Tumgik
#come molti infatti fanno
ross-nekochan · 9 months
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La sfiga è:
Group leader che dice:"Poiché in azienda sono tutti in ferie, oggi facciamo che la metà di noi torna a casa per il pomeriggio. Per decidere chi facciamo carta, sasso e forbici".
Io vinco.
Ma una persona non mi restituisce quello che mi deve restituire (e che poi devo annotare nel sistema) e quindi sono dovuta rimanere fino alle 18:00 in ufficio. 😊😊😊
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blogitalianissimo · 4 months
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I miei genitori hanno lasciato tutto per andare al nord e avere una vita migliore. Io sono nat* più al nord del nord italia, perché loro volevano che io vivessi meglio di come avevano vissuto loro. E ho avuto una vita e opportunità migliori delle loro. I miei genitori hanno represso il loro accento per tutta la mia vita perché non volevano che io lo assimilassi nemmeno per sbaglio. Perché Dio perdoni se un’accento del sud si fosse sentito in giro. Ad una cena recentemente qualcuno ha detto a mio padre che non era più della sua regione, perché aveva lasciato tutto per una vita migliore, perché l’aveva fatto per me. Quindi oggi, per colpa di uno stato che non avrebbe mai potuto concedergli la vita che abbiamo oggi, noi non siamo più nulla. Pure io, se posso concedermelo, non so che sono. Perché non sarò mai abbastanza per le persone qua, ma nemmeno abbastanza per i miei parenti giù. Perché volere una vita migliore in italia spesso può significare lasciare tutto, girare le spalle alla terra che ami, perché i miei genitori amano la loro regione (guai a chi prova ad insinuare altro), vivere con appunto questo rimorso, questa costante mezza soddisfazione. Perché hai guadagnato, ma hai anche perso. E niente non so dove questo discorso voleva andare a parare, ho perso il filo. Però volevo solo scrivere qualcosa a proposito del fatto di dover lasciare tutto e andare al nord per avere un lavoro decente (e successivamente essere dipinto pure come ingrato se ti lamenti). Non so, questo fatto mi rende triste, volevo dirlo a qualcuno. Buona serata xx
Anon dico "ti capisco" perché l'infanzia l'ho passata in nord italia e l'adolescenza al centro, so bene di cosa stai parlando, solo in età adulta sono tornata a casa. Ringrazio comunque che i miei non siano stati così "rigidi", cioè ovviamente volevano parlassi italiano, ma non hanno mai represso il loro accento o dialetto, e infatti il mio accento è sempre stato percepito come meridionale, in qualunque regione andassi (tranne quella da cui provengo, per loro un periodo ero diventata milanese, un altro romana). Ovvio, mi sono beccata tutte le conseguenze che dici, prese in giro e compagnia, quindi comprendo perché i tuoi l'abbiano fatto, anche se mi mette una tristezza addosso allucinante.
Per la questione "non vengo accettat- manco dagli altri meridionali" comprendo uguale, o meglio, comprendevo. Mi ci è voluto un po' per riadattarmi, ma ti assicuro che non mi rompono più le scatole per questa cosa, anche perché tbh di gente che si trasferisce per necessità al nord ne è pieno, ed è abbastanza ipocrita prendersela con chi se ne va, quando purtroppo è una cosa che facciamo in molti.
I miei 2 cent sulla questione, giusto per concludere:
Quasi tutti quelli che si trasferiscono, che si tratti di migrazione interna o addirittura IMMIGRAZIONE, lo fanno perché obbligati. Non tutti ovvio, ma se a tutti fossero date le stesse possibilità, sarebbero pochi gli spostamenti, punto. Non è manco una questione "lu sudde è più bello, lu sole, lu mare, lu core, voi c'avete solo la nebbia", nono, è semplicemente APPARTENENZA. Forse un giorno, quando il nord s'impoverirà, e i settentrionali capiranno cosa cazzo vuol dire abbandonare la propria casa per spostarsi altrove (addirittura spostarti in un posto dove TI ODIANO), il dolore che si prova nel farlo, magari quel giorno ci daranno tregua. E pensa, noi ci sentiamo così e non proviamo nemmeno 1/3 del dolore di chi viene da altre nazioni o continenti.
Ai meridionali che invece se la prendono con altri meridionali perché se ne sono andati dico: smettetela. Prendetevela piuttosto con un paese che ci obbliga ad abbandonare le nostre case e radici perché fa comodo un sud impoverito e il nord pieno della forza lavoro meridionale.
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dilebe06 · 20 days
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The Umbrella Academy (4° stagione)
" vi voglio bene ma siete dei coglioni."
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Questo commento inizia con un ringraziamento a Game Of Thrones e a molti drama koreani. Grazie a loro oramai sono temprata ai finali orribili, aperti, senza senso. Mi hanno crudelmente insegnato la nobile arte della disillusione ed a tenere bassissime le mie aspettative sul finale di una serie, ogni volta che qualche show si avvicina alla sua conclusione. GOT docet
Ciò, ringraziando Iddio, mi ha salvata dalla pugnalata emotiva che è la bruttezza della quarta stagione di The Umbrella Accademy. Leggo in giro commenti di fan arrabbiati, delusi, frustrati, increduli e onestamente se non fossi ormai forgiata a ciò, anche io sarei sulla loro stessa lunghezza emotiva. E' tosta infatti vedere come LA STAGIONE FINALE di una serie che hai amato alla follia sia un totale disastro su moltissimi aspetti: ritmo, narrazione, buchi di trama, involuzioni dei personaggi, buchi di logica... ma soprattutto - e questo è quello che mi fa più male - distruzione dei caratteri, personalità, evoluzioni dei personaggi. Che poi sono ciò che amo di più della Umbrella Academy.
La quarta stagione pare un riassunto. Una bozza, per citare @veronica-nardi. Sembra che gli sceneggiatori avessero un idea generale di cosa fare - Ben e Jennifer - e per il resto sia solamente abbozzata. Manca l'intensità, il conflitto emotivo, l'organicità del racconto.
Ci sono personaggi che hanno quest secondarie che non portano a niente né di trama né di crescita e ti viene la sensazione che siano state inserite nella serie, solo per dargli qualcosa da fare. Manca la follia tipica dello show che tanto me l'ha fatto amare: quell'idea di star vedendo qualcosa di divertente e stranissimo che è allo stesso tempo triste e introspettivo. The Umbrella Academy ha sempre avuto il giusto mix tra stravaganza e analisi interiore, tra risate e drammi.
In questa ultima 4 stagione, ci sono anche buone idee - come la crisi del rapporto matrimoniale tra Lila e Diego - ma la serie è così frettolosa che niente viene approfondito o risolto e anzi...
Ci sono mille domande a cui manca la risposta. Domande che ci portiamo dietro dalla prima stagione e di cui meritavamo un responso che la serie a ben pensato di evitare e di lasciarci con il dubbio.
Ci sono eventi che contraddicono quanto detto nelle stagioni precedenti e che mi hanno sorpreso tantissimo perché di solito, nelle altre stagioni, erano stati attenti a non creare casini. D'altronde giochi con linee temporali e viaggi nel tempo...ma una tale palese superficialità ed un così cattivo lavoro sarebbe quasi da premiare.
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E ciò si ripercuote anche nel finale. Idealmente è un finale perfetto, logico quasi. Tutti i casini sono cominciati con loro e con loro devono finire. E' quasi poetico come alla fine siano stati davvero dei supereroi che si sono sacrificati per il mondo...riprendendo quindi in mano anche il discorso dell'essere degli eroi.
Loro d'altronde non dovrebbero esistere. Al pari di Jennifer, sono stati creati con la Merigold. Quindi anche senza poteri, rimangono comunque delle " cosa che non dovrebbero esserci". Non sono stati generati. Non hanno un padre. Sono nati all'improvviso senza nemmeno i 9 mesi di gestazione.
Infatti in questa quarta stagione, pur non avendo dei superpoteri, i Custodi ci fanno capire che basta la loro presenza in quella linea temporale perché la situazione sia sbagliata. Ed ecco perché la loro cancellazione. E perché tutte le stagioni precedenti sono finite con il mondo distrutto. Sono come un virus che infetta qualsiasi posto in cui vanno.
Avevo letto di una soluzione che prevedesse che Viktor togliesse a tutti i poteri e si sacrificasse perché la situazione tornasse sui giusti binari. Ma non è possibile perché appunto, già dalla prima puntata, quando loro sono senza i superpoteri, viene fatto capire che le linee temporali stanno convergendo. Non dipende quindi dai poteri ma da loro stessi.
Per me quindi è un finale sensato ma è stato così veloce e così poco d'impatto il loro sacrificio che anziché piangere tutte le mie lacrime - d'altronde stavano per essere cancellati dall'esistenza TUTTI i personaggi - sono rimasta molto asettica. In sostanza, non ho provato nessun dispiacere.
E dire che la morte/sacrificio di Ben alla fine della seconda stagione è ancora una scena che mi fa piangere ogni volta che la guardo o ci penso. Credo che se dovessi scegliere una scena che mi strazia il cuore, sceglierei sempre quella.
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E invece cazzo! Amo the Umbrella Academy. Amo i personaggi, le loro storie, psicologie. Anche la sua folle trama. Amo l'assurdità e la disfunzionalità di questa famiglia.
Ma appunto, forse perché tutto sono stati in questa stagione, tranne che una famiglia, ho percepito così poco emotivo questo finale! Forse la distruzione dei personaggi mi ha fatto arrivare alla fine pensando che quelli non erano davvero i ragazzi della Umbrella Academy. Non erano più loro.
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Ma andando nello specifico:
La storia di Jennifer e Ben
Allora... prima di tutto Jennifer era un personaggio orribile. Anzi, non era nemmeno un personaggio ma un contenitore per una cosa pericolosa. Non aveva personalità, caratteristiche...niente. Un pezzo di carta vuoto. Non abbiamo mai saputo nulla di lei. Non ha una storia, un qualcosa che la fa essere reale. Capisci a me che preoccuparmi per lei era L'ULTIMA cosa che mi importava.
La storia con Ben poi, era più una roba da magneti che una storia d'amore. Lei era disposta a lasciare la sua famiglia e tutte le persone che presumibilmente la amavano dopo aver parlato con Ben per circa 2 minuti. Lui le fa:-" Dai, scappiamo! Ti porto via da qui." E lei, che non era in pericolo o altro gli risponde :-" ok andiamo." Fine.
I due sembrano attirarsi come una calamita ma tutto ci vedo tranne che una storia d'amore.
Senza parlare poi dello spreco per il personaggio di Ben.
Parentesi: Ben è assieme a Five e Diego uno dei miei personaggi preferiti. Il Ben della nostra linea temporale intendo. Questo Ben non è quel Ben. E' un altro Ben che NON SI è MAI RELAZIONATO con nessuno degli Umbrella. Non ha rapporti amichevoli con nessuno di loro e quindi la sua salvezza pare più legata ad un discorso di fare la cosa giusta piuttosto che salvare una persona a cui vuoi bene.
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Ed è un peccato perché con questo Ben ci si poteva lavorare sopra tantissimo. E' un uomo che ha perso tutta la sua famiglia, finito in una linea temporale diversa, senza poteri, dove 7 individui cercano di stargli vicino ma non perché gli vogliono bene ma perché gli ricorda il loro Ben morto anni or sono. Sai quanto ci potevi psicologicamente lavorare su questo? La prima stagione l'hai fatta praticamente sulle problematiche emotive di Viktor! Perché con Ben no?!
Tralascerò poi il fatto tristissimo che Klaus non abbia mai saputo che è stato il loro padre ad uccidere Ben. E per sanità mentale non mi domanderò neanche perché Ben fantasma non abbia mai domandato al fratello come sia morto ecc ecc...
Su questa storia poi ci si potrebbe anche fermare a riflettere sulla parte logica:
Perché il padre non ha ucciso subito Jennifer? Perché tenerla rinchiusa in un Truman Show? Mi si potrebbe rispondere che è perché Reginald non uccide gente a caso. Magari pensava che i ragazzi non avrebbero ripreso mai i poteri e quindi non ci fosse bisogno di ucciderla. Ma è una stronzata quando lo abbiamo visto uccidere Luther e Klaus senza batter ciglio nel momento in cui intralciavano i suoi piani o se le loro morti servivano a qualcosa! Reginald non è il tipo che si affida alla speranza. Anche perché gli costa più la baracconata della finto paesello che un omicidio di una ragazzina.
