Tumgik
#insegna dagli errori
libero-de-mente · 8 months
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MEMORIA
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La storia insegna, ed è così.
Ma l'uomo è un cattivo allievo.
Mi chiedo allora, a cosa serve ricordare?
"Bisogna ricordare perché bla, bla, bla"
Allora riformulo la domanda, a cosa serve ricordare se non s'impara nulla dagli errori, dalle atrocità e dalla crudeltà del passato?
Se si ripetono puntali e ciclicamente le guerre, i massacri e gli stermini di massa?
Queste ricadute di disumanità collettiva risalgono alla notte dei tempi, la prima guerra documentata avvenne fra le città-stato di Lagash e Umma nel c. 2450 a.C.
"Eh, ma si parla di tempi diversi"
Ah già, allora i conflitti di oggi? Sono diversi? Sicuramente per le modalità, ma la crudeltà resta.
Allora penso a una cosa: che questa è la natura dell'uomo.
Deve dimostrare di avere il potere, per motivi economici e territoriali (anche religiosi), brama la supremazia.
Lo ha sempre fatto e continuerà a farlo.
Le vittime di ieri diventeranno gli aguzzini del domani, chi subirà poi si vendicherà. Una ruota sanguinaria che continuerà a girare.
Se anagrammiamo MEMORIA ne esce REMARE.
I conflitti generano un mare di sangue, per lo più di innocenti, in questo mare rosso dovremmo tutti remare con forza nella stessa direzione. Quella della pace tra gli esseri viventi.
Memoria, ricordo, contro le violenze e altre giornate istituite per non dimenticare ci dividono sempre di più.
Ogni anno che passa la situazione e l'accanimento peggiora, con l'avvento dei media e dei social questo disagio sociale è come un'onda che investe tutti.
Perché oramai di queste ricorrenze se n'è impossessata la politica peggiore, le lotte e le ideologie sociali vengono usate per sfogare la rabbia, che nell'uomo da sempre sopravvive e si rigenera.
Mi sento meglio, durante queste ricorrenze, nel chiudere tutto quanto sia "in collegamento" e leggere un libro, sfogliare un album di vecchie fotografie o dedicarsi ad aiutare qualcuno. Meglio.
Spero che venga istituito presto la giornata della ragione e del cuore, per ricordare a tutti di usare il cervello aiutandosi con il cuore.
Se tu fai del male oggi, domani ti si ritorcerà contro. Allora tu dopodomani reagirai, ma il giorno dopo di nuovo subirai. Un loop di tragedie.
Avremmo tutti bisogno di nuove persone che governino con sapienza e in collaborazione. Ma a quanto pare quei posti di comando sono riservati solo a dei burattini.
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ilgiardinodivagante · 10 days
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Ci siamo mai davvero chiesti cosa ci renda umani? È una domanda che l'uomo si pone da millenni, cercando risposte nelle profondità della filosofia, della scienza, e persino della propria anima. Certo, abbiamo il linguaggio, la coscienza di sé, la capacità di pensare in modo astratto e di creare cultura. Ma sono davvero solo questi elementi a differenziarci dagli altri esseri viventi?
Io credo che ci sia qualcosa di più profondo, qualcosa che va oltre le semplici definizioni. Credo che ciò che ci distingue sia la nostra capacità di trascendere l'istinto, di scegliere. Un animale è guidato dai suoi bisogni primari, dalla sopravvivenza. Noi, invece, abbiamo la libertà di decidere se seguire la nostra parte più animalesca o se ascoltare quella voce interiore che ci spinge verso qualcosa di più grande.
È questa capacità di scelta che ci permette di creare arte, di fare filosofia, di amare, di soffrire. È ciò che ci rende capaci di empatia, di compassione, di giustizia. È la scintilla che accende la nostra creatività, che ci permette di immaginare mondi migliori, di sognare un futuro diverso.
Ma questa libertà è una lama a doppio taglio. Ci permette di elevarci al di sopra degli altri animali, ma ci rende anche responsabili delle nostre azioni. Possiamo scegliere di costruire un mondo migliore, oppure possiamo scegliere di distruggerlo. E la storia ci insegna che, troppo spesso, abbiamo optato per la seconda strada.
Quando rinunciamo alla nostra umanità, quando ci lasciamo guidare solo dall'egoismo e dalla violenza, ci allontaniamo da ciò che ci rende unici. Perdiamo la capacità di meravigliarci, di amare, di sognare. Diventiamo come macchine, programmate solo per soddisfare i nostri bisogni più elementari.
Eppure, nonostante tutto, credo ancora nell'umanità. Credo che dentro di noi ci sia una forza in grado di superare ogni ostacolo, di risorgere dalle ceneri. Credo che possiamo imparare dai nostri errori, che possiamo cambiare, che possiamo diventare migliori.
Ma per farlo dobbiamo riscoprire quella parte di noi che è capace di trascendere l'ordinario, di rompere gli schemi e di immaginare un futuro diverso. La consapevolezza di sé è il primo passo: siamo in grado di riflettere sul nostro passato, presente e futuro. Abbiamo inventato il tempo, usiamolo per agire ora, nel presente, plasmando il domani. Non accontentiamoci di subire il corso degli eventi, ma diventiamo artefici del nostro destino.
La cultura, in tutte le sue forme, è il nostro patrimonio più prezioso. L'arte, la musica, la letteratura e la scienza sono più che semplici passatempi: sono veicoli per trasmettere valori, idee e conoscenze. Smettiamo di considerare la cultura come un prodotto da consumare passivamente e riappropriamocene come strumento di crescita e di trasformazione. Rifiutiamo tutto ciò che banalizza e mercifica la cultura, e sosteniamo chi la utilizza per costruire un mondo migliore.
La moralità è il fondamento della nostra umanità. Abbiamo un senso innato del bene e del male, e la capacità di costruire sistemi etici complessi. È arrivato il momento di riconnetterci con questa parte più profonda di noi stessi, di ascoltare la nostra coscienza e di agire in accordo con i nostri valori. Dobbiamo superare l'egoismo e l'individualismo, e riscoprire il valore della solidarietà, della compassione e della giustizia.
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Per fare tutto questo, dobbiamo essere disposti a uscire dalla nostra comfort zone, a sfidare le nostre convinzioni più radicate e a abbracciare il cambiamento. Dobbiamo essere coraggiosi, creativi e determinati. Dobbiamo essere pronti a mettere in discussione tutto ciò che diamo per scontato, a ripensare il nostro modo di vivere e di relazionarci con gli altri.
Solo così potremo costruire un futuro in cui l'umanità possa finalmente esprimere tutto il suo potenziale. Un futuro in cui la scienza, l'arte, la filosofia e la spiritualità possano convivere in armonia, creando un mondo migliore per tutti.
Iniziamo da noi stessi, dalle nostre scelte quotidiane. Ricordiamo sempre che siamo parte di qualcosa di più grande di noi stessi. Siamo parte dell'umanità, parte della natura. E abbiamo il potere di fare la differenza.
Questo blog è il mio piccolo angolo creativo. Ogni parola e ogni immagine presente in questo post è frutto della mia immaginazione. Se ti piace qualcosa, condividi il link, non copiare
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francescacammisa1 · 20 days
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A volte penso che fare incontri sbagliati sia un male necessario che ti insegna a imparare dagli errori, finché non sei in grado di riconoscere la tua vera anima gemella. Ma ci sono giorni in cui, invece, mi dico che è tutto inutile, che non c’è nulla da imparare e che è la fortuna, e nient’altro, a decidere per noi. L’amore della mia vita magari mi è passato accanto e io non me ne sono nemmeno accorto, ci siamo sfiorati per un istante e abbiamo continuato a camminare, ciascuno per la propria strada, allontanandoci per sempre.
Ferzan Ozpetek - Cuore nascosto
Fujiko Nakaya artist
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enkeynetwork · 4 months
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cinquecolonnemagazine · 8 months
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Geolier: evoluzione, slang o scelta artistica?
È vigorosa la polemica, nata sui social, intorno al testo scritto, reso pubblico in questi giorni, della canzone "I p' me, tu p' te" che il rapper napoletano, Geolier, porterà al Festival di Sanremo di quest’anno. Già dal titolo se ne comprende il motivo: la scrittura non ortodossa usata dagli autori e illeggibile in svariati punti, che ha dato vita a due schieramenti opposti tra coloro che l’aborrono e coloro che la salutano come un tentativo d’innovazione del napoletano scritto. Ma cos’è il napoletano, prima di tutto, una lingua o un dialetto? E quanto sta avvenendo è da considerarsi una sua evoluzione inevitabile o uno slang ad esso parallelo? O, ancora, una mera scelta artistica? Lo abbiamo chiesto, prima di tutto, al Prof. Renato Casolaro, poeta, docente di italiano e profondo conoscitore della lingua napoletana, e raccolto alcuni degli infuocati interventi letti sui social. Il napoletano, prof. Casolaro, è una lingua o un dialetto? Bisogna innanzitutto chiarire che lingua e dialetto non sono termini in competizione fra loro. Una lingua è l’idioma che un paese utilizza nei suoi atti ufficiali e che insegna nelle sue scuole, e in questo senso il napoletano non è mai stata una lingua - tranne un breve periodo di sperimentazione, fallita, in epoca aragonese - negli atti ufficiali del Regno di Napoli si è sempre usato l’italiano, anche sotto i Borbone. Ma si può senz’altro parlare di lingua letteraria, perché in napoletano è fiorita una letteratura di tutto rispetto. I dialetti dell’Italia invece sono tutti lingue nel senso che derivano tutti dal latino parlato, e dunque costituiscono il patrimonio linguistico dei “volgari” neolatini (così anche il fiorentino, assurto più tardi a lingua di tutti i paesi d’Italia grazie all’eccellenza di alcuni suoi poeti, come i tre famosi trecentisti). Il napoletano è una lingua codificata da norme? Il napoletano, come tutti i dialetti, ha una sua grammatica e una sua sintassi formatesi nel tempo dall’evoluzione del latino parlato nei vari luoghi - e che era già diverso da luogo a luogo, come d’altronde nei vari paesi neolatini europei. Questa grammatica è stata descritta in molti manuali fin dal 700. Oggi abbiamo molte “grammatiche” napoletane, ma, contrariamente a quanto avviene per la lingua ufficiale di un paese, esse non hanno e non possono avere un carattere autorevole di norma ufficiale, appunto per lo statuto naturale del dialetto. Dal punto di vista dell’uso scritto del dialetto, poi, quelli che lo scrivono per uso letterario non sempre sono d’accordo sul modo di trascrivere alcuni suoni, nessi, parole (es. “deve” = ha dda oppure ha da oppure adda?). Ma sulla necessità di segnare le vocali anche quando sono semimute gli scrittori “tradizionalisti” sono tutti d’accordo. Oggi per esempio si è diffusa una modalità di scrittura - i cui prodromi si vedono già in parte in autori come Pino Daniele - che ignora la tradizione di scrittura precedente e improvvisa il tentativo di scrivere riproducendo i suoni del parlato. Questa tendenza si è accentuata enormemente negli ultimi autori, tanto che a volte non si riesce a capire subito ciò che si legge, perché non c’è nessuna consapevolezza etimologica e i suoni sembrano riprodotti da persone che non parlano il napoletano. Quanto sta avvenendo è da considerarsi evoluzione o slang? Credo che tu ti riferisca a questo punto non solo al modo di scrivere, ma al napoletano com’è oggi, in particolare sulle bocche dei giovani, che sembrano averlo a modo loro riscoperto. Certo, le lingue tutte si evolvono, e quello che oggi sentiamo come un errore può diventare una nuova “regola”. Avvenne lo stesso nel passaggio dal latino alle lingue romanze: abbiamo testimonianze di maestri che severamente correggevano certi errori che poi sono stati integrati in un nuovo sistema grammaticale-sintattico, la nuova lingua romanza (ad es. l’italiano), sistema formatosi gradualmente per molteplici motivi, soprattutto ad opera dei parlanti stessi, sia pure inconsapevoli. E riguardo alla nuova scrittura, se la funzione di una lingua è la comunicazione, ha senso una scrittura non comprensibile a tutti? Assolutamente nessun senso. A mio modesto parere bisognerebbe battere su questo punto quando si discute di un testo scritto in modo illeggibile, come ad esempio quello che circola su rete del rapper Geolier, che ha suscitato un vespaio di reazioni forse più per i contenuti (a volte inesistenti, ma questo è solo il mio parere personale) che per la forma, la quale invece secondo me dovrebbe essere al centro dell’attenzione: se un testo è scritto in modo chiaro (dicevo ai miei alunni quando insegnavo italiano) si possono valutare i contenuti, altrimenti puoi avere le idee più vaste e profonde del mondo ma non comunichi. Diversi pareri sulla questione Geolier Di diverso parere è Il Prof. Nicola De Blasi, ordinario di Storia della lingua italiana e di Dialettologia italiana presso l'Università di Napoli “Federico II”, che intervistato in merito alla questione Geolier, dalla giornalista Ida Palisi per il Corriere del Mezzogiorno, si è così espresso: “Come canta Geolier è una scelta artistica che non ha una forza modellizzante o normativa e non penso che questo giovane rapper abbia in mente di suggerire a tutti di scrivere come sono scritti i suoi testi. Canta in un dialetto che fa parte dell'esperienza quotidiana di molti parlanti, non solo dei giovani. Forse per lui la grafia usata è per così dire parte integrante della sua creazione artistica, quindi una diversa scrittura gli apparirebbe poco adeguata alle sue intenzioni. Comunque una cosa singolare è che un dibattito sul tema "il dialetto napoletano si deve scrivere come si parla" si è svolto a Napoli a fine Ottocento”. Quindi potremmo deporre le armi e tranquillamente decidere se seguire o meno il rapper e Sanremo, se non fosse per la questione dei contenuti delle sue canzoni e del contesto sociale nel quale sono nate: Luigi Ascione – agronomo ed enologo – attento osservatore dei cambiamenti della cultura napoletana: “Bisognerà ragionarci, questi sono soprattutto i nuovi creativi dialettali, questo è il dialetto che si parla, questa è la trascrizione. D’altra parte consistenti strati di popolazione lasciati a sé stessi, senza lavoro, senza istruzione, senza diritto di cittadinanza prendono spazi di sopravvivenza e creano la propria cultura. Se non