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Multiverse Of Series
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Movies and TVSeries are my Multiverse of Madness
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multiverseofseries · 18 hours ago
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The new trailer for ‘THE FANTASTIC FOUR’ has been released. In theaters on July 25.
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multiverseofseries · 23 hours ago
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Motorheads: quando The O.C. incontra Fast and Furious
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Il teen drama con Ryan Phillippe, Michael Cimino e Matt Lanter racconta due generazioni e due mondi che collidono mentre sfrecciano sulle auto da corsa. Ma non basta. Su Prime Video.
Macchine roboanti e magnetiche alla vista, prima ancora di spingere sul cambio e sull'acceleratore. Bellezze varie per ambo i sessi che si lanciano sguardi languidi sulla pista illegale fuori città, prima ancora che tra i corridoi scolastici. Un passato difficile da dimenticare e da cancellare, con gli adulti che rappresentano ciò che non sono mai stati da adolescenti e avrebbero voluto.
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Una scena della serie
Mescolate tutti questi elementi insieme e otterrete Motorheads la nuova serie originale Prime Video creata da John A. Norris a metà strada tra teen drama e young adult. Peccato che sia sempre la solita minestra riscaldata.
Motorheads: vecchi e nuovi amori (e rivalità)
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Gli "adulti" dello show
Le prime volte sono al centro della serie Prime Video: non stiamo parlando solo dei primi amori o dei primi cuori spezzati, bensì anche della prima volta su un'auto. Soprattutto se da corsa e pronta a gareggiare nel torneo clandestino più famoso della città. L'ambientazione è simbolica in tal senso: una cittadina un tempo ricca e benestante ma ora in declino, che cerca un modo per tornare a sperare. Due le generazioni protagoniste: quella degli adulti che sembrano rimasti legati a ciò che è stato (come spesso capita in questo tipo di racconto); interpretati da Ryan Phillippe (proprio lui, un tempo rappresentante della seconda categoria) nel ruolo dello zio meccanico Logan Maddox, e Nathalie Kelley come Samantha, la madre di Caitlyn (Melissa Collazo) e Zac (Michael Cimino) che li riporta nel paesino natale del padre.
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Una sequenza al cardiopalma
Questi ultimi rappresentano gli adolescenti cresciuti troppo in fretta (altro cliché del genere): la prima è curiosa di scoprire tutto quello che può sulla leggenda che è stato il genitore durante una spericolata corsa in macchina, il secondo vorrebbe solo passare inosservato fino alla fine del liceo. Eppure è proprio lui a comportarsi al contrario e - per quanto sia adolescente e quindi contraddittorio - può risultare da subito un tantino fastidioso.
Così come gli altri protagonisti visti e rivisti: Marcel (Nicolas Cantu), l'amico sfigato che potrebbe redimere la propria condizione; Curtis (Uriah Shelton), il bullo popolare della scuola e della cittadina; Ray (Drake Rodger); il motociclista bello e dannato che ha una pessima reputazione e una difficile storia familiare alle spalle; Kiara (Johnna Dias-Watson) l'anticonformista succube del gruppo di cui fa parte; Alicia (Mia Healey), la bella e popolare, ragazza acqua e sapone che sceglie sempre il ragazzo sbagliato. Non manca all'appello nemmeno una vecchia conoscenza dei teen drama: Matt Lanter.
Disparità sociale
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Ryan Phillippe non salva la serie Prime Video
Non ci sono solo le gerarchie e le regole del liceo a dettare legge in questo coming of age tanto per ragazzi quanto per bambini cresciuti, ma anche quelle inserite nel tessuto sociale cittadino. Il gruppo di outsider protagonista - in fondo, tifiamo istintivamente sempre per loro - stringono un'improbabile amicizia grazie alla passione comune per le corse su strada, pronti a riportare in vita una vecchia e simbolica automobile non solo come dichiarazione d'intenti ma anche come rivendicazione verso tutti coloro che non gli hanno mai dato una vera possibilità. Proprio in questa struttura sociale si inserisce il discorso sul divario economico tra le classi raccontate, che ricorda molto l'arrivo di Ryan in quel caposaldo del genere che è stato The O.C. - ma senza il suo carisma e le sue frasi ad effetto. Risulta tutto già visto nelle dinamiche presentate e nello sviluppo, pur volendo chiaramente svecchiare soprattutto i genitori dai soliti cliché.
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Gli outsider
Ovviamente parallela alla classica trama adolescenziale e quella del rapporto genitori-figli, c'è la narrazione legata alla corsa delle auto che ricorda Fast and Furious e simili, perché mostra proprio il culto e la cura della carrozzeria come dei componenti e non una mera sfida a colpi di sgommate e frenate. "Sei un mago o un'artista?" chiedono infatti al personaggio di Phillippe riguardo al suo lavoro all'officina, che come tutta la città soffre la crisi economica e deve trovare nuovi modi (o vecchie abitudini) per sbarcare il lunario. La soundtrack è fortemente legata al genere teen, muovendosi tra pop e rock a rappresentare le due generazioni raccontate; la regia è dinamica e spumeggiante, ma non porta effettivamente nulla di nuovo. Come del resto tutta Motorheads, troppo legata agli stereotipi e cliché che rimarca continuamente.
Conclusioni
In conclusione Motorheads è un teen drama che, partendo da un incrocio tra The O.C. e Fast and Furious, propone tutti i possibili cliché e stereotipi del caso in una storia che abbraccia due generazioni e due mondi paralleli. Un romanzo di formazione in cui tutti vorrebbero finalmente crescere e trovare il proprio posto sul sedile del guidatore o del passeggero, ma devono trovare il coraggio per scegliere da che parte stare. Non bastano volti noti ai Millennial o alla Gen Z a salvare la baracca, infarcita di luoghi comuni ed espedienti già visti, a partire dalla disparità sociale come fil rouge e all’importanza della famiglia, come avrebbe detto Toretto, nello sviluppo dei rapporti genitori-figli sempre più estraniati tra loro.
👍🏻
Le corse delle auto come corsa verso la libertà della post-adolescenza.
Il tema del divario sociale e il coming of age…
Ryan Phillippe, Michael Cimino e Matt Lantern…
👎🏻
…già raccontati e strutturati meglio altrove.
…ma i loro nomi non bastano.
Troppi cliché e stereotipi non funzionali.
