e ospiti sul palco dell’auditorium di piazza Boero. Tra questi unica eccezione sarà ‘Dalla parte del gatto: storia di Enrico Mattei’, che sarà portato in scena presso il Punto Coop di Piazzale Bligny. Come di consueto i momenti topici del festival saranno le tre ‘stondaiate’, che porteranno il pubblico su è giù per i luoghi dell’acquedotto, non solo in val Bisagno: sarà l’occasione per seguire il tracciato dell’antico condotto fino a Villetta di Negro e fino al Molo, senza tralasciare i luoghi antichi del percorso di questa grande struttura nella vallata che lo ospita. “In questi 15 anni abbiamo girato in lungo e in largo tutto il vasto territorio dell’acquedotto – aggiunge Mauro Pirovano – quest’anno torniamo a Preli, ai piedi dei forti, e andremo a scoprire il percorso nascosto che l’acquedotto faceva e fa tutt’ora nel tessuto urbano genovese, passando dalle ville Di Negro Gruber, fino al Molo, dove terminava. E ne racconteremo piccole e grandi storie”. Questa edizione del Festival Teatrale dell’Acquedotto è stata realizzata grazie al prezioso supporto di Coop Liguria, Asef, Banca Passadore e del Gruppo Istituto Italiano Saldatura: tutte grandi realtà produttive profondamente radicate in Val Bisagno e che da molti anni accompagnano le attività del Teatro dell’Ortica.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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...breve ma infinito...può cambiare totalmente la vostra idea di letteratura...Una raccolta di racconti che permette di lambire l'universo o gli universi dello scrittore argentino...scritti straordinari, realmente al di fuori di ogni convenzione, anche quella che chiamiamo comunemente "realtà". Non fatevi ingannare dalle dimensioni contenute: questo libro richiede tempo per essere assaporato, per far risuonare la ricchezza della lingua e lasciare scivolare l'immaginazione negli infiniti mondi di Borges. Artifici, finzioni, labirinti infiniti e interminabili in cui perdersi. Specchi e sogni che modificano la percezione della realtà. Sentieri che si biforcano e rovine circolari. Biblioteche immense, libri reali e immaginari, Babele e Babilonia...Racconti che spalancano mondi metafisici e onirici in cui confluiscono tutti i futuri possibili e dove il tempo si può anche fermare. La delizia del Borges risiede nel suo modo di ritrarre l'impossibile squisitamente fine a se stesso...il tutto in una prosa che è una sfida ma che è foriera di vere e proprie gemme. La letteratura del novecento tocca con questi racconti vertici di indicibile, irraggiungibile profondità...#ravenna #booklovers #instabook #igersravenna #instaravenna #ig_books #consiglidilettura #librerieaperte #narrativa #jorgeluisborges (presso Libreria ScattiSparsi Ravenna) https://www.instagram.com/p/CldCGBfIw8P/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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andreasaltiniart · 4 years
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Il libro raccoglie 31 racconti scritti e illustrati da Andrea Saltini, artista che attira il lettore in una dimensione frequentata prevalentemente da soggetti ambigui, spesso ordinari, ma inseriti in contesti decisamente sub-normali, celestiali, a volte di cattivo gusto, dove si mescolano in maniera quasi alchemica feccia e lustrini. Il volume è arricchito da numerose illustrazioni in bianco e nero che evocano le atmosfere dei testi, onirici e gotici, ambientati nella Bassa Pianura Padana.
https://www.libreriauniversitaria.it/ritual-de-habitual-31-paesi/libro/9788863170153
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piecesofcris · 5 years
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Consigli di visione/lettura per sopravvivere alla casa
Ho usato l'espressione "per sopravvivere alla casa" perché la quarantena che ci affligge e ci costringe all'immobilità rischia di renderci indolenti, se non la contrastiamo con una mobilità mentale. Voglio allora suggerirvi alcuni titoli piacevoli e più o meno leggeri, in modo da tenere attiva la mente senza impegnarla eccessivamente. FILM: - "Scott Pilgrim V. S. The world": se come me avete adorato il fumetto, in questo film ne ritroverete lo spirito, unito a una regia dinamica e scene ioniche. L'aspetto più intimo dell'opera, ossia la storia d'amore fra i due protagonisti, è sempre ben presente, ma rimane chiaramente meno esplorata per far respirare il film, che copre l'intero arco narrativo dei vari volumi. - "7 minuti dopo la mezzanotte": se "Un ponte per Terabithia" era il mio amore adolescenziale, questa pellicola ne ricorda lo schema, in quanto tratta del rapporto con la malattia (che affligge la madre del protagonista, un bambino) vissuto e affrontato tramite un ricorso alla fantasia. Alla storia reale si intrecciano sequenze animate che narrano tre favole, per crescere e riflettere. - "La mia vita da zucchina": film d'animazione in stop motion, tratta con estrema dolcezza il tema dell'infanzia e dell'assenza di famiglia. Non è altro infatti che la storia di alcuni bambini orfani, che dovranno saper affrontare una vita da diversi insieme. "Mirai": opera dell'autore di Wolf Children, e si sente. Mirai non offre una trama particolarmente complessa, ma tanti momenti teneri e, insieme, onirici: la storia ruota attorno alla nascita di Mirai, la sorellina del protagonista, bambino viziato che dovrà saper affrontare