Tumgik
#io so qual è il mio posto
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kon-igi · 10 months
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QUESTA È UNA STORIA CHE NON SO COME COMINCIARE A RACCONTARVI
È una storia triste con un finale velato di speranza che però non riesce a diminuire in me la tristezza, visto che è troppo spesso ripetuta ovunque nel solito loop di solitudine e sofferenza.
Non a caso ho deciso di raccontarla solo adesso e a taluni potrà sembrare che io mi voglia agganciare furbescamente al trend 'femminicidio' e con questo post fare virtue signaling.
Tutt'altro, credetemi.
Questa storia parla del coraggio di una ragazzina di 20 anni, l'unica reale protagonista, mentre noi come famiglia, semmai, abbiamo avuto solo il merito di essere al posto giusto al momento giusto.
Ricordate questo: AL POSTO GIUSTO AL MOMENTO GIUSTO e poi nella chiusa a questo post capirete.
Anche se dubito fortemente che conosciate lei o siate venuti a sapere della sua storia, per un mio senso di riservatezza cambierò molti particolari, senza però far perdere mai il senso di quanto accaduto.
Mia figlia piccola aveva una compagna di studi con la quale era rimasta in contatto anche dopo la maturità e una sera questa ragazza è venuta a cena a casa nostra, su strana insistenza di nostra figlia perché era già tanto tempo che non si vedevano, tranne qualche messaggio con cui lei la teneva informata sullo stato di salute del fratellino di 7 anni, affetto da una forma aggressiva ma curabile di leucemia.
Avevamo capito che era successo qualcosa e infatti questa ragazza, durante la cena, ci confida che lei, la madre e, soprattutto, il fratellino sono da anni vittime di maltrattamenti psicologici e fisici a opera del padre.
E noi, su insistenza di nostra figlia che è riuscita a convincerla, siamo state le prime e uniche persone alle quali trova finalmente la forza di dirlo, visto che il padre aveva costretto la madre a chiudere i contatti con ogni parente e cerchia di amici.
Erano sole, la madre non lavorava e tutti dipendevano da un unico stipendio, quello del padre, che inoltre decideva quando e quanto potessero uscire di casa.
Una storia di abusi familiari come tante, solo che invece di sentirlo in un telegiornale ce le stava raccontando di persona una ragazzina smilza e che sorrideva triste per l'imbarazzo.
E poi ho visto gli occhi di mia figlia, pieni di rabbia e indignazione ma scintillanti anche di qualcos'altro... speranza, anzi, convinzione che noi potessimo aiutarla.
Con un peso enorme nel cuore, le abbiamo allora parlato tutta la sera, l'abbiamo consolata, consigliata e spronata a fare quello che la madre non aveva più la forza di fare: denunciare ai carabinieri e rivolgersi a un centro antiviolenza.
E mentre lei piangeva lacrime di gioia per aver finalmente trovato qualcuno con cui aprirsi, le arriva un messaggio wathsapp sul telefono con una foto.
Una foto da suo fratello.
Che si era fotografato il naso.
Rotto e sanguinante.
E il messaggio sotto diceva 'Papà ha picchiato la mamma e poi me. E poi se n'è andato'.
Un bambino di 7 anni con la leucemia che deve andare a fare la chemio due volte a settimana.
A vederlo scritto pare assurdo pure a me, una di quelle brutte sceneggiature per una fiction rai in prima serata ma il fatto era che stava succedendo di fronte ai nostri occhi e non so come io sia riuscito a non prendere una delle mie asce appese al muro per andare schiantarlo in due come un ceppo marcio.
Lei, però, non si scompone più di tanto e ci dice 'Adesso vado. Ci penso io' con un tono che nascondeva stanchezza e abitudine... ma forse anche qualcos'altro di nuovo.
Vent'anni anni e ci pensava lei, quando noi - cinquantenni - eravamo solo riusciti a dire delle belle parole, tutto sommato inutili.
Prende ed esce, con noi che le andiamo dietro urlandole di chiamare subito i carabinieri e cercando di andare assieme ma lei sembra essere molto decisa, finché le luci posteriori della sua macchina non scompaiono nella notte.
Minuti, decine di minuti e poi ore ad aspettare notizie, senza conoscere il suo indirizzo e senza sapere dove mandare qualcuno a controllare.
Poi squilla il telefono. È lei. Ci racconta che quando è arrivata a casa ha subito controllato che non ci fosse la macchina del padre, è entrata e ha chiuso la porta da dentro lasciandoci le chiavi sopra. E quando il padre, ore dopo, ha provato a entrare e, non riuscendoci, ha cominciato a dare in escandescenze, ha chiamato i carabinieri dicendo loro che aveva picchiato la madre e il fratello.
Carabinieri che, ovviamente, lo hanno beccato mentre prendeva a calci la porta di un appartamento con dentro una donna e un bambino sanguinanti per le botte ricevute.
Nonostante tutto, quella notte non siamo riusciti a dormire.
Il giorno dopo mi arriva un audio su whatsapp (le avevo dato il mio numero per emergenza) e per quanto forse avrei potuto postarvelo qua per farvelo ascoltare, preferisco trascrivervelo
'Ciao, sono E. Ti volevo dire che ieri sera siamo stati al pronto soccorso e io ho insisitito con i medici che facessero tutte le foto a mamma e L. e che poi chiamassero la polizia che c'è dentro. L. è stato coraggioso e ha raccontato tutto, poi anche mia mamma ha trovato il coraggio di parlare. Ora stiamo andando al centro antiviolenza di Parma così ci aiutano con gli avvocati e magari ci trovano anche un altro posto dove andare. Io vi volevo ringraziare perché per la prima volta in vita mia mi sono sentita in una famiglia vera che capiva il mio dolore e la mia paura e con voi ho trovato la forza di parlare. Grazie di essere così meravigliosi'
Io ogni tanto ascolto quell'audio e poi le telefono per sapere come va. Lo ascolto perché, vedete, non mi sembrava che avessimo fatto chissà che cosa ma il tono della sua voce diceva tutto il contrario.
E allora mi sono ricordato di quella vecchia storia del ragazzino con la gamba rotta al quale ho fatto compagnia mentre aspettavamo l'elisoccorso e di come i genitori, mesi dopo, mi hanno riconosciuto in mezzo alla folla e mi sono venuti ad abbracciare come se gliel'avessi riattaccata, quando io mi ero limitato solo a rassicurarlo in attesa dei soccorsi.
Però ero al posto giusto al momento giusto.
Quel posto e quel momento, però, che non sono e non accadono mai a caso alla persona che sa cosa sia la sofferenza.
Se questo mondo non vi ha reso cattivi - e se siete arrivati a leggere fin qua non solo non siete cattivi ma anzi molto pazienti - allora avrete capito che il posto giusto al momento giusto è quello in cui siete ora, nello stesso frammento di tempo in cui decidete di spostare gli occhi dal centro del vostro dolore personale alla consapevolezza di quello degli altri.
Come non mi stancherò mai di dire, una mano protesa salva tanto chi la stringe quanto chi la tende.
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aigiornileggeri · 7 months
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Mi ritrovo a 25 anni e l’idea dell’amore come quella dei bambini.
Mi sono ritrovata a parlare con una bambina di amore.
È fidanzata, da un anno, con Francesco.
Prima di lui c’è stato un altro che però è stato rubato dalla sua migliore amica.
Penso che se questo le fosse successo alla mia età si sarebbero strappate i capelli a vicenda e lui ne sarebbe uscito illeso, come succede il 99,9% dei casi. Anche se la colpa non è mai da una sola parte.
Non so perché ora senta la necessità di scrivere quello che mi sta passando per la testa, forse perché ora scrivere a mano non mi basta di più, ho tanto da dire e poca voce per farlo.
Ho sempre preferito scrivere che parlare.
Continuo a scegliere le parole con la stessa accuratezza con cui le mie coetanee scelgono l’outfit (ora ci siamo tutti inglecizzati) che indosseranno per una serata in discoteca.
Io in discoteca non ci sono mai stata, non ho mai fumato una canna, fumo sporadicamente le sigarette, giusto per infliggermi un po’ di dolore.
Dicono che ogni sigaretta fumata accorci la vita di 7 minuti, sto sperimentando la veridicità di questa affermazione.
Non voglio morire.
Sia chiaro.
Quando ci penso ho onestamente paura.
Chiudi gli occhi e tutto finisce.
Non si pensa più.
Le connessioni tra neuroni si fermano.
Niente stimoli.
Niente input.
Niente output.
Tutto tace.
Eppure quante volte aspiriamo nella vita ad un po’ di silenzio?
Sono consapevole che per quanto voglia ciò è impossibile. Almeno da vivi.
Motivo per il quale mi sto quasi abituando all’idea che troverò la pace a cui aspiro una volta morta.
Il discorso sta prendendo decisamente una piega tetra.
Sono una persona abbastanza noiosa.
Non amo il casino.
Mi piacciono le pantofole calde, le coperte, le tisane e i libri.
Non mi piace andare a mangiare fuori, mi piace l’intimità delle mura di casa.
Ma sono consapevole che sono in rotta di collisione con il resto del mondo.
Questo mondo di oggi che deve ostentare tutto.
Ieri sono uscita e c’era un tramonto stupendo a Roma, il volerlo immortalare mi stava quasi distraendo che stavo dimenticando di vivermelo.
E invece l’ho vissuto.
Ho notato ogni piccola sfumatura presente. Nei minimi dettagli.
Io sono così, guardo i dettagli e cerco di leggerli tra le righe.
Sono sempre stata una che ha visto nel piccolo prima di vedere nel grande.
Questa società ci ha abituati ad avere tutto e subito. Pretendiamo di conoscere le persone con lo schiocco delle dita.
PRETENDIAMO.
Non penso ci sia niente di più brutto che pretendere un qualcosa da qualcuno.
È come se lo obbligassimo a fare qualcosa che non vuole per un tornaconto solo nostro.
Ne lede ogni libertà di scelta e di pensiero.
Lo stesso errore si commette quando parlando si dice “io al posto suo…”.
Al posto suo non ci sei.
Al posto suo c’è solo la persona.
Non tu.
Per fortuna o per sfortuna, dipende dai casi, ognuno ha una propria testa e ragiona come meglio crede.
Io ho sempre pensato di ragionare con la testa di una ragazza di 60 anni fa.
Non mi sono mai sentita a mio agio in questa società.
Come un pesce fuori dall’acqua che cerca di tornare al mare.
Non mi sono voluta adeguare alla massa.
Non mi sono mai voluta adeguare a qualcuno.
Per qualcuno.
Rimarrò sola? Non so.
Ho paura? Non so.
Perché le persone cercano di cambiarsi per andare bene a qualcuno?
Capisco lo smussare gli spigoli, ma perché cambiare rinnegando quello che si è?
