Tumgik
#ho bucato anche i piedi
finestradifronte · 2 months
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Mi manca...
Lo zoccolare fino in spiaggia con mia madre che mi diceva "cammina bene alza quei piedi"...pinoli per terra da schiacciare con i sassi...
l'odore della siepe di caprifoglio dalla pensione trieste al bagno emilio e quello dei giornali dell'edicola, misto a quello del mare e degli abbronzanti e della piadina...
la cuffietta bianca della piadinara...quella anziana, la prima ..che faceva le piade tirate a mattarello con il bordo frastagliato e il pezzetto di carta marroncina per portarle via ...
la luce bianca del mattino e la bassa marea con le righe della sabbia sotto i piedi, i buchini dei cannolicchi e schivare i granchi 
fare capannella con il tettuccio del lettino e il telo, il caldo sulla pelle...l'odore dell'abbronzante e il libro con sabbia tra le pagine...
e aspettare le 11 che non arrivavano mai per il bagno... il freddo dell'acqua al primo tuffo  o l'andare giù piano piano con tutta la pelle d'oca... i rumori attutiti quando si è sott'acqua.... il cretino di turno che ti slaccia il bikini...le spalle di mio padre per salirci a fare i tuffi...
correre sulla sabbia bollente saltellando tra un'ombra e l'altra...  stendersi al sole senza fare la doccia e sentire la pelle tirare con il sale che brucia appena sulla pelle un po' scottata sulle spalle ...
il fastidio della sabbia tra le dita e lavarsi i piedi nel rubinetto sotto le docce aspettando con il costume in mano per sciacquare anche quello...il profumo dello shampoo e il rigagnolo di schiuma e acqua sulla sabbia...
il cemento rigato e rosso e bollente della banchina del porto con le barche che partivano da Milano Marittima per la gita a Rimini e la voglia di tuffarsi lì ma la mamma non voleva...e stare in equilibrio sul muretto tra la banchina  e gli scogli ad aspettare gli schizzi delle onde,
il mare grosso i rari giorni che faceva temporale e a fare il bagno tuffandosi dentro le onde e ci si riempiva il costume di sabbia..
la pizza che faceva la sorella della vedova di Emilio alle cinque...e io le confondevo poi sempre quelle due...la Maria e l'Anna
Il rullo per tirare il campo da bocce e il barattolo bucato con il talco per fare le righe...e le premiazioni delle gare al  pomeriggio e se le coppie erano miste io ero un po' gelosa se mio padre giocava con la mamma della cecilia perchè era così bella...
e guardarti da lontano mentre giocavi a calcio sporco di sabbia dappertutto e cominciare a scoprire  quell'emozione nuova quell'attrazione mai provata... ecco cosa vuol dire innamorasi...il dondolo dell'Hotel Miramare dove per la prima volta ho capito che potevo anche godere del mio corpo...
I giardini del tennis con la terra rossa e la giostra e l'odore dei pini...
le tonde alla sera su e giù per viale Roma e baci infiniti sulle panchine, le feste al Giardino D'Estate con Gianni Togni che cantava Luna..e le puntate all'ippodromo di Cesena e le gite al Parco Naturale che mi sembrava così lontano...
Gli amici che poi non avresti rivisto più,  quelli che rivedi solo lì...e quelli che sono ancora con me ......il primo primissimo bacio sul dondolo della casa in affitto ...
il rumore degli aerei con la pubblicità...la pizzeria da Duilio e il cinema Italia all'aperto ...le lacrime  quando era ora di tornare e il grano nei campi era già mietuto e le arature portavano l'autunno...
Mi manca la felicità pura e spensierata di quel periodo quando ancora tutto poteva essere e ogni cosa era nuova e da scoprire ...e che non è stata mai più.
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a-tarassia · 1 year
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È un concetto semplice. Ogni cittadino crea, con ciò che fa o non fa, delle reazioni, crea un prodotto, che sia materiale o non materiale, che può portare un cambiamento nella vita della società di cui il cittadino fa parte. È quindi necessario che l’individuo sia cosciente di ciò e agisca per il bene di tutti, per creare valore. Idealmente. Il valore può essere di tutti i tipi, anche solo sicurezza o solidarietà o anche conoscenza o bellezza e armonia.
In economia viene chiamata esternalità l’effetto che le azioni di consumo o di produzione di un soggetto ha sugli altri soggetti. Anche un parcheggio fatto male, per esempio quando trovate una macchina piazzata in mezzo tra due posti, crea una esternalità negativa. Chi arriva dopo non riesce a parcheggiare né in uno né nell’altro posto. Il famosissimo caffè sospeso a Napoli è un tipico esempio di esternalità positiva. Chi prende il caffè al bar e decide di lasciarne uno pagato regala un sorriso e un caffè ad un’altra persona. La fabbrica di Gentilini che sta sulla tiburtina a Roma sforna biscotti a catena e succede che se passi vicino senti quest’odore di biscotti nell’aria, è un’esternalità, per me che c’ho lavorato accanto per due anni ad un certo punto da positiva è diventata negativa, dopo qualche mese quell’odore mi faceva venire voglia di strapparmi via il naso a morsi, ma datosi anatomicamente impossibile allora ho desistito.
Non è facile gestire le esternalità e visto che ne ho già scritto e anche abbondantemente sul mio altro tumblr anni fa, oggi volevo solo dirvi questa cosa qui che sto per dirvi.
Ho una vicina, su cui dovrei scrivere molto, ma mi limito a dire che vive con altre quattro persone, tutte adulte e oltre e lei si occupa del bucato di tutti, perché, salvo le due anziane, il marito e la figlia evidentemente sono nati senza mani, ma sorvoliamo. La mia vicina ha la lavatrice fuori casa, sul retro e sul retro ha anche il lavatoio che, dio solo sa come mai, usa in continuazione con una certa passione. Questa mia vicina fa una lavatrice al giorno, almeno, e la fa sempre la mattina presto, questo comporta che dalle mie finestre esposte verso casa sua, ogni mattina entra un piacevole odore di ammorbidente e dura tutto il giorno e io la consideravo una esternalità positiva, mi dicevo che meno male che sta povera disgraziata c’ha da lavare per un esercito ad ogni rotazione terrestre, io mi sveglio ogni mattina con un bellissimo odore che mi accoglie e che profumo e che cazzo di ammorbidente usa e quanto cazzo ne usa? Glielo devo chiedere. Ad onor del vero credo sia talmente forte che anche la mia dirimpettaia dall’altra parte della strada lo sente al punto che la domanda sul prodotto gliel’ha fatta lei, lo so perché, la dirimpettaia, quando parla urla fortissimo, esternalità negativa, so anche quando ha dei problemi con le colleghe e la sorella e quando deve andare dal ginecologo e quando la figlia non rifà il suo letto la mattina, ma non c’ho mai parlato.
Io questa del profumo di bucato la credevo un’esternalità positiva, no? Sono anni che mi dico che fortuna, che bello, che profumo rasserenante, che potenza del bucato che ha la mia vicina, ma come fa? È una maga? E invece no, @autolesionistra a mi ha riportato coi piedi per terra in un suo post in cui ha gentilmente spiegato che non è profumo di bucato la mattina quello che sento, manca poco che sia quello del napalm (cit.) perché in verità è inquinamento amici miei.
Il mio bucato del resto non profuma così perché a momenti lavo solo con acqua e se riuscissi a rifiltrarla la riutilizzerei, giuro, anche perché come dice un tipo su tiktok you do not need to be washing your fucking clothing like a maniac, Are ya’ll rolling in fucking manure, cause a lot of ya’ll wash your clothing like you rolling in fucking manure everyday.
Babies we don’t have all that money to waste and not even all that time to waste and not even the luxury to use all that detergent anymore sis.  
La mia vicina inquina ed è un’esternalità negativa, ma certamente non è che adesso posso addossare a lei le colpe di secoli di storia e corporazioni, chiaro, però adesso nella mia testa quella che credevo fosse una roba bella mi metterà invece ansia.
Ciao.
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darkinsidemylungs · 3 years
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E fu così l’inizio
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erosioni · 4 years
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Affinché i miei ricordi servano a qualcuno o a qualcosa. Se avete voglia di leggere quello che c’è prima è QUI. 
I miei primi due anni a Roma sono molto confusi nella memoria. Mi sembrava di essere su una cazzo di giostra al luna park. Forse nella centrifuga di una lavatrice sarebbe un paragone più descrittivo. Non ero abituato a incontrare tante persone e così diverse dopo la solitudine dell’adolescenza e del liceo. Per la prima volta avevo degli amici e di tanti tipi diversi.
C’erano i “normali”, i miei compagni di appartamento con cui bevevo, andavo alle feste e frequentavo ragazze. C’erano quelli del cineclub dove mi ero iscritto e andavo a parlare di cinema per ore e poi bevevamo birre orrende in lattina e fumavamo finché non ci lacrimavano gli occhi. C’erano le mie conoscenze del giro gay di Roma. Non tanto quelli che mi rimorchiavano casualmente nei vari luoghi di battuage, ma coetanei che avevo finito per conoscere durante i vagabondaggi in quelle serate. Mi portavano nei locali, quei pochi che c’erano, dove finivo per conoscere ancora altra gente. I froci-adulti, quelli sulla piazza dai tempi duri, che ti raccontavano l’aneddoto sul cazzo di Pasolini o su Sandro Penna. I poeti a Roma sembravano tutti froci. I froci-militanti, quelli che giravano attorno al Mario Mieli e ti facevano le ramanzine sull’aids. I primi trans che mi facevano una grandissima impressione, come figure uscite da un libro di favole folli. E poi le feste, non quelle dei normali, quelle dei froci, dove c’era sempre la possibilità che tutto degenerasse in sesso collettivo (mi è successo una sola volta in realtà).
In facoltà non ci andavo mai. Non studiavo e se studiavo non andavo a dare l’esame. Mio padre era inferocito. Tre volte alla settimana mi insultava per telefono, ma più di quello non poteva fare o non riusciva a fare. In dei periodi il mio ritmo sonno veglia era completamente invertito. Dormivo fino all’una e poi nel pomeriggio facevo le cose normali. La notte cercavo sesso o qualunque altra cosa eccitante. Mi ero iscritto in una palestra del centro storico che era frequentata da omosessuali giovani. Non ero mai stato un fissato per la forma fisica, ma imitavo quello che facevano gli altri. Forse è stato il periodo in cui sono stato più atletico, anche se bevevo come una spugna. Il mio corpo stava cambiando, ero come i mutanti dei fumetti che leggevo da ragazzino, come i Fantastici 4, come gli X-Men. Un mostro con i superpoteri e l’identità segreta. Ma soprattutto stava cambiando il mio cervello.
Tutto quello che ricordo sono facce, facce, facce e nomi, ma non necessariamente associati alle facce. Ciao sono Andrea. Ciao sono Filippo. Ciao sono Antonio. Ciao. Ciao. Ciao. Tutti usavamo nomi falsi, soprannomi, mentivamo sulla provenienza, sull’età. Queste cose non le ha inventate internet, mocciosi, si sono solo perfezionate tecnologicamente. Facce, nomi e cazzi. Tanti cazzi di tutte le dimensioni, vecchi e giovani, rugosi e lisci, con le vene in rilievo, curvi, sporchi o addirittura profumati alla colonia. Due anni pieni di vortici e cazzi. Due anni pieni di vuoto e facce. Due anni pieni di piacere e paura. Due anni pieni di prime volte.
Le prime volte che qualcuno mi ha fatto un pompino. Pensavo a un errore. Ero io che li facevo i pompini agli altri. Invece no, c’era anche chi voleva farmeli. Da uno grande non lo potevo sopportare, solo dai miei coetanei. La vista di uno coi capelli bianchi e la faccia sconvolta che si piegava a terra per prendermelo in bocca era sufficiente a farmelo smosciare istantaneamente. E la prima volta che mi hanno dato la bamba. Gentile cessione gratuita di stupefacente per “convincermi” a scopare. In realtà ero più che convinto ma ero curioso di provare quella roba e di fare come Scarface. Quanto era sexy Al Pacino in Scarface? Quanto era pericoloso?
La prima volta che mi sono lasciato legare e torturare da uno stronzo. Avevo una paura terribile e un desiderio assurdo. Mi ha aveva rimorchiato a una festa. Ero fatto o ubriaco o entrambe le cose. Forse aveva vent’anni più di me o anche più, ma portati bene. Ricordo una faccia pallida, da malato mentale però con delle mani forti, ossute, inanellate. Occhi azzurri. Mi sono sempre piaciuti gli uomini con gli occhi azzurri, io ce li ho nerissimi. Ci guardavamo e dopo un po’ mi sono andato a sedere da solo in un angolo della stanza affollata. Si è seduto accanto a me e mi accarezzava. Mi diceva all’orecchio che voleva legarmi e punirmi e io sentivo un vuoto che mi si apriva dentro e un ruggito che usciva da quel verminaio. E ovviamente mi veniva sempre più duro nonostante la paura. Mi venivano in mente tutte le seghe che mi ero fatto sulle riviste tedesche di sadomaso e le espressioni stupide e languide di quei modelli biondicci.
Poi non mi ricordo molto, a parte che ero in macchina con lui e vedevo sfrecciare le strade semivuote di Roma. Non avevo idea di dove cazzo mi stava portando e come avrei fatto a tornare indietro. I cellulari erano cose che si vedevano nei film di fantascienza, mocciosi, e non avevo detto a nessuno con chi stavo andando via. È così che ti ritrovano morto dietro un cespuglio. Magari anche oggi che lo smartphone del cazzo ti traccia minuto per minuto. Fino al cespuglio, appunto. Comunque ero talmente arrapato e fatto che neanche ci pensavo.