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multiverseofseries · 3 days ago
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Mission: Impossible - Fallout. Tom Cruise, l’Agente oscuro
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C'è un Keyser Soze anche in Mission: Impossible - Fallout. E non ne rimaniamo sorpresi. Alla regia, e alla sceneggiatura, c'è quel Christopher McQuarrie che nel 1996 (proprio l'anno in cui esordiva il franchise di Mission: Impossible) vinceva l'Oscar per I soliti sospetti di Bryan Singer (miglior sceneggiature originale). Al centro del capitolo numero 6 delle vicende di Ethan Hunt c'è un personaggio misterioso, Lark, di cui si narrano terrificanti gesta, ma di cui nessuno conosce la vera identità. Accanto alla sua figura ruotano i Discepoli, gruppo terroristico senza scrupoli che mira a distruggere il mondo per creare un nuovo ordine, a spese di migliaia di vite umane. E ruota il commercio di tre testate nucleari di plutonio, fondamentali per portare a termine il loro disegno. Hunt (Tom Cruise) dovrà sventare il complotto, ed evitare di finire fuori gioco su una scacchiera dove sono presenti la CIA, l'MI6, mediatori e altri gruppi terroristici. E anche Ilsa Faust (Rebecca Ferguson), agente segreto e cane sciolto, nonché amore, non dichiarato ma palpabile, di Ethan Hunt
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Mission: Impossible - Fallout: Tom Cruise in un momento del film
Tom Cruise: agente segreto oscuro, un personaggio in bilico
Nemesi di Ethan Hunt, o Ethan Hunt stesso? L'impossibilità di riconoscere il nemico, Lark, il suo essere senza volto, il suo essere potenzialmente chiunque collega Mission: Impossible - Fallout a quel capolavoro di scrittura e intreccio che era I soliti sospetti e che ci aveva rivelato, più di vent'anni fa, Christopher McQuarrie. Ma il tourbillon di ipotesi che vengono fatte nel tentativo di risolvere l'enigma e trovare il pericolo numero uno per il mondo fa sì che il sospetto cada anche sullo stesso Hunt. "Essere il peggior nemico di se stesso" in questo caso potrebbe essere un'espressione non figurata, come afferma uno dei personaggi del film. E qui Mission: Impossible - Fallout si avvicina al discorso de Il cavaliere oscuro, a quel confine tra Bene e Male che, quando si deve portare a termine una missione, si rischia di oltrepassare. "O muori da eroe, o vivi così a lungo da diventare il cattivo". Chi sarà il nostro agente? Un eroe, o un cattivo? Il dubbio, su di lui, sulla sua partner/rivale Ilsa Faust, su tutti i personaggi, ci sfiora continuamente durante Mission: Impossible - Fallout. Ed è uno dei punti di forza del film. McQuarrie ha preso un universo ed è riuscito a farlo diventare sempre più oscuro.
Licenza di uccidere per una trama emozionante
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Mission: Impossible - Fallout: Tom Cruise e Vanessa Kirby in una scena del film
C'è allora qualcosa di nuovo, in quella che, apparentemente, potrebbe essere vista come la seconda parte di Mission: Impossible - Rogue Nation (stesso regista, stessi personaggi, stesse atmosfere), o solo un film d'azione. È il continuo interrogativo morale sulle priorità da darsi nella vita (gli affetti o il lavoro), sulle scelte da fare in azione (salvare una vita umana o la riuscita della missione) e sui sacrifici necessari. In questo senso è emblematica la scena in cui Ethan Hunt sceglie di risparmiare una giovane poliziotta innocente, nonostante sia quasi impossibile farlo. Perché licenza di uccidere non significa libertà di uccidere. L'altra novità è la sensazione di pericolo imminente, di apocalisse, di fine del mondo che pervade tutto il film: qui non vediamo la Mission Impossible Force alle prese con il McGuffin di Mission: Impossible III o con gli assetti interni di Mission: Impossible - Protocollo Fantasma, ma con vite innocenti da salvare. E tutto diventa più emozionante.
Scelte e fallimenti
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Mission: Impossible 6 - Tom Cruise in azione sul set
Tutto questo rende più dolorosa ogni scelta, tutto questo rende più grave la possibilità di fallire. E questo Mission: Impossible ruota intorno all'idea di fallimento: quello di una missione, ma anche quello della propria vita. Tutto, in Mission: Impossible - Fallout, è un continuo fallire, sbagliare il bersaglio, cambiare strada all'improvviso e ricalcolare il percorso. "We're working on it", ci stiamo lavorando, sentiamo dire spesso ai protagonisti del film quando viene loro chiesto quale sia il piano.
Christopher McQuarrie e le scene madri
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Mission: Impossible - Fallout: Tom Cruise in una scena del film
Tutto questo, non bisogna dimenticarlo, è inserito all'interno di un complicato ed efficientissimo meccanismo a orologeria, che fa di Mission: Impossible - Fallout l'action movie perfetto. Christopher McQuarrie, meno autore e più artigiano (nel senso più nobile del termine) rispetto agli altri registi del franchise, ha messo a punto, a modo suo, l'assunto hitchcockiano che un film va costruito attorno a enormi scene madri. Se in Rogue Nation sparava la cartuccia della grande scena nel prologo, con Tom Cruise in volo dall'esterno su un aereo, qui gioca la sua carta più spettacolare nel gran finale, con Cruise in arrampicata su un elicottero in volo e in caccia sfrenata a un altro velivolo tra le gole del Kashmir: ma le grandi scene d'azione sono tante, tra cui un lancio in paracadute nel bel mezzo di una tempesta di fulmini. Tra azione e oscurità, McQuarrie riesce anche a inserire un po' di ironia: è spesso legata alla presenza di Benji (Simon Pegg), ma appare qua e là anche nelle scene d'azione di Cruise, un po' alla maniera del James Bond di Roger Moore.
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Mission: Impossible - Fallout, Tom Cruise e Vanessa Kirby in una scena corale
Rebecca Ferguson: l'amore ai tempi dell'apocalisse
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Mission: Impossible 6, Rebecca Ferguson armata in una scena
Se, per la riuscita del film, è fondamentale la prestazione di Tom Cruise, così folle da girare le scene senza controfigura, infortunarsi e lasciare la scena nel montaggio finale, Mission: Impossible: Fallout è vincente nella scelta di riproporre quello che era l'elemento chiave di Rogue Nation: la tensione, sessuale e sentimentale, tra Ethan Hunt e Ilsa Faust. Tom Cruise e Rebecca Ferguson, anche qui, sono legati, attratti, sono affinità elettive allo stesso tempo unite e divise dal loro ruolo, dal loro schieramento, dalla loro missione. McQuarrie sa di avere il suo ingrediente speciale in Rebecca Ferguson e, a differenza di Rogue Nation, lo dosa sapientemente, facendolo entrare man mano nel piatto che sta preparando, in modo che tutto il suo sapore ci arrivi, in un crescendo, alla fine. Così, mentre Rogue Nation partiva forte e manteneva il livello raggiunto, Fallout è un continuo crescendo che, tra la presenza di Ilsa Faust, le scene d'azione, e il finale al cardiopalma, raggiunge un apice forse mai raggiunto dai precedenti film. In cui anche le storie sentimentali di Hunt (oltre a Ilsa c'è la Julia di Michelle Monaghan, ex moglie di Hunt) arrivano a un compimento. Anche se, proprio come Hitchcock, anche McQuarrie si ferma un attimo prima del sesso, allude ma non mostra. O forse lo farà nel prossimo capitolo. Per ora, pare che Ethan Hunt (fate attenzione al messaggio nel prologo) abbia chiuso un cerchio, e possa tornare a casa dopo la propria, personale Odissea.