Io non voglio rinnegare niente di quello che sono.
Qualcuno una volta mi ha detto che siamo la somma delle esperienze che ci sono capitate. Beh, non per vittimismo, ma potrei scrivere un libro per tutte le volte che sono caduta in tutte le maniere in cui una persona può cadere e con la sola forza delle mie braccia mi sia rialzata.
Non penso di avere una vita tragica, ma penso di avere una vita in cui il coraggio le ha fatto da padrona.
Sì, sono coraggiosa.
Questo me lo devo.
In fondo credo che un po’ io mi voglia un po’ di bene, per quanto a volte litighi con me stessa sul perché non riesca a cambiare alcune cose di me che davvero non mi piacciono.
Sono abituata a fare l’elenco dei miei difetti, e non riesco a trovare mai un pregio.
Ecco, coraggiosa è il primo pregio.
Ma tornando al discorso di prima…
Vanno a scuola insieme.
Non si sono visti e neanche sentiti per tutto il periodo dell’estate.
Le ho chiesto allora perché non gli avesse scritto per tutto il periodo e la sua risposta è stata: “Avevo da fare con le amichette.”
Di risposta le ho chiesto se dopo tutto questo tempo lontani era sicura che anche da parte sua ci fosse lo stesso sentimento.
Penso di aver impiantato in lei il seme del dubbio.
Se magari prima ne era convinta, adesso non più.
Eppure 60 anni fa partivano per la guerra, passavano mesi senza vedersi e, se Dio voleva, riuscivano a mandarsi una cartolina ogni tot di tempo.
Ora il dubbio sorge non appena si ha un messaggio non visualizzato.
Maledette spunte blu.
Sorge il dubbio se non si risponde entro un tempo predefinito.
Ed ecco che la vipera del tradimento si insinua nelle nostre menti.
E distrugge tutto.
Con questo non voglio dire che prima non si tradiva, anzi forse era anche più facile tradire prima.
Senza Instagram, senza storie, senza localizzazione, senza messaggistica istantanea, senza chat segrete di Telegram (che ancora non so come funzionino).
Forse c’era una cosa che oggi è difficile trovare: il rispetto.
Ecco, forse ho trovato un altro mio pregio.
La mia famiglia mi ha insegnato a rispettare tutto e tutti.
Non so ammazzare neanche una mosca senza sentirmi in colpa.
Ho imparato il rispetto per ogni forma vivente: animali, piante, persone.
Ho imparato il rispetto per ogni forma non vivente.
Grazie mamma, grazie papà, grazie nonna e grazie zia.
Forse non gliel’ho mai detto.
Prima o poi lo farò.
Loro sono le colonne portanti della casa che sono.
E gliene sarò per sempre grata.
Mi hanno insegnato il senso di sacrificio. E rispettare chi ne fa.
Cerco di mantenere ogni promessa, di renderla reale.
Ma in un mondo che ti fa lo sgambetto più e più volte è difficile, ma continuo ad apprezzare la buona volontà di chi ci prova.
È un mondo malato che sta facendo ammalare anche le persone che ci vivono. Forse gli animali sono gli unici che ne restano illesi.
Quanto può essere cattivo l’essere umano?
Einstein diceva che l’uomo ha inventato la bomba atomica, ma nessun topo inventerebbe mai una trappola per topi.
Siamo davvero così stupidi?
Perché soffriamo di queste manie di grandezza?
Perché questa necessità di prevalere sull’altro e di doverlo sventolare ai quattro venti?
Comunque, continuando il nostro viaggio nella mente di una bambina di 7 anni, dopo aver impiantato in lei il seme del dubbio ho cercato di sistemare la situazione, ormai già distrutta, affermando che in caso contrario avrebbe comunque potuto trovarne un altro. O anche due. Così da avere la riserva.
Lei ha fatto spallucce.
Non penso abbia apprezzato la mia affermazione.
In realtà non l’apprezzo neanche io.
Non nutro grande simpatia per coloro che decidono di intraprendere relazioni parallele. Anzi, direi che (sì, lo so che è brutto da dire), le schifo. E non poco.
Se una persona non ti fa stare bene, bisogna avere il coraggio di lasciarla andare.
Può essere doloroso, ma anche le ferite più dolorose guariscono.
E questo lo so bene, forse daranno un leggero fastidio ogni qualvolta il tempo cambierà.
Ogni qualvolta ti ci soffermerai a pensare.
Mamma dice sempre: “Le cose che non si fanno sono le migliori.”
Ma con quanti punti di domanda ci lasciano?
Quanti finali alternativi si alternano nella mente di una persona?
Sono una persona curiosa.
Ma non nel senso che sia impicciona, mi sono sempre fatta i fatti miei e continuerò a farlo visto che aspiro a campare 100 anni.
Sono spinta da curiosità costruttiva, non mi limito a sapere il fatto in sé, ma mi piace capire, scavare nel profondo. Forse la parola più corretta da usare sarebbe comprendere il perché di una scelta piuttosto che un’altra.
Mi astengo dal dare qualsiasi giudizio.
Mi limito a dare un consiglio, senza aspettarmi che la persona lo segua, anche perché chi è che segue i consigli?
Io sono la prima a non farlo.
Mi piace sbatterci di testa, di faccia, rompermi le ossa, il cuore e l’anima.
Si dice si impari meglio sbagliando e io voglio sbagliare nel modo giusto.
Voglio passare la vita imparando, crescendo, diventando sempre più saggia.
Avrei voluto dire a quella bambina che poi tanto male non è stare soli, conoscersi.
Capire quello che realmente vogliamo.
Quello di cui abbiamo realmente bisogno.
Avrei voluto dirle di non piangere alle ginocchia sbucciate perché il cuore sbucciato quando crescerà farà ancora più male.
Avrei voluto dirle di godersi ogni attimo della sua età.
Avrei voluto dirle di avvicinarsi al mondo dell’amore il più tardi possibile.
Avrei voluto dirle che ha fatto bene a godersi l’estate con le amichette piuttosto che pensare al fidanzato.
Avrei voluto dirle che l’amore se è vero supera ogni ostacolo, ogni distanza, ogni tempo.
Avrei voluto dirle che non deve mai dare nulla per scontato, perché nel momento in cui lo fai tutto perde di valore e non è più come prima.
Non aspettatevi che una persona vi stia accanto per sempre, che vi ami per sempre.
L’amore è un fuoco di paglia, di solito la passione brucia velocemente.
La vera scommessa è alimentarlo.
Vorrei essere brava in questo.
Invece credo che tra le mie mille mila cose da fare non riesca mai ad alimentarlo come si deve, e niente.
Fa la famosa vampa e si spegne.
Azzarderei a dire che quasi a volte l’acqua per spegnerlo sopra l’abbia messa io.
Perché l’amore si identifica con il cuore?
Un muscolo involontario.
Probabilmente perché così come non abbiamo la possibilità di controllare il suo battito non possiamo decidere di chi innamorarci.
Ed ecco lì che capita di innamorarsi di chi probabilmente non avremmo mai detto.
Nel mio caso penso che avrei messo la mano sul fuoco che non sarebbe mai successo, ed invece è successo.
Ho imparato il mai dire mai proprio in questo caso.
E chi l’avrebbe detto che avrei messo le armi per distruggermi in mano a qualcuno.
Mi meraviglio con quanta facilità l’essere umano sia capace di buttare giù tutto quello che costruisce senza nessuna pietà e rimpianto.
Mentre io mi sono ritrovata a dire addio ad una macchina e a dare il benvenuto ad un’altra.
Ho provato il senso di colpa nell’averla quasi tradita per qualcosa di nuovo.
Perché è questo quello che succede nella vita, buttiamo il vecchio per fare spazio al nuovo.
Io sono così legata al vecchio che provo dolore quando lo butto.
Ecco, forse questo invidio a quella bambina, la facilità con cui nel momento in cui il piccolo Francesco deciderà di lasciarla lei troverà qualcun altro e riuscirà a chiudere Francesco in un cassettino della sua memoria che probabilmente non riaprirà mai più.
Io i miei cassetti della memoria li apro e anche spesso.
Maledette domande che attanagliano la mia mente e non la lasciano riposare.
Forse se riuscissi a lasciarmi scivolare tutto addosso sarebbe più facile.
E invece il Padre Eterno ha deciso di farmi cocciuta, testarda e con la necessità di sapere come, quando, dove e perché.
Vorrei poter chiudere tutto a chiave, buttare la chiave in un qualsiasi posto e perderla così da non poter riaprire niente, anche volendo.
Sono masochista.
Non mi taglio, non mi infliggo dolore fisico perché mi basta il dolore dell’anima.
E se per i tagli questi cicatrizzano, non so come possa guarire un’anima mal concia.
Lana Del Rey canta: “Mi amerai lo stesso quando non avrò nient’altro che la mia anima dolorante?”
Mi chiedo se davvero esista qualcuno capace di amare una persona nonostante l’anima che non si regge in piedi.
Ci vuole tanto amore ad amare chi non ci ama.
E ci vuole grande forza di volontà a lasciare andare le persone.
Lasciare andare qualcuno è la più grande forma di generosità.
Come può un rapporto cambiare per “colpa” di una frase sbagliata?
Dicono che la lingua riesca a ferire più di un coltello.
E perché le permettiamo di ferirci?
Sento ancora quel formicolio al cuore quando ripenso ad alcune frasi, che siano belle o brutte.
Nella maggior parte dei casi sono tutte le parole che più mi hanno ferita.
Quelle che più mi hanno fatta sentire inadatta.
Ma non penso di essere inadatta per davvero.
Penso sinceramente che alcune situazioni non vadano con altre.
Ecco di nuovo quella sensazione.
La me di dentro urla, si sta spolmonando. E la me di fuori non riesce a tirare fuori niente.
A volte penso se possa essere liberatorio salire sulla prima montagna e urlare, fino a non avere più aria nei polmoni. Fino ad essere stremati per l’urlo e non per altro.
A volte vorrei farlo.
Poi penso che le persone mi prenderebbero per pazza.
Anche se è mio uso e costume credere che i pazzi stiano fuori e le persone mentalmente stabili siano chiuse nel primo reparto di psichiatria disponibile.
Forse in mezzo a loro troverei la mia pace, chissà.
Vorrei fare un appello a me stessa: smettila di provare a fidarti delle persone.
Sono destinate tutte ad andare via. E tu speri ancora nelle cose irreali.
Chiudi gli occhi e immagini cose che sai anche tu non succederanno mai. E ti addormenti con il cuore un po’ più leggero, perché quello ti da pace.
Perché sono così?
Cos’è che realmente voglio?
O sono solo lo specchio di quello che gli altri vogliono da me?
Vorrei bastare a me stessa.
Essere sicura di me, delle mie capacità, senza il bisogno che qualcuno mi ricordi quanto valga.
