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#irene della casa
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This golden gown, adorned with embroidered flowers on its bodice and skirt, was worn twice in the fairy tale series Sechs auf einen Streich (Grimm's Finest Fairy Tales). Collien Ulmen-Fernandes first wore it as Zuckerfee (The Sugar Fairy) in Nussknacker and Mäusekönig (Nutcracker and Mouse King) in 2015, followed by Alexandra Martini as Princess Isabella in the episode Die Salzprinzessin (The Salt Princess), also in 2015. The gown was worn again in 2022 by Irene Della Casa as Baroness Francesca in Die Kaiserin (The Empress).
Costume Credit: Ann-Mari, Redrosecut
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sisionscreen · 2 years
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I’m pretty sure these two dresses are the same. First time I saw it was on Cristiana Capotondi in Sisi (2009) and it appeared again on an extra in the second episode of The Empress, when Elisabeth arrives in Vienna.
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There has also been another reused dress in The Empress (2022). This golden dress first appeared on two episodes of fairytale anthology series Sechs auf einen Streich. First on Alexandra Martini as Princess Isabella in Die Salzprinzessin and then again on Collien Ulmen-Fernandez as The Sugar Fairy in Nussknacker and Mäusekönig. The Empress used it Irene Della Casa as Baroness Francesca.
Have you spotted any costumes or accessoires you have seen before? If so, report them to the wonderful archive of @recycledmoviecostumes​
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white-queen-lacus · 7 months
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I'm on my way to sharing the epilogue of my YuuMori ff on EFP, yet I can't help but share this Adlock scene because I'm very satisfied with the result! ❤️ I'll put it under spoilers, mostly because it's quite long!
Nel percorrere il salone, Sherlock vide la combriccola impegnata a seguire le spiegazioni di Herder nel mostrare le sue invenzioni. Qualcuno mancava all’appello, ma chi gli interessava non era presente. Nel notare l’assenza del cappotto bianco, soffrì al pensiero di dover lasciare il tepore per affrontare il gelo, ma indossò ugualmente il suo soprabito nero, per poi uscire da una porta laterale. Nel varcare la soglia, si voltò non appena vide Bond, schiena appoggiata al muro e mani in tasca, intenta a osservare il gioco di luci che attraversava il cortile in lontananza. Nell’accorgersi di lui, sgranò gli occhi azzurri. “Sherly?!” esclamò, raddrizzandosi.
“Hai intenzione di rimanere qui a congelare?” chiese, stringendosi nel cappotto.
Bond lo guardò perplessa, poi sorrise con aria maliziosa. “Devo ricordarti la volta che ti sei spogliato per darmi i tuoi vestiti rimanendo in mutande o quella in cui ti sei tuffato nel Tamigi con Will?”
Sherlock non sapeva se essere impressionato o sentirsi a disagio, quindi si appoggiò con la schiena al muro accanto allo stipite opposto della porta. Il fiato gli uscì in uno sbuffo visibile e si limitò a osservare a sua volta i giochi di luce. Pochi istanti e capì cosa ci trovasse. Non aveva mai visto delle luci correre insieme, poi a scatti, poi inseguirsi in percorsi lunghi e tortuosi. Era magnetico. “Herder ne sa una più del diavolo, eh?”
Bond inclinò appena la testa. Sorprenderla nei modi più disparati era da lui, ma raramente l’aveva visto temporeggiare per qualcosa. “Già…” disse tuttavia, tornando a guardare le luci. “Dubito che ci sia qualcuno di più geniale di lui.” aggiunse, con l’intento di punzecchiarlo facendo leva sulla sua proverbiale megalomania. 