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multiverseofseries · 6 days ago
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Mission: Impossible - Rogue Nation: quando l'ironia è al servizio dell'azione
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Mission: Impossible Rogue Nation, scritto e diretto dall'ormai fido collaboratore di Tom Cruise Christopher McQuarrie, usa con efficacia e a più riprese le armi dell'autoironia. E convince proprio perché non ha nessuna intenzione di prendersi troppo sul serio.
Il capitolo precedente della saga, Mission: Impossible - Protocollo Fantasma, aveva avuto il merito di intraprendere in maniera decisa la strada dell'autoironia, come mai si era visto prima nel franchise con protagonista l'agente speciale dell'IMF (Impossible Mission Force) Ethan Hunt.
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Mission: Impossible - Rogue Nation: Tom Cruise in azione in una scena
Questo grazie a tutta una serie di momenti divertenti in cui il film diretto da Brad Bird si prendeva felicemente molto poco sul serio (tra gli altri, la sequenza della fuga dal carcere con il sottofondo musicale di Dean Martin, i goffi tentativi da parte di Ethan di effettuare la scansione retinica su un treno in corsa, il messaggio segreto che fa cilecca e non si autodistrugge automaticamente), riuscendo così a intrattenere e far ridere lo spettatore dandogli però al contempo la possibilità di assistere a una serie di sequenze d'azione e a una trama piuttosto avvincenti.
Un Mission: Impossible agli antipodi di John Woo
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Mission: Impossible - Rogue Nation: Tom Cruise insieme a Rebecca Ferguson in una scena del film action
Christopher McQuarrie, premio Oscar nel 1996 per la sceneggiatura de I soliti sospetti di Bryan Singer e autore anche dei copioni di Operazione Valchiria e Edge of Tomorrow - Senza domani, è abile a continuare nella direzione già tracciata da Protocollo Fantasma. Con questo Mission: Impossible - Rogue Nation, infatti, scrive e dirige una sorta di action-comedy movie convincente e in cui le adrenaliniche sequenze d'azione, quando portate agli estremi, sono segnate da una componente palesemente autoironica e persino autoparodica, soprattutto se si pensa al modo in cui esse erano state messe in scena da John Woo nel secondo episodio della saga.
Insomma, chi era rimasto deluso dai molteplici eccessi estetizzanti di Mission: Impossible II, che fecero storcere il naso a molti proprio perché poco credibili e insieme totalmente privi di ironia (ricordate gli innumerevoli ralenti, l'acrobatica corsa in moto a una sola ruota o le frenetiche piroette compiute ad altissima velocità dalle macchine guidate da Tom Cruise e Thandie Newton?), non potrà che ritenersi soddisfatto per la svolta avvenuta con gli ultimi due Mission Impossible.
Rogue Nation e Protocollo Fantasma
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Mission: Impossible - Rogue Nation: Rebecca Ferguson in una scena d'azione del film
Il legame tra Protocollo Fantasma e Rogue Nation, d'altronde, è evidente fin dal livello della trama. Se i primi tre film del franchise avevano in comune il solo Ethan Hunt e la storyline di un team da lui guidato (ogni volta composto da membri diversi, ad eccezione di Ving Rhames/Luther Stickell) con l'obiettivo di sventare una differente minaccia per la sicurezza mondiale, nel quarto episodio si è iniziato a creare una connessione con Mission: Impossible III (il rapporto tra Hunt e la moglie portata sullo schermo da Michelle Monaghan).
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Mission: Impossible - Rogue Nation: Tom Cruise e Rebecca Ferguson in una scena d'azione del film
In Rogue Nation non mancano riferimenti a quanto accaduto in Protocollo Fantasma e, in più, il primo in qualche modo inizia dove finiva il secondo. Se quest'ultimo infatti si concludeva con il protagonista intento ad ascoltare la proposta di una nuova missione, relativa alla ricerca di una emergente e misteriosa organizzazione chiamata il Sindacato, Rogue Nation si focalizza proprio sulla caccia al temibile gruppo terroristico. Questa volta, però, l'IMF è stata ufficialmente destituita e l'agente Hunt, ricercato dallo stesso capo della CIA (Alec Baldwin) poiché sospettato di essere ormai del tutto fuori controllo, può contare solo sull'appoggio di alcuni fidati colleghi (oltre al sempre presente Rhames tornano, rispettivamente nei ruoli di Benji e Brandt, anche Simon Pegg e Jeremy Renner) e, forse, dell'ambigua e letale femme fatale Ilsa Faust, interpretata dalla convincente attrice svedese Rebecca Ferguson.
La ricetta vincente per una missione impossibile: ironia e spettacolo
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Mission: Impossible - Rogue Nation: Simon Pegg con Alec Baldwin in un momento del film
Rogue Nation ci tiene davvero molto a non prendersi sul serio e lo dimostra apertamente sin dalla primissima sequenza in cui Ethan salta al volo su un aereo in decollo, senza che nessuno riesca ad aprirgli lo sportello per entrare, con tanto di divertenti battute dei vari membri della squadra che partecipano alla missione (la scena è quella ormai già nota a molti perché presente nei trailer del film e in alcune clip promozionali). Per la prima volta si ironizza anche sulla lucidità in missione dell'agente Hunt il quale, poco dopo aver rischiato di morire alla fine di una spettacolare scena d'azione che si svolge sott'acqua, si lancia in un forsennato inseguimento in macchina ancora evidentemente stordito per quanto gli è appena accaduto. Il modo in cui il protagonista si riprende dalla citata scena subacquea, tra l'altro, sembra essere un divertito riferimento in chiave ironica a un episodio che avveniva verso la fine di Mission: Impossible III, sul quale preferiamo non dirvi di più per evitare di rovinarvi la sorpresa.
Sempre a proposito di azione, molto affascinante è la lunga sequenza dell'Opera di Vienna in cui, nel dietro le quinte di una rappresentazione della Turandot di Puccini, si consuma un duello senza esclusione di colpi che coinvolge contemporaneamente più personaggi e rimanda alle atmosfere tipiche del più classico cinema di spionaggio.
Missione: compiuta
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Mission: Impossible - Rogue Nation: Tom Cruise durante un inseguimento in moto tratto dal film
Alla sua quarta collaborazione con Tom Cruise dopo Operazione Valchiria, Jack Reacher - La prova decisiva (di cui ha firmato anche la regia) ed Edge of Tomorrow - Senza domani, Christopher McQuarrie confeziona un blockbuster in perfetto equilibrio tra action e commedia, coinvolgente e spassoso, che per le sue due ore circa di durata intrattiene con mestiere senza calare mai di ritmo.