Amo stare da sola, e non capisco perché continuo a far entrare persone nella mia vita che la mettono sottosopra.
Inizio ad essere quasi certa di essere masochista.
Sto per prendere il treno.
L’ennesimo.
Quanti treni ho preso, e non ne ho mai perso uno.
Anche quando ero in ritardo.
Sono stata sempre brava a prenderli.
A farli coincidere con altri.
Ad aspettare il meno possibile alle coincidenze.
Non mi è mai piaciuto aspettare.
Non sono una che sta con le mani in mano aspettando che arrivi la manna dal cielo.
Mi sono sempre data da fare, ho organizzato la mia vita in ogni minimo dettaglio e la vita ci ha provato ripetutamente a far saltare ogni mio piano.
A volte ci è riuscita.
A volte no.
Mi chiedo dunque, perché se non riesco ad aspettare un treno che dovrebbe portarmi altrove dovrei riuscire ad aspettare una persona?
Beh, il treno prima o poi arriva e anche se in ritardo a destinazione ci porta.
Ma le persone?
Arrivano?
Tornano?
Riescono a portarti realmente dove vuoi che ti portino?
Non si può decidere dove queste ti porteranno. Bisogna lasciarsi guidare.
E io non sono brava in questo.
Sono stata abituata a guidare, e non riesco a far sì che le persone guidino me.
Eppure io vorrei qualcuno che mi portasse al mare.
Scorrendo la ricerca di Instagram in una di quelle pagine di frasi fatte e depresse ho letto trova qualcuno che ti faccia dimenticare di avere un telefono.
Chissà com’è prendere il treno della vita.
Quello che dicono passi solo una volta.
Quello del hic et nunc, del carpe diem.
Non penso di aver mai colto un’occasione, troppo presa ad organizzarmi la vita che probabilmente mi sono dimenticata di viverla.
Ho messo da parte tutti i sentimenti, cercando di reprimerli.
Li ho messi così schiacciati bene in un cassetto che pensavo di averli sistemati lì a vita.
E invece il cassetto è esploso, lasciando venire fuori tutto quello che credevo di non poter provare.
La depressione.
Se mi avessero detto che un giorno ne avrei sofferto sinceramente gli avrei riso in faccia.
E invece sono qui, a distanza di due anni, con questo mostro dietro le spalle che mi attacca all’improvviso, quando sono più vulnerabile.
E so da me che la spinta per “guarirne” devo darmela da sola, ma le persone che, intorno a me, si limitano a dire: “Dai, su. Muoviti. Se ti fermi è perché sei tu che vuoi stare male” mi istigano sempre di più ad isolarmi.
Mi piace stare sola.
Mi piace l’equilibrio che raggiungo.
Se sto male non devo dar conto a nessuno.
Se sto bene non devo dar conto a nessuno.
Solo a me stessa.
Chissà quale organo ne risente di più.
Il cuore?
Il cervello?
Penso che i miei siano andati entrambi in sovraccarico e il mio esplodere ne è stata semplicemente una conseguenza.
Come se nel cassetto avessi messo più di quanto avrei dovuto e ora non si riesce più a chiudere e tutti i sentimenti repressi siano usciti uno dietro l’altro, sovrapponendosi anche a volte.
Tocco un po’ anche di bipolarismo probabilmente.
Meriterei un oscar come migliore attrice per tutte le volte che ho riso quando avrei voluto piangere.
Meriterei un oscar come migliore attrice per aver mentito sul mio stato di salute mentale a tutti, compresa la famiglia.
Meriterei un oscar come migliore attrice per tutte le volte che mentre ridevo pensavo a come sarebbe stato buttarsi dal Canale di Mezzanotte.
Ci sono andata.
Mi sono seduta sul bordo del ponte.
Penso che più di una volta sia stata sul punto di farlo.
Perché non l’ho fatto?
Probabilmente perché io sono ancora qui e posso scegliere di vivere, lei non ha avuto scelta.
E se l’avesse avuta sicuramente avrebbe voluto vivere.
Per cui, mossa da un minimo di lucidità, sono scesa giù e sono tornata a casa, mettendo la maschera perfetta.
Ma non a tutti si può mentire.
E gli occhi sono lo specchio dell’anima.
Non vedo i miei occhi brillare da un po’.
Chissà se ricapiterà.
E se la nostra vita fosse un libro scritto a penna?
Un cosiddetto manoscritto.
Senza bozza.
Senza margine di correzione, perché si sa, non si può cancellare con la gomma e riscrivere tutto.
Si può solo mettere una linea e andare avanti, fino alla fine del racconto. Fino alla fine del libro.
E lì, dove la penna inizia a incantarsi, arrivano le decisioni prese d’istinto.
Quegli scarabocchi che nessuno riuscirà mai a decifrare, neanche noi.
Perché quelle decisioni prese di pancia sembrano così sensate nel momento in cui le prendiamo mentre con il senno di poi si rivelano dei veri flop?
Perché, a volte, l’istinto prevale sulla ragione, perché autoinfliggersi dolore sperando in qualcosa che sicuramente non capiterà.
La legge di Murphy parla chiaro: se c'è una possibilità che varie cose vadano male, quella che causa il danno maggiore sarà la prima a farlo; Se si prevedono quattro possibili modi in cui qualcosa può andare male, e si prevengono, immediatamente se ne rivelerà un quinto; lasciate a sé stesse, le cose tendono ad andare di male in peggio.
E allora mi chiedo, perché si molla la presa in alcune situazioni?
Perché non siamo più così bravi da lottare per quello in cui crediamo?
Perché non mi fido più delle mie sensazioni?
Ho sempre viaggiato con il mio sesto senso.
A volte bene, altre male.
Penso faccia parte del gioco.
Non credo nemmeno si possa pretendere che la vita giri sempre bene, penso sia impossibile vivere una vita senza cadere.
Dovrebbero essere le imperfezioni a rendere le cose perfette.
Il sudore dei sacrifici rende tutto più bello.
Ma ai sacrifici bisogna essere abituati.
E come ci si abitua?
Come può una persona abituarsi alla sofferenza per avere cose belle.
Ma perché si deve soffrire per arrivare al bello?
Per apprezzarlo di più?
E perché non godere delle piccole cose, ma aspettarsi sempre cose plateali?
Perché non compiacersi dei gesti ripetuti, seppur piccoli, ogni giorno, ma riempirsi gli occhi e soprattutto la bocca per un qualcosa che accade una sola volta e per un tempo breve.
Ho rivisto la piccola Giada.
Le ho chiesto di aggiornarmi sulle sue vicende amorose.
Mi sono così appassionata a questa storia d’amore che mi sembra quasi di viverla in prima persona.
Ci siamo sedute a terra.
Ha trovato dietro la tenda del salotto i regoli.
È stato come tornare indietro di quasi 20 anni.
Ricordo l’emozione, quando arrivava il momento dei regoli alle elementari.
La felicità nell’aprire quella scatola che sembrava magica perché quei piccoli rettangoli avrebbero dovuto insegnarmi a contare.
Anche se, diciamocelo sinceramente, tutti li abbiamo usati per costruire la famosa torre.
Apprezzo dei bambini in genere lo stupore davanti alle piccole cose; il trovare il buono e il bello anche nelle piccole cose.
Quelle più insignificanti.
Poi com’è che si diventa così materialisti?
Qual è il preciso istante in cui le piccole cose, anche le più stupide, smettono di bastarci e iniziamo a volere e a pretendere sempre di più?
Ho sempre avuto paura di crescere, di perdere il mio contatto con l’innocenza della tenera età, non essere più considerata la bocca della verità, diventare agli occhi del resto degli adulti una persona che sputa veleno perché dice quello che pensa.
Io non credo di sputare veleno, non penso nemmeno di essere così vipera come mi dipingono. Credo che la verità tendenzialmente faccia paura, fa paura a tutti, anche a me che sembro così dura e tosta.
La verità quando ci viene detta, nuda e cruda, ci spoglia di ogni maschera e ci costringe a guardarci allo specchio, come se fossimo tanti vermi privati di un guscio protettivo.
L’adulto è viscido, e di questo ne sono sempre stata convinta.
Ha sempre secondi fini, non sa bastarsi a sé stesso, cerca perennemente il confronto con altri per sentirsi superiore, non sa competere in modo sano, è cattivo e diventa egoista, egocentrico, cercando di creare una storia in cui risulta essere il protagonista assoluto.
Per non parlare degli adulti nelle relazioni: è un continuo prevalere sull’altro nel 90% dei casi, non si sa più viaggiare l’uno accanto all’altra.
Ho quasi 25 anni e la voglia di provare gli stessi sentimenti di Giada, la voglia che qualcuno provi per me gli stessi sentimenti che prova Giada.
La purezza.
Non perché servo a qualcuno, non mi piace essere sfruttata.
Ho sempre fatto mio il detto: “Non fare agli altri quello che non vuoi sia fatto a te”, ma puntualmente ricevo altro. Ricevo quello che probabilmente se fossi realmente stronza farei alle persone.
Non so sfogarmi, non so buttare giù quello che provo se non scrivendo.
Mi sento così bene quando scrivo.
Non saprei come fermarmi.
Ho tanto da dire, continuo ad avere sempre tanto.
E continuo ancora a meravigliarmi delle mie capacità paragonate a quelle di persone più grandi.
Perché continuo a sottovalutarmi?
Apriamo i regoli, con l’intenzione (ovviamente) di fare la Tour Eiffel.
Iniziamo a mettere da parte tutti i pezzi che ci servono e intanto penso che vorrei essere circondata una vita intera da bambini e animali, dalle anime pure, da chi non fa male a qualcun altro per il puro scopo di goderne; voglio essere circondata da chi se fa male a qualcuno sa chiedere scusa.
Arriva il momento della fatidica domanda, chiederle come fosse andato il ritrovo con Francesco.
Ne ho quasi timore, soprattutto dopo l’ultima chiacchierata, ma i bambini hanno quell’innocenza disarmante contro cui nulla vince.
Il sospiro di sollievo tirato dopo aver saputo che ancora ad oggi stanno insieme è stato rumoroso, tanto da scambiare uno sguardo complice con la mamma.
A distanza di circa un anno io e Giada ci siamo riviste.
Qualcosa è cambiato, io sono cambiata e anche lei.
Se lei è cresciuta in altezza, in bellezza e anche in intelligenza, io sono diventata più vecchia, scorbutica e meno paziente verso ogni genere umano.
Non vedo Giada da un anno e quanto vorrei poter parlarle ancora. Interfacciarmi con lei e con l’ingenuità con cui vede il mondo: senza malizia, senza cattiveria, senza alcun melodramma irrisolvibile.