Sherlock, invece, non vi dette corda, alzando gli occhi al cielo. Aveva la stessa postura e la stessa espressione di quando, presentandosi a lui in abiti femminili al posto di Moneypenny, durante la missione al Kensington, l’aveva scorto appoggiato al muro, in attesa. Soprabito invernale e sigaretta mancante a parte, ma l’odore del tabacco era sempre lì. Bond gli rivolse uno sguardo nostalgico. Gli aveva detto, in quell’occasione, che la magia di Cenerentola sarebbe durata soltanto per quella notte e così era stato. Dopo aver risolto il caso, Sherlock era andato via e lei aveva fatto ritorno a casa sorbendosi le frecciatine di un redento Moran e i complimenti del maestro Jack. Dopodiché, aveva riposto l’abito azzurro e la parrucca che riproduceva fedelmente i suoi lunghi capelli biondi nell’armadio. Se la parrucca le era tornata utile per ingannare il visconte Simmons, l’abito era rimasto lì, intoccato. 
“Sherly… è tutto a posto?” chiese, con un tono ora sinceramente preoccupato. “C’è qualcosa che devi dirmi, vero? Che ti ha detto tuo fratello?”
Sherlock realizzò di non aver con sé le sigarette. Sempre un passo davanti. Non era mai facile, quando si trattava di Bond. Di Irene. Ogni volta che pensava di raggiungerla, lei sfuggiva. Era stato più semplice, durante la mascherata. Ma quando le maschere cadevano, lui era soltanto un uomo che non aveva idea di come gestire quel sentimento che era nato come semplice incomprensione, poi ammirazione, poi… non sapeva più nemmeno lui stesso come definirlo in un modo che significasse, per lui, dover ammettere qualcosa che aveva sempre rifuggito. Sapeva anche che rivedere quella che John aveva definito la Donna era qualcosa che non avrebbe mai ritenuto possibile e che non era in grado di capire perché ogni qualvolta si avvicinassero, lei finisse con l’allontanarsi. Proprio come le luci del percorso. Correvano insieme, si bloccavano, si inseguivano. Eppure, in un angolo remoto della sua mente, non riusciva a non pensare a quanto fosse orgoglioso del fatto che, in quei tre anni, fosse diventata la punta di diamante del MI6 al punto tale da suscitare la curiosità della stessa Sua Maestà. Più in basso però, nel suo cuore, avvertiva qualcosa di profondamente diverso e sconvolgente. 
“Sherly, dannazione! Ti sei incantato o cosa?”
Battendo le palpebre, si decise a prendere un enorme respiro, poi voltò appena il viso verso Bond. Non aveva idea di che espressione avesse, ma ne vide le guance farsi rosse.
“Sei felice?” domandò, al posto di rispondere. 
“Che… domanda è?” chiese di rimando, incerta. 
“La vita che hai ora… ti rende felice?” 
Il sopracciglio sinistro tremolò e Sherlock affilò lo sguardo. “Beh… non posso dire che non lo sia… insomma, guarda… sono James Bond. L’agente con licenza di uccidere.”
Lui annuì, ripensando alle sue lacrime, la notte in cui si erano congedati. Se non avesse scommesso sul Lord del Crimine, Irene sarebbe morta per mano di Mycroft. E facendolo, Irene era morta ugualmente, dando vita a James Bond. Si chiese se quella fosse davvero la sola strada percorribile, se alla fine, Irene Adler non poteva esistere più. La donna che mai avrebbe potuto dimenticare. La sola che aveva totale controllo sulla sua razionalità tanto da spingerlo persino a mandare in fumo il suo stesso appartamento e a mostrarsi proprio a lei per prima, dopo esser tornato. Non ultimo, quel tarlo che gli arrovellava il cervello al pensiero di lei stretta al suo braccio, della sua espressione inintelligibile… della voglia totalmente irrazionale di stringerla a sé e di prenderne le labbra carnose in un bacio. E poi, quel gesto che aveva fatto quando, prima di scappare dalla residenza Simmons, aveva posato la mano sul ventre fasullo con aria pensierosa… e, durante la cena, il modo in cui i suoi occhi si erano spalancati per un istante mentre Moneypenny annunciava il lieto evento, per poi addolcirsi.