Di sicuro Rogue Nation non annovera tra i suoi maggiori punti forza l'originalità della trama e l'approfondimento psicologico dei personaggi, ma ha comunque il pregio di non affidarsi a sviluppi narrativi ad effetto eccessivamente forzati, come spesso accade in molti film d'azione hollywoodiani ad alto budget e come avvenuto, in forme diverse, anche in altri capitoli del franchise, non escluso il primo diretto nel 1996 da Brian De Palma.
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multiverseofseries · 8 days ago
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New promo video for 'WEDNESDAY' Season 2!
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multiverseofseries · 8 days ago
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The Handmaid’s Tale 6: e se Gilead fosse l'America di oggi?
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Un treno lanciato che scorre libero, veloce, carico di speranza in un ambiente verde e idilliaco. Era il finale di Blade Runner. Ed è invece solo l'inizio di The Handmaid's Tale 6, la sesta e ultima stagione della serie cult. Quel viaggio in treno è l'inizio dell'ultimo racconto dell'ancella, quello che chiuderà i giochi. Su quel vagone ci sono June e Serena Joy, le duellanti, i due lati della stessa medaglia, amiche e nemiche. Sin dalla prima stagione sono state loro le figure carismatiche della storia, i due modi diversi di essere donna. Due naturali leader di loro schieramenti. Ma anche due opposti destinati ad attrarsi.
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Elisabeth Moss è June: il primo episodio inizia su un treno in viaggio verso l'Alaska
The Handmaid's Tale 6 diventa una storia più corale, segue più punti di vista e non solo quello di June, ma tutto lascia presagire che sarà una partita a due, quella tra June e Serena, a chiudere la storia. Si parlerà ancora della condizione della donna nel mondo di oggi. Ma, dopo la sua partenza nel 2017, The Handmaid's Tale è stata scritta in un'America in profondo cambiamento. E la nuova stagione sembra volerci raccontare anche questo, un Paese in profonda crisi d'identità e che sta vivendo una scissione. Pensata già qualche anno fa, la sesta stagione di The Handmaid's Tale sembra essere quasi profetica.
Gli "americani" in fuga dal Canada…
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June (Elisabeth Moss) e la figlia Nicole: la loro famiglia è ancora divisa
Ma che cosa sta succedendo nel Racconto dell'Ancella? Come avevamo visto nella quinta stagione, il Canada si è riempito di profughi fuggiti da Gilead, gli "americani". Ma il Canada è stufo dei rifugiati: sono troppi e portano via ai canadesi spazio e risorse. Così June (Elisabeth Moss) e Nicole, la sua bambina, poco sicure anche in Canada, sono costrette a spostarsi verso ovest, verso l'Alaska, uno dei pochi stati che è ancora America. Ma June riprenderà a lottare per sconfiggere Gilead, mentre anche Luke e Moira (O. T. Fagbenle e Samira Wiley) si uniscono alla resistenza. E poi c'è Serena (Yvonne Strahovski): ambigua, imprevedibile, piena di risorse inaspettate. Un "cattivo della Disney", ma piena di sfaccettature.
Chi è davvero Serena Joy?
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Elisabeth Moss e Yvonne Strahovski sono June e Serena complici o rivali?
Dopo cinque stagioni di The Handmaid's Tale stiamo ancora cercando di capire Serena Joy. È una fanatica religiosa? È un'opportunista? È al lavoro per un bene più grande? È una che pensa solo a se stessa? Eppure, quel rapporto che in qualche modo si è instaurato tra lei e June, tra villain e protagonista, lontane ma indissolubilmente legate, esiste e vive su un equilibrio appeso a un filo. Si sono avvicinate e allontanate più volte. Ma la loro alleanza, sempre in pectore e mai davvero compiuta, è una delle chiavi della storia. Perché quello che è mancato davvero a Gilead, che ci si trovi dentro o fuori il suo territorio, è la mancanza di una vera solidarietà femminile, che unisca tutte le donne in un fronte comune. E, se ci pensate, è qualcosa che non è ancora compiuta nemmeno nella nostra società.
L'America di Trump sta diventando Gilead?
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Josh Charles: l'attore noto per L'attimo fuggente è un comandante di Gilead
Si parla ancora di condizione femminile nella stagione 6 di The Handmaid's Tale. Ma si parla sempre più di un'America che non è più quella che doveva essere, la terra della democrazia, della libertà, della seconda opportunità. La cosa incredibile di questi tempi è che la realtà sta superando la finzione. E che l'America di oggi, l'America di Trump, sta davvero diventando Gilead. La democrazia sta morendo, tra scroscianti applausi, e quella di oggi ci sembra sempre più una dittatura. Gli Stati Uniti non sono più uniti. E quella bandiera americana, con due sole stelle su campo blu, che vediamo sventolare in Alaska, è un simbolo inquietante. A tratti ci sembra essere dalle parti di Civil War di Alex Garland, un'altra opera estremamente profetica.
La Nuova Betlemme, un'operazione di facciata
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Max Minghella e Bradley Whitford, comandanti di Gilead qui nella Nuova Betlemme
The Handmaid's Tale 6 è ricca di colpi di scena (il primo episodio, diretto dalla stessa Elisabeth Moss, ne ha due notevoli), di suspense e di quel continuo senso del pericolo, quella sensazione di non sentirsi mai al sicuro da nessuna parte che è stata una delle cifre della serie sin dall'inizio. È una serie che ci parla ancora dei rapporti tra uomo e donna, ma anche di fanatismo religioso e di politica, e di quelle operazioni di facciata che fanno i governi per nascondere la realtà: l'insopportabile finzione della Nuova Betlemme, la nuova città nata per riaccogliere gli esuli da Gilead e rendere il regime più appetibile a loro, è il simbolo di tante situazioni di questo tipo.
Il Nick Blaine di Max Minghella, eroe romantico
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Max Minghella e Elisabeth Moss: il rapporto tra NIck e June è uno dei motori della serie
Mentre tornano alla luce alcuni personaggi che credevamo dimenticati - e le loro relative storyline - prende sempre più spazio un personaggio fin qui sottovalutato. È Nick Blaine (Max Minghella), ex "occhio" diventato comandante. È un vero eroe romantico, un uomo che è arrivato in alto ed è disposto a tutto per amore di June. Pur sapendo che non potrà averla. La tensione tra June e Nick è altissima e i momenti in cui i due personaggi sono insieme sono magnetici. Il saluto tra June e Nick, al termine dell'episodio 3, in questo senso dice molto. "Non dobbiamo comportarci come se dovessimo sempre dirci addio". "Che cosa dovremmo dirci, allora?", "Che ne dici di: a presto?", "A presto". Una sorta di arrivederci per una storia che finisce senza finire.
Conclusioni
In conclusione arrivata alla sua stagione finale, The Handmaid's Tale si conferma una serie di altissimo livello per scrittura, regia e interpretazioni. La ricorderemo come una serie epocale: quella che ci racconta i rapporti di potere tra uomo e donna, ma anche, in maniera profetica, un'America che sta cambiando ed è sempre più divisa.
👍🏻
The Handmaid's Tale è la serie che racconta più di ogni altra l'emancipazione femminile.
