Tumgik
#ermetico
yourtrashcollector · 5 months
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Giuseppe Ungaretti, Oggi
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andrea-non-sa-tornare · 6 months
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alexsaal · 8 months
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Buffo pensare che ho creato questo blog a fine 2014 e nessuno lo sa e lo hai mai saputo hahaha.
Ci sono personali pensieri, oscurità, fragilità, esperienze e tormenti che nessuno nella mia vita sa e ha mai saputo.
Tumblr è un compagno fedele e, vuoi o non vuoi, ti aiuterà sempre a buttare giù quel che hai nel profondo, quello che spesso nessuno sa e, forse (ahimè), mai nessuno saprà.
Grazie Tumblr.
Grazie.
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dominousworld · 1 year
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IL BAPHOMET o DIAVOLO ERMETICO
IL BAPHOMET o DIAVOLO ERMETICO
di Chiara Rovigatti Shatan, ovvero Satana, l’Avversario, è il “Princeps huius mundi” (il Principe di questo mondo materiale) in quanto, nella sua funzione di contrastatore, determina ogni tipo di differenziazione smembrando di fatto l’Unità alla base di ogni espressione logoica. Questo suo ruolo disgregatore crea l’alterità e, con essa, il diverso laddove la sintesi che è presupposto divino,…
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Il culto di Cor e Oculus, il loro dialogo
Piccolo dialogo tra le parti del mio corpo. Il tema è la riflessione sulla loro mansione.
Oculus: studia tutte le cose che ti faccio vedere, non vedi? Se continua così andrai alla deriva, vedi quell'altra che fa? Questa è una buona occasione. Guarda ti faccio vedere oltre, non vedi la morte? Non vedi che dopo puoi non averlo più? Non senti che se fai così hai più potere?
Cor: si Oculus, vedo tutto grazie alle tue supposizioni, ormai è tanto che le studio, conosco perfettamente il tuo modus operandi, è molto efficiente ma è soggetto ad errori. La tua sicurezza è sempre troppo autoritaria, anche se ponderata da un istinto di sopravvivenza sopraffino, può sbagliare.
Oculus: e con ciò? Perché mai devi smettere di fidarti di me se attraverso me tu vedi il futuro, il passato e il presente. Tu vedi che significano le cose nel loro senso alchemico, nel loro senso ermetico, profondo.
Cor: mio caro Oculus, tu non sei perfetto come non lo è neanche la persona che ci possiede. Non puoi esprimere sempre un giudizio tanto aspro, rischi di rovinare il corpus. È bello e bravo, ma delicato, lascialo riposare di più, non tediarlo con tutte le tue supposizioni.
Oculus: e perché mai dovrò smettere? Senza di me non potrebbe mai sopravvivere il corpus in cui viviamo. Tu che dici di prendertene cura lo manderai in malora!
Cor: Oculus, figlio mio, io sanguinerò sempre per te, il mio sangue è fonte vitale per te, è tuo alimento e con esso ti migliori, ma non dimenticare che se urli così forte, se vedi così profondamente non aiuterai il corpus veramente. Ricorda ciò che ti dico, il tuo lavoro è quello di vedere profondamente, continua a farlo, ma permettimi di farti vedere a te le cose, a volte. Impara ad essere sereno Iecur e Testis, tuoi maestri, loro hanno ragione, ma non scordarti mai l'amore. Esso è il vero motore del corpo, non l'odio che tutto imputridisce. Ricordi? Da bambino non avevi ricevuto gli insegnamenti necessari e tutto andava male, adesso è il momento di ricominciare ad ascoltarmi. Il corpus ha ricevuto fin troppo i tuoi insegnamenti che non riesce quasi più a essere sereno. Dammi modo di ripulire Mens, ormai corrotta, va ripulita di continuo, poiché la mancanza di poesia esterna la sporca.
Oculus: accetto di buon grado questa tua richiesta, a patto che ti ricorderai di tutto quello che vedo, a patto che agirai sempre per mio conto e mio deve essere il corpus.
Cor: Mens è tanto che non parla, la mancanza di decoro la preoccupa fin troppo. Oculus, impara a trovare una soluzione sana. È il momento di crescere.
Oculus: I demoni sono in gabbia da tempo ormai, forse devo smettere persino di andarli a consultare secondo il tuo parere?
