Tumgik
#animo stanco
io-e-la-mia-mente · 2 months
Text
Tumblr media
La nebbia sta passandomi vicina , non la vedo ma posso sentirla .. sarà solo il mio animo inquieto a farmi percepire cose che non esistono .. domani il vento l'avrà allontanata e la luce del nuovo giorno riporterà calore al mio corpo stanco e vitalità ad una mente che lavora troppo di fantasia .. chiudo gli occhi umidi e metto a riposo il mio cuore che ha tamburellato tutto il giorno aspettando il suono di un messaggio
schiava-di-ING
2 notes · View notes
crystal0-1rose · 1 year
Text
Devi smetterla di fidarti delle persone. Devi smetterla di illuderti che qualcuno possa capirti. Cerchi un senso nelle cose da troppo tempo, ma forse cerchi una realtà che nel mondo che vivi non è presente; è troppo lontana e remota dal tuo animo.
Resti chiusa in te stessa. Resti sola nella folla più ammassata che esista. Cerchi risposte e ponti, ma trovi muri e figure girate di spalle. Non c’è nessuno che oda il tuo silenzio, non c’è anima che si fermi e si chini a guardare i tuoi occhi ricolmi di lacrime.
Quello che cerchi è ben più di quello che nel mondo esiste. Quello che vuoi trovare va ben oltre ciò che concepisce la società del momento.
Parli con te stessa, cercando di incoraggiarti come riesci. Ti sforzi di non abbandonare ogni residuo di sentimento positivo, fresco e vitale che la vita ti ha sempre elargito da quando sei al mondo.
Lotti con tutte le tue forze cercando di stare in piedi, cerchi di accogliere chiunque si accosti a te per ricevere un sorriso o un angolo per rifugiare il suo cuore stanco. Offriresti la tua spalla a chiunque voglia correrci per scoppiare in un pianto a dirotto, ma non hai la fortuna di avere nessuno tanto vicino da farlo, solo la quasi certezza che qualcuno anche se distante, con l’opportunità, lo farebbe.
Mentre pensi queste cose stai sperando, stai dannatamente sperando. Non manifesti nulla fuori, ma dentro hai il mondo. Hai un’anima che non vuole star ferma, continua a fremere. Vorrebbe capovolgere tutto. Non soffri infatti di ogni minima ingiustizia? Ed anche la tua vita, che ti sembra al momento ripiena solo di questo la vorresti stravolgere, ma perché non ci riesci da sola?
Perché abbiamo sempre quella sensazione che ci serva qualcosa per completarci? Non siamo forse interi che si cercano? O è soltanto una mentalità del momento, per far affermare il proprio amore di sè e la fiducia nelle proprie capacità complete ed autosufficienti?
~ 30/03/23
CR diary
5 notes · View notes
il-viaggiatore · 2 years
Text
Tumblr media
Partiva appena ne aveva l’occasione, per andare nell’unico posto dove poteva dar sollievo al suo animo.
Perché era stanco di lottare e di far sì che gli altri comprendessero il fardello che portava dentro ogni giorno.
Dietro ad un finto sorriso.
Dietro una finta risata.
L’acqua, il mare, quel misto di fragranze che gli riempivano i polmoni ad ogni respiro.
I suoi colori mutevoli.
Quel suono ritmico, a volte irregolare delle onde che si frangevano sugli scogli.
Era la sua cura, l’unica cosa che leniva in qualche modo il peso di tutte quelle giornate che da colorate pian piano andavano assumendo i toni grigio scuro.
E rimaneva in silenzio, in solitudine fino a che i colori pian piano tornavano a riempire il suo campo visivo, fino a che il cuore non si sentiva più leggero, fino a che non fosse di nuovo pronto per ritornare e ricominciare ad indossare la sua maschera quotidiana.
Ma sapeva che non sarebbe bastato, perché il mare lo avrebbe richiamato a sé, ancora una volta.
E un’altra ancora.
Forse prima o poi sarebbe guarito.
Forse non ne avrebbe avuto più bisogno.
Ma in fin dei conti, si era rassegnato già da tempo all’idea che fosse solo una grande menzogna che si ripeteva ogni qual volta se ne andava.
11 notes · View notes
corneliusnolitta · 1 year
Text
Stanco.
Una stanchezza che s'aggrappa al petto.
Un peso sulle spalle che cresce ogni momento.
Rosso cielo di autunnale mattina, lascia spaziar lo sguardo, senza portar sollievo a pesante animo.
Stanco del quotidiano.
Stanco del nuovo.
Pure la vita par essere un peso, che non ho più voglia di portare.
Il nulla nell'animo or è agognato.
Cerco d'intorno un caldo sollievo, ma trovo solo la gelida aria del mattino.
(Cornelius Nolitta)
Tumblr media
5 notes · View notes
unareginatriste · 2 years
Text
Quella notte le costellazioni spiccavano di brillantezza distese nel cielo nero ma la luna, vera padrona della nostra esistenza troneggiava pallida tra le nuvole, sembrava volesse indicare a qualcuno la strada giusta da percorrere. Quei pensieri scossero brividi sulla mia pelle, l’istinto primordiale che possedevo fece divampare in me un senso di allerta, ero consapevole che qualcosa di inevitabile sarebbe accaduto da lì a poche ore. Una nave maestosa apparse dinanzi ai miei occhi, non ne vedevo da secoli, l’isola selvaggia dove avevo scelto di stare quell’estate era segreta ed irraggiungibile agli esseri umani, eppure il fato mi trasse in inganno senza pietà. La luna illuminò la figura di un uomo, mi apparse potente, sfrontato e senza timori, nonostante i venti sfavorevoli diede ordini ai suoi marinai di continuare a remare verso la riva. I suoi occhi mi rapirono, erano zaffiri in un oceano di oscurità, mi scrutava cercando di indovinare se fossi una sirena, o forse una ninfa, non essendo consapevole che in verità io sono una dea. Non mi mossi nonostante il terrore abbracciasse il mio corpo intero, il desiderio di conoscere quell’uomo così ribelle prevalse su ogni mia parte razionale. L’uomo scese in terra accompagnato dalla sua ciurma, sempre più incredulo ad ogni suo passo, il mio sguardo si incatenò al suo e pietra divenne il suo corpo ma luce i suoi occhi, eravamo fuoco nel fuoco, l’amore di cui i poeti cantano da secoli, ciò che Venere stessa incarna, lui era metà della mia anima.Fu una grazia o una disgrazia; entrambe forse, questo ricordo è ciò che di più caro conservo in metri di speranze e pezzi di cuore. Nessuno può rubarlo, nessuno può vederlo. E quell’uomo ancora lo conserva, nè io dea, nè la sua “donna” possono rubarlo. Ora condannatelo! Giudicatelo! Tanto non gli importa. E giudicate me quale essere divino appartenete alla bellezza dei cieli eterni che ha permesso ad un uomo qualcuno di strapparle il cuore dal petto per possederlo senza nè pudore nè astuzia, nonostante il trascorrere del tempo il mio sogno è ancora questo…un evento del misero passato che ha disfatto la mia esistenza portando a cambiamenti mai controllati dalla mia volontà. Mai mi sarei aspettata un simile incendio nel mio viaggio. Oggi accolgo il paradiso, sono ancora una dea. Quell’uomo è un misero pescatore, e degli antichi sfarzi non vi è più nulla in lui. Una terribile maledizione affligge il suo animo come il mio. Osa attribuire a me la colpa, dimenticando che insieme abbiamo navigato il cielo, nessuno poteva raggiungerci…tranne la realtà malefica e cinica. Ci spezzarono le ali e ci divisero. Ci diedero dei destini ed ora siamo esseri umani. Lui lotta con la speranza di rivedere quella luna, di ritrovare da qualche parte la luce che possedevano i miei occhi, ora è invecchiato, è stanco. Tenta ripetutamente e fallendo sempre di rendere dea la sua “donna”, dimenticando di aver lasciato scivolare come sabbia l’unica vera dea del creato. Oggi scelgo me stessa, vado avanti, lui proverà sempre a raggiungermi costruendo giorno dopo giorno una nuova nave ma quell’isola è stata inghiottita dalle onde crudeli, quella luna è oscurata dalle nubi nere, e quella dea che lui sogna è adesso una donna nuova. Ogniqualvolta arrivano suoi messaggi, vuol sapere che lotto, vuol vedermi lottare, come se lui fosse l’unica ragione per cui vale la pena farlo.Così ti rispondo: lotto ogni cazzo di giorno, finché non avrò ciò che voglio e merito. Oggi la luna non c’è, e non importa. Forse i nostri viaggi si incroceranno ancora, creando un nuovo giorno ed una nuova occasione per entrambi, cambiando quel finale che è stato imposto ai nostri cuori.
operazione: rivoglio la mia vita
inizio: 2019
fine: (data da definire)
oggi 16.08.22
@l-angelodallealiargentate
5 notes · View notes
jangany-sottotraccia · 6 months
Text
Riflessione
24 ottobre 2024
12:27 Riflettevo: Filippo non risponde, Ezio verrà via e non sappiamo se il problema energia sarà risolto prima del suo rientro ma nel frattempo la questione lo impegna; per gli altri obiettivi e in particolare i PC o le cose che aveva in animo è possibile pensare a un passaggio di consegne ? Seconda cosa: Silvio tu riesci a muoverti anche nella scuola e nel villaggio, raccogliere foto/video interviste: erano bellissime e utilissime quelle girate nelle case delle persone da Aina e Damascene. Possono bene anche loro trascurare la scuola per qualche ora in questa occasione se necessario. Terza cosa: oltre ai PC Taddeo aveva parlato con Ezio della questione del carotaggio e gli aveva dato uno schema. Anche su quello fate un passaggio di conoscenza in modo che SE la Saint Gabriel viene senza Ezio tu sia in grado di fare quello che avrebbe fatto lui.
E se non venisse giù nessuno di Filippo, ho sentito Luca che dice che Timò è in grado di eseguire quello che i tecnici dicono. Ezio, ma Timò è con te e ti segue? Renato
14:31 In questa missione il clima generale è molto diverso. Siamo abbastanza abbandonati a noi stessi. Tonino non è più in grado di supportarci perché sempre molto stanco e preso da altre cose che interessano la partenza del nuovo seminario. Continua a fare sogni e progetti che vedi concretamente irrealizzabili. Fahamaro non si dimostra molto interessato a ciò che si sta facendo. È sparito da alcuni giorni per commissioni a Ihosy e posticipa regolarmente il suo ritorno. Timo lavora con Antonio ed Ezio ma non è assolutamente in grado di affrontare e risolvere i problemi di elettronica che si stanno presentando e che, salvo miracoli, nessuno di noi è in grado di risolvere. Antonio predispone tutto l'impianto nuovo ma se non si risolve il problema dell'impianto non sarà poi possibile metterlo in funzione. Nei prossimi giorni predisporrà l'aula computer ( che è una e non 2) . Fin che non tornano le suore non so se potremo accedere alle informazioni richieste. Aina e Damascene si rendono disponibili solo su permesso della direttrice…che non c'è. Nelle case e con la gente entri solo se introdotto da qualcuno di loro e per ora la nessuno ci aiuta. Aggiungete che fa un caldo boia e i disagi legati all'uso dell'acqua e dei bagni rendono le cose ancora più complicate. Ezio vi saprà dire meglio al suo ritorno Noi faremo ciò che riusciremo a fare. Silvio
Io penso che non bisogna avere timore di parlare con padre Tonino spiegando che per noi essere a Jangany richiede costi economici alti e disponibilità di persone che hanno una loro vita. Bisogna chiedere a lui di intervenire e supplire alla mancanza di suor Annick o altri. E' ora di non tacere ma di parlare, benchè sono cose che dovrebbero essere scontate. Anche se PT perde colpi penso che parlargli lo aiuti a esserci e a capire.
Non tardate a esplicitare. Non avere paura della verità e trovare un po' di fiducia. Renato
Già fatto…ti ascolta, ti da ragione, ti dice che farà…e poi poveretto non c'è la fa proprio! Non è un problema di volontà e consapevolezza e proprio un problema di età... Tonino non c'è più come noi vorremmo! Silvio
Molto faticosa questa missione … ma state facendo tutto ciò che potete e sarà sempre tanto tanto. Silvia
0 notes
seoul-italybts · 1 year
Text
[✎ ITA] Recensione : Weverse Magazine - Jimin È Un Genere di Per Sè | 04.04.23⠸
Tumblr media
🌟 Weverse Magazine 🗞
JIMIN È Un Genere di Per Sè
Una recensione del suo primo album solista, FACE
__Kang Myungseok | 04.04.2023
Twitter ; Orig. KOR
Jimin è affabile. Quando lo si intervista, sa subito creare quella certa atmosfera e metterti a tuo agio. La sua voce è bassa e serena, mentre risponde ad ogni domanda in tutta onesta e con un sorriso quasi timido. Una volta, Jimin si è descritto come “il tipo di persona cui piace essere amata” (Weverse Magazine), ma credo ciò che intendeva dire fosse che è importante possedere la gentilezza necessaria per capire ed avere cura del prossimo, prima di essere amatə a nostra volta. Non solo... Il 31 dicembre 2018, ha rilasciato “Promise”, la primissima traccia di sua composizione, basata sulle emozioni provate durante un concerto al Citi Field Stadium di New York, il 7 ottobre di quell'anno: “Facciamo questa promessa”, ha deciso tra sé e sé, in quell'occasione, “anche se ci sono momenti tristi, cerca di non deprimerti troppo. Non buttarti giù.” Poche settimane dopo, il 19 gennaio, è apparso su V LIVE per spiegare più dettagliatamente qual è stato il suo ragionamento. “Perché non riesco ad essere più sincero?”, si è chiesto. “Quando sono stanco, dovrei ammetterlo. Ma non riesco ad essere onesto con me stesso. E la cosa continuava ad opprimermi, perché pensavo ‘Ci sono un sacco di persone molto più stanche di me che non si lamentano.’ ” Forse è questo il motivo per cui il testo di “Promise”, ispirato ai suoi meccanismi e riflessioni interiori, è impostato come un dialogo con un interlocutore invisibile: “Ora promettimi / Anche se durante il giorno ti senti solo / Che non ti butterai giù.” Sembra quasi che, oltre ad essere una promessa con se stesso – quella di sfuggire al suo tumulto interiore – sia anche una forma di conforto per tutte quelle persone che provano lo stesso.
youtube
Se Jimin fosse un ventenne qualunque, con una vita normale, la profondità del suo animo sarebbe solo una qualità in più. Ma Jimin è un membro dei BTS. È costantemente soggetto ad attenzioni e critiche, e ha già dovuto affrontare attacchi personali ingiustificati, su base di accuse infondate. E allora che cos'è che gli consente ti preservare quella sua gentilezza ed affabilità, nonostante quanto ha già sofferto?