Bond sospirò, notando che Sherlock era completamente chiuso in chissà quali pensieri. A quanto pareva, era di malumore e non aveva intenzione di aprirsi. D’altronde, il fatto che avesse più volte invocato di tornare in America le sembrava già abbastanza penoso. Aveva persino pensato di indossare un abito da donna, quella sera… blu, perché il blu le donava, come lui le aveva detto una volta. Ma negli ultimi tempi, Sherlock sembrava aver deciso di metter da parte qualunque sentimento provasse per lei in favore della risoluzione dei casi che si erano presentati nuovamente alla porta del 221B. Eppure, in quel momento le aveva chiesto se fosse felice. La verità era che era tornata ad esserlo, dopo che lui aveva fatto ritorno. La sola idea le era bastata persino ad esser pronta a mandare al diavolo l’identità che aveva assunto pur di trascorrere del tempo insieme. E non era abbastanza. Distolse lo sguardo, rincantucciandosi nel cappotto. “Io rientro. Effettivamente, c’è troppo freddo.” disse, facendo per rincasare. 
“Irene. Irene Adler.”
Nel sentire il suo nome pronunciato con tono serio e fermo, si bloccò.
“James, Sherlock.” lo corresse, tagliente.
“Per me sei sempre Irene, lo sai.”
Gli occhi azzurri di Bond si fecero lucidi e il suo cuore mancò un battito. “E questo dovrebbe bastarmi, ora?”
“Sei troppo intelligente per chiedermi qualcosa di cui sai già la risposta.”
Bond sbottò, voltandosi di scatto e afferrando Sherlock per la collottola. “Ma voglio sentirlo ugualmente. Da te. Che tu mi dica… una volta per tutte… che cosa provi davvero… Sherlock…” disse e nel mentre, la sua risoluzione si fece sempre più debole, così come la sua presa, nel perdersi negli occhi blu notte dell’uomo che la guardavano come mai. Sherlock tolse le mani dalla tasca, sollevandole fino a posarle sulle sue. Per fermarla. Perché non prendesse freddo. Perché anche soltanto il poterla toccare era la prova che entrambi erano vivi.
“Sei tra gli agenti del MI6 che potranno spostarsi in missione all’estero.” disse e Bond lo guardò con gli occhi sbarrati, incredula. “Cosa?!”
Sherlock strinse la presa. “Se le circostanze lo dovessero richiedere… vorresti farmi da partner?”
“Eh?”
“Sì, insomma… in coppia… come coppia… cioè… aaaaaaah! Maledizione!!” incespicò nelle sue stesse parole, imbarazzato.
“Mi stai chiedendo di… aspetta… non capisco… perché non riesci semplicemente a dire le cose come stanno?!” protestò Bond che, diversamente da lui, capiva fin troppo bene, dal suo modo di fare, che intendeva altro ma, ogni volta, era capace di farla diventare matta. 
“Perché non è facile, Irene! Non è facile…” disse, infine, tornando a guardarla. Nella loro vicinanza, nonostante i capelli corti e l’assenza di trucco, Irene era lì e lo guardava a sua volta, bella, indomita e brutalmente capace di farlo capitolare su una graticola. 
“Quando mai qualcosa per te è stata facile? Tu ami i misteri… le cose complicate…”
Sherlock sospirò, vinto. Persino risolvere il mistero del Lord del Crimine si era infine rivelato meno difficile che capire il cuore e le azioni di quella donna. “E tu sei il mistero più complicato di tutti…” 
Irene sgranò gli occhi, col cuore che aveva preso a batterle forte. Ciononostante, si morse le labbra per non dargliela vinta. “Dillo ancora…” sussurrò, con voce tremante.
Nel sentirla, riconobbe in quel tono lo stesso con cui gli aveva detto addio una volta. Si era voltato altrove, perché non vedesse che in quell’istante, anche lui era commosso. E le aveva detto che si sarebbero rincontrati, se lei fosse stata viva. Lo era. Lo sentiva dai battiti che palpitavano con più forza nei polsi di Irene. E da quel viso che aveva contemplato in foto, poi ogni qualvolta fossero insieme. “Anche se pensi che non sia così… io ti vedo, Irene. E voglio te al mio fianco.” sussurrò, addolcendo la presa intorno alle sue mani, per poi voltare la situazione in suo controllo, provocandole un sobbalzo a quel gesto inaspettato, portandola con le spalle al muro e, come le luci che tornavano a giocare insieme, abbandonarsi a un bacio a lungo agognato da entrambi.