In questi anni sta raccontando sempre più l'America di oggi.
Religione, politica, società: la serie spazia sempre più su molti argomenti di attualità.
👎🏻
Forse il percorso per arrivare al finale si è allungato un po' troppo.
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multiverseofseries · 10 days ago
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Mission: Impossible - Protocollo Fantasma (2011)
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Il quarto episodio delle avventure dell'agente Ethan Hunt fa sua la lezione del produttore J.J. Abrams sulla struttura del racconto, per la prima volta davvero corale e con un ampio spazio offerto a personaggi che ora è riduttivo definire secondari.
Un protocollo rinnovato
L'agente Ethan Hunt è nei guai. Dopo essere fuggito da un carcere moscovita, dove era rinchiuso per imprecisate ragioni, l'uomo deve guidare una nuova squadra per una missione di infiltrazione nel Cremlino, allo scopo di recuperare dei codici per un lancio nucleare; ma, sfortunatamente, non solo la missione non ha esito positivo e i codici finiscono in mano a una killer professionista, ma una forte esplosione squassa la Piazza Rossa, e dell'attentato vengono incolpati proprio Ethan e la sua squadra. Il presidente statunitense attiva così il "Protocollo Fantasma", attraverso il quale l'intera Impossible Mission Force viene sconfessata dal governo: Hunt e i suoi colleghi restano così abbandonati a sé stessi, braccati dalle autorità locali e senza alcuna protezione da parte dei superiori. Ma i codici in questione sono pericolosamente in viaggio verso il destinatario prestabilito, una persona il cui nome in codice è Cobalt e la cui intenzione è quella di scatenare una guerra nucleare. Dovrà essere proprio Ethan, insieme al suo nuovo team (composto dal tecnico Benji Dunn, dalla bella Jane Carter e dal nuovo agente William Brandt, personaggio dal passato oscuro) a sventare l'imminente minaccia globale, e contemporaneamente a riabilitare il nome della IMF.
Il franchise di Mission: Impossible, inaugurato nel lontano 1996 da Brian De Palma, si è sempre caratterizzato per una compenetrazione di estetica da blockbuster e autorialità. A iniziare dal prototipo, che a sua volta portava sul grande schermo una popolare serie televisiva, sono stati sempre importanti e "pesanti" i nomi coinvolti in cabina di regia, ognuno dei quali ha portato alla serie il suo tocco personale: il gioco realtà/finzione/simulazione del regista di Blow Out, l'ipercinetismo di un John Woo che trasferiva a Hollywood almeno parte della sua concezione dell'action movie, la struttura più corale e l'attenzione ai personaggi e ai loro background del J.J. Abrams di Lost. E' stato proprio l'episodio diretto da quest'ultimo, probabilmente, ad aver segnato il punto di svolta per la serie voluta da Tom Cruise, con un lavoro sulla narrazione che avvicinava il film alla struttura delle serie televisive statunitensi, al contempo "restituendo" alle modalità narrative del piccolo schermo le avventure della IMF, e aggiornandole ovviamente a quella concezione moderna di racconto televisivo di cui proprio Abrams è stato uno degli alfieri. Non è un caso che proprio J.J con la sua Bad Robot sia coproduttore di Mission: Impossible - Protocollo fantasma, che segna sì l'esordio nel cinema live action del regista della Pixar Brad Bird, ma fa pienamente sua la lezione di Abrams, con un racconto che per la prima volta è davvero corale, e che offre ampi spazi a personaggi, e in particolar modo ai compagni del protagonista, che ora è riduttivo definire secondari.
Questo Protocollo Fantasma, è bene dirlo, è comunque un blockbuster in piena regola. Un blockbuster ottimamente confezionato, teso e di forte spettacolarità nelle sue due ore e un quarto di durata, praticamente esente da cali di tensione e visivamente molto ricco. Bird non sembra affatto a disagio nel passaggio tra animazione e attori in carne ed ossa, dirigendo sequenze di grande efficacia spettacolare, tra cui spicca un'arrampicata alla Spiderman del protagonista su di un grattacielo e un bell'inseguimento, persino raffinato nella sua mesa in scena, in mezzo a una tempesta di sabbia. Ma la riuscita del film, che non lesina come da copione in adrenalina e acrobazie assortite, è principalmente narrativa: la sceneggiatura, scritta non a caso da quegli André Nemec e Josh Appelbaum che sono stati collaboratori storici di Abrams nel suo Alias, parte da uno spunto talmente old style da apparire nostalgico e retrò, quasi a cancellare di colpo trent'anni di evoluzione della spy story; ma poi, lo script ha il merito di presentare in modo puntuale e preciso i compagni del protagonista, recupera il talento comico, rendendolo finalmente anche fisico, del Simon Pegg già visto nel film precedente, introduce il tema della vendetta personale e fa ruotare attorno ad esso il personaggio della Jane interpretata da Paula Patton, presenta un carattere affascinante e oscuro, che presto scopriamo portatore di un segreto potenzialmente esplosivo per il suo rapporto con Ethan, come l'agente Brandt di Jeremy Renner. Un'attenzione ai personaggi e alla loro credibilità come è sempre più raro vedere in un prodotto dall'anima così mainstream, unita a un'esaltazione della collaborazione e del lavoro di squadra che viene direttamente dalla serie TV degli anni '60; rendendo così il film, al contempo, una raffinata operazione di recupero e riadattamento di un classico.
Mission: Impossible - Protocollo Fantasma sembra così collocarsi nel solco di un reboot come quello di Star Trek, che era anch'esso, insieme, omaggio, recupero filologico e aggiornamento di un soggetto più che mai impresso nell'immaginario popolare (e, anche qui, televisivo); legandosi a doppio filo all'episodio precedente più che al resto del franchise, e segnando forse un passaggio di consegne "soft" (e condiviso) dal vecchio padre della saga Cruise all'enfant prodige (ormai non più molto enfant) Abrams. Nessuno sembra dispiacersi di questo, guardando il film: né un Brad Bird in piena forma seppur inevitabilmente più "esecutore" che in passato, né tantomeno un Cruise che, pur con qualche ruga in più, non sembra intenzionato a mollare il suo personaggio. Lo stesso finale lascia ben pochi dubbi in proposito: altre avventure, probabilmente, sono di là da venire. Per ora, comunque, si può tranquillamente e convintamente dichiarare mission accomplished.
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multiverseofseries · 13 days ago
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New look at ‘ZOOTOPIA 2’ In theaters on November 26.
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multiverseofseries · 13 days ago
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First look at ‘GATTO’, a new PIXAR film from ‘Luca’ director Enrico Casarosa
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• Follows a black cat in Venice with a love of music who is shunned by locals due to superstitions
• New hand-painted style of animation
• In theaters Summer 2027
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multiverseofseries · 13 days ago
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Dragon Trainer, il live action: tutte le emozioni sono al posto giusto
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Più volte nel parlare dei remake live action ci siamo detti più favorevoli a quelli che prendono una strada propria, che ampliano il campo d'azione, che si muovono paralleli all'originale, rispetto a quelli che ne ripercorrono il cammino passo passo. Lo abbiamo detto per La Bella e la Bestia o Il Re Leone, per esempio, appoggiando la scelta di andare oltre la storia già nota di Malefica o Crudelia. Un'idea che consideriamo ancora valida, ma con una postilla, un'eccezione che in modo naturale e sensato la conferma: lo stesso regista dell'originale al timone dell'operazione remake. Ed è un'eccezione valida per Dragon Trainer.
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Sul set del remake live action
È infatti Dean DeBlois a guidare il progetto di questo remake live action, la mente che ha dato vita alla trilogia animata per la DreamWorks, tre volte candidato all'Oscar e vincitore del Golden Globe, che reimmagina la storia nella nuova veste per ridare slancio a una saga che ha raccolto fan appassionati in tutto il mondo. Noi compresi. E lo anticipiamo da subito: la storia di Hiccup e Sdentato conferma la sua potenza emotiva anche in questa nuova versione, senza che questa sia annacquata dall'essere già a conoscenza dei risvolti dell'intreccio.
L'inizio della storia di Hiccup e Sdentato
Dragon Trainer è, come il suo omologo animato, l'inizio della storia dei Hiccup e della sua amicizia con il drago Sdentato, sullo sfondo della selvaggio isola vichinga di Berk, dove questi animali sono visti come una spiacevole infestazione, una minaccia, una piaga da debellare. Un luogo in cui il ragazzo, geniale e sensibile, viene visto come una pecora nera, la vergogna del padre Stoick l'immenso, capo legato alla tradizione che avrebbe voluto un figlio in grado di incarnare i propri ideali e portarli avanti. Hiccup non è come lui, non è il guerriero pronto ad affrontare la minaccia rappresentata dai draghi, ma la mente curiosa che vede in loro qualcosa di diverso e che riconosce in Sdentato, quello che secondo la tradizione sarebbe un temibile nemico, le sue stesse paure e fragilità e intraprende un cammino che cambierà i presupposti su cui si base la comunità vichinga di cui fa parte.
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I primi contatti tra Hiccup e Sdentato
L'inizio di una storia che affronta e conferma tematiche importanti, come la comprensione e accettazione dell'altro, il sentirsi fuori posto quando si prova e pensa qualcosa di differente dalla massa, il gestire il peso delle aspettative dei propri genitori e il timore di deluderli, oltre al più ampio discorso della pressione sociale a cui tutti siamo sottoposti. Temi che aveva reso Dragon Trainer così amato da più di una generazione, al di là del rapporto uomo/animale in cui tanti si sono sempre saputi riconoscere.
Mason Thames, Nico Parker, Gerard Butler: un cast che funziona
Sin dalle prime immagini, Mason Thames era sembrato un'ottima scelta, almeno a livello visivo, per portare su schermo Hiccup in carne e ossa: il ragazzo classe 2007 (non aveva ancora 18 anni quando ha girato il film), aveva già detto la sua in Black Phone e conferma che non è stato scelto solo per la somiglianza al personaggio disegnato, ma anche perché è in grado di incarnarne sia le fragilità che qualità umane, sia la insicurezze che la furbizia. Allo stesso modo funziona Nico Parker nei panni di Astrid (l'avevamo vista, per esempio, come figlia di Joel nelle prime battute di The Last of Us), diversa per aspetto dalla controparte animata, ma capace di mettere in scena la stessa determinazione e forza.
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Mason Thames e Nico Parker nei panni di Hiccup e Astrid
È invece un ritorno, in qualche modo, quello di Gerard Butler, che già dava voce a Stoick nel Dragon Trainer animato e completa l'opera donandogli anche volto e corpo, confermando la qualità della scelta. Da segnalare, accanto a loro, anche una figura carismatica come Nick Front per il pittoresco fabbro del villaggio, Gambedipesce, a dar lustro a un cast composto da tanti volti noti che risultano credibili in veste vichinga, con costumi in equilibrio tra creatività e rimandi a quel che ci si aspetterebbe da una storia ambientata in quel contesto culturale.
Buon effetti visiti e per tanti splendidi draghi
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Faccia a faccia con un drago
Se il casting umano è ben costruito, lo stesso si può dire per la varietà dell'altra componente fondamentale di Dragon Trainer: i draghi. Da una parte abbiamo Sdentato, coprotagonista realizzato in CGI e affrontato con la cura che merita e necessita per rendere credibile la storia, le sue sfumature e il rapporto che si viene a creare con Hiccup. Dall'altra una moltitudine di altri suoi simili, di ogni sottospecie e aspetto possibile, dai più minacciosi ai più pittoreschi o buffi. La scelta riuscita di DeBlois è di non inseguire il realismo a tutti i costi, ma riprodurre la creatività e calore che aveva reso caratteristico il film animato. Questo aiuta anche l'aspetto tecnico, che non rischia di mettere alla prova la sospensione dell'incredulità o di snaturare il senso stretto della storia e del suo tono generale.
La regia di Dragon Trainer tra conferme e novità
Dean DeBlois scompone e ricompone la sua storia, la ripropone con fedeltà ma tenendo presente l'ambito differente: Dragon Trainer live action arriva a una durata più corposa senza aggiunte significative, ma dando più respiro ad alcuni momenti seguendo il ritmo meno frenetico della messa in scena live action, ma senza che nulla risulti mai pesante o prolisso. Ce lo avevano suggerito già le prime immagini, ricalcate sull'originale animato in modo preciso, puntuale, ma non pedante.
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Hiccup e Sdentato in volo in Dragon Trainer
DeBlois amplia, ma tenendo ben presente cosa era e doveva continuare a essere il suo Dragon Trainer: non c'è nulla di fuori posto, nulla di troppo, nulla di palesemente mancante. Si percepiva il sentimento forte che DeBlois provava per questa storia, per le sue tematiche di accettazione e ricerca del proprio posto partendo da outsider, lo si percepisce ancora adesso che quel racconto ci viene riproposto in forma diversa. Tanto di cappello, o elmo vichingo, per chi ha le idee così chiare ed è capace di tradurle in immagini con tale precisione.
Conclusioni
Da amanti della saga animata, non siamo rimasti delusi dal remake live action di Dragon Trainer: la fedeltà all'originale non è sterile ma frutto della mano di Dean DeBlois, regista dei nuovo film come di quelli animati, che rielabora con criterio e coerenza il materiale di partenza per proporre la stessa storia, le medesime tematiche ed emozioni in una chiave differente senza tradirne lo spirito e andare contro le aspettative dei fan. Buoni e vari i draghi in CGI, riuscito il casting a partire dal giovane protagonista Mason Thames.
👍🏻
La fedeltà all'originale, non sterile copia e incolla ma frutto della mano appassionata del regista Dean DeBlois.
Il casting, dai giovani Mason Thames e Nico Parker al collaudato Gerard Butler nel ruolo che aveva già come doppiatore come padre di Hiccup.
Sdentato e i draghi in CGI, vari, pittoreschi e fedeli per spirito e tono a quelli animati.
Le tematiche, sempre valide, sempre emozionanti.
👎🏻
Trattandosi di un remake che ricalca l'originale, va da sé che si debba accettare l'operazione e che non ci siano particolari sorprese durante la visione.
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multiverseofseries · 15 days ago
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New character posters for ‘WEDNESDAY’ Season 2 have been unveiled. Part 1 of Season 2 premieres August 6 on Netflix.
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multiverseofseries · 15 days ago
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Love, Death & Robots 4: sci-fi, fantasy e retro-futuro
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Un quarto volume che spazia e reitera temi, toni e generi, dove più riusciti dove meno, riflettendo sull'intelligenza artificiale.
Tim Miller si è distinto nel 2019 per aver portato su Netflix una piccola grande rivoluzione animata intitolata Love, Death & Robots, fatta di episodi antologici di diversa durata e di diversa natura tecnica che provassero a raccontare il mondo che verrà.
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Una sequenza della stagione 4
Sei anni dopo ha provato a rifarlo con un'ispirazione videoludica in Secret Level su Prime Video, ed è ora tornato a casa base con il quarto volume (o quarta stagione, come preferite) della sua creatura originaria, provando a mescolare un po' le carte in tavola.
Love, Death & Robots 4: un mix pre-estivo
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Alcuni alieni del quarto volume
La scelta principale di Tim Miller & soci per il quarto volume della serie animata Netflix sembra essere quello di provare a mescolare gli ingredienti, non puntare solamente sulla fantascienza ma unire anche un po' di fantasy - il corrispettivo di quanto fatto in versione live action dalle ultime stagioni di Black Mirror - e continuare la scia delle precedenti stagioni nell'alleggerire i toni e proporre tanto il dramma quanto la commedia in salsa sci-fi.
Una costante dei nuovi dieci episodi? L'evidente amore per i gatti degli autori e la sensibilizzazione del pubblico verso una rivoluzione in agguato, non solamente tecnologica ma anche, appunto, animale. Il risultato è un frullato altalenante e dai forse troppi gusti che non sempre coglie nel segno, ma propone comunque delle idee interessanti e, a proprio modo, originali. Ma vediamo gli episodi nello specifico.
Can't Stop
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Love, Death & Robots: una scena della stagione 4
David Fincher torna alla regia di Love, Death & Robots con una sorta di videoclip musicale live da un concerto dei Red Hot Chili Peppers con la partecipazione degli stessi membri della band Anthony Kiedis, Flea, John Frusciante, Chad Smith. La differenza? I musicisti e cantanti non sono solo animati ma sono pupazzi mossi dai fili di un burattinaio. Chi sarà l'uomo (o la donna) dietro le quinte?
Mini incontri ravvicinati del terzo tipo
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Inquadratura da applausi
Il secondo episodio propone un incontro alieno ripreso interamente da una panoramica (questo l'elemento più interessante della puntata). Il risultato? Un bagno di sangue perché quella tra umani ed extraterrestri sembra destinata ad essere una lotta che non conosce la pace. Proprio degli strani Incontri ravvicinati del terzo tipo
Spider Rose
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Torna la donna alla fine del mondo
La Donna (o ciò che ne rimane, dalla stagione inaugurale e sempre doppiata da Emily O'Brien) che ha perso il marito e tutto quanto si è isolata ai confini della galassia, rassegnata al proprio dolore. L'arrivo di un insolito (e pericoloso?) animale domestico potrebbe risvegliare la sua sete di vendetta.
Bestioni dell'isolato 400
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L'Attacco dei Giganti
Anche nel futuro vige la guerra per il territorio che ricorda I guerrieri della notte vede tre gang, due maschili e una femminile, decidere di allearsi per sconfiggere un nemico comune: dei misteriosi giganti che stanno attaccando e spazzando via l'intero pianeta. Alcuni pensano che siano leggende, altri che siano dèi scesi in Terra: quale sarà la verità? Interessare l'estetica black del racconto, che vede le voci tra gli altri di John Boyega e Ed Skrein.
L'altra cosa grande
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Un felino e un robot: cosa potrebbe mai andare storto?
Un divertente siparietto che invece della rivoluzione delle macchine mette al centro quella degli animali domestici di un condominio e dei loro aiutanti robot casalinghi. Gli umani non fanno mai una buona figura, mostrandosi come una coppia obesa intenta a consumare, sporcare, bere e mangiare troppo "tanto ci sarà qualcun altro a pulire e mettere a posto". Forse è tempo di mettere le cose in chiaro in tal senso. Con le voci di Chris Parnell e John Oliver.
Golgota
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Love, Death & Robots: una scena della stagione 4
Ecco Tim Miller dietro la macchina da presa per un'invasione aliena molto diversa dalle altre, dato che coloro che sono venuti dal mare non vogliono incontrare i leader politici bensì quelli religiosi. La fede diviene quindi il tema di un episodio profondamente fantascientifico che parla addirittura di un miracolo con cui il prete protagonista ha peccato di superbia davanti alla stampa. Forse sta arrivando la punizione. Un approccio davvero originale al tema.
Il grido del Tirannosauro
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Tutti pronti allo scontro
Il futuro più va avanti più guarda al passato. È così che in mondo distopico si combatte come i gladiatori dell'Antica Roma contro bestie preistoriche per finire ad essere un sacrificio votivo in nome di un importante matrimonio imperiale. Il risultato dello scontro potrebbe però sorprendere tutti: c'è aria di vendetta e di rivoluzione nell'aria. Guest star vocale MrBeast e alla regia di nuovo Miller.
Così Zeke ha scoperto la religione
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Un'immagine dall'ottavo episodio
Torna il tema religioso in Love, Death & Robots e questa volta porta al passato durante la Seconda Guerra Mondiale. L'equipaggio di un bombardiere, celebre per non avere paura di niente, nell'attaccare una Chiesa trova un nemico infermale ad aspettarlo. La conseguenza sarà una lotta con i propri demoni interiori e soprattutto esteriori in cui la soluzione potrebbero non essere le armi canoniche. Dall'animazione volutamente retrò per affrontare l'idea che spesso la fede nasce dal bisogno di conforto in un mondo pieno di incertezze.
Il complotto dei dispositivi intelligenti
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Love, Death & Robots: una scena della stagione 4
Un'altra rivoluzione delle macchine in atto? Non lo sappiamo, ma nella penultima puntata del quarto volume in una sorta di mockumentary vengono intervistati i dispositivi elettronici delle case del futuro, sempre più smart. Dallo spazzolino al water, dalla piastra per i waffle al termostato, ne hanno da dire sui propri padroni: noi umani facciamo una figura orribile e pietosa. Caustico e sarcastico, forse poco nello spirito dello show.
Perché può strisciare
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Il Diavolo in persona
La quarta stagione chiude con un episodio che ci fa fare un tuffo nel passato, addirittura fino al 1700. Un poeta, doppiato da Dan Stevens, è tenuto prigioniero da Satana in persona (Jim Broadbent) in un vecchio manicomio. A fargli compagnia solamente un gatto che potrebbe rivelarsi la soluzione ai suoi problemi grazie al proprio legame con l'Onnipotente e all'alleanza con alcuni felini randagi. Un'animazione 2D mescolata ad elementi in 3D.
Conclusioni
In conclusione Love, Death & Robots 4 prova a variare ancora la propria natura, spaziando nel fantasy, nella musica, nella commedia, ma proprio per questo forse si allontana troppo dal suo core. Alcuni episodi - come da tradizione - sono più riusciti di altri, e le tematiche comuni sembrano essere l'intelligenza artificiale, la religione, l'amore per gli animali e la ribellione, di qualunque tipo si tratti. Un po' come Black Mirror, non è più rivoluzione animata, ma quasi documentario.
👍🏻
I temi affrontati, dalla religione agli animali.
Il coraggio di osare.
Alcune variazioni e sperimentazioni sul tema...
👎🏻
...ma proprio per questo non sempre riuscite.
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multiverseofseries · 16 days ago
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Kaitlyn Dever (Abby) has been officially confirmed as the lead in The Last Of Us Season 3
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multiverseofseries · 17 days ago
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New look at David Corenswet as Superman.
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multiverseofseries · 17 days ago
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The Heartstopper movie is officially in production
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multiverseofseries · 17 days ago
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Mission Impossible 3 (2006)
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Abrams ha realizzato un film fortemente personale, persino (da certi punti di vista) autoriale, e lì dove la sua mano ed il suo stile sono più evidenti ecco che il film vive i suoi momenti migliori.
Il (tele)film di Abrams
Breve cronistoria registica della serie cinematografica di Mission: Impossible. Nel 1996 il primo film viene diretto da Brian De Palma; nel 2000 un primo sequel porta la firma di John Woo. Nel 2005 Tom Cruise, star e produttore della serie, vuole fortemente un terzo capitolo delle avventure di Ethan Hunt e sceglie Joe Carnahan (regista di Narc, film che proprio Cruise contribuì a far distribuire nelle sale americane). Ma Carnahan non sembra voler cedere la propria indipendenza in nome della riconoscenza a Cruise e presto abbandona il progetto per via di non meglio identificate divergenze creative (sottinteso: con Cruise). Dopo alcune settimane di ansie, ecco annunciato il nome del nuovo regista: J.J. Abrams, re delle serie televisive a stelle e strisce, creatore e autore di prodotti come Alias e Lost. Mettendo da parte Carnahan (comunque uomo di cinema, in più di un senso), ha stupito molti la scelta di un nome come quello di Abrams per succedere a calibri registici e autoriali come De Palma e Woo. Indipendentemente da ogni giudizio di merito sui loro film, i due registi hanno infatti firmato pellicole dove è indubbiamente riconoscibile il loro marchio cinematografico, ed erano in molti a pensare che Abrams potesse adagiarsi su uno stile anonimo e poco incisivo alla sua prima, impegnativa esperienza con il grande schermo. Nulla di più sbagliato, perché Abrams ha realizzato con Mission: Impossible III un film fortemente personale, persino (da certi punti di vista) autoriale, e lì dove la sua mano ed il suo stile sono più evidenti ecco che il film vive i suoi momenti migliori.
Mission: Impossible 3, nelle sue linee generali, è un blockbuster a tutti gli effetti, con tutto quello che questa definizione implica in termini positivi e negativi: un film ad alto potenziale d'intrattenimento, senza respiro, adrenalinico, pirotecnico ed esplosivo. Fin troppo, proprio perché (e lo diciamo da subito) soprattutto dalla metà del film in avanti questa spettacolarità inizia a divenire risaputa e ripetitiva, annoiando gli spettatori dai palati più esigenti. Eppure, paradossalmente, questo limite serve a dimostrare l'importanza della mano del regista: il grande merito (forse inconsapevole, ma poco importa) di J. J. Abrams è quello di aver fatto di M:I:3 una sorta di film-provetta dove mostrare al pubblico di tutto il mondo le reazioni derivanti dall'incontro (più che dallo scontro) di due modelli: un modello più tradizionalmente cinematografico ed uno invece proveniente da quello delle serie tv contemporanee - serie che come molti osservatori hanno fatto giustamente notare propongono strutture ed innovazioni stilistico-narrative ben più interessanti di quelle della maggior parte del cinema mainstream.
Se parlavamo di mano autoriale di Abrams ci riferivamo infatti proprio alla positiva sfacciataggine con la quale il regista ha fatto di M:I:3 una sorta di puntatone dilatato (e con personaggi diversi) di Alias. Al posto di Sydney Bristow c'è Ethan Hunt, ma il tema della conciliazione tra attività professionale e vita privata è sempre lo stesso; così come le stesse o quasi le pianificazioni e le esecuzioni delle missioni, l'uso dei travestimenti, il mescolare i sentimenti personali del protagonista con le sue vicissitudini lavorative.
E ancora: forte dell'esperienza maturata in campo televisivo, Abrams ha avuto l'intelligenza di costruire M:I:3 non esclusivamente intorno al personaggio di Cruise (errore ad esempio compiuto da Woo) ma di mettere in pratica quella strategia televisiva (ma non solo) che fa risaltare l'eroe attraverso l'utilizzo, l'importanza e l'attenta caratterizzazione dei personaggi secondari - dai colleghi al villain di turno - e di dare importanza al centro dell'azione attraverso una sottolineatura dei momenti apparentemente interlocutori.
Insomma, autore di una delle televisioni più cinematografiche degli ultimi decenni, Abrams ha dato vita ad un film positivamente televisivo. E non a caso la maggior parte dei limiti e dei difetti del film, pur presenti, emergono proprio quando il regista cerca di fare del "puro" cinema - o meglio, quando si limita a mettere in scena bang bang, esplosioni e sgommate.
La rilevanza di M:I:3 si ritrova (quasi esclusivamente) in questo: nell'aver mostrato come due linguaggi che tradizionalmente si percepiscono lontani e differenziati come quelli televisivo e cinematografico - perlomeno di un certo cinema - oggi sono positivamente vicini e necessariamente si debbano contaminare a vicenda per permettere un'evoluzione reciproca.
Poi si potrebbero fare molte altre annotazioni (dalla performance di Philip Seymour Hoffman che illumina il film ad ogni sua apparizione, alle battute scritte per Laurence Fishburne passando per le belle Michelle Monaghan e Keri Russell - quest'ultima già protagonista di Felicity, altra serie firmata da Abrams). Ma sarebbero, nel complesso, superflue.
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multiverseofseries · 17 days ago
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A new teaser for ‘WICKED: FOR GOOD’ has been released. In theaters November 21.
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