Ho il ricordo di lui che mi parla mentre guida, ma non di quello che mi dice. Ricordo che volevo che accendesse lo stereo per sentire musica, ma invece continuava a farmi domande a cui rispondevo a monosillabi. L’esterno della sua casa del cazzo, forse Quartiere Trieste. Un triste palazzone di lusso di quelli con i motti latini sui cornicioni. Poi di nuovo non ricordo un cazzo a parte un corridoio ingombro di tappeti e mobili color mogano. Quelli con le zampe di leone. L’impressione vomitevole che dividesse la casa con qualche vecchio genitore di cui comunque non c’era traccia mi è arrivata ex post.
La cosa che ricordo dopo è che ero legato al suo letto per i polsi. Con una corda di merda che mi faceva male. Ed ero nudo con lui addosso che mi segava. Mi ha preso a schiaffi forte. Diverse volte. Ma ero talmente fuori che sentivo pochissimo. Mi insultava, ma nella memoria la voce si è cancellata, ricordo solo l’espressione arrabbiata. I suoi occhi azzurri mi perforavano. Sparì per un tempo che mi sembrò eterno. Ora sentivo un po’ di dolore in faccia. Il cazzo cominciava ad ammosciarsi e mi veniva su la paura di essere bloccato con un coglione pazzo. Provai a scrollare le corde, ma mi facevo male ai polsi. Lo stronzo mi aveva legato strettissimo. Consenso e safe-word erano parole sconosciute e ogni volta che sento cianciare gli scienziati del bdsm mi fanno ridere con queste stronzate paralegali. La verità è che quello non mi avrebbe mollato neanche se fosse sceso San Michele Arcangelo.
Gridai “dove cazzo sei finito?” Tornò immediatamente e mi schiaffeggiò ancora sulla bocca, stavolta era nudo anche lui e ricordo bene che mi disse “Stai zitto”. Il dolore mi fece immediatamente eccitare. Sentivo un vago sapore di sangue in bocca. Tirò fuori dal nulla due mollette da bucato di quelle di legno. Non ebbi tempo neanche di dire “NO” e me le applicò ai capezzoli. Gridai con quanto fiato avevo in gola mentre lui mi teneva le mani sulla bocca. Tutte e due. Mi schiacciava sotto di lui mentre ero percorso da fremiti di dolore e di piacere. Mi ripeteva che ero cattivo, cattivo, cattivo, che dovevo essere punito. E mi entrava dentro il cervello come un fiume di merda.
Quando mi ha levato le mollette, dopo un tempo che mi era parso eterno ma dovevano essere pochi secondi, volevo solo che mi scopasse. Lo pregavo con una voce di infantile di punirmi e di scoparmi, ma lui mi segava e basta e smetteva appena vedeva che diventavo duro. Smetteva e ricominciava a schiaffeggiarmi e a torcermi i capezzoli doloranti. Non capivo più un cazzo. Mi sentivo nelle sue mani, potevo godere liberamente. Mi sentivo anche umiliato, ma più di tutto mi sentivo al sicuro dal dolore perché ero al centro del dolore. Mi sentivo finalmente protetto. Ero cattivo, dovevo essere punito, dovevo soffrire e godere, senza nessun pensiero. Mi ha inculato ripetutamente con le dita, con due o forse tre. Finché non sono venuto urlando. A quel punto non mi diceva neanche di stare zitto, doveva essere molto eccitato anche lui.
Poi c’è un momento di nuovo in cui non ricordo bene, vedo le immagini accelerate come quelle di un film comico degli anni Venti. Gli faccio un pompino, ma a quel punto sono slegato. Mi viene in bocca senza darsi pena di avvertire. Ancora qualcosa che non ricordo. Poi siamo vestiti. Sento le mutande bagnate e sporche, davanti e dietro. Le cose vanno velocissime. Ho la nausea e mi gira lo stomaco, ma non ho il coraggio di chiedere neanche un bicchiere d’acqua. Il dolore ai capezzoli è pulsante. Non sto bene in piedi. Lui mi parla, forse mi fa dei complimenti stupidi a cui non credo, ma intanto mi accompagna per un braccio alla porta. Guarda fuori dallo spioncino e poi si gira verso di me. Mi mette ventimila lire nella tasca dei jeans, “per il taxi”. Mi scompiglia i capelli e mi sbatte fuori. Ho ancora la nausea. 
Appena esco dal portone mi viene un conato di vomito, ma non esce niente. Sono quasi deluso. Guardo l’orologio ed è tardissimo. Non so bene dove cazzo sto e neanche me ne frega più. Fa freddo. Mi cade una lacrima. Una sola lacrima. Vergogna? Gratitudine? Sollievo? Ho i segni della corda di merda sui polsi. Passerò i prossimi giorni a coprirli e a inventare cazzate. Però anche a ripensare a quando avrei avuto il coraggio di farmelo fare un’altra volta. Come si chiamava sto pazzo? Aveva il mio numero di casa? Glielo avevo dato? Speravo di no. Ma forse speravo di sì. (Continua).
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Lei era sempre lì. Caffè, un'orchidea alla finestra. “prendi il succo?” Capello castano, e pigiama, e occhi bruni, 32 anni. Le faccio segno di avvicinarsi, sorride un po’. Sorride sempre un po’.  Adoro quel suo sorriso comprensivo e un po’ enigmatico. E’ la nostra cucina, io sono  su uno di quei seggioloni alti da bar ma in paglia. Si butta tra le mie braccia, “che vuoi, è tardi”, e ride.
“dammi un bacio, sciocca” “sciocca”, mi guarda di sottecchi con un finto rimprovero prende la mia mano e se la ficca tra le gambe, e sento il suo sesso bagnato poi mi sfiora delicatamente il pacco “sciocca?! mi chiami… mmmh”
”Prendo il succo di arancia”, le dico di rimando. Lei allontana la mano mi da’ un piccolo scossone sulla spalla. “E’ sul tavolo prenditelo!” e ride. Si gira verso le scale, mi guarda velocemente un’ultima volta “preparami un caffè, io faccio una doccia”, sorride, mi fa un buffo cenno con la mano come dire “si sbrighi lacchè”, con una  faccia di finto sdegno, e poi corre al piano di sopra salendo a piedi scalzi.
Prendo la tazza di caffè davanti al tavolo di fòrmica nera. Fuori dalla enorme finestra , lì, vedo le quiete strade di Lipkin. Il cielo è nuvolo. Appena un grado sopra lo zero, dice il termometro. Apro la bianca porta di ingresso, una folata di vento gelido. Il piccolo vialetto, freddo e gelato. Piante da giardino, alcune auto parcheggiate. Un vicino esce e sale in auto. Sorseggio il caffè. “Che fai, si gela chiudi la porta ?!” E’ lei, si avvicina ancora in pigiama e due pantofole bianche, mi prende alle spalle e sento quel suo profumo rassicurante. Mi giro, ci baciamo. Bocca nella bocca. A lungo. Al freddo. la guardo negli occhi—ti amo  le dico lei sorride e mi bacia ancora “ti amo anche io”, e mentre lei mi scruta negli occhi con le sue pupille quasi nere, e tutto il suo profumo mi avvolge buono come l’amore che prova per me  e che ogni gg mi risana verso… . driiin, driiin….. drrrin…. driiiinnn driinnnn…… drinnnnnnnnn…… la sveglia del telefono .  Apro gli occhi a fatica. Era un sogno. Sono sul divano, le coperte e  il plaid di lana sfatti sul mio corpo, i cuscini storti. Il collo che fa male…  driiin driiin…. spengo l’allarme. Sono a Lipkin. Sul divano, davanti al tavolo con un portatile in standby,  qualche resto di sigaretta sul posacenere, che diavolo… non le ho buttate?
Sono solo. La realtà rientra in me,  come un vestito freddo, con il suo carico disumanamente crudo e vuoto, del vero. Anna è morta sei mesi fa. E il suo profumo non esiste più.
Perchè continuo a sognarla?
Ogni risveglio è un tormento. Dai sogni non vorrei più svegliarmi, per stare con lei in quel mondo magico dove siamo ancora insieme e ancora felici. Invece mi sveglio. Ed  ogni risveglio è un “omicidio”. Ancora. Ancora. Ancora. Vengo “ucciso” nel mondo dei sogni, dove siamo insieme, per essere proiettato  in questa realtà ostile, dove lei non esiste. In questo inferno, senz’anima. In questo universo vuoto. Fa male il contrasto, sento ancora il suo profumo ma vedo il mondo freddo e capisco che è tutto un crudele  gioco della mente. Dell'anima. Che non regge la sua assenza. Guardo il tabacco. Prendo le cartine, e mi alzo. Vado in cucina. E’ vuota. Non ci sono i suoi fiori, non c’è il caffè, e delle tende  che ha scelto lei, coi suoi colori, una è leggermente lacerata e storta. Le stoviglie linde e fredde nello stipo. I suoi vestiti, i suoi promemoria in giro per la cucina mancano. Mi manca il suo intimo i suoi vestiti  in camera. I  suoi maglioni che sanno di bucato. Il frigo quasi vuoto. Mi faccio un caffè. Poi esco sulla soglia. Pioggia leggera. Il vicino esce e sale in macchina. Una folata di vento gelido mi accoglie e circonda tutto il corpo. Mi giro, non c’è nessuno.
Arrotolo una sigaretta, e l’accendo con l’unico accendino. Aspiro. Speriamo di morire presto. Penso. Torno in casa. E la mia giornata senza senso, senza scopo, senza ragioni, comincia. Tutto mi sembra non tetro, ma banalmente materiale. Concreto e vivido. Duro e freddo. Tutto è così metallico e troppo umano. E quindi  totalmente privo di senso. Lascio la porta aperta, eil freddo entra  inconscio da questo spiraglio bianco. Anna, dove sei mi chiedo.  E spero di morire, per potermi non più svegliare e stare con te tutto il tempo. Senza queste maledette intermissioni di realtà vuota. Ammazzo la sigaretta nel posacenere e mi piazzo nel divano, ancora. Mi butto tra le coperte. E ficco ostinatamente il viso nel cuscino per non sentire il mio dolore, con le orecchie sorde a tutto, sento che il cuore si spezza in mille parti. Per la prima volta quest’oggi. E non sarà l’ultima. Ed  intanto che il cuore si frantuma, e  va in mille pezzi come gesso   sotto il tacco del dolore…Mi dico, non devi permettere che questo dolore diventi più forte della tua forza vitale. Non puoi. Ma il cuore sa cose che la mia mente - la mia astuta colta e sofistica e inutile mente . non sa. Che il dolore segue questa inesorabile legge, pretende di essere sentito.
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diaryofsam · 4 years
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Mi hanno sempre detto di non farmi scappare le occasioni. Di prendere tutti i treni e di seguire il mio cuore. Bene, io l’ho fatto.. ma tu no. Non bisogna dare tutto per scontato, sopratutto in amore. Il momento di inseguire è finito.. Forse è arrivato il momento di farsi seguire. Il mio problema? Ho sempre dato troppo, la gente peró ne ha approfittato sempre, fa sempre comodo avere qualcuno che muore dalla voglia di essere ricambiato, di uno che passa le notti in bianco a combattere con i pensieri, a combattere con se stesso per tenere duro quando dall’altra parte non viene nient’altro che indifferenza e poca voglia di amare. Ho strappato in troppi pezzi il mio cuore.. “stringi i denti” l’ho fatto talmente tanto che sento sangue in bocca e amaro sulla lingua. Le attenzioni e i sentimenti a mio parere non si devono elemosinare, posso lasciare adesso le mie vecchie convinzioni, perdona la mia freddezza ma spero che mi salvi da questo mostro che ho in testa. Ho bisogno di dimostrare quanto valgo a me stesso, per te non valgo neanche un centesimo bucato. E fanculo.. Fanculo alle belle parole, tutti siamo capaci.. Dire “ci tengo” si..ma dimostralo, dimostramelo. Cazzo, se ci penso, sei proprio come t’immaginavo da tempo, sei proprio come la mia mente ti aveva disegnata. Ho una guerra in testa, non so chi far valere, la parte che Ti ama da morire mi dice di continuare, l’altra di riservare me stesso. Ti prego di perdonarmi, sono entrato nella tua vita come un uragano, spero di uscirne in punta di piedi, lascio solo delusione e tristezza nella vita degli altri, e perdonami ancora di questo. I libri spesso sbagliano, non si deve sempre combattere per tenere cara la persona che ami, penso che bisogna lasciare la presa, il sentimento se c’è torna, nel tuo caso non c’è mai stato, e forse si accende qualcosa. Sto ascoltando Ultimo, non mi capita spesso, ma in una canzone dice “Ricorda è dal dolore che si puó ricominciare”.. questa frase mi fa pensare molto. Ti lascio questo mio piccolo pensiero, anche con l’amaro in bocca posso dire che sei la ragazza perfetta per me. E Ti amo, ma ricorda, quando perdi una persona scopri il suo valore..
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Tu lo sai, capita di sentirci soli, persi, e allora diventiamo fragili, e allora ci rannicchiamo in un angolo per capire se nel cielo, nel nostro cielo, c'è una stella, anche una sola, piccola ma meravigliosa stella che possa illuminare i contorni delle nostre mani mentre tremano di notte e cercano le sue mani, senza trovarle...
Ed è assurdo, tu lo sai, perché in quei momenti abbiamo paura sia del buio, che ci disorienta, ci annulla, e ci rende immobili, sia di accendere la luce e guardare l'immagine riflessa nello specchio, perché la nostra faccia non ci piace, ed è rigata da lacrime che bagnano e scavano prima di essere risucchiate nel nostro stesso vuoto.