la minaccia di un nuovo membro della famiglia a cui i genitori prodigano più attenzioni. Il tema della famiglia e della sfera domestica è affrontato con grande delicatezza, e nella sua ordinaria normalità il film offre momenti favolistici propri della fantasia di un bambino. -"Klaus": la storia rivisitata dell'origine di Babbo Natale. La vera gradevolezza di questo film risiede nella sua semplicità senza pretese, e nel reparto tecnico ineccepibile, che offre scorci di paesi, foreste e laghi ghiacciati. Veramente piacevole. RACCONTI (REPERIBILI ONLINE) : -"Il Minotauro - Borges": il mio amore per Borges non è certo un segreto, e a più riprese ho suggerito la lettura di questo brevissimo racconto, molto più di un racconto. La prima persona esprime l'animo di un altro personaggio, ma il nostro , perso nei meandri di un labirinto insensato. L'urlo della bestia si trasforma in quello dell'eroe, o l'eroe è sempre stato la bestia? -"The rocket - Ray Bradbury": scrivo il titolo in inglese perché così potete trovarlo online. Il racconto non fa parte del genere surreale/fantascientifico come si addice a Bradbury, ma allo stesso tempo ne è parte integrale. Semplicemente si tratta del viaggio fantastico nella fantasia di un padre e un figlio attraverso le stelle. Non saprei nemmeno dire perché fra i suoi racconti suggerirei questo, il che è tutto dire. - "Beastars": torno a suggerirvi questo manga, con la speranza che qualcuno che conosco prima o poi lo legga e ne possa discutere con me. Fidatevi, non vi deluderà. Avrei potuto andare avanti, anche suggerendo anime, telefilm o canzoni, ma a ogni parola che scrivo sento la minaccia del limite minimo di caratteri incombente su di me. Mi farebbe piacere avere un riscontro, dei commenti se qualcuno deciderà di guardare o leggere ciò che ho suggerito e, perché no, ulteriori suggerimenti su altre opere. Non è un gran periodo per me questo, e purtroppo quando sono un po' giù rischio spesso di diventare apatico e provare meno trasporto nell'approcciarmi a un'opera nuova, ma sono sempre aperto alla sorpresa.
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weirdesplinder · 5 years
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Adiaphora edizioni: riscorprire il gotico
Mi piace dare spazio sul blog alle case editrici che si danno da fare per pubblicare o ripubblicare classici purtroppo molto spesso dimenticati o ignorati dalla altre CE.
Una di queste case editrici, che tra l’altro ha sede vicino a adove abito, a Verona, è senza dubbio Adiaphora edizioni, che cura una collana dedicata alla riscoperta della letteratura gotica (sì proprio quella letteratura che Jane Austen prende un poco in giro in Nothanger Abbey) ma direi anche oltre che Gotica anche Lovecraftiana, di fine Ottocento, proponendo al pubblico italiani titoli molto famosi all’estero ma mai pubblicati da noi.
Ad oggi questa collana conta tre titoli:
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IL GRANDE DIO PAN
ARTHUR MACHEN
Finalmente, dopo anni di ricerche nel campo delle scienze occulte e dello studio delle funzioni cerebrali, il dottor Raymond è pronto per portare a termine un folle esperimento. Una notte d’estate, assieme all’amico Clarke, che sarà suo testimone, decide di sottoporre la giovane Mary a un intervento chirurgico al cervello per consentirle di sollevare il velo che cela la mostruosa divinità della natura, il Grande Dio Pan. Ciò che la ragazza vede la sconvolgerà per sempre. Molti anni dopo, in una Londra vittoriana ancora profondamente scossa dagli omicidi di Whitechapel, una catena di inspiegabili suicidi sconvolge le famiglie benestanti del West End, stringendo la città in una morsa di terrore nella quale nessuno può dire chi sarà il prossimo, né quando accadrà. Soltanto Villiers, appassionato esploratore notturno, il gentiluomo Austin e lo stesso Clarke, segretamente affascinato dall’occulto e dal mistero, sospettano che dietro ai suicidi possa nascondersi un’enigmatica figura femminile. Tra angoscianti testimonianze e onirici peregrinaggi dai sobborghi più ricchi fino ai bassifondi più squallidi di Londra, i tre insoliti investigatori si troveranno dinanzi a un terribile segreto che getta le radici tra le pieghe del tempo, in un passato colmo di suggestione e oscurità. Il Grande Dio Pan, all’epoca additato come osceno per i contenuti sessuali e lo stile decadente, viene oggi considerato uno dei migliori romanzi gotici dell’orrore di fine Ottocento.
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AMORI DEFUNTI
LAFCADIO HEARN
Colmi di malinconia e mistero, pervasi dalla duplice idea di Amore e Morte, infestati da fantasmi, antiche divinità e bellissime donne defunte, i brevi racconti fantastici che Lafcadio Hearn scrisse nel decennio in cui soggiornò a New Orleans sono un inno alla letteratura gotica e danno vita a quell’immagine pittoresca della città che ancora oggi pervade la cultura popolare. A lungo dimenticati, questi racconti sovrannaturali vennero riscoperti molti anni più tardi da amici e ammiratori dell’autore e pubblicati nell’antologia postuma Fantastics and Other Fancies.
Per la prima volta in Italia, in edizione da collezione con testo originale a fronte, una selezione dei migliori racconti creoli di Hearn, scrittore il cui stile esercitò un potente influsso su autori del calibro di H.P. Lovecraft e registi come Masaki Kobayashi.
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WENDIGO
Algernon Blackwood
Nelle regioni selvagge dell’Ontario nordoccidentale, il giovane studente di teologia Simpson e lo zio, il dottor Cathcart, sono impegnati in una battuta di caccia all’alce in compagnia di Hank e del franco-canadese Joseph Défago, loro guide. La spedizione si divide in due gruppi: Cathcart procede al fianco di Hank, mentre Défago conduce Simpson a bordo di una canoa nell’esplorazione di un vasto territorio inviolato. Appena accampatisi, Défago è allarmato da uno strano e spaventoso odore portato dal vento e, nel pieno della notte, i suoi lamenti svegliano Simpson: la guida è rannicchiata tra le coperte in preda all’angosciante terrore di una presenza in agguato nella foresta. Défago fugge nelle tenebre, costringendo Simpson a un inseguimento tra oscuri alberi e sentieri impervi. Seguendo le tracce sulla neve per miglia, il giovane nota che altre orme si sono aggiunte a quelle di Défago: più grandi, inquietanti, e non sembrano appartenere a un essere umano… In quelle foreste glaciali una blasfema creatura ha dato inizio a una caccia spietata
Un plauso per questa iniziativa che porta finalmente in Italia dei libri che hanno segnato la letteratura internazionale, prima reperibili solo in lingua straniera.
Adiaphora edizioni naturalmente pubbica anche titoli più normali, se volete scoprire il loro catalogo basta collegarsi al loro sito: https://www.adiaphora.it/
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telodogratis · 2 years
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I film della Mostra del Cinema di Venezia da recuperare su Netflix
I film della Mostra del Cinema di Venezia da recuperare su Netflix
Tutti i titoli di Venezia 79 che si possono guardare sulla piattaforma di streaming Si è appena conclusa la 79esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia e sono tanti i film presentati nelle sale cinematografiche del Lido di Venezia targati Netflix. Tra storie drammatiche, racconti onirici, trame d’impatto, sono… Read MoreFestival del cinema di venezia, Festival del cinemaToday
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giornalepop · 2 years
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LE DIMENSIONI ALTERNATIVE DI MARVEL E DC
LE DIMENSIONI ALTERNATIVE DI MARVEL E DC
L’idea di altre dimensioni era già apparsa in certi racconti di viaggi onirici, come la storia “Il miraggio dello sconosciuto Kadath” scritta da Howard Phillips Lovecraft nel 1927 e pubblicata postuma nel 1948. Ma i veri e propri universi alternativi al nostro, teorizzati poi anche nell’ambito della fisica quantistica all’interno di una logica non più soprannaturale ma pseudo-scientifica,…
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carmenvicinanza · 3 years
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Pia Pera, la scrittrice dei giardini
https://www.unadonnalgiorno.it/pia-pera/
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Non chiamatele ‘erbacce’: le erbe spontanee sono ospiti della mia terra!
Pia Pera è stata una scrittrice e traduttrice slavista che ha dedicato una buona parte della sua vita a scrivere di giardini, elaborando un suo personale concetto filosofico.
Nata a Lucca il 12 marzo 1956, era figlia del giuslavorista Giuseppe Pera e della filosofa Elvira Genzone.
Aveva una laurea in Filosofia all’Università di Torino, un dottorato in storia russa alla London University e una specializzazione della lingua russa a Mosca dove ha vissuto per due anni.
Insegnava letteratura russa all’università di Trento, svolgendo al contempo l’attività di traduttrice di autori come  Puškin, Čechov e Lermontov. Abbandonata la carriera accademica, aveva lavorato per qualche anno a Milano con Garzanti, come editor incaricata anche della ricerca di autori di lingua russa o inglese.
È del 1992 il suo primo libro La bellezza dell’asino, una raccolta di cinque racconti onirici che esplorano con audacia e grande profondità la natura umana e le relazioni sociali a partire dall’eros. Mostrano quanto il mondo possa essere completamente diverso, persino capovolto, se osservato e analizzato da un’altra prospettiva, collaterale e estraniante.
Ha scritto vari libri di narrativa e saggistica, anche una sua versione di Lolita dal punto di vista della protagonista che attirò le ire degli eredi di Nabokov.
Ha vissuto in Francia dove, sulle tracce di un’utopia moderna reale, è nato L’arcipelago di Longo Maï. Un esperimento di vita comunitaria, che parla di un’esperienza di autogestione nata in Provenza nel 1972.
Negli ultimi anni della sua vita, da quando si era volontariamente trasferita nelle campagne di Lucca, dove aveva ereditato un casolare, scriveva di giardinaggio su alcune riviste come The Times Literary Supplement, Diario, curando anche le rubriche apprendista di felicità su Gardenia e Verdeggiando sulla Domenica del Sole 24 Ore, in cui aveva esordito nel 2008 con un pezzo in difesa delle erbacce.
Scrivere di giardini, dall’angolo di mondo dove si era rifugiata, concepito come un luogo sacro, un rifugio sicuro e inespugnabile, era diventata una sorta di vocazione.
L’amore per il suo orto e giardino, vissuto dapprima in una maniera Zen, pieno di erbe spontanee, portate lì dal vento e dagli uccelli, lasciava libero spazio alla sua fantasia, all’intuito e al buon senso. Centinaia di varietà di fiori, verdure e piante (alcune recuperate da semi antichi fatti arrivare da una banca londinese), conferivano al luogo un aspetto di giungla attraversata da ordinati vialetti.
Aveva trovato tra le piante il suo posto nel mondo, il luogo dove si sentiva felice.
La sua scrittura che, inizialmente, era stata scoppiettante, mordace, dissacrante, nella natura aveva assunto un nuovo andamento, sempre audace e anticonformista ma più pacato e riflessivo.