hanno filtri culturali a monte non possono fare altro che assumere gli elementi che la società mercantile indica loro come simboli del successo.” Riflessioni più che condivisibili e, in parte, riprese anche dall’attore e autore di poesie che hanno a tema la periferia industriale di Napoli, Giovanni Merano: “È la mercificazione del napoletano, a mio avviso. Non so se sia una evoluzione o una deriva della lingua. Due punti di vista del medesimo fenomeno. Ognuno può e deve esprimersi come meglio crede o sa fare, e se arriva anche ad una sola persona, la missione è compiuta. Lungi dallo screditare l’uomo e anche l’artista, non mortificherei mai il lavoro altrui, la lingua usata dal rapper non è di mio gusto, per me è una deriva.” Contrario si è detto anche Michele La Veglia, ingegnere e cultore della storia e della lingua napoletana, autore di due saggi e una quarantina di pubblicazioni sulla storia dei “Vigili del fuoco”: "Napolitano Evolution 2024” è una sintesi mia di quanto vado leggendo. L'evoluzione di un linguaggio passa comunque attraverso uno standard di correttezza grammaticale ed è noto che il napoletano di Pino Daniele costituiva un’ evoluzione rispetto alla letteratura del 1600, per esempio, di Giambattista Basile. Qui si tratta di slang e lo slang è parlato e tt kk = tutte le cose, scritto soprattutto nei messaggini ci sta. Poi, mi permetto di dire che una canzone in napoletano, presentata al Festival della canzone italiana, dovrebbe essere scritta in lingua napoletana corretta. Ecco anche evoluta, senza sofismi di inizio secolo, ma comunque con parole comprensibili ad un vasto pubblico.” … anche Carlo Rinaldi, autore di poesie in napoletano e insegnante di lingua napoletana: “Non credo che conoscano il napoletano parlato visto che mutuano termini italiani napoletanizzandoli con l'esclusione della finale.” Per il momento è tutto ma prima, ecco il testo “incriminato”. A voi soprattutto le conclusioni possibili: "I p' me, tu p' te" - Geolier - Testo di D. Simonetta - P. Antonacci - E. Palumbo - M. Zocca - D. Simonetta - G. Petito - D. Totaro - F. D’AlessioEd. Eclectic Music Publishing/Thaurus Publishing/Golden Boys/ Nuova Nassau/Music Union/Management33 Music/ Wonder Manage/Studio Uno Sound - Milano Nuij simm doije stell ca stann precipitann T stai vestenn consapevole ca tia spuglia Pur o’mal c fa ben insiem io e te Ciamm sprat e sta p semp insiem io e te No no no comm s fa No no no a t scurda P mo no, no pozz fa Si ng stiv t’era nvta A felicità quant cost si e sord na ponn accatta Agg sprecat tiemp a parla Nun less pnzat maij Ca all’inizij ra storij er gia a fin ra storij p nuij O ciel c sta uardann E quant chiov e pcchè Se dispiaciut p me e p te Piccio mo sta iniziann a chiovr Simm duij estranei ca s’incontrano E stev pnzann a tutte le cose che ho fatto E tutto quello che ho perso, non posso fare nient’altro I p’me tu p’te I p’me tu p’te I p’me tu pe’te Tu m’intrappl abbraccianm Pur o riavl er n’angl Comm m può ama si nun t’am Comm può vula senz’al, no È passat tantu tiemp ra l’ultima vot Ramm natu poc e tiemp p l’ultima vot No, no no no comm s fa No no no a t scurda P mo no, no pozz fa Nun less pnzat maij Ca all’inizij ra storij er gia a fin ra storij p nuij O ciel c sta uardann E quant chiov e pcchè Se dispiaciut p me e p te Piccio mo sta iniziann a chiovr Simm duij estranei ca s’incontrano E stev pnzann a tutte le cose che ho fatto E tutto quello che ho perso, non posso fare nient’altro I p’me tu p’te I p’me tu p’te I p’me tu p’te I p’me tu p’te I p’me tu p’te I p’me tu p’te I p’me tu p’te I p’me tu p’te Sta nott e sul ra nostr, Si vuo truann a lun a vac a piglia e ta port, E pur si o facess tu nun fuss cuntent, Vuliss te stell, vuless chiu tiemp cu te. Piccio mo sta iniziann a chiovr Simm duij estranei ca s’incontrano E stev pnzann a tutte le cose che ho fatto E tutto quello che ho perso, non posso fare nient'altro I p’me tu p’te I p’me tu p’te I p’me tu p’te Immagine di copertina: DepositPhotos Read the full article
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lospalatoredinuvole · 2 years
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Negare gli errori non ti fa andare oltre.
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vefa321 · 4 years
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A forza di credere, si comincia ad avere ragione, i dubbi sono sani come ogni passo falso.
il mondo è una prigione di desideri preconfezionati e di sogni infranti.
Le cose vere sono quelle che accadono, quelle che ti lasciano un segno fosse solo un livido o una pagliuzza di sole conficata nel cuore.
Il mondo è un sorriso per gente mascherata, dagli occhi velati ed il cuore soggiogato dalle buone impressioni.
Il mondo ha solo bisogno di alzarsi come l'alba, di soffiare come il vento, di scaldare come il sole ed a volte di piangere come la pioggia...
La natura ci insegna ciò che non sappiamo imparare, il mondo è una lavagna e dobbiamo studiare.
La società è l'esercizio della materia umana, problemi e soluzioni, processi ed errori... Brutte copie e fogli protocolli.
@vefa321
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paoloxl · 4 years
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6 gennaio L'esilio di Trotsky
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Inizia con la rimozione di Leon Trotsky dall'incarico ministeriale la serie di provvedimenti presi dal governo stalinista nei confronti del politico, che culminerà con il 17 gennaio 1929, quando egli viene esiliato insieme ad alcuni compagni del soviet di Pietrogrado ad Alma Ata.
Così inizia la lunga diaspora che condurrà Trotsky fino alla morte in Messico il 20 agosto del 1940 assassinato da un agente stalinista in incognito. La vicenda di Trotsky è dal punto di vista autonomo molto interessante per una serie di aspetti e innanzitutto perché sancisce il fallimento di un certo tipo di socialismo reale e delle sue strutture politiche e sociali. Molti sono gli interessanti spunti che lasciò a chi attraversa in un'ottica marxista i movimenti, ma molti furono anche gli errori di valutazione che pesarono profondamente sia sul destino della rivoluzione russa, sia sui partiti comunisti istituzionali che staccandosi dalla sfera d'orbita sovietica aderirono a questo modo di intendere la lotta di classe. Come sempre sta a noi dare una lettura critica e attualizzata, in rapporto con le dinamiche storico-sociali che attraversiamo di alcune linee di tendenza intuite da Trotsky. Interessanti sono ad esempio gli approfondimenti sulla teoria della Rivoluzione permanente, molto meno le pratiche dell'entrismo nei partiti socialisti.
Trotsky insieme a Lenin leader della rivoluzione russa è stato molto presto visto dai burocrati del socialismo reale, oppressivo e mortificante come un pericolo, un pericolo capace di scatenare le contraddizioni palesi che attraversavano la teoria del "socialismo in un paese solo" e del capitalismo statale di cui era intrisa la ormai tradita rivoluzione bolscevica. Una paura che era lo stesso volto dei padroni dei paesi attraversati dalle lotte operaie e del proletariato.
Dal punto di vista autonomo e antagonista Trotsky ci insegna che una rivoluzione è sempre perfettibile e che le contraddizioni insite allo sfruttamento capitalista non sono conciliabili con il socialismo e con le sue espressioni. Ci insegna anche con i suoi errori che tentare di cambiare dall'interno una forma partito di stampo terzointernazionalista che è a sua volta rappresentazione del potere istituzionale e borghese è impossibile. Anzi anche questa va distrutta e delegittimata.
Presentiamo ora un documento di Danilo Montaldi su Lev Trotsky.
CURVA DISCENDENTE:
TROTZKY, TROTZKISMO, TROTZKISTI Negli anni 1926-'28 il movimento operaio internazionale subisce una crisi i cui caratteri si presentano in una forma del tutto nuova. Non è più una crisi legata ad una battaglia perduta e sanguinosamente repressa, quale era stata la Comune di Parigi, non è più il fallimento della rivoluzione come nel 1905 in Russia, esperienze l'una e l'altra che serviranno di base alla ripresa politica del proletariato. Questa volta si tratta di qualche cosa di infinitamente più tragico in quanto è proprio questo stesso patrimonio, l'unico, se si eccettuano le ereditarie catene, che viene saccheggiato e manomesso precisamente da che usurpava in quegli anni la rappresentanza dell'avanguardia nel Paese che per primo aveva ceduto all'assalto vittorioso della Rivoluzione.
Le ragioni dell'arretramento politico degli operai vanno ricercate nell'impossibilità di mantenere il controllo in una situazione che si va sempre più evolvendo, tanto in Russia che nel resto del mondo, a svantaggio della classe nel suo complesso.
L'affermazione dell'"Opposizione di Sinistra" è legata strettamente all'evoluzione della lotta di classe in Russia che si esprime ancora in quegli anni in termini di contrasti ideologici prima di scendere sul terreno della lotta politica aperta fino all'eliminazione fisica di chi non aveva saputo rinunciare, in un modo non formale, alla tradizione e alle lezioni dell'Ottobre 1917. Il nuovo corso dell'economia sovietica, vale a dire il consolidamento della NEP e i primi piani di industrializzazione che in queste condizioni non porteranno ad altro che alla nascita di un capitalismo statale ed allo sfruttamento sempre più vasto del proletariato, induceva gli strati dirigenti della politica russa a forgiare nuove teorie e nuove tattiche che, coerenti con l'impegno della "Difesa dell'URSS", sono in netto contrasto con gli interessi della Rivoluzione mondiale. Di conseguenza i movimenti dissidenti dell'Internazionale si vanno sempre più intensificando. Sotto l'incalzare degli avvenimenti le coscienze individuali, i gruppi d'avanguardia sono costretti a definire la loro condotta, a cercare una loro giustificazione, e con questo stesso a proporre la validità della loro particolare esperienza sul piano più vasto della lotta del proletariato.
Lev Trotzky pur dibattendosi tra le infinite difficoltà che il ritorno alla vita d'esilio gli imponeva di superare, seppe improntare il movimento d'opposizione della sua personalità di vecchio combattente delle lotte sociali.
Da quando il ministro zarista Miljukov lo aveva usato con disprezzo per la prima volta, il termine "trotzkismo" aveva fatto molta strada, ma solo ora si presentava come una tendenza che si andrà sempre più definendo nel senso del movimento operaio. La Rivoluzione, immensa divoratrice di esperienze e di uomini non dovrà tardare molto a sottoporne all'esame delle situazioni la consistenza e la necessità. In questa fase il proletariato si presenta sotto la guida di una direzione che ha ormai smarrito il senso di una lotta di classe e di conseguenza fin dall'inizio è votato a sicura sconfitta.
gli avvenimenti cinesi non sono che il prologo sanguinoso di una lunga serie di disfatte. Lo slancio rivoluzionario delle masse viene soffocato dal mostruoso sviluppo di un capitalismo in crescita, i cui rappresentanti costituiscono la direzione del movimento.
La crisi apertasi nel senso del capitalismo nel 1917 stava per concludersi ancora una volta a svantaggio della classe oppressa: il mondo operaio europeo viveva gli ultimi fremiti operai in Germania dove, strada per strada si sparavano gli ultimi colpi disperati di tre lustri di lotte civili iniziate vittoriosamente a Kronstadt sotto la guida del partito bolscevico. Se la borghesia tedesca aveva represso nel 1919 Spartacus , il cui sangue sigilla i documenti costitutivi della Terza Internazionale, non aveva pertanto saputo li berrai altrettanto facilmente delle intime contraddizioni che tessevano il suo contenuto di classe, anche se in quegli anni stava finalmente generando "l'atteso rimedio" che non tarderà, quando si sfogherà nella violenza del suo terrorismo, ad essere benedetto non solo dagli strati più reazionari della popolazione, ma da tutti coloro che avevano ancora qualche superstizione da salvaguardare nella generale catastrofe dei sedicenti "valori tradizionali". La Germania della disfatta militare ed economico sfogava l'avvilimento in cui si concretizzava la sua vita quotidiana nell'istinto di conservazione, e si vennero a creare la premesse per la distruzione sistematica di tutte le istituzioni del proletariato: a questo infatti si riduce la funzione essenziale del fascismo.
Fu l'assalto più brutale e completo nei confronti della classe operaia. Fu Hitler.
Di fronte ad una socialdemocrazia che si vedeva derubare del suo capitale eletto - la media borghesia -, e che non solo sui era già infinite volte rivelata incapace di guidare il proletariato nella lotta ma che sperava in una "pacificazione del popolo tedesco" puntando tutto su questa parola d'ordine lanciata alla sua giusta ora da quegli strati dell'opinione pubblica che si nutrono al contrario delle profonde divisioni sociali come un ultimo tranello nel momento in cui lo scontro si stava preparando più sanguinoso, lo stalinismo trova il bel tempo di forgiare la teoria del "socialfascismo", il più aberrante bubbone cresciuto sulla ideologia marxista.
"Il fascismo è l'organizzazione di lotta della borghesia che si appoggia sull'aiuto attivo della socialdemocrazia. La socialdemocrazia è oggettivamente l'ala moderata del fascismo" aveva detto l'antidialettico Stalin aggiungendo che " il fascismo e la socialdemocrazia non sono nemici, ma gemelli". Thälmann, allievo di tale maestro, ne applicò gli insegnamenti al punto che ripudiava la massa industriale tedesca, che dal tempo delle prime lotte sociali aveva sempre costituito la speranza del marxismo, e che come entità fisica rimaneva perlopiù inquadrata nei sindacati riformisti, creò a parte un sindacato di disoccupati che come tutti sanno non potranno mai costituire l'avanguardia del proletariato poiché nelle condizioni in cui si trovano sono assai vicini sentimentalmente alla classe avversa di cui subiscono più direttamente l'assalto.
La tattica disastrosa dell'Internazionale ha a sua scusante il fatto che gli interessi proletari e il proletariato stesso diventavano sempre più estranei alla politica dei dirigenti burocrati, i quali, date le nuove strutture economiche che si andavano a creare in Russia, erano costretti a portare altrove la lotta, ai fini della loro stabile affermazione. Le contraddizioni tattiche dell'Internazionale provengono tutte da questa origine.