E poi, lo sai, il giorno, quando ci chiedono "come stai?", rispondiamo "bene", e sfoderiamo il nostro sorriso più bello, quello più convincente, quello che nasconde tutto meno che gli occhi, quelli no, se li guardi bene, se hai voglia di guardarli bene.. lì ci trovi tutto...
Perché siamo fatti così, ci innamoriamo, voliamo, mettiamo sul piatto tutto quello che abbiamo, il cuore, gli sguardi, la rabbia, l'ingenuità, l'amore, tutta la nostra vita... E poi perdiamo tutto quello che possiamo perdere, e poi no, ecco, poi no, non lasciamo andare niente di quello che ci ha fatto vibrare l'anima, non lasciamo mai andare quello che abbiamo protetto nel cuore, anche se quello che abbiamo protetto nel cuore ci ha bucato il petto, ci ha tradito, ci ha colpito alle spalle, mandandoci in mille pezzi. E non c'è un modo semplice per rispondere alla domanda "perché, perché? Nonostante quello che ti ha fatto... Perché, perché? Nonostante tutto questo dolore?", ché le cose importanti per il nostro cuore non possono essere spiegate con quattro parole, perché sono rare, e solo nostre, e hanno il sapore delle cose infinite, della magia, di quei voli che parti, stacchi i piedi, e non sai quando torni. Perché forse non torni. E tu lo sai...
E niente, tutto questo ha a che fare con la mia vita, con il mio passato, con i segni sul mio viso, col freddo che sento adesso, con quelle mani che cerco e non sento addosso, con le stelle e la poesia, con una canzone che mi emoziona e con la malinconia, con i miei sbagli, con le parole che non ho mai detto, con tutte le mie imperfezioni e con gli abbracci che ci fanno credere che alla fine andrà tutto bene, ecco, tutto questo ha a che fare con il mio prossimo romanzo, con la mia nuova casa, Sperling & Kupfer, nelle figure di Stefano Peccatori e Rino Parlapiano, che un giorno mi hanno detto "crediamo in te, crediamo nella tua famiglia, crediamo in quella stella, in quel buio, in quel freddo, nei sorrisi e negli abbracci, crediamo in questo sogno, e ti aiuteremo a portarlo ovunque sia possibile portarlo!".
E niente, lo sai, è così che funzionano i sogni, basta prendere dei pennarelli e disegnarli!
E sarà così che faremo, li disegneremo insieme, immaginandoli prima nel nostro cuore, come piacciono a noi.
E poi li porteremo ovunque.
Rigirando l'universo.
E tu lo sai!
"Adesso lo sai".
(autunno 2020, Sperling & Kupfer)
#robertoemanuelli
#siamosoloperpochi
#animerare
#adessolosai (autunno 2020, Sperling & Kupfer)
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ninoelesirene · 5 years
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Ero sotto la pioggia senza ombrello, a gonfiare la ruota della mia macchina che per l'ennesima volta in venti giorni è a terra, anche se l'ho fatta risistemare più volte e dopo che, nell'ultimo periodo, mi hanno anche, nell'ordine, ammaccato tutta la fiancata, scassinato la portiera, rotto la serratura, rubato l'autoradio, gli occhiali da sole, inutilmente frantumato dei cd. Gonfiavo la ruota con la pompa pesantissima che mi sono dovuto accollare sulle spalle per un chilometro e mezzo - e sempre senza ombrello - perché il gommista (lo stesso che me l'ha non-riparata e dal quale sono ovviamente andato a piedi) non aveva alcuna intenzione di lasciare il suo garage abusivo per venire a gonfiarla e così mi ha liquidato con un "prendete 'a pompa, gonfiela e ce vedemo dopo".
Insomma stavo là, completamente fradicio, sporco, inginocchiato sul marciapiede quando ad un tratto arriva una tizia che mi parcheggia a tre millimetri dal paraurti, bloccando completamente la già remota possibilità di rimuovere il catorcio dalla sua collocazione. Penso: "davvero un colpo di genio da parte tua aggiungere una difficoltà alle mie procedure, stronza". Ma non faccio in tempo ad assaporare nella mia testa tutte le lettere che compongono la parola S-T-R-O-N-Z-A che lei, avida di considerazione, pensa bene di abbassare il finestrino e cominciare a chiamarmi ossessivamente: "hey, lei, scusi?! Scusi?! Hey!! Scusi?!". Alzo gli occhi e capisco di aver tradito la prima sfumatura di disperazione omicida quando, lievemente terrorizzata, aggiunge: "ha bucato?".
The Grudge. Con gli occhi iniettati di sangue e i capelli appiccicati alla fronte la fisso, apro le braccia a raccogliere un paio di fulmini e provo a suggerirle: "Secondo te?". La mia faccia, probabilmente, ha già preso a deformarsi, pupille e iride sono fuse in un abisso oscuro, intorno a noi un silenzio che sa del vuoto prima della tragedia.
Lei è ancora lì. "Deve essere un'esorcista", penso, perché impavida mi si rivolge di nuovo: "Aspetti, aspetti, è che ho un kit per la foratura in più nel portabagagli e se mi viene a reggere l'ombrello lo prendo e glielo regalo!"
Rimango attonito, riascolto le sue parole a rallentatore dentro la mia testa e ogni sillaba arriva come un proiettile d'argento. Medusa è pietrificata in mille pezzi sul marciapiede.
Ricompongo i pezzi: "non mi resta che pettinare i serpenti e risollevarmi", mi dico. Poi mi alzo, mi alzo proprio come si alzerebbe una merda se potesse camminare. Mi avvicino a lei, noto anche che è giovane, ben vestita e ha un atteggiamento confidenziale, come se mi conoscesse da sempre. Timidamente prendo il manico del suo ombrello come se fosse di cristallo, lei apre il portabagagli, solleva il pannello che copre la ruota di scorta e mi mette nella mano il kit. "Ma è sicura che non serva a qualche suo parente o amico?", il Minotauro è ormai innocuo. "Si figuri, lo prenda, è suo! Ora scappo, insegno alla scuola qui davanti e ogni volta che sono in ritardo becco l'acquazzone! Piacere di averla conosciuta!". Dopodiché chiude la macchina e scompare oltre il cancello dell'istituto, "simile ad alato sogno".
Ecco, per dieci mentecatti che incontri, c'è un angelo che ne annulla il potenziale nocivo. Per dieci mentecatti che ti fanno perdere la speranza, c'è un angelo che te la moltiplica per cento. Per dieci mentecatti che boicottano il genere umano, c'è una maestra di nome Carolina che ti regala il suo kit per la foratura e cambia il mondo.
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Roll the dice, puntata 3
Sopporto i seguenti sette chilometri per tornare a casa con rassegnazione, chiacchierando con Rob perché Felicita non è andata giù la storia che quel suo gesto non mi sia piaciuto. Arrivati a casa sono stanco e mi butto nel netto in attesa di ciò che mi è stato promesso per mesi. Avrei dovuto capire che quel tentativo di Felicita di fuggire dalla nonna morente in vacanza non avrebbe fatto nient'altro che ricordargliela, ma bruciavo di desiderio, non resistevo, e lei non capiva che nella solitudine della mia camera  quelle promesse d'amore erano state per me le parole di un angelo alle quali aggrapparsi per sopportare il dolore ed avere un minimo di forza di volontà durante gli esami.  Felicita non aveva fatto altro che dirmi almeno una volta al giorno che voleva fare l'amore con me, innescando una sorta di processo di odio e amore che provavo verso chi mi prometteva tutto, senza poter darmi di fatto niente, data la distanza, il che sfociava per me sempre in una serie di seghe che riuscivano a calmarmi e farmi procedere negli studi. Ma la figa era la sua, e io non potevo farci niente. Rimasti soli, non succede nulla di ciò che era stato promesso, ci sono solo tante coccole e una sega, nulla di più, a quel punto inizio a  pensare che Felicita non m' ama più. Questa e mille altre umiliazioni che ho dovuto sopportare avrebbero reso necessarie almeno un paio di battute per giustificare quel comportamento e invece niente, solo rabbia da parte sua. Io dovevo perdonare per forza. Ma dove sta scritto che un amante debba mandare giù tutta la merda del mondo all'infinito? Questo non è dato sapere.
L'indomani ci svegliamo in tarda mattinata, verso le undici e tre quarti, le sue tette mi fanno ombra, ha una quarta di seno, sta guardando svogliatamente la home di Facebook dallo smartphone, con la faccia morta. Dio quanta invidia, lei ha internet e lo da per scontato, io no. Resto nel letto a coccolarla tentando un approccio mentre lei mi scansa. Poi entra Lataika, e inizia a preparare il pranzo, io vado in terrazzo a fumarmi un sigaro. Le guardo preparare il pranzo, mentre nella pentola per dieci persone l'acqua fatica a bollire,  puliscono l'insalata tirando dietro di loro i resti di quella. Mettono in tavola dicendo "Ne abbiamo fatto in più per te, così non ti arrabbi". Era un pranzo triste, pieno di tensione, potevano evitare di rinfacciarmelo,  loro buttavano via decine di euro nei bar la sera, e io per poche decine di centesimi venivo accusato di mangiare troppo. Essere stronzi è facile, e sorridere agli stronzi è un passatempo che non mi toglierò mai. I piatti e la cucina devo pulirli io, o meglio avrei dovuto pulirli insieme all'altro ragazzo ma era un'umiliazione tropo grande da  dividere in due: ci sono resti ci caffè, insalata e polvere per terra, negli spazi angusti di quella cucina, tre metri per due, sbatto in continuazione con la scopa, metto su i Tool per calmarmi e far sembrare la cosa un po' più piacevole, ma resta una merda. La pentola per dieci persone devo lavarla in piedi sopra una sedia e poi scendo per finire a sciacquarla, il portafrutta-scolapasta mi consuma ettolitri d'acqua, è come dover sottostare alla loro stupidità in silenzio, loro c' hanno messo mezz'ora a cucinare il pranzo, io tre ore a pulirne le conseguenze. Lataika e Felicita restano tutto il pomeriggio a chiacchierare, vogliono guardare la televisione ma non funziona, io vado al mare, mi tuffo in acqua che dopo la mareggiata è diventata torbida piena di meda fuoriuscita dalle fogne e legna che la marea ha guadagnato chissà dove: sembra di nuotare in un immenso fiume pieno di merda, esco dall'acqua e mi stendo al sole sopra un tombino di cemento armato, di fianco all'acciottolato della strada e rimasto lì, mi addormento finché non vengo svegliato dall'odore di piscio che emana quella lastra di cemento sotto al sole, riprendo le scarpe e la maglietta e torno a casa, mi faccio una doccia, che Lataika commenta con un  "Almeno ti lavi!". Uscito dalla doccia gli altri stanno discutendo su cosa fare la sera, io penso che il giorno dopo avrei dovuto inviare un racconto per mail  e non avevo la Wi Fi. Decidiamo di fare un giro in centro, così mi sorbisco altri sette chilometri a piedi, Felicita non mi vuole parlare, è arrabbiata per il mio comportamento negativo in vacanza, parlo con Bob di non ricordo cosa. Dovevo aver bevuto molto quella sera a cena perché non ricordo niente, ricordo solo il freddo, lo sguardo cattivo di Felicita, Bob Lataika e Felicita che bevono al tavolo e che cercano di darmi dei consigli per il racconto che devo scrivere per un concorso, consigli che poi verranno bocciati dal banditore del concorso, ricordo il freddo, ricordo Felicita che mi fa una sega sotto le coperte, ricordo che voleva un po' di coccole ma ero stufo di lei e del suo modo di fare, per così appena venuto mi addormentai con lei al mio fianco infuriata.