In “Interlude : Dive”, la seconda traccia del suo primo album solista: FACE, c'è una clip audio in cui saluta le/i fan ad un concerto, e possiamo quasi sentire il sorriso nella sua voce. Ma, in sovrapposizione, sentiamo anche una voce che sembra quasi singhiozzare. Quindi abbiamo sia la superstar - che esprime tutto il suo affetto e gratitudine per il mare di fan che gli sta di fronte, che la persona comune – la quale soffre in privato. Jimin è accreditato nella sezione 'Suoni e Atmosfera' della sua traccia, per il lavoro svolto in tale ambito: una serie di registrazioni tratte dal suo quotidiano, sovrapposte alla trama del brano come immagini filmiche su una pellicola. Questo segmento sonoro si chiude con il suono di acqua versata in un bicchiere e poi bevuta. La traccia successiva è il singolo principale dell'album, “Like Crazy”, e nella foto teaser vediamo Jimin da solo, chino su un tavolo, in una stanza piena di vetri infranti al suolo. Quindi l'azione, del tutto quotidiana, del bere viene qui collegata ad una rovinosa solitudine. Nel testo, l'artista suggerisce come potrebbe affogare questo abbandono nel bere e dimenticarsene sotto il “frastuono della musica” (“Guardami mentre mi sbronzo tutta la notte / Così che anche il mattino / Si ubriachi e non arrivi”)—è un tipo di solitudine noto a tutti ma di cui nessuno ha il coraggio di parlare. Se consideriamo FACE una confessione – così come “Promise”, è facile tracciare i contorni di ciò che Jimin sta cercando di esprimere nel suo album.
Così come suggerisce il titolo, “Interlude : Dive”, questo brano è una raffigurazione concreta di come Jimin stia sprofondando in se stesso, e l'introduzione del violoncello a metà traccia sembra come trascinare il mondo esteriore del cantante nelle sue profondità interiori più oscure. Collocata subito dopo l'interludio, “Like Crazy” diventa quindi una sorta di breve tentativo di fuga da quello stato emotivo. La traccia successiva, “Alone”, si apre con il suono di una sveglia—quasi ad indicare che siamo nel mattino seguente. In questo brano, Jimin ammette che lo svago della notte trascorsa non è bastato a liberarlo dal suo senso di solitudine: “Addormentarmi da ubriaco, senza ricordare niente / È in quei momenti che ci ho pensato / Cosa sto facendo? / Perché sono l'unico così? / No, tutti quanti sono così / Cerco di far finta che vada tutto bene, ma mi sento patetico”.
Se consideriamo le canzoni di FACE come un unico corpo musicale interconnesso, le tracce “Face-off” e “Set Me Free Pt.2” - le quali vengono rispettivamente prima e dopo le tre già menzionate – segnano l'inizio e la fine del disagio psicologico di cui ci confida d'esser preda, nonché la volontà ed i passi concreti mossi per superarlo. In “Face-off”, Jimin si colpevolizza (“Guarda cosa sono diventato / Vivo come un idiota patetico”) ma, al contempo, riconosce che “Questo terribile incubo è iniziato perché mi sono fidato del prossimo”. Nessuno, se non lo stesso Jimin, può sapere con precisione perché abbia deciso di aprire l'album con questa canzone, ma forse possiamo quanto meno ipotizzare che cosa provi una delle stelle più famose al mondo. In “Face-off” Jimin fa una promessa con se stesso, perché “anche quei maledetti giorni passati ormai sono finiti”, fino alla nuova risoluzione che troviamo in “Set Me Free Pt.2” (“Non mi nasconderò più, neppure se fa male / Impazzirò pur di restare sano / Su le mani per il me del passato”).
Già solo il fatto che quest'ultima traccia sia stata rilasciata prima dell'album aggiunge un ulteriore strato di significato. Se analizziamo l'album da una prospettiva più generale, “Set Me Free Pt.2” è una riflessione sul - ed il risultato del – suo desiderio di superare le difficoltà emotive trattate nei brani precedenti. Ma, presa come singolo, questa canzone rappresenta l'inizio della carriera solista di Jimin, in cui – come suggerisce anche il titolo – l'artista mira ad essere libero. La traccia è quindi al contempo la conclusione di un album e l'inizio della sua produzione solista.
youtube
Jimin ha scritto FACE in modo intuitivo, così che fosse di facile comprensione per chi ascolta. Il video musicale di “Set Me Free Pt.2” pone l'attenzione sulla coreografia ed il talento di uno dei performer K-pop più noti al mondo, concentrandosi completamente sull'esibizione stessa. Poi abbiamo il singolo principale, “Like Crazy”, molto accessibile ed orecchiabile con il suo sound synth pop da discoteca. Verrebbe dunque facile presupporre che il rilascio di questi due successi pop - quello anticipato di “Set Me Free Pt.2” e poi quello del singolo principale - sia stato un modo per riaffermare il suo status di ballerino professionista e vocalist di enorme talento, ma la trama generale di FACE – in cui trovano spazio anche queste due tracce – suggerisce che dietro questa decisione si nasconda un significato più profondo.
La scelta di usare il bianco e nero fin dal teaser dell'album, ad esempio, trasmette subito un senso di dualità. Concettualmente, potremmo essere tentatə di considerarlo come la rappresentazione di un conflitto tra un Jimin più “dark” ed uno vivace e mite, ma nel contesto generale in cui si inscrive FACE, il bianco ed il nero non sono due opposti, quanto, piuttosto, la raffigurazione concreta della vita esteriore ed interiore di una persona. In “Set Me Free Pt.2”, vediamo un Jimin – vestito di nero – sollevato verso il cielo da una folla di persone—metafora della sua celebrità stellare. Al contrario, nelle foto e video teaser di “Like Crazy”—un giovane solitario in mezzo ad una marea anonima di persone in un locale affollato, lo vediamo indossare varie sfumature di bianco. La chiarezza espressiva di queste immagini in bianco e nero aiutano l'artista nell'esplorazione di quelle emozioni complesse che l'hanno condotto al rilascio di FACE. In tal senso, l'album è un'ode alla vita umile e piena di passione condotta da Jimin e ha il fine di esternare i suoi sentimenti più profondi. Come tema del suo primo album solista, Jimin ha scelto di parlare della sua vita, sia come individuo privato che come membro dei BTS, ma si è assicurato il tutto fosse di facile approccio, facendo uso di simboli, organizzando attività promozionali e preparando esibizioni che la gente potesse cogliere e capire intuitivamente.
youtube
Sono proprio la volontà e gli sforzi compiuti per non rifuggire questa dualità - facendo uso di bianco e neri o del contrasto che troviamo in “Like Crazy” e “Set Me Free Pt. 2” - a rendere FACE così affascinante. Prendiamo, per esempio, il momento in cui Jimin viene sollevato in aria dal corpo di ballo in “Set Me Free Pt.2”, prima di svanire momentaneamente e poi riapparire vestito di bianco. È come se, quando le persone che gli stanno attorno spariscono, comparisse invece il suo io interiore. Anche il video musicale segue fedelmente il testo, rispecchiando la storia di vita di Jimin. Quando canta dicendo “mi ergo qui, infine”, gli/le altrə ballerinə si dispongono in modo da formare una spirale, e Jimin vi cammina in mezzo. Il vortice poi viene spezzato e lui guadagna il centro della scena per ballare, proprio quando il testo dice “Vola, farfalla.” E quando canta “finalmente sono libero” la videocamera cattura l'intero set in un'inquadratura più ampia. Questa transizione simboleggia una fuga catartica dal frenetico spiraleggiare in mezzo a difficoltà che sono apparentemente senza fine, per poi volare libero come una farfalla.
Il modo in cui, in questo video musicale, il senso del testo viene espresso attraverso una coreografia intrisa di aspetti mutuati dalla danza moderna ricorda un po' ciò che hanno fatto i BTS con “Black Swan”. Se teniamo conto di quella performance di gruppo, e del fatto che Jimin è diplomato in danza, la scelta sembra più che azzeccata; ma molte delle mosse che vediamo in “Set Me Free Pt.2” sono tipiche, più nello specifico, della danza contemporanea su base hip hop. Molti dei suoi movimenti sono irrequieti, quasi delle scariche d'elettricità, o lo vedono seguire la cadenza ed un ritmo hip hop. Viceversa, “Like Crazy” è ricca di passi in stile disco, che ben si sposano con l'ambientazione del video, vale a dire un locale notturno.
Il modo in cui Jimin ed il corpo di ballo si muovono come un tutt'uno durante i versi “Così che anche il mattino / Si ubriachi e non arrivi” riporta alla memoria l'assolo di ballo eseguito da Jimin in “Black Swan”. Attraverso la sua coreografia, “Like Crazy” esprime la solitudine provata da Jimin, come quando le ballerine continuano ad afferrarlo e spintonarlo, muovendosi in cerchio attorno a lui, sulla parte di testo che fa “Mentre la musica suona assordante / Io svanisco”. Durante il ritornello, quando il ritmo disco prende veramente piede (“I’d rather be / Preferirei smarrirmi tra le luci.. ecc.”), Jimin balla con più leggerezza, mettendo in risalto tutta la sua notevole tecnica. La sua performance in “Set Me Free Pt.2”, invece, è altamente energetica ed estremamente travolgente, tanto la coreografia contemporanea su base hip hop risulta intensa.
Nonostante il suo messaggio sia espresso attraverso una chiave interpretativa facilmente recepibile ed assimilabile, Jimin reinterpreta il genere di cui si serve nel suo stile personale, trovando così un modo di trasmettere ciò che prova in modo del tutto inedito.
youtube
L'esperienza acquisita da Jimin nei BTS si unisce così alla lunga storia e tradizione di questo genere per dar vita a qualcosa di totalmente nuovo. Nell'insieme, si può dire che FACE rientri nella categoria timbrica dell'hip hop/R&B. “Face-off” inizia con una melodia R&B, con solo una spolverata di trap nel ritornello (“Break it down / Sconfiggilə.. ecc.”) e poi Jimin canta e rappa in “Set Me Free Pt.2”, che è una traccia hip hop. Anche in “Alone” possiamo trovare una chiara impronta R&B, specialmente sul cambio di tempo (“Addormentarsi da ubriaco.. ecc.”).
Seguendo questo filo logico, potremmo dire che “Like Crazy” introduca un'altra dimensione di FACE: i riflettori, qui, sono puntati su Jimin che, da solo, domina il palco seguendo un entusiasmante ritmo da discoteca. Il modo in cui canta “Like Crazy” si rifà alla tradizione dei solisti neri, tra i quali troviamo the Weeknd, Chris Brown, Usher e, guardando al passato, Michael Jackson.
Considerate anche le altre tracce dell'album, FACE è un po' una rarità negli Stati Uniti: un album di debutto solista di genere R&B/hip hop, coronato da coreografie mozzafiato. Ecco perché la versione inglese di “Like Crazy” è ancor più importante. Quando Jimin ha eseguito “Like Crazy” al talk show americano The Tonight Show Starring Jimmy Fallon, cantando in inglese, le radici e la tradizione cui questo brano si ispira sono subito apparse più chiare. Ma Jimin non si limita a seguire religiosamente la tradizione, donandovi invece un sapore inedito. “Like Crazy” potrà anche essere un numero musicale e di ballo adatto alle nottate fuori ma, come vediamo nel video musicale, parla anche di quel senso di solitudine che può ghermire le persone anche in mezzo alla folla di un locale. Lo si avverte chiaramente dal tono calmo di inizio canzone—cosa insolita per la musica dance— su un sottofondo fatto di bassi pesanti e profondi. Sentiamo persino un'intensa e pacata voce femminile accompagnare il sound vivace dei sintetizzatori, tra l'energico ritornello ed il ponte. In altre parole, mentre la canzone è essenzialmente un brano ballabile molto coinvolgente, non manca una certa nota di tristezza, nascosta in agguato nel substrato musicale. In un certo senso, potremmo dire che la musica incarna la personalità di Jimin: una vivida stella multicolore sul palco con un carattere sensibile e quasi fragile nel quotidiano. Con “Like Crazy”, i lavori solisti di Jimin – prima tra tutti “Lie”, rilasciata con i BTS – cambiano stile. FACE è una delicata espressione dei sentimenti di Jimin e si discosta da quelle che sono le aspettative rispetto al genere cui si rifà.
youtube
All'inizio di “Alone”, Jimin canta con una tonalità profonda mai sentita prima. Sembra quasi aver perso la voce, forse in un tentativo di ricollegare questa traccia allo scenario descritto in “Like Crazy”, quindi ora il suo canto è carico della vuota tristezza del mattino. La canzone è decisamente R&B, ma quando dice “Quanto ancora dovrò sopportare, prima di poter tornare?” è una tonalità acuta e carica di sentimento che usa, come tipico delle vecchie ballate coreane. Se parliamo di genere, FACE è fondamentalmente R&B e hip hop, ma Jimin canta nel tono e stile più appropriati ad esprimere il tema e le emozioni contenute in ognuna delle sue canzoni, senza seguire gli schemi. Quando vuole dare un'immagine forte, ad esempio in “Face-off”, usa una tonalità R&B (“Get it out, scream like crazy everybody, yeah yeah / Fallə uscire, gridiamo tuttə da pazzi, yeah yeah.. ecc.”). Poi, in “Like Crazy”, troviamo un cantato più limpido che, a dispetto del beat da discoteca, rispecchia l'atmosfera fondamentalmente pessimista; cosa che gli permette di nascondere una nota triste in una canzone pur sempre ballabile. Esplorando tutte queste diverse tecniche canore, Jimin non si limita a mostrarci un nuovo lato di sé, ma sfrutta l'occasione per trovare nuovi modi di raccontare la sua storia, discostandosi dagli schemi e stili ordinari, tipici di certi generi musicali - i quali, anzi, Jimin descrive come “una storia cliché, come in un drama” in “Like Crazy”.