Non vogliamo tornare a ripetere la storia ben nota dei fatti tedeschi dal 1928 al 1932, ma vedere unicamente in che modo il trotzkismo non seppe opporsi allo smarrimento in cui caddero i militanti e la classe e richiamare gli uni e l'altra ai loro compiti essenziali nei quali si raccoglie il senso stesso della loro esistenza fisica. Abbiamo detto "trotzkismo" appositamente perché sarà proprio in questa situazione che, sotto i colpi di maglio della lotta di classe, si andrà forgiando il movimento che diverrà la Quarta Internazionale. Ed è proprio qui che subisce la prova generale che ormai lunghi anni di vita gli impongono. Una prova fallita
Il Partito Comunista Tedesco non aveva saputo cogliere il momento di contraddizione, di divisione nel campo della borghesia, non aveva saputo metterlo a frutto al fine di mobilitare il proletariato, tutto il proletariato e lanciarlo alla conquista del potere.
Ben presto questa occasione mancata tornerà a totale vantaggio della borghesia che saprà riunirsi in vista della vittoria, eliminando dalla vita nazionale quelle forze che, se l'avevano rappresentata fino a ieri, sono oggi superate dai tempi. Così come ieri in Italia la socialdemocrazia viene messa in condizioni del tutto nuove e deve difendersi: deve abbandonare il terreno delle lotte parlamentari sotto la pressione della reazione incombente, ed è costretta a dover subire giorno dopo giorno l'offesa di chi non riconosce più diritti agli avversari politici.
Non era buona ragione per sollecitare un fronte unico con quei partiti che se non erano stati la causa principale della nascita del fascismo, pure non avevano nemmeno tentato di opporglisi nettamente come la situazione richiedeva.
Invece Trozky seguirà proprio questa sfida rifacendosi a quanto era accaduto in Russia nell'agosto 1917 al tempo di Kornilov, contro il quale Lenin sostenne un fronte dei partiti socialisti. Precedente che non era possibile riesumare per varie ragioni. Al giornale dei comunisti di sinistra "Rote Kämpfer" il quale ricordava che Kornilov rappresentava forze completamente diverse da quelle che si fanno sostenitrici di Hitler, Trozky non sa rispondere altro che con l'ironia. E sfoggiando la sua arte di polemista continua a sostenere una tesi che se rappresenta un tentativo di di comprendere le situazioni secondo un "metodo", che era stato ripudiato dai teorici dello stalinismo, non riuscirà meno dannoso, appunto perché il marxismo è usato come metodo e non dialetticamente, ai fini della questione maggiore che era messa in gioco: la Rivoluzione.
Vero è che Hitler giunto al potere eliminò ben presto il "kornovilismo tedesco" delle associazioni dei generali monarchici, che anch'esso era "rimasto indietro" con i tempi, e quindi era nocivo alla politica del nazismo. E non fu una eliminazione pacifica. Naturalmente Trozky non giunse mai a sostenere una identità di scopi nell'azione comune del fronte unico. Ma "marciare separati e battere insieme" significa rimanere sonni al momento opportuno. Bisognava dunque premunirsi nei confronti di questo pericolo, dato che la funzione della socialdemocrazia nell'azione diretta si esaurisce ben presto: l'esperienza italiana insegni. Di fronte al fascismo che ha preventivamente battuto la socialdemocrazia sullo suo stesso terreno soffiandole la piccola borghesia per rilanciarla arrabbiata e delusa contro le organizzazioni del proletariato, massa di manovra ispirata dai grandi affari, solo il partito di classe aveva dimostrato di saper portare la lotta per l'emancipazione dei lavoratori fino alle sue naturali conseguenze. Dopo il fallimento del fronte unico in Germania nell'aprile del 1922 alla conferenza di Berlino, fallimento che fu sancito dalla "Pravda", e dopo l'insegnamento della lotta in Italia, non era necessario rifare a ritroso le esperienze già scontate, ma passare, nella misura in cui era possibile, al riarmo della classe e all'offensiva sul fronte borghese. Il Partito Comunista d'Italia era stato il primo a dover subire l'attacco fascista, era stato il primo a dover tentare il fronte unico con quelle forze "socialiste" che a un certo momento firmeranno con il patto di pacificazione il proprio suicidio, ma è rimasto anche il solo ad esprimere nelle Tesi di Roma l'insegnamento che aveva saputo trarre dalla amara situazione oggettiva. Se per il Partito Comunista d'Italia il fronte unico comportava soprattutto azione comune di tutte le categorie organizzate nei sindacati, non significa che nella formulazione delle tesi che sostenevano questa posizione vi fosse un particolare "vizio" sindacalista, ma che era stato impossibile raggiungere le premesse per il fronte unico sul terreno politico con quelle forze dalle quali il giovane partito si era salvato a tempo. Ora, l'avanguardia militante si riprometteva, secondo l'insegnamento di Lenin, di saper trasformare la lotta sindacale in lotta politica che ne è in fondo il suo naturale sviluppo. Staccatosi dal "glorioso" Partito socializza proprio nel 1921 mentre la battagli si andava facendo sempre più dubbiosa ("l'unità sta nella scissione", aveva proclamato il vecchio Maffi a chi col ricatto dell'unità del partito voleva evitare che si concretizzasse lo slancio del proletariato rivoluzionario) il Partito comunista non poteva, così come suggeriva Zinov'ev, solidarizzarsi con la compromessa socialdemocrazia: ascrivere il valore dell'atteggiamento scelto in nome di qualcosa che non fosse la Dittatura del proletariato significava arretrare e convalidare la sconfitta sul terreno ideologico prima, su quello pratico di conseguenza. . Dopo Lenin, l'organizzazione del marxismo non può dividere la sua strada con nessuno, questa era stata la lezione che il proletariato italiano aveva creduto trarre dall'Ottobre russo dove la Rivoluzione si era compiuta nonostante i partiti socialisti. Naturalmente si passò oltre le evidenze. Nessuno volle esaminare oggettivamente quella situazione: si parlò ancora una volta di "ultrasinistrismo" e di "malattia infantile". Ai metallurgici di Torino precipitati negli altoforni, ai contadini della Valle Padana uccisi nei luoghi stessi del loro lavoro, si aggiungeranno ora anche gli operai martirizzati di Essen e di Amburgo. L'avanguardia proletaria del Partito Comunista Tedesco dovrà arretrare colpo per colpo mentre il "fronte" dei disoccupati nel quale la politica dei dirigenti ha voluto isolarla, si sfascerà con la stessa inerzia con la quale si era formato. Slo qua e là gruppo di rivoluzionari raccolti attorno a qualche giornale sanno mettere a frutto queste esperienze negative per la futura nascita del movimento del lavoro.
Le polemiche tra il trozkismo e il partito ufficiale sono estremamente interessanti.
Si tentava di sapere se il regime "democratico" era già fascismo, e se il fascismo, quello vero, avrebbe mai trionfato. Rispondeva la "Rote Fanhe", organo del Partito Comunista Tedesco, che l'anno 1930 segnava il punto limite dell'ascesa del nazismo, da quel momento "logicamente" iniziava la sua decadenza. La socialdemocrazia era il nemico vero, quello che bisognava abbattere. Gli strateghi stalinisti come ieri avevano incolonnato il proletariato a votare nel referendum di Hitler, il quale in questo modo spingeva i suoi tentacoli fin dentro le organizzazioni operaie, puntavano ora tutte tutte le loro artiglierie polemiche nei confronti del Partito socialdemocratico, ma incapaci pertanto di porre un'azione di massa con un sindacato di disoccupati finivano per esaurire le loro scarse cartucce in un gioco sterile di fuochi d'artificio. Il trozkismo era molto più sensibile al pericolo imminente. Ma smarrito il filo che lega una battaglia ad una battaglia, Trozky non seppe esprimere il reale indirizzo della politica di classe nella parola d'ordine di "Dittatura del proletariato". Caduto nel possibilismo, Trozky andava reclamando la formazione di un governo composto dal Partito comunista socialdemocratico, Sozialistiche Arbeiter Partei e i sindacati, aggiungendo in nome, ahimè, dell'unità del partito che venisse reintegrata l'Opposizione di Sinistra nell'organizzazione ufficiale.
La "rivoluzione" di Hitler si compie senza che venga infranto nessuno dei sacrosanti articoli della Costituzione, ma, ed è ancor più doloroso, si compie soprattutto sulle macerie dell'Internazionale di Lenin, mentre Trozky aveva contribuito a sconvolgere l'ideologia marxista nel momento in cui era più necessario salvarla dalla cancrena che l'andava invadendo.
Negli anni successivi, la situazione stessa impone a Trozky di mettere a fuoco i problemi del momento, di "provare" quale fosse la sua capacità di penetrazione nelle vitali questioni della rivoluzione. E qui dobbiamo constatare un nuovo fallimento.
Già pregiudicato da una falsa partenza il trozkismo vivacchiò più o meno male, nel periodo tra le due guerre in ragione dell'incapacità di sviluppare dai princìpi marxisti un programma. E "crisi di programma" significa sempre mancanza di approfondimento dei compiti dell'avanguardia in un periodo storico.
Riguardo al regime interno dell’URSS, Trozky ha sempre insistito sulla questione di abusi personali da parte della burocrazia giustificando la restaurazioni dei privilegi e delle sovrastrutture decadute col sofisma di un carattere "borghese" della ripartizione del prodotto sociale opposto al carattere "socialista" dei rapporti produttivi, dimenticando con questo quanto aveva sostenuto Marx, per il quale il metodo di ripartizione del prodotto è assolutamente inseparabile dal suo modo di produzione. Secondo Trozky, la burocrazia non ci sa offrire tra garanzia di quanto afferma se non citandoci il fatto che la proprietà dei mezzi di produzione è nazionalizzata, dimenticando questa volta che per Lenin era insufficiente che una economia fosse pianificata perché la si potesse considerare socialista. Un'altra "garanzia" la riscontrava nel fatto che la direzione politica dell'URSS era pur sempre rimasta la stessa, non essendo avvenuta nessuna presa del potere da parte della borghesia. Trozky negava insomma un ritorno all'economia borghese, ma nessun marxista avrebbe mai contestargli questa fiducia se non nel senso che, dopo l'azione unificatrice dell'Ottobre, "ritorno" all'economia di sfruttamento significava infine affermazione del capitalismo di Stato.
Solo più tardi Trozky giunse a comprendere la necessità di una nuova direzione rivoluzionaria del proletariato. "Il vecchio partito bolscevico è morto, nessuna forza al mondo può resuscitarlo." Nasce la Quarta Internazionale. Erede di tutti gli errori ideologici di un decennio di analisi difettose, la Quarta Internazionale non riuscirà mai ad acquistare una perfetta autonomia nel mondo opertaio, ma rimarrà fatalmente incatenata alle situazioni dello stalinismo soprattutto perché Trozky nel momento stesso in cui intuisce la necessità di una nuova rivoluzione contro la burocrazia in Russia, insiste sul carattere proletario del regime. I temi di "stato operaio degenerato" nell'apprezzamento del Paese sovietico "difesa incondizionata dell'URSS" fusi contraddittoriamente in un’unica sintesi costituiranno d'ora in avanti la spina dorsale del movimento. Né la fortuna che conseguì presso i circoli intellettuali e d'avanguardia al tempo dei criminali processi di Mosca, durante i quali da accusato principale Trozky seppe trasformarsi in spietato accusatore e nel difensore irriducibile degli uomini del 1917, è sufficiente a farci dimenticare le sue molte esitazioni e i dubbi nei confronti della Seconda Guerra mondiale.
Mentre la disfatta del proletariato andava diventando un fatto sempre più definitivo, Trozky elaborava dei programmi sempre più transitori. La tattica dell'”entrismo", applicata nei riguardi dei partiti riformisti, era giustificata dal fatto che questi partiti messi di fronte alle nuove condizioni di lotta provocate dal fascino erano costretti a battersi. Ma non bisogna dimenticare che i cosiddetti "socialisti" hanno un loro modo di difendersi che in Italia era stato il patto di pacificazione, in Francia sarà l'adesione ai primi governi di Pétain ("vergognosi" solo dopo che ne furono cacciati) e in Inghilterra e in tutto il mondo l'appoggio assoluto ai governi della guerra borghese. Trozky non doveva dimenticare che è anti-marxista il tentativo volontaristico di correggere dall'interno il corso di questi partiti. Con l'entriamo non riusciva ad altro che a creare gravi responsabilità ai militanti che questa tattica avevano seguito. Ma poiché la Quarta Internazionale si era rivelata incapace di premere sul proletariato perché ne uscisse il nuovo partito di classe, e poiché lo stalinismo era ancora ben presente, la fiducia veniva a spostarsi verso le "sinistre socialiste" la cui costante preoccupazione è appunto di solidarizzarsi continuamente con il "centro" e le "destre", e la cui natura non è di carattere rivoluzionario, ma è semplicemente un riflesso delle contraddizioni ineliminabili dei vari strati della borghesia.
D'altra parte seguendo una sua logica, mentre ribadiva la parola d'ordine di "difesa incondizionata dell'URSS" scrisse nel settembre 1939: " la guerra accelera i diversi processi politici. Essa può anche accelerare il processo di rigenerazione rivoluzionaria dell'URSS. Ma può anche accelerare il processo di finale degenerazione."
Il che ci fa supporre che non fosse più perfettamente sicuro della base "socialista" del regime russo.
"Per questa ragione è indispensabile che noi seguiamo attentamente e senza pregiudizi le modifiche che la guerra può introdurre nella vita interna dell'URSS, affinché si possa fare un giusto apprezzamento dei loro ritmi."
Ma il 21 agosto del 1940, colpito da quella stessa mano della guerra che seminava da mesi e mesi la morte nelle case dei lavoratori di tutti i paesi, cadeva l'agitatore che da Brest-Litowsk aveva, voce di milioni di operai e contadini, espresso la condanna con la quale il nuovo mondo della rivoluzione giudicava la borghesia, che non potrà più vivere se non a prezzo di periodici massacri. La nuova e più feroce razione aveva colpito giusto: l'antico cospiratore di Odessa, il giovane teorico che nella Vienna espressionista e Freudiana aveva concepito da Marx la teoria della rivoluzione permanente, il presidente del Soviet rivoluzionario del 1905 era stato eliminato. La borghesia internazionale era stata ben vendicata. Ma l'arma dell'assassino non aveva solo atterrato il compagno che aveva lavorato spalla a spalla con Lenin per l'affermazione della Dittatura proletaria, il nemico della burocrazia e dei suoi rappresentanti, L'infaticabile polemista che aveva difeso la dialettica Marxista dal neo-revisionismo degli intellettuali: l'arma dell'assassino aveva soprattutto spezzato il vero "polmone d'acciaio" che alimentava il movimento della Quarta Internazionale, il cui respiro era diventato di anno in anno sempre più faticoso.
In quanto al "socialismo" russo, come ognuno sa, preferì farsi difendere dal capitale "alleato". La teoria della convivenza del socialismo e del capitalismo aveva trovato a Teheran le sue assisi ufficiali e in Churchill e in Roosvelt i più ardenti sostenitori prima che Stalin nel dopoguerra la definisse come una tesi "marxista". Le parole di incitamento che il vecchio rivoluzionario aveva ancora avuto la forza di proferire durante la sua angosciosa agonia non erano un invito a conservare intatto il capitale da lui lasciato se non nel senso di disperderlo e dimenticarlo per riproporlo quotidianamente nella esperienza. Solo in questo modo si poteva mettere a frutto la fedeltà alla memoria di Trozky.
Invece si continuò a coltivare i soliti difetti ereditari. Se in Russia la burocrazia si andava sempre più definendo come una casta, il regime interno permaneva indiscutibilmente socialista. Abusi da parte dello strato dirigente, indubbiamente, ma niente più. Sarebbe interessante se per gli epigoni di Trozky la guerra stessa, con tutto il suo sanguinoso significato di assalto del capitale nei confronti del proletariato, non fu un ben riuscito tiro da parte di alcuni generali in cerca di decorazione. Dopo che il rullo aveva tutto livellato e aveva tutto ridotto ad un unico denominatore, dai fascisti ai democratici, dai conservatori agli stalinisti, ognuno aveva perduto le proprie caratteristiche particolari per acquistare quelle molto più adatte del tradizionale nemico di classe. Lenin a questo proposito aveva definito esattamente qual era il significato intimo della guerra e la natura dei rapporti che essa creava: "la guerra lega tra loro le stesse potenze belligeranti. La guerra lega gli uni agli altri con catene di ferro, i gruppi belligeranti dei capitalisti, i padroni del regime, i padroni di schiavi della schiavitù capitalista". "un grumo di sangue" non ha mai cessato di essere la vita politica del continente. Da Barcellona a Stalingrado a Berlino ieri, da Atene a Praga a Seul oggi. Contro i chiari concetti di Lenin e le sue nude parole, non vale il caotico vortice di tesi e controtesi che quando non sono contraddittorie tra loro rimangono le stesse, con monotonia, per decenni, al di fuori di ogni legame con la realtà.
Perché è precisamente con questo materiale corrotto che si rappresentano i trotzkisti, dopo aver sostenuto, nel corso del conflitto capitalista, un ben debole internazionalismo proletario condizionato al tema ormai classico di difesa dell'URSS, invece di riprendere la dura ma lucida ed esatta parola di Lenin, che la guerra imperialista deve essere trasformata in guerra civile, portando così un valido, anche se non richiesto aiuto a chi, in Spana ed altrove, era riuscito all'opposto a trasformare la rivoluzione proletaria in guerra imperialista.
Posto di fronte ai nuovi problemi che, con la tregua delle armi, la situazione del dopoguerra aveva trascinato con se, abbiamo visto il trotzkismo dibattersi nelle sue ormai troppe contraddizioni per concludere il suo ciclo di errori in un comodo e sereno adattamento alle posizioni del passato. Inoltre bisogna segnalare una novità del tutto negativa: laddove i sofismi di Trotzky non bastavano più ("dalla dialettica al sofisma" rimane pur sempre la strada di ogni revisionismo, da Kautski a Bordiga), là dove bisognava "ripensare" i motivi fondamentali della vita del proletario, i trotzkisti non hanno trovato meglio che arretrare dalle posizioni del "maestro".
Se durante il travaglioso parto della IV Repubblica borghese di Francia, anche la Quarta Internazionale ha presentato i suoi suggerimenti "costruttivi" ma demagogici quale l'ambizione dell'istituto del Presidente della Repubblica, l'abolizione del Senato, il servizio militare retto dai sindacato ed altri, di fronte alle perenni crisi della stessa, non hanno fatto altro che rinfoderare la vecchia storia del fronte unico, ancora più assurda oggi, in una situazione di così aperto conflitto tra riformisti e stalinisti rappresentanti ognuno di un diverso blocco di interessi che non tarderà a scontrarsi sul tragico terreno della guerra. Uno strano ottimismo fa si che i loro occhi si chiudano su tante cose: sempre pronti a rassicurarci sul carattere proletario di una Russia che se è ancora socialista per metà, per l'altra metà non è capitalista, non fanno dipender la lotta tra i due colossi imperialisti dalle vere ragioni economiche. No, "è la Rivoluzione che continua" pure attraverso le armate "operaie e contadine" di Stalin. Né siam ben certi che non correggeranno questo loro vizio d'origine, dopo che lo stesso Stalin a data 1952 ci ha rassicurati su quale genere di socialismo si stia vivendo oggi in URSS. Inoltre hanno restituito una funzione ai partiti stalinisti dei Paesi occidentali. Non ci troviamo più davanti al "flagello dell'URSS e lebbra del movimento del movimento operaio internazionale" (Trotzky), ma a un "riformismo di nuovo tipo". In contraddizione con Trotzky stesso, che aveva appunto creato la Quarta Internazionale perché non c'era più nulla da salvare della Terza e dei partiti da essa dipendenti, recentemente si è sostenuto che "nessuno può discutere oggi ciò che fanno gli stalinisti". Sembra che siano applicati ad offrire "l'altra guancia" all'assalto dell'inganno ideologico dei nemici della rivoluzione, tentando di correggere lo stalinismo dai propri difetti, di salvarlo insomma da sé stesso.
Il trotzkismo oggi non ha più molto da difendere, se si esclude la memoria del "vecchio", e la Russia, ma quella "incondizionatamente". Eppure questa stessa "difesa" soffrì un grave colpo dell'affare jugoslavo. Tito si vide preferire dalla Quarta Internazionale, alla quale non sembrava vero di potersi finalmente inserire nello stalinismo così a buon mercato. Ma a sua volta Tito preferì altre tutele, nonostante gli ammonimenti dei teorici e dei moralisti. Fu durante lo svolgimento di questo affare, che il trotzkismo, entrato direttamente in causa in difesa della controrivoluzione, rivelò clamorosamente di essere uno dei puntelli, e non importa se dei più fradici, di quella concezione e di quella prassi di cui vorrebbe ergersi a censore. E non era, del resto, a prima volta.
Dopo aver saccheggiato il marxismo, l'insegnamento di dieci anni di lotte operaie, e Trotzky stesso, si scoprì in un pericolo più vicino a noi che, dato il "corso centrista di sinistra progressivo" al quale i partiti riformisti e stalinisti erano sottoposti, ci si poteva inserire di nuovo negli stessi per svolgervi un’opera "pedagogica".
Mentre la linea politica del partito russo e dei suoi confratelli non subisce mai delle svolte a "sinistra" o a "destra", ma rimane costantemente la linea politica dell'opportunismo, la direzione trotzkista confuse l'evoluzione nel senso della guerra con un preteso "gauchissement". La quale tesi stupì alquanto la base stessa del movimento. (bisogna ricordare che la Quarta Internazionale è forse il movimento politico nel quale si operano più scissioni. Per dissensi sul problema dell'URSS ne uscii nel dopoguerra la stessa vedova Trotzky.)
Ma dopo che furono appianate le divergenze la proposta passò, e certo fu applicata fino in fondo. I teorici non mancheranno di raccontarci il risultato della nuova esperienza con la stessa esperienza con cui nello stesso tempo che, tirando le somme delle esperienze entriate del passato e mentre si doveva constatare un fallimento, si lasciava aperta una porta alle nuove speranze.
Il tono apparentemente deciso e sicuro delle frasi che seguono, nasconde soprattutto il vuoto e il disagio di una assurda presa di posizione che conosce fin dall'inizio i propri penosi limiti:
"noi entriamo [nei partiti socialisti e stalinisti] per restarci lungamente, basandoci sulla notevolissima possibilità che esiste di vedere questi partiti, posti nelle nuove condizioni, sviluppare tendenze centriste che dirigeranno tutta una tappa della radicalizzazione delle masse e del processo oggettivo rivoluzionario nei loro rispettivi Paesi." e ancora:
"la burocrazia sovietica è ridotta alla lotta finale e decisiva; Il movimento stalinista è in ogni Paese preso tra queste realtà e le reazioni delle masse di fronte alla crisi permanente del capitalismo. In queste condizioni nuove, che la burocrazia sovietica non ha creato volontariamente ma che è obbligata a subire, lo stalinismo fa riapparire delle tendenze centriste che vinceranno sull'opportunismo di desta". Poiché, "ciò che noi sappiamo, ciò che noi dobbiamo sapere è che l'essenziale del partito rivoluzionario di domani uscirà da queste tendenze e che questo si produrrà in ogni modo attraverso una rottura con la burocrazia sovietica. Sotto quale forma esatta noi possiamo ora predire."
Se noi diciamo che sarà attraverso la lotta di classe e sotto la guida dell'organizzazione marxista che il proletariato non mancherà di avere nel momento in cui si verificherà lo scontro decisivo, pensiamo di non cadere nella critica di questi "pratici" ad ogni costo, che vogliono nello stesso tempo che dedicarsi a grandi cose, rifiutarsi ai compiti veri del rivoluzionario e cioè contribuire efficacemente al riarmo della classe, magari fuori dalle organizzazioni di massa, ma nell'esperienza quotidiana sotto l'indirizzo dell'ideologia del partito di Lenin.
Ma al di fuori di ogni pietà, che ci sarà concessa solo "dopo" la Rivoluzione, è rendere un cattivo servizio alla memoria degli operai e degli intellettuali trotzkisti caduti, sostenere che: "per poter reintegrare i sindacati della Confèrèdation Gènèrale du Travail quando se ne è stati esclusi, o per entrare in un organismo sindacale unitario qualsiasi, non si esiterà se necessario a sacrificare de "l'Unite" e della "Veritè", e mettere decisamente in secondo piano la propria qualità di trotzkista se le direzioni burocratiche lo esigono e se noi stessi arriviamo alla conclusione che è questa la condizione per facilitare la nostra integrazione". Le quali parole firmano l'atto di capitolazione di fronte allo stalinismo.
Il trotzkismo, sorto nel periodo di estrema decadenza del capitalismo, rappresenta il tentativo di ridare al proletariato, rimasto allo scoperto dopo la caduta delle speranze dell'anno 1917, l'arma di combattimento per la sua lotta. Tentativo legittimo ma abortito.
Poiché oltre l'equivoco, al di là del giro vorticoso, dove comincia veramente l'arido terreno che battuto oggi da pochi militanti sarà domani di tutta la classe, la Quarta Internazionale ha dimostrato, da sempre, di non sapere andare.
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francesca-fra-70 · 5 years
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LETTERA DAL CROCIFISSO
Ho saputo che mi volete togliere dai muri della scuola.
Se volete farlo, non vi preoccupate, vi capisco. Neanche io mi piaccio ! Infatti. sono orribile a guardare. Io non sono degno di ricevere la vostra attenzione. Come di me ha scritto il profeta Isaia, non ho apparenza né bellezza per attirare i vostri sguardi, non splendore per provare in me diletto. Che esempio potrei infatti dare ai vostri figli? Io sono un fallito e un perdente. Sono stato disprezzato e reietto dagli uomini.
Certo, sono un uomo esperto nel soffrire, uomo dei dolori che ben conosce il patire. Ma tutto questo non vi serve, perché tanto a voi la sofferenza fa ribrezzo e paura e quando arriva fate a gara a chi scappa via per primo. Oppure, nelle situazioni estreme, chiedete aiuto fino anche a resuscitare quel Dio nella quale in fondo non avete mai creduto.
Fate bene a togliermi dalla vostra vista perché io in fondo sono un verme e non uomo. Sono uno davanti al quale ci si copre la faccia, e di cui non si può avere alcuna stima. Io non insegno a vincere ma a perdere. Infatti chi viene dietro a me rischia di grosso: sarà odiato anche lui, perseguitato, cacciato via dalla sua città. Non avrà né case né proprietà, ma forse solo il canto libero della propria autenticità, la trasparenza genuina della propria verità, il terreno puro della sua interiorità.
Io sono un esempio di abbandono totale. Infatti, mi hanno abbandonato tutti e sono rimasto solo. Lo hanno fatto gli amici, tra i quali uno mi ha anche venduto per trenta denari. Anche il Padre mio mi ha per un attimo abbandonato. Anzi, è stato Lui a consegnarmi a voi. Ma io ho avuto il coraggio di trasformare il mio abbandono in occasione di dono, perché vi ho chiamato amici. E si sa per gli amici si è disposti a dare anche la propria vita. Ho trasformato il mio patire in un atto generativo, per darvi vita e ridare bellezza al vostro essere uomo e donna.
E quelli ai quali ho fatto del bene con miracoli e guarigioni, alla fine, durante il processo, si sono rivoltati contro di me, gridando “crocifiggilo !”. Maltrattato, mi sono lasciato umiliare. Ero come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte a dei tosatori impietosi. Non ho aperto mai bocca e nessuno si è mai afflitto per la mia sorte. Nessuno ha avuto pietà di me. Ma io li ho perdonati perché l’uomo e la sua dignità sono molto delle proprie azioni e dei propri errori.
In quel momento ho impersonato tutti i crocifissi della storia; quelli prima di me e quelli che sarebbero venuto dopo di me. Quei crocifissi che io proprio morendo su questo legno maledetto ho cercato di rialzare ma che voi producete con il vostro egoismo.
Quindi vi do ragione. Io sono proprio uno scandalo e un paradosso. Scandalo per alcuni e stoltezza per altri. E lo sono sia per una certa ragione che assolutizza se stessa sia per un certo tipo di fede che trasforma Dio in un dogma. Sono una blasfemia che offende i vostri ragionamenti e i vostri idoli. Sono scomodo e do fastidio.
Perciò fate bene a togliermi dai muri della vostra scuola perché la mia cattedra è molto diversa da quella dei vostri professori. La mia cattedra è pericolosa e corrompe i giovani, perché insegna una verità il cui unico banco di prova è l’amore.