E poi... ma sto Durango che è presente in Jennifer....la moglie di Reginald dice che è stata creata erroneamente assieme al Marigold. Ma perché non è mai cicciata fuori fino a mo'? Dove era il Durango nella linea temporale della Sparrow Academy ad esempio? Lì l'incidente di Jennifer non c'è stato poiché Ben è ancora vivo ed il Durango quindi non esiste? Perchè?
Tutta sta storia è un gran peccato. Uno spreco. Perché avevi il personaggio di Ben che poteva essere analizzato, esplorato e relazionato con gli altri ed invece... il blob schifoso gli hanno fatto fare!
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Ben, mi manchi come l'aria
Viktor
Chi ne esce un pochino meglio è il personaggio di Viktor che conclude il suo arco di sviluppo tenendo testa al padre e assumendo finalmente il suo ruolo di eroe in autonomia.
Ma anche qui c'è un meh: ottimo che abbia contrastato Reginald, che gli abbia vomitato addosso decenni di abusi e traumi..se solo quello fosse davvero il loro padre! Come ricorda lo stesso Reginald, lui e il loro papà sono persone diverse. Un conto è opporsi al vero Reginald, l'incubo della loro infanzia. Avrebbe avuto tutto un altro peso. E un conto invece è contrastare un tizio che gli somiglia ma non è lui.
Ma ho comunque apprezzato che Viktor abbia almeno provato con tutte le sue forze a salvare Ben e che sia andato contro Reginald. Grandi progressi rispetto alla prima stagione!
Luther, Allison e Klaus
La cosa che mi fa impazzire qui è che se togli questi tre personaggi dalla quarta stagione a livello di storia e di introspezioni, non cambierebbe nulla. Nulla!
Luther ridotto ad un personaggio machietta, che fa ridere e fa da spalla a Diego quando invece abbiamo visto come le stagioni precedenti costruivano la sua indipendenza dal padre, il suo conflitto sull'essere il Numero Uno o sul fare la cosa giusta ecc ecc...
La sua storyline era sempre legata alla trama principale mentre esplorava vari lati della sua psicologia, mettendolo di fronte a conflitti interiori e drammi familiari.
Nella questa stagione sparisce tutto: sia la sua amata Sloane che nessuno sa che fine abbia fatto, sia la coerenza narrativa... visto che con i poteri gli ritorna anche il corpo scimmiesco quando abbiamo visto che ciò era dovuto ad un intervento del padre per salvargli la vita e non al suo superpotere. Ma tant'e! Luther deve far ridere e quindi sti cazzi la coerenza narrativa!
Allison poi. Ok, a me sta tizia non è mai piaciuta. Sin dalla prima stagione. L' avevo rivalutata nella seconda perché percepivo il lavoro degli autori di farle sviluppare la consapevolezza di sé anche senza i suoi poteri: la lotta per i diritti civili senza usare la sua voce era una bella idea.
Nella terza stagione invece si trasforma in una stronza aggressiva/passiva che quasi stupra Luther - la serie vuole farcelo dimenticare ma io non dimentico - perché è arrabbiata. Che fa accordi sottobanco con Reginald e porta al reset del mondo. Un rottweiler con la rabbia, praticamente.
Questa stagione inizia con tutti che sono arrabbiati con Allison per le vicende della stagione precedente ma... nessuno ne parla mai o c'è alla fine qualche risvolto. D'altronde Allison passa metà serie appresso a Klaus - ha preso il posto di Ben - e a relazionarsi con la figlia adolescente... anche la sua storyline è completamente staccata dalla trama orizzontale e pure tutta la sua psicologia viene messa in secondo piano.
Gran parte del suo personaggio ha sempre ruotato attorno a due tematiche: raggiungere obbiettivi da sola senza usare la Voce ed il conflitto tra la famiglia e Claire. Nella terza stagione aveva scelto la figlia ma non vediamo mai come questa decisione influisca nella storia o nelle relazioni tra i personaggi.
Allison sta in questa stagione perché ci deve stare e punto.
PS: qualcuno sa cosa gli è successo ai poteri?! adesso non ha manco più bisogno di dire " ho sentito una voce". E' passata direttamente alla telepatia. Allison ammazza la gente pensando.
Così.
Perché ci va.
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Ed infine Klaus, uno dei personaggi più eclettici, folli e intriganti della serie. La sua storia lungo tutta la serie è quella che secondo me racchiude perfettamente l'anima dell'Umbrella Academy: divertente, matta, sconvolgente ma anche triste e introspettiva. Il suo personaggio ha una quantità impressionante di spunti: dalla sua storia con Dave fino al suo rapporto con Ben fantasma. La sua dipendenza dalla droghe, la mancanza di fiducia in sé stesso, la sua connessione con la morte...tutte tematiche che si riflettono in questo personaggio.
In questa stagione ahimè sparisce tutto. Klaus compie un' involuzione quasi imbarazzante, tornando quasi il personaggio della prima stagioni. Appena tornati i poteri torna a drogarsi per finire a far da schiavo sessuale e poi seppellito vivo in un cimitero. Salvato poi da Allison. E stop. Non c'è altro.
Si poteva analizzare il rapporto con la nipote Claire, fargli avere un evoluzione che lo allontanasse definitivamente dalle droghe o anche - cosa che avrei adorato - si poteva trattare il rapporto tra lui e Ben ora che Ben esiste ma non è lo stesso Ben. Per Dio, sono stati assieme per decenni. Sempre appiccicati come colla. Poi te lo ritrovi davanti in carne e ossa - seppur diverso caratterialmente - e... niente?! famo finta che non lo conosciamo neppure a sto Ben?!
Klaus a differenza dei fratelli non è solo un personaggio sprecato. Ma è più di tutto una orribile cancellazione della sua costruzione durata ben 3 stagioni.
E no, il fatto che a 5 minuti dal finale si scopra che Klaus può volare non è un evoluzione. Chissà perché poi, ci hanno detto sta cosa. A che serve?
Diego, Lila e Five
I drammi veri.
Partiamo da Diego. Preciso che non è stato sin dall'inizio un personaggio che amavo ma piano piano ha preso sempre più piede nel mio cuore. Adoro il suo essere un finto duro, la questione del peso dell'essere il Numero Due, il fatto di voler essere un eroe perché crede davvero che le persone possono migliorare il mondo. E' una persona buona Diego. Sensibile e tenero. E amo il fatto che nei momenti di nervosismo diventasse balbuziente, quasi a cementificare la sua doppia natura di duro/tenero.
E mi è sempre piaciuta la sua relazione con Lila. Due matti che si incontrano in manicomio e che hanno un legame disfunzionale perché loro sono disfunzionali ma in qualche modo... funzionano.
In questa quarta stagione Diego affronta la monotonia di tutti i giorni. L'avere una vita normale, casa, lavoro e figli che alla lunga annoia un uomo che ha passato tutto ciò che ha passato Diego: traumi, abusi, apocalissi, mazzate, sparatorie, pericolo... questo è anche il dramma di Lila che come il marito, soffre per questa vita così poco avventurosa. E da qui, nascono i problemi matrimoniali.
Diego pensa che Lila lo tradisca ed entra nella CIA con lo scopo di ritrovare una vita più movimentata. Ora, ci può anche stare questa dinamica tra Diego e Lila. E' anche molto realistica e trova una coerenza nei personaggi.
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Ma anche qui la troppa velocità rovina le cose. Alla CIA Diego parla con un uomo che si lamenta perché gli manca la famiglia: lavora troppo e troppo tardi ha capito che i suoi figli e sua moglie sono la cosa più importante per lui. Questa scena, che dura 3 minuti forse, illumina Diego che gli dà ragione e nel giro di neanche una puntata, lo vede far dietrofront e tornare da moglie e figli, consapevole che loro, sono le cose più importanti della sua vita. Tutto ciò grazie ad una frase detta da un tizio random.
Domanda: ma anziché mandare Lila e Five nella metropolitana, non ci potevano mandare Diego e Lila? Così avrebbero risolto i loro problemi matrimoniali capendo l'importanza di ciò che hanno costruito assieme.
D'altronde Diego ha avuto un infanzia abusante ed un padre orribile. Lila è stata manovrata dalla madre ed ha avuto anche lei una vita terribile. Adesso hanno dei figli... non si poteva analizzare questo? l'essere genitori, costruire una vita più bella, le difficoltà di essere un padre ed una madre migliori di quelli che hanno educato loro.
Buon Dio, non sappiamo nemmeno i nomi di questi bambini!
Il suo finale è forse uno dei peggiori poiché viene cancellato dall'esistenza senza sapere se sua moglie lo ama, tradito da lei e da suo fratello, andandosene da questo mondo amareggiato e con il cuore spezzato.
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Stesso percorso ma con esiti diversi per Lila.
Anche lei come il marito soffre questa vita monotona e ritrovandosi bloccata con Five per 7 anni nella metropolitana, "cade" in amore per il fratello del marito, vivendo una vita idilliaca assieme a lui, coltivando le piante, pomiciando e facendosi regalini.
Durante questo periodo Lila pare dimenticarsi del tutto della sua vita fuori di lì. Non pensa mai ai figli, al marito, alla famiglia che ha lasciato dietro di sé. Ma d'altronde questo pezzo importantissimo che manda a puttane due personaggi dura venti minuti. Se ci mettevi anche l'introspezione poi non bastava il tempo!
Alla fine Five le rivela che ha trovato il modo per tornare a casa e SBAM! Lila si ricorda improvvisamente che è una moglie ed una madre. Che gli mancano i suoi figli... non Diego
Fino alla fine non si capirà se il rapporto con Five sia nato per via della sopravvivenza o se ci sia davvero amore tra loro: lei dice la prima ma quando Diego le chiede se ama Five, Lila è indecisa e non risponde.
La crisi quindi non viene minimamente affrontata ma anzi le cose si fanno più complicate e da un finale di serie ti aspetti che ormai i personaggi siano maturi abbastanza, che siano cresciuti, che si siano evoluti maggiormente per risolvere la questione e lasciarci con personaggi finalmente progrediti. Ed invece...
Lila era uno dei miei personaggi femminili preferito: psicopatica, folle ma in fondo buona e desiderosa di avere una famiglia. Per certi versi era simile a Five. Ma in questa stagione la vediamo buttar via tutta la costruzione della sua storia con Diego, tutti i risultati raggiunti per... una cosa non necessaria né alla trama né al personaggio.
Alla fine tutta sta storia Five/Lila... cosa ha aggiunto al personaggio? in cosa l'ha cambiata?
PS: anche per lei, poteri strani. Adesso può sparare i laser dagli occhi. Bello. Peccato che il suo potere fosse il poter replicare i poteri degli altri e NESSUNO tra loro ha questo potere. Chiaramente un potere dato solo per fare le scenette divertenti e chi se ne frega della coerenza narrativa.
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Ma don't worry. Se la situazione personaggi è brutta, può ancora peggiore con Five, colui che più di tutti viene massacrato da questa stagione. Per tutta la stagione mi sono ripetuta come un mantra ":- Questo non è Five. Questo non è Five. Questo non è Five."
Il buon Five infatti, si ritrova bloccato con Lila nella metropolitana e piano piano si innamora di lei, tradendo suo fratello ecc ecc. Questa nuova vita è così paradisiaca che nonostante trovi la via di casa, Five ci mette 5 mesi a rivelarla a Lila, troppo timoroso che lei se ne vada e l'idillio finisca.
Una volta poi che tornano a casa, Five non pare nemmeno troppo dispiaciuto di aver rubato la moglie al fratello. Anzi. Nel momento clou, quando il blob Ben/Jennifer rischia di uccidere tutta la sua famiglia, anziché combattere per salvarli, comincia a fare a botte con Diego, ignorando totalmente il pericolo.
Five viene cancellato anche lui dall'esistenza con suo fratello furioso con lui e la donna che ama che gli ha detto che la loro storia è stata solo un avventura... fantastico.