Nell'introduzione e nel ritornello di “Set Me Free Pt.2”, Jimin canta e rappa in stili diversi. Qui e là fa uso dell'autotune e poi cerca di adattare il suo tono e stile ad ogni sezione del brano. Variazioni così elaborate non possono che ricondurci all'impegno preso nella canzone, ovvero quello di trovare la propria libertà. Questa traccia è, essenzialmente, il brano conclusivo di FACE ed il modo in cui l'artista sceglie di modulare la sua voce è ciò che, di fatto, ne trasmette ed esemplifica il significato. Jimin sfrutta appieno ogni aspetto e dettaglio del suo album per poter esternare con chiarezza tutto ciò che desidera esprimere. Sono tutti sforzi compiuti per presentare al mondo che tipo di persona è e le difficoltà che ha dovuto affrontare per arrivare al livello cui si trova ora. Sebbene sia “il tipo di persona cui piace essere amata”, Jimin si svela, pronto a mostrare il suo lato più fragile e dark, ma lo esprime con estrema delicatezza e nel modo più squisitamente elegante ed accessibile possibile. Il risultato è un album che lo consacra come un solista unico nel suo genere - operante in una sfera artistica tutta sua che abbraccia sia il mondo K-pop che quello del pop americano - nonché come un artista di fama e talento ormai consolidati, il cui primo album individuale non può che avere la qualità d'opera di una pop star affermata.
youtube
Il vero finale di FACE, però, è “Letter”, inclusa esclusivamente nelle copie fisiche dell'album, e questa scelta, di per sé, sembra proprio incarnare al meglio il modo in cui Jimin ha deciso di esprimere se stesso. Esattamente come “Like Crazy” e “Alone”, “Letter” getta uno sguardo sulla persona che è Jimin. Versi quali “Spero possiate essere più felici / Voi che mi avete teso la mano ogni volta che sono caduto”, vanno a toccare corde e sentimenti universali come il senso di mancanza per un'altra persona. Ma per coloro che hanno seguito Jimin negli ultimi suoi 10 anni di vita e carriera, e sanno quali sono i sentimenti dietro a “Promise”, “Letter” acquisisce sicuramente tutto un altro significato. Come suggerisce il titolo, Jimin ha pensato questo brano come una lettera per le/i sue/oi fan, idea rafforzata dal fatto che è disponibile unicamente sull'album fisico. Quelle/i fan che terranno concretamente tra le mani l'album di Jimin, potranno sentirlo cantare versi come “Noi che insieme possiamo trasformare persino il deserto in mare / ora come allora” e ancora, “Nel freddo inverno, voi siete come una tiepida giornata di primavera”. In quest'ultima parte, c'è un riferimento ad un brano dei BTS pensato specificamente per le/i fan, in cui il gruppo ripercorre i 10 anni di storia trascorsi insieme. Probabilmente è proprio questo tipo di mentalità ed approccio a rendere Jimin così amabile, ancor oggi. Tutto il suo amore ed affetto per se stesso e per gli altri, espressi sempre con grandissima passione, lo hanno ora condotto a nuovi lidi. Eppure, ovviamente, ora come allora è ancora l'artista e la persona calorosa ed affettuosa di sempre.
⠸ ita : © Seoul_ItalyBTS⠸
1 note · View note
sofieanjaworld · 2 years
Text
       ☆    —   ♯ 𝐒𝐓𝐎𝐑𝐘𝐋𝐈𝐍𝐄       ☆ sᴏғɪᴇ ᴀɴᴊᴀ ᴍ. ʜᴀʟᴠᴏʀsᴇɴ ☆        h. 17.43,   august 21th, 2022         📍   ᴄᴀᴘʀɪ﹐ ɪᴛᴀʟʏ.         ❪      ✨      ❫ ㅤㅤ          ㅤㅤ          ㅤㅤ                  𝕬cque quiete si distendevano attorno alla venere bionda che sentiva quel leggero sciabordio come una coccola costante per il proprio animo stanco. Aveva girato in lungo e in largo, viaggiato su quanti più aerei una persona potesse mettere piede, eppure solamente in quella terra così distante da dove era cresciuta sentiva il suo animo distendersi. Si concesse di chiudere gli occhi in quel momento, lasciandosi cullare da un movimento costante che sembrava essere dettato direttamente da Poseidone. Poteva il Dio del mare conoscere i suoi turbamenti ed accoglierli? Giudicarli, perfino? Voci distanti sembravano superare la barriera che la svedese aveva inconsapevolmente innalzato, un brusio che accompagnava un mare stanco privo di quel brio che sembrava albergare nell'animo della regine dei ghiacci. Che cosa stava davvero turbando la sua mente? Il lavoro sembrava andare a gonfie vele, la sua determinazione non aveva fatto altro che portarla sempre più in alto, eppure non vi era solamente il lavoro, no? Era questo che la sua famiglia aveva continuato a ripeterle fino allo sfinimento, eppure a distanza di così tanto tempo e nonostante quei continui ricordi non fossero altro che un monito per il futuro, ella sentiva la necessità di chiarezza. Sua madre divenuta fin troppo glissante su determinati argomenti, il padre che tanto l'aveva accudita in passato ora era divenuta a presenza fantasma nella sua vita, per non parlare di tutto il contesto geopolitico che ormai faceva da padrone in tutto il mondo. Sofie, così tanto fredda da riuscire ad affrontare discorsi senza battere ciglio, ora si sentiva in bilico ove non vi era alcuna rete di protezione. Affrontare sua madre non era la via più saggia, come affrontare una qualunque discussione prendendola di petto, ma giungere ad una spiegazione lavorando i fianchi non era forse più astuto? S'era dedicata così tanto tempo alla sua vita che superare lo sguardo dalle barriere che aveva eretto sembrava uno sforzo erculeo ma altrettanto necessario per un bene più grande, 𝒍𝒂 𝒔𝒖𝒂 𝒇𝒂𝒎𝒊𝒈𝒍𝒊𝒂. ㅤㅤ                ❛❛ 𝐺𝑜𝑑𝑖𝑡𝑖 𝑞𝑢𝑒𝑠𝑡𝑖 𝑔𝑖𝑜𝑟𝑛𝑖,       𝑚𝑎 𝑡𝑖𝑒𝑛𝑖 𝑔𝑙𝑖 𝑜𝑐𝑐ℎ𝑖 𝑎𝑝𝑒𝑟𝑡𝑖... 𝐸' 𝑖𝑚𝑝𝑜𝑟𝑡𝑎𝑛𝑡𝑒.  ❜❜ ㅤㅤ      Parole che di per sé non avrebbero dovuto far preoccupare la svedese eppure un minuscolo tarlo era nato nella sua mente. Quante volte la madre l'aveva messa in guardia? Quante volte erano state al centro della loro mente le preoccupazioni per quella giovane donna che voleva bruciare le tappe più velocemente di quanto non stesse già facendo? Eppure questa volta la venere dai capelli biondi sapeva che vi era qualcosa di diverso, lo aveva letto negli occhi di chi le aveva donato la vita: il pericolo aveva bussato alla loro porta.
Tumblr media
0 notes
lyalu17 · 3 years
Text
Tumblr media
Gruvia week 2021 ~ April 4th ~ Tears.
Allerta spoiler per chi non è al passo con le scan on-line (attualmente al capitolo 78) della 100YQ (anche se un po' di avvenimenti le ho modellate un po' a mio piacimento) buona lettura, e buona Gruvia week <3
Qualche dedica perché sì:
Questa one shot è dedicata alle Gruvia shippers che ho conosciuto da quando, nell'ormai lontano 2019, entrai ufficialmente nel mondo delle fanfiction come scrittrice ("scrittrice" insomma...) e che mi hanno fatto sclerare in tutti i modi possibili, facendomi un po' "virtualmente compagnìa" con l'amore per le opere d'animazione giapponese. L'aver conosciuto, anche se solo attraverso uno schermo, così tante persone, in quasi due anni che sono in giro per i siti di fanfiction, mi rende davvero felice. Grazie a questo ho iniziato a fare cose di cui nemmeno mi credevo capace, come migliorarmi nel disegno, scrivere nel rating rosso o anche solo scrivere e far leggere le mie fic a qualcuno che non fossero solo amici e parenti stretti, "esponendomi" un po' di più attraverso internet. Davvero, grazie a tutti voi, che non elenco solo perché siete davvero così tanti che non voglio rischiare di dimenticare qualcuno. E anche perché se no le note diventano un papiro assai più lungo della fanfiction stessa. Quindi solo una cosa: GRAZIE A TUTTI QUANTI!
Bene! Ora lascio la scena ai nostri Gruvia, ci rivediamo alla fine❤️
~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~
Se avesse dovuto descrivere la sua vita in una parola, quella più giusta sarebbe stata lacrime...
Lacrime versate per tutto: Per quei bambini che non volevano mai stare con lei, perché ogni giorno con la piccola Juvia significava pioggia.
Per quel ragazzo che, stanco di non poter mai godere di un giorno di sole in compagnia della sua ragazza -o forse semplicemente stanco di lei- l'aveva lasciata, incurante dell'ennesimo macigno che posava sul suo cuore, già abbondantemente appesantito dal senso di colpa per via di quel potere tanto grande quanto fuori controllo.
Ma in quel momento era proprio quello stesso sole che le si stava posando sulla pelle, riscaldandola e guarendo ferite vecchie di anni...
Guardava la propria mano, tenuta stretta da quella di quel moretto senza maglietta -eppure le era sembrato che l'avesse fino a pochissimi istanti prima- e col marchio della propria gilda sul petto scolpito. Attraverso i raggi che gli arrivavano dalle spalle, coprendo in parte la vista dei suoi lineamenti, la ragazza riuscì a vedere l'espressione seria e determinata del mago. La teneva stretta, senza accennare a lasciarla andare, rischiando di cadere con lei nel vuoto. La teneva stretta come se la sua vita fosse la cosa più importante di tutto, come se lei fosse più importante di tutto.
E sì, lo era eccome, più importante di tutto.
Quasi non sembrava che fossero due nemici intenti a lottare, come invece era stato fino a poco prima...
"Non vincerai!" urlava il moro, completamente zuppo dalla testa ai piedi, sotto la pioggia incessante che si chiedeva da dove diavolo arrivasse.
"Shin shin do..." ripeteva invece, quasi fosse uno strano mantra di cui lui ignorava l'esistenza, la padrona delle acque che aveva di fronte. "Juvia ha già vinto, gli Element Four dovevano solo catturare Lucy Heartphilia, ma la gilda di Fairy Tail non accetta la sconfitta..." continuava, mentre tornava quell'espressione così fastidiosa sul volto pallido. Ogni tanto usciva fuori uno strano sorriso, che gli fece seriamente chiedere se avesse davanti la stessa persona o se fosse sotto il controllo di qualcuno che si divertiva a darle quegli sbalzi d'umore.
Però, doveva dire che, a parte tutto, era forte... accidenti se lo era!
Non che ne dubitasse, faceva parte del gruppo di maghi più forte di Phantom Lord e il suo potere magico, da quel che sentiva, era molto alto. Sapeva di avere un'avversaria temibile davanti.
Lo aveva messo davvero in difficoltà e poche volte gli era accaduto. Era una sua avversaria eppure non riusciva a trovarle un solo difetto -forse uno sì, l'espressione impassibile, come se niente le interessasse, che le albergava la maggior parte del tempo sul volto e che, non sapeva perché, lo infastidiva non poco, facendogli preferire di gran lunga il sorriso che la sostituiva ogni tanto in quegli strani sbalzi d'umore- che potesse fargliela odiare. Non che quella fosse la definizione giusta dei suoi sentimenti verso i propri avversari, ma di solito, o almeno il più delle volte, gli era indifferente il motivo per cui qualcuno agisse in un modo o in un altro. Poche erano le occasioni in cui si interessava davvero a qualcosa oltre che sconfiggere chi voleva fare del male alla sua famiglia, e quella ragazzina dai grandi occhioni azzurri rappresentava decisamente una di quelle eccezioni...