Ecco il motivo per cui sto dedicando questa domenica a rileggere questo scritto dopo almeno sei anni : loro provano ad accettarmi a modo loro, o almeno a tollerarmi, ma io non la sento questa accettazione. Di notte la guardo dormire e  scrivo su un pezzo di carta "Ti chiudi muta, alla speme vuota e preghi che una carezza venga a svegliarti dal tuo immobile sonno. Non ricordo più il volto della delicatezza, ma trema la mia mano quando la cruna della matita sfiora, immergendosi nel foglio”. Il giorno dopo mi alzo presto, verso le sei del mattino, Felicità si sveglia e non vuole che vada, ma alla fine mi lascia fare. Faccio colazione con un bicchiere di Rum, e m'incammino con il computer in borsa verso un bar con la Wi Fi che avevo visto il giorno prima, dopo quasi nove chilometri lo raggiungo, completamente distrutto, entrando ordino un pezzo di pizza e aggiungo "Ti prego, la Wi Fi!" invio il racconto il più corretto possibile per non ricevere riscritture dell'ultimo momento da fare, notifiche e uso di internet non mi sarebbero state concesse, non da Felicita almeno che passava due ore al giorno a guardare la home di Facebook. Io le dicevo “Ma se tu carichi una foto se ti metto un pdf dentro il cellulare, e il pdf pesa meno di una foto, che problemi avresti a inviarlo? Lei rispondeva che il suo cellulare si sarebbe bloccato, ma se ogni giorno carichi file più pesanti come le immagini, come fa il cellulare a bloccarsi con un file più leggero? Misteri della fede. Torno a casa, loro preparano il pranzo ed io pulisco come il giorno prima, il pomeriggio decidiamo di andare al centro commerciale, Lataika finalmente prende la macchina. Mentre andiamo al centro commerciale chiedo a Felicita “Perché non porti gli occhiali?”, mi risponde “Per sembrare più bella”. Felicita credeva che potesse risolvere ogni nostro problema con le seghe, illusa, ci sono anche i pompini nella vita. Arrivati al centro commerciale Bob commenta una macchina da ventimila euro dicendo “Vorrei tanto fosse la mia macchina", mentre io penso che vorrei ventimila euro, ma devo essermi scoperto perché Bob mi guarda male. Implicita nel mio pensiero l’idea che io sappia spendere i soldi meglio di Bob. Dentro il centro commerciale io e Bob restiamo due ore dentro la libreria, imparo a memoria tutti i titoli dei libri presenti e compro un libro su Napoleone, vado a fumare e con Bob decidiamo di andare a fare la spesa, compriamo birre di qualità, gelato e altre cose. Le ragazze dopo aver visto la spesa vogliono pagarne solo la metà, "Il gelato non lo pago oppure si se stasera ci facciamo cena.... tu che dici Felicita?" Mi lasciano lì e tornano a fare le loro compere, mi butto sotto in bancone dell'ufficio assistenza e inizio a tentare di collegarmi col telefono alla Wi Fi del posto, senza riuscirci. Io a Giugno avevo risparmiato sull'unghia cinquanta euro, stando in una camera  che faceva ventotto gradi di notte e trentaquattro di notte, soffrivo d'insonnia e non avevo i soldi per curarmi, stavo sveglio ventisei ore al giorno, poi svenivo per quattro e ricominciavo da capo con vomiti, ansie e capogiri che mi facevano vivere dei momenti di vuoto terribile, avevo bucato una pipa a fumandola sei volte al giorno con due grammi di tabacco per volta. Felicita aveva vissuto in una situazione diversa ma non aveva dovuto fronteggiare questo, le avevo già dato trenta euro tra regalie di vario genere. Lei ritorna dallo shopping dopo aver speso tutti i soldi che aveva ricevuto in più per la vacanza con un costume da mare e un orrendo paio di scarpe. Non è per tirchieria, se dici d' amare una persona non ti metti sempre in condizione d'aver bisogno di soldi e risparmi, e se hai qualcosa non devi dividere tutto a metà, ma un ovetto Kinder o un libro ad un euro fanno capire che apprezzi il gesto, lei non ci pensava, diceva " Ho pensato di regalarti una maglietta l'altra mattina", io con il pensiero di una maglietta non ci curo l'insonnia. Quella sera usciamo a fare due passi dopocena e rincasiamo presto, poi ognuno in camera sua, ricordo che appena a letto chiedo a Felicita d'indossare il bikini, si rifiuta, e iniziamo a parlare della nonna che sta male. Cerco di dirle che è normale riconsiderare un parente prima della morte, lei due anni prima mi aveva confessato che non gliene fregava niente di lei, in quell' anno però l'aveva riconsiderata venendo a sapere tutto ciò che aveva fatto per Felicita, e non voleva che morisse adesso che i loro rapporti potevano cambiare. Una sera ero a casa sua, lei risponde al telefono ed era la nonna, lei le prometteva di andare al mare, di mangiarsi una pizza insieme, non gli piaceva farsi sentire debole, dopo un quarto d'ora chiuse la chiamata. La morte è inevitabile, purtroppo l'idiozia pure, non si può pensare di riuscire di realizzare la morte di una persona cara anche se si sa che morirà, questo è un dolore, è una mancanza con la quale bisogna imparare a convivere,  tra l'irrazionale e l'umano. Nessuno era capace di dirle una cosa del genere, e lei se ne sbatteva di ciò che dicevo io. Lei piange a dirotto e io la sto per cingere a me quando entra Lataika, che la vuole consolare, la strappa da me e lei si butta tra le sue braccia, la fa calmare ed inizia a giocarci a carte.
Per qualche motivo prendo il fatto che le mie parole vengano ignorate in quel momento come un’offesa personale, ma ancora non só se possa essere considerata un’offesa. Forse il fatto di togliermi dal centro dell’attenzione mi da qualche problema, fatto stá che Felicita mi ama e allo stesso tempo si sente meglio giocando a carte con Latakia e non pensandoci troppo.
Chiedo a Lataika cosa sia successo per vedere se c' ha capito qualcosa , mi risponde "È tutto apposto". Ci corichiamo di nuovo, io non riesco ad addormentarmi senza una sega, la chiedo a Felicita che è così gentile da farmela, ci coccolammo un po ' , penso di vuotare il sacco, lei non vuole sentire ragioni, dice che vuole Lataika, che le manca il padre. Mi sembra  ovvio a questo punto che questo genere di bestie viva in funzione di un gruppo con strette regole. Io non c'entravo niente con quella gente. L'indomani io e Felicita litighiamo, urliamo come forsennati, inizio a farmi le valigie, Felicita mi dice "Tu non sai cosa vuol dire essere poveri!". Mia madre da piccolo  mi picchiava  per lo stress da lavoro, mio padre pur essendo dottore si arrangiava facendo l'imbianchino, credo di essere stato il primo a vivere una situazione disagiata, se non  agli estremi economici, sicuramente psicologicamente.
Solo che io come i miei ci siamo dotati delle armi per uscirne, abbiamo fatto sacrifici e ce l’abbiamo fatta. Quindi si, so cosa vuol dire essere povero, ma faccio di tutto per non restarci. A due anni avevo già lividi su gambe  e braccia che facevano pensare che mia madre mi usasse come una palla anti stress, altri eventi invece li ricordo. Ma non porto rancore, voglio davvero bene alla mia famiglia anche se non riesco a viverci assieme.  Io le dico che era un ipocrita a fregarsene della nonna solo perché per il suo diciottesimo compleanno le aveva dato dei soldi, lei mi da uno schiaffo e mi sputa in faccia, vorrei rispondere con lo stesso trattamento, ma non lo faccio. Poi entrarono Bob e Lataika in camera, dico solo " L' ho lasciata", Lataika mi chiede sulla porta di casa cinque euro per gli ortaggi della nonna - Ma perché tua nonna paga un ticket per entrare nel suo orto? -. penso che sono gli ultimi soldi mal spesi della mia vita, prendo la mia valigia e me ne vado. Vago per cinque ore alla ricerca della stazione, ma finalmente ero solo, lungo i campi che portano dalla spiaggia alla città mi sento forte, penso che altri uomini avrebbero accettato di vivere una vita fatta di sigari, bugie,  pipe e pippe. Non mi rendevo conto di quanto quella donna mi avesse rammollito. Arrivo alla stazione facendo il giro della città a piedi, sono sudato, ordino una birra al bar e il biglietto del ritorno da un distributore per biglietti ferroviari che accetta solo monete, il treno sarebbe arrivato  due ore dopo, raccatto il tabacco nella tabacchiera, foglie di salvia e mozziconi di toscanelli, il sapore è forte, acre, a metà pipa butto via tutto e vado a vomitare. Pioveva ed ero felice, avevo sprecato due anni della mia vita con una persona inutile, ma la cosa non si sarebbe ripetuta. Alla stazione d'arrivo riesco a prendere un bus in sosta che  deve  andare in revisione, mi da un passaggio fino a casa, poi da lì di nuovo per i campi a piedi, e di nuovo a casa. Racconto che  Felicita è voluta tornare a casa, che mi ha portato Lataika a casa. Lei che nel frattempo aveva riportato Felicita a casa, diceva che mi ero comportato da stronzo. Lo so, trovare persone che non siano servi completi della fica a questo mondo non è facile, purtroppo per lei ne aveva trovato uno. Quel pomeriggio esco con un mio amico, andiamo a prenderci un aperitivo e gli racconto tutto, lui mi aggiorna sulle nuove nozioni che aveva appreso, su come investire. Ero felice, ero tornato nel mio  mondo di spostati, mi parlava a terra, di fianco ad un museo chiuso, fumando un sigaro alla menta, sembrava un fachiro indiano sopra l'acciottolato, con la faccia segnata ancora dall'acne e dagli eritemi. Poi venne il vuoto, avevo lasciato la mia ragazza e non avevo più i miei scritti.
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E' proprio vero che quando nasce un bambino nasce anche una mamma.
Prima siamo donne, siamo donne chi più chi meno con propensione alla maternità.
Siamo donne che amano i bambini.
Siamo donne che salutano i figli degli altri nei carrelli in fila alla cassa al supermercato.
Siamo zie.
Ma non siamo mamme.
Diventiamo mamme non appena scopriamo di essere incinte e ci consacriamo mamme appena il nostro piccolo fagottino viene alla luce.
Per me almeno è stato così.
Ho fatto il test dopo più di una settimana dal ritardo... quasi avessi paura del risultato.
Non ho dovuto aspettare i 5 min. Non avevo neanche finito di fare pipì che già c'erano due linee blu scure a guardarmi.... mi fissavano quelle linee... mi fissavano dritto negli occhi... occhi terrorizzati i miei che guardavano quelle due linee che si stavano impossessando della mia vita!
In quel momento mi stavo trasformando e non me ne rendevo nemmeno conto.
Ho chiamato mia mamma al telefono (perchè io ancora ero davvero tanto figlia) ed ho pianto... tanto... mentre mia madre dall'altra parte rideva di gioia e cercava di infondermi coraggio.
Paura spavento misti a felicità si stavano impossessando di me.
Paura e spavento che una mamma lo sa non ti lasceranno più.... i figli... ti fanno morire di paura almeno 4 volte al giorno (ma io non lo sapevo... ancora)
Mi sono sciacquata con acqua fredda il viso... mi sono truccata( dovevo andare da mio marito a dirglielo fino in ufficio perchè non potevo aspettare la sera... erano appena le 15 del pomeriggio)
Mi sono preparata e mi sono messa in macchina.
... Ho guidato pianissimo... non ho corso il minimo rischio... già lo stavo proteggendo, un piccolo puntino micromillimetrico dentro di me ed io già lo proteggevo! Lì in quel momento mi sono resa conto che stavo nascendo ... mamma!
La gravidanza ... vedrai sarà bellissima.... tutti mi dicevano così... un momento di grazia vedrai!
Ed io ricolma di quel coraggio e di quelle meravigliose parole che chiunque mi diceva ho iniziato a muovere i primi passi NELLA mia gravidanza.
Gravid-Ansia così la dovrebbero chiamare!!! Questo è il termine giusto....
E fai le beta ogni settimana perchè se non raddoppiano ste beta ehehehe.... Ogni prelievo una ciocca di capelli bianchi in testa!!!
Ok passate le beta!
Prima eco ... e che non te la fai venire l'ansia che mo il cuoricino non si sente???
Prenatal-safe! (nemmeno mi esprimo sulla badilata di ansia che avevo addosso) avrò avuto la pancia piena d'ansia che sembravo al nono mese per tutta la settimana!
E poi il vomito... ma quanto vomiti? ma lo sai che vomitando l'utero si contrae? e se l'utero si contrae potrebbero esserci problemi seri? E via di iniezioni di rilassante uterino e vitamina b.
La pancia cresce e inizia l'olimpiade della pipì! Certo perchè vuoi anche uscire senza aver passato in rassegna la mappa dei bagni del posto dove ti stai recando?? Ma solo quella però altro scordatelo in bagno... emorroidi e nulla più!
E la morfologica?? Signora ci sono due gambe.. due braccia... E sia ringraziato Dio e tutto il firmamento quando arriva sto nono mese????
Settimo mese e andiamo piano che mica può nascere ora eh!!! Lo sai quanti rischi ci sono... Ma lo senti muovere??? Chiunque incontri in giro una sola domanda ti fa... Si è mosso oggi??!!
E non c'è solo questo.... c'è anche il contorno!
L'ospedale l'hai scelto??? Ha la Tin??? Lasciano la partoriente libera di ballare la lanbada in sala travaglio? Fanno entrare padre figlio e spirito santo mentre partorisci? Parto in acqua? Epidurale? Rooming-in? Aiuto all'allattamento? Orari dedicati solo al padre?
Dovrebbero metterli su trivago gli ospedali per partorire!
Nel frattempo c'è la spesa ... qui a Roma c'è Bimbo store per esempio dove tutte le pance si ritrovano a scegliere cosa mettere nella "borsa per l'ospedale" e in casa.
C'è da scegliere il trio (per i primo figlio è così sei inesperta e pensi che ti occorra tutto ed il contrario di tutto)... cioè scusa ... ci sono I trio .... e lì facciamo un baffo ai nostri mariti al concessionario eh!! Tutto guardiamo... telaio... ruote... freni ... abs... ammortizzatori ... tutto, capienza, è reclinabile? Verso mamma e verso strada? Cappotta, poggia piedi, cestino, borsa .... !!!
Controlliamo su internet i commenti di altre mamme che ci sono passate già prima di noi... interpelliamo Paolo Fox e poi ... Il trio migliore che c'è è nostro... motore a iniezione, cambio automatico (del pannolino) chiavi in mano!!
Pannolini, sterilizzatori vari (perchè oggi una mamma che non sterilizzi e non abbia conseguito una laurea in microbiologia non è una vera mamma), tutine, body (a manica lunga, a mezza manica e smanicati non si sa mai poi capirò qual'è meglio) cremine per il culetto, borotalco no è figlio del diavolo non siamo negli anni '80, ciuccio no (non glielo darò mai... certo sei incinta cosa ne sai tu!)
Amido per il bagnetto, detersivo bucato senza detersivo per il bucato per i panni del piccolino ignaro di tutto, bavaglini, calzini e soprattutto cappellini (ai neonati si mette il cappellino ... puoi non mettergli il pannolino ma guai se non gli metti il cappellino)!
E poi in un minuscolo spazietto creato da quello che era uno sgabuzzino c'è l'angolo per la futura mamma dove tutto finisce con ONE!