Mi chiedono spesso perché sia così attirata dai bambini e dagli animali, probabilmente la risposta si trova in questo: non fanno melodrammi e se dovesse accadere la situazione si placa in un tempo così breve da non destare nessuna preoccupazione.
Quanto sarebbe bello tornare piccoli, dove le uniche preoccupazioni sono soltanto i giochi non comprati da mamma e papà, le merende e il pisolino pomeridiano fatto controvoglia.
A ventisette anni il pisolino pomeridiano è quasi diventato un default per me, senza il quale non saprei neanche sopravvivere alle persone che mi sono intorno.
Vorrei tanto sapere di Giada, dei suoi amori, se è riuscita a continuare la sua storia con Francesco, mi piacerebbe dirle che ho trovato probabilmente l’equilibrio a cui aspiravo, ma so che mi guarderebbe interrogativa perché: come lo spieghi l’equilibrio ad una bambina?
Ho paura a dirlo forte, non tutte le persone sono felici se lo sei anche tu, ma ho trovato quella sorta di pace interiore che sembrava non potesse arrivare per me.
Sto per iniziare a fare una cosa che mi piace. Non mi interessa della fatica. Ho scoperto che con le persone giuste accanto sono ancora più forte di quello che credevo. Ho capito chi sì e chi no. Chi mi fa fiorire e chi cerca di estirparmi come un’erbaccia.
Grazie delle delusioni, dei momenti no, dei momenti in piena sbronza, delle scelte sbagliate, dei viaggi in macchina, del mare che calma in inverno e abbronza l’estate. Grazie dell’amore, delle amicizie nate dal nulla, del cuore rotto, dello scudo contro le parole che fanno male. Grazie per le serate a guardare le stelle in balcone con la sigaretta accesa, i lividi addosso per l’equitazione che libera la mente, i lividi dello stress mentale. Grazie per gli addii e le riscoperte di alcune persone. Grazie per il mio essere leggera, saper capire quando essere pesante e quando no, quando farne melodramma e quando no. Grazie perché ho capito quanto valgo, ho capito che non mi accontento di tutti e che chi mi sta accanto lo fa per scelta, per amore e ha rubato un pezzetto del mio cuore e lo custodisce preziosamente. Grazie anche a chi il pezzetto del mio cuore lo ha preso a pugni, a cazzotti e ci ha ballato sopra con la speranza di vedermi a terra strisciare come magari fanno loro. Mari splende anche grazie a voi. Soprattutto grazie a voi.
L’ultima foto non poteva non essere il mio panorama sul mio golfo preferito.
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allecram-me · 3 days
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Valerio è morto da otto giorni, un’ora e dieci minuti. Cinque secondo i medici, ma io ero proprio lì e l’ho visto il suo cuore smettere di battere. Valerio è nato in un ospedale di Napoli ed è morto al policlinico di Modena. Della sua vita rimangono impressioni, la solidità con la quale s’era aggrappato al mio cuore, ed io al suo. Continuo a dirmi che passerà anche questa, che arriverà la pace ed afferrerò il telefono per chiamarlo, per immaginarmi sulla sua pelle, incastrata tra i peli del suo petto. Non succederà mai più.
Sono a Berlino da quarantotto ore. Sono partita senza avere un posto dove stare - lo avevo, ma non sapevo come accedervi - sono arrivata in aeroporto ed ho prenotato una stanza. La mattina dopo mi sono svegliata ed ancora non sapevo come avrei fatto. Poi ho fatto tutto.
Meno di un’ora fa ero ad Alexanderplatz. Incantata dalle luci e dalle persone, mi ero seduta su una panchina a fumare una sigaretta. Un ragazzo indiano mi ha teneramente rivolto la parola, è stato gentile. Ora sono sul balcone del mio nuovo e temporaneo appartamento a Frankfurter a chiedermi chi sono. Sono quella che va in giro per una città sconosciuta da sola, che ordina una zuppa in un ristorante vietnamita, che prende un aereo senza sapere dove dormire. Sono la donna che teneva la mano di Valerio mentre moriva, che ha tenuto la mano di Valerio le altre volte che era in coma, che per due volte lo ha risvegliato quando sembrava impossibile. Sono una persona minuscola che non ha saputo imporre ai suoi familiari di non firmare contro l’accanimento terapeutico, ben consapevole che Valerio volesse vivere. Un po’ meno consapevole dell’entità del dolore che gli abbiamo risparmiato, del destino di dialisi costretto a letto a cui abbiamo detto no per lui. Valerio ci ha messo tre giorni a morire, perché lui voleva vivere. Lui voleva vivere ed adesso devo vivere io, ma non so come. So che sono brava a farlo. So che lo amo, e che lui mi ha amata davvero. Adesso sono a Berlino da sola, sola come non sono stata mai. Ho paura di tutto, ma non si vede, come Valerio che è ovunque, ma da nessuna parte. Ho paura di riuscire come di non farlo.
Valerio sapeva fare tutto. Noi, forse, ci somigliavamo. Lui è la parte migliore di me, e voglio che il mondo lo veda anche più di prima, perché lui è la cosa più bella che abbia mai incontrato.
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tulipanico · 1 year
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Se viene commesso un abuso sessuale di gruppo ai danni di due ragazzine minorenni e quello che viene detto dai piani alti, in soldoni, è: dobbiamo bonificare il territorio per renderlo meno propenso alla criminalitá, c'è un problema. Mi ha fatto ricordare mia zia che, per evitare che mia cugina da bambina aprisse tutti i mobili della casa e ne riversasse il contenuto sul pavimento, tolse tutte le maniglie.
Eppure, nel secondo caso, viene spontaneo capire che il problema non sta nelle maniglie, ma nell'educazione. E allora, come mai è così difficile capire?
Gli stupri, le violenze, le molestie non avvengono per colpa di un 'territorio propenso alla criminalitá', di un vicolo buio, di una gonna corta, di parole che ti hanno fatto credere che. Succedono, e molto più di quanto faccia notizia, perchè manca l'educazione. Educazione al consenso, educazione di genere, educazione in ogni accezione possibile.
Sono giorni che sto in silenzio, giorni in cui voglio scrivere ma non mi pare mai di riuscire nel modo giusto, e probabilmente nemmeno questo lo è. Sentire di questi casi, prima Palermo poi Caivano, mi ha riportato alla mente un episodio accaduto a Parigi, di cui non ho fatto parola con nessuno.
Eravamo in metropolitana, il vagone era pieno zeppo, io avevo avuto la fortuna di trovare un posto seduta. C'era questo ragazzo in piedi davanti a me, non so come fosse fatto perchè non l'ho mai guardato davvero. Dicevo, il vagone era pieno, ma non c'era motivo per il quale lui dovesse stare così vicino a me. Non c'era motivo, per fare aderire il suo bacino al mio braccio, anche quando ho provato a spostarmi.
Non c'era motivo, per compiere quei movimenti oscillatori, sfregandosi come un animale. Non c'era motivo per nulla, eppure poi l'unica cosa che ho pensato è che mi fossi sognata tutto, che avessi sentito male, che avessi amplificato una semplice casualitá. Che non era possibile, perchè insomma chi potrebbe mai fare una cosa così? Chiedilo, a tutte le tue amiche, chi potrebbe mai fare una cosa così, senti quello che hanno da raccontare.
L'unica cosa da bonificare sono i pensieri, signora mia, lavorare su ciò che gli uomini si sentono in grado di poter fare.
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elperegrinodedios · 1 year
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Se non curi il tuo giardino non nasceranno fiori e se non li annaffi la loro bellezza sfiorirà presto e si seccheranno. Sai quel famoso pollice verde altro non è che l'amore che riversi, che tu riesci a trasmettere e a trasferire, a tutto ciò che vuoi curare, piante, animali, persone. So quello che dico, posso sostenere con certezza queste mie affermazioni e convinzioni. Ci fu un tempo, nel quale la mia compagna ricchezza, mi lasciò per fare spazio ad una meno desiderata povertà. E cosi, non potevo permettermi neanche più una bottiglia di vino buono, bevevo il "Tavernello" in cartone, e acqua del rubinetto di casa. Passavo tutto il tempo libero, a curare la mia mini serra di bonsai. Si bonsai, che però io non potevo più neanche comprare per poterli curare e dunque estirpavo le radici di alberi a Castelfusano o nei vari luoghi, tuttintorno il mio centro sportivo, la "taverna del pellegrino". Erano piccoli arbusti di alberi appena nati ed erano umili e poveri come me cosi che li sentivo miei compagni di viaggio.
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E li amavo li curavo li controllavo giorno e notte e come ci insegnano e ci tramandano i maestri giapponesi, incredibilmente li accarezzavo e, ci parlavo e loro mi rispondevano crescendo. E fu cosi che piano piano mi resi conto che tutto mi cresceva rigogliosamente (una volta piantai per prova pochi semi di marijuana che mi regalò un amico senza neanche trattarli prima, beh, dopo pochi mesi, mi è toccato chiamare il mio amico per regalargli a mia volta quattro, cinque piante di cannabis quasi pronte per la raccolta).
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Erano belli quei bonsai ed io li amavo sempre di più. Li annaffiavo il dovuto e li potavo a seconda della forma che volevo dare loro e li cambiavo di posto ed ogni volta che germogliava una nuova fogliolina io mi appassionavo sempre di più. Già, proprio come l'amore, che più ne dai più ti viene voglia di darne, più ne bevi, e più arsura ti viene.
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Per raccogliere, devi seminare, il pollice verde è niente altro che amore e per essere amato, devi amare, curare, annaffiare, accarezzare e parlare.
Si, funziona per le piante, gli animali, le persone.
lan ✍️
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tradimento-mortale · 2 years
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Chissà se adesso stai bene.
Chissà se adesso stai bene.
Non so per quale motivo me lo chieda di continuo, non credo neanche mi interessi davvero, però so che vorrei saperlo. Vorrei soltanto saperlo. Chissà se adesso stai bene. Ora che non ci parliamo più, al massimo ci spiamo, convinti che qualche foto possa bastare per intrometterci nelle nostre vite. Vorrei vederti un’altra volta. Vorrei che ci incontrassimo per la strada in uno di quei giorni in cui non c’è il sole ma non piove nemmeno, uno di quei giorni neutri, grigi, anonimi, che se ne stanno a metà, quando non sai bene come vestirti, come sentirti, dove andare. Vorrei che mi passassi di fianco e che abbassassi lo sguardo vedendomi, cercando di aggirarmi come se fossi un imprevisto, una buca sull’asfalto, per poi trovarti pochi minuti dopo esattamente sul mio stesso autobus vuoto, a due sedili di distanza, come se incontrarti fosse scritto, dovuto, necessario.