Schivò, appena in tempo e non senza difficoltà, un attacco della ragazza -la donna della pioggia, così la chiamavano, ma lui vedeva solo una ragazzina alla mercé di qualcuno troppo codardo per combattere in prima persona, spinta da chissà quale motivo o, più probabilmente, da nessuno in particolare- e riuscì ad evitare un'onda d'acqua che lo avrebbe spinto giù da quel tetto se lo avesse preso. La pioggia continuava a cadere sulle loro teste, innervosendolo più di quanto non facesse già l'intera situazione.
Phantom Lord aveva distrutto la loro casa, e non voleva lasciar andare Lucy, progettando di riportarla da suo padre. E così, mentre Natsu si occupava del Dragon Slayer del metallo, Elfman del tizio che controllava la terra -non ricordava come si chiamasse e non gli importava nemmeno- a lui era toccata quella ragazzina, che in verità gli sembrava una di quelle bamboline di porcellana. Di quelle imbacuccate con abiti eleganti, carine con quei boccoli, ma con l'espressione vuota, troppo vuota...
"Shin shin do..." fu l'ultima cosa che Gray sentì uscire dalle labbra appena un po' rosee dell'azzurra, poco prima di essere travolto da un altro attacco, che stavolta lo prese in pieno, spingendolo davvero quasi giù dal tetto. Quasi, perché sembrava che quella massa d'acqua puntasse a farlo indieteggiare o, al massimo, lasciarlo a terra senza sensi.
Almeno da quello che sentiva: Il potere magico di quell'attacco era di molto inferiore a quello emanato dalla ragazza.
Al limite della pazienza e sinceramente stanco di quello scontro che non portava a nulla -se non il nervoso che gli prendeva nel vederla così impassibile- il ragazzo ghiacciò in un sol colpo tutta l'acqua attorno a loro. Persino la pioggia si era congelata, e questo smosse, finalmente, qualcosa nel volto di Juvia, che si corrugò in un'espressione di stupore, facendo ghignare interiormente il mago del ghiaccio. Almeno non era più così vuota adesso...
In poche mosse -non affatto facili, e ancora una volta il ragazzo convenne col fatto che fosse davvero forte- riuscì a sconfiggere la ragazza, che però rischiò di cadere lei dal tetto, evitandolo solo perché il moro era stato abbastanza lesto da afferrarle la mano in tempo.
"Lascia cadere Juvia... hai vinto... lei è una nemica della tua gilda..." era quello il suo destino ormai. A Phantom Lord una degli Element Four che veniva battuta da una fatina era una vergogna, e quella stessa gilda che le aveva dato una casa tempo addietro l'avrebbe adesso ripudiata. Tanto valeva morire no?
Gray cosa stesse farneticando quella ragazzina non lo capiva, ma una cosa gli era chiara: Non sapeva distinguere un avversario da un nemico...
"Abbiamo combattuto e ti ho sconfitto, questo non fa più di noi due avversari..." le disse prima di tirarla su e, quando la vide al sicuro, inginocchiata sulle tegole rossastre e senza più il rischio di cadere di sotto, si concesse un sospiro di sollievo. "Il mio obbiettivo è un po' come il tuo, non avevi motivo per combattermi perché il tuo interesse era obbedire agli ordini..." allo sguardo sorpreso dell'altra rispose con un mezzo ghigno che -lui non lo sapeva- causò l'ennesimo scompenso all'altezza del petto di Juvia...
"Dovevi catturare una mia compagna e nient'altro... allo stesso modo io devo riportarla a casa nostra, nient'altro... meno ancora lasciar morire qualcuno..." spalancò gli occhioni color oceano e solo in quel momento si rese conto di avere il viso sì bagnato, ma non dalla sua stessa pioggia...
Guardando in alto si accorse che il sole -no, non se l'era immaginato, non era una specie di miraggio che le si era presentato negli ultimi attimi di vita- non era più coperto dai nuvoloni grigi, e ora splendeva in modo quasi accecante...
Era così che splendeva di solito? Juvia non lo sapeva, non perché non lo avesse mai visto o non avesse mai provato il calore di quella enorme e lucente stella, ma perché era passato così tanto tempo da quando aveva vissuto quella sensazione sulla pelle, che ormai l'aveva completamente dimenticata, arrivando quasi a pensare che non esistesse più. Non per lei almeno...
Era passato tanto di quel tempo dall'ultima volta che il cielo era stato sereno in sua presenza, tanto di quel tempo da quando quel calore che sembrava penetrarle fin dentro le ossa, rimarginando tutte le ferite del suo animo, le aveva sfiorato la pelle diafana l'ultima volta...
Perché hai salvato Juvia?
Quelle parole premevano per uscire, erano proprio lì, sulla punta della lingua, pronte a lasciare le labbra carnose dell'azzurra. Ma si arrese all'incredibile sensazione di benessere che sentiva in tutto il corpo. Era stanca, stremata, eppure si sentiva bene. E che c'era di male, dunque, nel lasciarsi cadere distesa, chiudere gli occhi e riposare un po', godendosi quella bellissima sensazione appena ritrovata?
"Sai, Juvia stava davvero male..." gli aveva detto Lucy, ancora con quell'uniforme addosso, mentre tornavano in quella che era stata la casa che i due avevano condiviso per quei sei mesi. Il cuore gli tremava al solo pensiero che avrebbe rivisto la bluetta. Era andato via da solo perché sapeva che, se lo avesse seguito, si sarebbe messa in pericolo, e non poteva, non doveva permetterlo.
Non lei, che in quegli anni, così come in quei sei mesi, gli era stata accanto accettando tutto, anche la sua indifferenza...
Se ci fosse stata Ur lo avrebbe riempito di scappellotti fino a renderlo ancora più idiota di quanto già non fosse, e avrebbe fatto bene. "Ha pianto tanto per te..." continuò la ragazza, che non nascose una punta di rabbia, forse la stessa che aveva messo in quello schiaffo. Probabilmente non era stato solo il pensiero che avesse tradito la gilda o le sue parole di finto disprezzo a spingerla a quel gesto, e una piccola parte di lui sapeva che quel dolore, ancora un po' persistente, alla guancia sinistra era nulla in confronto a quello che aveva inferto all'azzurra. "Era stremata... quando l'abbiamo incontrata è svenuta... se non fosse stato per Natsu si sarebbe fatta male..." aveva evitato di dirlo, ma lui glielo aveva letto negli occhi che quel più di quanto non gliene abbia già fatto tu era sulla rimasto sulla lingua, pronto ad uscire, ma consapevole di quanto già lui stesso sentisse il peso della colpa che albergava nel petto, per nulla intenzionato a lasciarlo in pace.
Lo aveva capito da solo, quando se li era ritrovati davanti, che se non fosse stato per il rosato nemmeno Lucy si sarebbe trovata lì, e nessuno di loro sarebbe stato sulla strada di casa, pronto a far rinascere Fairy Tail. "Spero solo che si riprenda..." concluse la bionda, e lo sapevano entrambi -forse anche il fiammifero, che cavalcava pochi passi più avanti- che non si riferiva solo alla salute fisica della ragazza...
Era un idiota!
Pensava di agire per il meglio e tenerla al sicuro ma le aveva causato solo altra sofferenza...
"Siamo arrivati!" disse il rosato quando giunsero alla dimora che lui conosceva fin troppo bene. Il timore gli attanagliava le viscere, eppure uno strano fremito dentro lo spingeva sempre di più a voler entrare...
E così mentre Wendy li accoglieva alla soglia, pregando loro di non fare rumore, poiché che la maga dell'acqua si era appena addormentata, il moro non poteva evitare di rimirare quella casa che sì, gli era mancata da morire, così come la bluetta, che riposava tranquilla sotto le coperte marroncine. Aveva le gote arrossate e il candido panno sulla fronte gli indicava che avesse la febbre. "Juvia-san ha bisogno di riposo, non dovete assolutamente svegliarla..." sussurrò loro la ragazzina dai codini blu-violetti. "Io ho finito alcune erbe che potrebbero servirmi nel caso la febbre dovesse risalire, vado a fare un po' di scorte..." continuò, senza che il moro l'ascoltasse molto in realtà, assorto com'era a guardare la ragazza addormentata. "Ti accompagno io Wendy! In due faremo prima." intervenne la bionda. Il bosco lì vicino poteva nascondere molte insidie e non poteva permettere che la piccola vi si addentrasse da sola. Inoltre, tra non molto sarebbe subentrata la sera ed era meglio che rientrassero il prima possibile. Presero due cestini di vimini, uscendo dalla porta e, poco prima di chiuderla, la testolina della piccola Dragon Slayer si affacciò per salutare. "A dopo ragazzi, e Gray-san ..." non attendendo che si voltasse, non lo avrebbe fatto, troppo preso dalla bluetta. "Sono felice che tu sia tornato..." sorrise sincera, chiudendo definitivamente la porta e lasciando la maga dell'acqua alle cure dei due nakama.
Il moro prese posto sulla sedia accanto al letto senza spiccicare parola, mentre il rosato osservò il cielo, appena un po' rossastro per l'imminente tramonto, dalla finestra e, dopo qualche minuto di silenzio, si decise a dirgli ciò che gli più premeva in quel momento...
"Non puoi restituirle i mesi che ha passato da sola..." non parlava solo per lui, ma anche per sé stesso, lo aveva capito il moro. Anche lui aveva lasciato qualcuno pensando di fare la cosa giusta, finendo però col ferire ulteriormente chi voleva proteggere. Lo ascoltò in silenzio, era certo che lo dicesse per il bene di entrambi. Era uno di quei momenti in cui frecciatine e rivalità erano bandite dalla conversazione. "Ma puoi fare in modo che quello che passerà insieme a te sia così bello da oscurare almeno in parte il dolore di questi mesi..." era un consiglio che aveva intenzione di seguire, e giurò a sé stesso -insieme al rosato. Lo sapevano entrambi, e mai si sarebbero derisi a vicenda per ciò- in quello stesso istante, che avrebbe reso ogni momento con lei indimenticabile. Serviva anche a lui, dopo così tanto tempo lontani...
"Vado a cercare Lucy e Wendy, non svegliarla..." annunciò Natsu dopo un po', notando il tramonto sempre più vicino. "E rivestiti ghiacciolo!" sbuffò in un finto rimprovero, non voltandosi nemmeno, perché lo sapeva benissimo che si era già tolto il mantello nero -ne aveva sentito il fruscìo mentre scendeva, carezzando la pelle nuda del moro- che l'altro indossò di nuovo mugugnando uno dei suoi coloriti insulti al suo indirizzo, decretando, in parte, un ritorno alla quotidianità della loro famiglia, facendo ghignare il Dragon Slayer. Quello rappresentava un altro passo in avanti sulla strada della ricostruzione della gilda, la cui fine sarebbe stata sancita solo dal sorriso di Luce...
Uscì, seguendo col suo olfatto il profumo fruttato della maga celeste, mentre Juvia si agitava appena sotto le coperte, facendo scivolare sul cuscino il panno, ormai quasi asciutto, che lui raccolse e raffreddò un poco coi propri poteri, rimettendolo al suo posto e risistemando meglio le coperte perché stesse più comoda e non prendesse freddo. Quella di poco prima era una promessa che avrebbe iniziato a mantenere sin da subito...
Le lacrime a bagnarle il volto, e la bionda che, munita di fazzoletti, gliele asciugava cercando di non far colare il mascara sul candido abito a sirena, con la scollatura a cuore ad incorniciare il prosperoso seno, completato dal lungo strascico e dal velo che scendevano sinuosi verso il pavimento, ripiegandosi ai piedini della bluetta, avvolti nelle bianche décolleté tacco dieci. "Calmati, cerca di respirare. Pensa che tra poco sarai sposata con l'uomo che ami e che ti ama e non puoi farti vedere col trucco sbavato. È il tuo giorno, il vostro giorno, e devi essere perfetta!" cercava di tranquillizzarla, non riuscendo molto bene nell'intento. "L-Lucy-san parla facile, lei ha g-già passato questo momento, o-ormai è solo un ricordo..." era vero, almeno in parte. Erano passati sette anni da quando avevano ricostruito la gilda, e appena cinque da quando Natsu aveva preso coraggio e, una volta conclusasi la missione dei cento anni, le aveva detto ciò che tra loro era rimasto un po' in sospeso con quel staremo insieme per sempre giusto? prima di partire per quell'avventura, conclusasi con la sconfitta dei draghi sacri. Ma non era lontano quel ricordo. Era ancora vivido e, ogni volta che ci ripensava, lo stomaco le si attorcigliava come quel ventisei Luglio di ormai un lustro fa...
"E-E se Gray-sama si accorgesse che ha fatto un errore? S-Se vedendomi così si r-rendesse conto di... d-di non voler passare l-la vita c-con Juvia?" continuava tra i singhiozzi, non riuscendo a fermare il petto dal suo muoversi a scatti nel seguire il pianto della bluetta. "Luce tra poco inizia la marcia nuziale!" si affacciò alla porta il Dragon Slayer del fuoco, con un piccolo bambino biondo in braccio, vestito di tutto punto come il padre, con uno smoking nero identico a quello del rosato, che se ne stava zitto e buono, mezzo addormentato e con la testa placidamente posata sulla spalla del padre, a sonnecchiare del dolce dormi-veglia che lo aveva catturato nei suoi appena tre anni...
"Natsu!" non urlò eccessivamente per non svegliare il piccolo. "Potevamo essere nude! Avviati, tra poco arriviamo!" gli avrebbe tirato volentieri una delle sue décolleté rosse dal letale tacco dodici, abbinate al monomanica lungo fino alle caviglie e col profondo spacco lungo la coscia destra, se solo non ci fosse stato il piccolo Igneel di mezzo...
