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#dinamica cittadina
divulgatoriseriali · 5 months
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Skateboard: Tra Evoluzione Urbana e Stile di Vita
Lo skateboard è più di uno sport, è una cultura radicata nelle strade urbane. Nato dall’idea di muoversi su quattro ruote, è diventato un simbolo di stile e design. Gli skater non sono solo praticanti sportivi, ma membri di una comunità dalla moda informale e creativa. La cultura si estende dagli skatepark e agli “spot” urbani. La nascita del primo skateboard: quando il surf incontra…
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m2024a · 29 days
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Davide Marcozzi, 😞morto a 4 anni con il torace sfondato: è rimasto schiacciato da un contenitore. Il papà era a pochi metri da lui Una tragedia immensa ha scosso il piccolo comune di Acquasanta Terme in provincia di Ascoli Piceno, nel giorno già triste per il ricordo del terremoto di otto anni fa, che seminò morte e distruzione. Davide Marcozzi, un bimbo di soli quattro anni, ha perso la vita in un incidente domestico, schiacciato sul torace da un contenitore cadutogli addosso accidentalmente mentre si trovava con il padre nel garage della loro casa a Ficciano, una frazione della cittadina termale posizionata tra i Monti della Laga e i Sibillini. È bastato un attimo perché, intorno alle 10 si consumasse l'incidente che ha spezzato la giovane vita di Davide che coi giovani genitori viveva ad Acquasanta Terme da un paio d'anni. Il dramma davanti al padre Il padre è un operaio, impiegato in una ditta della zona, mentre la madre lavora in un ristorante. Il dramma si è consumato mentre padre e figlio erano nel garage, utilizzato come rimessa per attrezzi. Il piccolo, secondo la ricostruzione dei carabinieri di Acquasanta Terme, coordinati dal sostituto procuratore di Ascoli Piceno Gabriele Quaranta, aveva cercato di prendere un contenitore di metallo posizionato su uno scaffale che, improvvisamente, gli è caduto addosso: un fusto metallico reso ulteriormente pesante dal contenuto di oggetti in ferro. Nonostante il papà fosse a pochi metri di distanza, non è riuscito a intervenire perché l'incidente si è verificato troppo rapidamente. Il genitore si è reso conto subito della gravità della situazione e ha chiamato i soccorsi con il numero per le emergenze. Sul posto si sono precipitati i sanitari del 118 della Potes di Acquasanta e un'ambulanza medicalizzata partita dall'ospedale di Ascoli «Mazzoni. Allertato anche l'elisoccorso per un eventuale trasferimento all'ospedale regionale di Torrette ad Ancona. I soccorritori hanno tentato in ogni modo di rianimare Davide per quasi due ore con le procedure previste in casi di schiacciamento del torace. Purtroppo il piccolo non ce l'ha fatta e i sanitari hanno dovuto dichiararne il decesso. Il pm Quaranta si è recato sul posto per accertare la dinamica dei fatti Con lui, i carabinieri di Acquasanta che hanno ascoltato i presenti. La dinamica però era chiara, un tragico incidente domestico, e non sono state disposte altre indagini scientifiche oltre alla ricognizione cadaverica che verrà eseguita presso l'obitorio dell'ospedale Mazzoni dove la salma è stata trasferita. Il sindaco di Acquasanta Terme, Sante Stangoni, ha annunciato che verrà proclamato il lutto cittadino in occasione del funerale del piccolo Davide Marcozzi. «Il 24 agosto è una giornata di grande dolore nel ricordo del terremoto di 8 anni fa; mai - ha commentato - avrei immaginato di doverlo ricordare anche per questa terribile tragedia che colpisce tutta la nostra comunità".
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lamilanomagazine · 4 months
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Bolzano, spaccio di stupefacenti a scuola: il Preside chiede l'intervento della Polizia. Denunciato studente minorenne
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Bolzano, spaccio di stupefacenti a scuola: il Preside chiede l'intervento della Polizia. Denunciato studente minorenne. Continua incessante l’attività della Polizia di Stato volta alla prevenzione ed al contrasto dello spaccio di sostanze stupefacenti. Questa volta l’episodio è accaduto in classe, all’interno di una Scuola Superiore cittadina, dove già in passato, in particolar modo da parte di alcuni genitori, erano stati segnalati episodi di cessione e di consumo di droga tra giovanissimi. Nella mattinata di mercoledì, infatti, il Preside di questo Istituto Superiore ha contattato in Questura gli Uffici Investigativi della Polizia di Stato per chiedere il loro immediato intervento, in quanto un Professore pochi attimi prima si era accorto che un giovane studente 16enne, dopo essere entrato in classe in ritardo, si era avvicinato ad un compagno di classe e gli aveva consegnato una bustina di plastica, presumibilmente contenente sostanze stupefacenti. Richiesto dal Professore di consegnare la bustina e di cosa vi fosse contenuto, lo stesso studente, dopo averla appoggiata sulla cattedra, ammetteva che si trattava di Hashish. Arrivati a Scuola immediatamente dopo la segnalazione i Poliziotti prendevano subito contatti con il Preside, il quale convocava nel suo Studio il Professore e gli studenti coinvolti per riferire alla Polizia quanto accaduto. Questi ultimi – descritti come studenti modello, rimasti sempre tranquilli alla presenza della Polizia, ma tuttavia mortificati per quanto accaduto – confermavano agli Agenti la dinamica dell’episodio, raccontando di essersi accordati qualche giorno prima per la cessione di alcune dosi di Hashish durante le lezioni, cessione peraltro non andata a buon fine per l’intervento del Professore che li aveva scoperti. Inoltre, il 16enne che ha ceduto lo stupefacente al proprio compagno riferiva che era stato proprio lui, pochi giorni prima, sapendolo essere un “consumatore abituale”, ad informarlo di essere in grado di procurargli della “roba buona”. Ricostruita l’intera vicenda, i Poliziotti, dopo aver affidato i due ragazzi ai rispettivi genitori – anch’essi, nel frattempo, convocati a Scuola – procedevano al sequestro della droga, a denunciare il 16enne venditore alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni per il reato di cessione di sostanze stupefacenti, ed a segnalare il coetaneo consumatore al Commissariato del Governo. “Anche questo episodio rappresenta una testimonianza di come lo spaccio ed il consumo di stupefacenti nella nostra Provincia rappresenti un fenomeno tutt’altro che occasionale, una vera e propria piaga che deve essere contrastata a tutti i livelli – ha sottolineato il Questore della Provincia di Bolzano Paolo Sartori –. Questo sforzo comune non può e non deve venir meno, e ciò non solo, come si è detto, per i devastanti effetti che gli stupefacenti producono sui consumatori, in particolare su quelli di giovanissima età (come in questo caso specifico), ma anche per il contesto in cui il traffico di droga trova terreno fertile per la sua diffusione, così come per l’indotto criminale che genera in termini di degrado, microcriminalità e conseguenze sull’ordine e la sicurezza pubblica”.    ... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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personal-reporter · 8 months
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La magia del Vetro
Casa Ravera, edificio di origine medievale nel cuore del piccolo centro, ma assai ricco di iniziative culturali che si dipanano durante tutto l’anno, ospita una nuova mostra del Maestro Silvio Vigliaturo, conosciuto in tutto il mondo. Grazie soprattutto all’Associazione Amici di Bene, in numerose sedi (tutte di sorprendente bellezza) di questa dinamica cittadina a pochi chilometri da Fossano, si…
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wdonnait · 11 months
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Sdraiato sul tetto di una panda dorme sul divano : il video
Nuovo post pubblicato su https://wdonna.it/sdraiato-sul-tetto-una-panda-dorme-sul-divano-il-video/116489?utm_source=TR&utm_medium=Tumblr&utm_campaign=116489
Sdraiato sul tetto di una panda dorme sul divano : il video
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Disteso comodamente sul divano sistemato sul tetto di una Fiat Panda, il video della sorprendente sanzione inflitta dalla polizia di Catania diventa rapidamente un fenomeno virale sui social media.
La scena mostra un’auto di modello Fiat Panda che percorre la circonvallazione della città siciliana con un divano ben piazzato sulla sua sommità, e sopra di esso giace un giovane in modo disinvolto.
Attraverso un‘attenta analisi delle immagini, gli ufficiali del commissariato di Borgo Ognina sono riusciti a identificare la proprietaria del veicolo, una signora di 43 anni, e successivamente hanno risalito all’autista, suo marito di 41 anni.
La dinamica
Il signore e un suo amico avevano, inizialmente, preso in consegna il divano da una loro conoscente desiderosa di liberarsene. Decisero quindi di collocarlo sul tetto dell’auto con l’intenzione di portarlo a casa.
Una volta a bordo del veicolo, un giovane compagno d’avventura si arrampicò sul divano e si distese su di esso mentre il gruppo si incamminava lungo la circonvallazione cittadina. Tuttavia, quando il conducente è stato fermato dalla polizia, si è giustificato affermando di non essersi accorto della presenza del giovane sdraiato sul divano.
Tale spiegazione, giudicata poco credibile dagli agenti, è costata all’autista una multa di diverse centinaia di euro e una significativa perdita di punti dalla sua patente.
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tma-traduzioni · 3 years
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MAG110 - Caso #0121403 - “Film di mostri”
[Episodio precedente]
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MARTIN
Martin Blackwood, assistente d’archivio all’Istituto Magnus, registra la dichiarazione numero 0121403. Dichiarazione di Alexia Crawley, rilasciata il 14 marzo 2012.
Inizio della dichiarazione.
MARTIN (DICHIARAZIONE)
È difficile descrivere a parole il mio rapporto con Dexter Banks. Era una cosa complicata, costruita su ben più di un decennio di disprezzo e interdipendenza. Per molti versi ero più vicina a lui di sua moglie - non che io abbia mai toccato quell’odioso stramboide. E sebbene quegli ossessionati di cinema che insistono che io abbia praticamente diretto tutti i suoi film fanno un torto a entrambi, è vero che senza di me lui non avrebbe raggiunto la fama e l’alta considerazione di cui gode. Godeva.
“Cineoperatore.” Un termine tanto forbito quanto vago. Spesso mi chiedo se sia per quello che siamo una professione tanto sottovalutata. O ancora peggio, quel freddo titolo “Direttore della Fotografia”. Ma siamo noi i veri artisti. Un regista potrà anche letteralmente dare gli ordini per le riprese, ma è il cineoperatore che le realizza. Noi scegliamo le angolazioni, l’illuminazione, praticamente tutto ciò che si vede sullo schermo. La macchina da presa è un pennello, e noi siamo la mano, il braccio, l’occhio. Il regista è praticamente solo la bocca, che emette rumori inutili mentre la mano fa il vero lavoro. Quasi ogni famoso regista si conosca che abbia uno stile visuale distintivo è semplicemente riuscito ad accaparrarsi un direttore della fotografia di talento.
Lavorai per la prima volta con Dexter nel 1997, lavorando come cineoperatrice in Red Ronin. Sembra strano dirlo ora, ma ero onestamente emozionata all’idea di lavorare con lui al tempo. Avevo visto alcuni dei suoi lavori precedenti - Wasteland 7, Dolores, forse un paio di cortometraggi, e ricordo che pensavo sarebbe stato rinvigorente lavorare con un regista che davvero capiva il cinema. Che era immerso in quella storia, e traeva ispirazione da angoli dimenticati del medium. Anche alcuni angoli che sarebbero dovuti rimanere dimenticati.
Sfortunatamente, è venuto fuori che quella era l’unica cosa che capiva. Vedete, Dexter Banks viveva di film. Da quanto potevo dire, ogni singolo aspetto della sua vita girava intorno a essi. Suo padre era stato il proprietario di un piccolo cinema vicino a Fairfax Avenue, e da adolescente lui rimbalzava tra il lavorare lì e in un piccolo noleggio specializzato in film stranieri - soprattutto horror italiani e film est-asiatici di arti marziali. Non ho mai conosciuto qualcuno che sapesse così tanto di cinema, e così poco di qualsiasi altra cosa.
Lavorando con lui, divenne presto evidente che tutto ciò che gli interessava fare era ricreare cose che aveva visto. Prendere scene e musiche che amava da quei vecchi, oscuri angoli del cinema e poi costruire qualunque narrativa rappezzata gli permettesse di girarne una sua versione. Qualunque dialogo non fosse riutilizzato ma scritto da lui in persona era lento e pomposo. Un tentativo di riflettere lo stile di ciò che lo circondava, che falliva miseramente. Una volta gli accennai l’idea di lavorare con uno scrittore. Non lo feci di nuovo.
Red Ronin, per esempio, era basato su un film giapponese dei primi anni ‘70 chiamato La lama del vendicatore. Seguiva la stessa dinamica e le stesse scene dell’originale, ma era ambientato nell’Arizona dei giorni nostri e seguiva un ex marine nichilista nella cittadina fittizia di Funnel. Non era proprio un remake, però. Perché Dexter mi chiamava sempre nella sala di proiezione per mostrarmi qualche altro western o film di samurai di cui non avevo mai sentito parlare, prima di saltare alla scena adatta e gridare, “era quello, lo facciamo così.”
E io lo facevo. Sono molto brava nel mio lavoro. Lo faccio da quasi trent’anni ormai - cinque alla BBC prima di attraversare l’Atlantico - e so con esattezza cosa sto facendo. Si direbbe che ho un talento per il catturare l’atmosfera dei vecchi film, riflettendoli utilizzando comunque inquadrature nuove. A chi importa se annoia a morte da un punto di vista creativo - era esattamente il tipo di roba che i critici amavano, e Red Ronin fu il primo dei film di Dexter a essere nominati per un Oscar. Anche se alla fine perse contro Il paziente inglese. Non fu davvero una sorpresa, era comunque troppo di genere per l’Academy.
Non me ne ero resa conto, ma a quel punto ero già in trappola con Dexter. Avevo ancora l’ambizione di essere io stessa regista un giorno, ma presto divenne evidente che quello non sarebbe accaduto. Forse se avessi avuto un lungometraggio all’attivo prima che rivelassero senza il mio consenso che sono trans le cose avrebbero potuto essere diverse, ma per come andò, quella rivelazione aveva bruciato troppi ponti. E quando le acque si calmarono, mi fu fatto capire chiaramente che non avrei mai ottenuto un mio film, e dovevo scegliere tra fotografia cinematografica o niente.
Così rimasi. Passai un brutto periodo per un paio di anni, e accettai ciecamente la posizione di Direttrice della Fotografia in altri due film di Dexter: Hell’s Company e Leroy Slate. Entrambi furono grandi successi, e quando ricominciai a sentirmi davvero bene con me stessa, ormai mi ritrovavo con la carriera legata così strettamente a quella di Dexter che cercare altri impieghi non era davvero un’opzione. Ancora non ho idea di quanto intenzionale questo sia stato da parte sua, ma era sicuramente cosciente del fatto che era il mio lavoro a elevare i suoi film oltre il semplice omaggio. I suoi periodici attacchi di futile gelosia e sprezzante rancore lo rendevano assolutamente chiaro. Dopo cinque anni e tre film, fu chiaro che ci servivamo a vicenda quasi quanto ci odiavamo a vicenda.
Non so quando abbia nominato per la prima volta il suo film del ragno. Non emerse come vera e propria ossessione fino a due anni fa, ma so che ne aveva parlato molto prima di allora. Ogni qualvolta una discussione su un progetto durava fino a tarda notte, e se era molto ubriaco, si faceva un po’ silenzioso, e poi mi chiedeva, di nuovo, se avessi mai visto Kumo Ga Tabeteiru.
Penso che fosse quello il titolo, comunque - qualcosa del genere. Normalmente sbiascicava molto quando lo diceva. Pensava che si traducesse come “I Ragni Che Divorano”, ma un amico giapponese una volta mi disse che in realtà si avvicina di più a “ragni stanno mangiando”.
Secondo Dexter, Kuno era un vecchio film tokusatsu, che secondo lui era uscito all’incirca nella seconda metà degli anni ‘60. Parlava di un ragno - solo uno, nonostante il titolo - che cresceva fino a una dimensione colossale e terrorizzava una piccola isola senza nome al largo di Kagoshima. Ciò che lo colpiva in quello, però, era la totale assenza di qualcosa anche solo vicino a un eroe o un protagonista. Nessuno combatteva contro il mostro. E anche se c’erano dei siparietti sulla vita di quelli che si trovavano all’ombra del ragno, tutte finivano allo stesso modo: con il personaggio in questione che marciava lentamente e con calma nelle sue fauci in attesa.
Ogni volta che Dexter descriveva questo, i suoi occhi si spalancavano e lui cominciava a cercare di riprodurre il suono che facevano mentre venivano mangiati. Diceva sempre che non lo stava facendo bene, ma i suoi che finiva per fare erano sufficientemente disturbanti.
Da quanto noi siamo riusciti a determinare, il film non è mai esistito. Almeno, non in una forma che abbia lasciato una qualche traccia registrata. Dexter fece ricerche molto più dettagliate al riguardo di quanto io mi sia mai scomodata a fare, e si confrontò con collezionisti di oggettistica di film sconosciuti e con studi di produzione giapponesi da tempo defunti. In effetti mostrò una predisposizione davvero sorprendente alla lingua. Ma furono solo vicoli ciechi su vicoli ciechi. Io finii per guardare una mezza dozzina di diversi film con ragni giganti insieme a lui durante il nostro tempo insieme, e nessuno era giusto. Li guardava mormorando sottovoce “no, no, no,” e masticandosi l’unghia del pollice.
Non mi ha mai davvero dato fastidio. Tra tutte le molte e svariate stranezze di Dexter Banks, la sua leggera ossessione per un film giapponese con un ragno che potrebbe essere o non essere esistito era una delle meno spiacevoli. Almeno, finché non ricevetti la chiamata riguardo al suo ultimo progetto. Mi disse al telefono che stava producendo un nuovo film, che sarebbe stato un capolavoro. Poi cominciò a descriverlo, e non so quanto di quello che provai fosse sensazione di déjà vu, e quanto fosse solo terrore.
Chiesi se avesse trovato una copia del film, o la sceneggiatura, ma lui rise solo. “Meglio,” disse. “Ho trovato il libro su cui era basato.”
Poi riattaccò, e io rimasi a sedere lì, a sentire questa lanciante apprensione che non riuscivo a individuare. Capii cosa mi aveva turbato più tardi. Era una cosa così piccola, ma mi stava davvero assillando. Era l’idea che Dexter potesse mai descrivere un libro come migliore di un film. Così sembra che io lo stia insultando, ma dovreste conoscerlo per capire. Il cinema era tutto per lui. Gli altri media avrebbero anche potuto non esistere.
In ogni caso, andò in produzione. Lo chiamò L’Intreccio della Vedova, e mentre le pagine di copione che portò erano apparentemente basate su questo suo libro senza nome, le inquadrature erano prese dai suoi ricordi della prima versione del film. Ammesso che esistesse da qualche parte che non fosse la sua testa, certo. Parte di me supponeva in segreto che Dexter avesse semplicemente sognato il film e questo libro fosse… eh, non importava. Non davvero. Non c’era dubbio riguardo a se io ci avrei lavorato o no. Era un film di Dexter Banks! E il mio nome era praticamente già nei titoli di coda.
Nella troupe c’erano principalmente i soliti con cui lui aveva lavorato in passato, ma cosa strana per lui, sembrava non avere assolutamente alcun interesse per il casting. Chiese a Debbie Connor, la nostra direttrice del casting, di trovare tanti aspiranti attori sconosciuti e non collaudati quanti fossero necessari per la sceneggiatura. Tenete in mente che a questo punto, qualsiasi attore di serie A avrebbe ucciso per essere in un film di Dexter Banks. Ma a lui non importava. Per quanto continuasse a dirmi che quello era il suo progetto da sogno che era elettrizzato di fare finalmente, sembrava essersi quasi completamente escluso dal vero processo di realizzazione.
C’era un’eccezione a questo. Disse che stava lavorando con Neil Lagorio per fare il ragno. Ora, voi potreste non aver mai sentito prima questo nome, ma posso assicurarvi che avete visto il suo lavoro. Dalla metà degli anni ‘70 fino al CGI, Lagorio era il nome più conosciuto per le creature degli effetti meccanici. Effetti prostetici, stop-motion, animatronic - qualunque fosse il metodo, lui ne era un maestro. Se avete visto un qualsiasi film di genere prima del 2005, praticamente non c’è modo che non abbiate visto una delle sue creature.
I suoi primi lavori erano strettamente horror, ma nei suoi anni migliori ha lavorato praticamente su ogni film campione di incassi che usasse effetti meccanici per mostri e alieni. Ebbi il piacere di lavorare con lui nel 1989 per Orbit, film fantascientifico a medio budget pensato per una qualche star del cinema d’azione avanti con gli anni. Neil lavorava a un robot animatronico alto 12 piedi che appariva molto nel climax. Il film fu, senza sorpresa, un flop, ma ricordo ancora il suo lavoro. Come aveva dato vita a un blocco di legno e metallo, gli enormi meccanismi intricati che permettevano alla sua troupe di muoverlo come un burattino con un movimento così naturale che ci si poteva dimenticare che la sua parte posteriore era completamente vuota.
Tra tutti i cambiamenti nel comportamento di Dexter, il suo entusiasmo all’idea di lavorare con Neil Lagorio era l’unica cosa che anch’io condividevo. Non che abbia avuto modo di fare nulla con quell’entusiasmo. Quando la produzione cominciò, Dexter divenne teso e riservato. Ci disse che aveva predisposto un laboratorio per Lagorio e il suo team in uno dei più grandi spazi vuoti del set. Ma nessuno tranne lui aveva il permesso di entrare, o di avere alcun contatto con il dipartimento di effetti meccanici.
Era strano, ma a nessuno venne in mente di protestare. Una volta che Dexter aveva un’idea in testa, ti avrebbe sbattuto fuori dal set se avessi cercato di cambiarla. Quando c’era davvero bisogno che questo accadesse, in genere la gente si rivolgeva a me perché lo facessi, visto che ero l’unica che loro considerassero non licenziabile. E questa volta lo feci, dicendo che avevo lavorato con Neil in passato e avrei davvero voluto avere l’opportunità di rivederlo. Dexter spiegò seccamente che negli anni della pensione Neil era diventato solitario, e aveva accettato di lavorare a questo film solo in condizioni di privacy assoluta. Non insistetti. Non sembrava il genere di battaglia in cui sprecare la mia energia.
E ci furono sicuramente molte altre battaglie quando cominciarono le riprese. Se vi state chiedendo quanto facile sia ricreare inquadrature che esistono solo nella memoria annebbiata di un eccentrico, o comporre delle scene per cui hai ricevuto il copione pieno di errori solo la mattina precedente, posso dirvi: non è facile. Non è per niente facile. E le continue sfuriate di di Dexter non aiutavano. Sbatteva gente fuori dal set per le minime offese immaginate, o gettava via un intero giorno di riprese perché “semplicemente non sembrava giusto.” Stavamo esaurendo i soldi e la volontà più velocemente di quanto io avessi mai visto, anche nel più raffazzonato dei suoi progetti più vecchi.
Il cast mi sorprese davvero, però. La maggior parte era appena uscita da una scuola di recitazione, con forse un paio di pubblicità all’attivo, e alcune facce più vecchie avevano chiaramente passato la maggior parte della loro vita a farsi sbattere porte in faccia fino a quel momento. Il più notevole per me, però, era un tizio di nome Brandon Omar. Interpretava la cosa più simile a un protagonista ci fosse nel film, un ex ministro metodista senzatetto che si ritrovava sull’isola per caso, e fungeva da filo conduttore, vagando tra le scene e i siparietti degli abitanti dopo che ognuno finiva con la loro marcia nel ragno.
Brandon entrò immediatamente nella parte, con una serietà e una stanchezza che non penso potesse stare fingendo completamente. Era l’unico che non sembrasse entusiasta del film, e passava le sue ore libere a fumare e leggere in silenzio in una delle roulotte. Era un peccato, perché per qualche ragione, sembrava anche essere l’unico che Dexter ascoltava. Li vidi parlare solo una o due volte, ma ogni volta, Dexter era assorto, e annuiva a qualunque cosa Brandon avesse da dire.
Ovviamente, non avevo mai davvero il tempo di pensarci. Ottenere anche le inquadrature più semplici si rivelava essere un compito quasi impossibile, con Dexter che pretendeva continuamente di cambiare l’intera impostazione senza alcun motivo. Come ho detto, sono eccellente al mio lavoro, ma per dargli ciò che voleva dalle riprese avrebbe dovuto effettivamente sapere lui cosa fosse. Le sue istruzioni avevano un che di energia nervosa e frenetica, e se non lo avessi conosciuto, avrei anche potuto dire che non aveva solo paura che le inquadrature potessero non funzionare, aveva paura dell’idea.
E quindi andò così, per le prime settimane. Dexter chiaramente non dormiva. Insisteva sull’utilizzare strumenti vecchi, ed evitava il digitale quasi completamente, al punto che molti membri della troupe usavano strumenti che non avevano mai visto prima. Questo significava che si doveva stampare manualmente la versione per i dailies, cosa che lui si rifiutava di lasciar fare a qualcun altro. Quando le riprese terminavano, rimaneva in cabina di montaggio per ore, a preparare i dailies, anche se per questi non sarebbe dovuto servire alcun montaggio. E quando li guardavamo, spesso notavo che mancavano alcune riprese, cose che ero sicura avevamo filmato. Gliene parlai una volta, e lui mi diede in faccia della bugiarda.
Lo interruppi mentre preparava i dalies solo una volta. Un’attrice che da programma avrebbe dovuto girare il giorno successivo si era ammalata improvvisamente. La troupe aveva bisogno del suo via libera per cambiare la pianificazione. Nessun altro osava entrare, quindi nuovamente toccò a me avventurarmi da sola in quella stanza minuscola.
L’interno era buio, illuminato solo dalla luce che entrava dalla porta aperta. Sentivo un suono come il ruotare di una vecchia bobina, ma non riuscivo a capire da dove venisse. Restai lì in piedi, incapace di entrare, non per la paura, ma perché in tutta la stanza si intrecciavano strisce di pellicola cinematografica. Su e giù, da un lato all’altro, avvolgendosi e arrotolandosi l’una all’altra. Allungai cautamente una mano e ne toccai una. E quando lo feci, Dexter sembrò emergere dall’oscurità. All’inizio pensai che fosse più alto del solito, ma poi mi accorsi che era leggermente sospeso dalle strisce di pellicola, i suoi piedi a due pollici buoni dal pavimento.
Fu molto calmo mentre mi chiedeva cosa volessi, e quando spiegai balbettando la situazione, semplicemente annuì e disse che ci saremmo dovuti sentire liberi di riorganizzare come preferivamo. Poi chiuse la porta, e io me ne andai. Cercando in tutti i modi di convincermi che avesse solo due braccia.
Le riprese continuarono, ma c’era una crescente consapevolenza in tutta la troupe che non avevamo ancora avuto notizie di Neil Lagorio. Nessuno l’aveva incontrato sul set, o aveva visto lui o il suo team entrare o uscire dal laboratorio dove teoricamente si stava costruendo il ragno. Nessuno aveva sentito suoni di lavoro provenire da lì dentro, e girava voce che Dexter fosse finalmente andato fuori di testa, e che il laboratorio fosse vuoto. Avevamo girato tutte le scene che potevano essere fatte senza di quello, e tutti stavano diventando davvero impazienti.
Finalmente, Dexter annunciò che era tempo per lo svelamento. Perché il ragno, kumo, facesse la sua apparizione. Eravamo tutti emozionati mentre ci assembravamo fuori dal laboratorio, ma c’era un’energia nervosa nell’aria quel giorno. Faceva quanto più freddo possa fare a Los Angeles, ma il brivido che ci attraversò quando lui ci disse che era il momento fu causato da qualcosa di completamente diverso.  
Dexter ci disse che gli attori l’avrebbero visto per primi. Non diede alcuna motivazione per questo, e zittì le proteste di un paio di membri della troupe con un’occhiataccia crudele. Poi radunò il cast e, con Brandon davanti a tutti, li portò attraverso una piccola porta sul lato del laboratorio. E sparirono all’interno.
Ho ripensato così tante volte a quei minuti, cercando di decidere se io abbia sentito o visto qualcosa che potrebbe spiegare ciò che successe dentro a quell’edificio. Ma alla fine, devo ammettere che non fu così. Passarono dei minuti, poi mezz’ora, mentre aspettavamo con impazienza che Dexter o gli altri tornassero.
Sembra un macabro scherzo cosmico il fatto che quello fu il giorno in cui la stampa diede la notizia della morte di Neil Lagorio. Mezz’ora dopo che il cast era entrato in quell’edificio, uno dei macchinisti si imbatté nella notizia mentre guardava oziosamente il telefono. Lagorio aveva sofferto in privato di Parkinson per quasi un decennio, ed era rimasto confinato a letto nella sua casa in Connecticut per l’ultimo anno.
A quel punto capimmo che, qualunque cosa stesse succedendo in quell’edificio, non era Neil Lagorio che presentava una nuova creazione animatronic. Ancora una volta, tutti gli occhi si rivolsero verso di me.
Non sono ancora sicura di cosa vidi dall’altro lato di quella porta. Probabilmente non vidi
nulla, come i poliziotti che arrivarono poco dopo. Il posto era completamente vuoto dopo tutto, proprio come le voci avevano sempre detto. Ma non sarei qui a parlare con voi se pensassi che questo sia vero, giusto?
Perché ricordo quel primo momento - quell’istante in cui guardai in su appena entrai. Lo vidi, perfettamente intrecciato con un centinaio di bozzoli, che si contorcevano e dondolavano, allungandosi sopra di me. E al centro, quegli occhi neri e scintillanti che osservavano la mia entrata. Le zampe che si muovevano così velocemente che le vedevo sfocate. Le zanne che facevano gocciolare il loro veleno su Dexter Banks. Poi, in un momento, quello sparì - scappando nel nulla, tirandosi dietro la sua tela impossibile.
Non ho mai saputo descrivere il mio rapporto con Dexter, e ancora non so farlo. Come fosse coinvolto, e quanto restò semplicemente impigliato nelle sue nevrosi e le sue paure, non lo so. So che non meritava ciò che gli è accaduto.
Ho trovato il libro, comunque. E gli ho dato fuoco. Se mai dovessi rintracciare l’uomo che prima lo possedeva, potrei dare fuoco anche a lui.  
MARTIN
Fine della dichiarazione.
Penso che Alexia possa essere un po’ in ritardo su questo fronte. Voglio dire, penso sembri un libro di Jurgen Leitner. Sui ragni. Hm. È un bene che Jon non abbia dovuto leggere questa, comunque. So che non è un fan. Anche se questa non era così male a dire il vero! Io- già. Comunque.
Questa è, suppongo, una spiegazione della scomparsa di Dexter Banks, insieme a circa cento membri del cast, nel 2012. Non c’è molto che io possa davvero aggiungere che non sia stato già sviscerato da un centinaio di diverse riviste scandalistiche e programmi di misteri. Anche l’angolo, um, aracnide è stato coperto, visto che sembra che quando noi non siamo stati molto d’aiuto, Alexia Crawley abbia raccontato l’intera storia alla stampa. Non fu trattata con gentilezza, e rifiuta di discutere ulteriormente gli eventi. Poverina.
Già, ma Basira è riuscita a ottenere alcune cose da recenti documenti della Polizia di Los Angeles che ancora non sono stati rilasciati al pubblico. Anche se è un po’ evasiva riguardo a come li abbia ottenuti.
A quanto pare, nel corso degli ultimi cinque anni, ogni febbraio un cadavere viene ritrovato arenato a Redondo Beach. Sono gusci svuotati, a cui sono stati apparentemente rimossi tutti i liquidi e gli organi interni. Solitamente i cadaveri non sono identificabili, ma quello che si è arenato l’anno scorso è stato confermato essere Chadwick Frazier, un aspirante attore che era scomparso nel 2012, e la cui pagina IMDB indica un’ultima apparizione in L’intreccio della Vedova.
Um. Qu-questo è quanto.
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MARTIN
-no, questo non ha senso! Può farlo?
BASIRA
Non lo so. Immagino di sì.
MARTIN
Quindi cosa, può semplicemente entrarti nella testa e metterci dentro qualcosa?!
BASIRA
Non lo so. Immagino di sì.
MARTIN
Voglio dire. Almeno deve essere una cosa vera? Sappiamo, sappiamo di per certo che non stia mentendo, tipo, tipo mentendo magicamente?
BASIRA
Non lo so.
MARTIN
Giusto, giusto, giusto. Scusa. È solo - è molto da metabolizzare, sai.
BASIRA
Soprattutto per Melanie, già.
MARTIN
Oh, certo, sì. Scusa.
BASIRA
Senti, non è con me che devi - [sospira].
Non possiamo semplicemente ignorarlo.
MARTIN
Beh, già, ma cosa - neanche sapevamo che potesse fare una cosa del genere! E se c’è dell’altro che potrebbe farci?
BASIRA
Non gliela faremo passare liscia.
MARTIN
Non è quello che ho detto.
BASIRA
Senti, Martin. So che ti preoccupi. Lo so. Ma preoccuparsi non è abbastanza. Non puoi semplicemente startene vicino a qualcuno con una tazza di tè e sperare che tutto vada bene.
MARTIN
Questo. Non è. Giusto. Neanche mi conosci.
BASIRA
Provalo. Ci serve qualcosa. Perché se semplicemente gli lasciamo -
MARTIN
Oh, ci-ciao! Hey, hey Melanie, ug, posso prendertiii - una… tazza… di… tè?
MELANIE
Quindi te l’ha detto?
BASIRA
Abbiamo bisogno di tutti, se vogliamo avere una possibilità.
MELANIE
Giusto.
MARTIN
Che mi dite di Tim?
MELANIE
Tim è…
BASIRA
Elias lo tiene d’occhio troppo attentamente.
MELANIE
Probabilmente tiene d’occhio anche me.
MARTIN
Potremmo, uh, potremmo provare nei tunnel! Jon dice che potrebbero essere d’aiuto!
MELANIE
Giusto.
BASIRA
O forse… quando non sto prestando attenzione. Distratto, come durante la tua, um, la tua valutazione delle prestazioni.
MELANIE
Aspetta, cosa intendi?
MARTIN
Sì, cosa?
BASIRA
Beh, stavo uscendo, e Martin, ti ricordi che hai fatto cadere quell’enorme pila di fogli?
MARTIN
Io, io, non sarebbero proprio dovuti essere lì! In più, io li ho sistemati!
BASIRA
Ma non nell’ordine giusto. E quando li ho portati su a Elias ieri, lui ha chiesto perché fossero in disordine.
MARTIN
N… Non gli hai detto che ero stato io…?
BASIRA
Non è quello il punto, Martin. Il punto è -
MELANIE
Non ti stava guardando. Era occupato.
BASIRA
Già.
MARTIN
Aspetta…
BASIRA
Non qui. Nei tunnel.
MARTIN
Giusto, giusto, giusto.
[PAUSA]
MARTIN
[voce che riecheggia nei tunnel] Melanie, mi, mi dispiace davvero che tu… mi dispiace.
MELANIE
[voce che riecheggia nei tunnel] Sì…
[CLICK]
[Traduzione di: Silvia]
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magicnightfall · 4 years
Text
QUOTH THE RAVEN, “EVERMORE”
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Il titolo di questo post è un richiamo alla poesia Il corvo di Edgar Allan Poe. I più acculturati di voi potrebbero pensare che una simile scelta stia a sottolineare un qualche parallelismo tra il poema stesso, che parla di un amore ormai perduto, e l’ultimo disco a sorpresa di Taylor Swift, evermore.
I più acculturati di voi sbaglierebbero.
Perché come lo scrittore di Boston se ne stava svaccato in poltrona a meditare su un qualche tomo, quando la sua tranquillità fu turbata all’improvviso dalla visita di un corvo che ripete all’infinito la parola “Nevermore”, così io me ne stavo svaccata sul divano a meditare sugli episodi natalizi dei Simpson, quando la mia tranquillità fu turbata dalla notifica di un tweet di Taylor che annunciava “evermore”.
Avete presente casa Banks, in viale dei ciliegi 17, prima che l’ammiraglio Boom cannoneggi l’ora esatta, in cui tutti si mettono ai posti di manovra? Ecco, in quel momento l’internet era uguale: tutti che correvano ai posti di manovra cercando di parare il colpo che un nuovo disco a sorpresa avrebbe inflitto sulle nostre menti imbelli, che ancora stavano tentando di metabolizzare la maestosità di folklore.
Io quasi me l’immagino, Taylor, seduta su una sedia girevole con un gatto sulle gambe, mentre osserva il dipanarsi del caos che ha appena creato, come una Bond villain qualsiasi. Perché secondo me c’è malizia. C’è premeditazione. Non è tanto il voler donare arte al mondo, quella è solo la scusa con cui impacchettare le sue malefatte, per dar loro una parvenza di rispettabilità: lei, il mondo, vuole solo vederlo comburere.
(beccate questa, Taylor, non sei l’unica gattara a saper usare i paroloni)
D'altronde, è anche vero che ci sono modi peggiori di terminare un anno (specie uno catastrofico come il 2020) e quindi, per la seconda volta nel giro di pochi mesi, vi presento
il Tomone 6.0.™.
RIGHT DOWN THE RABBIT HOLE
willow
[Taylor Swift, Aaron Dessner]
La canzone che apre l’album è caratterizzata da una particolare levità, con una melodia che è subito orecchiabile e molto difficile scrollarsi di dosso.
Tematicamente, questa canzone potrebbe essere un ulteriore tassello nella dinamica tra Betty, James, e il flirt estivo di quest’ultimo, la misteriosa “august girl”. In particolare, willow sembrerebbe narrare proprio l’inizio della tresca, perché vi sono riferimenti espliciti alla clandestinità (“Head on the pillow, I could feel you sneaking in”;“Wait for the signal and I'll meet you after dark”). Anche quel “wreck my plans” mi fa propendere per questa interpretazione, perché dubito che nei piani di vita della “august girl” vi fosse quello di diventare l’amante di qualcuno, con tutte le conseguenze — negative — del caso.
Nel descrivere la canzone, Taylor ha detto che le dà l’idea di un incantesimo lanciato per far innamorare qualcuno, e in effetti in tutto il testo si respira quest’atmosfera di incantamento, quasi di perdita del libero arbitrio (“The more that you say, the less I know / wherever you stray, I follow”, “Life was a willow and it bent right to your wind”), un po’ come nella fiaba del pifferaio magico.
Il video, invece, è la diretta prosecuzione di quello di cardigan, e riprende il concetto del filo invisibile che lega tra loro due persone.
#AlcoholicCount: 1 (wine)
#CurseWordsCount: 0
#MurderCount: 0
#FavLyrics: “Show me the places where the others gave you scars”
champagne problems
[Taylor Swift, William Bowery - aka Joe Alwyn]
“Champagne problems” è un modo di dire per indicare un problema che, se paragonato a situazioni ben più gravi (la povertà, Matteo Salvini, la malattia, Matteo Salvini, la guerra, Matteo Salvini, la pandemia, Matteo Salvini), appare in fin dei conti risibile. Insomma, di che ti lamenti, che c’è chi sta peggio. Ciò non toglie che sia comunque un problema che ci fa star male (non sarebbe tale, altrimenti) e, pur riconoscendo una certa posizione di privilegio di chi si duole di un problema meno grave rispetto a un altro, non è nemmeno corretto minimizzarlo (se non altro per l’effetto valanga).
Così, qualcuno potrebbe considerare uno “champagne problem” il rifiuto di una proposta di matrimonio; si può prenderla con filosofia e decidere che non era altro che il modo che aveva l’universo per dirci che la vera felicità era già prevista allo svincolo successivo, siamo noi che abbiamo girato troppo presto (“But you'll find the real thing instead / She'll patch up your tapestry that I shred”). Nondimeno, è del tutto lecito soffrirne.
Taylor trasla la metafora del problema-non-problema-un-po’-problema al caso concreto attraverso lo champagne che, dall’espressione idiomatica, giunge a essere proprio quel Dom Perignon acquistato per celebrare — perlomeno quella era l’idea — una lieta occasione.
In questa canzone si respira tutta l’incredulità della persona rifiutata: i versi “Because I dropped your hand while dancing / left you out there standing” e “You had a speech, you're speechless / love slipped beyond your reaches / and I couldn't give a reason” creano l’immagine definita di qualcuno che all’improvviso viene mollato lì, così, senza una spiegazione, incapace di rendersi conto di cosa sia appena successo. E nel momento in cui lo si realizza, be’, si va in pezzi (“Your heart was glass, I dropped it”). Chissà se, tra gli invitati alla festa, ci fosse anche un Bart Simpson che poi, pronto col telecomando, facendo avanzare i fotogrammi, possa “persino individuare il secondo preciso in cui il suo cuore si spezza a metà”.
#AlcoholicCount: 9 (champagne, bottle, Dom Perignon)
#CurseWordsCount: 1 (fucked)
#MurderCount: 0
#FavLyrics: “You had a speech, you're speechless / love slipped beyond your reaches / and I couldn't give a reason”
gold rush
[Taylor Swift, Jack Antonoff]
Per quanto questa canzone mi sia piaciuta fin da subito, se devo essere sincera il titolo aveva creato in me aspettative di un poema epico sulla vera corsa all’oro. Avete presente, no? Il Klondike, lo Yukon, Jack London, le slitte per Dawson, cose così. Insomma, mi aspettavo una storia su un evento storico, e non una metafora, ma fa niente: quando sarò in vena di cercar pepite mi rivolgerò al tastierista dei Nightwish Tuomas Holopainen e al suo splendido Music Inspired by the Life and Times of Scrooge, in cui ha trasposto in musica la saga di Zio Paperone del fumettista Don Rosa.
gold rush è, innanzitutto, una canzone sulla gelosia che si prova nel vedere il centro del nostro interesse essere il centro dell’interesse di altri (“I don't like that anyone would die to feel your touch / Everybody wants you / everybody wonders what it would be like to love you”), proprio come l’oro lo era per tutti i minatori. Ma è anche una canzone sull’alzare bandiera bianca: dopo aver messo ripetutamente in chiaro, forse in modo quasi ossessivo, di non amare l’idea della competizione (tutti quei “don’t like”), alla fine si decide di rinunciare del tutto, e quella pepita che per un po’ si era riusciti ad afferrare (“I call you out on your contrarian shit / And the coastal town / we wandered round had never / seen a love as pure as it”) viene lasciata andare (“I won't call you out on your contrarian shit / And the coastal town / we never found will never / see a love as pure as it”).
#AlcoholicCount: 0
#CurseWordsCount: 2 (shit)
#MurderCount: 0
#FavLyrics: “Eyes like sinking ships / on waters so inviting / I almost jump in”
‘tis the damn season
[Taylor Swift, Aaron Dessner]
È probabile che ’tis the damn season e dorothea siano due facce della stessa medaglia. Se fosse, il punto di vista qui è di Dorothea, che ritorna per le vacanze di Natale nella cittadina in cui ha vissuto prima di diventare famosa.
È interessante notare quanto i toni dei due brani siano differenti: qui si indulge nella malinconia, e il passato viene ricordato con rimpianto (“And the road not taken looks real good now”; “And the heart I know I'm breaking is my own / to leave the warmest bed I've ever known”); in dorothea l’altra persona quasi dà per scontato che le cose dovessero andare come sono andate. Il domandarsi “Chissà se ogni tanto si ferma a pensarmi?”, seguito da quel “Sai, puoi sempre mollare tutto e tornare” non assurge mai al rango di una vera e propria presa di coscienza sull’importanza che si è avuta nei confronti di Dorothea; è solo un sogno a occhi aperti alimentato, più che da un reale desiderio, da una mera curiosità, che prende vita nel momento in cui si vede Dorothea sullo schermo, o sulle pagine di un giornale, per poi morire quando lo schermo sfuma al nero, o la pagina viene girata.
’tis the damn season è ammantata da un’atmosfera di rassegnata mestizia, veicolata da espressioni come “cold”, “gogs up windshield glass”, “bad perfume”. Paradossalmente, quell’immagine delle ruote infangate del furgone, che in condizioni normali sarebbe altrettanto “negativa”, qui invece è l’àncora ai bei ricordi di un tempo che fu, ma ormai perduto.
#AlcoholicCount: 0
#CurseWordsCount: 5 (“damn”, compresa quella nel titolo)
#MurderCount: 0
#FavLyrics: “And the road not taken looks real good now”
tolerate it
[Taylor Swift, Aaron Dessner]
Cold As You, White Horse, Dear John, All Too Well, All You Had To Do Was Stay, Delicate, The Archer, my tears ricochet e, infine, tolerate it: la traccia n. 5 degli album di Taylor è sempre una traccia peculiare; con l’eccezione di Delicate, vi si veicola sempre una certa dose di afflizione (perfino in All You Had To Do Was Stay, nonostante il suo beat possa far immaginare il contrario).
In questa canzone si racconta dell’atteggiamento scostante di una persona nei confronti di un’altra. È un rapporto di coppia in cui tutti gli sforzi di una per far funzionare la relazione (“I sit and watch you, I notice everything you do or don't do”; “Use my best colors for your portrait”; “I greet you with a battle hero's welcome”;) si scontrano contro la protervia dell’altro, un’arroganza che deriva evidentemente dal credersi migliore (si percepisce infatti un sentimento di inferiorità della voce narrante —“You're so much older and wiser and I / I wait by the door like I'm just a kid” — al punto che arriva a domandarsi se non sia invece lei, da persona meno “saggia”, ad aver frainteso tutto — “If it's all in my head tell me now / tell me I've got it wrong somehow”), e finanche contro una sorta di insofferenza (“Always taking up too much space or time”). Col risultato che tutto l’amore, anziché venir celebrato, viene soltanto tollerato: non è nulla di più di una scocciatura.
Sebbene l’ispirazione dichiarata di questa canzone derivi dal romanzo “Rebecca, la prima moglie” di Daphne du Maurier (diventato anche un film di Alfred Hitchcock), non è difficile trovarvi temi e concetti da Taylor già affrontati in altri brani. Per esempio, a me sono venute in mente Dear John (“Don't you think I was too young / to be messed with”, “Well maybe it’s me / and my blind optimism to blame”; “Never impressed by me acing your tests”), Tell Me Why (“Why… do you have to make me feel small”), Cold As Yoy (“You put up walls and paint them all a shade of gray / and I stood there loving you and wished them all away”; “You never did give a damn thing honey but I cried, cried for you / And I know you wouldn't have told nobody if I died, died for you”), perfino We Are Never Ever Getting Back Together (“With some indie record that's much cooler than mine”).
#AlcoholicCount: 0
#CurseWordsCount: 2 (shit)
#MurderCount: 0
#FavLyrics: “I made you my temple, my mural, my sky / Now I'm begging for footnotes in the story of your life”
no body, no crime [feat. HAIM]
[Taylor Swift]
Lo scettro per la canzone più brillante di evermore ce l’ha senza ombra di dubbio no body, no crime. Finalmente, l’ossessione di Taylor per la serie poliziesca Law & Order paga, e noi ne guadagniamo la divertente narrazione (mi auguro non autobiografica) di un omicidio. Quando l’ho fatto presente a mio fratello, mi ha risposto: “Capirai, nulla che i Carach Angren non abbiano già cantato”. Oh be’, in ogni caso non è mai troppo tardi per darsi alla cronaca nera, dico io.
Questo brano è il racconto lineare, ma sapientemente articolato, dell’uccisione di un uxoricida fedifrago, e già le sirene della polizia nell’intro (lasciatemi credere che l’ispirazione derivi da Hanno ucciso l’uomo ragno) contribuiscono a delineare una precisa atmosfera di gusto giallo.
La canzone è una vera e propria escalation: si comincia con una donna, Este, che fiuta il tradimento da parte del marito (“Her husband's acting different and it smells like infidelity”; “She says, that ain't my merlot on his mouth/ That ain't my jewelry on our joint account”), si prosegue con la misteriosa scomparsa della stessa Este (“Este wasn't there / Tuesday night at Olive Garden at her job / or anywhere” / “He reports his missing wife”) e con delle circostanze piuttosto sospette, che fanno ritenere un tentativo di depistare l’analisi forense sulla scena del crimine (“And I noticed when I passed his house his truck has got some brand new tires”). Che poi l’amante del marito si trasferisca a casa, be’, a questo punto è proprio il minimo che ci si possa aspettare.
La piega che prende la canzone a partire dalla terza strofa è tutto fuorché inaspettata, perché Taylor ci ha indirizzati lì con un crescendo ben costruito (e sottolineato da quei “But I ain't letting up until the day I die” nei due precedenti ritornelli). E qui scopriamo che il marito assassino è sulla buona strada per venire assassinato a sua volta: c’è la barca con cui far sparire il corpo (Dexter Morgan dice “ciao”), c’è la pulizia della scena del crimine, c’è l’alibi falso, c’è la macchinazione verso l’amante che avrebbe anche il movente (che propizio tempismo, quello di aver stipulato un’assicurazione sulla vita del morto).
La canzone termina, a chiusura del cerchio, con una variazione del ritornello: al posto di “lui” (il marito) quale sospettato dell’omicidio di Este ora c’è “lei” (l’amante) quale sospettata dell’omicidio di lui; infine, di nuovo “lui” ma stavolta al posto del secondo “io” nel verso relativo al non lasciar perdere. In questa frase in particolare, ripetuta e lasciata in sospeso su “he”, viene omesso fino all’ultimo il riferimento alla morte (a differenza di quando è riferita alla voce narrante), ma ormai era evidente, visto anche il passaggio dal tempo presente – “I ain’t” — al tempo passato — “I wasn’t”, quale sarebbe stata l’ultima variazione. E anche se era evidente, e sapevo dove Taylor sarebbe andata a parare, quando ho sentito quel “died” non ho potuto fare a meno di esultare. Tiè.
#AlcoholicCount: 2 (wine, merlot)
#CurseWordsCount: 0
#MurderCount: 2 (Este, il marito di Este)
#FavLyrics: “Este's been losing sleep / Her husband's acting different and it smells like infidelity”
happiness
[Taylor Swift, Aaron Dessner]
Ascoltando happiness si entra per forza in un universo parallelo dove le leggi che governano il mondo naturale non valgono, perché mi rifiuto di credere che questi siano cinque minuti e quindici secondi di canzone. Ho capito la teoria della relatività e tutto il cucuzzaro, ma qui si rischia di minare i principi fisici alla base del tempo istesso.
La canzone si apre con un’immagine allegorica, il trovarsi “sopra gli alberi”, che permette di stabilire lo stato d’animo della voce narrante che riflette su una relazione terminata: ci si trova non letteralmente al di sopra degli alberi ma in un luogo mentale di sufficiente (seppur non completo) distacco per cui si è in grado di fare una valutazione obiettiva di ciò che è stato (“Honey, when I'm above the trees / I see this for what it is”). Nonostante l’epilogo infelice, infatti, c’è l’onestà intellettuale di riconoscere gli aspetti positivi (“In our history, across our great divide / there is a glorious sunrise”; “But there was happiness because of you”; “[…] seven years in Heaven”).
Non si è ancora, tuttavia, arrivati a quella maturità emozionale per cui si è in grado di lasciarsi tutto alle spalle: “But now my eyes leak acid rain on the pillow where you used to lay your head”; “I hope she'll be your beautiful fool / who takes my spot next to you / No, I didn't mean that / sorry, I can't see facts through all of my fury”. Ma d’altronde lo si ammette: “You haven't met the new me yet”.
L’assunto sviluppato nei ritornelli, tuttavia, ci fa capire che prima o poi si arriverà al punto in cui ci sarà (di nuovo) la felicità. Basta solo darle tempo.
#AlcoholicCount: 0
#CurseWordsCount: 1 (shit)
#MurderCount: 0
#FavLyrics: “In our history, across our great divide / there is a glorious sunrise”
dorothea
[Taylor Swift, Aaron Dessner]
dorothea è la storia di una ragazza che ce l’ha fatta. Di una ragazza che ha inseguito i suoi sogni, che ha lasciato i confini limitanti di una cittadina di provincia e ha fatto fortuna. Qui è un suo vecchio amore giovanile che la ricorda. Probabilmente è diventata un’attrice famosa (“A tiny screen's the only place I see you now”, “Selling dreams / selling make up and magazines”), e si è circondata di amici altrettanto famosi (“You got shiny friends since you left town”). Ma quello che, dall’esterno, è visto come un sogno scintillante, potrebbe in realtà avere i suoi coni d’ombra. Lo sguardo di Dorothea brillava di più quando era a Tupelo, in Mississippi (“The stars in your eyes / shined brighter in Tupelo”), rispetto a dovunque si trovi ora (presumo Los Angeles, menzionata in ’tis the damn season), e se volesse potrebbe sempre mollare tutto e ritornare alle origini (“But it's never too late / to come back to my side”). Non che l’amore giovanile pretenda alcunché da Dorothea, né un effettivo ritorno né di essere pensato, ma è solo bello sognare di fare ancora parte della vita di qualcuno, quella vita che sembra così bella e perfetta, anche solo come vago ricordo.
Dorothea sembrerebbe l’altra metà di ’tis the damn season, però a punti di vista invertiti.
A me ha fatto venire in mente anche un’altra canzone, Queen of Hollywood dei Corrs. È la stessa storia: una ragazza parte da casa per inseguire un sogno, e lo raggiunge. Solo che anche in questo caso il sogno ha i suoi risvolti oscuri (qui, forse, ben più oscuri che in dorothea): “Now her mother collects cut-outs / and the pictures make her smile / but if she saw behind the curtains / it could only make her cry / She's got hand prints on her body / sad moonbeams in her eyes / not so innocent a child”.
#AlcoholicCount: 0
#CurseWordsCount: 0
#MurderCount: 0
#FavLyrics: “And if you're ever tired of being known / for who you know / you know, you'll always know me”
coney island [feat. The National]
[Taylor Swift, Aaron Dessner, Bryce Dessner, William Bowery - aka Joe Alwin]
Questo brano è un po’ il risarcimento morale per la parte di evermore (canzone) che non mi piace: la voce bassa e vibrante di Matt Berninger qua compensa quella alta di Justin Vernon di là.
Strutturalmente, coney island richiama exile, con due voci diverse che esprimono due punti di vista; entrambi hanno domande ma nessuno ha le risposte. L’intera canzone è pervasa da una malinconia nostalgica, in cui i ricordi riaffiorano prepotenti: da una panchina di Coney Island si tornano a rivedere, come fossero un film, scene di una vita passata, e si finisce col chiedersi cosa sia andato storto e quali potessero essere, di ognuno, le mancanze che hanno condotto a quell’epilogo.
Tra l’altro, è interessante notare come una delle cose per cui qui si domanda scusa è il non aver messo l’altra persona al centro delle proprie attenzioni (“Sorry for not making you my centerfold”, dove centerfold è il paginone centrale delle riviste), ed esattamente di questo ci si lamentava — a parti inverse — in tolerate it: in una stessa metafora editoriale, là si doveva pregare di essere considerati almeno una nota a piè di pagina (“Now I'm begging for footnotes in the story of your life”).
#AlcoholicCount: 0
#CurseWordsCount: 0
#MurderCount: 0
#FavLyrics: “Will you forgive my soul / when you're too wise to trust me and too old to care?”
ivy
[Taylor Swift, Jack Antonof, Aaron Dessner]
L’edera (ivy) è una comune pianta infestante, cioè una pianta che invade i luoghi in cui cresce, e danneggia le piante già lì esistenti. Non penso che Taylor potesse trovare una metafora migliore per raccontare una storia di infedeltà.
La narratrice è già promessa a qualcun altro (“Taking mine, but it's been promised to another”) il quale poi diventerà il marito (“And drink my husband's wine”), eppure non può fare a meno di cadere in tentazione: si è inevitabilmente innamorata di un persona diversa. È qualcosa che va al di là del suo controllo (“So yeah, it's a fire / it's a goddamn blaze in the dark / and you started it”) e per quanto provi all’inizio a osteggiarlo (“Stop you putting roots in my dreamland”) non ci riesce. L’edera ormai non solo ha attecchito, ma ha invaso tutto (“My house of stone, your ivy grows / and now I'm covered in you”). E non si può fare altro che arrendersi a questo, pur con la consapevolezza che non si potrà mai vivere in pace, ma sempre guardandosi indietro per paura (“What would he do if he found us out?”; “Spring breaks loose, but so does fear / he's gonna burn this house to the ground”), e nascondendosi, vivendo di momenti rubati (“I’d live and die for moments that we stole”), facendo tesoro di un tempo che è preso soltanto in prestito (“On begged and borrowed time”), certi che si verrà scoperti prima o poi.
Nella canzone non ci sono riferimenti moderni di alcun tipo, il che mi fa pensare che questa sia la canzone con protagonista la “pioneer woman” di cui Taylor ha parlato nell’intervista con Paul McCartney (link), presa in un amore proibito. Si capisce allora meglio, se dunque la collocazione temporale della storia è l’epoca dei pionieri americani (il vecchio West, per intenderci), il perché quella donna abbia dovuto sottostare alla forma (il fatto di essere stata promessa già a qualcuno, e infine sposarlo) anziché essere libera di seguire il proprio cuore (che però, in ogni caso, non sarà mai del marito: “He wants what's only yours”).
#AlcoholicCount: 1 (wine)
#CurseWordsCount: 5 (goddamn)
#MurderCount: 0
#FavLyrics: “Stop you putting roots in my dreamland”
cowboy like me
[Taylor Swift, Aaron Dessner]
Come gold rush, anche il titolo di questa canzone mi aveva fatto partire per la tangente: già mi vedevo insieme a Taylor tra le polverose pianure dell’Oklahoma, con i cavalli lanciati al galoppo, le Colt, gli sceriffi e i banditi, immagini e concetti che mi sono cari come a Cicerone era cara l’ipotassi. E se almeno gold rush mi piace un botto, quindi le perdono il fatto di avermi infinocchiata, questa canzone invece la trovo ben poco memorabile, se non proprio sciapa, e perciò un po’ me la sono legata al dito.
Si tratta di un brano abbastanza monotono, in cui nemmeno il bridge riesce a risultare meno anonimo delle strofe. Il che è un peccato, perché le premesse c’erano tutte, se solo musicalmente si fosse osato un po’ di più. La storia qui raccontata, in effetti, potrebbe essere un ottimo spunto per un dramedy di ricconi, coi campi da tennis e le macchine di lusso, così egoriferiti da non accorgersi nemmeno di farsi turlupinare da due arrivisti sociali che puntano solo ai soldi (“Telling all the rich folks anything they wanna hear”; “Only if they pay for it”; “Hustling for the good life”; “And the old men that I've swindled / really did believe I was the one”), ma poi si innamorano l’uno dell’altra. Da truffatori diventano truffati essi stessi (“Forever is the sweetest con”), o forse soltanto una dei due (“We could be the way forward / and I know I'll pay for it”), che potrebbe esserci rimasta scottata e allora torna al punto di partenza (“I’m never gonna love again”, che si ripete sia all’inizio della canzone che alla fine).