Mutand-one , assorbent-oni (che nel medioevo stavano più comode di quei cosi post parto), camici-one da notte , reggisen-oni da allattamento, calzett-oni (perchè i piedi sono gonfi). E così entri in sala parto più sexy che mai. A me per esempio hanno messo pure il pannolone perchè ho rotto le acque prima che partisse il travaglio 😎
Sei pronta... hai preparato il nido ... tutto è pronto ... ma la gravidanza non è finita! Un'ultima botta d'ansia che non te la fai venire pensando al parto??
Poi partorisci ... quel giorno arriva... e come se arriva! E nulla ha più importanza! E' nata una mamma!
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Chi Di Laser Colpisce D’Amore Perisce
“Ok sono Milena e LO SO che mi avete chiesto kose e con calma ce la famo ma stasera è Halloween quindi ricapitotilolando (si l’ho scritto apposta come una cretina) la cosa è questa: sono stata al laser game con dei miei amici e abbiamo giocato in “night zombie mode” e mi sono divertita un sacco e niente mi è salita la teen au so... spero ve la godrete!
(Also ho pure vinto quindi mi hanno regalato una partita omaggio seeeee sono felicissma perché io non vinco mai niente ashjssjjwjw)
Here we go!
Andare al Laser Game non era mai stata una delle priorità assolute di Ermal
Per la verità, nemmeno festeggiare Halloween lo era, così come non era nemmeno strettamente necessario presentarsi alle feste
Questo quantomeno secondo lui perché, per la verità, a quella opinione si opponeva fortemente quella totalmente contraria del suo amico e coinquilino Francesco, festaiolo di natura che amava particolarmente qualsiasi posto in cui ci fossero gente, musica e alcool e che riteneva un affronto personale non essere invitato-cosa che comunque la gente si premurava di non fare perché, come usava dire lui “No Gabba, No party” e tutti ormai sembravano credere in quel detto
Il punto era che,non per suo volere, si era ritrovato ad una festa di Halloween organizzata al Laser Game
E che figo, direte voi
E che palle, dice invece lui, ad alta voce proprio
“Che palle, Francesco” 
L’ennesima lamentela, insomma, che gli sfugge dalla bocca mentre la macchina accosta al posto designato 
“Dai Ermal non rompere il cazzo” gli dice invece l’altro, eccitato come un bambino a cui hanno detto che quell'anno Santa Lucia, Natale, Pasqua e il compleanno arrivano tutti nello stesso giorno 
Si volta pure a guardarlo, sorridendogli a trentadue denti con il suo costume che somiglia semplicemente a un poncio di plastica in cui ha infilato la testa
“Che cosa dovresti essere?” gli aveva chiesto a casa, inarcando un sopracciglio, ottenendo una sconsolata occhiata da parte sua mentre si poneva vicino alla sua ragazza che invece si era infilata una maglietta con dipinto sopra a mano alcune linee e si metteva ad indicarli come a mostrare il collegamento tra i loro costumi “Capito ora?”
Ermal del canto suo ancora non capiva esattamente come Francesco avesse una ragazza E un ragazzo. Non nel senso che non capiva le relazioni poliamorose, nel senso che non capiva proprio come Francesco fosse riuscito a farsi amare da due persone per bene come Marco e Anna contemporaneamente 
Per cui, aveva scosso la testa “No. Cosa dovreste essere, dei pezzi di un museo d’arte contemporanea?” aveva domandato, ironico
“Ermal. Amico mio. Proprio tu manchi così tanto di fantasia?” aveva ribadito Francesco, quasi offeso da quell'affronto “Siamo un preservativo bucato e un test di gravidanza, naturalmente! E Marco farà il bebè. Gli abbiamo comprato un bavaglino” aveva affermato, entusiasta
Ermal non aveva nemmeno avuto la forza di commentare mentre, inorridito, si tirava su per andare a buttarsi dalla finestra
“E tu da cosa sei vestito?” aveva chiesto Francesco, osservando criticamente i suoi skinny jeans neri e la giacca di pelle nera che aveva indosso, sotto la quale non c’era altro che una maglia nera degli AC/DC
“Da sto cazzo” aveva replicato lui, spegnendo la sigaretta nel posacenere e chinandosi ad allacciarsi le all star rigorosamente nere 
“Eddai Ermal” aveva ribattuto Francesco “ti devi vestire da qualcosa anche tu!”
“Ma non vedi? Sono vestito. Fingi che sia uno dei tipi di Grease se proprio ti turba l’idea che sia me stesso e non...beh, no, un  preservativo bucato potresti comunque essere tu” aveva replicato con un sorrisino
Francesco, al solito, non si era offeso. Maledizione.
“Sembri un cadavere” aveva detto Anna allegramente, indicando le sue occhiaie che non scomparivano dal 15′-18′ e il suo colorito smunto da universitario che non vede la luce del sole dal paleolitico 
Ermal aveva scrollato le spalle “Sempre meglio che essere incinta” aveva ribatutto ironicamente
“Il nostro è un costume di coppia, ma che ne sai tu” aveva precisato Francesco e, al contrario suo, la cosa l’aveva pizzicato nell’orgoglio più di quanto fosse disposto ad ammettere
Ok che non aveva una relazione da, beh, mesi, ma non era questo il punto. 
Lui studiava, non aveva tempo per una persona, figuriamoci per due. 
Non come Francesco, che l’università non sapeva nemmeno dove fosse di casa ma conosceva le case di tutti e ogni locale
Ermal, per la verità, si era pure opposto con tutte le sue forze a farsi trascinare alla festa, ma Francesco non aveva davvero voluto sentir ragioni per cui eccoli lì, finalmente, stipati dentro una stanzetta mentre uno dei ragazzi che lavora in cassa gli spiega come giocare
Guardandosi intorno, si è accorto di conoscere più o meno tutti i presenti: ci sono Francesco, Marco, Andrea, Anna, Dino, Gent, Eleni e Annalisa. Gli unici che non conosce sono quei tre nell'angolino,una ragazza e due ragazzi, che non ha mai visto in vita sua.
Lei è carina, alta e slanciata, dai capelli mossi e castani e il viso sottile e sorridente. E’ seduta vicino ad Annalisa e le due parlottano per cui intuisce che siano amiche. Per quanto riguarda i ragazzi, uno dei due non è particolarmente degno di nota mentre l’altro...eh
L’altro è, in una parole, un figo. 
Non può’ negare che sia davvero, beh, bello. Se ne sta appoggiato al muro, le braccia tatuate e decisamente solide incrociate al petto,la leggera barba che gli adorna il viso stanco che però è aperto in un sorriso leggero. Ha le occhiaie e le lentiggini e due occhi dalle ciglia anche fin troppo lunghe per un ragazzo. Come lui, è vestito semplicemente con una maglia scura e dei jeans e la cosa lo fa sospirare di sollievo. 
Non riesce a non fissargli le labbra sottili e appena screpolate mentre quello se le umetta appena, ma distoglie lo sguardo non appena si accorge che lo sta fissando
Che figure di merda
Intanto il tipo gli ha spiegato tutto: avranno delle pettorine con delle luci a cui saranno attaccati i fucili. Bisogna mirare alle luci per colpire gli avversari. Una volta che si è stati colpiti, si rimane per qualche istante incapaci di essere colpiti di nuovo o di colpire l’avversario. All’interno dell’arena di gioco, posta su due livelli, ci saranno delle gemme che danno dei bonus come l’invisibilità, ovvero lo spegnimento delle luci sulle pettorine per un tempo limitato. Chi colpisce più persone accumula più punti e vince
Semplice e lineare, come un videogioco insomma
Dato che esistono varie modalità di gioco e loro hanno due partite, finiscono a provare prima quella a squadra
Ermal finisce insieme a Marco, Francesco, Anna, Gent e Annalisa. Loro, ovviamente, contro agli altri.
La partita è... divertente
Per quanto Ermal si sforzi di non ammetterlo, non è poi così male
Certo, deve correre avanti e indietro e la sua squadra risulta abbastanza uno schifo tanto che perdono e solo lui si classifica tra i primi quattro, ma sì, è più divertente del previsto
Si rende anche subito conto di aver fatto bene a vestirsi di nero: le luci dell’arena fanno risaltare i colori chiari e infatti è facilissimo trovare Marco dato lo stupido bavaglino che indossa
Durante la stessa viene colpito una volta dal ragazzo misterioso e, per ripicca, si impegna a colpirlo quante più volte può, causando in lui una risata all’ennesimo colpo 
“Regazzì, tu sempre tra le palle stai, ao” gli dice, scomparendo poi da qualche parte dopo essergli passato accanto scompigliandogli i capelli
Ah. Ok.
Ma chi gli ha dato il permesso? E sopratutto, come si permette di andarsene senza farlo ancora. Infame.
Comunque, i venti minuti scorrono più veloci del previsto e prima che se ne rendano conto devono tornare a riporre le pettorine
Durante i loro venti minuti di pausa in cui riprendono fiato e un’altra squadra di ragazzi gioca, riesce a farsi presentare gli sconosciuti.
Alessandra, Claudio, Fabrizio.
Così glieli indica Annalisa, partendo dalla sua amica e finendo con il romano-chiaramente, dato l’accento-che sta catturando la sua attenzione da prima
“So Fabbbbrizio” ripete lui, stringendogli la mano con un sorriso che lo fa arrossire e ringrazia il calore provocato dalla corsa, altrimenti si noterebbe troppo
“Ermal” rimanda, mordicchiandosi poi il labbro quando l’altro si passa una mano tra i corti capelli castani giù scompigliato
“M’hai dato del filo da torcere eh regazzì” ride Fabrizio-anzi no, Fabbbbrizio, con quattro b-cosa a cui Ermal replica con uno sbuffo e un sorrisino
“Niente di personale” ribatte, passandosi una mano tra i ricci “Eri un avversario, dopotutto”
Fabrizio, del canto suo, gli sorride e basta, studiandolo da capo a piedi
Anche lui ha notato subito quel ragazzo sconosciuto che, con quei ricci scuri, gli occhi neri e la pelle pallida ha già conquistato la sua attenzione
Dopotutto Ermal è bello
E, ha detta dei suoi amici, anche single
Per cui, non si sente minimamente in colpa a provarci.
“Ma certo” ribatte, ripassandoselo di nuovo con lo sguardo e scompigliandogli i ricci di nuovo “non me la prendo mica” soffia, avvicinandosi appena a lui
Lui che arrossice appena e si lecca le labbra e lo guarda e ok, bene, sono sulla stessa linea d’onda
“Mi piace la tua maglietta” dice poi, indicandola, sfiorandola appena con la punta delle dita “Hai buoni gusti in fatto di musica. Dopo dovremmo parlarne, se ti va”
Ermal sta per ribattere che sì, certo che gli va, ma non ci riesce.
Non fanno in tempo a dirsi altro perché vengono richiamati e gli viene spiegata la modalità della prossima partita, che faranno in modalità zombie e al buio
La cosa funzionerà così: non ci saranno luci nell’arena, se non le loro pettorine. Tutte le pettorine saranno verdi all’inizio della partita tranne una, che sarà quella dello zombie e sarà rossa. Ogni volta che lo zombie colpisce qualcuno, questo diventerà a sua volta uno zombie. L’ultimo a rimanere con la pettorina verde riceverà duecento punti e diventerà lo zombie 0, mentre in automatico tutte le altre pettorine torneranno verdi e si ricomincerà da capo.
Ok, Ermal doveva ammetterlo: la cosa era parecchio una figata
Oltretutto, la partita precedente gli aveva dato l’occasione di studiarsi i punti ciechi dell’arena per cui, con un po’ di fortuna, sarebbe riuscito a rimanere sempre l’ultimo sopravvissuto e a trasformarsi in zombie, ricevendo così i 200 punti e tendendo imboscate agli altri
E sì, perché Ermal non sa prendere i giochi solo come giochi quindi si è elaborato tutta una strategia
Anche perché vuole vincere
E le cose vanno benissimo, infatti.
Vanno esattamente come ha programmato e usando la gemma dell’invisibilità passati quindici minuti è in testa alle classifiche
Se ne sta lì, nascosto in un punto cieco in attesa di rimanere l’ultimo sopravvissuto quando, dal nulla, sbuca uno zombie
Non fa in tempo ad alzare il fucile per sparargli che quello, però, alza le mani 
“Aspetta te prego me stanno tutti addosso lasciami respirà te giuro che nun te trasformo” 
Ah. Fabrizio.
Abbassa piano il fucile, diffidente, guardandolo.
Sembra davvero stravolto, con i capelli tutti scompigliati e il viso che, per quanto puo’ vedere nella luce rossastra, è paonazzo
“Te giuro” mormora “So l’unico zombie in giro e non riesco a colpire nessuno perché me sparano tutti contro” ansima, guardandolo “lasciami riprendere e non ti sparo” dice, posandosi la mano sul fianco “mannaggia so vecchio pe’ ste cose” ride
Ermal, a quel punto, cede. Ok, se lo lascia rimanere un sopravvissuto va bene
“Ok” dice “ma vieni più qua, o ti vedranno. Questo è il mio punto cieco, non farmi scoprire” mormora piano, schiacciandosi contro l’angolo della stretta rientranza per fargli spazio. Tra le pettorine e i loro corpi, occupano tutto quello disponibile e non sono che a pochi centimetri l’un dall’altro
Si osservano, diffidenti
Ermal continua a tenere in mano il fucile, mentre Fabrizio l’ha abbandonato al proprio fianco
“Cinque minuti all’uscita dall’arena” annuncia una voce metallica agli autoparlanti “Ci sono undici sopravvissuti”
Quindi Fabrizio non ha mentito: è lui l’unico zombie
Ermal lo osserva, critico.