Io non insegno la sapienza ideologica del mondo che tende a trasformare il sapere in potere, il cui fine è sempre quello di dominare e prevaricare. Io insegno la sapienza del cuore, che è spesso sapienza della debolezza che sa scendere dai piedistalli per non lasciare indietro nessuno. Insegno la logica dell’amore di chi ama per primo per generare all’amore anche chi dall’amore non è stato mai amato.
Perciò se volete togliermi dalla vostra vista, non vi preoccupate, non farete nulla di nuovo, visto che già una volta mi avete tolto di mezzo. Non me la prendo, state tranquilli, tanto ci sono abituato. Uno scrittore russo mi ha anche ridefinito come l’Idiota del vostro tempo.
E poi non c’era posto per me quando sono nato, figuratevi ora che sono appeso a questo legno maledetto. Sono abituato ad essere trattato come uno straniero. Infatti, con ingiusta sentenza sono stato condannato innocentemente fuori le mura. Apolide, sradicato, senza un luogo dove posare il capo. Un mendicante.
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ma-pi-ma · 6 years
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E ho imparato che si muore soli ma si vive lune storte, che un cuore spezzato può diventarne due e che fermarsi ad ascoltarsi vuol dire fare grandi passi
e ho imparato che la scuola che insegna è all'uscita di scuola, che l'amore che conta non conta i miei errori i miei orrori i miei guai e i miei non ce la fai
e ho imparato che spesso si impara non imparando dagli altri, che gli sbagli, a volte sono la cosa più giusta da fare e che precipitare può insegnare a diventare il vento
e ho imparato che spesso le soluzioni non sono a fine pagina sono all'inizio, e che fare ed essere vanno sempre d'accordo che a non fare niente si rischia di non essere più niente
e ho imparato che il cinema più bello è guardare le persone negli occhi, che il libro più bello è ascoltare le loro storie e che lasciare il posto agli altri vuol dire mettersi comodi
e ho imparato che a volte superare tutti vuol dire rimanersi accanto.
Gio Evan
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seelvaggia · 6 years
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Io credo fermamente nel destino, ogni scelta giusta o sbagliata che sia ti porta esattamente nel luogo in cui dovevi arrivare.
Ogni persona che entra o esce dalla tua vita ti insegna qualcosa, cambiandoti completamente.
Paradossalmente sono le nostre scelte peggiori a renderci persone migliori, quando abbiamo qualcosa che non riusciamo ad apprezzare, per mancanza di esperienza, non necessariamente per egoismo o per ingratitudine, da un giorno all'altro quel qualcosa viene meno ed li che sta l'essenza della vita; un continuo imparare dagli errori.
Imparare ad apprezzare quello che abbiamo, ogni piccola cosa che un domani ci mancherà se non sapremo apprezzarla.
E ad oggi ho capito che se adesso io sono qui e tu sei lì è perché la vita non è nient'altro che una madre crudele che per farti apprezzare la tua pancia piena, ti toglie per sempre il mangiare dal piatto lasciandoti morire di fame.
E adesso non sai quanto vorrei anche solo un tozzo di pane, a patto di poterlo condividere con te; a noi che non è mai importato nulla di quello che c'era sulla tavola o nel frigo perché contavamo noi e basta. Non contava il tempo perché bastava stare insieme, anche senza parlare.
E se oggi dovessi vivere di soli rimpianti basterebbero per alimentare una vita intera, o forse due. Sono veramente troppi, forse più degli abbracci che ci siamo dati. Ed per questo che conservo con cura i ricordi, per non lasciarmi tentare dall'idea di non aver fatto abbastanza, sperando in cuor mio di averti detto, attraverso tutti i miei silenzi, quanto amore ho provato in questo breve tempo che questa madre crudele ci ha riservato.
E tu lo sai che se un giorno potessi non chiederei l'immortalità o un mare di soldi, ma solo del tempo, qualche momenti in più con te per poterti dire quello che meritavi di sapere.
Solo questo adesso mi tormenta.
Lo sapevi che ti amavo e tutt'ora ti amo con tutto il mio cuore?
Non lo saprò mai.
Portandomi il peso di questo grande punto interrogativo sulle spalle come un tale fece con la sua croce.
E sempre sarà questa la mia croce.
Il mio difetto più grande;
Parlare con i silenzi
Non trovare le parole
E il modo di cacciarle fuori.
Se avessi la certezza che tu mi ascoltassi urlerei al cielo quanto bene ti ho voluto, ma non mi resta che sussurrarlo sperando che tu sia qui, seduto accanto a me.
Buonanotte cuore mio, ti penso.
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alessandrozorco · 2 years
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Stavo aspettando questo momento. La Croce di ferro stamattina aveva un'aria spettrale. Nuvole, pioggia. Un freddo terribile. Lì sopra, a 1500 metri di altezza, ho depositato la pietra che avevo portato da Pamplona. Ai piedi di quella croce, accanto a pietre, fotografie ed ex voto, ho lasciato quello che mi ha oppresso fino ad ora. Errori, sensi di colpa, fallimenti, false illusioni. Ora sulla branda, visto che per me è impossibile addormentarmi alle dieci e mezzo. Sto ascoltando Salento, il brano che amo di più di René Aubry. Accanto a me Isabella guarda il cell e ascolta musica. Simone e Rachele dormono. Abbiamo dato uno sguardo al castello di Ponferrada prima di andare a dormire. A cena abbiamo mangiato paccheri conditi con un sugo di pomodori freschi cucinato dal solito Matteo. Insieme a noi anche Thady che ha offerto i gelati. Siccome abbiamo fatto tanta pasta, ne abbiamo offerto a Gerome e Antoine e alle due ragazze a cui abbiamo fregato il posto per l'asciugatrice. Non so, sarà la pietra lasciata alla croce, ma sento che il mio cuore è più leggero. Con Isa è stata simpatia a prima vista, parliamo molto di noi, della vita, del futuro. Ha un bel sorriso e degli occhi bellissimi. Non so cosa mi riserverà domani, ma vorrei che portasse dei cambiamenti importanti nella mia vita. Spero nei prossimi giorni di rivedere gli altri amici. Livio e Serena stanno andando velocissimi, gli altri sono indietro di almeno una sessantina di chilometri. Ma anche se ognuno ha il suo passo ci troveremo tutti a Santiago. Il Cammino decide. Il Cammino insegna. Il Cammino fa innamorare, come mi diceva Francesca. Insegna a condividere e ad amare. Ma anche a lasciare andare le cose come devono andare. Così come nella vita, non si può controllare e programmare tutto. Bisogna accettare gli imprevisti. Perché è proprio dagli imprevisti che nascono le cose belle della vita. E allora, come è accaduto stamattina, dopo una lunga salita tra le nuvole, il freddo autunnale e la pioggia battente, il paesaggio si apre improvvisamente. E vedi la Galizia in tutta la sua bellezza.
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carmenvicinanza · 3 years
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Bernardine Evaristo e l’attivismo letterario
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Mi sono avvicinata al femminismo negli anni Ottanta: era una contro-cultura allora, eravamo ferventi e non saremmo mai state avvicinate dai brand come succede oggi alle giovani femministe, che firmano partnership con case di moda e aziende. Avevamo una grande integrità ma, allo stesso tempo, era un movimento molto di nicchia, che non riceveva nessuno supporto dai media, anzi eravamo ridicolizzate dall’opinione pubblica. La parola ‘femminista’ era un insulto. Ora, dal metoo in poi, il femminismo è diventato di moda e questo non è un male, se serve a far circolare il messaggio che la società deve diventare più inclusiva.
Bernardine Evaristo è una scrittrice e accademica britannica di origine nigeriana. Attivista per i diritti umani, femminista intersezionale, è stata la prima donna nera a vincere il Man Booker Prize.
Pratica l’attivismo letterario, che apre la scrittura al diverso, all’inascoltato, includendo nel discorso tutte le alternative possibili.
È nata a Londra il 29 maggio 1959 da padre nigeriano e madre inglese.
Dopo il diploma si è unita al Greenwich Young People’s Theatre e ha frequentato il Rose Bruford College of Speech and Drama conseguendo un dottorato in scrittura creativa al Goldsmiths College.
Dopo l’esordio nel 1994 con la raccolta di liriche Island of Abraham, ha pubblicato diversi romanzi e racconti scritti in maniera sperimentale che mescolano prosa, poesia, teatro e critica letteraria.
Fa parte della Royal Society of Literature, della Royal Society of Arts e dell’Ordine dell’Impero Britannico, nel 2019 ha ottenuto il Booker Prize con Girl, Woman, Other ex-aequo con Margaret Atwood.
Ha insegnato al Barnard College, alla Columbia University di New York, alla University of the Western Cape di Città del Capo e la University of East Anglia. Attualmente insegna scrittura creativa alla Brunel University di Londra.
Autrice di vari testi teatrali e otto romanzi, in italiano sono stati pubblicati Mr. Loverman, Dove finisce il mondo e Ragazza, donna, altro, un’opera politica dagli infiniti punti d’accesso.
Il desiderio di scrivere queste storie nasce dal mio percorso di attivista e dalla carenza, nella letteratura britannica, si storie non stereotipate sulle donne nere.
Vi descrive dodici donne di origini miste e provenienza diversa, appartenenti a classi e generazioni contrapposte, di differenti identità e orientamenti sessuali, le cui storie si intrecciano, reinterpretando all’infinito il concetto di intersezionalità. Ambientato a Londra, città in cui convivono multiculturalità e conservatorismo: una città trasfigurata dalle mutazioni e dalle lotte degli ultimi decenni, oggi in preda agli effetti del cambiamento climatico, della globalizzazione, della gentrificazione e della post-Brexit.
Un’odissea femminile in cui i punti di vista si moltiplicano e espandono dando vita a un numero sconfinato di temi. Ragazza, donna, altro è un’operazione letteraria piuttosto inedita. Affronta una vastità di argomenti fondamentali che approfondiscono sfumature e contraddizioni della società moderna scegliendo di mantenere come punto di vista lo sguardo delle donne, in particolare donne nere.
In un’infaticabile rappresentazione del corpo femminile, che lungi dal voler essere letteraria,  narra e esplora tante fisicità differenti. Una rivendicazione dell’esistenza del corpo, dei suoi cambiamenti e delle sue varietà che schiude la possibilità di parlare di sesso e sessualità.
Attraverso l’osservazione empatica e naturale del corpo e delle sue pulsioni, dei suoi mutamenti e delle sue mancanze (o dei suoi errori, quando il sesso ricevuto alla nascita non corrisponde a quello percepito da un personaggio), Bernardine Evaristo illumina queste donne a partire dalla loro essenza più profonda, normalizza i loro desideri anche quando questi sfiorano l’indecenza o l’illegalità, rinnega ogni forma di perfezione.
Pur parlando soprattutto di donne, ci sono anche tantissimi uomini, tratteggiati con la stessa meticolosa attenzione e onestà. Una descrizione che mira a sovvertire i rapporti di forza e suggerire un rapporto di parità, rivitalizzando il concetto di inclusione.
Le donne della sua narrazione esistono e rivendicano la loro presenza/essenza lasciando che la scrittura frughi nei loro pensieri e intimità, sono rese visibili, esistono e prendono la parola. La convenzionalità viene fatta a pezzi, distrutta e ridiscussa di continuo.
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welcometodrkprds · 5 years
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Nel 1969 l’uomo è andato sulla Luna, Armstrong no? Il primo uomo sulla Luna. E tutti ti hanno detto “l’anniversario”, “l’uomo sulla Luna”, “Armstrong”. Non ti raccontano, che in realtà, prima di Armstrong ci sono state tantissime altre missioni, che dovevano andare sulla Luna e non ce l’hanno fatta, per errori, per tantissime cause. La missione Apollo 1 era una missione in cui erano previsti 3 astronauti, erano già pronti, si chiamavano Grissom, Chaffee e White. Erano 3 astronauti di cui nessuno conosce i nomi, perchè? Perchè sulla Luna dovevano andarci e non ci sono mai arrivati. Perchè? Perchè un giorno li hanno messi dentro il missile, li hanno detto “oggi facciamo una prova, una prova sciocca eh, una prova di servizio”. Li hanno messi dentro, tutti con la muta, hanno chiuso tutto, ma ad un certo punto, mentre facevano questa prova, è scoppiato un incendio. Un piccolo incendio, piccolo, minuscolo, veramente una sciocchezza, una scintilla, era possibile spegnere questo incendio con niente, sai prendi l’estintore ed è un attimo, no? Ma un attimo. E allora perchè questi tre sono morti carbonizzati? Sono morti carbonizzati per una ragione, che a me ha detto tanto. Sono morti carbonizzati perchè dovendo andare sulla Luna, dovendo essere quel missile, il missile che li portava sulla Luna, l’essere umano si era posto semplicemente una domanda: quando io li mando nell’infinito vuoto, li mando nel buio, li mando in uno spazio in cui nessuno è mai andato, l’insidia, il pericolo, il rischio, il male, da dove gli può arrivare? Da dentro o da fuori? Sicuramente da fuori. Perchè fuori c’è l’ignoto, fuori c’è il vuoto, c’è ciò dove non siamo mai andati, quindi è da fuori. E questa è la ragione per cui quei missili non avevano nessuna maniglia per aprire dal di fuori, perchè dal di fuori può arrivare soltanto il male. E non potendo aprirgli da fuori, quelli sono morti carbonizzati dentro. A partire da quella missione, tutti i razzi hanno avuto la maniglia anche fuori, perchè talvolta il male viene da dentro.
[...]
Il male ti verrà da dentro. E paradossalmente, ciò che è più facile, fra me e te, ciò che è più idiota, se vogliamo, più banale pensare, è che siano gli altri a farti male. Molto comodo. È molto comodo buttare la colpa sugli altri, è il modo più veloce, ed è il modo più furbo di togliersi la responsabilità. “Il male viene dagli altri”.
Hoden ti insegna che se c’è un bilancio che lui fa alla fine del libro, o meglio il bilancio che intuiamo, è questo: forse deve partire da me, non posso aspettare che venga sempre da fuori. Forse certe volte, Giulia, il male ti verrà da dentro.