Nessuno di loro due, tuttavia, aveva notato che in alto su quella porta, come sulle altre, pendeva leggermente del vischio, mentre la mezzanotte scoccava, annunciando a tutti il Natale.
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crazy-so-na-sega · 1 year
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Friedrich Nietzsche in compagnia della madre Franziska (1892)
2 aprile 1888: Friedrich Nietzsche era un viaggiatore un po’ distratto. Doveva arrivare a Torino, eppure si ritrovò a Sampierdarena, non lontano da Genova; aveva sbagliato treno, ecco tutto…ma un piccolo mistero rimane ancora oggi, visto che la sua valigia lo stesso giorno s’imbarcò educatamente sul vagone per il Piemonte.
Tre giorni dopo, comunque, il professore ritentò l’impresa sulla linea Alessandria-Asti-Torino e, questa volta, giunse a destinazione: gli apparve una città ammantata di luce purissima, dai viali silenziosi e splendidamente lastricati.
Proprio dietro Palazzo Carignano, l’edicolante Davide Fino vide il forestiero, tutto contento con la valigia in mano, e cercò di vendergli una guida turistica; si ritrovò, invece, ad affittargli una stanza nella sua stessa casa, all’ultimo piano di Via Carlo Alberto n.6, dove oggi si trova la lapide che ricorda il soggiorno torinese del filosofo.
Nietzsche rimase due mesi in città; in estate partì per la Svizzera e poi, a settembre, tornò qui per un soggiorno più lungo, che si rivelò fatale.  
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La targa che ricorda il soggiorno torinese del filosofo tedesco in via Carlo Alberto 6
Dodici anni prima, poco più che trentenne, la salute malferma lo aveva costretto a congedarsi dall’università di Basilea, dove insegnava lingua e letteratura greca; fu l’inizio di un’intensa attività di scrittura e peregrinazioni sempre più sofferte, in un “Gran Tour” europeo di cui rimane solamente un taccuino insignificante, con appuntati i prezzi di frutta e verdura.
Eppure, Torino gli apparve splendida:“…è l’unica città che mi piaccia. Un qualcosa di calmo e di superstite lusinga i miei istinti. Percorro con estasi queste vie dignitose…Un paradiso per i piedi, anche per gli occhi…Non avrei mai creduto che una città, grazie alla luce, potesse diventare cosi bella”.
Diverse lettere, indirizzate alla madre, al musicista Peter Gast e al teologo Overbeck, mostrano l’entusiasmo per Torino che, persa la corona da capitale, rimaneva comunque vivacissima: cinque quotidiani, venti giornali scientifici e quattordici letterari, oltre a numerose biblioteche internazionali.
A questa effervescenza culturale, però, Nietzsche prendeva raramente parte. Preferiva passeggiate solitarie lungo i viali di Corso Casale; pensava, forse, a Richard Wagner, il celebre compositore con cui si era interrotto, misteriosamente, il sodalizio spirituale; o pensava ancora a Lou Salomé, l’affascinante russa che avrebbe anche sposato se questa non avesse ammaliato, prima il suo migliore amico, Paul Rée, poi un giovane poeta, Reiner Maria Rilke, e successivamente persino Sigmund Freud.  
Conduceva una vita riservata: di amici forse solo Carlo Clausen, editore tedesco che portò in Italia le dottrine orientali, quando erano ancora sconosciute.
Curiosamente, gli avvenimenti che lo interessavano di più erano gli stessi che entusiasmavano quella borghesia da lui tanto criticata: pare che alla fine dell’estate, trascorsa tra le montagne di Sils Maria, desiderasse tornare a Torino proprio per assistere, insieme ad oltre 70.000 persone, al matrimonio fra il duca Amedeo di Savoia e la principessa Letizia Bonaparte.
Curioso, per un personaggio ritenuto da tutti anticonformista; ma Nietzsche non era mai stato un “bohémien” ed, anzi, aveva sempre tenuto tantissimo a titoli, blasoni e frequentazioni altolocate.