Il primo libro di questa nuova vita è stato L’orto di un perdigiorno. Confessioni di un apprendista ortolano.
Manteneva contatti con varie organizzazioni legate alle piante appoggiando azioni di guerrilla gardens,  semine clandestine in spazi abbandonati delle città.
Nel 2006 aveva aperto il sito www.ortidipace.org, dove trattava di orti e giardini didattici in scuole e spazi pubblici e ha scritto Il giardino che vorrei.
Il giardino, per Pia Pera, travalicando il concetto di natura diventava cultura, filosofia. È tra le piante che sentiva di aver trovato il suo posto nel mondo, di essere dove esattamente doveva essere, forse “per la più primordiale delle complementarità, quella tra animale e pianta, tra creature specularmente opposte, che si nutrono l’una del respiro dell’altra”.
Il suo spazio verde era un luogo strano e bellissimo, una vera repubblica delle piante, gentile e selvatico nello stesso tempo, la realizzazione della sua piccola utopia. Il lavoro nella coltura era per lei un lenitivo, terapia e prevenzione contro i mali del mondo contemporaneo.
Nel 2007 ha scritto il libretto dell’opera rock Pia come la canto io di Gianna Nannini, basata sulla figura di Pia de’ Tolomei. Testi altamente poetici che uniscono suggestioni antiche, medievali, a valenze e sapori moderni e contemporanei, con un duro plurilinguismo, con accenni anche al triviale, alla maniera dantesca.
Malata di Sla dal 2012 e costretta da tempo sulla sedia a rotelle, è morta il 26 luglio 2016.
Pochi giorni prima non era riuscita a andare a ritirare  il riconoscimento speciale della giuria del Premio Rapallo per la sua ultima fatica, Al giardino ancora non l’ho detto.
Il libro è il diario di un progressivo restringersi delle possibilità del corpo, fino alla quasi totale immobilità degli ultimi giorni, quando riusciva ormai a comunicare soltanto attraverso i messaggi vocali di WhatsApp.
Pia Pera nella sua intensa vita, con grazia stupefacente, ha fatto giardinaggio come se fosse letteratura e ha reso il giardinaggio una forma di letteratura.
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pangeanews · 6 years
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I banditi: 4 libri per salvarci dall’Apocalisse culturale (prima che sia troppo tardi)
Li ho chiamati i banditi. Sono quei libri – e sono tantissimi – perduti nella palude dell’oblio, andati fuori catalogo o al macero. Banditi, appunto, dalle librerie e dai cataloghi editoriali. Banditi – in questo caso, perché, sia chiaro, se un libro è inutile meglio dimenticarlo il prima possibile – in quanto pericolosi. Sono libri che fanno pensare, che scavalcano le norme, che esulano dalle banalità, che si elevano dal domestico ‘intrattenimento’ buono per solleticare le voglie dei beoni. Perché ce li siamo dimenticati? Semplice:
a) i lettori italiani sono mediamente scemi: ingurgitano, come i maiali, tutto quello che il mercato gli propone, meglio se mediocre, insapore e a buon mercato;
b) gli editori italiani brindano allegramente sull’idiozia dei lettori. Bastano le stronzate stampate ogni dì, perché far fatica a rovistare tra le meraviglie e pubblicare libri che – per l’eccesso di genio lì conservato – possono sconvolgere la mente di un cittadino civilmente scemo e cautamente corrotto?;
c) i critici, gli intellettuali, i prof hanno svenduto l’intelligenza per una cattedra, per una seggiola nello scantinato di un editore transatlantico, per una brandina al sole di un grande quotidiano nazionale: che gli frega di confrontarsi con testi che li incenerirebbero, per giunta scritti da morti – ergo: creature che non possono ricambiare il favore?
Scavando tra le catacombe dell’editoria, vagando nella Pompei dei cataloghi editoriali ormai in frantumi, ho estratto 9 libri assoluti. Partiamo da qui per reagire allo schifo e rivoluzionare l’editoria italiana.
* Antimemorie, André Malraux. L’autobiografia romanzata di un genio che ha fatto la storia della letteratura (leggete almeno La via dei re e La condizione umana), la storia dell’arte (l’intuizione del ‘Museo Immaginario’ saldata nello studio Il cranio di ossidiana) e la storia di Francia (è plenipotenziario della cultura con De Gaulle) andrebbe adottata nelle scuole. Dal Vietnam alle scorribande in Cambogia, dalla rivoluzione cinese alla Seconda guerra, dagli incontri con Nehru, capo di Stato indiano, alla battaglia elettorale in Guadalupa, le Antimemorie sono il regesto della vita geniale di un inquieto, come se il Marlow di Joseph Conrad fosse dissezionato da Freud. Molti passaggi sono memorabili: “avendo vissuto nell’incerto regno dello spirito e della finzione che è proprio agli artisti, poi in quello del combattimento e della storia, avendo conosciuto a vent’anni un’Asia la cui agonia metteva ancora in luce che cosa significasse l’Occidente, ho incontrato varie volte, ora umili ora abbaglianti, quei momenti in cui l’enigma fondamentale della vita appare a ciascuno di noi come appare a quasi tutte le donne davanti al viso di un bambino, a quasi tutti gli uomini davanti al viso di un morto”. Le Antimemorie furono pubblicate in Francia nel 1967 e nel 1968 da Bompiani.
Il ponte, Hart Crane. Harold Bloom è uno che si ostina a fare il critico letterario, non ha timore di giudicare, e lotta per salvare il genio dalla sovrastante marea dello schifo. Secondo lui, Hart Crane è uno dei più grandi poeti del Novecento. “Ricordo ancora l’effetto che le poesie di Hart Crane ebbero su di me quando le lessi per la prima volta, a dieci anni. Probabilmente non le capii se non imperfettamente, ma la forza del metro e del linguaggio e la costante portata della visione del poeta mi catturarono e rimasi paralizzato dallo stupore”. Proprio questa è la scossa scatenata delle poesie di Crane: ti paralizzano. Crane, il dolente ‘maledetto’ della poesia americana, che mescola la rivoluzione copernicana di Ezra Pound alle folate liriche di Percy Bysshe Shelley, morì suicida, a 31 anni, gettandosi da una barca nel Golfo del Messico. Il canto del poeta, Orfeo sinistro, risuonò negli abissi, tra anemoni e pesci fluorescenti. Come testamento Crane ci lascia Il ponte, il poema della malinconia e della furia Usa, fitto di urti, di abbagli, di vertigini: “Oh insonne come il fiume sottostante,/ tu che scavalchi con un arco il mare/ e la zolla sognante delle praterie, slanciati/ verso le nostre bassezze, e qualche volta scendi,/ e con la tua curvatura presta un mito a Dio”. A volte Hart, elegante e depresso, sembra possedere la stessa sapienza di Thomas S. Eliot e di Dylan Thomas. Pubblicato nel 1930, questo classico della poesia americana sbarca in Italia, per merito di Roberto Sanesi, nel 1967, stampa Guanda. Nel 1984 lo ristampa Garzanti.
Diari, Julien Green. Chirurgo delle inquietudini, Julien Green, lo scrittore americano che diventò accademico di Francia e desiderava vivere in Italia – plurinovantenne tentò di acquistare la villa di Caterina Sforza a Forlì – editorialmente, per fortuna, funziona ancora. I suoi romanzi e i racconti, spesso tradotti con penna magistrale – Leviatan fu trattato da Vittorio Sereni – da Mezzanotte a Il visionario, da Suite inglese a Viaggiatore in terra e Vertigine, sono ancora disponibili per il lettore di buona volontà. Peccato che l’opera somma di Green, necrofilo dell’ego e cleptomane della meraviglia, siano i Journal intime, i diari, scritti per tutta la vita e suddivisi in diciannove volumi, parzialmente tradotti in Italia (i primi tre tomi, dal 1928 al 1943, sono comparsi nella collana Mondadori ‘Arianna’, dedicata a “Diari, Memorie, Epistolari”, presto defunta, per mano di Libero de Libero; altri sono passati per La locusta, Rusconi, Mursia) ma ormai scomparsi. Con imparziale levigatezza, sereno come Marco Aurelio e cinico come Montaigne, Green assembla riflessioni sulla Storia del mondo (“Fotografie di soldati tedeschi che risalgono i Campi Elisi; in fondo, l’Arco di Trionfo. C’è una specie di perfezione spaventosa nell’umiliazione della Francia, qualcosa che richiama irresistibilmente un ricordo di versetti biblici”) e sulla storia del suo ombelico (“A New York. Stanco d’essere sempre me stesso. S’è mai detta una perola di questa tristezza?”), brandelli onirici (“sognato di vedere un leone che suonava l’arpa”) e impressioni di lettura (“…ho aperto la Divina Commedia al primo canto del Purgatorio che ho letto in una specie di rapimento… ho sentito che dietro il sogno orribile in cui s’agita l’umanità oggi, resta per sempre una realtà immutabile, serena, eternamente beata”) con una sagacia impareggiabile, che consola. Meglio dialogare con Julien Green che con troppi onesti umani in carne e ossa.
I passi perduti, Alejo Carpentier. La parola al totem, Harold Bloom. “Carpentier, a eccezione di Borges, è indubbiamente il genio della narrativa latinoamericana nella sua fase grandiosa, durante la seconda metà del XX secolo”. Secondo Bloom, “i tre romanzi più importanti” di Carpentier, scrittore imprevedibile nato da una russa e da un francese ma cubano per passione e castrista per fede, sono Il regno di questo mondo (1949), I passi perduti (1953) e Il secolo dei lumi (1962), e “hanno pregi letterari almeno pari a Finzioni di Borges e a Cent’anni di solitudine di Garcia Marquez”. Un tempo in libreria, stampati (e ristampanti) da Longanesi, Einaudi, Sellerio, ora non ci sono più. Il secolo dei lumi, “una delle massime opere in lingua spagnola del Novecento” – così la tonante ‘quarta’ dell’edizione Sellerio – narra gli effetti della Rivoluzione francese nei Caraibi. La vera protagonista è “la Macchina”, la ghigliottina, “nuda e scarna, nuovamente piantata sopra il sonno degli uomini, come una presenza – un’avvertenza – che ci riguardava tutti senza eccezioni”. I passi perduti, tuttavia, è un romanzo più sottile, che dilaga nel cupo corpo come un pitone. Si narra la catabasi di un antropologo nella foresta amazzonica. Partito per cercare alcuni strumenti musicali dei primordi, scopre i precordi del vivere – “ora, seduto su questa pietra, vivo il silenzio: un silenzio venuto da così lontano, denso d’altri silenzi, che vi acquisterebbe la parola un fragore cosmico”. Più che altro, una esperienza dei sensi linguistici: Carpentier costruisce una cattedrale vegetale di verbi, in cui gli aggettivi sono una letale lussuria. Inevitabile innamorarsi.
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chez-mimich · 6 years
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THE DREAM MACHINE IS ASLEEP
 In ogni presentazione di una mostra di arte contemporanea è inevitabile il solito riferimento al Surrealismo e al Dadaismo. Naturalmente anche per “The Dream Machine is Asleep” di Eva Kot’átková, nell’introduzione al quadernetto che accompagna ogni installazione all’Hangar , ci si è sentiti in dovere di “giustificare” il lavoro dell’artista praghese, con il solito, immancabile e stucchevole doppio riferimento ai due grandi movimenti delle avanguardie artistiche. Ma, per gli occhi più smaliziati, gli unici riferimenti possibili per Eva Kot’átková non possono essere che Louise Bourgeois e, semmai, Gil Yefman (che vidi alla Fondation Vuitton, ancora sui tetti con vista Arc de Triomphe, nel 2015). Il lavoro di Eva Kot’átková è un lavoro “sul” corpo e “nel” corpo, ma Surrealismo e Dadaismo sono riferimenti troppo lontani e del tutto pretestuosi. Anche per entrare nello spazio espositivo dell’Hangar si passa attraverso un budello tortuoso e buio che potrebbe sembrare il famoso padiglione auricolare di Anish Kapoor nella sua esposizione italiana alla Fabbrica del Vapore; sempre di corpi si tratta, ma sono corpi dell’immaginazione lontani anni luce dai corpi martoriati di Orlan o da quelli “in figurazione” di Vanessa Beecroft. Questi sono i corpi onirici dell’immaginario infantile e del corpo visto e mostrato come macchina, anche come “macchina onirica”, corpo come incubatore dei nostri sogni e quindi delle nostre paure e dei nostri desideri. Del resto Eva lo dichiara esplicitamente proprio nell’opera che dà il titolo alla mostra, “The Dream Machine as Asleep” dove, mentre l’adulto è chiamato a sdraiarsi in un gigantesco lettone per ascoltare racconti e sogni di bambini, al piano sottostante un “ufficio per la creazione dei sogni” lavora a pieno regime per la produzione dell’immaginario. Anche la bellissima e un po’ inquietante serie “Heads” rimanda direttamente alla parte più significativamente coinvolta nel processo immaginifico: la testa. Si tratta di sette teste modellate attraverso rudi strutture metalliche il cui accostamento a oggetti quali scarpe o libri e l’interazione di performer, ne stabiliscono il grado di compromissione onirica. E così lo stesso per “Theatre of Speaking Objects” del 2012 che rimanda direttamente all’antropomorfismo oggettuale: pentole, cesti, porte e altri oggetti che si illuminano ed emettono suoni in forma di racconto, rappresentano efficacemente l’onirica tangibilità del corpo. Per un bambino sentir parlare un tamburo o veder camminare un libro, non è cosa poi così inconsueta, ed è proprio questa capacità immaginifica che noi siamo disposti a sacrificare per consentire il rito di passaggio all’età adulta, ed è proprio su questa innocenza perduta che Eva Kot’áktová, vuole portarci a riflettere. Un cenno particolare va riservato a “Cutting the Puppeteer’s Strings with Paper Teeth”, un teatro per marionette i cui personaggi sembrano in attesa di un animatore. In realtà queste marionette hanno avuto una vita propria negli innumerevoli spettacoli portati in giro per l’Europa e che richiamano molto il “Teatro Nero” di Praga. La rappresentazione è incentrata sui condizionamenti fisici e psicologici che gravano sui nostri corpi e sulla nostra mente, condizionamenti costantemente perpetrati dalla società e dai rapporti sociali nei quali ci troviamo a vivere. Nella sua forma statica questo teatro e questa marionette impressionano ancora di più, lasciandoci liberi di immaginare le storie di costrizione e di autoritarismo presenti già “in nuce” nelle maschere e nei corpi, animali ed umani, dei personaggi. “The Dream Machine as asleep” è una mostra che non dovete perdervi con una sola avvertenza: non portate con Voi questa spiegazione o qualche opuscolo informativo, portatevi un bambino, sarà la sua lungimirante fantasia a farvi da guida.
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janerosecaruso · 4 years
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Halloween Stories, diciotto autori per diciotto racconti
Halloween Stories, diciotto autori per diciotto racconti
Halloween is here!
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Per la notte più paurosa dell’anno abbiamo pensato ad una raccolta di storie che soddisfacesse il palato letterario delle più svariate tipologie di lettori. E quindi, eccoci qui! Ne abbiamo confezionati ben diciotto, ognuno diverso dall’altro.
C’è quello breve e intenso. Quello dalle atmosfere e toni onirici. Quello provocatorio e grottesco. Quello cinico e impenitente.…
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tempi-dispari · 4 years
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Non è solo musica, è un modo di vivere: il metal
Primo appuntamento con una nuova rubrica che cercherà di dare uno spaccato dei movimenti giovanili negli anni ’80
‘Non è solo musica, è uno stile di vita’. Quante volte è stata detta o si è sentito ripetere questa frase? Innumerevoli. E mai frase fu più adeguata per descrivere quelli che potremmo definire come ‘movimenti giovanili’. Non si sta parlando del ’68 e di tutto quello che ne è conseguito. Parliamo di tutti quei fenomeni che hanno raccolto sotto una sola bandiera, o quasi, intere generazioni o parte di esse.