Il ragazzo sparì dietro la porta di legno che portava alla sala della gilda -dove si sarebbe tenuta la cerimonia- per non rischiare di avere a che fare con una Lucy furiosa. Corse ad avvertire il moro, certo che lui avrebbe potuto aiutare. Era stato ottuso per troppo tempo, e non che lui potesse fargli la predica certo, ma almeno si era sbrigato prima, mentre il moro si era dichiarato appena pochi mesi dopo di lui con Lucy. Non avrebbe mai smesso di ridere per quella scena: Sembrava avesse il suo stesso ghiaccio nelle mutande -l'unica cosa rimastagli miracolosamente addosso- e il rosato aveva immortalato il tutto col Lacryma. Adesso si stava per sposare, e lui non poteva che essere più felice per l'amico...
"Allarme crisi pre-matrimoniale polaretto! Mi sa che devi intervenire se non vuoi restare come un baccalà ad aspettare all'altare!" il moro s'irrigidì, cominciando a marciare come un soldatino verso la porta di legno massello dietro la quale c'erano la sposa e la sua damigella d'onore. "Non entrare però! Io ho evitato una scarpa killer solo grazie a questo ometto qui!" carezzò la testolina bionda di suo figlio, che mugugnava di tanto in tanto qualcosa nel leggero sonno che andava e veniva. "E no! Non te lo presto! Fatti il tuo se ci tieni ghihahah!" se ne andò ridacchiando a sedere accanto a Levy e Gajeel, in attesa che la cerimonia iniziasse per affidare loro Igneel prima di andare all'altare al posto dedicato al testimone dello sposo...
"Così va meglio!" batteva le mani, soddisfatta per l'essere riuscita a far cessare le cascate dai grandi occhi blu che, ancora un po' lucidi, si facevano truccare di nuovo, riaggiustando col mascara il distastro scampato per un pelo, quando... "Juvia... ascolta io-" "Gray, tu provaci solo ad entrare e giuro che ti tiro il beauty dietro! Intesi?" la voce della bionda lo interruppe. Che avevano tutti quanti quel giorno? Era abbastanza certa che il colpevole fosse quella testa rosa, con cui poi avrebbe fatto i conti a fine giornata...
"Non entro, ma devo dirti una cosa Juvia! Ti chiedo solo di ascoltarmi..." quando aveva sentito il rosato dirgli della classica crisi pre-matrimoniale aveva sentito le gambe cedere, ma si era fatto forza, avanzando verso quella porta. Ci aveva già pensato lui, e in abbondanza, ad allungare il brodo, e capiva bene che i dubbi della sua sposa potessero dipendere soprattutto da questo. Ma vi avrebbe porto rimedio e subito...
Ottenuto il permesso di parlare dalla voce della bluetta, iniziò con quel discorso per nulla previsto.
"Juvia... senti io non sono bravo con le parole, e credo si sia capito... anche quando mi sono deciso a parlare chiaro..." lo ricordò con un dolce sorriso la ragazza: Balbettava e per questo, poco prima, l'aveva portata in un posto appartato -salvo poi scoprire, pochi minuti dopo, grazie alle battutine del rosato e del metallaro, che l'udito dei Dragon Slayer era molto più sviluppato di quanto credessero- e le aveva dedicato parole così dolci che la ragazza pianse -per la prima volta di felicità- di fronte a quel di Gray così inaspettato, così suo. Come suo era il cuore della bluetta, ormai arresasi all'idea di dimenticarsi di lui dopo tanto tempo passato a cercare di farsi notare.
Ma quel giorno il moro le aveva invece consegnato ufficialmente il proprio di cuore...
"Non ho idea di che dirti Juvia..." era vero. Non sapeva cosa dire, sebbene il cuore traboccasse di parole e sentimenti da poter esprimere, lui era sprovvisto delle prime. Dei secondi però, ne aveva in abbondanza, tutti dedicati a quella dolce ragazzina dagli occhioni color mare. "Potrei dirti che ti amo, ma la verità è che non sarebbe vero!" sussultò, facendosi aria con le mani -che aveva appena coperto coi candidi guanti lunghi fino a poco sopra i gomiti- per evitarsi di piangere. Glielo aveva detto anche quella volta, e facendola spaventare così tanto che per poco non svenne. Per fortuna non successe, perché le parole successive le fecero lacrimare gli occhi e sorridere a trentadue denti. "Juvia io per te ho pianto! E solo il cielo sa quanto preferirei farmi battere dal fiammifero spento anziché piangere!" ricordava poche volte di aver pianto e poteva contarle senza difficoltà sulle dita di una sola mano.
Quando Deliora aveva distrutto la sua vita insieme al suo villaggio. Quando Ur si era sacrificata per permettergli di vivere la sua vita senza il peso del rancore e della sete di vendetta. Quando, dopo aver ritrovato suo padre, lo aveva perso subito, e proprio per mano di quella bellissima donna che gli stava per concedere l'onore di divenire sua moglie -era certo che Silver, ovunque fosse, era libero, non più schiavo di quella forza maligna che lo aveva reso nemico del suo stesso figlio- e che era arrivata addirittura a sacrificare la sua vita più volte.
Aveva pianto quando l'aveva stretta tra le braccia, inerme e ricoperta di sangue e ferite. Aveva pianto sì, e per Gray Fullbuster era tutto dire...
Ogni lacrima che aveva versato nella vita corrispondeva ad una ferita incisa per sempre in quel muscolo in mezzo al petto. Lo stesso che, negli anni, si era imposto sul suo carattere glaciale, sciogliendo il freddo e invisibile scudo con cui proprio il suo cuore era stato ricoperto negli anni. E solo grazie a quella ragazzina che si era sacrificata più volte, per Cana durante la battaglia di Fairy Tail, e anche per lui, arrivando ad attentare alla propria vita per salvare quella di uno stupido ghiacciolo nudista...
"Il fatto è... il fatto è che se ti perdo un'altra volta sento che non ce la posso fare! Non di nuovo. Solo il pensiero che possa succedere, anche nel peggiore degli incubi, mi fa star male da morire!" aveva il fiatone, lo si sentiva benissimo nella sua voce. Aveva poggiato la fronte alla porta, allentandosi la cravatta nera abbinata allo smoking gessato. Più pensava che lei potesse decidere di non sposarlo più -se lo sarebbe meritato, aveva passato troppi anni a tenerla lontana, era naturale che si stancasse di lui- e più sentiva il petto cedere.
"Gray-sama... Juvia ti ama da... da neanche lei sa bene quanto tempo..." si era avvicinata alla porta, posandovi una mano guantata, mentre l'altra -la sinistra, che sotto la candida stoffa di seta nascondeva il piccolo diamante dell'anello con cui l'aveva chiesta in sposa- se ne stava sul petto, all'altezza del cuore. La voglia di abbassare la maniglia e togliere quell'ostacolo per abbracciarlo era tanta, ma una Lucy, che definire furiosa era un eufemismo -di lì a poco avrebbe commesso un omicidio, e che rimanesse lei vedova o uno di loro due ancora prima di pronunciare il fatidico sì, poco importava- le faceva segno di non aprire per nessun motivo. La catenina della sua borsetta rosso fuoco era perfetta per strangolare qualcuno...
"Anche Juvia ha pianto... ha pianto tanto... talmente tanto che le sue lacrime cadevano persino dal cielo..." era vero, e non doveva permettere loro di affacciarsi ai suoi occhi, non adesso!
"Ma Juvia ha smesso quel giorno in cui tu le afferrasti la mano, tenendola stretta e salvandola da un vuoto ben più grande di quello a cui Juvia sarebbe stata destinata a cadere se non ti fossi sporto per prenderla..." il nodo in gola si sentiva distintamente, e il ragazzo fece una fatica enorme per non spalancare quella porta e farle affondare il viso nel proprio petto per raccogliere le sue lacrime...
"Tu facesti vedere il sole a Juvia... in tutti i sensi... la facesti sentire una persona e non qualcosa che porta solamente pioggia e tristezza... e nemmeno qualcuno di completamente inutile se avesse fallito..." ora il trucco stava per colare a Lucy, ma resisteva valorosamente facendosi aria come aveva fatto poco prima la bluetta. E nemmeno la rabbia e la successiva emozione le avevano impedito di registrare il momento col suo Lacryma. Un Gray così romantico non era certo roba di tutti i giorni...
"Quel giorno tu hai insegnato a Juvia che anche lei poteva provare sulla sua pelle la felicità..." quel dieci Settembre rappresentava la sua rinascita, e lei avrebbe conservato quella data segnata sul più affidabile dei calendari, il suo cuore. "Gray... Juvia ti ama!"
Era tornato a respirare regolarmente, bevendo ogni parola come un assetato beveva l'acqua dopo giorni e giorni nel deserto. Un balsamo di vita, indescrivibilmente benefico, che aveva avuto il potere di calmarlo in poco tempo...
Sorrise e... "Allora, Juvia Loxar, mi vuoi sposare?" ridacchiò, ma la risposta l'aspettava davvero. Impaziente come la prima volta che glielo aveva chiesto, a casa sua, dove la ragazza era venuta per una cena intima, e lo aveva visto d'improvviso alzarsi e andare in camera sua, frugare in un cassetto del comodino, e tirare fuori una scatolina di velluto blu. Gliel'aveva porta non riuscendo a spiccicare parola. La ragazza, una volta realizzato il tutto, lo aveva abbracciato di slancio, posando la scatolina sul comò e, beh, poi erano finiti a perdersi tra ansiti e gemiti. Un sì sussurrato -ma non per questo non convinto, anzi!- mentre si incamminavano insieme, ancora una volta, sulla via della passione, gli aveva fatto apparire un sorriso dolce. Di quei pochi che dedicava solo a lei, perdendosi nel mare dei suoi meravigliosi occhi...
"Gray-sama... Juvia... sì... sì Gray, voglio sposarti!" ridacchiò, rispondendo convinta. Con il suo Gray lo sarebbe stata sempre...
Un altro sorriso -come se avesse fatto altro oltre a quello per tutto il tempo che lei gli aveva parlato. Aveva riso tutto il tempo come un bambino in un negozio di caramelle, a cui avevano detto di mangiare quanto volesse- gli comparve sulle labbra, prima di trasformarsi in una smorfia di dolore per via della presa di Erza, che lo aveva raggiunto e afferrato per la cravatta, quasi strangolandolo nel risistemargliela e trascinarlo via, dopo aver informato le due donne che la marcia nuziale sarebbe partita dopo poco.
"Ci vediamo tra cinque minuti ragazze. Tu vieni con me!" e andò via, avvolta nel suo abito color ametista, riuscendo a non scomporre lo scarlatto chignon nel tenere fermo il moro, intento a dimenarsi, smettendo di farlo solo quando fu sull'altare che era stato allestito per la cerimonia. La rossa fece segno a Gajeel di avviarsi. Avrebbe accompagnato la sposa all'altare, il vecchio Master aveva insistito per farlo lui, ma avevano preferito farlo stare tranquillo a godersi la cerimonia, con suo nipote Laxus -l'attuale Master- da officiante, e Gajeel a percorrere la navata con la sposa.
Chi meglio di lui?
Avevano iniziato insieme a conoscere il significato della parola famiglia, era giusto che vivessero insieme anche quel passo così importante. D'altra parte, Juvia era stata la sua prima -e unica per tanto tempo- amica. L'unica con cui aveva abbandonato -di poco ovviamente- la sua aria da duro. L'unica che aveva trattato decentemente nella gilda di Phantom Lord. L'unica che aveva pensato a lui quando aveva trovato una nuova, vera, famiglia...
La sposa uscì a braccetto dell'energumeno -Lucy si era già posizionata sull'altare, sorridendo dolce al sei bellissima mimato dalle labbra del Dragon Slayer del fuoco- e seguita dalle altre damigelle, oltre che dagli sguardi dei loro cari. Da Natsu, in piedi accanto a Gray, e Igneel, seduto vicino alla maga del Solid Script, che non toglievano gli occhi di dosso a Lucy -il primo con pensieri decisamente meno casti e innocenti del secondo, ormai ben sveglio e praticamente in adorazione per la sua mamma, ma entrambi con un pensiero comune: Bellissima- a Levy e i due gemelli Redfox -fieri che il loro papà ricoprisse quel ruolo così importante- e la marcia nuziale partì, fermandosi pochi istanti dopo, quando la bluetta raggiunse il moro, sorridendogli con amore, e ampiamente ricambiata.
Se quella era la ricompensa a tutte le lacrime versate in passato, beh, valeva ogni singola goccia...
"Vedrai come piangerai quando ti batterò polaretto ghihahah!" ridacchiò il rosato, prima di beccarsi uno scappellotto dal biondo Master, prima che egli iniziasse la cerimonia...
[4694 parole]
~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~
Angolo autrice.
Buonasera a tutti! (Da me, in Italia sono ancora le 23:45 del 4 Aprile, quindi penso vada bene, ma non lo so)
Non sono riuscita a tradurla in tempo (e forse è meglio così, non sono brava in inglese😳)
Bene, come ho detto, questa è la prima volta che partecipo alla Gruvia week, e spero sia solo l'inizio di una lunga serie di edizioni. Beh, che dire? Spero che la fic sia stata di vostro gradimento, e grazie per averla letta.
Alla prossima!🖤💙
13 notes · View notes
cryptoaloe · 3 years
Text
Traduzione di “Il Corvo” E.A Poe
Una volta in una desolata mezzanotte, mentre meditavo, sfinito e stanco,
Sopra molti bizzarri e curiosi volumi d'un dimenticata tradizione —
Mentre inchinavo, insonnolito , la testa,  d'improvviso arrivò un battito
Come se qualcuno stesse battendo, battendo,  in camera sul portone —
"'è qualche visitatore," Dissi, "che sta battendo in camera sul  portone —
                                              Solo questo e nulla più."
 Ah, distintamente mi riviene in mente, era il fosco dicembre
E per terra si riflettevano le ombre di ogni singolo tizzone morente.
Ardentemente volevo l'avvenire; — invano tentavo di carpire
Dai miei libri sollievo dal soffrire  — soffrire per la persa Leonora —
Per la rara e raggiante fanciulla che gli angeli chiamano Leonora —
                                               Anonima qui per l'eternità.
Allora la forza del mio animo prese a crescere; smettendo di esitare,
"Signore," dissi, "o Signora, vi chiedo sinceramente di perdonarmi;
Ma il fatto è che stavo dormendo, e così dolcemente stavate battendo,
e così flebilmente stavate battendo, battendo il portone della camera,
Che non ero sicuro di sentirvi"— ecco che aprii ampiamente il portone;—
                                        Tenebra laggiù e nulla più.
 La tenebra stavo scrutando, a lungo stetti domandando, temendo,
Dubitando, sognando sogni nessun mortale oso sognare prima;
Ma il silenzio non fu spezzato, e la calma non dava risposta,
E l'unica parola che fu detta fu la sussurrata parola, "Leonora?"
Questo sussurrai, e un eco mormoro indietro la parola, "Leonora!"—
                                               Solo questo e nulla più.
 Alla mia stanza tornavo, tutta l'anima dentro di me bruciava,
Poco dopo sentii un battito un po’ più rumoroso di prima.
"Sicuramente," dissi, "sicuramente  è qualcuno alla grata della finestra;
Fammi vedere, allora, cosa ci sia in quel posto, e questo mistero svelare—
Fammi calmare il cuore un momento e questo mistero svelare;—
                                        'Questo è il vento e nulla più!"
 Spalancai aperte le serrande, quando, con uno svolazzo e un sventolo,
li si introdusse un maestoso corvo del santo tempo che fu ;
Non una reverenza fece a me; non un minuto si fermo o stette da me;
Ma, con signorile postura, si poso sull'architrave del portone lassù —
Si annido sopra il busto di Pallade appena sopra il portone lassù  —
                                 Annidato, e immobile, e solo questo e nulla più.
 Quando quest' eburneo uccello trasformo la mia tristezza in sorriso
Per il grave e spoglio decoro dell'aspetto che vestiva ,
"Anche con la cresta tosata e tagliata," dissi, "non sei di sicuro vile,
Orribilmente torvo e antico corvo vagante dalla notturna riva —
Dimmi quale nobile nome hai tu sulla infernale plutoniana riva!"
                                              Disse il corvo, "nulla più."
 Molto mi meraviglia di sentire da questo sgraziato uccellaccio un discorso così chiaro,
Ma la risposta poco significato — poca rilevanza aveva;
Non possiamo non essere d'accordo che nessun uomo vivente
Fu mai benedetto nel vedere un uccello sopra la porta della camera —
Un uccello o bestia sopra il busto scolpito sopra la porta della camera,
                                        Con un tale nome "Nulla più."
 Ma il corvo, sedendo solo sul calmo busto, disse soltanto
quella sola parola, come se in quella sola parola lui tenesse.
Nulla in più disse — non una piuma in più fece svolazzare —
Finche poco più di un sussurro dissi "altri amici prima sparirono —
Al mattino lui mi lascerà, come le mie speranze che già prima sparirono."
                                        E allora l'uccello disse, "Nulla più."
 Sorpreso dal silenzio giustamente rotto da una cosi giusta risposta,
"Senza dubbio," dissi, "quello che dice è il suo solo titolo e memoria,
Catturato da un infelice maestro il cui impietoso disastro
Che via-via finche il ritornello non fu quell'unica parola —
i lamenti della sua speranza non furono quell'unica parola
                                            e  Nulla — Nulla più.'"
 Quando quest' uccello stava ancora trasformando la mia tristezza in sorriso
Subito spostai una sedia in fronte all' uccello, il portone e il busto;
Poi, affondando nel velluto, mi misi a collegare
Fantasia su fantasia, pensando a questo funesto uccello del tempo che fu —
Che cosa questo nefasto, infausto, ferale, infelice e funesto uccello del tempo che fu
                                        Indici nel gracchiare "Nulla più."
 Di questo ,seduto, riflettevo, ma non una sillaba esprimevo
A questo uccello i cui fieri occhi mi bruciavano tra le costole;
Di questo e altro pensavo,la testa per comodità reclinavo
Sul rivestimento di velluto del cuscino su cui gongolava la luce della lampada,
 Ma su questi cuscini viola di velluto con la lampada che la inonda di luce
                                              Lei non si siederà, ah, Mai più!
 Allora, mi parve, che l’aria inizio ad addensare, profumata da un invisibile incensiere
Oscillato da un Serafino i cui passi tintinnano per terra sull’imbottitura.
"Disgrazia," gridai, "il tuo dio ti ha mandato — con questi angeli ti ha mandato
Tregua — Tregua e  nepente, dalle tue memorie di Leonora;
Bevi, oh bevi questo tipo di nepente e dimentica la persa Leonora!"
                                              Disse il corvo "Nulla più."
   "Profeta!" dissi, "oggetto malevolo!— profeta ancora, se demone o uccello!—
Qualsiasi Tentatore ti manda, o qualsiasi tempesta ti  trasporto su questa riva,
Desolato eppure impassibile , su questa deserta terra incantata —
In questa casa dagli orrori infestata — dimmi, ti imploro —
C’è — c’è del balsamo a Gilead?— dimmi — dimmi, ti imploro!"
                                              Disse il corvo "Nulla più."
 "Profeta!" dissi, "oggetto malevolo!— profeta ancora, se demone o uccello!—
     " In nome del paradiso che domina sopra di noi — in nome di quel Dio che entrambi adoriamo —
Di a questa anima piena di dolore se, nel distante Eden,
Stringerà una santificata fanciulla che gli angeli chiamano Leonora —
Stringerà una rara e raggiante fanciulla che gli angeli chiamano Leonora."
                                              Disse il corvo "Mai più."
 "Sia questa parola il nostro addio, uccello o demonio!" Iniziai a urlare —
"Torna indietro alla tempesta e nella riva infernale della notte!
Non lasciare nessuna piuma prova di quella bugia di cui la tua anima parlava!
Lascia la mia solitudine inalterata!— lascia il busto sopra la mia porta!
Togli il tuo becco dal mio cuore, e porta il tuo corpo fuori dalla mia porta!"
                                              Disse il corvo, "Mai più."
 E il corvo, mai svolazzando, sta ancora sedendo, sta ancora sedendo
Sul pallido busto di Pallade appena sopra dalla porta della mia camera;
E i suoi occhi hanno tutte le sembianze di un demone  che sta sognando,
E la lampada lo inonda di luce gettando la sua ombra per terra;
E la mia anima da quella ombra che galleggia per terra
                                              Non si alzerà — Mai più!            
Se avete dubbi o pareri su questa traduzione non fatevi problemi ad esprimerli
32 notes · View notes
shipisnotaboat · 3 years
Text
6. Célie. Balene e magie da nauti.
Tumblr media
La serata si annunciava piatta e noiosa, esattamente come quasi tutte le altre sessantadue di navigazione già trascorse.
Anche oggi ogni suo tentativo di avvicinare il capitano era stato eluso dal nauto, non aveva più dubbi a riguardo: lui la stava evitando.
Ogni volta che lei aveva provato a chiedergli di parlare lui aveva declinato gentilmente, l'aveva affidata al primo ufficiale e scusandosi a ruota si era infilato in cabina di comando, un posto in cui nemmeno al Principe D'Orsay era concesso entrare, poiché lì i nauti praticavano le loro presunte magie di navigazione.
Costantin aveva passato il pomeriggio tra allenamenti con Kurt e lezioni da parte di De Courcillon ed a fine giornata si era trascinato a letto quasi sui gomiti, talmente stanco da ammettere a mezza voce di soffrire quasi nostalgia di casa, per poi lasciarsi andare ad un sonno profondo.
Con un po' di fatica lo aveva spogliato di buona parte degli abiti da giorno ed aveva preso posto accanto a lui, come di consueto, ma dal canto suo non c'era stato proprio verso di prendere sonno.
Non si fece problemi a sedersi sulla schiena di Costantin per accendere il lume e recuperare il proprio blocco da disegno, in fondo se lo avesse svegliato avrebbe sempre potuto coinvolgerlo in qualche attività, lui non si sarebbe mai tirato indietro.
Prese di nuovo posto accanto a lui e lo osservò per un po' da quella prospettiva particolare, mentre Costantin si rovesciava su un fianco con la grazia di una foca male addestrata e gli abbracciava la vita, facendo del suo ventre il suo guanciale.
Senza fretta di iniziare, rimbalzò lo sguardo più volte dal foglio vuoto alla figura del ragazzo. Quella testa dura aveva voluto allenarsi senza camicia, il risultato che aveva ottenuto era una pelle più rossa di un'aragosta, che scottava al tatto strappandogli brividi e mugolii doloranti, persino nel sonno. E se lei aveva di che lamentarsi per le stesse ustioni sul volto, poteva solo immaginare cosa stesse passando il cugino.
In compenso l'allenamento del mercenario aveva dato i suoi frutti: i giochi di luce sulla pelle nuda del giovane disegnavano e mettevano in risalto una muscolatura che non c'era quando erano ragazzi ed i bagni al fiume erano concessi, nulla a che vedere con la fisionomia di Kurt, era evidente, ma comunque sufficiente a comprendere quanto il ragazzino stava iniziando ad essere un uomo.
Gli accarezzò i capelli con affetto, orgogliosa di quel principe d'oro, che nonostante i suoi difetti si sarebbe dimostrato all'altezza dell'incarico di governatore, di questo ne era certa.
Iniziò a tracciare le prime linee sul foglio, con delicatezza, per ritagliare una prima area per il suo soggetto.
Linea dopo linea un piccolo Costantin iniziò a prendere forma, ammirò compiaciuta l'effetto dei capelli sparpagliati in maniera disordinata contro le pieghe della sua camicia e la curva della spalla che si perdeva nel buio della stanza.
Un leggero bussare la fece voltare verso la porta, invitò distrattamente a parlare e riconobbe la voce del capitano che, dopo un primo attimo di esitazione, sembrò ritrovare la solita verve autoritaria da uomo di mare.
<Perdonate il disturbo signora, ma immagino che vostro cugino non volesse perdere questo spettacolo per nulla al mondo.>
Célie osservò Costantin, svegliarlo era probabilmente più pericoloso di guardare dentro la canna del fucile di una guardia dell'Alleanza, ma rispose ugualmente con tutta la sicurezza del caso.
<Saremo pronti in pochi minuti, spero ne varrà la pena.>
<Potete starne certa. Non indossate nulla che non volete bagnare.>
Qualche minuto dopo i due cugini si presentarono sul ponte. Costantin non si era ancora abituato del tutto al rollio della nave, cosa che invece Célie aveva fatto fin troppo bene. Era quasi l'alba, non pensava di aver passato così tanto tempo sveglia.
Le tre navi stavano procedendo più ravvicinate del solito, i mozzi avevano inserito delle lanterne nei boccaporti per illuminare l'acqua attorno a loro e chiunque non fosse prettamente impegnato nella navigazione si era ammucchiato insieme ai nobili ed agli altri passeggeri lungo il parapetto di manca per osservare dabbasso, tra esclamazioni esaltate e fischi divertiti.
Le luci dal basso, assieme al velo di luce rosata della prima alba erano sicuramente uno spettacolo degno di nota, ma non sufficiente per essere convocati a quell'ora.
Costantin sembrava pronto a muovere guerra al capitano, almeno a giudicare dal tono formale ed altolocati che raramente sfoderava.
<Carissimo capitano, comprendo che sia convinto che io di albe ne veda poche, ma come sa, baccaglio fino a tardi. Dun...!!!>
Non fece in tempo ad aggiungere altro, il suo sguardo fu rapito da uno schizzo d'acqua che da fuoribordo si sollevò sin sopra le loro teste e cadde, seminando goccie di una pioggia fredda e frizzante.
Il principino non perse tempo: bocca ed occhi spalancati ritrovò all'improvviso tutta la sua vitalità e si precipitò al parapetto per unirsi al coro di ovazioni non appena le vide. Come un bambino, allungò persino un braccio oltre il legno, come se potesse arrivare a toccarle, Célie si lasciò sfuggire un sorriso divertito nel vedere suo cugino tanto agitato, pregò nel suo cuore che il ruolo di governatore e gli intrighi politici non lo rovinassero.
<Sangue Verde, vieni a vedere questi pesci giganti. Ho già fame!> Kurt, sempre il solito, non si sarebbe stupito davanti a nulla. Le fece cenno di avvicinarsi e si scostò a sufficienza da permetterle di affacciarsi e osservarle a sua volta.
Balene, un intero branco. Gli animali si erano lasciati affiancare dalle navi e procedevano a ritmo dei loro inaspettati ospiti, lasciandosi guardare. Sbucavano da sotto la superficie scura, prendevano aria, soffiavano fuori acqua e tornavano ad immergersi nei flutti con la loro mole impressionante.
Possedevano una continuità armoniosa ed impressionante al tempo stesso, si muovevano una dopo l'altra seguendo la più grossa, in testa, creando l'effetto di tentacoli di una sola gigantesca creatura.
Mentre la sua mente già ingrassava nutrendosi di leggende e miti riguardo le più disparate dicerie, la voce entusiasta di Jonas annunciò per tutti <Guardate là! Al centro! Quello è un cucciolo!>
Il codazzo di nobili e faccendieri che i due principini si erano dovuti portare dietro si sciolsero in domande o versi di approvazione, i marinai invece risultavano più composti.
Preoccupata per l'assenza di una voce in particolare, Célie abbandonò il sorriso e cercò di allungarsi per vedere in mezzo a quell'accozzaglia di gente.
<Non vedo Costantin…>
Kurt, ben più alto di lei, lo individuò con maggiore sicurezza.
<Tranquilla Sangue Verde, non è saltato in mare per accarezzare quelle bestie. È con De Courcillon, credo che gli stia spiegando in quanti modi può farsi servire in tavola queste bestiole.>
Célie roteò gli occhi al cielo. Aprì la bocca per parlare ma improvvisamente la Cavalcaonde prese una brusca virata verso dritta nel tentativo di prendere distanza dal branco e dalle altre navi, spedendo qualche nobile con le natiche sul ponte, a lamentarsi del caprone al timone.
Célie stessa fu sorretta da una mano di Kurt.
<Gentili e nobili signori, sono spiacente di informarvi che lo spettacolo è appena terminato!> Dal timone la voce di Vasco intento a manovrare la ruota in tutta fretta. <Dobbiamo cambiare rotta e dovreste tornare tutti sotto coperta. Immediatamente.>
Uno dei nobili, un mercante ben pronto a lucidarsi le piume di fronte al futuro governatore, provò a questionare.
<Siete impazzito capitano? Il mare è calmo, le nuvole sono lontane. Ci avete quasi ammazzati, e non vedete che il principe stava contemplando quelle bestie?>
<Quelle sono balene.> Chiarì il capitano alle prese con il timone, una sola, piccola porzione della sua attenzione era dedicata all'uomo, il suo sguardo restava concentrato su quelle nuvole come una sentinella.
<Ho chiamato personalmente sua altezza, ma sta per arrivarci addosso una tempesta, è cambiato il vento.>
Insistette ancora, leggermente più autoritario. Il capitano era abile a stabilire entro quali limiti muoversi per rivolgersi ai nobili, ma non sempre il suo ruolo era rispettato a dovere, e la cosa iniziava ad appesantire i viaggi del nauto, questo Célie era riuscita a percepirlo.
<È pericoloso stare qui, se qualcuno di voi dovesse cadere in mare non farei in tempo a dire ai miei uomini di tuffarsi per ripescarvi.>
<Ma cosa state dicendo capitano.> L'uomo aveva ottenuto l'attenzione ed il malsano supporto di buona parte dei nobili, Célie notò che i nauti si erano subito messi in movimento, raggiungendo posti che il capitano andava indicando tra una stilettata e l'altra del nobile. Fece cenno a Kurt di seguirla e si fece largo fino a raggiungere Costantin, seduto a terra, nei pressi del loro vecchio maestro.
<Guardate, il mare è quasi calmo, le nuvole stanno andando nella direzione opposta!> Continuò il nobile.
Célie osservò le nuvole, inizialmente non trovò nulla di strano, ma qualcosa nel loro moto non era regolare, non come le onde che aveva osservato poco prima o come le balene ed il loro sbucare fuori dall'acqua.
Lo stesso branco sembrava essersi inabissato, forse spaventato dallo scatto improvviso delle navi. Probabilmente si stava lasciando suggestionare, ma il fatto che sui ponti scoperti delle altre navi intravedesse scene simili, la indusse ad affidare un po' di fiducia al tanto decantato Capitano.
<Costantin…> gli sussurrò <credo che il capitano abbia ragione. Dì qualcosa a questa gente prima che la situazione sfugga di mano.>
Il principino osservò sua cugina in volto, le sorrise, decisamente più cinico a riguardo ma decisamente ben disposto a lasciarsi manipolare da lei. Si rimise in piedi e lisciò il suo farsetto da viaggio, sistemò i capelli e cercò persino di non barcollare troppo per il rollio della nave, intromettendosi nel discorso con l'opportuna dose di spocchia da sangue blu.
<Signori, su questa nave la parola del capitano vale quanto quella del principe, dovreste obbedirgli senza discutere. O devo aspettarmi una ribellione una volta raggiunta l'isola?>
La voce alta, il tono che non ammetteva repliche, o forse le sue parole smorzarono davvero qualche animo e non pochi iniziarono a sciamare verso i ponti inferiori, lasciando di fatto i nauti liberi di agire con maggiore libertà.
Vasco osservò stupito i due cugini, ma tornò in fretta ad occuparsi del timone, le onde iniziavano in effetti a farsi più arroganti contro la chiglia. Fu stranamente delicato quando Célie si avvicinò.
<Siete certo di quello che dite capitano?>
<Noi nauti usiamo alcune magie per navigare. Ma ora non c'è tempo per spiegarvi, signora. Andate in cabina e chiudete gli scuri. Si ballerà un po' ma sarete al sicuro.>
Célie decise che non era il caso di ribattere. Ed il tono più premuroso usato da Vasco lasciava intendere come in qualche modo lo avesse colpito quel suo intercedere a suo favore.
Di nuovo in cabina, dopo aver eseguito gli ordini del capitano, iniziò a dubitare di aver fatto bene a dargli retta. La nave rollava un po', certo, ma una tempesta era cosa ben differente. Costantin trovò il ritratto e lo osservò, poi chiede perplesso <sono io?>
Célie sorrise <ti pare Kurt?>
<Dovrei metterlo al posto di quei ritratti così piatti e ordinari con cui continuano a tappezzarci le sta…> non fece in tempo a finire la frase, la nave piegò pesantemente di lato, spedendolo lungo e steso sul letto, Célie dovette afferrare una delle pareti per non sbatterci diretta la faccia.
L'intera struttura sembrò vibrare, emise un sinistro scricchiolio, poi la piega fu inversa e la nave iniziò a dondolare senza sosta.
La luce aveva smesso di filtrare dalle intercapedini negli scuri, salvo un unico bagliore seguito da un botto quasi immediato, non proprio lontano.
Il capitano ci aveva visto giusto, e se quella tempesta non gli stava passando sopra probabilmente non era molto lontana.
<C...Costantin stai bene?>
Il ragazzo tirò su la faccia, era verde nonostante l'abbronzatura, e cercava di arrancare e girarsi, come una tartaruga rovesciata sul guscio.
<Sto per…>
<Non sul letto ti prego…> gemette lei, naso arricciato, mentre arrancava. Aveva trovato un equilibrio molto precario, messo in difficoltà da bagagli e altri accessori che vagavano da un lato all'altro della stanza, accasciandosi o rotolando sul pavimento.
Célie quasi inciampò, ma riuscì a raccattare da terra almeno una delle vaschette in ceramica della quotidiana, un po' ammaccata, ma meglio che nulla <resisti ci sono quasi>.
Riuscì ad incastrarsi tra il letto ed una parete, abbandonata la vaschetta a terra poté finalmente usare entrambe le mani per aiutare il cugino.
Quel rollio andò avanti per un tempo indefinito, Costantin smise in breve di svuotare lo stomaco di ciò che restava della cena e della bevuta con Kurt, poi decise di non volersi mai più alzare da quel letto.
<Ricordami… di arrestare tutte le navi… appena arriviamo.>
<Certo cugino. Le ammanettiamo e le portiamo tutte in cella.> Lo schernì lei, con un tono fintamente serio ed un bacio sulla testa.
A mare ormai calmo e con Costantin addormentato soppesò l'idea di un cambio: pantaloni e farsetto avevano conservato ben poco del colore originale, ma prima che potesse spogliarsi un ennesimo bussare la convinse ad andare alla porta.
<Signora. Eccellenza. Va tutto bene?> Di nuovo il capitano.
Questa volta Célie decise di aprire la porta per parlargli, se lo trovò davanti. Qualunque fosse il motivo per cui l'aveva evitata per tutto il tempo sembrava essere riuscito a metterlo da parte per un po', una piccola tregua che le permise di cogliere un aspetto più umano nel giovane.
<Mio cugino ha patito il mare. Ma stiamo bene, si riprenderà in breve.>
Vasco annuì, le mani unite dietro la schiena ben dritta e le gambe appena divaricate in una posa composta, marziale quasi.
<Mando qualcuno a pulire la cabina. La tempesta è passata, siamo riusciti ad evitarla. Ci ha solo sfiorati.>
Il capitano abbassò lo sguardo per poi risollevarlo appena dopo <Io… devo ringraziarvi per aver convinto vostro cugino a parlare così prima. Ha evitato a molti passeggeri di ferirsi. O peggio.>
Célie piegò la testa di lato, cercando di mantenere almeno un minimo quell'aspetto altero che competeva al suo rango. Tuttavia era difficile non subire almeno in parte il fascino del capitano.
<Costantin ha fatto la cosa giusta, ma siete voi che meritate una lode. Le voci su di voi non vi fanno abbastanza giustizia. Siete davvero un ottimo capitano.>
Lui ringraziò, ma sembrò voler riflettere su quell'affermazione. Era pronto a congedarsi ma lei lo trattenne aggiungendo <ho bisogno di chiedervi una cosa.>
La reazione di Vasco fu inaspettata: per quanto la invitasse gentilmente a parlare le rivolse uno sguardo deluso e rassegnato al tempo stesso, ma la domanda di lei lo costrinse a scattare indietro con il capo e sgranare brevemente gli occhi per lo stupore.
<Ho come l'impressione che abbiate voluto evitarmi sino ad ora. È perché ho chiamato barca la vostra nave?>
<Cos…? No. No.> Il nauto scrollò il capo ed abbassò la voce. <È solo che non mi trovo molto a mio agio tra i nobili, tutto qui. Vi chiedo scusa se sono risultato scortese.>
<Vi capisco, buona parte dei nobili sono davvero fastidiosi.>
<In ogni caso, voi mi sembrate diversa. Perdonatemi davvero.> Una breve pausa per prendere fiato, Célie sembrò volergli scavare nell'anima con lo sguardo, aveva fiutato che non era stato del tutto sincero. Non nelle scuse, ma qualcosa in quelle motivazioni risultava fin troppo superficiale rispetto alle reazioni del nauto, che aggiunse <Fortunatamente mancano pochi giorni al termine del viaggio. Riguardatevi signora, e riportate i miei saluti a vostro cugino, di grazia.>
Un cenno al cappello da parte sua, poi si allontanò lasciandola affondare in un certo sconforto: al termine del viaggio li avrebbe scaricati, loro avrebbero iniziato una nuova vita sull'isola, lui sarebbe semplicemente ripartito e sparito tra i flutti.
Non si sarebbero mai più incontrati, e considerato quanto il pensiero sembrava turbarla, era meglio così.
Tumblr media
2 notes · View notes
unfilodaria · 4 years
Text
Così stanco da non avere neanche la forza di chiudere gli occhi.
Con il lavoro (o lo studio) ho sempre avuto un rapporto malato. Non sono metodico, non sono costante, ma ogni volta che ho una scadenza mi ci tuffo dentro, trattenendo il fiato, in apnea profonda. Ed ogni volta è la scusa per fare silenzio nella mia confusione mentale ed affettiva. Più sono in subbuglio e più divento una stakanovista. Non ci sono orari e pause che tengono.
Solo massacrandomi di fatica metto pace nel mio animo, stoppo i dubbi e le emozioni silenziondale.
È un suicidio per passione o per amore. Ma soprattutto per non pensare
2 notes · View notes
smokingago · 4 years
Text
Tumblr media
Mentre tu dormi io sogno i tuoi baci
E nell'ora tarda la mia anima tace
Accarezzo il tuo viso per dirti mi piaci
Ma i mie pensieri non trovano pace
La tristezza, la gioia, un cuore malato,
Ti stringo con forza, ti dono un sorriso
Vorrei tu fossi il mio domani rinato
Ma poi ascolto il mio animo intriso
Da mille ferite senza più dolore
Ti stringo, ti bacio, resta al mio fianco
Vivi la vita, riempi il mio cuore
Rendi il mio amore mai più stanco
Ti amo piccina, mi nutri la mente
Tu dormi e poi sogni, lo sai? Mi piaci
La tua anima scorgo tra tutta la gente
Ora è domani e aspetto mi baci!
Web
28 notes · View notes
Text
Venerdì sera:
Questa città così piena di vita è in terribile contrasto con il mio animo stanco e vuoto.