— Stefano Massini
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purpleavenuecupcake · 5 years
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Europa: "ora o mai più". Il messaggio lanciato nel libro del generale Pasquale Preziosa e Dario Velo
Massimiliano Cannata su Eurispes.it ha fatto una bellissima recensione sul libro; "La difesa dell'Europa", di Pasquale Preziosa e Dario Velo. Oggi più che mai abbiamo bisogno di Europa, abbiamo bisogno di credere e perseguire azioni concrete per trovare una  vera e credibile identità europea, una identità che, alla luce degli ultimi avvenimenti  in Medio Oriente - Libia, Siria, Iraq - è richiesta anche da tutti i maggiori attori internazionali dal momento che gli Stati Uniti non sono più considerati un interlocutore affidabile per via dell'altalenante politica estera di Trump.
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Per invertire la rotta occorre che l’Europa recuperi in fretta un’iniziativa politica forte e un’identità perduta, questo il messaggio che arriva dall’interessante saggio La difesa dell’Europa (ed. Cacucci, 2019) di Pasquale Preziosa e Dario Velo, massimi esperti di geopolitica e sicurezza internazionale. Preziosa insegna presso l’Università Niccolò Cusano di Roma, dopo essere stato Capo di Stato Maggiore dell’Aereonautica, e aver guidato importanti missioni strategiche in molti teatri di guerra; Velo ha svolto un importante ruolo nel processo di integrazione europea, collaborando con Jean Monnet, Robert Triffin, Altiero Spinelli; svolge un’importante attività pubblicistica e di docenza in diversi prestigiosi atenei.
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«Il nostro studio – ci tiene a precisare Dario Velo – ha inaspettatamente anticipato gli esiti del recente Consiglio Europeo dello scorso 12 dicembre, che su proposta della Merkel e Macron ha messo in agenda una Conferenza intergovernativa proprio sul futuro dell’Europa. Oltre ai temi legati all’immigrazione, al clima, alla crescita economica che va riavviata, la difesa sarà una delle grandi questioni da affrontare e risolvere, a partire dal ruolo che l’eurozona dovrà svolgere nelle aree calde del mondo, dal Medio Oriente al Nord Africa». Il punto nodale, che fa anche da fil rouge della trattazione, va individuato nella necessità di riprendere e attualizzare il grande “sogno europeo” dei padri fondatori.
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«Non scordiamoci – commenta Preziosa – che l’Europa era nata quasi per un “obbligo” imposto dagli USA dopo il grande incendio del secondo conflitto mondiale, che aveva causato milioni di morti. Era emersa chiaramente, già allora, l’esigenza che le diverse nazioni ritrovassero uno spazio di dialogo, per evitare che si potesse ripetere una pagina così terribile della storia. Senza un continuo confronto con il passato, e un adeguato esercizio della memoria, non sarà possibile ridare slancio al vecchio Continente evitando di commettere gli stessi errori del passato». Il saggio ripercorre alcuni passaggi storici importanti che hanno portato alla nascita della CECA, al fallimento della Comunità Europa di Difesa. Gli autori analizzano con lucidità il lungo lavorio che ha portato alla creazione dell’Ue. «L’Europa ha alimentato nel suo organismo, il cancro del nazifascismo. Questo vuol dire che le democrazie non sono immuni da errori, soprattutto quando non sono vive e quando tendono a mortificare il principio di partecipazione e di ascolto delle minoranze, finendo con lo smarrire il perseguimento del bene comune. Per non ritrovarsi ancora sull’orlo del baratro bisogna elaborare una strategia di difesa europea adeguata. Non si tratta di armare gli stati – prosegue l’analisi dello studioso – piuttosto di costruire un equilibrio e un bilanciamento sostenibile tra le nuove potenze che operano nello scenario internazionale, impegnandosi concretamente nel mantenimento e nel rafforzamento della pace». Esiste una “domanda di Europa” espressa da molte nazioni che hanno bisogno di un interlocutore affidabile per reggere le spinte egemoniche esercitate dei nuovi “padroni” del mondo. La Cina è cresciuta a dismisura, la Russia guarda con attenzione sempre maggiore a quello che avviene oltre confine; il risultato è che gli USA non hanno più la capacità di essere arbitri esclusivi dei destini del mondo. La dichiarazione di Putin nel corso di un recente vertice, sull’importanza strategica dell’ipersonico, è la dimostrazione che ormai vecchi schemi e sistemi di deterrenza non tengono alla prova dell’innovazione. Si è innescata una corsa verso il nuovo che nessuno conosce. Con la nuova tecnologia dell’ipersonico disponibile, lo spazio è divenuto un dominio militare che modificherà strategie, interventi, e investimenti. In questa prospettiva la vecchia Europa non può rinunciare a ridefinire un suo ruolo che possa garantire sicurezza in un contesto così “liquido” e in continuo divenire. La “fine dei territori”, per usare una celebre definizione del politologo francese Betrand Badie, con il conseguente declino del “Leviatano” e delle logiche hobbesiane, impone un diverso paradigma della sovranità e della sicurezza, tutto da ripensare con realismo critico, al di là del velo di maya delle ideologie e degli “ismi” che hanno armato gli stati nel Novecento. Attenzione però: il progetto di una nuova presenza attiva dell’Europa in un quadro geopolitico mutato sostenuto nel saggio, tiene conto che l’Ue è troppo giovane per possedere il know-how e gli strumenti militari della NATO. Gli autori sono consapevoli di questa debolezza: «Nessun tentativo – precisano – di creare una seconda NATO; si tratta di costruire un pilastro all’interno della struttura già esistente che risponda alla complessità delle esigenze di cui sono portatori i diversi governi europei. In questo tentativo il rischio da scongiurare è quello delle fughe in avanti: la costruzione di un esercito europeo è ancora di là da venire, serviranno passaggi ulteriori e una capacità di governance coerente rispetto alle trasformazioni in atto, soprattutto da parte di classi dirigenti continentali, non ancora preparate ad affrontare le esigenze del nuovo scenario mondiale». Fare il passo più lungo della gamba vorrebbe dire suscitare pericolose spinte reazionarie, già verificatesi in passato, spinte che in un momento di crisi come quello che stiamo attraversando, si tradurrebbero in una voglia di chiusura delle frontiere e in un rigurgito di autoritarismo, la cui deriva sarebbe difficile da prevedere. Altro aspetto da non trascurare, che pesa come un macigno sulle scelte politiche, è rappresentato dalle difficoltà di bilancio. L’esplosione dei debiti sovrani hanno indebolito gli stati; le risorse drenabili per un progetto di difesa sono perciò da recuperare solo in sede europea. Su questo bisognerebbe seguire l’esempio degli USA, che pur avendo in pochi anni raddoppiato il loro debito, continuano a dedicare somme ingenti agli investimenti nella difesa. L’impegno nella difesa vuol dire impegno nella ricerca e nell’innovazione. La tecnologia è infatti per definizione neutra, la possibilità di applicarla e di spalmarla su una vasta gamma di prodotti, fa poi la differenza. La Cina ha saputo imitare e applicare il modello americano, L’Europa per recuperare capacità di innovazione e competitività nei mercati globali dovrà riprendere un’iniziativa concertata se non vuole rassegnarsi a un declino facilmente prevedibile. «Siamo indietro non solo nella ricerca sull’ipersonico – commenta Preziosa – ma anche sul fronte della cyber security, settori considerati ormai strategici, mentre si sta affermando la quarta rivoluzione industriale, che ha un’anima digitale e che sta cambiando i modi di concepire e organizzare il lavoro di miliardi di persone in tutto il pianeta». Non disperiamoci, la possibilità per riprendere i “sentieri interrotti” tracciati dai fondatori si intravede, a dispetto delle tante criticità del tempo presente. I paesi dell’Est iniziano, infatti, a considerare l’Ue un valido partner per la costruzione di nuovi equilibri, in un momento storico in cui stiamo finalmente comprendendo come la sicurezza sia un concetto olistico, che oggi ingloba aspetti economico-finanziari, oltre a implicare questioni filosofiche, psicologiche ed esistenziali di più vasta portata. I pericoli sulla strada del futuro non mancano di certo a cominciare dallo scouting tecnologico che molti paesi stanno facendo sottraendo cervelli e competenze alla vecchia Europa, che continua a pagare: l’Italia detiene un triste primato in questo argomento, l’emorragia di una fuga di intelligenze, difficile da tamponare. «I padri fondatori hanno fatto molto per noi – conclude Velo – è il momento di dimostrare che abbiamo capito la lezione, riaffermando i valori dell’Europa, che storicamente si sono tradotti nell’attuazione di un’economia sociale di mercato, che si sta diffondendo anche negli USA e in America Latina come contraltare del neocapitalismo, nel rispetto delle libertà e della diversità plurale, nella pratica della sussidiarietà quale principio ispiratore dell’organizzazione dello stato».   Read the full article
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paoloxl · 6 years
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6 gennaio 1925: inizia con la rimozione di Leon Trotsky dall'incarico ministeriale la serie di provvedimenti presi dal governo stalinista nei confronti del politico, che culminerà con il 17 gennaio 1929, quando egli viene esiliato insieme ad alcuni compagni del soviet di Pietrogrado ad Alma Ata. Così inizia la lunga diaspora che condurrà Trotsky fino alla morte in Messico il 20 agosto del 1940 assassinato da un agente stalinista in incognito. La vicenda di Trotsky è dal punto di vista autonomo molto interessante per una serie di aspetti e innanzitutto perché sancisce il fallimento di un certo tipo di socialismo reale e delle sue strutture politiche e sociali. Molti sono gli interessanti spunti che lasciò a chi attraversa in un'ottica marxista i movimenti, ma molti furono anche gli errori di valutazione che pesarono profondamente sia sul destino della rivoluzione russa, sia sui partiti comunisti istituzionali che staccandosi dalla sfera d'orbita sovietica aderirono a questo modo di intendere la lotta di classe. Come sempre sta a noi dare una lettura critica e attualizzata, in rapporto con le dinamiche storico-sociali che attraversiamo di alcune linee di tendenza intuite da Trotsky. Interessanti sono ad esempio gli approfondimenti sulla teoria della Rivoluzione permanente, molto meno le pratiche dell'entrismo nei partiti socialisti.
Trotsky insieme a Lenin leader della rivoluzione russa è stato molto presto visto dai burocrati del socialismo reale, oppressivo e mortificante come un pericolo, un pericolo capace di scatenare le contraddizioni palesi che attraversavano la teoria del "socialismo in un paese solo" e del capitalismo statale di cui era intrisa la ormai tradita rivoluzione bolscevica. Una paura che era lo stesso volto dei padroni dei paesi attraversati dalle lotte operaie e del proletariato.
Dal punto di vista autonomo e antagonista Trotsky ci insegna che una rivoluzione è sempre perfettibile e che le contraddizioni insite allo sfruttamento capitalista non sono conciliabili con il socialismo e con le sue espressioni. Ci insegna anche con i suoi errori che tentare di cambiare dall'interno una forma partito di stampo terzointernazionalista che è a sua volta rappresentazione del potere istituzionale e borghese è impossibile. Anzi anche questa va distrutta e delegittimata.
Presentiamo ora un documento di Danilo Montaldi su Lev Trotsky. 
CURVA DISCENDENTE:
TROTZKY, TROTZKISMO, TROTZKISTI Negli anni 1926-'28 il movimento operaio internazionale subisce una crisi i cui caratteri si presentano in una forma del tutto nuova. Non è più una crisi legata ad una battaglia perduta e sanguinosamente repressa, quale era stata la Comune di Parigi, non è più il fallimento della rivoluzione come nel 1905 in Russia, esperienze l'una e l'altra che serviranno di base alla ripresa politica del proletariato. Questa volta si tratta di qualche cosa di infinitamente più tragico in quanto è proprio questo stesso patrimonio, l'unico, se si eccettuano le ereditarie catene, che viene saccheggiato e manomesso precisamente da che usurpava in quegli anni la rappresentanza dell'avanguardia nel Paese che per primo aveva ceduto all'assalto vittorioso della Rivoluzione.
Le ragioni dell'arretramento politico degli operai vanno ricercate nell'impossibilità di mantenere il controllo in una situazione che si va sempre più evolvendo, tanto in Russia che nel resto del mondo, a svantaggio della classe nel suo complesso.
L'affermazione dell' "Opposizione di Sinistra" è legata strettamente all'evoluzione della lotta di classe in Russia che si esprime ancora in quegli anni in termini di contrasti ideologici prima di scendere sul terreno della lotta politica aperta fino all'eliminazione fisica di chi non aveva saputo rinunciare, in un modo non formale, alla tradizione e alle lezioni dell'Ottobre 1917. Il nuovo corso dell'economia sovietica, vale a dire il consolidamento della NEP e i primi piani di industrializzazione che in queste condizioni non porteranno ad altro che alla nascita di un capitalismo statale ed allo sfruttamento sempre più vasto del proletariato, induceva gli strati dirigenti della politica russa a forgiare nuove teorie e nuove tattiche che, coerenti con l'impegno della "Difesa dell'URSS", sono in netto contrasto con gli interessi della Rivoluzione mondiale. Di conseguenza i movimenti dissidenti dell'Internazionale si vanno sempre più intensificando. Sotto l'incalzare degli avvenimenti le coscienze individuali, i gruppi d'avanguardia sono costretti a definire la loro condotta, a cercare una loro giustificazione, e con questo stesso a proporre la validità della loro particolare esperienza sul piano più vasto della lotta del proletariato.
Lev Trotzky pur dibattendosi tra le infinite difficoltà che il ritorno alla vita d'esilio gli imponeva di superare, seppe improntare il movimento d'opposizione della sua personalità di vecchio combattente delle lotte sociali.
Da quando il ministro zarista Miljukov lo aveva usato con disprezzo per la prima volta, il termine "trotzkismo" aveva fatto molta strada, ma solo ora si presentava come una tendenza che si andrà sempre più definendo nel senso del movimento operaio. La Rivoluzione, immensa divoratrice di esperienze e di uomini non dovrà tardare molto a sottoporne all'esame delle situazioni la consistenza e la necessità. In questa fase il proletariato si presenta sotto la guida di una direzione che ha ormai smarrito il senso di una lotta di classe e di conseguenza fin dall'inizio è votato a sicura sconfitta.
gli avvenimenti cinesi non sono che il prologo sanguinoso di una lunga serie di disfatte. Lo slancio rivoluzionario delle masse viene soffocato dal mostruoso sviluppo di un capitalismo in crescita, i cui rappresentanti costituiscono la direzione del movimento.
La crisi apertasi nel senso del capitalismo nel 1917 stava per concludersi ancora una volta a svantaggio della classe oppressa: il mondo operaio europeo viveva gli ultimi fremiti operai in Germania dove, strada per strada si sparavano gli ultimi colpi disperati di tre lustri di lotte civili iniziate vittoriosamente a Kronstadt sotto la guida del partito bolscevico. Se la borghesia tedesca aveva represso nel 1919 Spartacus , il cui sangue sigilla i documenti costitutivi della Terza Internazionale, non aveva pertanto saputo li berrai altrettanto facilmente delle intime contraddizioni che tessevano il suo contenuto di classe, anche se in quegli anni stava finalmente generando "l'atteso rimedio" che non tarderà, quando si sfogherà nella violenza del suo terrorismo, ad essere benedetto non solo dagli strati più reazionari della popolazione, ma da tutti coloro che avevano ancora qualche superstizione da salvaguardare nella generale catastrofe dei sedicenti "valori tradizionali". La Germania della disfatta militare ed economico sfogava l'avvilimento in cui si concretizzava la sua vita quotidiana nell'istinto di conservazione, e si vennero a creare la premesse per la distruzione sistematica di tutte le istituzione del proletariato: a questo infatti si riduce la funzione essenziale del fascismo.
Fu l'assalto più brutale e completo nei confronti della classe operaia. Fu Hitler.
Di fronte ad una socialdemocrazia che si vedeva derubare del suo capitale eletto - la media borghesia -, e che non solo sui era già infinite volte rivelata incapace di guidare il proletariato nella lotta ma che sperava in una "pacificazione del popolo tedesco" puntando tutto su questa parola d'ordine lanciata alla sua giusta ora da quegli strati dell'opinione pubblica che si nutrono al contrario delle profonde divisioni scociali come un ultimo tranello nel momento in cui lo scontro si stava preparando più sanguinoso, lo stalinismo trova il bel tempo di forgiare la teoria del "socialfascismo", il più aberrante bubbone cresciuto sulla ideologia marxista.
"Il fascismo è l'organizzazione di lotta della borghesia che si appoggia sull'aiuto attivo della socialdemocrazia. La socialdemocrazia è oggettivamente l'ala moderata del fascismo" aveva detto l'antidialettico Stalin aggiungendo che " il fascismo e la socialdemocrazia non sono nemici, ma gemelli". Thälmann, allievo di tale maestro, ne applicò gli insegnamenti al punto che ripudiava la massa industriale tedesca, che dal tempo delle prime lotte sociali aveva sempre costituito la speranza del marxismo, e che come entità fisica rimaneva perlopiù inquadrata nei sindacati riformisti, creò a parte un sindacato di disoccupati che come tutti sanno non potranno mai costituire l'avanguardia del proletariato poiché nelle condizioni in cui si trovano sono assai vicini sentimentalmente alla classe avversa di cui subiscono più direttamente l'assalto.
La tattica disastrosa dell'Internazionale ha a sua scusante il fatto che gli interessi proletari e il proletariato stesso diventavano sempre più estranei alla politica dei dirigenti burocrati, i quali, date le nuove strutture economiche che si andavano a creare in Russia, erano costretti a portare altrove la lotta, ai fini della loro stabile affermazione. Le contraddizioni tattiche dell'Internazionale provengono tutte da questa origine.
Non vogliamo tornare a ripetere la storia ben nota dei fatti tedeschi dal 1928 al 1932, ma vedere unicamente in che modo il trotzkismo non seppe opporsi allo smarrimento in cui caddero i militanti e la classe e richiamere gli uni e l'altra ai loro compiti essenziali nei quali si raccoglie il senso stesso della loro esistenza fisica. Abbiamo detto "trotzkismo" appositamente perché sarà proprio in questa situazione che, sotto i colpi di maglio della lotta di classe, si andrà forgiando il movimento che diverrà la Quzrta Internazionale. Ed è proprio qui che subisce la prova generale che ormai lunghi anni di vita gli impongono. Una prova fallita
Il Partito Comunista Tedesco non aveva saputo cogliere il momento di contraddizione, di divisione nel campo della borghesia, non aveva saputo metterlo a frutto al fine di mobilitare il proletariato, tutto il proletariato e lanciarlo alla conquista del potere.
Ben presto questa occasione mancata tornerà a totale vantaggio della borghesia che saprà riunirsi in vista della vittoria, eliminando dalla vita nazionale quelle forze che, se l'avevano rappresentata fino a ieri, sono oggi superate dai tempi. Così come ieri in Italia la socialdemocrazia viene messa in condizioni del tutto nuove e deve difendersi: deve abbandonare il terreno delle lotte parlamentari sotto la pressione della reazione incombente, ed è costretta a dover subire giorno dopo giorno l'offesa di chi non riconosce più diritti agli avversari politici.
Non era buona ragione per sollecitare un fronte unico con quei partiti che se non erano stati la causa principale della nascita del fascismo, pure non avevano nemmeno tentato di opporglisi nettamente come la situazione richiedeva.
Invece Trozky seguirà proprio questa sfida rifacendosi a quanto era accaduto in Russia nell'agosto 1917 al tempo di Kornilov, contro il quale Lenin sostenne un fronte dei partiti socialisti. Precedente che non era possibile riesumare per varie ragioni. Al giornale dei comunisti di sinistra "Rote Kämpfer" il quale ricordava che Kornilov rappresentava forze completamente diverse da quelle che si fanno sostenitrici di Hitler, Trozky non sa rispondere altro che con l'ironia. E sfoggiando la sua arte di polemista continua a sostenere una tesi che se rappresenta un tentativo di di comprendere le situazioni secondo un "metodo", che era stato ripudiato dai teorici dello stalinismo, non riuscirà meno dannoso, appunto perché il marxismo è usato come metodo e non dialetticamente, ai fini della questione maggiore che era messa in gioco: la Rivoluzione.
Vero è che Hitler giunto al potere eliminò ben presto il "kornovilismo tedesco" delle associazioni dei generali monarchici, che anch'esso era "rimasto indietro" con i tempi, e quindi era nocivo alla politica del nazismo. E non fu una eliminazione pacifica. Naturalmente Trozky non giunse mai a sostenere una identità di scopi nell'azione comune del fronte unico. Ma "marciare separati e battere insieme" significa rimanere sonni al momento opportuno. Bisognava dunque premunirsi nei confronti di questo pericol, dato che la funzione della socialdemocrazia nell'azopne diretta si esaurisce ben presto: l'esperienza italiana insegni. Di fronte al fascismo che ha preventivamente battuto la socialdemocrazia sullo suo stesso terreno soffiandole la piccola borghesia per rilanciarla arrabbiata e delusa contro le organizzazioni del proletariato, massa di manovra ispirata dai grandi affari, solo il partito di classe aveva dimostrato di saper portare la lotta per l'emancipazione dei lavoratori fino alle sue naturali conseguenze. Dopo il fallimento del fronte unico in Germania nell'aprile del 1922 alla conferenza di Berlino, fallimento che fu sancito dalla "Pravda", e dopo l'insegnamento della lotta in Italia, non era necessario rifare a ritroso le esperienze già scontate, ma passare, nella misura in cui era possibile, al riarmo della classe e all'offensiva sul fronte borghese. Il Partito Comunista d'Italia era stato il primo a dover subire l'attacco fascista, era stato il primo a dover tentare il fronte unico con quelle forze "socialiste" che a un certo momento ifirmeranno con il patto di pacificazione il prorpio suicidio, ma è rimasto anche il solo ad esprimere nelle Tesi di Roma l'insegnamento che aveva saputo trarre dalla amara situazione oggettiva. Se per il Partito Comunista d'Italia il fronte unico comportava soprattutto azione comune di tutte le categorie organizzatenei sindacati, non significa che nella formulazione delle tesi che sostenevano questa posizione vi fosse un particolare "vizio" sindacalista, ma che era stato impossibile raggiungere le premesse per il fronte unico sul terreno politico con quelle forze dalle quali il giovane partito si era salvato a tempo. Ora, l'avanguardia militante si riprometteva, secondo l'insegnamento di Lenin, di saper trasformare la lotta sindacale in lotta politica cje ne è in fondo il suo naturale sviluppo. Staccatosi dal "glorosio" Partito socializza proprio nel 1921 mentre la battagli si andava facendo sempre più dubbiosa ("l'unità sta nella scissione", aveva proclamato il vecchio Maffi a chi col ricatto dell'unità del partito voleva evitare che si concretizzasse lo slancio del proletariato rivoluzionario) il Partito comunista non poteva, così come suggeriva Zinov'ev, solidarizzarsi con la compromessa socialdemocrazia: ascrivere il valore dell'atteggiamento scelto in nome di qualcosa che non fosse la Dittatura del proletariato significava arretrare e convalidare la sconfitta sul terreno ideologico prima, su quello pratico di conseguenza. . Dopo Lenin, l'organizzazione del marxismo non può dividere la sua strada con nessuno, questa era stata la lezione che il proletariato italiano aveva creduto trarre dall'Ottobre russo dove la Rivoluzione si era compiuta nonostante i partiti socialisti. Naturalmente si passò oltre le evidenze. Nessuno volle esaminare oggettivamente quella situazione: si parlò ancora una volta di "ultrasinistrismo" e di "malattia infantile". Ai metallurgici di Torino precipitati negli altoforni, ai contadini della Valle Padana uccisi nei luoghi stessi del loro lavoro, si aggiungeranno ora anche gli operai martirizzati di Essen e di Amburgo. L'avanguardia proletaria del Partito Comunista Tedesco dovrà arretrare colpo per colpo mentre il "fronte" dei disoccupati nel quale la politica dei dirigenti ha voluto isolarla, si sfascerà con la stessa inerzia con la quale si era formato. Slo qua e là gruppo di rivoluzionari raccolti attorno a qualche giornale sanno mettere a frutto queste esperienze negative per la futura nascita del movimento del lavoro. 
Le polemiche tra il trozkismo e il partito ufficiale sono estremamente interessanti.
Si tentava di sapere se il regime "democratico" era già fascismo, e se il fascismo, quello vero, avrebbe mai trionfato. Rispondeva la "Rote Fanhe", organo del Partito Comunista Tedesco, che l'anno 1930 segnava il punto limite dell'ascesa del nazismo, da quel momento "logicamente" iniziava la sua decadenza. La socialdemocrazia era il nemico vero, quello che bisognava abbattere. Gli strateghi stalinisti come ieri avevano incolonnato il proletariato a votare nel referendum di Hitler, il quale in questo modo spingeva i suoi tentacoli fin dentro le organizzazioni operaie, puntavano ora tutte tutte le loro artiglierie polemiche nei confronti del Partito socialdemocratico, ma incapaci pertanto di porre un'azione di massa con un sindacato di disoccupati finivano per esaurire le loro scarse cartucce in un gioco sterile di fuochi d'artificio. Il trozkismo era molto più sensibile al pericolo imminente. Ma smarrito il filo che lega una battaglia ad una battaglia,Trozky non seppe esprimere il reale indirizzo della politica di classe nella parola d'ordine di "Dittatura del proletariato". Caduto nel possibilismo, Trozky andava reclamando la formazione di un governo composto dal Partito comunista socialdemocratico, Sozialistiche Arbeiter Partei e i sindacati, aggiungendo in nome, ahimè, dell'unità del partito che venisse reintegrata l'Opposizione di Sinistra nell'organizzazione ufficiale.
La "rivoluzione" di Hitler si compie senza che venga infranto nessuno dei sacrosanti articoli della Costituzione, ma, ed è ancor più doloroso, si compie soprattutto sulle macerie dell'Internazionale di Lenin, mentre Trozky aveva contribuito a sconvolgere l'ideologia marxista nel momento in cui era più necessario salvarla dalla cancrena che l'andava invadendo.
Negli anni successivi, la situazione stessa impone a Trozky di mettere a fuoco i problemi del momento, di "provare" quale fosse la sua capacità di penetrazione nelle vitali questioni della rivoluzione. E qui dobbiamo constatare un nuovo fallimento.
Già pregiudicato da una falsa partenza il trozkismo vivacchiò più o meno male, nel periodo tra le die guerre in ragione dell'incapacità di sviluppare dai princìpi marxisti un programma. E "crisi di programma" significa sempre mancanza di approfondimento dei compiti dell'avanguardia in un periodo storico.
Riguardo al regime interno del?URSS, Trozky ha sempre insistito sulla questione di abusi personali da parte della burocrazia giustificando la restaurazioni dei privilegi e delle sovrastrutture decadute col sofisma di un carattere "borghese" della ripartizione del prodotto sociale opposto al carattere "socialista" dei rapporti produttivi, dimenticando con questo quanto aveva sostenuto Marx, per il quale il metodo di ripartizione del prodotto è assolutamente inseparabile dal suo modo di produzione. Secondo Trozky, la burocrazia non ci sa offrire tra garanzia di quanto afferma se non citandoci il fatto che la proprietà dei mezzi di produzione è nazionalizzata, dimenticando questa volta che per Lenin era insufficiente che una economia fosse pianificata perché la si potesse considerare socialista. Un'altra "garanzia" la riscontrava nel fatto che la direzione politica dell'URSS era pur sempre rimasta la stessa, non essendo avvenuta nessuna presa del potere da parte della borghesia. Trozky negava insomma un ritorno all'economia borghese, ma nessun marxista avrebbe mai contestargli questa fiducia se non nel senso che, dopo l'azione unificatrice dell'Ottobre, "ritorno" all'economia di sfruttamento significava infine affermazione del capitalismo di Stato.
Solo più tardi Trozky giunse a comprendere la necessità di una nuova direzione rivoluzionaria del proletariato. "Il vecchio partito bolscevico è morto, nessuna forza al mondo può resuscitarlo." Nasce la Quarta Internazionale. Erede di tutti gli errori ideologici di un decennio di analisi difettose, la Quarta Internazionale non riuscirà mai ad acquistare una perfetta autonomia nel mondo opertaio, ma rimarrà fatalmente incatenata alle situazioni dello stalinismo soprattutto perché Trozky nel momento stesso in cui intuisce la necessità di una nuova rivoluzione contro la burocrazie in Russia, insiste sul carattere proletario del regime. I temi di "stato operaio degenerato" nell'apprezzamento del Paese sovietico "difesa incondizionata dell'URSS" fusi contraddittoriamente in un unica sintesi costituiranno d'ora in avanti la spina dorsale del movimento. Ne la fortuna che conseguì presso i circoli intellettuali e d'avanguardia al tempo dei criminali processi di Mosca, durante i quali da accusato principale Trozky seppe trasformarsi in spietato accusatore e nel difensore irriducibile degli uomini del 1917, è sufficiente a farci dimenticare le sue molte esitazioni e i dubbi nel confronti della Seconda Guerra mondiale.