Arrivò l’autunno: monotono, ma prolifico. C’era la sua scrivania, dove scrisse “Ecce Homo”, e c’era il pianoforte, che condivideva con Irene, la figlia dei suoi affittuari.
Poi, giorno dopo giorno, la sua grafia divenne sempre più nervosa e illeggibile; mentre nel suo cestino i coniugi Fino trovavano banconote stracciate, dalla vicina posta centrale, il filosofo cominciò a spedire biglietti in cui si considerava l’incarnazione di Vittorio Emanuele II, dell’architetto Antonelli o di altre celebrità dell’epoca; firmava le lettere come “il Crocifisso” o “l’Anticristo”.
Cominciò a confondere le notizie che apparivano sui giornali con quelle della sua vita quotidiana: vaneggiò che i sovrani d’Italia sarebbero andati a trovarlo nella sua stanza e poi, quando su “La Gazzetta Piemontese” apparve la notizia che uno spagnolo, accusato di omicidio, veniva condannato a morte, pensò di essere il carcerato stesso.
Il 3 gennaio 1889 avvenne la fine, forse un episodio più leggendario che veritiero.
Vedendo un vetturino che frustava a sangue un cavallo, Nietszche abbracciò e baciò l’animale, cadendo a terra e urlando di essere il nuovo Dioniso.
Lasciò Torino con la papalina di Davide Fino sulla testa, come pegno di un futuro incontro che mai avvenne. Morì il 25 agosto 1900 a Weimar, prigioniero della pazzia, presto trasformato in un mito.
I suoi scritti, rimaneggiati dalla sorella Elisabeth, conobbero un enorme successo e colpirono negli anni successivi Adolf Hitler.
Si convinse di essere l’ubermensch invocato dal filosofo per una nuova era. E, cosa ancor più folle, tanti lo seguirono. Ma non era il superuomo; era, anzi l’ultimo uomo, il peggior nichilista che avrebbe distrutto il mondo. L’ubermensch vagheggiato dal filosofo era diverso; il suo oltreuomo, avendo scoperto che Dio era morto, con la Filosofia del Martello avrebbe distrutto quei valori in cui l’Occidente faceva ancora finta di credere, libero di creare, come un fanciullo, nuovi valori.
“Ma chi sono i pazzi?”
-Fonte: Nietzsche a Torino
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L'uomo e il suo pensiero raramente coincidono...(cit)
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pleaseanotherbook · 21 days
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Drink coffee and reading books: a little selection of essay about my passion
Ci sono due cose che mi affascinano incredibilmente e su cui ultimamente ho posto l'attenzione più che ad altre: i libri e il caffè. Due mie grandi passioni, che in modi differenti hanno da sempre contribuito a cambiare la mia vita. I libri perché fin da piccola hanno influenzato il modo con cui mi relaziono con il mondo fornendomi il filtro necessario per affrontarlo al meglio e il caffè che ho sempre associato ad un piacere irrinunciabile. Ne adoro l'aroma che permea la casa quando sale la moka, il gusto amaro che si diffonde sulla lingua quando lo si degusta e la pace che caratterizza il momento preciso di quando lo si sorseggia soprattutto dopo pranzo. Fin da piccola mia madre si fermava dalle sue attività per gustare il caffè prima di riprendere le sue attività pomeridiane e per me resta indissolubilmente associato a quel momento di stacco. "Adesso ci sediamo e ci prendiamo il caffè" la frase della tregua, la frase della pausa, la frase della piccola gioia. Leggere un libro con un caffè in mano? Perfezione. Questi due aspetti della mia vita mi hanno sempre accompagnato come vi dicevo, ma ultimamente ho deciso di approfondire alcuni aspetti, anche grazie a dei saggi che mi sono capitati tra le mani.
- Piante che cambiano la mente: oppio, caffeina, mescalina di Michael Pollan edito da Adelphi
- Una storia del mondo in sei bicchieri di Tom Standage edito da Codice Editore 
- Papyrus. l'infinito in un giunco di Iren Vallejo edito da Bompiani
- