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#Storia della Sicilia
gregor-samsung · 2 years
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“ «Fatti orribili funestarono ieri sera la città di Palermo», dice il Giornale Officiale del 2 ottobre. Alla stessa ora, in diversi punti della città tra loro quasi equidistanti, una stella a tredici punte sulla pianta di Palermo, tredici persone venivano gravemente ferite di coltello, quasi tutte al basso ventre. «I feriti dànno tutti gli stessi contrassegni dei feritori, i quali vestivano a un sol modo, erano di pari statura, sicché vi fu un momento che si poté credere fosse un solo. Fortunatamente...» Fortunatamente nei pressi del palazzo Resuttana, dove vicino al portone cadde, gridando di spavento e di dolore, il ventre squarciato, l’impiegato di dogana Antonino Allitto, si trovavano a passare il luogotenente Dario Ronchei e i sottotenenti Paolo Pescio e Raffaele Albanese, del 51° fanteria. Accorsero, videro il feritore fuggire, lo inseguirono. A loro si unirono il capitano delle guardie di Pubblica Sicurezza Nicolò Giordano e la guardia Rosario Graziano: e non persero di vista l’uomo che inseguivano fino al cantone del palazzo Lanza, nei cui bassi era una bottega di calzolaio, ancora aperta nonostante fosse vicina la mezzanotte; e vi si lavorava, forse per una consegna che urgeva, da fare al mattino: un matrimonio, un battesimo. E nella bottega, fidando nella solidarietà che non poteva mancare ad uno inseguito dalla polizia, credette poter trovare scampo il feritore: vi entrò, spinse giù da uno sgabello, davanti al deschetto, un dei lavoranti; e si mise a quel posto come stesse lavorando. Ma la guardia Graziano, entrato qualche secondo dopo, si trovò di fronte a una scena non ancora assestata; a colpo d’occhio capì che l’uomo da acciuffare era quello che meno mostrava stupore; gli balzò addosso, lo immobilizzò, lo consegnò al capitano Giordano e agli ufficiali che sopraggiungevano. Perquisito, gli trovarono un coltello a molla di acuminatissima lama; e insanguinato. Più tardi, al posto di polizia, fu identificato: Angelo D’Angelo, palermitano, trentotto anni, lustrascarpe (mestiere cui era passato da quello più faticoso di facchino alla dogana). Naturalmente, nonostante il coltello insanguinato che gli avevano trovato addosso, D’Angelo negò di aver ferito Antonino Allitto, di aver ferito qualcuno davanti al palazzo del principe di Resuttana. Si trovava, sì, a passare da quella strada: e alle grida del ferito e all’accorrer di gente era fuggito nel timore che per lui, innocente, ne venisse qualche guaio, prevenuta com’era nei suoi riguardi la polizia del Regno d’Italia per il sospetto che di quella del Regno delle Due Sicilie fosse stato assiduo delatore. E si mantenne a negare per tutto l’indomani, davanti al giudice; «però il giorno seguente 3 ottobre, questo sciagurato sopraffatto dall’enorme peso del crimine, scosso dal fremito dell’universale indegnazione, lacerato forse dai rimorsi della coscienza ed atterrito dalle maledizioni di un popolo, determinavasi non solo a confessare la sua reità, ma ben pure a svelare la serie dei fatti e tutto ciò che era a sua conoscenza, intorno all’orribile macchinazione di cui egli aveva preso parte, allo spaventevole attentato del quale era stato uno degli autori». “
Leonardo Sciascia, I pugnalatori, Einaudi (collana Nuovi Coralli n° 168), 1976¹; pp. 5-7.
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piebald-hyena · 9 months
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I want to know more about the history of fashion in Sicily from 1900-1950 if at all possible, I’ve been having trouble finding the sources myself. Thank you in advance!
Voglio saperne di più sulla storia della moda in Sicilia dal 1900-1950 se possibile, sto avendo difficoltà a trovare le fonti da solo. Grazie in anticipo!
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allass990 · 1 month
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Il Padrino Parte II
Per incarnare il personaggio di Don Corleone con tanta accuratezza, De Niro si recò in Sicilia e vi risiedette per un periodo per imparare la lingua italiana con il dialetto siciliano, finché non padroneggiò il personaggio e lo interpretò.
Realisticamente, senza essere troppo artificioso.
Questa non è stata solo la sfida più importante per De Niro, ma la sfida più grande è stata quella di trovare lo stesso tono di voce rauco con cui parlava.
Ha Marlon Brando nella prima parte. E De Niro ci è andato davvero vicino
Lo ha detto in un modo che corrispondeva a quel tono, e lo ha detto bene in un modo che ha stupito tutti coloro che hanno visto il film, rendendolo ampiamente meritevole di un Oscar per il suo ruolo, e Vito Corleone immortala quel tono.
Il personaggio iconico della storia del cinema
Globalismo.
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sofysta · 7 months
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Teste di Moro
Sicilia
La leggenda vuole che attorno all’anno 1100 durante la dominazione araba della Sicilia una giovane donna del quartiere arabo Al Hàlisah di Palermo, che adesso di chiama Kalsa, si fosse innamorata di un arabo che era in città durante un viaggio e che fosse ricambiata. La loro storia d’amore andò avanti per un po’ di tempo, finché l’uomo non decise di confessarle di avere già una moglie e dei figli in Oriente e che di lì a poco sarebbe dovuto ripartire per tornare da loro. Accecata dalla rabbia e dalla gelosia la ragazza uccise l’uomo di notte, tagliandogli la testa e usandola come vaso per piantarci del basilico. A rendere ancora più macabra la storia, la leggenda narra un particolare molto curioso, pare che in quel “vaso” il basilico crescesse estremamente rigoglioso e che i vicini fossero molto incuriositi da quella fortuna della giovane donna, tanto che ben presto cominciarono a farsi produrre dagli artigiani dei vasi a forma di testa di moro (ossia l’arabo), da usare sui balconi per le piante ornamentali.
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rebelontheroad · 23 days
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La Strage di Capaci: Un Momento Cruciale nella Lotta alla Mafia
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Il 23 maggio 1992, la Sicilia fu teatro di uno degli atti più atroci della storia italiana recente: la Strage di Capaci. Un attentato mafioso colpì il magistrato Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo, anch'essa magistrato, e gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Una carica di esplosivo, piazzata lungo l'autostrada A29 nei pressi di Capaci, fece saltare in aria le auto su cui viaggiavano, spegnendo le vite di coloro che avevano dedicato la propria esistenza alla lotta contro la mafia.
La Strage di Capaci non fu solo un brutale omicidio, ma un vero e proprio atto di guerra contro lo Stato italiano. Giovanni Falcone, insieme al collega e amico Paolo Borsellino, era una delle figure più rappresentative della lotta alla mafia. Il loro lavoro presso il pool antimafia di Palermo aveva portato a importanti successi, culminando nel Maxi Processo di Palermo del 1986-87, che vide centinaia di mafiosi condannati.
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La tragica morte di Falcone e, poco dopo, quella di Borsellino nella strage di via D'Amelio del luglio 1992, scosse profondamente l'Italia. Tuttavia, il loro sacrificio non fu vano. La reazione della società civile fu forte e determinata. Le manifestazioni di piazza, l'impegno delle associazioni antimafia e il lavoro incessante delle istituzioni portarono a una nuova stagione di arresti e processi contro Cosa Nostra.
L'eredità di Falcone e Borsellino vive ancora oggi nelle leggi che regolano il contrasto alla criminalità organizzata, come la legge sui collaboratori di giustizia, e nelle numerose iniziative educative volte a promuovere la cultura della legalità.
Oggi, la mafia è cambiata e si è adattata ai tempi, infiltrandosi in nuovi settori economici e sfruttando le nuove tecnologie. La lotta contro la criminalità organizzata richiede quindi un impegno costante e l'aggiornamento continuo degli strumenti di contrasto. Tuttavia, il messaggio di Giovanni Falcone rimane una guida preziosa: "Gli uomini passano, le idee restano e continuano a camminare sulle gambe di altri uomini."
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Ricordare la Strage di Capaci non significa solo rendere omaggio alle vittime, ma anche rinnovare il nostro impegno quotidiano per una società libera dalla mafia e dalla corruzione. Solo attraverso la memoria e l'azione possiamo costruire un futuro di giustizia e legalità.
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mucillo · 4 months
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Brace - C.S.I.
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Chi è Ginevra di Marco
Ginevra Di Marco: «Abbiamo bisogno di donne guerriere che dicono no al dominio maschile»
Gli esordi con i CSI, la storica band di Giovanni Lindo Ferretti. Le collaborazioni e gli incontri con musicisti, con scienziate come Margherita Hack, scrittori come Luis Sepúlveda e poeti come Franco Arminio. La vocalist porta in tournée tre spettacoli, tra suoni e parole
Ginevra Di Marco, lo spettacolo “Donne guerriere” rende omaggio a due donne del passato, Caterina Bueno e Rosa Balistreri, esponenti fondamentali della cultura popolare italiana. Cosa l’ha colpita della loro storia?
«È uno spettacolo che nasce da un'idea di Francesco Magnelli, che condivido sul palco con lui, con Andrea Salvadori e l’attrice Gaia Nanni. Raccontiamo la storia di Rosa Balistreri e Caterina Bueno, due figure fondamentali della scena folk italiana degli anni Sessanta, che in qualche modo hanno cambiato il loro destino».
Perché erano due donne guerriere?
«Hanno ribaltato un destino prefissato da altri, si sono imposte in una cultura assolutamente dominata dagli uomini, sono un bell’esempio da studiare. Hanno fatto della loro arte un grande atto politico, perché la politica si fa con le scelte più che con le parole. Erano due persone che venivano da due realtà completamente diverse: Caterina altolocata, figlia di artisti stranieri, trapiantata in Toscana, a un certo punto ha sentito stretto quel mondo così ben strutturato e ha voluto mescolarsi con i contadini e gli operai, è andata nelle campagne toscane a conoscere i canti che senza il suo apporto sarebbero stati dimenticati. Invece Rosa veniva dalla Sicilia più nera, più povera, più disastrata. Ha avuto una vita piena di dolori indicibili, di grandissime sofferenze. E invece è riuscita a emergere, a farsi rispettare da tutta l'intellighenzia culturale dell'epoca. Due bellissime figure insomma, che raccontiamo con grande passione».
Oggi c’è ancora bisogno di donne guerriere?
«Le donne guerriere sono tutte coloro che senza distinzione di ceto età cultura si oppongono a un destino prefissato da altri, che credono nel proprio sogno e lottano per realizzarlo. Tutte coloro che riescono a dire no al dominio maschile, nel nostro tempo ancora molto forte».
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belladecasa · 11 months
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Ore 22 e 39 consumando la cena più disgustosa che sia mai stata assemblata dall'essere umano dai tempi in cui vivevamo di caccia e raccolto vi darò l'ennesima informazione assolutamente non richiesta, assolutamente non interessante, assolutamente patetica sul mio conto, e cioè: il motivo per cui io amo andare al mare. Premetto che io amo il mare - ovviamente non in determinate condizioni di sovraffollamento delle spiagge - anche per un motivo abbastanza razionale, perché mi calma.
Sono stata calma e rilassata, senza angoscia, solo 3 giorni della mia vita - sicuro ce ne saranno stati altri, si spera, ma ho memoria solo di tre perché sono nevrotica, tesa, agitata sempre (una delle prime cose che mi disse il mio psicologo è: lei non si rilassa mai) - sulle Dolomiti quando camminavo intorno al lago di Auronzo di Cadore, l'anno scorso sopra al corpo di un uomo e una volta in Sicilia sdraiata sulla battigia con l'acqua che mi fluiva addosso. La prima volta nel Cadore ho pensato di essere fortunata perché ero avevo i mezzi per trovare pace solo attraverso i miei sensi, poi due mesi dopo ho iniziato ad assumere psicofarmaci, ma non voglio divagare dal motivo per cui amo il mare: la spiaggia è l'unico luogo in cui è normalizzata l'attività che io chiamo il deposito che consiste nello stare sdraiati su una superficie per ore senza dormire, astraendosi completamente dal corpo, appunto depositando il proprio corpo gettandosi nel totale vuoto psichico. Io mi deposito continuamente durante la giornata, di solito sul letto o sul divano ma pure sul pavimento e semplicemente sto là come una lucertola. Durante il deposito gli occhi sono chiusi ma non si dorme, semplicemente si sta, non è quasi mai rilassamento o riposo per i motivi nevrotici che ho premesso, anzi spesso il deposito è dato da sensazioni di ansia e/o disperazione che non mi permettono di stare in piedi, tipo l'altro ieri mi sono seduta con gli occhi sbarrati e mi sono uscite le lacrime senza motivo, succede durante il deposito, oppure un mesetto fa sono stata due ore a letto con gli occhi chiusi ma vigile e tesa, con le mente vuota, poi Franci mi ha chiesto se avessi dormito due ore e io ho detto: no no ero sveglia, mi ero depositata e lei ovviamente basita.
In spiaggia tutto questo è normale la gente prende e si deposita per ore, forse loro non sono, o almeno non tutti degli squilibrati con problemi depressivi, ma fanno quello che faccio io per una volta.
Fine della storia non avvincente.
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curiositasmundi · 10 months
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Un personaggio sempre sullo sfondo di vicende misteriose, che appare e scompare, di quelli che non finiscono sulle prime pagine dei giornali, ma il cui nome affiora più volte negli atti giudiziari degli ultimi trent’anni. A volte perché accostato alla mafia siciliana, più di recente alla ‘ndrangheta. L’uomo di cui parliamo ha quasi ottant’anni, è nato in Libia ma vive a Catania.
Si chiama Francesco Rapisarda e nel corso della vita ha stretto relazioni pericolose che – seppure non abbiano mai portato a imputazioni per associazione mafiosa – hanno contribuito ad alimentare sul suo conto ombre e misteri. Alcuni dei quali intrecciati con la massoneria. Ora che è al centro di inchieste dell’antimafia, il modo migliore per conoscerlo è risalire la linea del tempo.
Per ultimo il suo nome è comparso nell’inchiesta della procura di Catanzaro che, a inizio luglio, ha riacceso i riflettori sul villaggio Sayonara di Nicotera (Vibo Valentia), passato alla storia per avere ospitato, nell’estate ’92, uno dei summit in cui le ‘ndrine decisero di aderire alla strategia stragista inaugurata da Cosa nostra con le uccisioni di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e che, l’anno dopo, avrebbe portato le bombe a Firenze, Roma e Milano.
Per i magistrati, tre decenni dopo quella riunione, il Sayonara era ancora in mano alla ‘ndrangheta. E a dimostrarlo sarebbe proprio la presenza al suo interno di Rapisarda. Sayonara simbolo di un’alleanza duratura tra le organizzazioni mafiose divise dallo Stretto di Messina.
[...]
Per gli inquirenti, Rapisarda sarebbe arrivato al Sayonara forte di alcune referenze mafiose. In particolar modo da parte della famiglia Santapaola-Ercolano, che a Catania rappresenta Cosa nostra.
A sostegno di questa ipotesi, citano i fatti che nel 2016, l’anno prima di prendere la conduzione del lido, avevano portato Rapisarda e il fratello ai domiciliari nell’ambito dell’inchiesta Brotherood. Al centro dell’indagine erano finiti i punti di contatto tra esponenti della famiglia Ercolano e alcuni appartenenti a una loggia massonica di cui proprio Francesco Rapisarda era il sovrano.
Grazie a tali convergenze l’uomo, che è anche rappresentante di un’associazione che rimanda all’organo di governo del Rito Scozzese Antico ed Accettato, sarebbe riuscito a turbare un’asta giudiziaria e rientrare in possesso di un complesso industriale. Vicende per le quali Rapisarda è stato condannato a due anni e otto mesi in appello, dopo essere stato assolto in primo grado.
Per spiegare perché la vicinanza agli Ercolano avrebbe rappresentato un buon biglietto da visita agli occhi di Mancuso, i magistrati ricordano invece l’amicizia che lega il boss di Limbadi ad Aldo Ercolano, nipote del capomafia Nitto Santapaola e condannato all’ergastolo per diversi omicidi, tra cui quello del giornalista Giuseppe Fava.
[...]
l capitolo più misterioso della biografia di Francesco Rapisarda risale, però, a tempi più remoti. Si tratta di una vicenda in cui, in prima battuta, venne tirato in ballo insieme al fratello Carmelo, per poi uscire di scena: il duplice delitto della Megara.
È il 30 ottobre 1990 quando, nella zona industriale di Catania, l’auto su cui viaggiavano Alessandro Rovetta e Francesco Vecchio – amministratore e dirigente della più grande acciaieria di Sicilia – viene crivellata di colpi da un commando che, per gli investigatori dell’epoca, agì con «tecniche quasi militari».
Ad oggi non esistono colpevoli e l’indagine per tre volte è finita sul binario morto della richiesta di archiviazione. L’ultima attende il responso del gip, chiamato a valutare l’opposizione dei parenti delle vittime, convinti che non tutto il possibile sia stato fatto.
Sullo sfondo di questa storia c’è posto non solo la criminalità organizzata. Il 5 novembre 1990 una telefonata all’Ansa di Torino annunciò l’esecuzione di Rovetta e Vecchio per conto della Falange Armata, la sigla che ha accompagnato parte dei misteri italiani dagli anni Novanta in poi – dai delitti della Uno Bianca alle stragi – e che sarebbe sorta all’interno della settima divisione del Sismi, il servizio segreto militare. Di fatto, il duplice omicidio della Megara fu la seconda rivendicazione nella storia della Falange.
A mancare finora è stato anche il movente. L’acciaieria da tempo era nella morsa del racket e, con all’orizzonte una ristrutturazione miliardaria, Cosa nostra avrebbe avuto tutto l’interesse a evitare il clamore di un delitto eccellente.
È tra questi punti interrogativi che, a metà anni Novanta, compaiono sulla scena i fratelli Rapisarda: entrambi attivi nell’indotto della Megara, a citarli è il collaboratore di giustizia Giuseppe Ferone. Secondo il quale, Vecchio sarebbe stato ritenuto colpevole della riduzione di commesse a favore di una delle loro ditte e per questo destinatario di un’estorsione da parte degli emissari di un clan locale, a loro volta vicini ai Rapisarda.
[...]
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fiat500nelmondo · 1 month
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Raduni Fiat 500: Un Weekend di Passione e Tradizione 11 - 12 Maggio
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Il prossimo weekend, gli appassionati della Fiat 500 d'epoca avranno l'opportunità di partecipare a una serie di eventi esclusivi che celebrano questo modello di auto. Ecco un elenco dettagliato degli eventi del 12 Maggio 2024, che promettono di essere un'occasione imperdibile per gli amanti delle classiche Fiat 500.
- Le 500 a Golosaria - Portacomaro (AT) Unite la passione per le auto d'epoca con il gusto per le delizie enogastronomiche nella pittoresca Portacomaro. Questo raduno si svolgerà in un contesto unico, dove potrete esplorare la cucina locale e la cultura mentre ammirate alcune delle più belle Fiat 500 conservate. - Pomezia in 500 #pomeziain500 - Pomezia (RM), Via Roma Non perdete l'evento "Pomezia in 500", che trasformerà Via Roma in un'esposizione a cielo aperto di Fiat 500. Un'occasione per vedere da vicino modelli storici e scambiare aneddoti e consigli con altri appassionati. - 1° Meeting Città di Taormina - Corso Umberto I, Taormina (ME) La splendida Taormina farà da sfondo al primo incontro dedicato agli amanti delle Fiat 500. Il corso Umberto I ospiterà un raduno in una delle località più suggestive della Sicilia, offrendo una vista mozzafiato e una giornata indimenticabile. - Aiutaci ad aiutare in 500 - Piazza San Nicolò, Pietra Ligure (SV) Un evento con un cuore grande, "Aiutaci ad aiutare in 500" si svolgerà nella vivace Piazza San Nicolò. Questa iniziativa combina la passione per le auto con la generosità, raccogliendo fondi per le cause locali. - Raduno Fiat 500 Festa dell'Agricoltura - Vie del Centro, Portomaggiore (FE) Celebrate la connessione tra le tradizioni agricole e le auto storiche a Portomaggiore. Questo raduno si inserisce all'interno della festa dell'agricoltura, offrendo una giornata di festeggiamenti rurali e belle auto. - 11° Raduno Città della Cavalleria - Piazza Cavour, Pinerolo (TO) Pinerolo accoglierà il 11° Raduno della Città della Cavalleria, un evento che promette di essere un punto di incontro per gli appassionati di storia e di motori, in una delle piazze più ampie e belle del Piemonte. Ogni evento è una celebrazione della cultura automobilistica e una testimonianza dell'amore che lega gli appassionati delle Fiat 500 d'epoca. Questi raduni non sono solo occasioni per ammirare belle auto, ma anche per incontrare persone con una passione comune e condividere momenti di gioia e nostalgia. Assicuratevi di partecipare a questi eventi per vivere un'esperienza unica e per mantenere viva la storia di una delle auto più amate d'Italia. Trovate l'elenco aggiornato in tempo reale a questo LINK
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diceriadelluntore · 1 year
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Storia Di Musica #267 - Black Sabbath, Greatest Hits, 1977
Questo è uno degli album con la storia più strana del mondo rock. Con protagonista una delle band che più hanno colpito un certo immaginario collettivo. Ma partiamo dal filo conduttore delle Storie di Musica di Marzo, le copertina con quadri del Rinascimento. In quello di oggi, vi è una sezione del capolavoro del 1562, Il Trionfo Della Morte, di Peter Bruegel, conservato al Museo Del Prado di Madrid. Quadro di una drammatica bellezza, ha in sè una leggenda niente male: innamorato dello stile di Antonello da Messina, Bruegel, che era fiammingo, viaggiò fino in Sicilia per vedere i quadri del Misterioso maestro. E secondo molti critici lo sfondo di questo e di un altro suo leggendario capolavoro, Caduta Di Icaro (1558), sono ispirate a coste siciliane, e il mortifero cavallo della Grande Falciatrice in questo fu ispirato da quello dell’affresco, omonimo, ma di due secoli più antico, conservato adesso a Palazzo Abatellis a Palermo. E qui parte la storia strana del disco: il quadro non è nemmeno accreditato sulla copertina del disco quando uscì nel 1977 (e ancora adesso non compare in molte discografie ufficiali), perchè probabilmente questa raccolta era una carta di riserva della casa discografica NEMS (fondata da Brian Epstein, ma poi acquistata dal management del gruppo di oggi) preoccupata che qualcuno dei Black Sabbath potesse morire da un momento all’altro, vista la quantità e la qualità di cose pericolose che immettevano nel loro corpo in varie modalità. Dico subito che la storia non si può verificare in alcun modo, e rimane leggenda, ma dato che il disco ebbe diffusione bassissima, la alimentò a dismisura, quasi da considerare il disco una sorta di bootleg ufficiale e adesso è un pezzo forte del collezionismo (in qualsiasi pur pessima condizione vale almeno 100 €). I Black Sabbath erano esplosi 7 anni prima, quando per qualche centinaio di sterline e 12 ore in sala prove, Tony Iommi (chitarra), Bill Ward (batteria), Geezer Butler (basso) e John “Ozzy” Osbourne (voce), da Aston, periferia di Birmingham (all’epoca, uno dei posti più deprimenti dell’Occidente) creano, partendo dal blues, un qualcosa che mischiato con campane a morte, tuoni nella notte, urla disumane, chitarre lancinanti come lame infernali, un nuovo stile, l’heavy metal. La via esoterica al rock parte con i primi, clamorosi, cinque dischi: Black Sabbath (1970), Paranoid (stesso anno, il Sgt. Pepper’s del metal), Master Of Reality (1971) e gli appena più “affaticati” Vol. 4 (1972) e Sabbath Bloody Sabbath (1973). Nessuno prima di loro aveva aggredito in modo così “scabroso” gli spettatori, segnando, come raramente è accaduto, un genere. Il disco è semplicissimo: 10 brani, 5 dal fantasmagorico esordio, 3 da Paranoid e Vol. 4., 2 da Black Sabbath e una ciascuna dai restanti due. In scaletta tutti i brani mitici del gruppo, canzoni culto come l’allucinata Paranoid, la brutale e meravigliosa Iron Man, gli 8, incredibili minuti di War Pigs, che stravolgono il blues, la tosse che apre al riff già stoner di Sweet Leaf, ma anche la dolcezza del piano di Changes, il brano più romantico del repertorio, come Tomorrow’s Dream, che apre addirittura al romanticismo: “And let tomorrow's dreams\Become reality to me\So realize I'm much better without you\You're not the one and only thing in my heart\I'll just go back to pretending I'm living\So this time I'm gonna have the star part”. Il terremoto sonoro è completato dalle quasi omonime Black Sabbath e l’altro riff micidiale di Sabbath Bloody Sabbath. Mancano alcuni capolavori, riscoperti anche dopo anni, come Electric Funeral (da Paranoid, apocalittica) o la imprescindibile per i fan Children Of The Grave (da Master Of Reality). Quando uscì nel 1970 Paranoid, la rivista Rolling Stones, dopo averli pesantemente criticati per il primo lavoro, che nonostante tutto arrivò nella Top Ten inglese, scrisse: “Sul loro secondo e pesantissimo disco, Paranoid, troviamo lamenti sulla distruzione della guerra e l'ipocrisia dei politici, i pericoli della tecnologia e dell'abuso di droga”, parole che possono andare benissimo per questo disco antologico, introvabile ma magnifico. Va detto a onor di cronaca che la Nems sbagliò di pochissimo le previsioni di uno scioglimento, ma non per decesso, sebbene Ozzy e Iommi facevano a gare di riabilitazioni e entrate in cliniche: dopo il deludentissimo Never Say Die, uscito nel 1978, dove rispetto alla “brutalità” del punk neonato (che prese moltissimo dal loro essere iconoclasti) sembravano quelli di Top Of The Pops, Ozzy abbandona in un primo momento, poi finisce il disco, e se ne va definitivamente, sostituito nel 1980 da Ronnie James Dio, Ma quella sarà un’altra band, ed è anche un’altra storia.
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NAPOLEONE
Napoleone è il cane della spiaggia di Punta Secca, il cane di tutti. Lo è diventato dopo. La sua storia ha un che di speciale e struggente. Si porta dietro un dolore grande. Grande come il mare che gliel'ha provocato. Napoleone era il fidato amico di Giuseppe. Giuseppe era un pescatore. Usciva all'alba, con la sua barca per guadagnarsi faticosamente il pane pescando pesci, se il mare era d'accordo e se gli dava il permesso. Tornava all'imbrunire, quando il mare si colorava di riflessi dorati, e il sole andava a dormire. Napoleone lo accompagnava sempre nelle sue uscite, festoso lo seguiva, là, sul piccolo molo, lo guardava eseguire tutte le manovre necessarie alla partenza. Lo osservava attento sganciare i canapi, sistemare gli ormeggi, poi quando l'ancora era levata, con un balzo saltava a bordo. Era stato compagno di tante uscite, molte delle quali poco fruttuose. Anche lui si era abituato alla dura vita del pescatore. Giuseppe ci parlava con Napoleone, era un compagno silenzioso e discreto. Sapeva ascoltare e non commentava mai in modo inopportuno. Ogni tanto mugolava in segno di approvazione. Se qualcosa invece lo infastidiva ringhiava minacciosamente. Era un linguaggio comprensibile solo a loro, ma che dava origine a un dialogo perfetto, tra due anime che si somigliavano. Un giorno accadde che Napoleone prese una sbandata per Josephine, la cagnetta della vicina di casa di Giuseppe. Quel giorno si era intrattenuto con lei lungo la spiaggia a rotolarsi nella sabbia e a tuffarsi tra la spuma sfilacciata del mare. Poi, felici, erano andati a scollarsi tra i bagnanti indispettiti. Quel giorno l'amore aveva avuto la meglio. Ma mentre si scrollava, Napoleone, si ricordò del suo padrone e corse al molo, sperando che non fosse ancora salpato. Corse veloce, arrivò trafelato, ma la barca era ormai un piccolo puntino all'orizzonte. Triste tornò verso casa con la coda bassa. All'imbrunire ritornò sul molo ad aspettare Giuseppe. Giuseppe non tornò quella sera, e nemmeno la sera successiva, e neanche tutte le sere a seguire. Il mare aveva preteso l'ennesimo tributo. Giuseppe era stato ingoiato da quel mare che sa essere il migliore amico, generoso e munifico, e spesso il peggior nemico, spietato e famelico. Napoleone adesso dunque non ha più un padrone, e non lo vuole, ed è per questo che è diventato di tutti. Perché essere di tutti è come essere di nessuno. Osserva indolente il trambusto durante le riprese di Montalbano, si accompagna spesso ai bagnanti, ne usurpa l'ombra sotto gli ombrelloni, ogni tanto si sopisce, poi d'improvviso si sveglia, corre verso l'acqua, si tuffa e nuota prendendo il largo, come a cercare qualcosa, qualcuno. Torna mesto, le orecchie basse e la faccia triste. Ancora oggi, tutte le sere, all'imbrunire, si reca sul piccolo molo ad aspettare la barca di Giuseppe. Guarda l'orizzonte e spera che un giorno il valoroso Colapesce possa emergere dalle acque di Sicilia con sottobraccio il suo adorato padrone.
c.s.
da fb
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gregor-samsung · 2 years
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“ In quel 1862, le condizioni della Sicilia dovevano apparir [ai nobili siciliani] in tutto uguali a quelle del 1849: tali cioè che sarebbe bastato lo sbarco di qualche reggimento borbonico in un qualsiasi punto della costa a far sì che tutta la Sicilia violentemente insorgesse contro i piemontesi. Nel popolo, nella piccola «burgisia» agraria (ogni volta che per le cose siciliane si deve parlare di borghesia è opportuno o lasciare la parola in dialetto o farla seguire da un aggettivo; per esempio: borghesia mafiosa), la delusione era grande: le tasse; la leva militare obbligatoria alla quale gli abbienti sfuggivano pagando e i poveri dovevano sottostare da tre a sette anni; l’esproprio dei beni ecclesiastici che andava a tutto vantaggio della grande «burgisia» fondiaria, tanto più rapace e dura dell’aristocrazia feudataria. C’era poi, gravissimo, il problema dell’ordine pubblico: e pare ci fosse davvero differenza tra come, dal ‘48 al ‘60, Maniscalco aveva diretto la polizia e le incertezze, gli avventati rigori e le non meno avventate debolezze, gli sciocchi machiavellismi con cui la dirigevano i questori sabaudi. Al modo del Bolis «prelodato», per dirla col linguaggio del Giornale Officiale. Insomma, la restaurazione borbonica doveva sembrare non solo possibile, ma sicura e vicina. Comitati borbonici si costituivano spontaneamente - e, si capisce, segretamente - in ogni parte dell’isola: e crediamo se ne meravigliassero lo stesso Francesco e il suo fedele ministro Ulloa, che sulla devozione dei siciliani non contavano per nulla. Era il momento, per i siciliani che avessero fiuto, di preparare i loro titoli di fedeltà a Francesco Secondo: ma cautamente, ma accortamente; e insomma facendo quel doppio gioco che abbiamo visto andar bene, tra fascismo e antifascismo, giusto ottant’anni dopo. E di fiuto la classe aristocratica ne aveva, e affinato da secoli. “
Leonardo Sciascia, I pugnalatori, Einaudi (collana Nuovi Coralli n° 168), 1976¹; pp. 77-78.
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ashbakche · 2 months
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abr · 2 months
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La realtà è che il nostro Paese sembra non credere più a nulla, soprattutto a se stesso. Quando leggo le polemiche pro o contro Salvini e chi lo sostiene (sulle Grandi Opere tipo Ponte sullo Stretto ma non solo, ndr) penso al 13 agosto 1898. Quel giorno a Iselle di Trasquera, un paesino sopra Domodossola, brillarono le prime mine per il traforo del Sempione.
(A) quel progetto non ci credeva quasi nessuno salvo chi aveva pensato, progettato, finanziato e voluto un’opera tanto colossale. Si chiamavano Alfred Brandt e Karl Brandau, gli ingegneri che dai due versanti avevano dato il via a un progetto incredibile per quei tempi (...): un tunnel di quasi 20 chilometri (...) che rimase per 76 anni il record del mondo, superata solo negli anni ’80 (...).
Furono impegnati (...) decine di migliaia di operai (...), minatori sardi e toscani, contadini (...), disoccupati, analfabeti e tanti ragazzi. Solo nelle trincee del Carso ritroveremo fianco a fianco uomini così diversi (...). “Rimarranno schiacciati dal peso di oltre 3.500 metri di roccia sovrastante, saranno strappati via dalle correnti calde del sottosuolo e comunque non si può lavorare a 55 gradi!”. Rileggendo i giornali del tempo tutto sembrava impossibile e invece, neppure sette anni dopo, tutto era compiuto.
Alla fine i calcoli manuali dello scavo (...) risultarono perfetti: le due gallerie si ritrovarono esattamente a metà strada, dopo 10 chilometri di buio, con uno scartamento di soli sette centimetri e, su circa 15.000 operai impegnati nei lavori, ne morirono solo 42, un niente rispetto ai 200 del traforo del Gottardo di anni prima. (S)i corse sempre ai ripari organizzando migliori condizioni di vita degli operai che ogni giorno avevano abiti puliti, toilette e aspiratori per ridurre la temperatura (...). Nacque anche un paese, Balmalonesca, per ospitare migliaia di operai e le loro famiglie (...) con case, osterie, la scuola, una chiesa (...).
Scrivo questo pezzo da Dubai, dove trent’anni fa c’era solo sabbia e oggi (si staglia) il grattacielo più alto del mondo. È indigesto agli ecologisti e opera faraonica e inutile? Sta di fatto che l’anno scorso la città più visitata al mondo da turisti non è stata più Parigi ma proprio Dubai (...).
Ormai Europa e Asia sono connessi sul Bosforo senza problemi, così come decine di isole nel mondo. Anche considerando solo i ponti a campata unica (...) costruire il ponte sullo Stretto tra Calabria e Sicilia é nell'ordine delle cose e non ditemi che in Turchia, in Giappone o in Cina non ci siano tsunami e terremoti! (...).
via https://www.ilsussidiario.net/news/ponte-sullo-stretto-il-monito-del-vecchio-sempione-ai-sabotatori-che-ignorano-la-nostra-storia/2686470/
Sempre provinciali siamo stati, ma oggi più di ieri: più sono sinistri ecoambientalisti che si credono moderni, più regressivi ignoranti tutto sentimient' pregiudizi e blablabla impauriti a bocc'aperta diventano. In sintesi, dei Tozzi.
Peccato che i piagnina senza lumi né speranze dilaghino attualmente anche oltre il divide con gli ignoranti a sinistra. In ritardo ma l'han vinta finalmente, la battaglia per l'egemonia culturale: non è questione di contenuti ma di metodo, han reso la mentalità e l'approccio della maggioranza silenziosa che lavora, negativa passiva aggressiva come la loro. Al più fanno i "benaltristi", altro diversivo classico sinistro. Non per caso i figli (=speranza di futuro migliore) non li fa più nessuno.
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sofysta · 7 months
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Finalmente si parla non di mafia, ma della nostra storia gloriosa. Perchè la Sicilia, comunque si veda, è un cardine della cultura italiana. E sicuramente verrà la narrazione dell'800, del 900, della grande letteratura, mille storie ideate dai piu' grandi scrittori italiani...Capuana, Verga, De Roberto, Pirandello, Quasimodo, Sciascia, Vittorini, Bufalino, Consolo, Camilleri...quanta ispirazione.
E alle storie, si affiancano gli edifici meravigliosi, i luoghi. Verrà Basile, il grande liberty di un'epoca stupefacente.
Questa nuova visione della Sicilia andrà indietro nel tempo, quando la sopraffina corte imperiale di Federico II cullava le prime rime poetiche in italiano.
E il mondo greco, secoli prima, di questi imperiosi teatri dove si misurava la tragedia, e vicende meravigliose.
Quante storie deve ancora raccontare, questa terra.
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F. Ferla
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pettirosso1959 · 9 months
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FREEZE CORLEONE,
IL PROTOTIPO DEL NUOVO RAGAZZO EUROPEO: GENITORI DIVORZIATI CHE NON SI PARLANO, MULTIETNICO, MULTICULTURALE E CANTANTE TRAP.
Mentre in Italia si discute della pesca di Esselunga e se non sia un desiderio legittimo vedere i propri genitori tornare insieme c'è chi sta AVANTI e per trovarlo basta valicare le alpi
Ma per conoscerlo dobbiamo fare un bel passo INDIETRO, diciamo ai primissimi anni 90.