Io probabilmente mi avvicinerei lentamente, senza farmi vedere, in silenzio, come uno qualsiasi, come uno di quelli che viene a chiederti indicazioni, per andarltu a chiedere se stai bene. Soltanto quello. Ma la risposta non la so immaginare. E non so nemmeno quale risposta voglio immaginarmi. Forse nemmeno mi guarderesti negli occhi, nemmeno mi chiederesti di ripeterti la domanda, come si fa quando hai capito benissimo ma sei disorientato da quello che ti hanno chiesto. Forse. Forse lo capirei subito come stai, soltanto avvicinandomi. Proprio come succedeva prima, quando mi bastava un tono di voce, un gesto, un movimento, per conoscere, per sapere, per capirti. Ma adesso no, non ne sarei capace. Forse. Forse adesso dovrei sentirmelo dire, forse dovremmo dircelo come all’inizio, come le prime volte, quando ci vedevamo e ci guardavamo. Costruendo, ignari, quello che un giorno saremmo diventati. In fondo conoscersi è saper dedurre. Saper intuire. Saper leggere. Saper capire. Capire e capirsi dove gli altri non arrivano mai, perché non vogliono, perché non riescono, perché non possono. Stare insieme è concedersi quella libertà, prima di tutte le altre.
Noi eravamo completamente guidati dall’intuito. Ci capivamo e basta. Era già tutto chiaro. Bianco. Evidente. Non serve chiedere permesso per entrare reciprocamente l'uno nell'altro. Entravamo e basta. Ed era tutto lì. Dentro. Sotto. E intorno ai nostri occhi. Ai nostri gesti. Alle nostre bocche. Stare insieme significa scoprirsi ogni volta senza nessuno sforzo, senza rompere nessuna serratura. Significa trasformarsi e tramutarsi in chiave e in serratura a seconda del bisogno. A seconda delle necessità. A seconda fragilità.
Spiegarsi senza darsi spiegazioni.
Eravamo essenziali.
Sintetici a parole, espansi tutt’intorno.
Ora vorrei che il caso ci mettessedavanti per sapere se stai bene.
E se non proprio davanti, almeno sullo stesso autobus. Che poi sarebbe solo una scusa per capire come ci siamo ridotti. Per capire cos’è rimasto. Ma tanto capirei al volo. Capirei che non mi rispondersti. Ti alzeresti e se ne andresti, sfiorandomi per sussorrarmi di lasciarti andare.
Ti guarderei sfumare dietro alle porte mentre si chiudono.
Ti guardare sfumare davanti alle crepe del cuore mentre si aprono.
Non farei nulla, non cercherei di fermarti, non ti inseguirei. Tornerei al mio posto a guardare le macchine e la gente che passa fuori, con la fronte schiacciata contro il finestrino gelido.
Mi farei bastare il tuo andarsene come risposta.
Ci rifletterei su e dopo qualche canzone forse starei meglio. Sicuramente meglio di ora, che non ho niente su cui riflettere. Cazzo forse sto già riflettendo. Ora non ho veramente più nulla.
Nulla.
Nulla.
La malinconia mi ingoia.
Chissà se stai bene.
Chissà se veramente non riuscirei a fermarti mentre ti allontani. Di nuovo.
Chissà se riuscirei a non riflettere. Di nuovo.
Chissà se stai bene. Di nuovo.
Bip.
È la mia fermata. Scendo.
Di nuovo.
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intotheclash · 10 months
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Mezz'ora dopo bussammo alla porta di casa del mio amico Pietro. Il vecchio si era lamentato per tutto il viaggio. Ma che cazzo di strada, che cazzo di posto, che cazzo di buio, non c'era una cosa che gli andasse bene. E giù una sfilza di cazzi che, se li avessi detti io, avrei preso sberle fino ai venti anni. Non vedevo l'ora di diventare maggiorenne per poter dire quello che volevo senza problemi.
Ci venne ad aprire il fratello di Pietro, che, appena ci vide, sfoderò un sorriso sfavillante. "Ciao giovanotto, che piacere rivederti!" Disse. E sembrava davvero che fosse felice. "Ciao, Antonio." Risposi. E basta. Senza sorridere e con troppo distacco. Iniziavo a comprendere la gravità della situazione. Lui sembrò non accorgersene, o fece finta, mi arruffò i capelli e rivolse la sua attenzione al mio vecchio: "Buonasera, con chi ho il piacere di parlare?" Mio padre ci mise un po' a rispondere, rimase lì a fissarlo con la bocca leggermente aperta. non si aspettava che dietro il primo portone, ce ne fosse un altro, altrettanto imponente e massiccio. Antonio era un vero gigante. "Piacere di conoscerti, Antonio. Io sono il papà di questo fringuello e mi chiamo Alfredo." E gli porse timidamente la mano, credo avesse paura di riaverla indietro mezza stritolata. Antonio gli strinse la mano con vigore contenuto, chissà se fosse possibile uccidere un uomo soltanto stringendogli la mano. "Prego, entrate pure, abbiamo appena finito di cenare ed il caffè è sul fuoco. Potete farci compagnia, se volete." E disse tutto senza mai smettere di sorridere. Entrammo in cucina e la bocca di mio padre si allargò a dismisura. "Caspita!" borbottò sottovoce, "E' enorme! Qua dentro c'entra tutta casa nostra. E, se lo parcheggio bene, anche il mio camion."
Il papà di Pietro, non appena ci vide, ci venne incontro, anche lui sorridente, come se fossimo amici di vecchia data, o, meglio, dei parenti stretti. Anche sua moglie sembrava felice dell'inattesa visita. Insomma, erano tutti felici; manco fosse stata la vigilia di Natale. Io però non sorridevo affatto. E di felicità neanche l'ombra. Ero triste. Triste dentro. E traditore. Incrociai lo sguardo del mio amico, sembrava scrutarmi come volesse leggermi l'anima. Ma credo fosse soltanto la mia impressione di traditore, anche perché ero convinto che lui sapesse sempre ogni cosa in anticipo. Era serio e distaccato, niente affatto preoccupato, chissà come cazzo faceva. Cercai di scusarmi, di fargli capire con gli occhi che non volevo fare la spia. Che ero stato costretto a farlo, per il mio e per il suo bene. non so se ci riuscii.
"Benvenuto. Prego, si sieda, mia moglie le verserà subito una tazza di caffè appena fatto. Poi, se gradisce, sarò io ad offrirle un bicchierino, magari anche due, di grappa fatta in casa." Disse l'altro papà al mio.
"In vita mia, mai che mi sia capitato di rifiutare un bicchierino di grappa, figurarsi se ho intenzione di dire no a quella fatta in casa." Rispose il vecchio, perfettamente a proprio agio.
"Benissimo allora. A cosa devo l'onore e il piacere di questa visita?"
"Vede, per quanto riguarda l'onore, spero che rimanga tale anche quando usciremo da quella porta, ci terrei, sul serio. Ma so già che non sarà un piacere ascoltare quanto ho da dirle. E quanto ha da dire mio figlio."
Una pugnalata mi avrebbe fatto meno male. Ecco quindi qual era il suo piano. Farmi fare una figura di merda davanti a tutti. Abbassai lo sguardo e mi concentrai sulla punta delle mie scarpe. In quel momento erano il mio centro del mondo. Nient'altro sembrava degno della mia attenzione e...E odiai mio padre! Lo odiai con tutte le mie forze per quella vile carognata. Lui avrebbe dovuto proteggermi, sempre, questo si fa con un figlio, non metterlo in mezzo. Ma che cazzo di padre era? Perché mi faceva quella vigliaccata?
Il racconto ebbe inizio. Li mise al corrente dell'incontro-scontro con l'avvocato Terenzi, di come quel figlio di cagna li avesse aggrediti verbalmente al bar, della sua falsa versione dei fatti e delle sue intenzioni di portare in tribunale tutti i ragazzini, padri compresi nel prezzo. non ci mise molto, fu preciso e conciso. Una volta esaurito il preambolo, mi chiamò vicino a se. Era il mio turno. Ero io che dovevo illustrare l'antefatto, che dovevo illustrare la scena del crimine. Mi sentivo peggio di quella volta che mi avevano portato dal dentista. L'attesa in quella saletta squallida era stata massacrante, eppure avrei aspettato tutta la vita, pur di non finire sotto ai ferri. Ma, inesorabile come la morte, toccò anche a me. L'unico ricordo sopravvissuto è il desiderio che si finisse in fretta. Ora ero nella stessa situazione. Doveva finire in fretta. Presi un lungo respiro e iniziai a parlare. Parlai senza mai fermarmi e senza mai, neanche una volta, neanche per sbaglio, guardare in faccia i presenti. Dissi tutto, a testa ostinatamente bassa, ma dissi tutto. Dissi tutto senza togliere, o aggiungere, particolari, cercando, a mo' di discolpa, di calcare la mano sulla prepotenza e la bastardaggine dei grandi. Quando ebbi finito, scese il silenzio, Un silenzio denso, pesante, non era un bel segno. Non lo era affatto.
Il primo a risorgere dalla paralisi generale fu il papà di Pietro. Si alzò lentamente dalla sedia, come avesse un grosso fardello sulle spalle, si avvicinò al mio amico, che era rimasto, per tutto il tempo, in piedi vicino al camino, senza mutare mai espressione, come se si parlasse di cose che non lo riguardavano, e con un manrovescio terrificante gli fece girare la testa dall'altra parte. Una sberla della Madonna! Io al posto suo avrei pianto per una mezz'ora. tuttavia al padre sembrò non bastare. Non ancora. Alzò il braccio per colpire di nuovo, ma non lo fece, non gli riuscì, l'altro figlio, quello più grande, gli afferrò il braccio bloccandolo a mezz'aria.
"Lasciami, perdio!" Urlò, per la rabbia e per lo sforzo.
Antonio, che invece non sembrava sforzarsi affatto, con un tono calmo e glaciale, in verità molto simile a quello del suo fratellino, rispose: "Basta botte. Non servono. Non toccarlo più."
Fu mio padre ad allentare la tensione che si era venuta a creare. "So che non sono affari miei, signore, ma mi permetto lo stesso di dire la mia. E mi scuso fin d'ora per l'intromissione. Suo figlio non merita di essere rimproverato. E, tanto meno, di essere picchiato. Si è dimostrato coraggioso ed altruista, sono qualità rare, specialmente tra i giovani d'oggi. Si è battuto, da solo, contro tre balordi più grandi di lui e lo ha fatto per difendere gli amici, tra i quali, mio figlio. Amici che, tra le altre cose, non hanno mosso un dito per aiutarlo. Meriterebbe un premio, non una punizione! Personalmente, sono venuto per ringraziarlo, ed è esattamente quello che farò." Si alzò dalla sua sedia, si avvicinò al Maremmano, gli tese la mano e aggiunse:" Non sono tuo padre, giovanotto, ma sono lo stesso fiero di te. E sono felice che tu sia amico del mio ragazzo. Grazie, ti sono debitore." Pietro fece un impercettibile segno di ringraziamento con il capo e gli strinse la mano. Suo padre si voltò verso il mio, lo soppesò con gli occhi, poi: "Le va di uscire un attimo? Vorrei parlarle in privato." Disse.