Cor: vedi tutto, sappi tutto, prega quando il corpus dorme. Ascolta sempre i demoni ma interpreta le loro parole, usandole come strumento per servire le leggi dell'amore.
Oculus: accetto, sebbene il mondo è sporco devo provare a non imputridire Mens, è troppo insozzata e stanca, forse la verità è che è necessario che faccia pulizia. Mens non comprende, purtroppo ha subito troppo le influenze della mia conoscenza. Non parla mai, come possiamo fare per salvarla è un mistero equivalente a quello divino, perché legato alla provvidenza.
Cor: che le nostre leggi ci salvino.
Oculus: semper in Christus fidelis.
Cor: lasciala stare zitta, Mens parlerà quando il salvatore lo riterrà opportuno.
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diceriadelluntore · 11 months
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Storia Di Musica #280 - Joni Mitchell, Mingus, 1979
Quando nel 1972 George Wein, celebre organizzatore del Festival di Newport, presentò Charles Mingus all’ora governatore della George, Jimmy Carter, futuro presidente degli Stati Uniti d’America, stava già su una sedia a rotelle, in una fase terribile della malattia di Gehring. Ma fu presentato come “il più grande jazzista vivente”. Qualche anno prima, non invitato dallo stesso Wein al Festival di Newport, organizzò un controfestival, con esibizioni notevolissime, girando in macchina con un megafono proprio nella stessa Newport, attirando non poche persone. Mingus negli anni ‘70 era appena tornato sulle scene, dopo il tracollo mentale dello sfratto e le cure psichiatriche. Eppure proprio in questi anni ci fu una riscoperta totale dei suoi dischi, anche perchè come sempre lui ci mise lo zampino: si mise in testa di poter far soldi con la Candid Records, una piccola casa discografica fondata nel 1960 dal critico e produttore Nat Hentoft e da Archie Bleyer, proprietario della casa discografica Cadence. Mingus auto assunse il ruolo di “direttore” e in 6 mesi registrò dischi favolosi, garantendo agli artisti totale libertà concettuale e artistica, ma non pagò musicisti, tecnici, firmò contratti stranissimi, tanto che durò tutto dall’agosto del ‘60 all’aprile del ‘61. Ma dagli anni ‘70 il catalogo completo fu ridistribuito con il marchio Barnaby della CBS, riaccendendo l’interesse su questo geniale quanto stranissimo musicista. Di questo periodo anche le sue ultime grandi composizioni, con il vulcanico quintetto di George Adams e Don Pullen, con cui registrò Changes One e Changes Two, tutti e due del 1975, con uno dei suoi ultimi grandi pezzi, Duke Ellington’s Sound Of Love. La sua quarta moglie, Sue, è il suo angelo custode, e proprio Sue gli porta un album di una cantante canadese,  Don Juan's Reckless Daughter, che in quegli stessi anni, siamo nel 1977, stava sperimentando il canto jazz: Joni Mitchell. Affascinato dalla sua voce, Mingus la contatta e iniziano a parlare di una collaborazione. La prima idea è grandiosa, in pieno stile Mingus, musicare cioè i Quattro Quartetti di T. S. Eliot: Burnt Norton, East Coker, The Dry Salvages, e Little Gidding sono 4 racconti che il grande scrittore americano aveva pensato come sezioni simili ai tempi di un quartetto d’archi, da cui il nome, scritti prima e dopo lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, dal simbolismo ermetico e potentissimo. Joni Mitchell in un primo tempo rifiuta, poi Mingus lascia perdere Eliot e le regala sei composizioni autografe, chiamate Joni I-VI, a cui Mitchell dovrà aggiungere i testi. Siamo nella secondo metà del 1978, e Mingus per via della sua malattia si trasferisce con Sue a Cuernavaca, in Messico. Mitchell prova le canzoni con un gruppo di musicisti, ma non è convinta, così richiama il leggendario bassista e suo collaboratore nei dischi precedenti, Jaco Pastorius, a cui affianca un gruppo fenomenale: Wayne Shorter al sassofono soprano, Peter Erskine alla batteria, Don Alias alle congas, Emil Richards alle percussioni e il grande Herbie Hancock al piano elettrico. Prodotto dalla stessa Mitchell e registrato presso gli Electric Ladyland Studios di New York, Mingus esce nel giugno 1979. Mitchell aggiunge di suo God Must Be A Boogie Man è per voce, chitarra acustica e basso fretless di Pastorius e The Wolf That Lives In Lindsey, più particolare: lungo brano di voce e chitarra più, qua e là, congas (e ululati) e il jazz rock di God Must Be A Boogie Man. Nei brani scelti tra quelli scritti da Mingus, c’è altra magia: A Chair In The Sky è in quartetto con Hancock, Shorter, Pastorius ed Erskine, è uno degli ultimi gioiellini di Mingus, tra armonie complesse e delicate melodie, con Shorter sugli scudi e il lavoro eccellente di Pastorius in tessitura strutturale. Sweet Sucker Dance è quasi swing; The Dry Cleaner From Des Moines è un saltellante blues con tanto di sezione fiati (arrangiata da Pastorius). Il brano decisamente più emozionante è quello che chiude il disco, la magnifica ballata del 1959 che Mingus dedicò a Lester Young, Goodbye Pork Pie Hat: sempre in quartetto, Joni Mitchell fornisce una stupenda esposizione melodica  cantando anche la prima, lunga, parte del bellissimo assolo di sax tenore presente nell’originale del 1959. La Mitchell qui come cantante si è superata, e ci ha donato una preziosa versione di questo immortale brano di Mingus. Tra i brani, si intervallano delle parti di dialoghi buffi e scanzonati, segnati sul libretto come Rap, tra Mingus, amici e vari musicisti. Il disco fu un fiasco commerciale, e anche la critica non seppe capirlo all’epoca. Tuttavia per tutti i musicisti, fu uno dei lavori più cari per vari motivi, non ultimo quello che successe di lì a poco. Appena quasi tutti i brani erano pronti, tranne God Must Be a Boogie Man, furono mandati a Mingus a Cuernavaca, a fine 1978. Mingus fece appena in tempo ad ascoltarli, perchè il 5 gennaio del 1979 muore stroncato da un infarto. Il disco uscirà nel giugno 1979. E nelle note di copertina di Mingus, Joni Mitchell racconta questa storia, che si pensava fosse una leggenda di sua invenzione, ma che alla fine si rivelò vera: nello stesso giorno della sua morte, in una Baia non lontana da Cuernavaca, una mareggiata spiaggiò diversi capodogli. Erano 56, 56 come gli anni di Charles Mingus. Il giorno dopo, come da sua volontà, il suo corpo venne cremato e le sue ceneri verranno poi depositate nel Gange. Nello stesso giorno della cremazione, anche le carcasse dei capodogli vennero bruciate in colossali pire sulla spiaggia. Leggenda vuole che le fiamme facessero nel cielo delle piccole M: l’ultima leggenda di Charles Mingus, genio della musica.
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A chi piace la zuppa inglese?
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INGREDIENTI PER 5/6 PERSONE:
PER I SAVOIARDI:
62 g di tuorli
95 g di albumi
90 g di zucchero semolato
75 g di farina “00”
32 g di fecola di patate
zucchero semolato e zucchero a velo per spolverare
PROCEDIMENTO:
Sbatti i tuorli d’uovo con 50 g dello zucchero totale fin quando non avranno quadruplicato il loro volume;
Monta a neve gli albumi prima da soli e poi, quando saranno diventati bianchi, aggiungendo a pioggia la restante parte di zucchero;
Setaccia la farina e la fecola di patate;
Incorpora una prima parte degli albumi montati a neve ai tuorli in modo da uniformare le consistenze. Fallo sempre mescolando dal basso verso l’alto;
Incorpora, in altre due volte, il resto degli albumi e le farine al composto. Sempre mescolando dal basso verso l’alto;
Metti il composto in una sacca da pasticciere e forma i savoiardi su una teglia foderata con carta da forno, dovranno essere lunghi 10/12 cm e larghi 1 cm;
Cospargi i savoiardi con zucchero semolato e poi con zucchero a velo e cuocili in forno statico preriscaldato a 180°C con la porta lasciata leggermente aperta con una pallina di carta stagnola per circa 10 minuti. I savoiardi dovranno avere, una volta cotti, un bel color nocciola;
Fai raffreddare i savoiardi e poi conservali in un contenitore ermetico.