Condividere lo spazio vitale con qualcuno non è uno dei suoi forti, se poi questo qualcuno è uno sconosciuto parecchio bello ancora meno
Incredibilmente, così sfatto sembra ancora più bello di prima
“Senti” mormora piano Ermal, per non farsi scoprire. Sopra e attorno a loro sente le voci e i passi degli altri che camminano, in cerca dello zombie “Spara a uno di loro restando nascosto qui. Così si fanno fuori a vicenda. Possiamo continuare a colpirli senza farci scoprire. Io non colpisco te, tu non colpisci me. Così alla fine rimango solo io, mi prendo i duecento punti, la partita finisce e ho vinto. E tu nel mentre recuperi qualche punto e non finisci ultimo. Non sapranno cosa li ha colpiti, credimi. Se stiamo attenti non ci troveranno e ci guadagniamo entrambi. Che dici?” gli propone, guardandolo
Fabrizio, del canto suo, lo osserva quasi stranito, inarcando le sopracciglia
“Cazzo ma sei un piccolo demonietto tu. Comunque nun so messo così male, so tipo terzo ao!” ridacchia, cosa che fa arrossire Ermal che, per non darlo a vedere, alza il naso all’insù
“Abbiamo un accordo o no?” chiede, allungando la mano verso di lui
Mano che lui, dopo un secondo, stringe con un ghigno
“Ce sto”
Le cose vanno tutte come nel previsto. Circa un paio di minuti dopo Fabrizio riesce a colpire qualcuno e da quel momento in poi il numero dei sopravvissuti inizia drasticamente a calare. 
E loro, dal loro piccolo nascondiglio, sparano a chiunque passi di lì. Per la verità, Fabrizio riesce a trasformare almeno cinque persone in zombie ed Ermal, soddisfatto della cosa, li colpisce mentre si allontanano, confusi da chi li abbia colpiti, guadagnando punti
E poi, succede
“Un minuto all’uscita dall’arena. Un sopravvissuto. Ripulire. Diamo inizio all’invasione” annuncia la voce mentre la pettorina di Ermal diventa rossa e quella di Fabrizio torna verde
“Ottimo lavoro!” dice Ermal entusiasta.
Sono entrambi sudati e sfatti, ma hanno decisamente fatto un buon lavoro, sì
E poi, lo sguardo gli casca sul lettore digitale del fucile di Fabrizio ed è li che si accorge che la sua strategia ha funzionato anche fin troppo bene
Secondo. E solo di pochi punti indietro a lui
Se lo colpisse, vincerebbe.
E Fabrizio se ne accorge perché, seguendo il suo sguardo, nota i due schermi vicini e i punti segnati sull’uno e sull’altro.
E’ un attimo: si guardano e di colpo sono con le spalle premute ai due angoli della parete, che si puntano i fucili contro
“Allora” mormora Ermal, piano “Niente cazzate. E’ mia la vittoria. Avevamo un accordo”
“Lo so” è quel che dice Fabrizio, guardandolo “Facciamo così: giù le armi, che dici?”
Ed Ermal vorrebbe anche dire di sì ma, si sa, fidarsi è bene ma non fidarsi è meglio, no?
“Ascolta” riprende Fabrizio, abbassando lentamente il fucile “Sarebbe inutile darsi addosso ora, no?” mormora, sporgendosi appena verso di lui e che cazzo sta facendo? Sono già vicini, anche fin troppo “Abbiamo un accordo e Dato che abbiamo circa trenta secondi li potremmo impiegare...meglio” dice, arricciando le labbra in un ghigno leggero che Ermal non riesce a decifrare, ma che gli fa fermare il cuore per un istante.
Anche perché, per l’appunto, lo spazio vitale che condividono è davvero insufficiente per due persone e loro sono tutti stretti e schiacciati, a sperarli solo le pettorine e qualche centimetro
Deglutisce, guardando Fabrizio avvicinarsi ancora a lui e non riesce a non fissare lo sguardo sulle sue labbra
In fondo, è tutta la sera che lo punta e non ha dubbi sul fatto che l’altro se ne sia accorto dato che a sua volta ci aveva provato e nemmeno tanto sottilmente, invitandolo pure a parlare di musica
Per cui sì, fanculo, perché non approfittarne?
Dopotutto, chissà quando resteranno soli altrimenti dato che ora ci sarà la festa vera e propria e ad Ermal non piace pomciare davanti agli altri, nemmeno un po’
Non è nemmeno sicuro che l’altro poi lo farebbe o che le cose avrebbero effettivamente un finale più lieto per cui si, fanculo meglio approfittarne.
Perciò, abbassa in automatico il fucile, leccandosi le labbra mentre Fabrizio gli posa piano due dita sotto al mento per fargli alzare il viso
“Si bello regazzì” gli mormora, sorridendogli
E si avvicina e i loro nasi si stanno sfiorando e lui socchiude gli occhi e-
La sua pettorina lampeggia, il pew leggero di sottofondo che precede solo di un istante la voce metallica che dice “Fine della partita. Uscire dall’arena”
E abbassando lo sguardo inorridito, trova conferma ai suoi sospetti: secondo.
La punta del fucile di Fabrizio è ancora puntata contro la sua pettorina e lui è secondo
Secondo perché Fabrizio gli ha sparato a tradimento, facendogli credere di volerlo baciare
Arrossisce fin sulla punta delle orecchie, scostandosi da lui di scatto
“MA SEI UN INFAME!” sbotta, offeso-anche se non davvero, dai, se l’è giocata bene lo deve ammettere-mentre si dirige verso l’uscita, l’altro che gli va dietro ridacchiando
“Sei proprio un burino... sleale... infame...e senza onore” borbotta mentre si leva la pettorina e la ripone nello spazio apposito, causando in Fabrizio, che l’ha seguito e ora è accanto a lui, un eccesso di risa
“Ma sentilo” replica, divertito, passandogli una mano tra i ricci, gesto che Ermal scansa senza troppa convinzione
“Niente di personale” continua Fabrizio “Eri un avversario, dopotutto. Non ti sarai mica offeso” chiede, cosa che gli fa spalancare la bocca in una smorfia di sconvolto e divertito stupore
“Ma vedi questo!” ribatte, dirigendosi verso il bancone per ritirare la scheda dei punti “non solo mi rubi la vittoria, ma pure le frasi!” 
E Fabrizio ride, ride e gli pizzica il fianco, cosa che lo fa sussultare e arrossire
Alla fine, ad entrambi viene regalata una partita omaggio dato che sono i primi due classificati, ma la sconfitta brucia ad Ermal più di ogni altra cosa
Quasi più della ferita nell’orgoglio
Perché andiamo, quanto è stato stupido a farsi fregare così?
Anche se, onestamente, chi non si sarebbe distratto davanti a Fabrizio skst
E nonostante tutto, non riesce a non avercela con Fabrizio
Per cui, mentre sono fuori dal posto a fumare prima di partire alla volta del locale in cui dovranno concludere i festeggiamenti, si tira su dal muro dove è appoggiato, accanto a Fabrizio, schiacciando la sigaretta sotto la scarpa prima di voltarsi a guardarlo
Non si sono parlati dopo il ritiro dei premi perché Fabrizio è stato preso da parte dai suoi amici ed Ermal è stato assalito da Francesco che ha debitamente pensato di prenderlo per il culo per aver perso di così poco, sfottendolo con frasi tipo “che c’è, stavi sbavando sopra a Fabrizio?”
Si sono ritrovati solo lì fuori e hanno fumato in silenzio senza guardarsi, ma ora Ermal rompe quella stabilità pacifica che si è creata
“Senti, signor imbroglione” lo apostrofa, guadagnandosi un sorriso da parte sua “Mi dai tu un passaggio fino al locale della festa?
Fabrizio, del canto suo, si tira su a sua volta, anche se Ermal non arretra e si ritrovano così vicini, come prima, senza nemmeno le pettorine a creare un po’ di spazio
Si fissano, guardandosi negli occhi, studiandosi, leccandosi le labbra
“Hai paura delle moto?” chiede Fabrizio, gettando la sigaretta a terra e soffiando il fumo di sbieco, lontano dalla sua faccia
Stupidamente, lo attraversa il pensiero che anche Fabrizio potrebbe venire dritto da una cosa tipo Grease
E chi cazzo dovrebbe essere lui, Sandy? 
Ridicolo
“No” replica Ermal, sorridendo a sua volta, tirandosi appena su la giacca
Ora anche Fabrizio ne indossa una, sempre nera e sempre di pelle
E cazzo, se non gli sta da dio
“Allora” sorride lui, pestando la cicca “ti do un passaggio io, si” conferma
Esattamente cinque minuti dopo, Ermal si ritrova sulla moto, con il casco e le braccia strette attorno alla vita di Fabrizio
“Ci vediamo alla festa” dice agli altri lui, mettendo in moto
Inutile dire che al locale non ci sono mai arrivati
Però, una cosa Ermal di certo l’ha imparato: a volte le feste di Halloween al Laser Game non sono una priorità, ma non sono nemmeno così una palla come pensava 
E, a volte, ti rimediano anche una sana scopata e un ragazzo
THE END Per cui niente, volevo mettere questa cosina per Halloween
Fatemi sapere cosa ne pensate!
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romanticasemiva · 6 years
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Fabrizio si è appena trasferito nella scuola di Ermal. Si siede accanto a questo ragazzetto riccioluto e silenzioso e nota sulle sue braccia dei segni, come dei tagli... e non ci mette molto a capire che non sono affatto i graffi. Perciò Fabrizio pian piano cerca di entrare nella vita di Ermal, prendendosi la responsabilità di liberarlo da un dolore che non è sicuro di riuscire a sopportare, ma che non vuole lasciare ad Ermal. Ed Ermal a sua volta pian piano si scioglie, fino a... beh, l'amour
Oddio, wow.
Ciao figliola e grazie per il prompt (mi fa un sacco strano dirlo perché è il primo che ricevo). Allora, la tematica che mi chiedi di affrontare è super impegnativa, purtroppo tutto ciò l’ho vissuto molto da vicino e, detto da una persona come me che respinge ogni forma di tristezza, mi ha fatto male al cuore vedere una persona sgretolarsi. Io ci provo. Per qualsiasi chiarimento, insulto o pomodoro in faccia io sono qua!
Iniziamo.
Fabrizio ha un problema grande come una casa. Insomma, è sonnambulo e ogni mattina si sveglia in modo molto creativo. Dipende tutto dal sogno che sta facendo, quella mattina è un ladro che scappa con una refurtiva da sette zeri e al suono della sveglia si alza urlando: “La prego mi arresti.” mostrando le mani in segno di resa. La sua povera sorellina rimane alquanto allibita sull’uscio della camera di Fabrizio.
“Romina, ma che voi?” sbotta aprendo piano gli occhi. Quella poveretta non ha nemmeno il tempo di ribattere che scoppia a piangere come una disperata. Fabrizio sbuffa sentendo già sua mamma urlare il suo nome dalle scale.
“Fabrizio sei un disgraziato! Smettila di tormentarla.” e sbuffa come un treno, sbuffa perché a scuola non ci vuole andare. Piove ancora, impreca a denti stretti tuffandosi tra le lenzuola profumate di bucato. Non dovrebbe arrivare in ritardo il primo giorno di scuola in un nuovo liceo, in una nuova città, lontano da quella che comunemente chiamava casa.
Inutile dire che a scuola ci arriva in ritardo, con un ombrello che ha fatto la guerra, su uno skateboard che scricchiola e inzuppandosi perfino l’anima. Che bella giornata!
Sale a perdifiato le scale, si perde per i corridoi di quel palazzone. Trova la 5^B.
Busso o non busso? Massì ormai la figuraccia l’ho fatta. Bussa alla porta e dopo una manciata di secondi entra, Fabrizio non è tipo da imbarazzarsi ma questa volta può farlo tranquillamente.
“Oh lei deve essere Mobrici, il nuovo arrivato?”
“Sì prof, so’ io.” tentenna.
“Io non sono prof ma professoressa. Si vada a sedere che è in ritardo.” e Fabrizio già scazza e, sbuffando, trova un banco libero in ultima fila accanto ad un ricciolino tutto capelli e gambe.
“Ma che è questa? E’ stronza?” sussurra al nuovo compagno di banco. Questo si gira nella sua direzione, stira le labbra in un sorriso e: “Stai attento, questa morde.”
“Oh, nun me lo dire te prego. Io in filosofia so’ na pippa.” sbuffa. “Io so Fabbbbrizio.”
“Con quattro B o una sola?” colpito ma non ancora affondato. “Io sono Ermal, piacere.”
Beh che tipetto oh.
Sta di fatto che Fabrizio si deve ricredere. Sono simpatici in quella classe: con Claudio ci ha fatto le peggiori risate e siamo solo al primo giorno di scuola!! E poi ci sta Marco, Andrea, Roberto, Silvia e quell’Elisa che già gli si era attaccata al polpaccio.
Ma Ermal sta la, sempre sulle sue. Ridacchia, scherza ma ha come un velo di apatia negli occhi e Fabrizio l’ha notato. Non ci fa caso, insomma lui è in lutto per le sua vacanze estive e anche lui quella mattina stava abbastanza a pezzi.
Ma forse quel velo di apatia esisteva davvero e non era perché l’estate era giunta al termine.
Le sveglie suonano e Fabrizio inventa ogni mattina un risveglio sempre più creativo e la povera Romina si spaventa, spera sempre che un giorno o l’altro quell’orologino rosso si rompa definitivamente.