23 notes · View notes
calimesblog · 4 years
Text
Nelle grinfie dell’orso
Fandom: Psychic Detective Yakumo Characters: Yakumo Saito, Kazutoshi Gotou Rating: T Summary: Un giovane Yakumo viene portato alla stazione di polizia in cui lavora un altrettanto "giovane" Goto. Il ragazzino è malconcio e parecchio restio ad aprirsi con il poliziotto che, tuttavia, gli impone di fermarsi fino alla fine del proprio turno per poter accompagnarlo di persona a casa. AO3
La stazione di polizia non era certo il suo posto preferito, non che lo fosse il tempio e nemmeno la scuola - ovvio. Se avesse avuto libertà di scelta sarebbe partito per l’Antartide: in fondo la compagnia dei pinguini doveva essere di certo più piacevole di… «Oh, chi non muore si rivede!» sghignazzò una voce roca. «Cosa hai combinato questa volta, Yakumo?» «Niente.» rispose il ragazzo evasivo con una scrollata di spalle. «E stai seduto dritto su quella sedia o cadi, stupido moccioso!» «Signor Goto, la smette di darmi ordini? Mi hanno portato a forza qui, io stavo tornando al tempio.» Yakumo iniziò a dondolarsi con la sedia. «Tutta colpa del suo collega che mi ha riconosciuto…» si lamentò. «Mi stai forse provocando?!» digrignò i denti il poliziotto, rompendo la sigaretta che teneva. Imprecando, buttò il mozzicone nel posacenere. «Posso andarmene adesso?» «No! Prima spiegami che diavolo è successo e poi forse ti lascerò andare.» Yakumo sospirò, si sistemò in modo composto sulla sedia e restio alzò il viso tenuto fino a quel momento fuori dalla visuale del poliziotto. Goto rilasciò un sibilo: l’occhio sinistro presentava una brutta macchia violacea, mentre sul labbro inferiore c’era del sangue ormai rappreso. Comprese subito perché la signora e il collega, che lo avevano portato lì, volevano chiamare un’ambulanza al più presto: l’iride rossa era ben visibile nonostante il gonfiore nascente della palpebra; perciò i due avevano supposto una qualche emorragia. «Accidenti! Chi è stato?» sbottò avvicinandosi per osservare meglio. «Hai messo del ghiaccio sopra?» Yakumo scosse la testa. «Te lo vado a prendere. Tu non muoverti, chiaro?!» se ne andò senza aspettare risposta. Yakumo si strinse nelle spalle, ripensando a ciò che era successo poco prima. Non era stata la prima volta, né sarebbe stata l’ultima, di questo ne era certo. La gente, semplicemente, non capiva. Perciò, non aveva senso che prima la signora che l’aveva portato lì e poi il signor Goto si preoccupassero così tanto delle sue condizioni. Per non pensare poi a come l’avrebbe presa lo zio! In ogni caso, sarebbe stato meglio tornare al tempio che stare lì: non gli piacevano le stazioni di polizia… «Toh! Chiudi l’occhio e metticelo sopra.» ritornò Goto con del ghiaccio sintetico e una pezzuola. «Ahio!» si lasciò sfuggire Yakumo per il dolore, quando sentì freddo sull’occhio pesto. «Che dice tuo zio Isshin?» Il ragazzo ignorò la domanda del poliziotto, interessato più a tastarsi il labbro per verificare se la ferita stesse ancora sanguinando e quanto effettivamente si fosse gonfiato. Il verdetto fu che le aveva prese, ma di questo ne era già consapevole. Forse aveva anche qualche livido… Sulla coscia destra di sicuro, dove l’avevano colpito con un calcio per farlo cadere rovinosamente a terra, e perciò anche sul sedere. Ma non era importante che il signor Goto lo sapesse, no? Smise di concentrarsi sulle ferite di guerra quando si sentì strattonare per il colletto della maglietta. Premette involontariamente col ghiaccio sull’occhio contuso. «Accidenti, signor Goto!!» sibilò protestando per la violenza con cui l’aveva afferrato. Ammutolì quando fissò i suoi occhi fiammeggianti di ira e di preoccupazione malcelata. «Non provare mai più a ignorarmi, Yakumo Saito.» Yakumo sapeva che quando il signor Goto usava il suo nome completo di cognome c’era poco da scherzare. Lo zio Isshin forse aveva ragione a dire che era piuttosto maturo per i suoi undici anni, ma il signor Goto lo trattava sempre come un moccioso – anche in quel momento. Agli occhi del poliziotto non era più il bambino che aveva salvato appena in tempo dalla follia della madre, ma uno dei tanti complessati ragazzi fermati per uso di droga che capitavano lì di tanto in tanto. Si sentiva come uno di loro: se fosse riuscito a giocarsela bene, avrebbe evitato lo strizzacervelli. «Ti ho chiesto cosa pensa tuo zio Isshin di tutto questo.» scandì il signor Goto a pochi centimetri dal suo volto, liberandolo. Yakumo ricadde sulla sedia più contuso e dolorante di quanto lo fosse stato pochi minuti prima. Potevano anche punzecchiarsi a vicenda con battutine anche piuttosto acide e scorbutiche, ma mai quando si trattava di argomenti seri e delicati. «Ti hanno picchiato di nuovo.» continuò il poliziotto in tono serio con le braccia incrociate al petto. Yakumo non si premurò neanche questa volta di rispondergli: era più che evidente. «Non è niente. A parte l’occhio nero, il labbro sta già guarendo.» disse calmo dopo qualche minuto di silenzio. Goto bofonchiò un’imprecazione sulla sua stupidità. «Cosa devo fare con te?!» si esasperò poi. «Niente. Si preoccupi piuttosto di sua moglie che lo ha abbandonato, signor Goto.» sviò Yakumo, sapendo che lui avrebbe colto la provocazione. «E tu come lo sai, piccolo impiccione che non sei altro?!» abboccò infatti Goto. «Le notizie arrivano e gli uccellini cantano.» sogghignò il ragazzo. «Adesso posso tornare al tempio?» «Adesso ti porto nel mio ufficio, ti metti a fare i compiti e aspetti che finisca il turno. Poi ti riaccompagno al tempio.» rispose alzando appena il pollice della mano in direzione dell’ufficio. Yakumo sospirò con irritazione. «Non sono più un bambino! E lei non è mio padre!» protestò con veemenza. S’incupì, abbassando la mano con cui teneva ancora il ghiaccio sintetico. «Non è neanche mio zio! Ma insomma, che avete tutti quanti??» scoppiò. Goto rimase ad osservarlo in silenzio, tranquillo, nonostante Yakumo si fosse alzato barcollando per un giramento di testa che non aveva previsto. Lasciò che gli si avvicinasse, che afferrasse il tessuto della maglietta della divisa, che lo stringesse con violenza nei pugni chiusi e sudati, che lo guardasse con disprezzo – No, con disperazione. Furioso come un animale in gabbia, ferito troppo profondamente, appesantito dal fardello di un “dono” non voluto. Quant’altra sofferenza, dolore, oscurità, avrebbero visto quell’occhio rosso? «La signora e il poliziotto che hanno voluto portarmi qui a forza, lei, mio zio!!» stava ancora urlando. «Io volevo soltanto essere lasciato in pace! Non è colpa mia se nello scantinato della scuola c’è l’anima di un bambino morto!! Che mi picchino pure, non mi interessa!! Loro non capiscono e neanche mio zio capisce!» Yakumo s’interruppe, sgranò gli occhi sgomento e indietreggiò, lasciando andare la maglietta del poliziotto. «Io sto bene. Sto bene!» tremò. «E… è inutile che vi preoccupiate per me!! Siete tutti degli stupidi!!» afferrò lo zaino ai piedi della sedia e con il ghiaccio ancora in mano corse a chiudersi nell’ufficio del poliziotto. Goto lo seguì con lo sguardo fino a quando non vide altro che la porta rovinata dall’usura e dallo sporco del proprio ufficio, – ufficio era comunque un eufemismo, perché uno sgabuzzino delle scope sarebbe risultato sicuramente più spazioso al suo confronto. Abbassò gli occhi sul pavimento incrostato qua e là di macchie di caffè, nicotina e altra sporcizia. Be’, l’indomani sarebbe stato giorno di pulizie, ma non era quello il punto. Si accarezzò il mento pungente di un accenno di barba con aria pensierosa. Cosa poteva fare lui se non quello che stava già facendo? Yakumo era ancora un bambino, troppo giovane e ottuso, nonché scostante e scontroso. Un ragazzo difficile l’avrebbero definito i colleghi – ed anche lui , ma prima di essere un poliziotto era un essere umano e in quanto tale si rifiutava di lasciarlo andare, di abbandonarlo. Certo, non poteva sostituirsi ai suoi genitori né a suo zio, che rispettava molto come persona. Sapeva che nelle mani di uno come Isshin, Yakumo sarebbe stato al sicuro. Certo, entro le mura del tempio, ma fuori? Fuori era esposto alla curiosità, al disprezzo e alla cattiveria della gente. Il mondo era troppo pieno di sé, le persone troppo egoiste ed egocentriche per curarsi di ciò che dicevano, che facevano, e delle conseguenze che avrebbero potuto provocare in un animo giovane ed ingenuo come poteva essere quello di un ragazzino di appena undici anni. Perché se Yakumo cominciava a capire quanto il mondo fosse crudele, ciò non giustificava il fatto che cadesse vittima di certe situazioni. Come quella appena accaduta: preso a suon di pugni solo per aver detto di aver visto un fantasma. La paura era davvero una brutta bestia. E poi, già a quell’età Yakumo mostrava un secco cinismo e un rifiuto totale di affetto – ne aveva appena data dimostrazione. Non andava per niente bene. Proprio per niente. «Maledizione!» imprecò a denti stretti, sbattendo il pugno sul legno della scrivania. Ci teneva a quel ragazzino. E sapeva che non avrebbe dovuto avere più contatti con lui – chi avrebbe voluto avere quel tipo di legame? Avere accanto la persona che ti ricordava la cosa più atroce che mai sarebbe dovuta succedere ad un bambino... Anche lui sarebbe fuggito disgustato. E invece, eccoli lì, a pochi metri di distanza e con una semplice porta di compensato a separarli. Non era riuscito a lasciarlo in pace, non dopo aver incrociato nuovamente il suo sguardo bicolore e averci visto la disperazione e una muta richiesta di aiuto. Con un sospiro stanco Goto si ricompose, passandosi una mano tra i corti capelli scompigliati. Andò al distributore dell’acqua per dissetare la gola secca e prese in considerazione l’idea di accendersi un’altra sigaretta. Almeno, si rincuorò, non è scappato via. Dalla tasca dei pantaloni tirò fuori il pacchetto di sigarette e ne prese una tra le labbra. «Dannazione!» si lamentò non trovando l’accendino. L’aveva dimenticato nell’ufficio.
------
Due colpi secchi. «Ehi, Yakumo! Esci fuori che ti riaccompagno a casa!» gridò Goto per farsi sentire oltre l’ostacolo della porta. Il rumore che avrebbe dovuto sentire attraverso il compensato non arrivò alle sue attente orecchie. Forse era scappato dalla finestra? Naaah… O sì? Senza pensarci un secondo in più si affrettò ad aprire. «Yakumo!!» Subito i suoi occhi lo individuarono sdraiato in modo scomposto sull’unica comodità consentitagli in quella piccola stazione di polizia. La poltrona di un orrendo color marrone – a sentire sua moglie – non era stata sicuramente progettata per dormirci sopra, ma Yakumo doveva averla trovata davvero comoda, oppure era stato così distrutto da quella giornata, che ci si era addormentato così profondamente da non averlo sentito urlare. «Ma tu guarda…» mormorò con un mezzo sorriso. Yakumo era rannicchiato su se stesso: la testa su un bracciolo e le gambe a penzoloni sull’altro. La pezzuola e il ghiaccio sintetico, ormai sciolto e inutilizzabile, erano caduti a terra dove avevano lasciato una piccola pozza d’acqua. Sulla scrivania stavano tutti i rapporti e le carte che avrebbe sistemato l’indomani, perciò suppose che il ragazzo non avesse neanche aperto libro per tutte quelle ore. Gli si avvicinò. «Ehi, stupido moccioso. Svegliati, su!» lo scosse da una spalla. Yakumo mugugnò infastidito, socchiudendo appena gli occhi. Quando andò a sfregarli con una mano chiusa a pugno, si dimenticò di andarci piano con quello pesto e sussultò per il dolore e per la sorpresa di trovarlo più gonfio di quanto si fosse aspettato. Sbadigliò. «Avanti, torniamo a casa. Tutti e due.» Goto gli diede una piccola pacca sulla spalla. «Non è casa mia. È il tempio di mio zio.» puntualizzò Yakumo stiracchiandosi. «È casa tua, invece, testone. E farai bene a tenertela cara.» replicò Goto, aiutandolo ad alzarsi. Yakumo allontanò la sua grande e callosa mano, troppo orgoglioso per ammettere di aver bisogno di quella piccola gentilezza. Goto abbozzò un mezzo sorriso, alzandosi per mettere a posto il ghiaccio sintetico nel freezer e la pezzuola sulla scrivania. «Cosa fa adesso? È passato alla compassione?» chiese Yakumo in modo brusco, ricordandosi di cosa fosse successo qualche ora prima. «Ah, quanto fai il difficile, ragazzino!» Per ripicca Goto gli si avvicinò nuovamente e lo afferrò con entrambe le mani dalla vita sollevandolo di peso. Yakumo lanciò un urlo preso alla sprovvista e si affrettò a tenersi dalle forti braccia del poliziotto. Tenendolo sospeso sopra di sé e guardandolo dal basso verso l’alto, Goto sghignazzò. «Sei ancora uno scricciolo!» rise per la leggerezza del suo peso. «Mangi abbastanza?» «Eh?!» si indignò Yakumo, scalciando per obbligarlo a farlo scendere. «Mi metta giù! Signor Goto!!» Goto se lo caricò in spalla come un sacco di patate, prese la giacca della divisa e lo zaino di Yakumo e uscì dall’ufficio, chiudendo la porta a chiave. «Prima di andare al tempio, passiamo a mangiare qualcosa. Ho già avvertito tuo zio, mentre tu ronfavi nel mio ufficio.» rise. «Che ne dici di un bel cheeseburger? Con tante patatine e un bel gelato!» si entusiasmò ignorando palesemente le proteste e i pugni di Yakumo. «Un giorno la denuncerò per maltrattamenti!!» lo minacciò. Goto lo ignorò nuovamente, continuando a camminare con un ghigno divertito. Eh sì, voleva davvero bene a quel moccioso.
2 notes · View notes
Text
So quanto pesano in te le paure se pronunciate sottovoce.
So quanto pesa in te l‘orgoglio se riveste i tuoi valori di ciò che non possiedi.
Tu, animo stanco.
Non dimenticare il tuo coraggio
33 notes · View notes