Dai Beat alla psichedelia, dalla scena prog alla new wave, dal movimento skin al metal passando attraverso il punk, il kraut rock e il dark. Non si tratta solo di generi musicali. Ognuno di essi ha attratto sotto la propria bandiera musica, libri, film, opere d’arte, mete di viaggio e chi più ne ha più ne metta. Tutto perché, appunto, non sono semplici generi musicali ma veri e propri modi di intendere e vedere la vita.
Se ascolto Endstufe o i Dead Kennedy fa un’enorme differenza perché mi caratterizza socialmente, politicamente, umanamente. Ascoltare l’uno o l’altro gruppo dice come la penso rispetto alla vita.
Ed è un discorso che vale per tutti i fenomeni giovanili. Spesso non è la semplice voce dei giovani a parlare, ma le loro canzoni, i loro poster, le bandiere, le magliette che indossano, i concerti a cui vanno, i film che vedono, i libri che leggono.
Noi a tutto questo, a questi movimenti, vogliamo dedicare uno spazio, per farli conoscere, per avere anche un riscontro con i nuovi fenomeni giovanili e la nuova cultura dei più piccoli. Siccome nessuno è omniscente, questo spazio non vuole e non può essere esaustivo. Si invitano quindi coloro i quali hanno vissuto i movimenti, a dire la loro al fine di riuscire a costruire un documento il più affidabile possibile.
E visto che in redazione siamo tutti, o quasi, metallari o residui metallari post industriali, è da li che iniziamo.
Per poter parlare di metal come fenomeno culturale giovanile, come per tutti gli altri, si deve obbligatoriamente inquadrare storicamente. Era l’inizio degli anni ’80. la musica, così come la società, arrivava da un periodo piuttosto intenso.
Il decennio precedente in Italia, e non solo, era stato molto duro. Il terrorismo aveva imperversato mettendo a dura prova il sistema. Culturalmente il decennio dei ’70 aveva visto la consacrazione di diversi artisti. Era nato il J27, morto John Bonzo Bonham, batterista di una delle più influenti band del nascente hard rock.
John Lennon era appena stato assassinato, chiudendo un’epoca di attivismo pacifista e politico. Usa e Urss si stavano fronteggiando portando il mondo in piena guerra fredda. Da li a poco sarebbe nato il flagello Aids. Stava iniziando a decadere il fenomeno punk che, pur se nato come gioco, aveva in soli 4 anni spazzato via radicate certezze culturali.
Da una parte anche come risposta a quella che era stata tutta la magniloquenza progressive. Corsi e ricorsi. Il prog era troppo cervellotico, il punk risponde con qualcosa di immediato ed estremamente semplice. Dall’altra parte lo stesso punk diventa la ribellione a quanto di socialmente codificato ci fosse in quel periodo.
I figli dei fiori erano da poco caduti sul pianeta terra alla fine del loro viaggio lisergico liquefacendosi. Insomma un bel fermento quasi in ogni settore sociale. Il metal del 1980 non fu altro che la naturale evoluzione di ciò che c’era prima, si legga per la musica Deep Purple, Black Sabbath, Judas Priest, Lez Zeppelin, Pink Floyd, e una perfetta codifica di quello che avvenne da quel momento in poi.
L’aspetto musicale, soprattutto per i testi, fu la prima chiave di lettura degli sconvolgimenti di quel periodo. Si passa da testi di speranza e libertà, vita vissuta, onirici o criptici dei gruppi rock a racconti raccapriccianti ed apocalittici. Tutto questo nell’arco di un decennio per poi andare a morire (anche se sarebbe meglio dire ‘tornare negli scantinati da cui era nato’) dopo il grunge, negli anni ’90.
Il metal quindi non fu una rivoluzione ma una evoluzione. Fu la perfetta voce, sia per gli aspetti più negativi sia per i più positivi, di quell’epoca. Circa la negatività lezione fu quella dei Judas Priest, accolta, interiorizzata e superata. Il nichilismo punk portato all’estremo così come la velocità di esecuzione, la saturazione dei suoni, il modo di cantare.
Non si deve dimenticare che ad alimentare questo fenomeno c’era la paura della bomba atomica e del’hiv. Insomma, non era difficile intravvedere un no future. Così il metal nichilista fece proprie anche altre espressioni artistiche che andavano in quella direzione. Il cinema in primo luogo. Forse l’apice in questo senso può essere visto ne I guerrieri della notte, di Walter Hill del 1979.
Qui c’è forse il senso vero dell’essere metallaro: un guerriero urbano che lotta per difendere più che se stesso, il proprio mondo e il proprio modo di vivere. Un altro fu Interceptor, 1979, di George Miller, per l’iconografia culminata nel terzo capitolo Oltre la sfera del tuono, seguito da 1997 Fuga da New York di John Carpenter.
Era un film metal in tutto e per tutto. Dalla descrizione del personaggio, un cavaliere solitario duro e puro, misantropo ma pronto a sacrificare se stesso (più o meno visto che nel film è costretto da una bomba inserita nel corpo) per un bene superiore pur se in una società malata e corrotta.
Decine di altre pellicole andarono a rimpolpare l’immaginario del metallaro medio. Alcune furono proprio film di genere, come Morte a 33 giri. La commistione tra musica e cinema thriller, dell’orrore, fu così forte che molti registi scelsero colonne sonore esclusivamente metal per i propri film. Due su tutti: Brivido, di Steven King, colonna sonora degli Ac/Dc e Sotto Shock, di Wes Craven, colonna sonora thrash. Poi i Gremlins con gli Wasp e Young Guns con Bon Jovi. Non bisogna poi dimenticare quella che allora era solo una trilogia, Nightmare.