"Volentieri, ma prima di uscire, vorrei aggiungere un'ultima cosa, prima non me ne ha dato il tempo. Comunque vada avanti questa storia, qualunque piega prenda, voglio che sappiate che non resterete mai da soli. Io sto con voi, anche i miei amici sono della partita. Avete la mia parola. Gli facciamo il culo a quel figlio di padre ignoto dell'avvocato!"
E uscirono.
Un coro di emozioni mi stava cantando negli orecchi. Tante voci confuse insieme, con il risultato di confondermi ancora di più. Ero deluso da me stesso, ero triste, arrabbiato, confuso, affamato. Si, tra le tante cose, mi era arrivata anche la fame. Ma soprattutto sentivo il bisogno di parlare con Pietro. Volevo scusarmi, spiegare le mie ragioni, volevo che capisse, doveva capire! Con fare incerto, mi avvicinai, eravamo rimasti soli. Antonio era uscito, non so per dove, ma non era più lì e la madre era salita al piano superiore, forse per preparare i letti.
Avevo un groppo in gola, ma non mi avrebbe fermato. "Io non volevo...Scusami, Pietro, avrei dovuto tacere, non dire nulla, ma mio padre mi ha costretto. mi avrebbe ammazzato di botte!" Che figura di merda! Lui aveva preso una sventola paurosa senza fare un fiato ed io mi ero cagato addosso solo per la promessa di prenderle. Proprio una gran bella figura di merda. Poi mi ricordai che non era solo per quello, che avevo parlato anche perché, al mio vecchio, avevano raccontato delle falsità. "Poi Alberto Maria aveva raccontato un mucchio di stronzate, per non dire al padre che le aveva buscate da uno più piccolo, così ho dovuto dire la verità! Io..."
"Chi è Alberto Maria?" Mi chiese, come se fosse appena arrivato. Come se in tutto il casino che era scoppiato lui non c'entrasse affatto.
"Come chi è? Quello che se ne è tornato a casa con il naso spappolato!" Risposi tutto d'un fiato. Poi feci una cosa di cui mi vergognai immediatamente. E di cui mi vergogno ancora. Scoppiai a piangere come un poppante cui hanno rubato il ciuccio. Saranno state le troppe emozioni accumulate, non saprei, il fatto è che un fiume di lacrime mi sgorgò dagli occhi e non riuscii a trattenerne neanche una.
Pietro rimase immobile e immobile la sua espressione distante, poi si voltò, mi guardò serio, mi cinse le spalle in un abbraccio e disse: " Non stare lì a preoccuparti, amico mio. Hai fatto la cosa giusta. Tanto, prima o poi, i miei lo avrebbero saputo lo stesso. Al tuo posto, avrei fatto la stessa cosa."
Non era vero, lo sapevo. lui era un duro, un duro vero, non gli avrebbero cavato una parola, neanche con le pinze. Però gli credetti lo stesso. Avevo bisogno di crederci e lo feci. Mi sentii subito meglio. Eravamo ancora amici. Era proprio forte il Maremmano, sapeva sempre cosa dire e fare. Era un grande. Più grande degli adulti.
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kon-igi · 9 months
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Ciao Kon. Sono una sanitaria pubblica da molti anni. Sempre più spesso sento il peso di un'organizzazione che pezza ma non risolve, delle responsabilità assolte e liquidate con una pacca sulla spalla. Della stanchezza. Non ho più entusiasmo. So che è il momento d'oro del privato, ma non ho mai creduto alla favoletta del Bengodi, prima gli schiavi erano loro, adesso noi, la ruota prima o poi girerà di nuovo e resteranno sempre i conti da pagare. Certe vicende personali rendono tutto più pesante per il lavoro continuo che devo fare su me stessa. La professione mi ha curata tanto, adesso è come se l'avessi associata al mio malessere e volessi almeno cambiare posto... ma finora oltre a sentirmi dire che sono brava e l'occasione ci sarà, non ho ottenuto alcun miglioramento. Anzi. Sento di poter andare avanti, di essermi almeno allontanata un po'dal baratro della depressione, ma sento sempre addosso le sue dita viscide e l'impasse di non saper decidere cosa potrebbe essere meglio per me professionalmente, come mettere in fila le priorità. Non ti chiedo risposte, solo grazie di ascoltarmi, adesso come altre volte. Grazie.
Sai qual è il tuo errore?
Lo stesso che ho fatto io cioè credere che chi è sopra di te nella struttura piramidale organizzativa si occupi della cura degli altri con le tue stesse motivazioni.
E bada bene che il mio non è un giudizio sul singolo (esisteranno sempre persone ben motivate quanto abietti approfittatori) ma una considerazione sul sistema: più sali nella piramide, più paiono piccole le persone, fino ad assomigliare a numeri tutti uguali... e a volte diversi, quindi meno importanti.
E più sali, più diventano grandi le pressioni che ti fanno e i compromessi a cui devi scendere per evitare che il castello di carte crolli.
Perché il castello di carta, questo castello di carta E' destinato a crollare, senz'ombra di dubbio alcuna.
Da una parte c'è l'inclinazione di molte persone alla cura e all'accudimento (alcuni usano il termine 'missione' ma a me fa schifo perché sottintende abnegazione, sacrificio e troppo spesso annullamento) e poi ci sono quelli che soppesano le scelte con la bilancia del profitto, perché in una società come la nostra questo è il metro di misura che va per la maggiore...
L'utilità.
Prendi un cane non perché sia un membro della tua famiglia ma perché faccia la guardia, studi non per essere migliore della persona che eri ieri ma perché ti eleva nella succitata piramide, aiuti qualcuno non perché si vada avanti tutti assieme ma perché poi lui saldi il suo debito con te, costruisci non per la gioia della creazione ma per competere, ami non per 'sentire' l'altro ma perché l'altro ti ascolti e basta.
Io ho 'risolto' il problema fuggendo, letteralmente, anche solo dalla visione di quella piramide (senza nemmeno interessarmi al posto che avevo in essa) e lavorando in un contesto piccolo, in cima a una montagna e fuori dal mondo.
Detto da altri, avevo tutte le carte in regola per 'fare carriera' e per un po' ho avuto il pensiero e l'illusione che, magari, sulla parte alta della piramide avrei potuto fare qualcosa per cambiare le cose ma vedendo con chi avrei dovuto avere a che fare mi sono reso conto che non avrei avuto le forze fisiche e psichiche e che molto probabilmente sarei dovuto soccombere a quella merda che è la realpolitik.
No, grazie.
Preferisco aiutare e prendermi cura degli altri stando in basso, venendo deriso da colleghi che hanno fatto carriera e portando a casa uno stipendio decisamente modesto ma senza aver abiurato nemmeno per un attimo a quello che mi ero ripromesso tanti anni fa, quando ho cominciato a fare questo mestiere...
Nessuno verrà lasciato indietro.
Ed è faticoso perché le bestemmie te la cavano a forza dal cuore, con i loro sotterfugi, i loro compromessi al ribasso e la loro cecità verso tutto tranne che il guadagno e la gratificazione di un ego gonfio come la vescica di un alcolizzato.
E allora non rimane che aiutare dal basso, ignorando le false lodi da giuda iscariota, continuando per la nostra strada e spesso scegliendo quella che per altri è meno conveniente... ma certe persone non cercano il lustro o la gratificazione fine a se stessa.
Io con l'utilità dettata dagli altri è trent'anni che mi ci pulisco il culo.
Piango chi è andato insieme a chi è rimasto, tendo mille mani alle mille e uno persone che hanno bisogno (perché davvero non li puoi salvare tutti) e nella folla con cui proseguo il cammino verso non so dove mi tengo strette le persone a cui voglio bene.
Quando il castello di carte crollerà, tu sarai lontana e di gran lunga migliore di chi ti maledirà, perché nemmeno allora ti avrà voluto dare ragione.
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arreton · 6 months
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Vedevo le cause del mio crollo depressivo nel fatto che erano stati quelli precedenti degli anni pesanti e dunque non ne reggevo più il peso: corretto ma non del tutto. Il fatto è che ho iniziato a stare seriamente male quando tutto intorno a me stava iniziando ad andare meglio, perché? Me lo chiedevo anche allora. Perché mi sono scontrata con il senso del futuro che una vita sana ti dà, senso del futuro che non riuscivo nemmeno ad immaginare: ero abituata troppo al mondo depresso e senza speranza che mi circondava. Il problema non era solo culturale, non era solo il paese, ma era anche e soprattutto la mia famiglia. È da qualche tempo che dico che mi porto dietro i traumi dei miei e li sto vivendo io al posto loro, ma pensavo che erano le loro paure, i loro timori, invece no: mi porto dietro i lutti e la depressione che non hanno mai affrontato. Loro non sono depressi no, perché lo sono io al posto loro. Vivo io la depressione di mio padre al posto suo, vivo io il disturbo d'ansia di mia madre al posto suo. Non so, a dirlo così sembra quasi fantascienza e francamente è pure doloroso da far spuntare le lacrime; ma adesso mi sembra tutto così chiaro e cristallino che mi lascia sconcertata e mi chiedo: com'è possibile? Mi chiedo come un figlio può essere così tanto una prolunga dei propri genitori. Mi viene in mente allora la scena della Creazione: Eva che viene creata dalla costola di Adamo. Io sono Eva, Adamo sono i miei genitori. Nel crearmi hanno preso tutta la loro malattia e l'hanno installata in me, sono la loro merda psichica, il loro dolore, la loro rabbia. Mi viene in mente la frase di una canzone "chi sono io senza di noi?" e ho voglia di vomitare perché a parte vedermi una prolunga dei miei non riesco a vedere altro. Cristo. La mia fortuna è essermene andata via. Mi torna in mente sempre quella domanda che mi fece lo psicologo: qual era l'atto più coraggioso che io avessi mai fatto? Essermene andata da casa mia. Mai risposta fu più vera e me ne rendo conto profondamente solo dopo due anni dall'averla pronunciata.
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yomersapiens · 7 months
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Vorrei farti delle domande citando un grande poeta e/o pensatore dei nostri giorni: Come stai? Che hai fatto oggi? Che t'è stai a vedè ultimamente?
Stavo passando la serata a giocare online con i miei amici da diverse parti del pianeta come ogni lunedì, BG3 è davvero molto bello se giocato insieme a persone di cui ti fidi ma ahimè sti due si sono messi a litigare e hanno interrotto la partita e io mi sono ritrovato ad avere il lunedì sera libero, cosa che non capita mai. Così mi sono detto che ok, posso rispondere a qualche domanda senza sentirmi in colpa per non avere nulla da dire. (Poi mi dici chi è sto poeta che citi).
Sto in una fase di eterna attesa e l'ho scritto proprio qualche giorno fa e mi sembra che niente abbia voglia di iniziare. Ho pure scritto delle mail per chiedere almeno a chi ha ricevuto delle mie proposte di battere un colpo ma niente, letargo. Diresti che c'è ancora qualcuno che dorme nonostante le temperature siano quasi vicine ai venti gradi? Almeno qua a Vienna, non so dalle tue parti. Sai una cosa, ho sempre paura che i miei desideri poi si avverino. Che ci sia qualcuno lassù in alto in ascolto e che, estenuato dal mio ripetere ogni inverno "che vita di merda qua a Vienna fa sempre freddo è sempre grigio non smette mai di fare schifo il tempo" abbia deciso di punirmi esaudendo il mio desiderio di cambiamento. Ecco perché fa caldo ma io non riesco a godermela perché penso al collasso climatico.
Oggi andare in bici è stato bello. Allo psicologo ho spiegato che da noi, in italiano, paziente e pazienza hanno la stessa origine e per noi è ovvio pensare che un paziente debba avere pazienza ma che per loro, per sti poveracci di austriaci, non è così immediato. Loro per dire pazienza dicono Geduld e per dire paziente dicono Patient, ok dicono anche Geduldig per dire quando uno è paziente ma non nel senso di paziente paziente, nel senso di paziente paziente, capito? Ecco. Nemmeno io. Tantomeno il mio psicologo che oramai secondo me annuisce e aspetta lo Stato gli versi i soldi che io non ho. Ho parlato un sacco in tedesco oggi. Forse troppo. Ho parlato pure in inglese ma poi mescolavo le parole. Sono stato a fare da traduttore per degli amici che hanno un'azienda che fa miele. Andiamo in questo hotel a quattro stelle, aspettiamo nella lobby e tutto sembrava finto. C'erano un sacco di oggetti da hotel di quelli che vedi ovunque, anche le persone che entravano e andavano verso le loro stanze erano persone standard che vedi ovunque. Poi arriva il nostro interessato e dopo essersi presentato sbatte sul tavolo il portafoglio dal quale escono almeno una ventina di banconote da cento euro più altre valute che non conosco, penso dollari perché avevano le cifre scritte con caratteri orrendi. Puzzava l'alito a tutti ma io dovevo ascoltare e tradurre e fare da intermediario mentre cercavo pure di capire se sto tizio pieno di soldi fosse una persona affidabile o meno. Quanto dolore provo quando sento odori fastidiosi. Dopo quasi due ore finalmente ce ne andiamo, raccogliamo i barattoli di campioni omaggio e prima di salutare mi dice che adesso vende una delle sue case perché ne compra una sulla palma a Dubai. Io gli dico che bello, una casa su un albero. Lui mi fa no no hai presente quel posto da ricchi che c'è a Dubai che ha la forma di una palma e ci sono le case vicino all'acqua nel deserto ecc ecc e io lo fermo e gli dico guarda, beato te che ti puoi permettere di fare sti acquisti e spero pure che ti diano gioia, a me piace spendere massimo 2€ su vinted per comprare una carta pokémon dall'illustrazione caruccia. Io la gente con i soldi non la capisco. O con i soldi apparenti, chissà se non era una montatura per ottenere del miele gratis. Cioè io lo farei ma perché assomiglio sempre di più a Winnie the Pooh come mi dice sempre Pimpi. Ora per rilassarmi stavo cercando altre carte nuove dove investire una manciata di euro, per quei quindici secondi di felicità che mi donano quando le guardo al sole e ne ammiro i riflessi.
Poi andiamo avanti, cosa sto guardando. Blue Eye Samurai su Netflix mi ha preso molto, inaspettatamente. Sharp Objects anche, HBO, fatta molto molto bene. Me l'ero persa qualche anno fa e sto recuperando. L'ultima stagione di Curb your Enthusiasm perché poi Larry David ha deciso di smettere e sono parecchio triste dato che lui è il mio animale guida, tutta la mia vita attuale è una mera scopiazzatura del personaggio creato da lui. Infine, lo aggiungo io, sto leggendo Dune. Ci sto riuscendo. Sono molto orgoglioso perché l'ho sempre ritenuta una grande mancanza, soprattutto di voglia, non essere riuscito a portare a termine la lettura perché annoiato dall'ampollosità di Herbert e invece toh, sarà che sono un vecchio rompicoglioni, ma mi sta piacendo. Forse pure perché mi immagino quel bono di Chamalamet (non voglio googlare come si scrivere il suo nome correttamente la mia è una scelta politica) e allora scende giù più saporita. So di stare tradendo il Dune di Lynch ma pure lui dice non c'aveva capito un cazzo mentre lo girava e in effetti dai era palese.
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turuin · 7 months
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Ogni tanto penso a quel verso di una canzone dei Fleet Foxes che fa: "Into town one morning I went / Staggering through the premonitions of my death" e penso ecco, questo è quello che faccio da un po' di tempo a questa parte, barcollo tra le premonizioni della mia morte.
Io me lo vorrei spiegare come funziona il mio cervello, ma non posso, non so e poi, in definitiva, non voglio. M'accontento il più delle volte, e quando non lo faccio darei a fuoco l'universo intero.
Spesso capita di fantasticare su quale superpotere sarebbe bello avere, o su quale opportunità: il governo del mondo intero; la capacità di far sparire ogni crimine, o distruggere tutte le armi in un momento; il potere di controllare le menti; il potere di convertire tutti al bene. E ogni volta, queste fantasticherie mi portano a una conclusione, ad una soltanto: ne abuserei, e diventerei una calamità per l'intera umanità.
Ho preso il me-ombra a braccetto, e l'ho portato a fare due passi, e ho perso il conto di quante volte ci siamo scambiati di posto. Non sono io, è il mondo; non è il mondo, è la vita. Non è la vita, sono io. C'è uno specchio che riflette perfettamente un altro specchio e a starci in mezzo vengono dei bei capogiri; ma non vengono, quando si è lo specchio. Quale dei due? Non conta, o forse non ha neppure senso chiederselo.
Forse devo fare ordine, ogni tanto, nel mio palazzo mentale, e magari quell'ordine si rifletterà anche al di fuori.
Domani, spero sia bel tempo.
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gregor-samsung · 10 months
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“ Stanno appoggiati al reticolato. Di quando in quando uno barcolla via, e subito un altro si mette al suo posto. I più tacciono, qualcuno mendica un mozzicone di sigaretta. Io vedo le loro figure brune, le barbe ondeggianti al vento. Nulla so di loro, se non che sono prigionieri di guerra, e ciò appunto mi turba. La loro vita è senza nome e senza colpa. Se sapessi qualcosa di loro, come si chiamano, come vivono, che cosa aspettano, che cosa lì affligge, il mio turbamento avrebbe un senso e potrebbe diventar compassione. Ma così non sento dietro il loro volto se non il dolore della creatura, la tremenda tristezza della vita e la crudeltà degli uomini. Un ordine ha trasformato queste figure silenziose in nemici nostri; un altro ordine potrebbe trasformarli in amici. Intorno a un tavolo un foglio scritto viene firmato da pochi individui che nessuno di noi conosce, e per anni diventa nostro scopo supremo ciò che in ogni altro caso provocherebbe il disprezzo di tutto il mondo e la pena più grave. Chi può più distinguere e giudicare, quando vede questi poveri esseri silenziosi coi loro volti di fanciulli e con le loro barbe d'apostoli! Ogni sottufficiale per la sua recluta, ogni professore per i suoi alunni è un nemico peggiore che costoro non siano per noi. Eppure noi torneremmo a sparare contro di loro ed essi contro di noi, se fossero liberi... Qui mi fermo spaventato: non debbo andare avanti. Questi pensieri conducono all'abisso. Non è ancora tempo per approfondirli; tuttavia non li voglio lasciar dileguare, li voglio serbare, chiudere in me, per quando la guerra sarà finita. Mi batte il cuore: è questo dunque lo scopo, il grande, l'unico scopo, al quale ho pensato in trincea, quello che io cercavo come sola possibilità di vita, dopo questa rovina di ogni umanità: è questo il cómpito per la nostra vita di domani, degno veramente di questi anni d'orrore? Mi tolgo di tasca le sigarette, rompo ciascuna in due parti e le do ai russi. Si inchinano e le accendono. Ecco che sui loro visi brillano qua e là punti rossi, e mi consolano; sembrano piccole finestrelle chiare su facciate di oscure capanne, che rivelano, dentro, rifugi di pace... I giorni passano. In una mattinata nebbiosa si fa il funerale di un russo: quasi ogni giorno ne muore qualcuno. Sono di guardia mentre lo seppelliscono. I prigionieri cantano un corale a più voci: neppure sembrano voci, sembra un organo che risuoni da lungi sulla radura. Il funerale è presto finito. A sera i russi stanno di nuovo al reticolato, e il vento viene a loro dai boschi di betulle. “
Erich Maria Remarque, Niente di nuovo sul fronte occidentale, Mondadori (collana Oscar n° 30), 1965; pp. 158-160.
 NOTA: Il testo apparve dapprima sui numeri di Novembre e Dicembre del 1928 del giornale berlinese Vossische Zeitung, quindi in volume dal titolo Im Westen nichts Neues il 29 gennaio 1929 per l'editore Propyläen Verlag ottenendo un immediato successo internazionale.