#AlcoholicCount: 0
#CurseWordsCount: 1 (fuck)
#MurderCount: 0
#FavLyrics: “You're a bandit like me / eyes full of stars / hustling for the good life”
long story short
[Taylor Swift, Aaron Dessner]
Ipotizziamo che, facendo una meritata escursione post-pandemia sui Monti Sibillini, io caschi da un precipizio perché non sono riuscita a mettere un piede sulla sporgenza a forma di zoccolo di gnu e l’altro sulla rientranza a forma di vertebra di moffetta, e di conseguenza finisca in coma. Ecco, nel (malaugurato) caso in cui vogliate svegliarmi (no, davvero, non disturbatevi), sparare a palla questa canzone potrebbe essere il modo migliore per farlo (ma comunque non c’è bisogno).
Per arrivare a long story short siamo dovuti passare per reputation. In This Is Why We Can't Have Nice Things, le cose belle andavano messe via, al riparo, per evitare che altri le rompessero, e i cancelli venivano chiusi, e ci si rifugiava all’interno; in Call It What You Want le finestre erano state sbarrate non tanto per resistere alla tempesta — arrivata così all’improvviso da non aver tempo di prepararsi — ma per mettere una toppa alla distruzione che la tempesta aveva causato (“Windows boarded up after the storm”). Tutte immagini, queste, che rimandano al nascondersi (“Nobody's heard from me for months”), a un atteggiamento di mera difesa, e di conseguenza passivo: non si poteva certo contrattaccare, tanto si era male in arnese (“I brought a knife to a gun fight”).
Il castello che crolla e la caduta dal piedistallo sono la stessa cosa, se non fosse che in long story short, alla fine, per quanto si sia stati spinti giù dal precipizio, non si finisce spiaccicati: “Climbed right back up the cliff / long story short, I survived”. Si abbandona l’atteggiamento difensivo di prima, e si diventa artefici della nostra stessa salvezza (“But if someone comes at us / this time I'm ready”). Non solo, ma si è anche menato qualche fendente, nonostante gli agguati subiti: “I was in the alley surrounded on all sides / the knife cuts both ways”.
E tutto quel che c’è stato prima può essere liquidato con un laconico “It was a bad time”. Adesso si guarda al futuro.
(Io, comunque, col cacchio che intendo arrampicarmi di nuovo su: mi faccio mangiare dai lupi e ciaone)
#AlcoholicCount: 0
#CurseWordsCount: 0
#MurderCount: 0
#FavLyrics: “And I fell from the pedestal / right down the rabbit hole / long story short, it was a bad time”
marjorie
[Taylor Swift, Aaron Dessner]
Eravamo usciti per fare un giro per le colline marchigiane tra i castelli di Jesi, forse verso l’Acquasanta. Mi ricordo un rettilineo asfaltato e il sole al tramonto che bagnava d’oro tutto intorno. Io e mio fratello ci divertivamo a cantare Dove il mondo non c’è più di Francesco Renga, che andava forte in radio in quel periodo. Questo mi fa pensare che fosse il 2002, e io avevo tredici anni e mio fratello undici. Mi sa che all’epoca nonno aveva già venduto la Ritmo e l’aveva sostituita con la Uno, e nonna si godeva i nipoti che non avevano una preoccupazione al mondo. Poi succede che a un certo punto cresci, hai i tuoi interessi, i tuoi giri, no, dai, non mi va di andare a cena dai nonni, devo studiare, vabbé, andiamo ma poi torniamo presto, guarda, no, oggi non vengo proprio che ho da fare. E poi a un certo punto se ne va uno, e tre anni dopo se ne va anche l’altra, e allora pensi che alcune cose avresti dovuto gestirle diversamente, perché lo sapevi che poi l’avresti rimpianto, potevi anche alzare gli occhi ogni tanto, sempre puntati per terra, evitare di essere sempre così insofferente, perché diavolo dovevi essere sempre così insofferente, e ripensi all’ultima volta che sei stata a cena lì e non sapevi sarebbe stata l’ultima, e richiami alla mente la casa, e ne visiti le stanze che hai archiviato nella memoria, perché non ci hai più rimesso piede dal giorno dell’ultimo funerale.
Ascoltando marjorie mi si è aperto un vaso di Pandora di ricordi, e ho pianto così tanto da essermi disidratata da sola. Spero che quest’album venderà bene, perché con almeno metà dei ricavi Taylor dovrà pagarmi i danni morali.
Marjorie Finlay era la nonna materna di Taylor, cui quest’ultima aveva già tributato omaggio nel video di Wildest dreams, attraverso il nome e le fattezze del personaggio da lei interpretato. Questa canzone è tanto intima quanto universale, e l’affetto che Taylor prova(va) per la nonna travolge l’ascoltatore come i carri armati britannici hanno travolto i soldati tedeschi nella battaglia della Somme. Tra le cose più belle, quei versi che hanno tutto il sapore di consigli di vita tramandati da nonna a nipote: “Never be so polite, you forget your power / never wield such power, you forget to be polite”; “Never be so kind, you forget your clever / never be so clever, you forget to be kind”.
La canzone colpisce nella sua semplicità: rispetto ad altri brani di evermore, il testo di marjorie non si esibisce in artifici poetici e fa a meno di tutto il bagaglio di orpelli retorici, metafore, sottotesti caratteristici della scrittura di Taylor, perché non avrebbero avuto ragion d’essere, in un brano così: quando si pensa ai nonni, la strada che collega cuore e cervello è un rettilineo, non una via tortuosa fatta di incroci e rotatorie. E allora “What died didn't stay dead / what died didn't stay dead / you're alive, you're alive in my head”.
#AlcoholicCount: 0
#CurseWordsCount: 0
#MurderCount: 0
#FavLyrics: “I should've asked you questions / I should've asked you how to be / Asked you to write it down for me / Should've kept every grocery store receipt / ‘Cause every scrap of you would be taken from me”
closure
[Taylor Swift, Aaron Dessner]
Non arriverò certo a dire che closure sia una brutta canzone (un aggettivo salace attribuibile solo a End Game, I Don’t Wanna Live Forever e a quell’abominio del remix di Lover con Shawn Mendes), perché non lo è, né che sia la peggior canzone di evermore (forse quella è cowboy like me), però ha qualcosa che le impedisce di scalare la classifica. Più che altro è colpa della produzione folk-industriale, specie nell’intro, che non aggiunge nulla; semmai toglie. E soprattutto stona sia nella canzone stessa, che poi prende altre direzioni, sia con il resto dell’album. Qualcuno, ben più eloquentemente di me, ha detto che “sembra quasi che si stia provando a connettersi a internet tramite una connessione cavo nel 1997”.
Il testo però ha i suoi guizzi, come “Don't treat me like some situation that needs to be handled / I’m fine with my spite / and my tears / and my beers and my candles”, e il ritornello è molto orecchiabile. Forse è solo questione di acquisire il gusto, perché se il primo ascolto mi ha fatto dire “che madonna succede?” ben presto mi è entrata in testa, cigolii compresi.
Quanto al significato, il commento sulla connessione mi ha fatto pensare che possa, in effetti, trattarsi, se non di un modem (e ci manca solo che Taylor si metta a scrivere le canzoni sui modem, ma a questo punto non mi stupirei) di un’altra machine… magari big, e non stiamo certo parlando della canzone dei Goo Goo Dolls. “The way it all went down”; “Looks like you know that now”; “I know that it's over / I don't need your "closure””; “Don't treat me like some situation that needs to be handled / I’m fine with my spite and my tears / and my beers and my candles” son tutti versi che mi fanno pensare alla travagliata vicenda relativa alla vecchia casa discografica e alla proprietà dei master, cui di recente si è aggiunto un ulteriore capitolo con la vendita degli stessi, da parte della Big Machine, a un soggetto terzo rispetto a Taylor (“Your closure”). Oltre il danno, pure la beffa.
#AlcoholicCount: 1 (beers)
#CurseWordsCount: 0
#MurderCount: 0
#FavLyrics: “Don't treat me like some situation that needs to be handled / I’m fine with my spite and my tears / and my beers and my candles”
evermore [feat. Bon Iver]
[Taylor Swift, Justin Vernon, William Bower - aka Joe Alwyn]
La vita è miseria e poi si muore, e Taylor con questa canzone ha pensato bene di ricordarcelo (ma siamo onesti: ce lo siamo mai dimenticato?).
evermore è una ballad malinconica accompagnata da un pianoforte meraviglioso, in cui si riflette su un periodo di profonda tristezza e sofferenza, che dura tuttora: si cerca di trovarne l’inizio (“I replay my footsteps on each stepping stone / trying to find the one where I went wrong”), si tenta di affrontare il problema, ma senza esito (“Writing letters / addressed to the fire”), si riconosce di non avere gli strumenti per gestire la situazione (“Barefoot in the wildest winter”), e anziché concentrarsi sui passi da fare per uscirne, ci si ferma guardare indietro, quel momento in cui tutto è andato in malora (“I rewind the tape but all it does is pause / on the very moment all was lost”). Tutto questo per giungere all’amara conclusione: che questo dolore sia per sempre (“That this pain would be for / evermore”).
Tuttavia la canzone si conclude con una nota positiva, a cui giungiamo guidati dal bridge. Una volta riconosciuto che esiste qualcosa in grado di darci la forza di andare avanti, allora ecco che cambia la percezione e, forse forse, this pain wouldn't be for evermore.
C’è da dire, tuttavia, che la formula è dubitativa in entrambe le conclusioni: non c’è mai la certezza, nell’uno e nell’altro caso, che il dolore sia o non sia perenne (l’ultimo verso dei ritornelli, infatti, è sempre introdotto da “And I couldn't be sure”), e se da un lato ciò dà speranza, dall’altra ti evita di illuderti troppo. A differenza di Daylight, in cui si dà per certo il lieto fine, qui resta sempre un margine di dubbio.
Questa canzone segna la seconda collaborazione col frontman dei Bon Iver, Justin Vernon, dopo exile. Avendo amato tantissimo quel contrasto meraviglioso tra la voce profonda di Vernon e quella delicata di Taylor, evermore mi incuriosiva parecchio. Purtroppo non posso dire che l'attesa sia stata del tutto ripagata, perché qui manca ciò che rendeva particolare exile, quel chiaroscuro di voci, avendo Justin Vernon deciso di cantare, anziché dall’oltretomba di sotto, dall’oltretomba di sopra; questo tipo di cantato, così alto, a tratti stridulo, è quanto più lontano possa esistere dal mio gusto personale, e se devo essere sincera faccio parecchia fatica ad arrivare alla fine del bridge.
#AlcoholicCount: 0
#CurseWordsCount: 0
#MurderCount: 0
#FavLyrics: “I replay my footsteps on each stepping stone / trying to find the one where I went wrong”
right where you left me
[Taylor Swift, Aaron Dessner]
Una delle due bonus track della deluxe edition che ancora non ho ascoltato perché non mi è arrivato il cd, ma non è che mi lamento perché per scrivere ‘sto robo ho esaurito tutta la mia energia vitale dei prossimi sei anni e due canzoni in meno son due canzoni in meno e io non che ci sputi sopra.
#AlcoholicCount:
#CurseWordsCount:
#MurderCount:
#FavLyrics:
it’s time to go
[Taylor Swift, Aaron Dessner]
Come sopra.
#AlcoholicCount:
#CurseWordsCount:
#MurderCount:
#FavLyrics:
WHEREVER YOU STRAY, I FOLLOW
evermore è stato presentato come il seguito naturale di folklore. In effetti, non c’è soluzione di continuità nei due lavori, e lo stesso video di willow, che riprende dove quello di cardigan aveva lasciato, lo dimostra. E nemmeno c’è una cesura tra le sonorità dell’uno e dell’altro, cosa che invece ha sempre caratterizzato il passaggio da un disco al successivo. Taylor stessa ha detto che una volta iniziato (e finito) di scrivere folklore non sono riusciti a fermarsi. È facile capire perché: canzoni di questo tipo, caratterizzate da una commistione di elementi biografici ed elementi di finzione, offrono uno sfogo artistico senza eguali. Probabilmente è stato come attingere a una vena creativa che non si esauriva ma che si alimentava da sola.
Anche in questo caso, ed è superfluo specificarlo, il cavallo di battaglia è costituito dai testi, in cui non si disdegna nemmeno di citare Re Mida e i giardini pensili di Babilonia. In un panorama musicale in cui molto spesso la sostanza recede in favore dell'apparenza, Taylor imperterrita, presumo dopo aver passato il lockdown un po' a registrare un po' a leggersi il Merriam-Webster, continua a sfornare dei testi che davvero non hanno paragone nel mondo mainstream, nel pop soprattutto.
Rispetto al predecessore, dove un ruolo importante hanno le ingenuità giovanili (dalla bambina di seven al trittico cardigan-august-betty) in evermore i temi trattati passano invece spesso sotto la lente cinica e disillusa dello sguardo adulto.
Sempre rispetto a folklore, che mi aveva folgorata subito sulla via di Damasco, confesso che evermore ci ha messo un po’ a carburare, a farsi strada. Probabilmente, folklore aveva dalla sua la particolarità di essere davvero una novità; non tanto (e non solo) per il sound, ma soprattutto per la storia della sua genesi (che tra l’altro è la stessa di evermore, solo che folklore è arrivato prima), cioè di musica creata per alleviare la solitudine e l’angoscia esistenziale dovuta alla pandemia. Con evermore, insomma, la sensazione è “been there, done that” che forse l’ha reso meno speciale ai miei occhi, nonostante sia stato annunciato a sua volta a sorpresa.
E se tutte le canzoni di folklore mi sono parse subito ben distinte nella loro individualità, qui ho fatto più difficoltà a scinderle, e ho dovuto attendere che mi si diradasse la nebbia nel mio cervello (cervello che tra l’altro sta ancora processando this is me trying) prima di essere in grado di distinguere, che ne so, long story short da dorothea (parlo per iperbole, eh!).
Forse, per tutta questa serie di circostanze, mi trovo a preferire folklore, ma avendo fatto sufficienti ascolti di evermore per apprezzarne le varie sfumature e la profondità, mi rendo conto che è difficile dare un giudizio così tranchant: perché al di là di tutto evermore è comunque un disco splendido, e a prescindere dai gusti personali che mi indirizzano più da una parte che dall’altra, una cosa è certa: con Taylor, comunque, si casca sempre in piedi. Visto il periodo natalizio, è un po’ l’annosa questione della faida tra panettone e pandoro: perché costringersi a scegliere quando ci si può strafogare di entrambi con uguale soddisfazione?
[a questo link il Tomone 5.0 su folklore]
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Tutto quello che succede a Ibiza (non) rimane a Ibiza - Seconda Parte
UPDATE 2021: visto che è passato quasi un anno dalla pubblicazione della mia prima fanfiction, ho deciso di darle una sistemata per riproporla a chi ancora non l’ha letta o a chi ai tempi piacque e vuole rileggerla… Perché oltre a Sanremo, anche Ibiza è Ibiza!
Come ho promesso in questo post, da brava tassorosso mantengo la mia promessa ed ecco qui la seconda parte!
Parole: 3527
Fandom: Sanremo RPF (ancora non ci credo che ho scritto una scena d’amore con gli Amadello protagonisti... Come farò adesso a guardarli?)