PER LA BAGNA:
50 g di zucchero
100 g di acqua
100 g di alchermes
scorza di arancia
scorza di limone
PROCEDIMENTO:
In un pentolino metti acqua, zucchero e scorze di agrumi e porta tutto ad ebollizione;
Non appena il tutto bollirà e lo zucchero sarà sciolto spegni e fai raffreddare. Una volta freddo aggiungi l’alchermes e metti da parte.
PER LA CREMA PASTICCIERA:
300 g di latte intero
2 tuorli
70 g di zucchero semolato
20 g di amido di riso
scorza di arancia
PER LA CREMA PASTICCIERA AL CIOCCOLATO:
300 g di latte intero
2 tuorli
70 g di zucchero semolato
20 g di amido di riso
2 cucchiaini di cacao amaro
50 g di cioccolato fondente al 70%
scorza di arancia
PROCEDIMENTO:
Aromatizza il latte con la scorza d’arancia e fallo scaldare a fiamma dolce;
Nel frattempo, in una ciotola, unisci tuorli, zucchero e amido (e nel caso della crema al cioccolato anche il cacao amaro);
Aggiungi poco alla volta il latte caldo alle uova, mescola e rimetti tutto in pentola;
Fai cuocere a fiamma bassa fin quando la crema non si addensa;
Togli dal fuoco e, per la crema al cioccolato, aggiungi il cioccolato fondente tritato e fai sciogliere;
Versa poi la crema in un piatto e coprila con pellicola a contatto.
ASSEMBLAGGIO ZUPPA INGLESE:
Bagna per pochi istanti i savoiardi nella bagna e disponili in una pirofila;
Metti la crema al cioccolato sul primo strato e poi ricopri con altri savoiardi bagnati;
Completa con la crema gialla, fai riposare in frigorifero per almeno quattro ore e servila con una spolverata di cacao amaro.
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gregor-samsung · 10 months
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“ Il dialetto gaddiano, il romanesco del Pasticciaccio tanto spesso avvicinato a quello pasoliniano, entra in un rapporto ludico complesso con la lingua, con i suoi differenti livelli, e nel gioco quello che conta è la scrittura, l'artificio della scrittura come suprema abilità di maneggiare (e magari di distruggere, ma dall'interno) il registro del simbolico, la comunicazione (e la tradizione) letteraria. Al contrario il romanesco pasoliniano vuole prima di tutto essere puro suono, nasce indifferente ai significati, esterno alla comunicazione, posto al servizio di un progetto di ipnosi, di trance. È un dialetto "brutto", rigorosamente privo di tensioni formali, tutto concentrato sulla propria noia. Se nei primi racconti di Alí l'artificio letterario tradizionale, inteso come abilità ed eccezionalità linguistica, era ancora ben presente, col dialetto dei romanzi passa in secondo piano e ci sembra di leggere semplici registrazioni vocali. La letterarietà dell'operazione si è spostata, ha cambiato scopo. L'« intervento dello scrittore in quanto tale »* non si indirizza piú al perfezionamento interno della scrittura, ad esibire gli artifici, le astute scelte, a molare e render "bello" il pezzo testuale; ma punta piuttosto all'effetto finale, pratico, del testo: non interessa la tenuta estetica ma il potenziale di fascinazione che il testo può produrre. Perciò i romanzi pasoliniani, nonostante le apparenze spesso alessandrine, possono anche mostrare rozzezze, e trascuratezze di scrittura. Il romanesco non è affatto un registro "d'arte", viene adottato e trascritto in una chiusa brutalità che lavora efficacemente come un suono addormentatore. Tale vistosa modifica della letterarietà testuale chiarisce le profonde differenze tra l'operazione dialettale romana e il precedente friulano. Nel Friuli il dialetto funzionava come metafora della dimensione immaginaria ma conservava tutti i segni "letterari" del gergo ermetico. L'immaginario era messo in gioco per via di metafora, proprio attraverso la strumentazione raffinata dell'artificio: la cantilena ipnotica del fantasma era prima di ogni altra cosa una scrittura, un'elaborazione testuale, e fingeva abilmente di essere il suo contrario, l'oralità liberata di un registro pre-linguistico. Ora invece l'esperimento pasoliniano è diverso, molto piú radicale. Ora il dialetto dei romanzi, appiattito nella ripetizione, è letteralmente quella oralità dell'immaginario. Se volessimo servirci di una sottile distinzione potremmo dire che il friulano era una « scrittura », il romanesco è invece una « trascrizione » del fantasma.** Certo, anche nel caso del romanesco il dialetto è prima di tutto linguaggio, quindi interno alla generale dimensione della comunicatività; ma Pasolini ne fa un uso così speciale, così limitato (fatto di formule, di indifferenza, quasi di cecità linguistica), che il salto dal dialetto-linguaggio al dialetto-fantasma è facilissimo. Il romanesco, così ridotto e impoverito, è una catena di significanti, senza semantica, e una tale catena non riesce neppure a localizzarsi come sistema di opposizioni, di simboli, di segnali riconoscibili e produttori di senso: insomma, il puro significante di questo dialetto non riesce a diventare organizzazione, griglia simbolica dentro la quale ordinare le cose. “
*Si veda la dichiarazione pasoliniana: « Per assumere nel romanzo il colloquio in dialetto occorre perciò un intervento dello scrittore in quanto tale molto piú accentuato e dichiarato che in una pagina scritta nell'italiano letterario ». Cfr. F. Camon, Il mestiere di scrittore, Milano, 1973, p. 107. **Ci serviamo di una distinzione enunciata da Lacan, a proposito dei suoi seminari, nella Postface a J. LACAN, Le séminaire livre Xl. Les quatre concepts fondamentaux de la psychanalyse, Paris 1969, pp. 251-254.
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Rinaldo Rinaldi, Pier Paolo Pasolini, Ugo Mursia Editore (collana Civiltà letteraria del Novecento - Profili N. 40), 1982¹; pp. 145-46.
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Ungaretti
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alexsaal · 8 months
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Mi domando sempre perché io sia così ermetico
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omarfor-orchestra · 6 months
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Ma quanto è ermetico nelle risposte mi aspettavo dei pipponi non so perché
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apropositodime · 10 months
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Il linguaggio ermetico di prima mattina, anche no grazie!
Faccio fatica a riconoscermi allo specchio...😅
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youngpeachenthusiast · 2 months
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18/02/2024
chissà perché la gente mi guarda. forse solo perché ha gli occhi.
potrei essere un poeta ermetico ma sono solo un uomo triste
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come faccio a sopravvivere?
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susieporta · 1 year
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Nel simbolismo ermetico i solstizi sono considerati porte, di separazione spirituale tra il basso e l’alto, tra la terra e il cielo, tra il micro e il macrocosmo.
Il solstizio d’inverno rappresenta la porta aperta verso l’alto, l’avvio del ripristino del predominio della Luce sulle tenebre. “La Luce è per chiunque, ma bisogna desiderarla”
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instabileatrofia · 1 year
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Livido rumore,
tenebra ad interruttore.
Se fosse solo una questione di notte,
non saremmo qui a parlarne.
Cambio la guarnizione
per rendermi nuovamente ermetico,
soffro le infiltrazioni.
Esco da queste parole,
può bastare.
I.S.A.
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canesenzafissadimora · 10 months
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L’amore ama tutto dell’Altro ma non può fare tutto con l’Altro. L’alterità assoluta dell’Altro vieta infatti che i Due possano mai fare Uno. Ogni amore è obbligato a sperimentare di essere sempre un “non-tutto” perché nella sua esperienza deve incontrare l’impossibilità dell’unificazione e dell’immedesimazione. Non si tratta però di un limite, di uno scacco, di una trappola. È la bellezza miracolosa dell’amore: amare tutto dell’Altro senza mai poter essere un tutto con l’Altro. Essere attratti dal suo mistero, dal suo segreto, dalla sua alterità che non possono mai essere nostri. Per questo Lacan affermava, in un modo solo a prima vista ermetico, che quando si ama si ama sempre una donna. Cosa significa? Se la donna è il nome dell’eteros, dell’alterità, della sua impenetrabilità, inappropriabilità, allora amare è sempre amare una donna, amare, cioè, l’eteros.
Massimo Recalcati
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