I film, ma non solo, le citazioni di scrittori all’interno dei testi non si contano, portarono con sé l’interesse per i libri. Steven King divenne un classico per i metallari, affiancato dal misconosciuto H.P. Lovecraft, così come lo diventò un certo filone della fantascienza, il neonato cyberpunk.
Ancora, non mancò neppure l’adozione dei fumetti tra la cultura metal. In Italia il più gettonato, ma non per questo esclusivo, fu certo Dylan Dog e il suo mondo dell’incubo che vide i natali proprio in quegli anni.
Pur se ci si sposta fuori da questo universo, le tematiche nichiliste restano evidenziando una più forte critica alla società vista come decadente, destinata all’autodistruzione e ad un repentino peggioramento. Ma non c’è solo il buio, nel metal. Ci sono anche feste, festini, macchine veloci, ragazze formose, droga e moto.
Si parla dell’hard rock o air metal. Qui la morte e la distruzione lasciano il posto ad un mondo fatto di ragazze facili, lunghe corse in auto, il vento tra i capelli, la descrizione della vita on the road, il tramonto e il Messico. Anche alcuni dei più cattivi si ispirano comunque a questo universo, si legga Wasp.
Ma non è finita. Anche per l’hard rock non erano tutti lustrini, capelli cotonati e fusò. A dirlo, diventando vessillo di miriadi di giovani, furono i gruppi street. Questi raccontavano la dura vita di strada, appunto, costellata di alcool, droga e guai di vario genere.
Così come per il thrash e lo speed metal è il mondo dei film e dei libri dell’orrore a farla da padrone, per parte dell’hard rock si apre uno spiraglio verso la direzione della college music. Miriadi di band scrivono canzoni o fanno video ispirandosi al mondo adolescenziale.
Anche in questo caso alla musica si affianca l’universo visivo e cinematografico che vede il proliferare del filone college e dei film generazionali. Tutto va nell’enorme calderone della cultura metal del momento. Resta poi molto attivo quello che potremmo definire come l’iconografia classica del metal fatta di guerrieri con enormi spadoni, asce bipenne, muscoli e razzie (il mondo epico dei Manowar) che continua indisturbato per la propria strada facendo proselitismo.
Non tantissimo, ma quanto basta a non farlo scomparire come genere. Pure in questo caso letteratura e film hanno fatto la propria parte, il Signore degli anelli su tutti, ovviamente si parla del libro. Tuttavia il metal non è un genere chiuso su se stesso. Alla fine degli anni ’80, inizio ’90, non mancano tentativi e progetti di contaminazione con altri generi.
Sforzi culminati nella nascita dei Korn e degli Slipknot e che hanno visto in Mordred, Bad Seed, Livin Color, e decine di altre band i loro natali. Tutto questo fino al primo lustro degli anni ’90. Fino, cioè, alla nascita del grunge.
Nevermind, Ten, Ultramega ok, Man in a box, hanno messo a durissima prova la resistenza del metal che se, in un primo momento, ha cercato di combattere, in un secondo ha tentato di inglobare, senza successo, il nuovo fenomeno al suo interno.
I gruppi grunge non ci sono stati. Si sono aperti una strada tutta loro creando il primo step che avrebbe fermato il metal da li a pochi anni. Sono state molto poche le band metal che si sono sapute reinventare ed adeguare ad una società che ha cambiato voce, che non si vede più rappresentata dai testi e dalle sonorità del rock.
Chi ha seguito il metal in queste fasi non lo ha fatto solo perché gli piacevano i suoni o c’erano belle canzoni. Lo ha fatto perché ne ha condiviso l’idea di base. Al di là del bisogno di appartenenza tipico dell’adolescenza, è stato proprio il volersi sentire non uniformato, il voler urlare la propria ribellione, in maniera punk, contro un sistema che tendeva a schiacciare e massificare.
Non dimentichiamo che accanto al metallaro esisteva un mondo perfettamente contrapposto che seguiva mode e griff.
Quindi, essere metallaro, non voleva dire solo ascoltare un determinato tipo di musica ma sposare una filosofia di vita che diceva di essere se stessi al di là delle imposizioni sociali, del pensiero dominante, delle convenzioni. Voleva dire anche essere solidali, senza giudicare niente e nessuno. Rispetto era la parola d’ordine.
E altro non poteva essere. Se si vuole rispetto, si deve dare rispetto. Per quanto riguarda l’aspetto politico, non è mai stato particolarmente incisivo nel movimento. Non che non esistessero metallari e gruppi di destra o di sinistra, ma quello che ha sempre contato di più è sempre stata la musica. Idem per l’aspetto spirituale.
Vero è che c’erano e ci sono band e singoli artisti apertamente satanisti, ma questo non ha mai fermato nessuno, o quasi, dall’ascoltarli. Un’altra caratteristica del metal è stato il meticciato ideologico e di razza. Se qualcuno volesse fare una cernite in tal senso resterebbero davvero poche band. Idem per quanto riguarda la libertà sessuale, non inteso solo come promiscuità ma anche come omosessualità.
Molti sono gli elementi, se non intere band, apertamente omosessuali, ma non per questo discriminati. Probabilmente la parola che meglio descrive il metallaro, oltre a rispetto, è libertà. Di pensiero, di azione e di espressione. E questo non è solo musica. È, appunto, un modo di vedere e intendere la vita.
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