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Mio Dio, non so nemmeno da dove cominciare:
Per 3 stagione abbiamo visto Five cercare di salvare la sua famiglia. E' rimasto bloccato 45 anni nell'Apocalisse completamente da solo con l'unico desiderio di tornare dagli altri. E' sempre lui che riunisce la family, li sprona o manda a puttane le loro vite tranquille perché si riuniscano. Non c'è niente di più prezioso per Five dei suoi fratelli. Ha fatto cose orribili per tornare da loro. Ha ammazzato innocenti, è diventato un assassino, ha venduto la sua moralità solo per poterli vedere e salvare.
Poi gli sceneggiatori alla quarta stagione si sono resi conto che l'attore che fa Five adesso è grande abbastanza per avere una storia d'amore - d'altronde tutti i personaggio l'hanno avuta perché lui no?! - ed hanno ben pensato di piazzarlo con Lila perché con 6 puntate difficilmente avrebbero avuto il tempo di creare una storia d'amore credibile per un personaggio come Five con una persona random. Tanto più che tra loro c'è sempre stato questo rapporto un po' frizzantello...
Risponderò a ciò riprendendo un discorso letto qui su Tumblr ma che non ritrovo più [ se lo trovo lo metto ] e che in sintesi sosteneva che Five ha già una storia d'amore. La più importante di tutte: quella con la sua famiglia. D'altronde The Umbrella Academy parla proprio di famiglia.
E' un amore totalizzante, potente. Che gli ha dato la forza per sopravvivere fino alla quarta stagione ed affrontare cose terribili e lo ha reso l'uomo che è adesso. La prima preoccupazione di Five è sempre stata la sua famiglia. Sempre.
Perciò la storia d'amore con Lila non era necessaria. Soprattutto una storia d'amore che lo vede mandare a puttane la sua famiglia come se non gliene fregasse nulla di loro. Buon Dio, non voleva tornare! Aveva la strada di casa sottomano e non l'ha seguita. Sarebbe rimasto fermo a vedere gli altri morire!
Vederlo fare a pugni con Diego mentre gli altri rischiano la vita è stata una visione straziante: quello non è Five. Non sarebbe mai rimasto a guardare mentre Luther, Klaus o Allison rischiano di essere uccisi.
Tutto ciò è ancora più assurdo perché questo stravolgimento del personaggio è nato in venti minuti di puntata. La serie ci dice che sono passati sette anni ma per noi spettatori non è nemmeno una puntata. E' un cambiamento così repentino e fuori dal personaggio che mai e poi mai potrei digerirlo. Non puoi modificare un personaggio così cementificato, impostato come Five in una sola puntata.
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L'idea che mi sono fatta è che gli autori volessero dirci che Five si fosse stancato di salvare la sua famiglia. Se nell'Apocalisse non aveva mai mollato perché era solo, questa volta ha compagnia e per la prima volta dalla prima stagione, appende il cappello al chiodo e si riposa. Non trova di nuovo la via di casa ma stavolta Lila è con lui.
E se da una parte posso apprezzare questa idea per esplorare questo fatto che Five sia stanco, che voglia riposarsi, che non ne possa più perché d'altro canto è umano pure lui, dall'altro posso certamente dire che se questa era l'idea, potevano farlo meglio: esattamente come con Viktor, la cui evoluzione mentale cambiò lungo tutto l'arco della prima serie, avrebbero dovuto mostrarci un Five che sin dall'inizio della quarta stagione soffre questa situazione. Farci vedere come cercare una soluzione per la famiglia lo stressi e distrugga mentalmente. No che nel giro di mezzo episodio abbandona tutto e tutti!
Ma soprattutto, se questa era la scelta, dovevano farci vedere un Five che anche se sta bene con Lila, sceglie la sua famiglia alla fine perché questo è sempre stato il filo conduttore della sua vita. Perché per come l'hanno gestita pare che Five non torni dai suoi fratelli non perché non può...ma perché non vuole.
A pezzi. Hanno fatto a pezzi questo personaggio. E ripeto l'idea di Five che cede alla stanchezza non era nemmeno male come concetto da esplorare. Poteva essere interessante. Ma non così.
Five se ne va da questo mondo senza aver fatto pace con Diego, senza aver risolto nulla ma soprattutto dando l'impressione che la sua storia con Lila fosse più importante della sua famiglia e questo non lo posso accettare.
Che poi: Lila ci ripete costantemente che lei e Five sono rimasti intrappolati per 7 anni. Come se la quantità di tempo assieme fosse una giustificazione. :-" ci siamo innamorati perché abbiamo passato 7 anni insieme!! Capito? sette anni!! era ovvio che ci saremmo innamorati! Perché siamo io e lui da 7 sette anni!"
Cioè è la serie che ci ripete fino alla nausea che sono passati tot anni così da giustificare la cosa!
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Un massacro.
Persino il personaggio di Reginald che è sempre stato un mistero da risolvere, non si salva:
Non ho capito ad esempio, perché se il suo obiettivo era riportare in vita la moglie, ha creato l'Umbrella Academy e tutte le Academy che abbiamo visto. Che c'entra questo con il suo obiettivo finale? E poi non abbiamo saputo nulla su di lui. Sul suo pianeta, su come sia morte Abigail. Perché in certe linee temporali questa donna era viva e in altre no... niente. Non si è scoperto niente.
Ed infine, il buco di logica finale che mi ha dato la certezza che tra i tanti problemi di questa serie, ci fosse anche il fatto che gli autori non abbiano riguardato le stagioni precedenti: i figli di Allison e Diego che giocano felici e contenti nella linea temporale originale. Tutto molto bello. Peccato che ciò contraddica quanto detto nelle stagioni prima, in particolare il Paradosso del Nonno. Se tuo nonno muore prima che nasca tuo padre, tu non puoi esistere. Semplice e efficace. E allora, se Lila, Diego e Allison non sono mai esistiti, come possono esistere i loro figli????!!! Da dove sono nati?
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E niente finisce così. Finisce così una - e l'unica - serie occidentale che seguivo sin dall'inizio e amavo tantissimo. Una delusione e un enorme peccato.
Perché meritavamo di meglio. Perché Luther, Diego, Allison, Klaus, Ben, Five, Viktor e Lila meritavano di meglio. Andavano celebrati, dopo tutto il percorso che avevamo affrontato assieme. Ed invece siamo stati costretti ad assistere alla cancellazione - in tutti i sensi - dei loro personaggi e progressi.
La cosa che mi dispiace di più è che arrivata alla fine della serie, avrei voluto percepire il senso di famiglia. La storia inizia con questi fratelli che sì, si vogliono bene, ma sono così traumatizzati che rendono le relazioni tra loro molto disfunzionali e bizzarre. Dopo 3 stagioni di mirabolanti avventure, di crescita personale, d'evoluzioni, di rapporti riallacciati ma anche tesi, mi aspettavo che i ragazzi dell'Umbrella Academy si ritrovassero come famiglia, uniti nell'affetto e comprensione. Ed invece...
Un peccato. Un dannato peccato.
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*consoliamoci con questi due adorabili idioti
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palmiz · 2 months
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Da: Rodigium boxe:
Da uno scritto del Professore di Filosofia Andrea Zhok dell'Universitá di Milano:
<<questo dovrebbe chiudere la discussione.
Imane Khalif - secondo quanto riportato dall'International Boxing Association nel 2023 - è biologicamente un uomo, in quanto l'analisi del DNA ha riportato la presenza di cromosomi XY e non XX.
Peraltro, se uno dubitasse dell'analisi cromosomica, uno sguardo alla struttura fisica dell'atleta non lascia molti dubbi.
( A dispetto che sia nata esteriormente donna pur con cromosomi XY aggiungo io)
Ora, in molti sport, e in modo particolarmente rilevante negli sport di combattimento, la differenza biologica tra chi ha avuto una crescita e pubertà maschile e chi ha avuto una crescita e pubertà femminile è molto marcata. La densità ossea è maggiore nei maschi, il che ha due implicazioni: conferisce maggiore resistenza alle percosse e, dipendendo la potenza di una percossa da massa per velocità, l'incremento della massa ossea conferisce maggiore potenza al colpo (le misurazioni medie danno una potenza di pugno maschile del 162% rispetto al pugno femminile). Anche i tempi di reazione sono inferiori e sia le fibre muscolari bianche, da cui dipende la velocità, che rosse, da cui dipende la resistenza, sono mediamente maggiori nei maschi.
Chiedo scusa per essermi soffermato su queste banalità prosaiche, ma in un mondo in cui l'ideologia cancella la realtà, anche l'ovvio deve essere ribadito in forma dimostrativa.
E l'ovvio qui è che mettere su di un ring un atleta geneticamente maschio contro un'atleta geneticamente femmina è una grave scorrettezza. Può darsi che la sorte sia benevola, ma in generale è un'ingiustizia, con potenziali rilevanti rischi fisici.
(Segnalo un dettaglio forse non noto a chi non ha praticato la boxe. Alle Olimpiadi si utilizza un caschetto per gli incontri. Il caschetto nella boxe è l'apoteosi dell'ipocrisia. Infatti il caschetto limita soltanto le ferite superficiali, i sanguinamenti delle sopracciglia o degli zigomi - preservando gli spettatori - ma i traumi cerebrali legati all'entità della percossa sono esattamente identici, e naturalmente sono quelli ad essere i più pericolosi nel medio periodo.)
Ora, la questione è: come si è potuti arrivare a questo punto?
Storicamente la cesura ideologica su questi temi avviene all'inizio degli anni '70. Fino ad allora le rivendicazioni di genere (first-wave feminism) avevano sollevato il sacrosanto tema dell'eguaglianza formale, legale, dei diritti tra persone di sesso, genere o inclinazione sessuale differente.
A partire dai primi anni '70 si avvia invece un movimento ideologico con caratteristiche essenzialmente differenti, che non mira più al raggiungimento di diritti legali identici (in Occidente raggiunti), ma ad un non meglio precisato "superamento sostanziale" delle differenze.
Di questo superamento sostanziale fanno parte numerose battaglie distinte, il cui punto di caduta comune però è il rifiuto della realtà materiale nel nome di una rivendicazione ideologica (o, per chi vi aderisce, ideale).
Si tratta di una curiosa forma di idealismo, che inizia in sempre maggior misura a negare la realtà come se si trattasse di un improvvido accidente, qualcosa che dovrebbe essere superato di principio dall'autoaffermazione volontaria. Come in una novella forma di idealismo assoluto, l'Io si deve qui imporre al non-Io (alla Natura, alla Materia, alla Società).
Di questa tendenza fa parte il rigetto delle differenze sessuali, viste come latrici di discriminazione, nel nome della "lotta al patriarcato", e ne fanno parte tutte le varie forme di rivendicazione dell'identità sessuale percepita, vista come come superiore all'identità biologica.
L'intera tematica viene infine presa ostaggio dall'atteggiamento politicamente corretto, che rende ogni discussione aperta di tali questioni difficile, rischiosa, sempre sull'orlo di accuse infamanti.
Il cerchio così si chiude.
La prima mossa sancisce la superiorità delle pretese idealistiche di una sorta di Io assoluto, che può e anzi deve imporsi sulla materia (sulla biologia, ma anche sulla realtà sociale).
La seconda mossa, mette al sicuro dalle confutazioni le pretese di questo Io assoluto, isolandolo dalle critiche, attraverso una loro delegittimazione a priori (come omofobe, sessiste, retrograde, ecc.).
E cosa resta fuori da questo cerchio splendidamente autoreferenziale?
Nulla. Nulla salvo la realtà, che anche se i suoi campioni sono stati silenziati, rimane tuttavia testardamente in piedi.
Ed è la realtà che, con i suoi tempi, la sua implacabilità, e purtroppo anche le sue vittime sacrificali, finirà per fare giustizia di questo delirio culturale.>>
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PS: piccolo "dettaglio" : il comitato olimpico non ha voluto riconoscere gli esami dell IBA ed ammesso lei e la thailandese per questioni ideologiche visto che l' iba ha ammesso nei suoi tornei tutti gli atleti russi lasciandogli anche esporre la loro bandiera... Sempre più una farsa.
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multiverseofseries · 6 months
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Dune - Parte Due, un sequel imponente, tra continuità e naturale evoluzione
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Ci siamo. Finalmente
Finalmente perché è uno di quei film che sono in grado di portare il pubblico in massa nelle sale. Finalmente perché è indubbiamente il tipo di produzione di cui il cinema ha bisogno per solleticare l'immaginario degli spettatori e mostrare come e quanto il grande schermo possa fare ancora la differenza rispetto all'ormai abituale visione casalinga.
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L’attesa è stata ampiamente ripagata da quanto si è potutto vedere, perché ha contribuito nell’ accrescere l’ hype per questo secondo capitolo e anche perché arriva in un periodo meno carico di novità rispetto lo scorso autunno, quando era programmata inizialmente la sua uscita. 
Dune - Parte Due si presenta al proprio pubblico in una perfetta continuità con quanto visto nella prima parte, non solo continuando ma anche sviluppando la storia che era stata impostata, rappresentandone la naturale evoluzione sia in termini narrativi che  espressivi. Resta il Dune che molti avevano amato nella sua prima parte alzano però l'asticella sotto molti punti di vista.
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Dune - Parte Due riparte da dove ci aveva lasciato, da quella conclusione che a molti aveva lasciato l'amaro in bocca. La seconda parte riprende l'arco narrativo di Paul Atreides (Timothée Chalamet) e le fila del racconto in senso ampio e compiuto. In questa seconda parte molto più spazio è finalmente dedicato al personaggio di Zendaya che nella prima parte aveva un ruolo molto introduttivo. Ed è alla Chani di Zendaya e ai Fremen che Paul si unisce, alla ricerca della vendetta contro i cospiratori che hanno distrutto la sua famiglia e per fermare quel terribile futuro che è in grado di prevedere. Una missione che mette Paul davanti a sfide e scelte, portando avanti la componente drammatica ed epica che l'adattamento di Villeneuve aveva già introdotto nel precedente.
Denis Villeneuve ci riconduce in un mondo affascinante e costruisce il film attorno ai suoi personaggi: il suo Dune, pure essendo un grande spettacolo visivo, è anche sopratutto la loro storia che il regista asseconda sia in termini di scelte visive che per la fotografia. L'autore di Arrival e Blade Runner 2049 ci mette faccia a faccia con le scelte che deve compiere Paul per poter portare avanti la sua missione, ma sopratutto si affida per dare cuore e forza al racconto alla Chani di Zendaya, forse uno dei personaggi con il percorso più solido e strutturato. Se però lei non è una novità assoluta, lo è invece Austin Butler con il suo Feyd-Rautha Harkonnen, figura enigmatica e folle, a cui l'attore dà vita sia nello sguardo che nelle movenze, in un perfetto equilibrio su un filo sottilissimo senza scivolare in eccessi che l'avrebbero potuto rendere una macchietta.
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Peccato per le altre New Entry che hanno poco spazio, che come per Zendaya nel capitolo precedenti fanno capolino nella storia in attesa di avere maggior spazio e ulteriore importanza nel seguito. È il caso di Florence Pugh e Christopher Walken, la cui valutazione andrà ragionata sulla lunga distanza e sulla trilogia che Villeneuve ha in mente. Si tratta in ogni caso di limiti dovuti alle scelte di scrittura e costruzione narrativa su più film, piuttosto che valenza e qualità degli attori, perché tutto il cast e la relativa resa visiva è sempre a fuoco e ottimale.
C'è infatti continuità narrativa e visiva in Dune - Parte Due rispetto al suo precedessore. Il nuovo film riprende e amplifica quanto già visto con coerenza stilistica e contenutistica, un aspetto che consideriamo come uno dei suoi pregi, ed è qualcosa di non così scontato come potrebbe sembrare. Il Dune di Villeneuve si dimostra un'opera unica e potente. Nessun compromesso a cui sottostare, Villeneuve, nel dettare i tempi del suo racconto, lo porta avanti con un andamento calmo e ragionato ma allo stesso tempo potente e travolgente: non c'è scena di Dune - Parte Due che non lasci il segno, che sia un semplice dialogo o una battaglia che lascia senza fiato.
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Ci si sente travolti dalla sabbia del deserto di Arrakis, tremano le gambe quando ci si trova faccia a faccia con i possenti vermi che abitano quei luoghi, e si freme di emozione nei momenti più intensi ed emotivi. Si partecipa alla visione e ci si immerge al suo interno sostenuti dalla musica di un Hans Zimmer e da una fotografia d'impatto capace di adattarsi ai diversi momenti e luoghi del film e dei personaggi. Dune - Parte Due prende a piene mani quanto c'era già di buono nel capitolo precedente e fa quel passo in avanti che ci si aspettava e augurava. E travolge lo spettatore come una tempesta di sabbia.
Concludendo Dune Parte 2 è un sequel in perfetta continuità con quanto visto nel precedente, un secondo film che affonda a piene mani in quanto di buono e forte era già presente nel primo capitolo e lo sviluppa con coerenza. Una vera e prorpia evoluzione, più che una sola continuazione di quanto già visto, che porta alla realizzazione del percorso di alcuni personaggi, sviluppandone altri soltanto accennandoli e guarda avanti introducendo altri elementi che la possibile e probabile terza parte avrà modo di approfondire. Molto a fuoco tutto il cast, ma è la messa in scena del racconto da parte di Denis Villeneuve a lasciare davvero senza fiato, grazie alla potenza e magnificenza della costruzione audio-visiva. Un film da vedere e da ammirare.
Perché ci piace
- La coerenza con cui vengono sviluppati i discorsi introdotti nella prima parte, sia dal punto di vista narrativo che visivo.
- La potenza della messa in scena e tutto il comparto audio-visivo del film.
- Un Hans Zimmer in stato di grazia nel sostenere il racconto con la sua colonna sonora.
- La Chani di Zendaya, su cui è stato fatto un ottimo lavoro di scrittura e costruzione narrativa.
- Timothée Chalamet, Zendaya e tutto il cast.
Cosa non va
- … al netto di un paio di personaggi che sono solo introdotti e che dovremo aspettare di veder sviluppati nella possibile Parte Tre.
- Se eravate scettici dopo il primo film, è possibile che anche il secondo non vi travolga. Ma per qualità e potenza vale la pena di provare.
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gcorvetti · 3 months
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Ci vorrebbe Pannella.
Non che abbia mai votato radicale, ma un tizio come lui, Pannella, ci vorrebbe anche adesso, anzi soprattutto adesso, visto che molti fanno finte battaglie per i diritti umani per farsi un pò di pubblicità. Lui era uno tosto, tanto di cappello infatti, un intellettuale che riscì negli anni a vincere anche delle battaglie importanti per tutti noi dello stivale. Si è vero erano altri tempi e i suoi metodi adesso non sarebbero più efficaci, forse. Adesso vedo spesso il nome di Cappato, sempre radicali, che lotta per l'approvazione di una legge sul fine vita, che però mi pare che ci sia già e risale ad un secolo fa circa, però spesso viene oscurato da notizie meno importanti e più da rivista patinata, come oramai il grege è abituato. La vita è mia e la gestisco io, sarebbe uno slogan efficace, anche se bisogna sempre vedere caso per caso, ricordo Monicelli, qualche mese prima la sua morte rilasciò un'intervista dove diceva che era rimasto solo, tutti i suoi amici era morti e i parenti avevano altro da fare che stare dietro ad un vecchio di oltre 90 anni, così quando gli diagnosticarono un cancro alla prostata si lanciò dal balconcino del terzo piano della clinica dove era ricoverato. Tanto di cappello anche a lui, che nonostante tutto ha capito che era meglio farla finita; ma è proprio questo che in qualche modo (secondo me) affligge l'uomo moderno, non tanto la morte che come sappiamo è inevitabile, ma il fatto di voler vivere più a lungo possibile, a che pro? Quando si raggiunge una certa età, alcuni anche molto prima, non si cammina più bene, i movimenti sono impacciati e spesso dolorosi, non si vede più bene, non si sente più bene, non si può fare sesso, non si può mangiare più tante cose ecc ecc. Anche mio nonno arrivato oltre i 90 mi disse un giorno che era stufo.
Va bè questo è un discorso che va molto sul personale, ma io personalmente sono già stufo a quasi 52 anni, e se penso che potrei arrivare a 90 (visto che 3 nonni su 4 sono morti dopo i 100) mi viene il freddo, non che voglia morire domani, al massimo domenica, ma diciamo che altri 20 anni tirati, forse anche meno, ci stanno, poi è tutto eccesso, questo stando alle medie odierne.
Detto questo oggi fa un caldo boia, il termometro fuori nel patio segna oltre 30°, anche se il patio è come una serra con due parti aperte quindi fa poco testo, ma comunque fa caldo per un posto come questo, riscaldamento globale? Ma anche locale. Ho stretto un patto con mio figlio che ha finito il servizio militare e per questa estate si rilassa, beato lui, taglierà l'erba sotto compenso, almeno mi sono levato dai coglioni una cosa, mi aiuterà a fare le pulizie e cercherà di dare una mano in casa quando può e se vuole, direi che un pò di soddisfazione c'è in tutto questo.
Il lavoro? Lo lascerei subito, ma temporeggio cercando altro anche se la vedo difficile, per ora mi tengo questo. Ieri uscito dallo stabile ho incontrato una coppia che non faceva parte ufficialmente del vecchio gruppetto degli amici, ma che di tanto in tanto ci bazzicava, soprattutto lui, per via dei giochi da tavolo e di momenti culinari o uscite random. Abbiamo parlato un pò e ci siamo raccontati cosa è successo in questo, forse, 3 anni che non ci siamo sentiti, mi hanno detto che dopo che vanno nell'isola a raccogliere campioni (fanno i ricercatori di biologia) si faranno sentire per un caffè o una cena o quello che ci viene prima, vedremo, secondo me non si fanno sentire, ma non si sa mai.
Detto questo vado a magnà e vi lascio a Pannella.
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nonvoglionulla · 10 months
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C'è Anna che ha un bambino e rimane per lui, quando la sera si chiude la porta e il suo uomo le si avvicina a pugni stretti ormai non cerca più nemmeno una via di fuga.
Serena sta cercando lavoro e si è sentita chiedere se mai vorrà figli, che è stato brutto, ma si è anche sentita chiedere quanto sarebbe disposta a dare all'azienda, che è stato anche peggio.
Poi c'è Terry che sta per strada, quando è arrivata pensava di trovare lavoro tramite un conoscente e infatti l'ha trovato: viene caricata su una macchina otto volte a notte e quando torna a casa i soldi che vorrebbe non aver guadagnato non sono nemmeno suoi.
Lucia porta gli occhiali da sole a novembre, gira sempre con lunghi foulard e le batte ancora il cuore quando Marco le porta un mazzo di rose a sorpresa per il suo compleanno.
Veronica non viene nemmeno sfiorata, secondo Tommaso lei non vale nulla, nemmeno il tempo di un sorriso, di una carezza, di una parola che invece non manca mai di essere espressa quando sbaglia e lei sbaglia sempre, inizia a crederci persino lei.
Federica vive da sola, ha solo ventisette anni, ma se ne sente molti di più: gli altri pensano che non sia bella abbastanza e non ne fanno segreto, nessuno glielo dice apertamente ma appellativi come cesso e cozza sono spesso sussurrati fra i colleghi e le risatine alle sue spalle non mancano.
Teresa ha la quinta di seno, come se fosse una sua scelta, come se su quelle tette ci fosse scritto Toccami, come se i vestiti non fossero mai abbastanza larghi, come se il suo corpo gridasse troia ad ogni passo anche se lei ormai cerca di affogarci dentro a quei maglioni sformati.
Evelina ha fatto giurisprudenza come i suoi colleghi, si è laureata con un voto di tutto rispetto, eppure è proprio il rispetto che le manca sul posto di lavoro dove deve correre due volte di più per dimostrarsi all'altezza di meriti che agli uomini vengono riconosciuti di diritto.
Sofia ha quattro anni e queste cose le vede sempre, quando cerca di salire in alto sulla rete del parco giochi insieme ai suoi coetanei ma viene fermata perché potrebbe farsi male, quando Ludovico le ha stretto il braccio e l'ha spinta per terra e le mamme hanno ridacchiato un 'fa così, perché gli piaci', quando ha deciso che voleva fare basket e si è trovata in un tutù, quando il papà la tratta come se fosse un oggetto delicato, che potrebbe rompersi da un momento all'altro, che ha bisogno di protezione, ma soprattutto di sorveglianza.
Sono tanti corpi e tante menti di donne, sono violenze: fisiche, psicologiche, di genere.
Sono e siamo noi.
dal web
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sciatu · 1 year
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Nell’inizio del 1200 la Sicilia è un regno ricco e parte di un impero che andava da Tunisi fino alla Danimarca Palermo era una capitale potente in cui Federico II aveva instaurato una corte forte nelle armi ed evoluta nella cultura, una cultura che non era formata solo dalla quella araba arrivata con i conquistatori nord africani sconfitti dal conte Ruggero ed ora erano sudditi di Federico, e neanche quella provenzale o francese discesa con i Normanni e con le popolazioni lombarde e piemontesi che li avevano seguiti. Era una cultura somma di queste due culture apparentemente opposte ed arricchite da quella bizantina ed ebrea. La stessa lingua, che di quella cultura era la forza, era una lingua unione ed evoluzione di tutti i popoli dell’isola a cui i guerrieri normanni avevano concesso di vivere e di pregare secondo la loro origine. L’amministrazione del regno infatti teneva conto di tutte le diversità che lo costituivano. Così ad esempio, vi erano notai Arabi, notai Ebrei e notai Latini che certificavano e regolavano la vita amministrativa dei privati e dello stato. Tra questi, vi era anche il notaio Jacopo da Lentini, il cui nome appare non solo nel registro notarile dell’epoca, ma anche in importanti atti amministrativi del regno. Essendo parte della forza amministrativa del regno, notar Jacopo era coinvolto anche nella gestione militare ricoprendo l’incarico di comandante della fortezza di Mazzarino. Per questo motivo i suoi contatti con la corte erano assidui e continui. Federico, contrariamente a molti nobili europei, aveva avuto una educazione multiculturale, con insegnanti arabi e latini. Per questo parlava diverse lingue, scriveva libri sull’uccellagione, poesie e ballate che a quel tempo avevano una grande importanza. Le poesie potevano essere imparate facilmente da qualsiasi suddito che non avesse istruzione ed erano uno strumento per veicolare sia le grandi gesta dei cavalieri, che l’amore o la protesta del popolo, la sua rabbia o le sue istanze politiche. Le ballate guidavano le danze dando ritmo ed eleganza ai movimenti di uomini e donne accompagnati dai pochi strumenti musicali di allora. I menestrelli ed i giullari componevano poemi e ballate d’amore secondo la cultura d’origine e l’esperienza dei singoli, spesso in modo ripetitivo e volgare o erudito ed ironico a seconda dei gusti di chi li ospitava. Molti di questi componimenti si concentravano sulla donna, che per i menestrelli e poeti arabi era una conquista, una preda da mostrare o un premio per le battaglie fatte per conquistarla. Per i menestrelli provenzali la donna era una madonna, una nobile dama degna del cavalier che la serviva. Per i poeti siciliani e per Jacopo da Lentini in particolare, la donna è la perfezione che l’uomo non ha; la donna è chi può dare nello stesso tempo la vita e la morte, è la compagna senza di cui il Paradiso stesso non può essere tale. Versi assoluti non per l’amore fine a se stesso, ma per la donna che si ama, versi per un sentimento dominante giustificati dal fatto che per Jacopo la donna è quanto manca all’uomo per aver pace, armonia e la pura bellezza. Jacopo anticipa la Beatrice di quel Dante che considerava i poeti siciliani dei maestri nell’arte del poetare e dell’amare (tutto ciò che gli italiani fanno in poesia, si può dire siciliano). Jacopo è anche il lato oscuro dell’amore, nell’impossibilità di essere amato per quanto si ama, nel dolore che nasce dalla difficoltà di poter rivelare e mostrare quanto di immenso si prova. Il sentimento è una tempesta che nessuno vede, è una forza invisibile impalpabile che attrae come quella di una calamita e a cui nessuno può sottrarsi, è un destino che non arriva mai a compimento. Per poter meglio dire quello che prova Jacopo crea una nuova forma di poesia, rivoluzionaria per quel tempo: il sonetto. Il sonetto forse non è altro che una ballata minore che si apre e che racconta con due quartine di versi e giudica e riassume con due terzine di versi finali. Le rime, vicine ed immediate battono un tempo che la metrica incalza facendo diventare il tutto efficiente ed elegante. Dante, Petrarca avrebbero usato il sonetto con tocchi e forme celestiali, Shakespeare avrebbe fatto raggiungere al sonetto vette ineguagliabili, Trilussa lo avrebbe trasformato in uno ironico schiaffo alla sua società di allora a dimostrare la straordinarietà di un mezzo che ha affascinato e aiutato migliaia di poeti a creare il loro cammino poetico. Noi conosciamo le opere di Jacopo grazie alla traduzione che ne fecero i poeti toscani nell’ italiano della loro epoca. I versi di Jacopo erano però scritti nel siciliano della corte di Federico, un siciliano evoluto che nella traduzione in italiano perde forza e freschezza. Ad esempio, nel tradure i poemi siciliani, i poeti toscani hanno dovuto inventare la famosa “rima siciliana” una rima che in italiano non lo è ma che lo sarebbe stata se fosse stata scritta in siciliano. Malgrado questa limitazione, le poesie di Jacopo ci raccontano l’eleganza di un tempo e la modernità di un sentimento dove l’amore non è un ideale ma una persona, dove i propri sentimenti sono l’eco della vita e, nello stesso tempo, una forza che ci innalza e ci abbatte, ci salva, ci distrugge, ci domina e che non riusciamo mai a saziare per come vorremmo o dovremmo. Questo era Jacopo da Lentini, notaio, burocrate, castellano e poeta, ai tempi del grande Federico Stupor Mundi.
In the early 1200s Sicily was a rich kingdom and part of an empire that ranged from Tunis to Denmark. Palermo was a powerful capital in which Frederick II had established a court strong in arms and evolved in culture, a culture that was not formed only by the Arab culture which arrived with the North African conquerors defeated by Count Roger and were now subjects of Frederick, nor the Provençal or French descent with the Normans and with the Lombard and Piedmontese populations who had followed them. It was a sum culture of these two apparently opposite cultures and enriched by the Byzantine and Jewish one. The language itself, which was the strength of that culture, was a language of union and evolution of all the peoples of the island to whom the Norman warriors had allowed to live and pray according to their origins. In fact, the administration of the kingdom took into account all the differences that made it up. Thus, for example, there were Arab notaries, Jewish notaries and Latin notaries who certified and regulated the administrative life of individuals and the state. Among these, there was also the notary Jacopo da Lentini, whose name appears not only in the notarial register of the time, but also in important administrative deeds of the kingdom. Being part of the administrative force of the kingdom, notar Jacopo was also involved in military management, holding the position of commander of the fortress of Mazarin. For this reason his contacts with the court were assiduous and continuous. Federico, contrary to many European nobles, had had a multicultural education, with Arab and Latin teachers. For this he spoke several languages, wrote books on fowling, poems and ballads that were of great importance at that time. Poems could be easily learned by any subject who had no education and were a tool to convey both the great deeds of the knights, and the love or protest of the people, their anger or their political demands. The ballads led the dances giving rhythm and elegance to the movements of men and women accompanied by the few musical instruments of the time. The minstrels and jesters composed love poems and ballads according to the culture of origin and the experience of the individuals, often in a repetitive and vulgar or erudite and ironic way according to the tastes of their hosts. Many of these poems focused on the woman, who for Arab minstrels and poets was a conquest, a prey to be displayed or a prize for the battles waged to conquer her. For Provençal minstrels, the woman was a madonna, a noble lady worthy of the cavalier who served her. For Sicilian poets and for Jacopo da Lentini in particular, woman is the perfection that man does not have; the woman is who can give life and death at the same time, she is the companion without whom Paradise itself cannot be such. Absolute verses not for love as an end in itself, but for the woman who loves herself, verses for a dominant feeling justified by the fact that for Jacopo the woman is what she is missing from the man to have peace, harmony and pure beauty. Jacopo anticipates the Beatrice of that Dante who considered Sicilian poets masters in the art of poetry and love (everything that Italians do in poetry can be said to be Sicilian). Jacopo is also the dark side of love, in the impossibility of being loved as much as he loves himself, in the pain that arises from the difficulty of being able to reveal and show how immense one feels. Feeling is a storm that no one sees, it's an impalpable invisible force that attracts like a magnet and that no one can escape, it's a destiny that never comes to fruition. In order to better express what he feels, Jacopo creates a new form of poetry, revolutionary for that time: the sonnet. The sonnet is perhaps nothing more than a minor ballad that opens and tells with two quatrains of lines and judges and summarizes with two tercets of final lines. The rhymes, close and immediate, beat a tempo that the metric presses, making everything efficient and elegant. Dante, Petrarca would have used the sonnet with celestial touches and forms, Shakespeare would have made the sonnet reach unparalleled heights, Trilussa would have transformed it into an ironic slap on his society at the time to demonstrate the extraordinary nature of a medium that has fascinated and helped thousands of poets to create their own poetic path. We know Jacopo's works thanks to the translation that the Tuscan poets made of them into the Italian of their time. However, Jacopo's verses were written in the Sicilian of Federico's court, an evolved Sicilian that loses strength and freshness in the Italian translation. For example, in translating Sicilian poems, the Tuscan poets had to invent the famous "Sicilian rhyme", a rhyme that is not a rhyme in Italian but would have been if it had been written in Sicilian. Despite this limitation, Jacopo's poems tell us about the elegance of the past and the modernity of a feeling where love is not an ideal but a person, where one's feelings are the echo of life and, at the same time, a force that lifts us up and knocks us down, saves us, destroys us, dominates us and that we can never satiate as we would like or should. This was Jacopo da Lentini, notary, bureaucrat, castellan and poet, at the time of the great Federico Stupor Mundi.
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libero-de-mente · 10 months
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𝗗𝗶𝗮𝗿𝗶𝗼 𝗱𝗲𝗹𝗹'𝗔𝘃𝘃𝗲𝗻𝘁𝗼
𝟭° 𝗱𝗶𝗰𝗲𝗺𝗯𝗿𝗲 𝟮𝟬𝟮𝟯
Caro diario,
questo mese di dicembre mi sta stremando, sembra non finire mai.
In piena notte ho fatto di necessità virtù, quindi essendo rimasto a piedi con l'auto ho fatto l'autostop. Mai fatto prima in vita mia
Devo dire che ho avuto un discreto successo con il pollice all'insù, visto anche l'orario e la mia faccia, alla terza automobile mi hanno caricato.
La prima era un'auto di lusso e sappiamo bene che con le auto di lusso non si danno passaggi in piena notte. A parte qualche caso che ho potuto vedere con i miei occhi, ma si trattava di signorine lungo il bordo delle strade, altrimenti non è etichetta dei benestanti fare queste cosa. Non si sa mai cosa rischiano.
All'interno della seconda auto c'era una coppietta, lei mi ha guardato quasi come a dire "seeeee certo, proprio a te diamo un passaggio", mentre lui ha volutamente girato lo sguardo dall'altra parte.
La terza auto si ferma, li raggiungo. Sono tre extracomunitari. Mi guardano fisso e seri, molto seri. Rimango di sasso. Poi quello davanti dal lato passeggero, rivolgendosi agli altri due, dice:
- Oh, sembra brava persona.
- E se ci ruba? - risponde quello seduto dietro.
- Tu cosa dici? - dice di nuovo quello davanti rivolto a chi guida.
- Mmh, così sembra Gesù, tutto bagnato. Dai vieni - risponde quello alla guida, che mi invita anche con un cenno della mano.
- Infatti sono un povero Cristo - rispondo d'istinto facendo il brillante... con dei, probabili, mussulmani. Che idiota sono stato.
Non capendo se fossero seri o se mi stessero prendendo in giro, decido di salire. Del resto non mancavano molti chilometri a casa mia.
- Grazie - dico con un filo di voce quasi in tono reverenziale - grazie mille
- Noi non dare passaggi agli sconosciuti, molto pericoloso - dice quello che guida e gli altri due si mettono ridere.
Noto che quello seduto con me continua a fissarmi con molta insistenza, è uno molto alto si vede. Si fanno quattro chiacchiere sul perché fossi a piedi, su che lavoro facevano loro e da dove venivano. Insomma discorsi di normale routine.
Ma il tizio al mio fianco non ha mai parlato e mi fissava sempre tra il serio, il perplesso e il pensieroso.
Poi a un certo punto spalanca gli occhi, me ne sono accorto perché al buio con la loro pelle scura gli occhi e i denti erano uno spettacolo pirotecnico.
- Adesso mi ricordo di te - mi dice puntandomi il dito
In quel momento non avevo compreso se fosse una minaccia, un'accusa o una rivelazione spirituale.
- D-di me? Ti ricordi di me? - chiedo
- Si, tu uscivi da una pisseria con pissa in mano. Io passavo a piedi e avevo chiesto un'informasione. Tu ricorda?
- Io? - rispondo come quando mia madre mi accusava di aver sbafato tutta la Nutella - sei sicuro?
- Si, mi ricordo di te. Poi tu messo pissa in bagagliaio e dato me passaggio a casa.
A quel punto come da un cassettino dei ricordi lontani mi esce un ricordo, di me che con una pizza calda nel cartone stavo per tornare a casa. Il tipo di colore sudato con un enorme zaino che mi incrocia sul marciapiede e mi chiede le indicazioni per un Comune della Val Seriana. Mi ricordo che con il dito gli indicai la direzione, quella che in effetti stava seguendo, salvo poi rendermi conto che a quella destinazione mancavano dodici chilometri.
Mi ricordo che glielo feci notare e alla domanda se avrebbe percorso tutta quella strada a piedi, lui rispose allargando una mano con uno sguardo che diceva "pensi che abbia altre alternative?".
Fu allora che buttai la "pissa" calda nel bagagliaio e gli diedi un passaggio. Mi ricordo che continuava a ripetermi che io ero davvero una brava persona, a mani giunte, durante tutto il tragitto.
- Ma si ora ricordo - gli dissi
La conversazione e i ricordi finiscono, sono davanti a casa.
Scendo li ringrazio e al tipo della "pissa" stringo forte la mano.
- Questo è karma - gli dico.
- Chi casso è karma? - mi risponde stranito.
Caro diario, siamo al primo giorno dell'Avvento e qui da me sono già passati i tre re Magi. Sotto il segno di una stella cometa di nome karma. Ma che non tutti conoscono.
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diceriadelluntore · 1 year
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Inversamente
L'altro giorno @hope-now-and-live aveva chiesto, in maniera ironica ma molto interessante, quante volte ci si è chiesti perchè Orfeo si gira a guardare se Euridice lo segua, nella sua catabasi (nel mondo greco, la discesa dell'anima nell'oltretomba), perdendo definitivamente la sua amata, ritenendolo per questo uno stolto. Il Mito è famosissimo, ed è uno dei più potenti racconti sulla proibizione simbolica.
Nel chiacchierare con lei, mi è venuto in mente che Robert Browning, poeta, scrittore e drammaturgo britannico dell'età vittoriana, si ispirò a questo quadro di Frederic Leighton, Orfeo e Euridice (1864)
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dove è chiaro come sia Euridice che cerca "di farsi guardare" da Orfeo, che tiene disperatamente gli occhi chiusi, per scrivere questi versi:
Sì, dammi la bocca, gli occhi, la fronte, e insieme mi prendano ancora – un solo sguardo ora mi avvolgerà per sempre per non uscire mai dalla sua luce, anche se fuori è tenebra. Tienimi sicura, avvinta al tuo sguardo eterno. Le pene d’un tempo, dimenticate, e il terrore futuro, sfidato – non è mio il passato né il futuro – guardami! Robert Browning, Eurydice to Orpheus, da Dramatis Personæ , 1864
Per chi non lo ricorda, il Mito è diverso: Orfeo s’innamora, ricambiato, della ninfa Euridice, e la sposa. Come racconta Virgilio nelle Georgiche, di Euridice s’invaghisce anche il pastore Aristeo, che l’insegue per farla sua e, mentre scappa, Euridice è morsa fatalmente da un serpente. Nelle Metamorfosi Ovidio sceglie di eliminare dalla scena Aristeo: Euridice è spensierata, in compagnia di una schiera di ninfe, quando viene morsa al tallone dal rettile. Appena Orfeo apprende la notizia, piange la sposa e con coraggio decide di recarsi negli inferi per riaverla. Scende fino allo Stige, vince ogni ostacolo grazie alla lira e si presenta a Persefone e a Ade, i signori dell’oltretomba. Canta il suo amore per Euridice e chiede che gli venga data la possibilità di continuare a vivere con lei. Tale è la forza del suo amore e del suo canto che Persefone, Ade, il cane Cerbero e perfino le implacabili Furie si commuovono. Gli viene quindi accordato di portare con sé Euridice, ma a un patto: lui andrà avanti, lei lo seguirà, e Orfeo non potrà mai girarsi indietro, perché altrimenti Euridice tornerà per sempre tra le ombre dei defunti. Nella risalita, infatti, mentre i due amanti sono quasi arrivati alla luce, Orfeo non resiste alla tentazione e si volta per controllare che la sua amata sia veramente con lui. Nel tempo di un attimo Euridice scompare per sempre nell’abisso. Distrutto e impietrito, Orfeo non trova più pace e vaga per la terra, sublimando nel canto un passato che non può più tornare. Continua a emozionare, sì, ma rifiuta la vita e l’amore delle altre donne; per questo le Menadi – o Baccanti – si vendicano di lui, che pure era legato a Dioniso, e lo fanno a pezzi gettandone i resti nel fiume Ebro. Tutti lo piangono, uccelli, alberi, sassi, ma Orfeo potrà tornare a riabbracciare la sua Euridice.
Molti nel '900 riprenderanno il Mito, soprattutto dal punto di vista di Euridice. Il magnifico Orfeo, Euridice, Hermes di Rainer Maria Rilke, aggiunge la figura del dio dal piede alato che è messaggero delle anime (Psicopompo, uno dei suoi più famosi attributi), con Euridice che non riconosce più Orfeo:
E quando a un tratto il dio la trattenne e con voce di dolore pronunciò le parole: si è voltato –, lei non comprese e disse piano: Chi?
Ma avanti, scuro sulla chiara porta, stava qualcuno il cui viso non era da distinguere. Immobile guardava come sull’orma di un sentiero erboso il dio delle ambasciate mestamente si volgesse in silenzio per seguire lei che tornava sulla stessa via, turbato il passo dalle bende funebri, malcerta, mite nella sua pazienza.
Giganti si sono cimentati con questa storia (tra gli altri, Campana, Pavese, Yourcenar, Magris, Calvino) ma cito Gesualdo Bufalino, che in un racconto beffardo, Il ritorno di Euridice (1986), fa dire alla Ninfa:
L’aria non li aveva ancora divisi che già la sua voce baldamente intonava “Che farò senza Euridice?”, e non sembrava che improvvisasse, ma che a lungo avesse studiato davanti a uno specchio quei vocalizzi e filature, tutto già bell’e pronto, da esibire al pubblico, ai battimani, ai riflettori della ribalta.
In pratica, l'aveva fatto apposta!
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gregor-samsung · 1 year
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“ Inciampo sullo schermo di un canale generalista privato che da quando è cominciato il conflitto trasmette molti approfondimenti e reportage. Stanno intervistando una manciata di madri, nate proprio in quel paese ma residenti in Italia, che fanno per lo più le badanti in qualche casa della borghesia dello stivale. Hanno i figli al fronte. Alcuni giovanissimi, freschi dei loro diciotto anni. “Ci hanno aggrediti,” dicono a un presentatore italiano dagli occhi bulbosi e la testa rasata. “I nostri figli stanno combattendo fino al martirio.” Le loro parole convulse grondano paura, coraggio e patriottismo. Le guardo con un misto di curiosità e apprensione. Sono donne semplici. Messa in piega impeccabile, tinta castano chiaro, gonne sobrie, camicette a fiori e qualche orecchino di bigiotteria poco vistoso ai lobi delle orecchie, qualche foulard, qualche cappello. Solo gli occhi bruciano. Come attraversati da invisibili lame di fuoco. Il presentatore italiano è disorientato da quelle donne e dal loro spirito battagliero. Ma nonostante lo smarrimento raccoglie le loro parole di guerra con estrema diligenza. Tra i tanti vocaboli utilizzati spunta anche “vincere”. Una di loro infatti dice: “Stiamo per partire anche noi, torniamo a casa. Vogliamo stare accanto ai nostri figli.” “Ma è pericoloso! Non potete,” commenta il presentatore confuso. “Sì, lo è, ma noi vinceremo.” C’è sicurezza nella sua voce. C’è quasi follia in quel “vinceremo” scandito a favore di telecamera sillaba dopo sillaba. VIN-CE-RE-MO. Davanti allo schermo io tremo per loro. Ma tremo anche per me. Mi sembra tutto un dannato déjà-vu. Ho già vissuto quella conversazione. Recentemente. Con mia madre. Io e lei da sole, sul balconcino di casa nostra. A Roma Est. Una manciata di mesi fa. Eravamo in mezzo alle piante grasse e al girasole appena spuntato, in mezzo al rosmarino e al basilico. Hooyo [mamma] si stava tagliando le unghie. E io le avevo appena chiesto: “Perché la Somalia proprio in quel momento, hooyo? Perché ti sei ficcata in una guerra civile che era nell’aria?” Proprio come quelle donne sconosciute in televisione, anche la mia hooyo ha usato la parola “vincere”. Con lo stesso tono sicuro. Sfrontato. A tratti irragionevole. Scandendo l’orrore sillaba per sillaba. “Ero sicura,” mi ha detto, “che i miei, il mio clan, la mia parte politica, il mio qabil, le ossa dei miei antenati, avrebbero vinto la guerra. Facilmente. Avevamo tante armi stoccate nei magazzini abbandonati da Siad Barre. Armi sovietiche, statunitensi e italiane. Kalashnikov di ultima generazione. Non avevo dubbi, figlia, sulla nostra vittoria. Per questo ho messo due stracci in valigia e sono salita su un Boeing della Somali Airlines senza voltarmi indietro.” La sua è stata una risposta senza tentennamenti, a cui ha poi prontamente aggiunto: “Volevo far parte anch’io della storia. Della gloria. Della nostra vittoria. Della nazione. Prendermi la mia parte di bottino e di futuro.” Gloria? Vittoria? Nazione? Bottino? Futuro? Davvero, mamma? Dici davvero? Facevo fatica a inglobare quelle parole deliranti. “Le guerre non le vince mai nessuno, hooyo!” ho urlato allora. “Le vincono solo le armi, il sangue, la morte, il pus, le lobby, i padroni, gli altri. Quelli come noi invece le perdono sempre. Wallahi! [Giuro su Dio!] Me lo hai insegnato tu, te lo sei dimenticata?” Le mie parole hanno un ritmo retorico e ridondante anche se sono la pura verità. Sono parole giuste, giustissime, quelle che rivolgo a mia madre. Ma non so perché mi sembrano inutili. Vuote. Come vuota è la vittoria. Vuota la guerra. “
Igiaba Scego, Cassandra a Mogadiscio, Bompiani (collana Narratori Italiani), 2023¹; pp. 245-247. (Corsivi dell’autrice)
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dilebe06 · 1 year
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One Piece [Live Action]
"L'inizio di una grande avventura"
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Non mentirò:
Alla notizia di un live action di One Piece di produzione occidentale mi era partito un brivido per tutto il corpo. Lampi di Dragon Ball Evolution e del Dio Kira biondo ossigenato mi sono passati davanti agli occhi ed ho alzato lo sguardo al cielo perplessa e spaventata, domandandomi se c'era davvero bisogno di una serie sull'opera del Maestro Oda.
La paura infatti era sempre la stessa: vedere una serie fatta solo per racimolare i soldi di un nome famoso, di successo, senza metterci anima e passione ma per mero interesse economico.
One Piece poi è una pietra miliare. Una mia personale pietra miliare. Piangerò quando finirà. Rappresenta la mia infanzia e adolescenza e tutt'ora mi accompagna come un carissimo amico da più di vent'anni. Seguo la sua storia dai tempi di Alabasta, leggo il manga, mi vedo l'anime e compro action figure a tema One Piece almenouna volta all'anno. Per cui credo che la mia paura fosse giustificabile, viste le premesse disastrose quando si parla di live action di produzione occidentale.
A differenza di molti però, a me il trailer non era dispiaciuto. Avevo letto in giro molti commenti negativi ma dalle prime immagini avevo percepito un tentativo di voler rispettare l'opera, con scene e personaggi che seppur visti brevemente, rispecchiavano lo stile dell'opera di Oda.
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Per questo alla sua uscita ho deciso di vederlo - anche con discreto entusiasmo - e per meglio avere un commento più obbiettivo possibile ho coinvolto pure @veronica-nardi, novizia di One Piece e perciò "cavia perfetta", capace di non farsi influenzare come me da facili sentimentalismi e nostalgie e che ringrazio per avermi fatto compagnia in questa avventura. è proprio il caso di dirlo
Per me, il problema più grosso quando si tratta di One Piece - e il lettore del manga lo sa bene - è immaginarsi il mondo inventato da Oda in versione abbastanza realistica da essere credibile per una serie tv senza perdere la fantasiosità dell'opera originaria. Tra personaggi esteticamente bizzarri, luoghi fuori di testa, costumi improbabili, poteri assurdi e chi più ne ha più ne metta, One Piece è un ode alla fantasia, dove tutto più succedere e quello che pensavi impossibile in realtà non lo è.
Ed è possibile traslare ciò in un live action?
Diciamo che questa serie tv fa il meglio che può . E lo fa bene. Certo, non è esente da difetti - e di quello parlerò - ma nel complesso a me è piaciuta e credo che riesca a centrare diversi punti essenziali della storia portandosi a casa la mia approvazione da fan dell'opera.
pur con delle riserve
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Per una volta iniziamo dalle cose belle:
IL CAST
Credo che l'incentivo più grande al successo del live action sia stata la scelta del cast, sia dei principali che dei comprimari.
Inaki, Emily, Jacob e gli altri mettono passione nella loro recitazione dandomi quell'impressione che per loro, interpretare Zoro, Nami o Luffy sia un enorme onore. Essendo loro stessi fan dell'opera di Oda - Emily faceva il cosplay di Nami ad esempio - riescono a trasmettere convinzione ai loro personaggi con movenze, sguardi o atteggiamenti che tanto ricordano le loro controparti cartacee.
Sicuramente poi, il cast ha un ottima chimica. Sono amici dentro e fuori dal set e ciò si vede quando recitano assieme.
Tanto più che non sono attori famosi abituati a recitare in grandi produzioni e nonostante questo, tutto mi sono sembrati, meno che novellini. La produzione poteva affidarsi ad attori già conosciuti al pubblico, anche per incentivare i non conoscitori della storia alla visione, ma invece questa scelta coraggiosa è stata ben ripagata.
Oppure poteva prendere attori " più adulti" e fargli interpretare dei ragazzi - come fanno spesso nelle serie soprattutto scolastiche - ma invece così facendo, si nota la differenza d'età con i veri attori adulti e sembra davvero " il nuovo che avanza".
PS: Mackenyu è l'unico che conoscevo avendolo visto in altre serie. E già lì era stato bravissimo. Mi da ancora gli incubi dalla serie Fugitive Boys.
Stesso discorso lo vorrei fare per gli attori secondari: la scena della cena di Garp e Zeff è una meraviglia di recitazione. Convincenti, credibili... anche quando sono vestiti in modo assurdo o senza arti.
IL RISPETTO PER I TEMI TRATTATI
Chi segue One Piece sa che la sua storia non gira unicamente attorno all'avventura di Luffy e Company. Oltre alla macro storia - e non farò spoiler qui - Oda inserisce tematiche importanti come il razzismo, la libertà, il raggiungimento di un sogno, la concezione della giustizia...
Mi ha fatto quindi enormemente piacere notare come anche nel live action tali temi siano stati affrontati - la citazione a Jimbe è un tocco di classe - e resi centrali per alcuni personaggi come Koby o Arlong.
Avrebbero potuto solo accennarli o soprassedere su alcuni di loro. Ed invece... si vede insomma, che l'influenza di Oda nella realizzazione della serie è stata sempre presente.
L'AMORE PER I FAN
La produzione sapeva bene di avere tra le mani o un inestimabile tesoro o una bomba devastante. L'opera di Oda è famosissima ed i suoi fan - me compresa - super protettivi. Bastava poco per farci salire a tutti sulle barricate armati di machete urlando al sacrilegio.
Motivo per il quale mi hanno letteralmente comprato, inserendo più riferimenti possibili al manga. Tavole, oggetti di scena, vestiti... persino una Jaya e un Nolan buttato qua e là. E' stato quindi super divertente per me, giocare a "trova le similitudini" e vedere con quanta attenzione cercavano di rispettare l'opera il più possibile inserendo tutte queste cose che magari sono dettagli per altri ma che scaldano il cuoricino dei fan.
Questo è anche uno dei motivi per cui voglio fare i complimenti alla produzione: fare una serie che andasse bene sia per chi non ha mai aperto manco un volume di One Piece e chi ne è un fan sfegatato non è cosa facile. Anche l'uso appunto di questi riferimenti al manga ha sicuramente aiutato a convincere i fan.
I CAMBIAMENTI
Nessuno pretende - men che meno io - di vedere una copia carbone di One Piece. Prima di tutto perché sarebbe impossibile. Ma poi i lettori già conoscono a menadito tutta la storia, battute comprese.
Ecco allora che la serie presenta delle modifiche che - tranne una - ho apprezzato: Koby e Garp ad esempio. Se nel manga incontriamo il nonno di Luffy molto più in là e scopriamo che Koby ne è diventato l'allievo, averli invece inseriti subito e seguire le loro vicende è sicuramente più interessante. Si viene così a creare un percorso parallelo tra Koby e Luffy incentivando ancora di più il legame del rispettivo viaggio tra i due. E si costruisce il rapporto tra Garp, Koby ed Hermeppo.
O ancora Garp e la sua ricerca del nipote perduto. Per tutte le puntate mi sono chiesta perché avessero caratterizzato il vice ammiraglio così cagacazzi e determinato nel fermare il nipote. Nel manga sappiamo bene quanto cazzone sia Garp! Perché questa ossessione?
E poi con l'ultima puntata si ritorna sui giusti binari ed ho quindi apprezzato questa modifica che ha reso più "frizzantella" questa prima stagione.
NOTA: l'unico cambiamento che mi ha fatto storcere il naso è Garp che chiama Occhi di Falco per dare la caccia al nipote. Prima di tutto Garp ci sarebbe andato da solo, sia che facesse per finta sia che fosse sincero. Ma poi che Occhi di Falco obbedisca agli ordini del nonno di Luffy è utopia. Forse è quello dei Sette che se ne sbatterebbe di più. Ma prenderò per buono che abbia obbedito perché incuriosito da Luffy piuttosto che per ordini dall'alto.
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Bellissime anche tutte le scenografie - ho amato il Baratie - o la claustrofobica casa di Kaya, così come ho apprezzato gran parte dei combattimenti anche se su questo per me ci si potrebbe lavorare un po' sopra.
Villain migliore per cattiveria rimane Arlong mentre Baggy ha una presenza di scena che meriterebbe uno spinoff tutto suo. <3
Ed ora, passiamo ai meh, ossia alle cose che mi sono piaciute un po' meno e che alcune di loro spero vengano "aggiustate " nella seconda stagione.
Coerenza narrativa
Con la "scusa" degli otto episodi la serie corre come un treno. Condensare 70 e passa capitoli e 100 episodi di un anime in sole 8 ore è un impresa degna di nota che però certe volte cade nella frettolosità e nella mancanza di coerenza narrativa.
Da Luffy che prende la testa di Baggy dagli uomini pesce non si sa come, ai personaggi che entrano a far parte della ciurma del nostro in quattro secondi netti. Dovrei rileggermi la saga del Baratie ma sono sicura che Luffy ci abbia messo un bel po' a convincere Sanji ad unirsi a lui, insistendo non poco.
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Nella serie invece, per mancanza di tempo presumo, Usopp e lo chef dei nostri cuori, salgono a bordo appena Luffy glielo chiede o insiste due secondi.
C'è Usopp che dice che gli piacerebbe andare per mare ma non può per via di Kaya - in una frase praticamente - e che poi nel finale di puntata sale a bordo con gli altri come se fosse una cosa naturale.
Per arrivare a Zoro che commenta la galanteria di Sanji durante il combattimento contro gli uomini pesce come se lo conoscesse da una vita e non che si sia unito a loro due giorni prima. Tanto più che Zoro, nelle scene con Sanji al Baratie, era pure svenuto. E' giusta la reazione dello spadaccino perché davanti a Sanji non insulti una donna... ma questo Zoro non lo può sapere.
Ora, probabilmente questa fretta era dovuta al non sapere se la serie avrebbe avuto successo meritandosi un sequel e quindi gli autori non abbiano voluto osare perché non sapevano se il gioco valesse la candela. Visto però il successo della serie e la probabile seconda stagione, si spera che si prendano del tempo per "dare tempo" e costruire le varie vicessitudini e relazioni.
La CGI, le parrucche e le inquadrature
Sarò strana io ma difficilmente ho visto così tanti primi piani. Seriamente, primi piani ovunque. E se all'inizio non ci facevo manco caso, intorno al 6 episodio ho incominciato a rendermene conto e a chiedermi perché non allargavano un po' più il campo?
Discorso dubbioso anche per la CGI che non mi ha fatto impazzire onestamente. Certe scene dei combattimenti di Luffy presentavano a parer mio una realizzazione un po' troppo finta, segno che ci si può lavorare ancora sopra.
La cosa peggiore comunque risultavano certe parrucche - come quella della sorella di Nami - così finte che te le avrebbero tirate dietro anche al Lucca Comics. Ok, One Piece presenta gente strana e bizzarra, con capelli di tutte le forme e tutti i colori. Ma sono piuttosto sicura che si potrebbero trovare parrucche colorate meno scrause...no?
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La risata
Nel manga di Oda si ride spesso. Persino nelle battaglie più epiche e dense di tensione c'è sempre il momento gag che ti fa spisciare sotto dalle risate: penso ai combattimenti di Luffy contro Crocodile o Ener ad esempio.
Nel live action invece la risata da farti mancare il fiato non c'è e al limite si sorride divertiti, come nella scena di Sanji che flirta con Nami al Baratie cpn le prese in giro degli altri.
Ora, su questo ci sarebbe da riflettere. Perché se è vero che la risata è un concetto cardine dell'opera di Oda è anche vero che nella serie si è cercato di essere più realistici possibile per rendere credibile la storia, eliminando certe gag che forse avrebbero aggiunto troppo cringe. Ci sono battute e piccole gag ma siamo ben lontani dalla follia ridanciana tipica del manga.
E' una cosa giusta? La serie dovrebbe far più ridere? e se fosse poi troppo cringe appunto?
Su questo punto voglio aspettare la seconda stagione per avere le idee più chiare.
Detto tutto questo, io promuovo la serie.
E' riuscita a piacere a chi One Piece non l'ha mai visto ed a convincere i fan - che più chi meno - rispettando il cuore dell'opera e le volontà del suo autore, grazie anche ad uno splendido cast che ha trasmesso la loro passione ai personaggi, rendondoli convincenti e credibili.
Certo, ci sono a mio parere ancora dei miglioramenti da fare ma come primo step non è andata affatto male.
VOTO: 8.1
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nonhosbattii · 6 months
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non è strano, molte donne fanno sesso senza sentimento, proprio come gli uomini
Ma infatti il mio discorso era proprio riferito al fatto che mi sembra una cosa perfettamente normale mentre per molti uomini sembra impossibile che una donna riesca a fare sesso senza poi legarsi sentimentalmente.