Mentre la disfatta del proletariato andava diventando un fatto sempre più definitivo, Trozky elaborava dei programmi sempre più transitori. La tattica dell' "entrismo", applicata nei riguardi dei partiti riformisti, era giiustificvata dal fatto che questi partiti messi di fronte alle nuove condizioni di lotta provocate dal fascino erano costretti a battersi. Ma non bisogna dimenticare che i cosiddetti "socialisti" hanno un loro modo di difendersi che in italia era stato il patto di pacificazione, in Francia sarà l'adesione ai primi governi di Pétain ("vergognosi" solo dopo che ne furono cacciati) e in Inghilterra e in tutto il mondo l'appoggio assoluto ai governi della guerra borghese. Trozky non doveva dimenticare che è anti-marxista il tentativo volontaristico di correggere dall'interno il corso di questi partiti. Con l'entriamo non riusciva ad altro che a creare gravi responsabilità ai militanti che questa tattica avevano seguito. Ma poiché la Quarta Internazuionale si era rivelata incapace di premere sul proletariato perché ne uscisse il nuovo partito di classe, e poiché lo stalinismo era ancora ben presente, la fiducia veniva a spostarsi verso le "sinistre socialiste" la cui costante preoccupazione è appunto di solidarizzarsi continuamente con il "centro" e le "destre", e la cui natura non è di carattere rivoluzionario, ma è semplicemente un riflesso delle contraddizioni ineliminabili dei vari strati della borghesia.
D'altra parte seguendo una sua logica, mentre ribadiva la parola d'ordine di "difesa incondizionata dell'URSS" scrisse nel settembre 1939: " la guerra accelera i diversi processi politici. Essa può anche accelerare il processo di rigenerazione rivoluzionaria dell'URSS. Ma può anche accelerare il processo di finale degenerazione." 
Il che ci fa supporre che non fosse più perfettamente sicuro della base "socialista" del regime russo. 
"Per questa ragione è indispensabile che noi seguiamo attentamente e senza pregiudizi le modifiche che la guerra può introdurre nella vita interna dell'URSS, affinché si possa fare un giusto apprezzamento dei loro ritmi."
Ma il 21 agosto del 1940, colpito da quella stessa mano della guerra che seminava da mesi e mesi la morte nelle case dei lavoratori di tutti i paesi, cadeva l'agitatore che da Brest-Litowsk aveva, voce di milioni di operai e contadini, espresso la condanna con la quale il nuovo mondo della rivoluzione giudicava la borghesia, che non potrà più vivere se non a prezzo di periodici massacri. La nuova e più feroce razione aveva colpito giusto: l'antico cospiratore di Odessa, il giovane teorico che nella Vienna espressionista e Freudiana aveva concepito da marx la teoria della rivoluzione permanente, il presidente del Soviet rivoluzionario del 1905 era stato eliminato. La borghesia internazionale era stata ben vendicata. Ma l'arma dell'assassino non aveva solo atterrato il compagno che aveva lavorato spalla a spalla con Lenin per l'affermazione della Dittatura proletaria, il nemico della burocrazia e dei suoi rappresentanti, L'infaticabile polemista che aveva difeso la dialettica Marxista dal neo-revisionismo degli intellettuali: l'arma dell'assassino aveva soprattutto spezzato il vero "polmone d'acciaio" che alimentava il movimento della Quarta Internazionale, il cui respiro era diventato di anno in anno sempre più faticoso.
In quanto al "socialismo" russo, come ognuno sa, preferì farsi difendere dal capitale "alleato". La teoria della convivenza del socialismo e del capitalismo aveva trovato a Teheran le sue assisi ufficiali e in Churchill e in Roosvelt i più ardenti sostenitori prima che Stalin nel dopoguerra la definisse come una tesi "marxista". Le parole di incitamento che il vecchio rivoluzionario aveva ancora avuto la forza di proferire durante la sua angosciosa agonia non erano un invito a conservare intatto il capitale da lui lasciato se non nel senso di disperderlo e dimenticarlo per riproporlo quotidianamente nella esperienza. Solo in questo modo si poteva mettere a frutto la fedeltà alla memoria di Trozky.
Invece si continuò a coltivare i soliti difetti ereditari. Se in Russia la burocrazia si andava sempre più definendo come una casta, il regime interno permaneva indiscutibilmente socialista. Abusi da parte dello strato dirigente, indubbiamente, ma niente più. Sarebbe interessante se per gli epigoni di Trozky la guerra stessa, con tutto il suo sanguinoso significato di assalto del capitale nei confronti del proletariato, non fu un ben riuscito tiro da parte di alcuni generali in cerca di decorazione. Dopo che il rullo aveva tutto livellato e aveva tutto ridotto ad un unico denominatore, dai fascisti ai democratici, dai conservatori agli stalinisti, ognuno aveva perduto le proprie caratteristiche particolari per acquistare quelle molto più adatte del tradizionale nemico di classe. Lenin a questo proposito aveva definito esattamente qual era il significato intimo della guerra e la natura dei rapporti che essa creava: "la guerra lega tra loro le stesse potenze belligeranti. La guerra lega gli uni agli altri con catene di ferro, i gruppi belligeranti dei capitalisti, i padroni del regime, i padroni di schiavi della schiavitù capitalista". "un grumo di sangue" non ha mai cessato di essere la vita politica del continente. Da Barcellona a Stalingrado a Berlino ieri, da Atene a Praga a Seul oggi. Contro i chiari concetti di Lenin e le sue nude parole, non vale il caotico vortice di tesi e controtesi che quando non sono contraddittorie tra loro rimangono le stesse, con monotonia, per decenni, al di fuori di ogni legame con la realtà.
Perché è precisamente con questo materiale corrotto che si rappresentano i trotzkisti, dopo aver sostenuto, nel corso del conflitto capitalista, un ben debole internazionalismo proletario condizionato al tema ormai classico di difesa dell'URSS, invece di riprendere la dura ma lucida ed esatta parola di Lenin, che la guerra imperialista deve essere trasformata in guerra civile, portando così un valido, anche se non richiesto aiuto a chi, in Spana ed altrove, era riuscito all'opposto a trasformare la rivoluzione proletaria in guerra imperialista.
Posto di fronte ai nuovi problemi che, con la tregua delle armi, la situazione del dopoguerra aveva trascinato con se, abbiamo visto il trotzkismo dibattersi nelle sue ormai troppe contraddizioni per concludere il suo ciclo di errori in un comodo e sereno adattamento alle posizioni del passato. Inoltre bisogna segnalare una novità del tutto negativa: laddove i sofismi di Trotzky non bastavano più ("dalla dialettica al sofisma" rimane pur sempre la strada di ogni revisionismo, da Kautski a Bordiga), là dove bisognava "ripensare" i motivi fondamentali della vita del proletario, i trotzkisti non hanno trovato meglio che arretrare dalle posizioni del "maestro".
Se durante il travaglioso parto della IV Repubblica borghese di Francia, anche la Quarta Internazionale ha presentato i suoi suggerimenti "costruttivi" ma demagogici quale l'ambizioni dell'istituto del Presidente della Repubblica, l'abolizione del Senato, il servizio militare retto dai sindacato ed altri, di fronte alle perenni crisi della stessa, non hanno fatto altro che rinfoderare la vecchia storia del fronte unico, ancora più assurda oggi, in una situazione di così aperto conflitto tra riformisti e stalinisti rappresentanti ognuno di un diverso blocco di interessi che non tarderà a scontrarsi sul tragico terreno della guerra. Uno strano ottimismo fa si che i loro occhi si chiudano su tante cose: sempre pronti a rassicurarci sul carattere proletario di una Russia che se è ancora socialista per metà, per l'altra metà non è capitalista, non fanno dipender la lotta tra i due colossi imperialisti dalle vere ragioni economiche. No, "è la Rivoluzione che continua" pure attraverso le armate "operaie e contadine" di Stalin. Nè siam ben certi che non correggeranno questo loro vizio d'origine, dopo che lo stesso Stalini a data 1952 ci ha rassicurati su quale genere di socialismo si stia vivendo oggi in URSS. Inoltre hanno restituito una funzione ai partiti stalinisti dei Paesi occidentali. Non ci troviamo più davanti al "flagello dell'URSS e lebbra del movimento del movimento operaio internazionale" (Trotzky), ma a un "riformismo di nuovo tipo". In contraddizione con Trotzky stesso, che aveva appunto creato la Quarta Internazionale perché non c'era più nulla da salvare della Terza e dei partiti da essa dipendenti, recentemente si è sostenuto che "nessuno può discutere oggi ciò che fanno gli stalinisti". Sembra che siano applicati ad offrire "l'altra guancia" all'assalto dell'inganno ideologico dei nemici della rivoluzione, tentando di correggere lo stalinismo dai propri difetti, di salvarlo insomma da se stesso.
Il trotzkismo oggi non ha più molto da difendere, se si esclude la memoria del "vecchio", e la Russia, ma quella "incondizionatamente". Eppure questa stessa "difesa" soffrì un grave colpo dell'affare jugoslavo. Tito si vide preferire dalla Quarta Internazionale, alla quale non sembrava vero di potersi finalmente inserire nello stalinismo così a buon mercato. Ma a sua volta Tito preferì altre tutele, nonostante gli ammonimenti dei teorici e dei moralisti. Fu durante lo svolgimento di questo affare, che il trotzkismo, entrato direttamente in causa in difesa della controrivoluzione, rivelò clamorosamente di essere uno dei puntelli, e non importa se dei più fradici, di quella concezione e di quella prassi di cui vorrebbe ergersi a censore. E non era, del resto, a prima volta.
Dopo aver saccheggiato il marxismo, l'insegnamento di dieci anni di lotte operaie, e Trotzky stesso, si scoprì in un pericolo più vicino a noi che, dato il "corso centrista di sinistra progressivo" al quale i partiti riformisti e stalinisti erano sottoposti, ci si poteva inserire di nuovo negli stessi per svolgervi un opera "pedagogica". 
Mentre la linea politica del partito russo e dei suoi confratelli non subisce mai delle svolte a "sinistra" o a "destra", ma rimane costantemente la linea politica dell'opportunismo, la direzione trotzkista confuse l'evoluzione nel senso della guerra con un preteso "gauchissement". La quale tesi stupì alquanto la base stessa del movimento. ( bisogna ricordare che la Quarta Internazionale è forse il movimento politico nel quale si operano più scissioni. Per dissensi sul problema dell'URSS ne uscii nel dopoguerra la stessa vedova Trotzky.)
Ma dopo che furono appianate le divergenze la proposta passò, e certo fu applicata fino in fondo. I teorici non mancheranno di raccontarci il risultato della nuova esperienza con la stessa esperienza con cui nello stesso tempo che, tirando le somme delle esperienze entriate del passato e mentre si doveva constatare un fallimento, si lasciava aperta una porta alle nuove speranze.
Il tono apparentemente deciso e sicuro delle frasi che seguono, nasconde soprattutto il vuoto e il disagio di una assurda presa di posizione che conosce fin dall'inizio i propri penosi limiti:
"noi entriamo [nei partiti socialisti e stalinisti] per restarci lungamente, basandoci sulla notevolissima possibilità che esiste di vedere questi partiti, posti nelle nuove condizioni, sviluppare tendenze centriste che dirigeranno tutta una tappa della radicalizzazione delle masse e del processo oggettivo rivoluzionario nei loro rispettivi Paesi." e ancora:
"la burocrazia sovietica è ridotta alla lotta finale e decisiva; Il movimento stalinista è in ogni Paese preso tra queste realtà e le reazioni delle masse di fronte alla crisi permanente del capitalismo. In queste condizioni nuove, che la burocrazia sovietica non ha creato volontariamente ma che è obbligata a subire, lo stalinismo fa riapparire delle tendenze centriste che vinceranno sull'opportunismo di desta". Poiché, "ciò che noi sappiamo, ciò che noi dobbiamo sapere è che l'essenziale del partito rivoluzionario di domani uscirà da queste tendenze e che questo si produrrà in ogni modo attraverso una rottura con la burocrazia sovietica. Sotto quale forma esatta noi possiamo ora predire."
Se noi diciamo che sarà attraverso la lotta di classe e sotto la guida dell'organizzazione marxista che il proletariato non mancherà di avere nel momento in cui si verificherà lo scontro decisivo, pensiamo di non cadere nella critica di questi "pratici" ad ogni costo, che vogliono nello stesso tempo che dedicarsi a grandi cose, rifiutarsi ai compiti veri del rivoluzionario e cioè contribuire efficacemente al riarmo della classe, magari fuori dalle organizzazioni di massa, ma nell'esperienza quotidiana sotto l'indirizzo dell'ideologia del partito di Lenin.
Ma al di fuori di ogni pietà, che ci sarà concessa solo "dopo" la Rivoluzione, è rendere un cattivo servizio alla memoria degli operai e degli intellettuali trotzkisti caduti, sostenere che: "per poter reintegrare i sindacati della Confèrèdation Gènèrale du Travail quando se ne è stati esclusi, o per entrare in un organismo sindacale unitario qualsiasi, non si esiterà se necessario a sacrificare de "l'Unite" e della "Veritè", e mettere decisamente in secondo piano la propria qualità di trotzkista se le direzioni burocratiche lo esigono e se noi stessi arriviamo alla conclusione che è questa la condizione per facilitare la nostra integrazione". Le quali parole firmano l'atto di capitolazione di fronte allo stalinismo.
Il trotzkismo, sorto nel periodo di estrema decadenza del capitalismo, rappresenta il tentativo di ridare al proletariato, rimasto allo scoperto dopo la caduta delle speranze dell'anno 1917, l'arma di combattimento per la sua lotta. Tentativo legittimo ma abortito.
Poiché oltre l'equivoco, al di là del giro vorticoso, dove comincia veramente l'arido terreno che battuto oggi da pochi militanti sarà domani di tutta la classe, la Quarta Internazionale ha dimostrato, da sempre, di non sapere andare
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