Le giornate a scuola passano e le foglie cadono dagli alberi. Si era ricreduto, sta bene a Bari. Non era la sua Roma ma sta bene eccome, se la spassa un casino con i suoi compagni e Ermal è diventato quasi fondamentale nelle sue giornate. Scherzano, parlano e si conoscono. Suonano, sì perchè il ricciolino sa suonare e canta gran bene e Fabrizio è come folgorato. Sente di aver trovato un tesoro. Sta sempre lì canticchiando nella sua mente sul bordo della sua immaginazione, pensa spesso a lui, non sa il perchè ma non lo spaventa. Nemmeno un po’.
“Ricciolè, che me dai na mano in filosofia?” sbuffa stringendosi nella giacca, si accende una sigaretta. “Uhm, va bene. Che mi dai in cambio?” borbotta l’altro armeggiando con cartina e tabacco. “Te do la play, come al solito! Nun fa er prezioso che so che ce voi venire da me!” e l’altro ridendo accetta. Mi pare giusto! Lo aiuta, si aiutano e almeno il debito al primo quadrimestre Fabrizio non se lo becca, per ringraziarlo si godono una bella serata sul tetto di casa Mobrici, del fumo e la notte fredda che cala davati ai loro occhi. E Fabrizio ha questa tentazione grande come una casa, se lo vuole stringere a se, forse lo vuole baciare, forse. 
Ma è in una di quelle prime giornate di febbraio che, sedendosi in parte a Ermal, incontra il suo sguardo vuoto, livido ed ha la capacità di trapassargli da parte a parte il cuore. Si sente come inchiodato alla parete e nemmeno quando l’altro abbassa gli occhi, questa sua sensazione passa.
“Oh riccioletto, te hanno mangiato la lingua?” scherza come ogni mattina. L’altro esce da questo stato di trance e risponde con un: “Oh magari, meno problemi per tutti.” e sorride sulle sue. Insomma era abbastanza preoccupato. 
Fabrizio, oltre a non sopportare la filosofia, odia profondamente il latino. Decise di non seguire la lezione, e si perse scribacchiando un paio di versi sull’angolo sinistro del banco. Lasciò vagare lo sguardo sul compagno, lo osservò di sottecchi lasciando scivolare gli occhi su tutta la sua figura: i ricci scomposti e voluminosi, il piercing al sopracciglio, le labbra fini, il naso leggermente storto e le lunghe braccia coperte da un dannatissimo chiodo dorato che nemmeno il domopak.
Infine le mani, bianche quasi pallide che scrivevano e scrivevano ancora. Li aveva notati, quei graffi sul dorso della mano. Ma chi ci da peso, pure Fabrizio se li faceva quando giocava con la gatta (Molly, si chiama Molly.)
La campanella ha questo retrogusto di libertà e a Fabrizio piace un sacco, si ferma a parlottare con Roberto e Andrea per organizzare una partitella a calcetto. Lo vede passare, Ermal, cammina a testa bassa abbastanza di fretta. Lo vuole invitare, lo vuole vedere, vuole che si diverta con loro. Lo chiama. Non si ferma.
Fabrizio congeda gli amici e lo segue chiamandolo a gran voce, si fa vicino, gli afferra un polso per fermarlo. L’altro si ritrae come scottato e si gira a guardarlo, un lembo di pelle chiara appena sotto al pollice rimane scoperto e Fabrizio rimane colpito da ciò che vede.
“Levati Fabrizio.” Ermal è parecchio stizzito e cala la manica della giacca.
L’ha visto quel taglio in parte rimarginato e no, non è stato il gatto. Non parla, non parla per minuti che sembrano anni sentendo come se quel taglio l’avesse nel cuore.
La pioggia cade fine come spilli. Gli si bagnano le punte delle scarpe, le aveva lucidate giusto quella mattina e le osserva con grande attenzione. Fabrizio tiene il capo chino perché non voleva che gli si bagnino le lenti degli occhiali e con lo zaino e lo skateboard tra le mani non sarebbe stato facile pulirli.
“Ermal, io non …” vedeva nei suoi occhi una silente richiesta d’aiuto, ora ricolmi di lacrime che tratteneva con tutta la sua forza.
“Ermal, come stai?” tenta ma sa che è la domanda più stupida che potesse fare in quel momento. Gli si bagnano gli occhiali, sente freddo.
“Fabrizio non ti importa realmente.” sputa l’altro con una risata amara.
“Cazzo, sì che mi importa.” sbotta quasi. “Ti conosco da poco, troppo poco per sapere veramente chi tu sia. In realtà è come se ti conoscessi da una vita intera” 
“Fabrizio ti prego, non c’è bisogno di tutto ciò.” sussurra l’altro
“C’è bisogno, io ne ho il bisogno.” senza replicare lo stringe a sé inspirando il suo profumo. L’altro si scioglie al suo tocco e scoppia in un pianto liberatorio, le lacrime calde corrono giù per le guance arrossate dal freddo pungente. Scusa, scusa, scusa sussurra sulla spalla del moro.
“Vieni da me, stai con me per un po’” gli sussurra, l’altro annuisce e scioglie l’abbraccio. “Guarda che te faccio fa’.” ridacchia Fabrizio sperando di alleviare un po’ quel suo fardello.
Prende la sua nuova tavola, bella e luccicante, pareva una da surf dalla sua forma appuntita e levigata. Lo fa sedere sulla punta a gambe incrociate, Fabrizio stava dietro in piedi e spinge con quanta forza avesse nelle gambe per volare a casa prima che la pioggia li sorprenda.
A casa sua non studiavano mai, finivano sempre sul divano a giocare alla play e mangiare schifezze. Suonavano, suonavano un sacco. Fabrizio si chiede come ha fatto a non notare nulla, non ha mai visto quel suo lato debole. Mai avuto l’impressione che potesse rompersi da un momento all’altro.
Corsero in casa abbandonando le scarpe zuppe fuori, l’acquazzone li aveva sorpresi a metà strada lavandoli da capo a piedi.
“Ti do dei vestiti asciutti ricciolè.”
“Non ti devi disturbare davvero.” ma Fabrizio insiste, insiste eccome e lo fa accomodare in camera sua. Ermal è nel mondo di Fabrizio e ne può sentire il sapore.
Nuota nei pensieri e nelle mille turbe di quella nuova vita che l’amico aveva cominciato in una nuova città. C’era tutto quello che avevo lasciato in quella precedente: il giradischi azzurro, le mille fotografie, i libri, i dischi. Il suo passato appeso ad un muro di sughero tra biglietti di concerti, disegni, polaroid, stampe e foto, visi familiari come il suo i suoi ricci e il suo sorriso, luoghi da sogno, cartine geografiche piene di frecce.
Eccoli i mille fogli pentagrammati, fogli studiati alla perfezione e trattenuti tra mani tremanti, nascosti sotto cuscini o tra le coperte, ricoperti di briciole o lacrime. Sbavati o macchiati di caffè sui lati, strappati, stracciati, accartocciati e usati come palline, spiegazzati e messi sotto dizionari per farli tornare leggibili. Migliaia di ricordi ingialliti dal fumo di sigarette e messi ad invecchiare negli angoli della memoria, là dove si dimenticano.
Ermal si tolse la giacca di sua volontà, rimase in maglietta. Le braccia scoperte.
“Rivedo in te la mia vita.” sussurrò a Fabrizio chino nell’armadio a cercare una maglietta decente da dargli. “Rivedo in ciò la mia casa, la mia vera casa a Tirana.”
Fabrizio smise di frugare e si girò nella sua direzione. Quelle braccia color del latte ricoperte da una ragnatela di cicatrici, aperte in alcuni punti. Rimase di ghiaccio.
“Ermal non devi sentirti obbligato davvero.” gli sussurrò facendosi vicino, così vicino da poter sentire il suo profumo. Non sapeva perchè ma ogni volta il suo stomaco vinceva le olimpiadi di salto carpiato all’indietro, ma che me succede?
“Lo voglio fare perchè mai nessuno mi è sembrato la persona giusta.” e gli raccontò senza mai versare una lacrima. Gli raccontò di Tirana, della sua infanzia in Albania. Della violenza subita, tanta, troppa. Dei complessi futuri quando era fuggito da lì, delle insicurezze, della paura, di quella violenza che era tornata nella sua vita dopo anni e anni. Della paura e mai dell’amore.
Fabrizio quasi piangeva, uno come lui non piange mai. Mai. Era tipo d’acciaio dice sempre sua madre.
“Ermal, aspetta.” prese la chitarra e lo fece accomodare sul letto. “Cantala, canta la tua vita.”
L’altro rimase decisamente di stucco, non esitò però ad abbracciare lo strumento pizzicando leggermente le corde.
“Mamma dice che è vietato morire.” sussurra strimpellando.
“La mi mamma me dice sempre de cambià le mie stelle.” gli si fa vicino. Fanculo, sente il suo stomaco completamente in subbuglio. Il cervello annebbiato, in corto circuito.
Ermal si illumina raccattando un foglio e scrivendo cambia le tue stelle, se ci provi riuscirai. Fabrizio aggiunse poco sotto e ricorda che l’amore non ti spara in faccia mai.
Non ti fa del male l’amore, non ti uccide, non ti ammazza e tanto meno non permette ad una persona di sgretolarsi. Ti prego non farti del male, ti prego non voglio trovarti con le vene lacerate. Fanculo per la seconda volta, capisce Fabrizio. Sente che se lo vuole nella sua vita, sente che le partite alla play finivano prima per prendere in mano la chitarra e cantare perché si erano trovati. Vuole inebriarsi dell’altro e dei suoi scherzi e di quella forza velata, finta.
Fanculo per la terza volta, lo bacia. Posa semplicemente le sue labbra su quelle di Ermal senza chiedere di più con la fottuta paura che l’altro lo potesse respingere. Non lo fa ma si scosta per poterlo guardare negli occhi.
“Fabrizio, ti faccio pena?” chiese.
“Ma che pena! E’ da quando abbiamo giocato e Call of Duty e poi abbiamo fumato sul tetto de casa che aspetto questo momento.”
“E’ perché eri sballato Fabbrì, fidati.”
“Non ero sballato, anche se lo fossi stato mi sono accorto che te me piacevi. Un sacco.” e fanculo ora lo dice Ermal rituffandosi su quelle labbra rosse e morbide di Fabrizio, gli passò la lingua sui denti dritti e smaltati fino ad ottenere l’accesso. Le mani tra i ricci e sulla schiena, gli occhi serrati e la testa che gode di quel bacio inebriandosi del profumo dell’altro.
“Ehi ricciolè, dimme ‘na cosa.” ed Ermal annuì, in bocca ancora il gusto dell’altro.
“Amate, amate fino ad impazzì.”  
Ermal la promessa non la mantiene, la spirale in cui è caduto è più grande di lui. Fabrizio capisce che la situazione non è facile, che un amati perchè io ti amo non può risolvere la situazione. Il percorso è lungo, tortuoso e lento. Sa solo una cosa, vuole la sua felicità dunque lo accompagna cadendo e rialzandosi con lui. 
Eccoci a fine partita, spero di essere stata “brava” e di aver espresso bene la tua richiesta. 
Un abbraccio.
(Se avete voglia di mandarmi prompt o roba simile, sarò più che contenta!)  
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C’è una cinese che tra poco manderò in coma...
Buonasera ragazzi!
Io sono già nel letto, scandalosa lo so, ma domattina andrò a correre e ultimamente la notte mi sveglio e non riesco a riprendere sonno. Ieri notte, per esempio, ho steso il bucato, ma finalmente ho capito questa mattina come programmare l’inizio del ciclo di lavaggio, cosi non dovrò più basare i miei impegni sulle performance della lavatrice.Inoltre mi sono dovuta fare andata e ritorno dal lavoro a casa a piedi, con tanto di bici al seguito, che ha ancora il pedale monco e che nessun biciclettaro sembra volermi aiutare a sistemare. 
Purtroppo ho preso questo brutto vizio da mio padre: agitarmi per qualunque cosa. Sono agitata per la casa vecchia, perché ancora sto aspettando la caparra e l’agenzia che mi segue è talmente lenta che faccio in tempo a trasferirmi un’altra volta. Sono agitata anche per la mia nuova casa, poiché il mio padrone ancora non è riuscito a montare il resto della cucina e comincio a sentirmi come in campeggio... sono agitata perché a fine mese venderanno l’azienda e il nostro futuro è appeso a un filo. I presupposti sembrano buoni, ma ahimè della mia azienda mi fido ben poco e ancora meno del mio capo che mi continua a promettere di aiutarmi a cercare un altro lavoro, di portarmi con lui o di insegnarmi tutto quello che sa per per prendere il suo posto... peccato che ora sia in ferie due settimane: eravamo riusciti a scamparla col Messico, la tipa è stata liquidata, ma ha deciso comunque di stare a casa due settimane “a riposarsi” che manco i soldati quando tornano da una guerra hanno bisogno di tanto tempo per riprendersi. 
Tra l’altro non si è ancora fatto sentire, risponde a tutti ma a me non scrive nemmeno un “tutto bene?”. Significa che si fida ciecamente di me o semplicemente che non vedeva l’ora di togliermi dalla sua vista per dedicarsi a tutte le sue amanti.
Tra l’altro ragazzi l’ho sorpreso a parlare con una cinesina fastidiosa che lavora al primo piano e che vedo sempre flirtare con un belloccio dagli occhi chiari in cucina. Quando si è accorto che li avevo visti ha abbassato la voce, quasi cospirando, come se stessero parlando di me. Ovviamente ho impiegato mezza giornata per scoprire chi fosse Miss China. Ho chiesto a una collega italiana se sapeva chi fosse, facendole capire tra le righe che questa ammicca col mio capo e lei mi ha risposto “ah quello carino con cui scendi a fumare ogni tanto? Mi era parso di capire che ci fosse una certa intesa tra voi...”. Voleva infierire, o cosa? A quanto pare anche i muri vedono che tra noi c’è qualcosa, solo il diretto interessato sembra non accorgersene. Tramite lei ho scoperto in che ufficio lavora e ora mi tornano tutti gli spostamenti tattici del mio capo per andare di nascosto a fumare con lei. Non ho avuto nemmeno bisogno di chiedere a un collega italiano che lavora con lei come si chiami perché tramite una ricerca di parole chiave sul Facebook aziendale (una laurea in Digital Marketing è servita a qualcosa!) sono riuscita a trovarla. E tempo mezz'ora avevo già studiato profilo Facebook e Instagram. 