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#bibliotecasanvalentino
Ed eccoci di nuovo qui con la rubrica a cadenza mensile e precisamente l'ultimo giorno di ogni mese, curata dalla nostra utente e amica Valentina Pace
Questa rubrica nasce anche e soprattutto da una riflessione che ci accompagna da un po' di tempo: per una "piccola" biblioteca di un piccolo paese non è sempre facile stare al passo con le richieste, i suggerimenti, le necessità degli utenti e non. Per questo motivo, con l'aiuto di Valentina scopriremo nuovi autori e nuove letture, consigli e spunti di riflessione, insieme a curiosità e notizie sui nostri cari libri. E allora, diamo il benvenuto a questo nuovo spazio culturale dove si viaggerà alla scoperta delle case editrici indipendenti: ʟᴇᴛᴛᴜʀᴇɪɴᴅɪᴇ.
La casa editrice di questo mese è: Milieu Edizioni
Buona lettura a tutti!
SUL FONDO DEL BLACK’S CREEK di Sam Millar
In una torrida e sonnolenta giornata d’estate sulle rive del Jackson’s Lake, il quattordicenne Tommy e i suoi amici Brent e Charlie, detto Ferro per la sua fortuna sfacciata, fanno il bagno nudi nel lago, bevono Coca ghiacciata, leggono fumetti della Marvel e, d’improvviso, assistono impotenti al suicidio di Joey Maxwell, un ragazzino di poco più giovane che sceglie di lasciarsi morire nel lago a poca distanza da loro.
La piccola cittadina di Black’s Creek, a nord dello stato di New York, dove i ragazzi vivono da sempre con le loro famiglie, viene scossa da questo tragico evento e in molti pensano di sapere cosa, o meglio chi, abbia spinto il piccolo Joey a togliersi la vita. In città, infatti, gira un losco figuro che lavora come custode part time al cinema Strand e si dice in giro che vada molestando i ragazzini. Jeremiah, il papà del giovane Maxwell con il quale è meglio non scherzare perché “Lui non perdona e non dimentica…”, chiede a gran voce che venga fatta giustizia. Lo sceriffo Henderson, padre di Tommy, si sente sotto pressione ma non ha abbastanza prove per procedere all'arresto del presunto colpevole. La situazione degenera quando a Black’s Creek vengono commessi due omicidi.
Sul fondo del Black’s Creek è un noir coinvolgente, dal ritmo tesissimo e dal linguaggio crudo, che cattura l’attenzione del lettore fin dalle prime pagine, ma è anche un racconto di formazione che descrive la perdita dell’innocenza di un ragazzino e dei suoi amici che si trovano ad affrontare un nemico feroce, malvagio e subdolo e che, pur di sconfiggerlo, sono pronti a commettere atti irreversibili.
COSA MI È PIACIUTO
All'interno del romanzo l’amicizia appare come un elemento fondamentale, ma anche estremamente fragile. Il primo amore è vissuto come un’esperienza memorabile, ma che genera confusione e dolore. Con grande intensità Sam Millar ci descrive il rapporto speciale che Tommy ha con suo padre, lo sceriffo Henderson, un uomo coraggioso, retto, sensibile, che ha una profonda fede nella giustizia: “…È per questo che abbiamo la legge, Tommy. Se consentissimo alle persone di farsi giustizia da sole, avremmo anarchia e linciaggi. Lo capisci questo, vero?”. In alcuni punti del libro l’autore stempera la tensione con situazioni e dialoghi ricchi di umorismo, ad esempio quando Tommy si caccia nei guai, oppure quando viene rimproverato ripetutamente da sua madre, una sorta di generale in gonnella, per le amicizie che frequenta, i continui ritardi e la sua disobbedienza. Del resto, la signora Henderson fa bene a stare in apprensione per quel suo figlio irrequieto. Black’s Creek è un paesino all’apparenza tranquillo, ma quando arriva il buio il pericolo è in agguato; dopotutto, come dice Ferro a Tommy “La notte e le tenebre appartengono ai mostri. Non ai supereroi”.
COSA NON MI È PIACIUTO
Come sempre quando un libro mi appassiona, mi trovo in difficoltà a evidenziarne gli aspetti negativi. Sinceramente, in questo caso, non ne ho trovato nessuno.
L’AUTORE
Sam Millar è uno scrittore e sceneggiatore nato a Belfast e, dopo la lunga militanza nell’IRA, è diventato uno degli scrittori di crime e thriller irlandesi più famosi. I suoi libri sono tradotti con successo in tutto il mondo. Per Milieu ha pubblicato il memoir “On the Brinks. Memorie di un irriducibile irlandese” e “I cani di Belfast”.
LA CASA EDITRICE
Milieu edizioni nasce a Milano come progetto di ricerca sulla storia criminale e sociale del Novecento e, in un secondo momento, si sviluppa come proposta editoriale a partire dal maggio 2012. Nel nome stesso della casa editrice sta il senso di questo percorso, nel fascino verso una mala a suo modo romantica e nella ricerca dei meccanismi “ambientali”, il milieu appunto, che influiscono sulle scelte dei singoli.
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klimt7 · 2 years
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DEMIAN
(incipit)
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Per raccontare la mia storia devo incominciare dal lontano inizio. Se mi fosse possibile, dovrei risalire molto più addietro, fino ai primissimi anni della mia infanzia, e più oltre ancora nelle lontananze della mia origine.
Quando scrivono romanzi, gli scrittori fanno come fossero Dio e potessero abbracciare con lo sguardo e comprendere la storia di un uomo e riprodurla quasi Dio la narrasse a se stesso, sempre essenziale e senza veli. Io non ne sono capace, come non ne sono capaci gli scrittori. La mia storia però ha per me più importanza di quanto non ne abbia per altri scrittori la loro; è infatti la mia vita, è la storia di un uomo non inventato e possibile, non ideale o in qualche modo non esistente, ma di un uomo vero, unico, vivente.
Certo, che cosa sia un uomo realmente vivo si sa oggi meno che mai, e perciò si ammazzano gli uomini in grandi quantità, mentre ognuno di essi è un tentativo prezioso e unico della natura.
Se non fossimo qualcosa in più di uomini unici, se si potesse veramente togliere di mezzo ognuno di noi con una pallottola, non ci sarebbe ragione di raccontare storie.
Ogni uomo però non è soltanto lui stesso; è anche il punto unico, particolarissimo, in ogni caso importante, curioso, dove i fenomeni del mondo s’incrociano una volta sola, senza ripetizione.
Perciò la storia di ogni uomo è importante, eterna, divina, perciò ogni uomo fintanto che vive in qualche modo e adempie il volere della natura è meraviglioso e degno di attenzione. In ognuno lo spirito ha preso forma, in ognuno soffre il creato, in ognuno si crocifigge un Redentore.
Oggi pochi sanno che cosa sia l’uomo. Molti lo sentono e perciò muoiono con maggior facilità, come io morirò più facilmente quando avrò finito di scrivere questa storia. Non posso dire di essere un sapiente. Fui un cercatore e ancora lo sono, ma non cerco più negli astri e nei libri: incomincio a udire gli insegnamenti che fervono nel mio sangue.
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La mia storia non è amena, non è dolce e armoniosa come le storie inventate, sa di stoltezza e confusione, di follia e sogno, come la vita di tutti gli uomini che non intendono più mentire a se stessi.
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La vita di ogni uomo è una via verso se stesso, il tentativo di una via, l’accenno di un sentiero. Nessun uomo è mai stato interamente lui stesso, eppure ognuno cerca di diventarlo, chi sordamente, chi luminosamente, secondo le possibilità. Ognuno reca con sè, sino alla fine, residui della propria nascita, umori e gusci d’uovo d’un mondo primordiale. Certuni non diventano mai uomini, rimangono rane, lucertole, formiche. Taluno è uomo sopra e pesce sotto, ma ognuno è una rincorsa della natura verso l’uomo.
Tutti noi abbiamo in comune le origini, le madri, tutti veniamo dallo stesso abisso; ma ognuno, tentativo e rincorsa dalle profondità, tende alla propria meta.
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[ Hermann Hesse ]
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gcorvetti · 1 year
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Ridere fa bene.
Oggi apro le notizie e sempre più penso che le testate le dovrebbero dare i direttori, giornalisti, redattori alle scrivanie dove sono seduti, non ci sono notizie solo gossip, che non è vero, però diciamo che su 10 notizie 6 sono di gossip, ma che cazzo, però ha il suo perché secondo me, il fatto che in questo momento di crisi con i prezzi alle stelle di tutto e la tristezza per un futuro più che incerto, è logico che da qualche parte un sorrisino bisogna trovarlo e dove se non sui giornali? Che fanno concorrenza sempre più al trash più trash, ma vediamo se ridete anche voi. Prima, leggo che Vasco Rossi ha una serie su netflix (che è sempre più merdflix), niente da obiettare o da criticare, ha milioni di fans ci può stare, poi gustibus ma a me fa ridere, pensando che molti grandi hanno solo un mini docufilm fatto anche male. Nell'ultimo anno l'Italia ha perso 14 miliardi, bruscolini che volete che sia, infatti la nana melona dice basta sprechi ahahhahahahh sono troppo comici sti qua al governo, cioè loro che regalano soldi a destra e a manca che neanche Fiorin Serafino ai paesani dopo aver ricevuto l'eredità, ora viene che devono tirare la cinghia e indovinate di chi è la vita a cui si stringerà quella cinta? Negli scontri per accaparrarsi la poltrona più ambita del mondo, quella della stanza ovale a stelle e striscioline di merda, sembra che tutti attacchino Trump, come sparare sulla croce rossa, beh posso capirli col livello medio mentale che c'è da quelle parti è facile che un idiota pieno di soldi riprenda il potere in mano, mi ricorda qualcosa? Dulcis in fundo, ho tenuto quella che mi ha fatto lacrimare di più, tale Rosalba Pippa, che se ti chiami così (anche se non è colpa tua) fai bene a cambiare il nome in Arisa, si si la cantante, dice che è stata schiava sessuale, ma di chi? Cioè sono quasi caduto dalla sedia, ma chi è sto qua che ha lo stomaco come una capra, chi? Voglio vederlo in faccia, poi va bè gossip è gossip per natura ed è inutile come la carta igienica già usata, ma mi fa ridere, per carità rispetto per Arisa anche se è simpatizzante per la melona, però va bè ognuno, ma non me la immagino lei con il collare che viene frustata perché non ha leccato tutto il latte nella ciotola :D hahahahhahah
Passando a qualcosa di serio, sembra che il Boss, Bruce Springsteen, annulla le date del tour perché il medico lo ferma, l'età, anche lui non siamo fatti di ferro. Molti amici stanno condividendo su FB foto (non scattate da loro) di Mick Jagger in giro per Catania, non ci vedo niente di male anche loro hanno diritto ad una vacanza e visto che il cantante degli Stones ama la Sicilia non ci vedo niente di eccezionale, ha anche una casa da qualche parte sulla costa est. Certo trovarsi a un metro da una leggenda è ovvio che un pò ci si sente emozionati, però bisogna anche capire che lui vorrebbe stare tranquillo, lo spero per lui.
Meno male che l'umore è a buon livello perché svegliarsi e vedere a stento la casa di fronte non è bello, eh si, oggi un nebbione da pianura padana, sarà l'eccesso di umidità, boh, mentre da voi leggo che l'estate non vuole andare via, qua già siamo in pieno autunno che Ottobre arriva a metà Settembre, senza contare che già alle 6 di pomeriggio è buio pesto, questo sempre se non è nuvoloso, purtroppo sono le piccole cose che fanno di questo posto una merda, lo so cosa mi vuoi chiedere, dove vado? In Italia neanche il cadavere ci voglio mandare dopo morto, l'Inghilterra a quanto pare è impraticabile se non hai culo, cosa che si sa non ho, altri posti non ho idea, ma per ora resto qua. Per chiudere questo post un pò così tra la risata e la lacrimuccia dico ... niente va, buona giornata :D
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