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ossicodone · 2 years
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Ho sempre guardato con ammirazione le persone che a un certo punto della loro vita decidevano di lasciare questo social, più o meno come quelli per cui l'ultima sigaretta, era davvero l'ultima sigaretta, non come la sigaretta della coscienza di Zeno. Non so cosa scattasse in loro, ho sempre visto tumblr come un posto sicuro dove vomitare miei pensieri, mie intimità e mano a mano rapportandomi anche con altre persone nel corso del tempo son cambiato tantissimo. Son cambiato nel momento in cui ho eliminato il mio primo blog con cui son diventato più popolare, ma si dai avete capito, quello con sessanta mila e passa followers che non so perché siano capitati a me ma che mi son ritrovato di punto in bianco dopo aver scritto una sorta di poesia, sì i più datati si ricorderanno di quale parlo. Lo cancellai e ne aprii un altro in cui il mio anonimato duró poco perché il mio stile di raccontare le cose era facilmente riconoscibile. Accettai di nuovo di essere in vista dai più, ma ero molto diverso. Meno scritti intimi, più cose sarcastiche, accadimenti divertenti della mia vita, risposte a domande anonime solo di carattere medico o consigli. Che poi mi ci vedete a me a dare consigli? Eppure oh, sembrava funzionassero. Son bravo a predicare ma poi quando si tratta di me son una chiavica. Una chiavica vera, un inetto, un Serafino Gubbio operatore che guarda da lontano la sua vita da una cinepresa e non vi partecipa. Vabbè fatto sta che lasciai l'ennesimo blog per farne un altro e fingermi una ragazza, per un periodo son stato Jasmin e scrivevo solo, non avevo interazioni con nessuno e poi alla fine è finita che mi han riconosciuto anche lì. Arrivo ad oggi che non so davvero cosa posso dare di più su questo social, dopo quindici anni sento di aver dato forse troppo in pasto a chi poi ha rigirato spesso le cose a suo favore, giusto per parlare di qualcosa con le amiche, giusto per avere una freccia in più al loro arco da poter scoccare al momento giusto. Arrivo ad oggi in cui non mi sento partecipe di questo mondo, tantomeno di questo social. Non mi sento più, vivo ma non vivo ed è davvero logorante per me continuare a fingere di star bene quando la mattina l'unico pensiero che ho è: "e pure oggi non sto fra i convocati del Signore". Magari questa cosa di salvare il mondo, aiutare il prossimo mi si sta ritorcendo contro. Faccio miei dolori altrui, i miei non so risolverli, accumulo e non voglio farmi aiutare perché non sia mai che porto nella merda qualcuno a me caro. E sto in questo loop, in questo mio inferno personale, creato su misura per me da me medesimo. E chi meglio di me poteva costruire questo castigo infernale? Forse voglio punirmi, ma per cosa? Perché continuo? E se me ne andassi? Ma ci pensate, se da domani io non esistessi più e tutto ciò che rimanesse di me sarebbe questo post? Credete sia possibile? Andarsene in silenzio, in punta di piedi, senza scomodare o disturbare nessuno, perché non voglio questo. Ma cosa voglio per me? Davvero non sarebbe bello? Sparire, da ogni social, non essere più partecipe. Oggi mi han detto:"lei mi ha salvato doc" e son stato felice ed ho pensato alla mia promessa:" una vita per una vita". Certo me lo ha detto la nonnina dissociata di ottant'anni, ma per lei io in quel momento l'ho salvata. Salvare, salvarsi, una vita per una vita. Sono pronto.
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Cara Sara,
Forse è un po’ all’antica scrivere lettere, però mi piace l’idea che questo discorso non svanirà nell’aria e che rimarrà per sempre con te, se lo vorrai…
Tu sei stata la mia ancora, il mio punto di forza, una sorella maggiore, e molto altro ancora. Quando avevo bisogno di un consiglio, di un aiuto o semplicemente di una spalla su cui piangere, tu c’eri sempre, semplicemente oltre la porta di casa mia. Non hai idea di quante volte ho provato paura o ansia a causa di una qualsiasi situazione che stava avvenendo, ma riuscivo a calmarmi semplicemente pensando “c’è Sara qui accanto, se le cose dovessero andare male”. È vero, non sei una maga (o almeno credo), eppure hai sempre avuto le risposte esatte al momento esatto, magicamente sapevi cosa volessi sentirmi dire in quel momento o cosa avessi bisogno di sentirmi dire. Tante volte mi sei venuta incontro, mi hai capita, mi hai accolta tra le tue braccia, e tante altre volte mi hai rimproverata se stavo sbagliando e mi hai fatto capire i miei errori. Sin da quando ero piccola, e ora che sto crescendo ancor di più, sei sempre stata per me un “modello da seguire”, una donna indipendente, forte, bella, altruista, che nonostante le difficoltà della vita aveva sempre il coraggio e la maturità di rialzarsi e andare avanti. Sappiamo entrambe le batoste che hai preso dalla vita, e sicuramente non sono poche, eppure, ognuno di questi brutti momenti ti ha aiutata a fortificarti e a diventare la donna meravigliosa che sei oggi. Il mio più grande desiderio è quello di poterti somigliare almeno un po’; quando sarò grande, spero di avere la tua stessa forza, il tuo stesso coraggio e la tua stessa determinazione.
Ti ringrazio perché in uno dei periodi più bui della mia vita, mi hai mostrato che c’era una via per uscirne, mi hai fatto capire che c’era una vita avanti a me ad attenermi, mi hai mostrato la direzione verso la luce e mi hai guidata. Mi hai amata senza mai chiedermi nulla in cambio, se non fosse stato per te e per la tua famiglia, che rappresentate per me una seconda famiglia, io probabilmente non avrei mai capito cosa significa amare ed essere amati senza alcun secondo fine. Tantissime volte hai nascosto dietro ad un sorriso il tuo dolore, e tutto questo per farmi forza, tante volte nonostante avessi da fare fare mille cose, trovavi sempre del tempo per me, hai sempre messo tutto in stand by per me, mi hai fatto sentire la priorità, ed è bello, sapere che esiste qualcuno al mondo per il quale sei talmente importante, da mettere te al primo posto. Ti sono grata di esistere, perché senza di te la mia vita non sarebbe stata la stessa, e io non sarei stata la stessa, mi hai dato importanti lezioni di vita che custodirò per sempre nel mio cuore e mi hai donato un’ Infinità di meravigliosi ricordi grazie ai quali so che la vita è bella, se la condividi con qualcuno di speciale come te.
Grazie per avermi concesso l’onore di sentirmi partecipe della tua famiglia, grazie per aver amato i miei fratelli come se fossero anche i tuoi.
Grazie per avermi capita, amata, supportata, sopportata, appoggiata, rimproverata, accudita, coccolata.
È vero, il pensiero di non poter semplicemente bussare un campanello quando le cose andranno male o quando andranno bene, o semplicemente perché mi va di vederti, un po’ mi spaventa, però si sapeva che prima o poi questo sarebbe successo, e ci farò sicuramente l’abitudine, ma in questo momento non è molto semplice per me accettarlo.
Sono felicissima per te, perché meriti il meglio dalla vita, ti auguro tanta gioia e tanta felicità, perché una persona pura come te al mondo non esiste. Sappi solo, che se anche non saremo più porta a porta, io sarò ugualmente felice se lo sarai anche tu, infondo come mi hai detto tu un po’ di tempo fa, “io sono la tua sorella maggiore”, è vero, non di sangue, ma per scelta. Io penso che più che una scelta, sia stato il destino a farci incontrare, perché il nostro legame è fortissimo e non ci separeremo mai, la mia mente e il mio cuore saranno sempre dove sarai tu.
Questa non è una lettera di addio, infondo ci continueremo a vedere molto spesso, è solo una lettera per dirti tutto ciò che non ti ho detto e che più volte ho dato per scontato, una lettera di augurio per questo nuovo importantissimo capitolo della tua vita che stai per aprire e una lettera che potrai rileggere quando magari sarai un po’ giù di morale e vorrai sentirti dire belle parole, parole sincere, parole che sappiano cullarti e accarezzarti, pur non essendo nient’altro che un po’ di inchiostro su un foglio bianco.
Commarella mia, ti voglio un mondo di bene, grazie di tutto, grazie grazie grazie, non potrò mai ripagarti per tutto il bene che mi hai donato, te ne sarò eternamente grata.
Per concludere,
ovunque,
per sempre,
io e te,
lontane,
vicine,
con la mente o con il cuore,
rimarremo legate fino all’ultimo battito.
In un’altra vita, se dovesse esserci, mi auguro solo di rincontrarti, perché se ho te al mio fianco, il mondo mi fa meno paura.
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harshugs · 28 days
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ora vi racconto la mia disavventura (spoiler: finita bene) di ieri: erano le tre di notte e dopo essere uscita con la mia migliore amica a fare un giro e a giocare a carte in piazza come delle vecchiette decisi di chiamare il taxi per tornare a casa. Generalmente per pagare un po' meno (e in realtà anche un po' per la mia sicurezza) non mi faccio mai lasciare davanti al portone di casa ma all'inizio della via dove abito e per arrivare a casa devo fare una salita e delle scale che con calma si fanno in 5 minuti. Bene, prendo il taxi, arriviamo a destinazione e gli chiedo tranquillamente se potessi pagare con carta, allora il tipo tira fuori il cazzo - no scusate, il pos (mi faceva ridere) - e pago: tentativo rifiutato. Ci riproviamo: tentativo rifiutato. Parte il panico mentale da parte mia, ero sicura di avere soldi nella carta perché sto mese non ho fatto praticamente nessun acquisto costoso, allora inizio a pensare a cosa potessi fare, non avevo nemmeno un'euro in contanti, ma solo poche monetine di bronzo. Il tassista decide di provare a cambiare pos, ne tira fuori un altro e ci riprovo: ennesimo tentativo rifiutato. A quel punto mi rendo conto che non sapevo proprio cosa fare, allora a lui viene in mente di dirmi "scusa ma a casa non hai contanti? sali a prenderli che io ti aspetto qui" e io pensai che fosse un'idea geniale, finché dopo il mio "sì" mi rispose con "allora lasciami il telefono". Inutile dire che io stessi pensando al NUMERO di telefono, e non al telefono fisico...ma lui tende la mano verso di me facendomi capire che del numero non gli fregava proprio niente, voleva il dispositivo. Io ovviamente, scema quale sono, glielo do ed esco dalla macchina e inizio a correre verso casa (vi ricordo che camminando ci vogliono 5 minuti di salita + scale, quindi casa mia non era proprio dietro l'angolo). Mentre corro inizio a insultarmi in tutte le lingue esistenti, e penso "quanto cazzo sono scema, proprio il telefono dovevo lasciargli? avrei dovuto lascarigli non so... - e qui avviene l'epifania della mia vita - la patente! Sai quanti soldi si fa quello lì con il mio telefono?". Ci avrei scommesso una mano che quello sarebbe scappato con il mio iPhone praticamente nuovo e funzionante...per 15€ io ci avrei rimesso un intero telefono.
Vabbè, arrivo al portone, prendo l'ascensore (i secondi più lunghi della mia vita) ed entro in casa, in tutto ciò mia madre mi sente dalla camera e mi chiama, ma io la ignoro completamente, prendo i soldi ed esco di nuovo. Corro giù per le scale e per la discesa che prima era una salita, intanto inizio a pensare a come bloccare il telefono tramite il Mac in modo da fare tutto molto velocemente, arrivo nel posto dove ero stata lasciata e contro ogni mia aspettativa il taxi era ancora lì!! (questo è il mio livello di fiducia verso la specie umana).
e niente la storia finisce con me che gli dico di tenersi il resto e mi scuso un miliardo di volte mentre riprendo il mio bambino (telefono) tra le mie mani, tra l'altro trovando pure una chiamata persa di mia madre tutta preoccupata per la mia premura hahaha
ah, e se ve lo steste chiedendo poi ho controllato sull'app della banca e i soldi ci sono tutti...quindi boh tutto sto casino per poi scoprire di non essere io il problema :(
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