No dai ragazzi, una cinese no. Non sto facendo la razzista ma scommetto che il pensiero è stato unanime. C’è anche da dire che era fidanzato con una MessicaGna, i suoi standard non devono essere molto elevati. Se poi ripenso che io stessa senza volerlo gli ho detto in faccia che la messicane sono cesse....
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corallorosso · 6 years
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Il senso del pm Zuccaro per le missioni umanitarie diCHECCHINO ANTONINI C'è un procuratore, a Catania, che ricorda certi ossessionati pretori degli anni ’60 che facevano sequestrare certi giornaletti in tutte le edicole del territorio nazionale perché ritenuti offensivi al comune senso del pudore. Probabilmente ritenevano che quella crociata fosse più urgente di qualsiasi altra criticità. Erano i tempi in cui autorevoli esponenti del partito di maggioranza relativa si sbracciavano a ripetere che «la mafia non esiste». Mezzo secolo dopo, a Catania, c’è un procuratore che la mafia non sembra neppure vederla, a Catania, né roghi tossici o corruzione, a Catania. Guarda il mare, quel pm ma vede solo Ong non il via vai di navi di contrabbandieri di petrolio tra la Libia e qui. Probabilmente perché chi salva le vite in mare offende il comune senso del razzismo. Ieri come allora, quel genere di magistrati è l’idolo dei benpensanti, dei fascisti o post-fascisti. Come Giorgia Meloni, di Fratelli d’Italia, che si spiccia a dare la notizia: «Sequestrata la nave Aquarius e indagati 24 membri (in realtà sono 14, ndr) di Medici senza frontiere per traffico e smaltimento illecito di rifiuti pericolosi a rischio infettivo, scaricati illegalmente nei porti italiani. A quanto pare il business di questa Ong non si limitava al solo traffico di esseri umani. Ma loro non erano “quelli buoni”?». Con cinque navi umanitarie attive in tre anni di operazioni in mare, Msf ha soccorso oltre 80 mila persone in coordinamento con le autorità marittime e nel rispetto delle leggi nazionali e internazionali. Probabilmente sono i buoni, più di Meloni, almeno. La nave Aquarius, l’unica rimasta con a bordo un team medico di Msf, oggi è bloccata nel porto di Marsiglia dopo due revoche della bandiera in due mesi, «per concertate pressioni politiche», ricorda la Ong. «Ho fatto bene a bloccare le navi delle Ong, ho fermato non solo il traffico di immigrati ma da quanto emerge anche quello di rifiuti. #portichiusi?», dice pure il ministro dell’Interno Matteo Salvini per il quale quello stesso procuratore ha chiesto l’archiviazione dall’accusa di sequestro di persona e abuso d’ufficio per il vergognoso trattamento dei 177 migranti a bordo della Diciotti trattenuti in porto, a Catania, tra il 20 e il 25 agosto. Il procuratore è sempre lui, Carmelo Zuccaro, e oggi ha di nuovo bucato lo schermo con questa inchiesta “bomba” ma c’è un sacco di gente che continua a ritenerla una montatura. Anche nella stessa procura di Catania che finora ha richiesto l’archiviazione per le sue precedenti azioni contro le Ong «perché il fatto non sussiste». «Il momento dello sbarco dei migranti è tra i più controllati: salgono a bordo delle nostre navi forze di polizia e autorità sanitarie. Assurdo che avremmo messo in piedi un traffico illegale di rifiuti sotto gli occhi delle autorità presenti nei 200 sbarchi gestiti da noi», spiega il direttore generale di Msf Italia, Gabriele Eminente, in una conferenza stampa convocata dopo il sequestro. Gianfranco De Maio, medico di Msf, ha in particolare contestato la ricostruzione dei magistrati sui presunti rischi legati alla diffusione di malattie infettive determinati dalla scorretta gestione dei rifiuti: «È stata attaccata la professionalità mia e dei miei colleghi che lavorano in Paesi dove ci sono ebola e colera. Sono accuse ridicole. L’Organizzazione mondiale della sanità assume le nostre linee guida sullo smaltimento dei rifiuti. Pensare poi che la tbc o le epatiti si trasmettano attraverso i vestiti è assurdo». «Sorpresi e indignati per le accuse rivolte», i portavoce di Msf chiariscono di non sentirsi «al di sopra del giudizio della magistratura». «Ma negli ultimi due anni – ricordano – la nostra attività è stata scandagliata in ogni dettaglio. È un���accusa singolare e sproporzionata. Si sta bloccando una nave che è già stata bloccata con la revoca della bandiera. Un’organizzazione come la nostra, che da 50 anni è presente in tutto il mondo, che ha avuto il Nobel per pace oggi è accusata di aver messo in piedi un’attività di illecito smaltimento di rifiuti per conseguire un profitto che però rappresenta il 2% delle nostre risorse dovute per la stragrande maggioranza alle donazioni». Ma forse l’accanimento sulle Ong punta proprio a questo: «La linea della criminalizzazione della solidarietà attuata nell’ultimo anno e mezzo – ha osservato il direttore di Msf – ha prodotto un impatto molto forte sulla nostra capacita di ricevere donazioni da privati. Abbiamo sofferto un calo nei momenti più critici del 20%. Noi siamo fragili, il nostro patrimonio è la reputazione e per questo le parole sono come macigni. Meno donazioni significa meno attività nei 72 Paesi in cui siamo presenti». «L’odore della strumentalità e della propaganda è forte» anche per l’Arci. «Per quanto tempo ancora la procura di Catania continuerà a usare l’azione giudiziaria per fare propaganda politica, ai danni delle attività di ricerca e soccorso in mare? Ribadiamo la necessità di un intervento civile nel Mediterraneo per salvare vite umane in assenza di programmi dei governi europei, impegnati a usare questo tema in funzione elettorale. Non possiamo continuare ad assistere ad una strage senza reagire. ... Si vuole, col cinismo dei carnefici, lasciare che uomini e donne continuino a perire nei campi di concentramento libici o in mare, nel quasi totale silenzio mediatico», commenta Maurizio Acerbo, segretario del Prc. Infine Erasmo Palazzotto di Leu: «Quella della Procura di Catania è un’azione persecutoria e ideologica volta a colpire sistematicamente le Ong. È l’ennesima inchiesta priva di fondamento utile soltanto alla diffamazione ed alla criminalizzazione di chi opera nell’umanitario».
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zero-per-cento · 6 years
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A volte mi domando quanta gente si soffermi sulle piccole cose ignorate da tutti.
Quelle che fanno anche un po’ senso e vengono messe da parte.
Le storie di oggetti che nascondiamo o buttiamo nei cestini perché inutili.
Il corso di vita di un pantalone rotto, di una maglia scambiata, di un temperino arruginito, della carta vuota di un alimento appena mangiato.
I miei occhi, stamane, si sono posati su una vecchio calzino bucato.
Guardavo distrattamente ai piedi del letto, quando quel pezzo di stoffa ormai lacero ha invaso la mia visuale.
E ho pensato a quanto del mio peso abbia sopportato per ridursi in quello stato, a quanti passi per il mondo abbia trattenuto tra i suoi fili di cotone ben intrecciati, quanti urti sull'asfalto lo abbiano portato a cedere la presa fino a sfilarsi.
Mi sono chiesta quanto abbia graffiato l'unghia dell'alluce, aiutata dalle altre dita, per arrivare a squarciare la parte che lo avvolgeva, quanta rabbia, fretta, stanchezza e frustrazione dovevano essere contenute nel mio modo di camminare, quante storte e strane posizioni della mia andatura abbiano causato quella ferita.
Su quante scarpe si sia sfregato fino a distruggersi, quante suole abbiano consumato quelle cuciture perfette che ora sono solo una roba indefinita.
E io persona, che porto sulle spalle una moltitudine di emozioni diverse, alcune difficili da trasportare tanto da incurvarmi in avanti la schiena, affossarmi il viso nelle spalle e costringermi a osservare il pavimento mente solco i sentieri dell'esistenza, a mia volta quanta forza magnetica troppo pressante ho imposto ai miei abiti, alle cose che hanno condiviso il mio quotidiano e mi hanno aiutato a trascorrere i giorni?
E quante di quelle cose sono state dimenticate nonostante siano stati eroi valorosi e abbiano appianato i sentimenti disastrati della mia psiche, riportando tagli o restando rovinati per sempre?
E quanto di me ho lasciato in quei punti lesi, che ho gettato via senza un minimo di riflessione sul loro ruolo?
Quante sostanze si perdono nei rumori dei nostri problemi, mentre nel loro silenzio ci supportano e ci accompagnano con pazienza e costanza?
Quanti particolari si annullano sotto la nostra indifferenza?
Quanto siamo profondamente superficiali e focalizzati su noi stessi?
Quanta materia ci muore intorno e noi nemmeno ne sfioriamo l'idea?
Quanto ci da sostegno muto nella nostra crescita e neanche un singolo germoglio di riconoscenza ci nasce nel cuore?
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Tragico quotidiano:
le relazioni instabili
L’ironia della sorte, come spesso accade, ha voluto che inciampassi nella sistematica routine dell’instabilità sentimentale, che per quelli come me, precisi, meticolosi, restii al pericolo e al rischio, timorosi, abitudinari, amanti della comfort zone per dirla tutta, non è la miglior cosa in cui imbattersi per alimentare benessere esistenziale. Invece, è andata proprio così. Giostre, montagne russe, curve di costiere frastagliate, ma anche effetti dell’alcol, della droga, del caffè, della calma apparente di una sigaretta sono diventati essenza della metafora che puntualmente, ma dico puntualmente, ritorna ciclica e regolare. Regolare? Beh forse questa è l’unica regolarità, sì. Dicevo, andarci con i piedi di piombo, ripetersi “ma ne sono consapevole”, rassicurare gli altri con frasi “nah, tranquilli, so gestire tutto” o “sono in alto, mi preparo per scendere precipitosamente” sono soltanto un effetto placebo per immaginare di essere lanciati dall’aereoplano con un paracadute bucato e mal ridotto. Non c’è rimedio, mi spiace. Ora non parleró in termini e tecnicismi da brava psicologa improvvisata, tanto si possono trovare su internet alla voce “relazione tossica” e compaiono pagine e pagine di patologie per lo più indirizzate sul narcisismo con le sue fasi ascendenti e discendenti e sulla dipendenza affettiva. Preferisco parlare di ció che accade effettivamente dentro queste due persone, che alla fine dei conti, in una lotta di indici puntati a ritmo di “MA TU”, diventano entrambe tossiche, entrambe restano sconfitte, entrambe perdono ed entrambe si perdono. C’è un momento, inteso come istante, ma anche come mese, forse mediamente giorno, in cui sembra di ritrovarsi fluttuanti a galleggiare in un mare di zucchero: è tutto troppo facile, è tutto troppo immediato, così leggero, così perfetto, ma di quella perfezione stucchevole che non sai se apprezzare o guardare diffidente. Nel dubbio, ci si stende, si decolla, si va in alto, sempre di più e l’amore cresce. Insieme peró cresce anche l’aspettativa, l’ansia di concretizzare un progetto ideato insieme, si mettono da parte i doveri per creare un piccolo spazio in cui far scivolare tutta questa dose di felicità e poi si nota qualcosa. A volte non serve che si sbagli inavvertitamente, altre volte forse ci verrà detto che è consequenziale ad azioni che, malgrado la buona volontà, saranno quel margine di errore già preventivato. Fatto sta che succede: si inizia a sprofondare, lasciando la presa non solo dai suoi vestiti, per tentare di avvinghiarti in una smania vomitevole di pianto misto ad isteria, ma anche dalle illusioni, da quei progetti che nel concreto non si realizzeranno più, dalla propria dignità che calpestiamo in un martello pneumatico di “ma cosa ho fatto?” “Ho sbagliato, non dovevo” e sensi di colpa costanti, di ansia, panico, vuoto alla bocca dello stomaco. Ora, qui è discrezione personale, ma assicuro che la maggior parte dei casi finisce in dipendenza e autocolpevolizzazione per giustificarsi e rincorrere quella persona anche se fosse in Groenlandia e ci fosse un solo aereo per raggiungerla. La testa si attanaglia di “perchè?” e il cuore grida e urla solo un nome. Straziante no? Ma anche comico, perchè un giorno circostanziale al nulla, ritorna tutto come prima, anzi, meglio di prima! L’energia, il vitalismo, le scuse, l’adrenalina del ritorno, il perdono, il vittimismo tutte in fila una ad una per coronare questo sogno d’amore. Ma di amore si tratta? Da qui il resto della storia è facile a dirsi, basta rileggere il tutto e si capirà quanto tossico e disfunzionale sia questo tipo di rapporto. In conclusione, l’instabilità è un ponte che crolla sull’ultimo mattoncino così da concederti troppo poco tempo per toccare il suolo, sentendo di colpo il terreno venire a mancare sotto le scarpe, ma troppo tempo per rinunciarvi totalmente e il ponte non solo lo ricostruisci, lo attraversi di nuovo. Ma poi, questo è il suo fascino, la maledizione, l’inganno sotteso a quel bellissimo e dannato volto che continuiamo a chiamare “Amore”.
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