Siamo in Sicilia, esattamente a Palermo e la protagonista di questa storia è una ventenne centrosocialara. Erano i primi tempi della globalizzazione e tra le altre cose un po' tutti conoscono nuovi costumi e nuove culture che a sinistra vengono assunte come salvifiche e come necessarie per cambiare la società italiana in meglio: "immigrati non lasciateci soli con gli italiani" insomma, quella roba lì.
La ragazza palermitana, coerentemente col suo pensiero, ospita a casa un immigrato del Senegal con cui ovviamente fa subito un figlio che nei suoi pensieri è femminista, meticcio, di sinistra e laico.
Diciamo che non va proprio così ma questo lo vedremo dopo.
Quello che lei vede subito è il suo amato scappare dalla camera da letto per tornare nel suo paese, dove lo aspettano le sue otto mogli. D altronde è quella la sua cultura e forse la ventenne siciliana non lo sapeva cosi trovandosi da sola emigra a Parigi dove nasce il piccolo Lorenzo con la promessa che un giorno il padre sarebbe tornato mettendogli quindi il suo cognome, Dhakate.
Il padre effettivamente torna ma 11 anni dopo. Nella versione senegalese dell' islam la madre deve crescere il bambino fino a quando non c è il primo segno di pubertà. Arrivato quel momento la responsabilità dell' educazione è del padre che lo prenderà sotto la sua ala protettrice e gli insegnerà la parola del Profeta.
Lorenzo viene iscritto in un college in Canada, dove vive il ramo maschile della sua famiglia, ma sembra poco interessato allo studio dato che inizia subito la carriera che più gli interessa: lo spacciatore, in particolare di Lean ( una droga sintetica sciroppata a metà strada tra popper e cocaina inventata dai chimici inglesi per Churchill di cui era ghiotto).
A 20 anni però l'imprevisto: gli salta il carico della vita perché arrivano centinaia di litri di prodotto falso dall' Alaska.
Dopo la crepa presa non si perde d animo e si trasferisce in Francia, dato che è cittadino transalpino grazie allo ius soli, e li inizia a fare musica trap in versione "Cloud drill" , la nuova tendenza molto più ambiente filosofica proveniente da Londra. Diventa subito discretamente famoso grazie alla sua crew, i 667 ( "un numero in più di SoroSSatana con cui non scendiamo a patti") nel suo sobborgo, LES Liles, dove approfondisce la sua cultura politica e religiosa e diviene simpatizzante dell' ideologia nazionalsocialista e praticante dell' islam radicale, la versione wahabita.
E li diventa FREEZE CORLEONE, il nuovo astro nascente della trap francese e tutti scommettono sul suo futuro.
Ed a ragione perché il suo momento col destino lo vive l'undici settembre, data scelta diciamo non a caso, nel 2020, all uscita del suo primo disco, "La Menache fantome" con etichetta la major Universal.
" Determinato ed ambizioso come un giovane Adolf negli anni 30"
" La musica dei bianchi fa schifo ma noi ne@ri arriviamo sui carrarmati tedeschi e conquistiamo Parigi"
" Fratello Bin L. guidaci a New York in modalità avion"
" Vado in campo e smarco gli ebrei sulla Maserati come fa Marco Verratti"
" Israele come Babilonia, nel nome del Profeta"
Le sue canzoni diventano subito inni nelle banlieue, in particolare la sua dove detta legge ( qui vigono solo tre valori: l'Islam, il verbo di Adolf. H. e la Lean dichiarerà nella sua prima Intervista), la Universal si rende conto di aver fatto un autogol e rescinde il contratto per giusta causa. "Ma ormai è tardi" direbbe qualcuno.
Difatti Lorenzo sta già a due dischi di platino dopo solo un mese e questo fa arrabbiare non poco il ministro degli interni, il falco macroniano Gerardo Dermanin.
Quest' ultimo quindi posta su Twitter una canzone di Corleone affermando che "questa immondizia antisemita non ha diritto di cittadinanza in Francia" ricevendo svariate critiche dai giovani di seconda generazione che gli fanno presente che se Charlie Hebdo può fare certe vignette allora anche Corleone può cantare le sue canzoni in cui inneggia ai campi di concentramento, all invasione tedesca dell' Europa e all undici settembre.
Non fa una piega se non fosse che proprio Lorenzo risponde al twit affermando "che se ne frega tutti i giorni della Shoah".
Così scatta immediatamente il mandato di arresto per lui che però riesce a fuggire in Senegal dove compra proprio un carrarmato con cui giura di invadere la Francia dove torna dopo otto mesi, decaduta la pratica di arresto, e realizza insieme al suo amico Julienne Schwarzer il singolo più venduto e famoso della storia della Trap francese "Mannschaft".
Arriva a 5 dischi di platino nel frattempo e con la sua crew detta legge nei locali di mezza Europa vestiti con le tute del Psg e del City( le squadre più forti in Europa a proprietà ovviamente araba wahabita) anche se Lorenzo in particolare esibisce sempre quella della Roma di cui è tifoso, in primis nella sua foto più famosa dove usa 1kg di hashish come guancialino a destra e a sinistra.
Chissà che ne pensa la madre che voleva un bimbo aperto, di sinistra e multiculturale e si ritrova come figlio il trapper più famoso in Francia di simpatie nazionalsocialiste, islamista, misogino e maschilista.
Una pesca dell' Esselunga sciroppata alla Lean per tutti, barista.
[Dario Berardi]
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