Amadello nel 1990 a Ibiza 3 giorni dopo l’evento al KU club, a little angst, internalised homophobia, risoluzione di una lunga slow burn e di un mutual pining, first time (in una maniera non scontata... Leggete e vedrete), Fiore ha un kink per i cowboy, Ama molto più intraprendente di quello che sembra, evoluzione della nose thing ( Do I regret it? Yes. Would I do it again? Probably)
Buona lettura!
(PER CHI AVESSE PERSO LA PRIMA PARTE)
Sono passati tre giorni dalla serata al KU. Tre giorni da quando Amedeo è salito sul cubo e si è ritrovato a ballare con due ballerini nudi superdotati che hanno cercato di coinvolgerlo in un balletto troppo osé per il bravo ragazzo di Verona - se non fosse stato ‘salvato’ in tempo sarebbe rimasto bloccato lì, troppo impegnato a guardarli ballare per cercare una via di fuga -. Tre giorni da quando Rosario ha raccontato l'aneddoto a tutta la troupe di 'Deejay Television’, omettendo ovviamente quanto è successo nella loro camera d'albergo. Tre giorni da quando Rosario e Amedeo si comportano come al solito, parlando e scherzando normalmente, come se si fossero messi d'accordo per fingere che non si siano baciati e che se non fossero stati interrotti, chissà se sarebbero andati oltre. Nessuno sembra notare niente di insolito nella loro dinamica, sia quando registrano le puntate sia quando le telecamere sono spente. E invece…
Amedeo è abituato a nascondere i suoi sentimenti, anche se questi tre giorni sono stati più faticosi del solito. Crede di aver indugiato qualche secondo di troppo sulle labbra di Ciuri - di nuovo quel maledetto soprannome - e a mordersi le sue come se abbia sviluppato un tic, quando invece vuole solo riassaporare le ultime tracce di un sapore che non sa quando e se potrà nuovamente assaggiare. Sono tre notti che non fa che ripensare a quel bacio, a come è stato avere tra le mani la nuca e i capelli di Rosario e alla sensazione di calore che gli hanno lasciato le sue mani sulle spalle... E soprattutto è difficile evitare di guardarlo più del dovuto quando il caldo costringe il suo amico a mettere in mostra il suo corpo perfetto da bronzo di Riace, che vorrebbe tanto onorare in maniera per nulla religiosa. È come se quel bacio avesse risvegliato di colpo tutto il desiderio che ha faticato a contenere nel corso della loro amicizia e il fatto che nessuno ne sia al corrente non l'aiuta: lo carica di adrenalina e di agitazione, come quella volta in cui aveva preso di nascosto la macchina dei suoi per andare a Venezia con la sua prima fidanzata, tornando prima che se ne potessero accorgere. Solo che se con lei si era lasciato e non aveva più avuto l'occasione di correre un rischio del genere, quel bacio potrebbe essere il primo di una lunga serie. E lui che pensava che a 28 anni avrebbe smesso di comportarsi come l'adolescente insicuro che cerca di nascondere quella strana attrazione che prova sia per le ragazze che per i ragazzi... Con la differenza che se non saprà mai se qualche suo vecchio amico o compagno di scuola abbia mai provato qualcosa per lui, ha almeno la conferma da parte di Ciuri, cioè Rosario. Che chiamarlo con quel vezzeggiativo gli abbia portato inconsapevolmente fortuna?
Rosario d'altra parte si sente un disastro ambulante, ma è molto bravo a nasconderlo. Non smette di colpo di essere fisico con il suo amico, è abbastanza sveglio da sapere che creerebbe sospetti, ma cerca di limitarsi per poi allontanarsi subito come se avesse appena toccato qualcosa che scotta. Effetto collaterale del bacio o no, ma Amedeo non è mai stato così caliente, come dicono a Ibiza, come in questi tre giorni. E poi, non è tanto la paura di indugiare su quel corpo atletico che farebbe di lui un cowboy perfetto - deve darci un taglio con queste fantasie - o l'essere stati quasi scoperti, quanto il fatto che il suo Ama potrebbe avergli fatto capire che apprezzerebbe. Non l'ha spinto via insultandolo con quegli epiteti che temono tutti i ragazzi, ha ricambiato il bacio: questo significa che provi qualcosa per lui? ... No, non può essere. Dev'essere stato per forza l'alcool a farlo comportare in quel modo: per tre giorni Amedeo gli ha sempre parlato leggermente imbarazzato e Rosario è certissimo si tratti dell'imbarazzo post sbornia, quello che ti fa pentire delle minchiate che hai fatto anche se te ne ricordi solo la metà. È esattamente come dopo il veglione di Capodanno, quando si era scusato mille volte per avergli messo in bocca una fetta di panettone nel bel mezzo del suo numero. Ma sta di fatto che se Amedeo ha risposto al suo bacio è stato perché è una brava persona, che non voleva peggiorare ulteriormente la situazione e nonostante l'imbarazzo, adesso fa finta di niente perché l'ultima cosa che vuole è mettere a disagio il suo migliore amico. È così o si sta sbagliando? No, è così.
Quella sera sono soli in camera. Leonardo è appena uscito per andare a trovare la sua ballerina, Rosario si è chiuso in bagno a prepararsi e fa di tutto per allungare ogni suo gesto pur di rimandare  il momento in cui si troverà da solo con Amedeo. Ha voglia di ballare e dimenticarsi tutta questa faccenda per qualche ora, se trova qualcuno per fargli compagnia anche meglio. Fortuna che questa sera Amedeo non sarà con lui: deve chiamare i suoi che è una settimana che non lo sentono e la cosa non potrebbe capitare più a proposito. Peccato ignori che Amedeo comincia a non poter più sopportare tutta quella tensione tra di loro e sa che per darci un taglio dovrà affrontare l'elefante nella stanza. Così, mentre l'amico è in bagno, inizia a studiarsi un discorso e i suoi timori iniziano a venire a galla: e se si rivelasse tutto un gigantesco malinteso? E se ricevesse il più grande due di picche della sua vita? Sta iniziando a valutare se parlare o meno, quando Rosario finalmente esce dal bagno e il cervello smette di funzionargli per qualche secondo. Ha addosso la sua camicia migliore, ma ha deciso di tenerla sbottonata in prossimità dei polsi, conferendogli un aspetto che combinato con il codino sembra uscito da una sua vecchia fantasia a sfondo piratesco.
"Che te ne pare?" gli chiede come ogni sera mentre fa un giro su stesso per mettersi completamente in mostra.
“Ti strapperei la camicia a morsi” è tentato di rispondergli Amedeo, ma si trattiene e lo sostituisce con un più contenuto ed eterosessuale: “Niente male”, ma non appena l'amico fa per incamminarsi verso la porta, capisce che è la sua ultima occasione.
“Rosario, dobbiamo parlare… Di quello che è successo l'altra sera…”
Rosario si pietrifica. Non l'ha chiamato Fiore, Saru o Ciuri, il suo soprannome preferito, ma col suo nome di battesimo. Inizia a sudare freddo, ma cerca di mantenere al massimo la calma.
"Mi dispiace per averti baciato, Ama..."
"... No, non ti dispiacere..."
"... Non volevo: alcool, l'adrenalina, l'immagine di te con..."
"... Va tutto bene, non dirò niente di quello che è successo!"
"Perfetto, perché non voglio che le nostre carriere siano interrotte per questo..."
"... Non saranno interrotte... Ciò che succede a Ibiza rimane a Ibiza!"
"... Esatto, ciò che succede a Ibiza rimane a Ibiza!"
Silenzio. I due si guardano come se aspettassero la parola che li sblocchi dalla loro situazione di stallo. "Allora... Vado! A dopo" e chiude la porta senza guardarlo in faccia. Ecco, aveva ragione: ha risposto al bacio solo perché gli vuole troppo bene per ferire il suo amor proprio con un rifiuto esplicito. Rosario prende a incamminarsi nella zona dei locali, ma senza il sorriso che di solito lo accompagna in questo percorso. La prossima volta che si fa guidare dal momento spera che lo colpisca un fulmine appena in tempo.
Amedeo gira per la cittadina, chiama i suoi, li tranquillizza su come sta andando l'estate - mentendo spudoratamente -, poi dà un'occhiata al mare e pensa a perché, da quando sono arrivati, nessuno ha ancora proposto di fare un bagno notturno. Così corre in albergo, dove si cambia per indossare il costume, prende il materassino e l'asciugamano e si dirige verso il sentiero in mezzo alle rocce che conduce alla spiaggetta isolata dietro l'edificio. Sistema le sue cose ai piedi della gigantesca roccia che la sovrasta, sperando che nessun granchio sia sveglio, ma, prima di entrare nel Mediterraneo, non può fare a meno di ripensare alla conversazione avuta col suo amico. Perché non gli ha detto la verità sul bacio? E poi, cos'era quella brutta rivisitazione della frase di Las Vegas che gli è uscita? La verità è che è solo un codardo: aveva l'occasione della vita e l'ha buttata come fosse carta straccia… Ma l'ha fatto anche per una ragione intelligente: come potrebbe mai avere successo se venisse fuori la sua bisessualità? Però è stato Rosario a tirar fuori la questione: che brutto ipocrita, prima lo bacia dandogli una conferma della quale aveva solo osato sperare per poi far finta di niente e rimangiarsi tutto; lui almeno ha avuto il coraggio di affrontare la cosa, figurati se l'avesse fatto Rosario, figurati se fosse uscito allo scoperto e avesse fatto qualcosa che gli altri non approverebbero in toto…
"Ama?"
Parli del diavolo... Amedeo si gira e si ritrova il suo amico che si sta dirigendo verso di lui.
"Non eri a ballare?" gli chiede con un tono indifferente, che nasconda in parte la rabbia che prova nei suoi confronti, in parte l'imbarazzo del trovarsi in boxer in sua presenza.
"Sì, ma la musica era una lagna e mentre uscivo ho incrociato la Marta, la costumista: mi ha detto che c'era una festa giù in città e stavo venendo a recuperarti quando..."
"... Non me ne frega niente della festa..." dice con una durezza nella voce che mai avrebbe pensato di usare con il suo amico.
"... Vedo, stai aspettando qualcuno?" gli chiede Rosario come se niente fosse.
"No, non sto aspettando nessuno" risponde Amedeo alzandosi, di colpo mandando al diavolo ogni imbarazzo: "Anzi, stavo cercando di capire perché una persona dovrebbe baciarne un'altra e poi far finta di niente perché 'così le nostre carriere future non saranno interrotte'!"
L'ha fatto, ha lanciato la bomba. Ora tocca a Rosario contrattaccare.
"Scusa, ma non sei stato tu a dire 'quello che succede a Ibiza rimane a Ibiza'?"
"L'ho detto perché volevo toglierti dall'imbarazzo!"
"E perché non mi hai fermato e adesso mi stai urlando contro?"
"Perché quando mi hai baciato, io quasi non ci credevo che l'avessi fatto, perché mai avrei pensato di suscitare il tuo interesse!"
E in quel momento Rosario scoppia a ridere. A crepapelle, una di quelle risate che non si esauriscono in una manciata di secondi, ma anzi continua. Amedeo lo guarda. Non sa che in quel momento tutta l’ansia e la paura provata dal suo amico se n’è andata via per lasciar posto ad una felicità che solo poche volte ha provato nella sua vita.
"Ama... Io pensavo che avessi risposto al bacio solo perché temevi di deludermi!"
Stavolta anche ad Amedeo viene da ridere e quella risata ha il potere di cacciare tutte le nubi che gli avevano oscurato il cuore, facendolo sentire più leggero. Così leggero che stavolta è lui a mettere le mani sulle spalle del suo Ciuri e a baciarlo come lui ha fatto tre giorni prima. E Rosario ricambia cercandolo con ancora più passione, sicuro che l'ultima cosa che riceverà sarà un rifiuto.
"Sarei salito sul cubo a cacciare quei ballerini solo per ballare con te, Ama!"
"Io ero salito sul cubo per farti ingelosire!" gli dice ridendo Amedeo. Rosario fa un sorriso malizioso mentre lo accarezza dalle spalle per tutte le braccia.
"Ama, tu sembri tanto un santarellino e invece..."
"... Le brutte compagnie, Ciuri, le brutte compagnie..."
"... Non smettere mai di chiamarmi in quel modo!"
"Ciuri, Ciuri, Ciuri..." comincia allora Amedeo, mentre Rosario comincia a baciarlo sulla mandibola, sul collo e sul petto, come se quel soprannome lo eccitasse ogni volta che lo pronuncia, come effettivamente avviene. Rosario sta ringraziando il cielo di essersi distratto momentaneamente da Paloma tre giorni prima quando, mentre recupera tutto il contatto di cui si è privato in questi giorni, sente qualcosa che gli fa affluire subito il sangue al cervello - e altrove -.
"Ama... Hai con te una pistola o sei felice di avermi qui?"
Amedeo abbassa lo sguardo, sicuro di stare andando a fuoco, anche se immediatamente scopre di avere anche lui un asso nella manica: "Potrei farti la stessa domanda..."
Rosario ride, ma poi gli prende il viso tra le mani accarezzandolo languidamente: “… Ma sei tu quello che sa andare a cavallo e potrebbe essere un ottimo cowboy: non hai idea di quante volte ti ho immaginato in questa maniera…” sussurra mentre fa scivolare una mano lungo i fianchi e gli abbassa i boxer per poter toccare quella parte del corpo che richiede il suo contatto con più urgenza. Amedeo si morde le labbra mentre cerca un appoggio con la schiena alla superficie rocciosa, che però gli ricorda che sono all'aperto, in una spiaggetta sì isolata, dove potrebbero essere visti potenzialmente da chiunque, quando il movimento di mano del suo amico si ferma e lo fa pentire di essersi lasciato distrarre.
"Ripensandoci, adesso sono un po' stanco, forse dovrei appoggiarmi un attimo..."
E prima che Amedeo possa domandarsi che senso ha fare ora la gag del naso che fa sempre ridere tutti quelli della squadra, Rosario si mette in ginocchio di fronte a lui: “Avrei dovuto immaginarlo che alla misura del naso…” ma si interrompe per iniziare a dargli piacere con la bocca. Amedeo non sa se lo eccita maggiormente vedere Ciuri in quella posizione o sentire il calore della sua bocca, il contatto minimo coi denti e i movimenti della lingua attraverso il suo sesso. Allunga titubante le mani sulla sua testa, cercando di guidare il ritmo sperando di non metterlo troppo a disagio, ma se c'è una cosa a cui Rosario non sa resistere quando è impegnato in quell'attività è sentirsi le mani tra i capelli come se fosse la cosa più importante al mondo. Poi le mani sono quelle del suo Ama e gli provocano un roco gemito di piacere che gli fanno subito aumentare l'intensità della fellatio che gli sta facendo. Come aveva immaginato, Ama è discreto anche mentre sta ricevendo piacere e questo spinge il lato competitivo del suo carattere a darsi da fare per fargli raggiungere il punto di non ritorno, il momento in cui metterà da parte ogni controllo…
“Ciuri… Rosario…” e prima che possa chiamarlo in altro modo, Rosario si allontana e si gode lo spettacolo dell'ora ai suo ex migliore amico venire e adagiarsi subito dopo sulla parete rocciosa come se fosse stato appena prosciugato.
“Grazie…” mormora leggermente imbarazzato. In fondo è nudo su una spiaggia a Ibiza e ha appena ricevuto il migliore dei pompini dall'ultima persona che avrebbe pensato avrebbe potuto farglielo, anche se era l'unica da cui l'avrebbe desiderato.
“Non c'è di che” gli risponde Rosario rialzandosi, quando Amedeo si chiede perché abbia ancora tutti i vestiti addosso. Una volta ripreso completamente fiato, si avvicina per baciarlo e inizia a sbottonargli la camicia per depositare una serie di baci su quel corpo così a lungo desiderato. Rosario si scioglie come burro sotto la sua bocca e le sue carezze e Ama sente tornare il proprio vigore mentre gli sfila lentamente i vestiti lasciandolo solo in boxer: l'occhio gli cade prima sulla dimostrazione che quanto ha appena ricevuto sia stato apprezzato e poi sul materassino di cui fino a qualche momento prima si era completamente dimenticato. Decide di farlo sdraiare lì, quando una domanda comincia ad attanargliarlo.
"Ciuri?" gli sussurra mentre sono avvinghiati l'uno all'altro.
"Mi piace quando mi chiami così..." gli risponde con un sorriso beato che fa tentennare ancora Amedeo dal fare la sua domanda.
"Questa per te... Non è la prima volta?"
Rosario abbassa momentaneamente lo sguardo per poi risollevarlo con quel sorriso che sa sciogliere il suo Ama.
"No, ma... Ho abbastanza esperienza da renderla speciale per te!"
Amedeo si sente il cuore a mille e il basso ventre in fiamme e decide che se si sono spinti fino a questo punto, niente potrà far più paura.
"Perché se per te nulla di tutto questo è nuovo... Volevo chiederti se..."
"... Tranquillo Ama, non faremo niente che tu non voglia fare!"
"No, è che... Ecco vorrei..."
Non è mai stato bravo a comunicare i suoi desideri, ma con Rosario sente che potrebbe essere diverso perché sa che non lo giudicherebbe.
"... Avere un rapporto completo con te... Ma da attivo... Se non è un problema per te!"
Rosario scoppia a ridere, ma non è una risata di scherno, quanto più suscitata dalla tenerezza. Si sporge verso il suo Ama per tranquillizzarlo ulteriormente con un bacio appassionato, per poi alzarsi, infilarsi i pantaloni e fargli la richiesta di aspettarlo lì che fa una corsa in camera per recuperare tutto l'occorrente. Amedeo per un attimo pensa che lo lascerà li ad aspettare tutta la notte, o peggio chiamerà qualcuno della troupe per fargli uno scherzo, ma dev'essere il suo giorno fortunato perché Rosario torna quasi subito consegnandoli due oggetti tra le mani.
"Ok i preservativi, ma questo cos'è?" chiede osservando una minuscola bottiglietta di plastica con un liquido dorato al suo interno.
“Per rendere meno fastidioso quello che faremo: ho provato una volta senza e non è molto piacevole!” gli risponde Rosario scoppiando a ridere quando vede la faccia di Amedeo non appena si accorge che mentre studiava la bottiglietta si è sistemato a quattro zampe sul materassino senza niente addosso, facendogli capire immediatamente lo scopo del liquido al suo interno. Ma per tutta la durata di quel preliminare obbligato, l'imbarazzo si fa da parte per lasciare spazio ai peggiori doppi sensi che vengono in mente ai due e che li fanno ridere di gusto, distraendo in parte l'imbarazzo e l'eccitazione nel toccare uno e nell'essere toccato l'altro in modo così intimo. Nessuno ha mai riso tanto in una situazione del genere, ma la cosa non risulta assolutamente strana, così come il ritrovarsi all'improvviso in questa situazione: o forse è il fatto di essere con la persona che più apprezzano e con cui non hanno paura di essere pienamente sé stessi a fare di quel momento la naturale conseguenza del loro rapporto. Al termine dell'operazione, Amedeo mette da parte la bottiglietta e fa per girare Rosario.
"Voglio guardarti negli occhi... Si può?"
"Certo che sì può... E poi anch'io voglio guardarti!"
Peccato che Amedeo, una volta messo il profilattico, non abbia idea di come iniziare e di fronte alla sua impacciataggine, Rosario inizia a baciarlo e a stringerlo a sé, lasciando che il resto venga da sé.
“Comunque anche tu non sei messo male, anzi!” gli sussurra Amedeo nell'orecchio mentre lo tocca dove prima non ha avuto il coraggio di farlo. Rosario vorrebbe ridere, ma dalla sua bocca esce un mezzo gemito di piacere e per ricambiare il favore, fa lo stesso con Amedeo, sfiorando appena quella parte che per conoscere meglio dovrà aspettare che i ruoli si ribaltino.
"Ciuri!" squittisce prevedibilmente lui.
"Tanto prima o poi ti toccherà!"
I due scoppiano a ridere nuovamente e la risata evolve in un bacio che li porta a congiungersi e nel giro di qualche spinta i due trovano il proprio ritmo. Amedeo non si è mai stato così bene, sentendo dentro di sé una scarica di adrenalina e di pace ad ogni spinta e domandandosi perché questa sensazione sia sempre stata definita sbagliata: Rosario invece, ad ogni spinta risponde con movimenti di bacino che mano a mano tradiscono la fame crescente nei confronti del suo Ama, reazione che non riesce a controllare completamente, così come non riesce a impedirsi di graffiargli la schiena quando sente arrivare le ondate di piacere leggermente più forti. Man mano che si avvicinano al momento desiderato, i due si scambiano un sorriso d'intesa perché il fiato corto renderebbe impossibile qualsiasi tipo di bacio e quando finalmente arriva l'orgasmo, è così intenso per entrambi che devono staccarsi l’uno dall’altro per poter riprendere fiato.
"Allora... Quello che succede a Ibiza rimane a Ibiza?"
Amedeo si volta a guardare Rosario che lo sta già guardando in attesa delle parole che determineranno il suo destino.
"Spero proprio di no!"
Rosario reagisce come se avesse appena segnato la sua squadra preferita per poi prendergli la mano e alzarsi di scatto, costringendo Amedeo a fare altrettanto.
"Che fai?"
"Bé, siccome conviene a entrambi una doccia, pensavo di approfittarne per fare prima un bagno di mezzanotte!"
"Nudi?" chiede Amedeo imbarazzato come se niente fosse appena successo tra loro.
"Perché no? Siamo a Ibiza, quando ci ricapiterà un'occasione del genere?"
E corre via verso il mare tuffandosi immediatamente e riemergendo subito dopo.
"Non sai cosa ti perdi!"
Amedeo controlla prima che non ci sia nessuno e poi lo segue, anche perché coi capelli lunghi bagnati, Rosario sembra una sirena e si sa, al canto delle sirene è impossibile resistere. In fondo, nessuno va mai in quella spiaggetta, perché dovrebbero venirci proprio stasera? Ma soprattutto stanotte non vuole pensare a nient'altro se non quello che è appena successo tra lui e il suo Ciuri: se quello è l'inizio della loro storia, chissà cosa li attenderà in seguito. 
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vancityrpg · 4 years
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About Vancouver
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   Tranquilla, sicura, ordinata, ricca e verde che più verde non si può: Vancouver è la terza città del Canada affacciata sul Pacifico. Possiede diversi soprannomi, tra cui “Vancity”, utilizzato soprattutto dai locali e anche “The City of Glass” per la sua architettura così particolare. In Canada le due lingue ufficiali sono l’inglese e il francese, ma la multiculturalità di Vancouver fa sì che lingue come il cinese e il punjabi affianchino l’inglese. Infatti il 40% della popolazione è composta da immigrati, con la più grande concentrazione di asiatici del Nord America. Incastonata tra l'oceano e le montagne, a due passi dalla foresta pluviale, Vancouver è famosa per uno stile di vita all'insegna della natura e della tranquillità: è riconosciuta come una delle città più ecologiche e vivibili del mondo ed il famoso gruppo Greenpeace è nato proprio qui. È un mosaico di luoghi dove porti e fiordi si alternano ad ampi polmoni verdi, 4 parchi di cui Stanley Park è il più grande: si estende per più di 400 ettari con piste da jogging e ciclabili, tra totem indiani e giovani in skateboard o sui pattini.   Le piste ciclabili attraversano la città per 351 chilometri; ma c'è anche l'efficiente rete di mezzi pubblici composta da Skytrain, rotaie sopraelevate, autobus e un servizio di ferry che collega il centro al North e a Vancouver Island. Il rispetto per l'ambiente è dimostrato anche dall'uso di auto elettriche, soprattutto in car-sharing; così come oltre il 90 % dell'energia cittadina viene reperita da fonti rinnovabili. La sostenibilità passa anche per l'alimentazione, le tante offerte gastronomiche si basano su prodotti locali e a km zero.   La città è dinamica e multiculturale: ovunque spuntano gallerie, musei, locali e teatri. Il museo d'Antropologia espone collezioni d'arte aborigena mentre la Vancouver Art Gallery, allestita in un maestoso tribunale dismesso degli anni Trenta, ospita opere di artisti locali, dalle sculture alle fotografie e alle installazioni di video-arte. Sul lungomare si erge in tutta la sua bellezza il Canada Place, storico simbolo cittadino, con i tetti a vela simili a quelli dell'Opera di Sydney: ospita il World Trade Centre e un centro per mostre ed eventi culturali.   Fuori città la natura è spettacolare e selvaggia, l'habitat perfetto per orsi grizzly, aquile, balene, foche e salmoni. Da Vancouver vale la pena arrivare in traghetto a Nanaimo, punto di partenza per giungere a Tofino, villaggio sull'oceano e luogo ideale dove fare surf e avvistare le balene. Vancouver è un paradiso per gli amanti della vita all'aperto. Gli sport invernali sono un'attività quotidiana in questa città e troverete famose aree sciistiche come Cypress Mountain a ovest e la Grouse Mountain ad appena quindici minuti dal centro.   Vancouver è anche conosciuta come “Hollywood del nord” o “Hollywood canadese”, ed è seconda solo a Los Angeles e New York come location per la produzione di film e serie tv, grazie ai costi più bassi.   Insomma, Vancouver è un paradiso e non a caso è una delle città scelte come migliori al mondo dove vivere. E tu cosa aspetti?
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dueagosto · 4 years
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" Il vino Albana bevuto la sera prima contribuì a farci assopire. Quando il treno si fermò, alle ore 10.15, ci affacciamo al finestrino per informarci della località raggiunta. Ci trovavamo alla stazione centrale di Bologna.Per una volta rinunciammo a scendere sul marciapiede - cosa che di solito facevamo sempre - per acquistare qualche bibita per i nostri familiari. Il venditore di bevande lo vedemmo poco dopo, morto, sotto la nostra carrozza, la Nr. 612.
Poco prima della prevista ripresa del viaggio, all’incirca davanti al nostro scompartimento, ad una distanza di circa 5 metri, apparve una vampata subito seguita da uno scoppio assordante e nello spazio di un secondo l’intera carrozza fu avvolta da una nuvola di polvere. Non c’era più alcuna visuale. Contemporaneamente sopra e accanto al nostro vagone si udì come un bombardamento sotto forma di colpi che facevano pensare che il mondo stesse per essere scardinato. Nessuno sapeva cos’era successo. Fitta polvere lasciava trasparire una scena spettrale. Credevamo tutti che saremmo dovuti soffocare. C’era puzza di polvere. Qualcuno gridò: “Fuoco”. Con le ultime forze mi fu possibile aprire la malridotta porta dello scompartimento e spingere gli occupanti fuori dal vagone colpito. Tutti gli occupanti erano totalmente sotto shock e riuscivano appena a pronunciare parola. Tranquilli e senza panico si diressero verso l’uscita e a tastoni, in mezzo alla nebbia polverosa, si diressero verso il marciapiede, passando sopra a una collinetta di detriti che si era riversata sul binario. La nuvola di polvere stava lentamente svanendo. La disgrazia successa stava diventando visibile. Più o meno davanti ai nostri due vagoni era crollata una parte della stazione di una larghezza di circa 40-50 metri e una parte della parete esterna era caduta sul treno. Anche se sanguinanti e con leggere ferite dovute a tagli, eravamo contenti che i nostri compagni apparivano attraverso la nebbia uno dopo l’altro come figure spettrali. Quando davanti ai nostri occhi vedemmo giacere persone lacerate imploranti aiuto, ci rendemmo effettivamente conto di quale fortuna ci era stata riservata. Per loro e per noi i secondi trascorsero come un’eternità. Ci sarebbe bastato poter fornire a quella povera gente anche un solo sorso d’acqua. Non avevano nemmeno la forza per urlare, lamentarsi. Non c’era posto per le lacrime. Il sangue copriva i volti. Regnava un silenzio di morte. [...] Pensai a scattare delle fotografie. Mi sarei vergognato nel fare ciò. Anche così non dimenticherò mai quel pover’uomo con un buco della grandezza di un pugno nel viso, con una gamba schiacciata che giaceva in una pozza di sangue, che mi fissava chiedendomi aiuto e al quale non potei far altro che porre un asciugamano sotto la testa. Non gli si poteva dare età. I suoi occhi avevano uno sguardo come da un altro mondo. Vicino a lui c’era un bambino, del quale era difficile stabilire se era una ragazza o un maschietto. Era totalmente coperto di sangue. L’azione di soccorso iniziata dalla città di Bologna ci impressionò quasi quanto la disgrazia.
Già alle 10.40 le prime ambulanze arrivarono arrivarono e, attraverso le strade già chiuse al traffico dalla polizia, trasportarono i feriti nei diversi ospedali senza sosta. Dopo che mi fui assicurato che la nostra compagnia era tutta radunata, iniziai il mio soccorso sulla parte interna del marciapiede. Offriva un quadro raccapricciante che assomigliava a un campo di battaglia. In quel momento arrivavano anche centinaia di soldati che effettuarono ricerche tra le macerie con l’aiuto di pale meccaniche e camion, nel tentativo di portare alla luce superstiti. Dovunque erano in azione speciali apparecchiature attrezzate per la ricerca di bombe.
Durante il viaggio verso l’Ospedale Maggiore, accanto a me giacevano due persone completamente schiacciate. Il primario era al corrente che nei successivi minuti sarebbe giunto un gran numero di feriti gravi. Io potei spiegargli la dinamica della disgrazia. In breve tempo l’ospedale fu trasformato in un grande lazzaretto. Il primario impartiva istruzioni ai 30 medici circa arrivati senza essere stati tutti contattati e allo stesso tempo venivano procurati letti e montagne di lenzuola. Allo stesso modo, in brevissimo tempo, furono compilate liste dei diversi feriti degenti nei vari ospedali e le stesse furono portate a conoscenza degli ospedali stessi. Io diedi un’occhiata ai cittadini svizzeri e stabilii che tutti erano curati ottimamente. L’organizzazione in questo senso funzionava perfettamente, tanto che il mio adoperarmi ulteriore apparve a me stesso di disturbo e per questo lo abbandonai. [...] Cercai in tutto l’ospedale Stephan Vogel, il figlio del mio amico Edgar, che mancava all’appello. [...] Non lo trovai e decisi quindi di ritornare sul luogo dell’incidente. Non avevo denaro. Un uomo all’uscita mi diede spontaneamente 1000 lire. [...] Con il bus mi recai alla stazione, attraversando la città. Il panorama che mi appariva lateralmente mostrava che mi trovavo in una magnifica città. Ebbi perfino il tempo di ammirare il meraviglioso complesso del parco con le fontane. [...] Noi iniziammo la ricerca di Stephan [...] un signore molto gentile iniziò a telefonare per noi nei vari ospedali. Le linee erano occupate. L’uomo mi scrisse i diversi numeri telefonici su un guanto di un soldato. Fummo poi accompagnati all’Ufficio postale della stazione. Il gentile signore che stava alla scrivania deve essere stato il responsabile. Egli telefonò senza sosta e con nostro sollievo scoprì che Stephan si trovava nell’ospedale S.Orsola. [...]
Volli quindi sapere se l’Amministrazione cittadina aveva organizzato un servizio di assistenza e come funzionasse. Alla stazione ci diedero l’indirizzo. Ci recammo in Piazza Maggiore all’Amministrazione della città di Bologna, Dipartimento Sicurezza Sociale. Un grande stato maggiore era mobilitato. Senza complicazioni ci furono date 30.000 lire a persona e ognuno ebbe un “buono per un pasto gratuito da consumarsi presso la Self-service”. Ci fu anche data dell’acqua che, in un simile momento, aveva il valore dell’oro. Nel locale “Self-service” ci fu spiegato che potevamo avere quello che desideravamo. Non credo di aver mai mangiato degli spaghetti migliori in vita mia. Al nostro ritorno presso l’Amministrazione cittadina ci informammo di nuovo circa cittadini svizzeri bisognosi d’aiuto. Ci fu assicurato che per tutti ci si occupava con cura, della qual cosa nel frattempo ci eravamo potuti convincere abbondantemente. Un vigile ci condusse di nuovo alla stazione con l’automobile. La zona della stazione assomigliava a un teatro anfibio. Una moltitudine di persone si era radunata e osservava muta il luogo della disgrazia, chiedendosi il motivo, il senso.
Soltanto ora vedemmo che, dalla parte opposta della stazione, in un raggio di circa 300 metri, tutti i vetri dei negozi erano andati in frantumi ed avemmo nuovamente un’immagine della potenza che doveva aver avuto la bomba. [...]
Esemplare è da considerare anche il servizio di donazione del sangue della popolazione italiana. Migliaia risposero alla chiamata della radio ed il sangue fu donato perfino sulle spiagge adriatiche e inviato a Bologna con l’aereo.
Un caro saluto alla telefonista dell’Amministrazione cittadina di Bologna che, sopraffatta da mediatori, non riusciva più a parlare e piangeva molto, molto amaramente. Dopo questa esposizione dei fatti, non ci riesce certo difficile esternare i nostri ringraziamenti a tutti quelli che al momento del bisogno e durante le ore più difficili della nostra vita ci aiutarono in qualsiasi modo e ci sono stati vicini. Questo ringraziamento non va alle singole persone, bensì a tutta la popolazione di Bologna, poiché abbiamo sentito veramente che ognuno era pronto a porgere la sua mano per prestare aiuto.
Auguriamo alla città di #Bologna un futuro più felice. Una città, entro le cui mura vivono così tante brave persone, non si merita attacchi di questo genere." Hans Jurt, amministratore comunale
Dall' Archivio Storico Comunale - Bologna pubblichiamo questo straordinario racconto di chi visse in prima persona l'orrore, il dolore, lo strazio, la reazione di quel terribile giorno.  
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corallorosso · 5 years
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Salvini: "Orecchio di questo poliziotto preso a morsi da un nordafricano", ma è una bufala. E noi siamo stanchi. di Leonardo Cecchi 8 ottobre. La7. C’è Salvini, c’è Floris. Il giornalista fa il suo mestiere: domande. Ma Salvini non ci sta, non le vuole le domande. Non gli piacciono, non vuole rispondere. Bofonchia, si contorce, ride. E poi, in battuta finale, svicola tirando fuori l’asso dalla manica: prende il telefono e fa vedere una foto di un orecchio di un poliziotto “preso a morsi da un detenuto nordafricano”. Vuole parlare di questo, non della Russia. Vuole parlare dei "problemi reali" del Paese, non delle presunto caso russo. E usa quell'immagine, oggettivamente molto forte, per distrarre, distogliere l'attenzione delle incalzanti - e legittime - domande di Floris. Poi, oggi, la novità: la presunta sorella del poliziotto fa sapere, pubblicamente su facebook, che non c’è stato nessun orecchio preso a morsi. Semplicemente non è vero. La dinamica è stata tutt’altra, forse persino accidentale, e non c’è stato nessun mordace nordafricano. "Francesca Miranda, che scrive sul suo profilo Facebook: “Ancora una volta, questo individuo, si è dimostrato un opportunista di cui l’Italia non ha bisogno”. “È di mio fratello quell’orecchio – scrive Francesca Miranda sui social – Ispettore nel carcere di San Giminiano, è stato colpito da un fornello lanciato attraverso lo spioncino della cella”. “Non sai neanche di cosa di tratta, ma usi le disgrazie di chi rischia la propria vita, lavorando per lo stato, mentre tu rubi soldi agli italiani. Sparisci, vergogna di chi lavora!”. E, se il tutto come sembra dovesse essere definitivamente confermato, avrebbe pienamente ragione: perché, anche all’evidenza di questa vicenda, ciò che emergerebbe è che Salvini non si ferma di fronte a niente. Quella storia il Capitano se l’è infatti rivenduta ovunque: Twitter, Facebook, Instagram, tv. L’ha spremuta ben bene. Non solo per eludere le domande di quella sera, ma anche per creare attenzione sui social media riguardo il tema principe del leghista: la sicurezza, in particolare se correlata a migranti. E noi, riguardo questo modo di fare, possiamo adesso ben dirci tutti siamo stanchi. Davvero stanchi di un uomo che conduce una guerra politica con questi mezzucci, con questi trucchi da prestigiatore. Stanchi di una persona che non ha limiti, decenza e rispetto per nessuno. Che usa, strumentalmente ai propri obiettivi, le vite degli altri senza pensarci due volte. E che anche oggi sarebbe stato sbugiardato da una cittadina che, sinceramente, gliene ha davvero cantate quattro.
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lascopadelsistema · 6 years
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Riflessioni pt.4
Vivo da sempre in una cittadina a nemmeno 30 min di treno da Roma Tiburtina e 9 min dalla periferia nord di Roma. Ho iniziato la mia vita da pendolare il primo anno di università e già al colloquio di selezione mi chiesero se avrei fatto in tempo ad andare a lezione e se avrei fatto molte assenze a causa della fatica dello spostamento. In 5 anni non ho mai fatto ritardo o saltato lezioni a causa della "lontananza". D'altronde ci mettevo meno io dei miei compagnia che vivevano in città. Dopo l'università ho continuato a scontrarmi con i pregiudizi. Molto spesso durante i colloqui per richieste di tirocinio o di lavoro la mia residenza fuori Roma ha costituito un problema, alcune volte non sono nemmeno stata presa in considerazione per questo. Eppure ho lavorato 2 anni a Roma e per due anni sono andata al lavoro con i mezzi mettendoci 1 ora e mezza ad andare e 1 ora e mezza a tornare, inutile dire che ero sempre la prima ad arrivare e l'ultima ad andarsene. Fortunatamente non tutti sono cosi idioti sennò non avrei mai avuto modo di lavorare o studiare ma mi fa riflettere questo tipo di pregiudizio in cui ancora mi imbatto. Io penso che essere una pendolare sia una risorsa in piu, doverti spostare tutti i giorni ti rende una persona più dinamica e flessibile oltre che puntuale. Amo avere tempo sul treno per leggere o studiare e tornare la sera a casa lontano dal caos della città, immersa nel verde e nel silenzio.
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paoloxl · 6 years
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Alle quattro del mattino del 31 gennaio, in via Napoli, ad Arzano (Na), Ossuele Gnegne, 28enne originario della Costa d’Avorio e da 10 anni in Italia, si stava recando, come ogni giorno, in bicicletta sul posto di lavoro. Il giovane è un addetto alle pulizie dei locali della palestra Imperial. All’improvviso, ha visto una Smart andare dritta verso di lui. La persona che era alla guida ha volutamente accelerato e lo ha investito (“Ero ben visibile”, dice Ossuele). Non era stato un fatto “casuale”. Voleva investire proprio lui. Poi, dall’auto sono scesi 4 uomini armati di bastoni, spranghe e sassi. “Schifo di uomo, munnezza. Vogliamo ucciderti”, hanno gridato, poi il pestaggio. “Ho provato a scappare – ricorda la vittima – ma sono stato raggiunto e colpito con il crick”. Poi il lancio di pietre e bottiglie, insulti razzisti e minacce. Ossuele è riuscito, per fortuna a rifugiarsi sotto un’automobile e a chiamare i Carabinieri. Poi accompagnato in ospedale, viene medicato per le contusioni e gli viene ingessato il braccio. Ossuele ha affidato a un post su Facebook il racconto dell’aggressione subita. E con non poca amarezza scrive: «Sono nero e quindi devo morire? Non pensavo di poter incontrare ancora persone così, al lavoro, nel mio quartiere svolgo una vita normale e tutti mi rispettano e mi vogliono bene. Sono stato fortunato; ho lividi, contusioni, un braccio spezzato, ma tutto questo passerà. Ciò che non passerà è il colore della mia pelle, che in questo mondo crea problemi». Dopo l’aggressione, i suoi datori di lavoro, per mostrare tutta la solidarietà possibile, hanno attaccato all’ingresso della palestra il cartello: “Vietato l’ingresso ai razzisti”. Anche l’amministrazione di Arzano, con tutta la cittadinanza, ha preso una posizione forte di biasimo e sdegno verso la vile aggressione. Due giorni dopo, e non molto lontano, nel salernitano, a Eboli, una nuova violenza razzista. Le vittime sono due cittadini italiani “rei” di avere la “pelle scura”: un ragazzo di origini brasiliane di 21 anni, Hugo Leonardo D’Onofrio, adottato da genitori italiani, giocatore di rugby e atleta, che vive nella cittadina salernitana e la sua fidanzata, di origini colombiane. I due stavano passeggiando sul viale Amendola quando, come riporta la stampa locale, un gruppo di giovani ha iniziato a offenderli. Dagli insulti (“marocchino di merda”), si è passati ad una vera e propria aggressione fisica con spintoni, schiaffi e calci. Il gruppo di aggressori ha poi tentato di strappare il cellulare dalle mani del giovane, che però ha opposto resistenza. La coppia è poi riuscita ad allontanarsi, trovando rifugio in una farmacia. Il titolare dell’esercizio commerciale, sempre secondo quanto riportato sulla stampa locale, sarebbe stato costretto a barricarsi dentro per evitare che gli aggressori potessero continuare ad aggredire la coppia. Allertati dalle vittime, sul posto sono intervenuti i carabinieri ed i vigili urbani. Il ragazzo, all’arrivo delle forze dell’ordine, è uscito dalla farmacia confermando agli agenti la dinamica e gli insulti: «Mi hanno chiamato marocchino di merda e negro di merda». Gli aggressori sono stati individuati rapidamente e portati in caserma: per loro una denuncia con l’accusa di aggressione con l’aggravante per razzismo e furto. Una settimana fa, il ragazzo aveva denunciato altri casi di razzismo.
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lamilanomagazine · 4 months
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Trieste, arrestati 5 passeur sorpresi a trasportare illegalmente 28 migranti
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Trieste, arrestati 5 passeur sorpresi a trasportare illegalmente 28 migranti Durante i servizi di controllo dei valichi condotti dalla Compagnia Carabinieri di Aurisina e in particolar modo dalla Stazione di Duino in ausilio agli agenti della Polizia di Frontiera, e durante i servizi di controllo di retrovalico condotti dalle pattuglie del Nucleo Operativo e Radiomobile, nel mese appena trascorso sono stati fermati  e tratti in arresto ben cinque passeur. Il primo di loro di nazionalità serba è stato fermato alla guida di un’auto con targa slovena a bordo della quale si trovavano quattro migranti turchi irregolari. Dinamica simile si è ripetuta pochi giorni dopo in località Monrupino dove veniva arrestata una cittadina ucraina che viaggiava alla guida di un’autovettura con targa slovena, trasportando cinque migranti irregolari tra cui una minorenne. Durante la stessa notte veniva fermato in un ulteriore controllo, un autocarro telonato con targa polacca al cui interno viaggiavano nascosti ben dodici immigrati irregolari di origine siriana tra cui una minorenne. I due autisti dell’autocarro venivano indentificati in un 30enne di nazionalità ucraina e un 34enne di nazionalità moldava. L’ultimo individuo tratto in arresto dal Nucleo Radiomobile durante un controllo di retrovalico nei pressi di Basovizza, è un cittadino ucraino classe 80 il quale a bordo della sua autovettura con targa polacca veniva sorpreso mentre trasportava ben sette migranti di origine turca appartenenti allo stesso nucleo familiare. Tutti i passeur sono stati arrestati e condotti presso la casa circondariale di Trieste messi a disposizione dell’Autorità Giudiziaria e rischiano ora una pena dai due ai sei anni di reclusione, mentre i veicoli sui cui hanno viaggiato complessivamente 28 (ventotto) migranti irregolari sono stati sequestrati.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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telodogratis · 2 years
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Baby-sitter e bimba cadono in piscina: la donna muore, la piccola è grave
Baby-sitter e bimba cadono in piscina: la donna muore, la piccola è grave
Non è ancora accertata la dinamica di quanto successo sui colli bolognesi Il dramma si è consumato nel giro di pochi istanti. Una bimba di due anni e la baby sitter che badava a lei –  cittadina filippina di 50 anni – sono cadute in piscina intorno alle 11.30 di ieri. E’ successo in una abitazione sui… Read MoreCronacaToday
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redappleswoman · 3 years
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RECENSIONE: Intrecci di rose e misteri di Marina Sarracino
RECENSIONE: Intrecci di rose e misteri di Marina Sarracino
La giovane e dinamica Isabella sfida le dicerie degli abitanti della sua cittadina e accetta di lavorare come domestica presso Villa Roseto, una splendida quanto malfamata abitazione, a lungo disabitata perché sede di un cruento omicidio e rioccupata solo di recente da un nuovo proprietario: il burbero Lorenzo Mangaro.All’interno della misteriosa villa e a contatto con il suo enigmatico datore,…
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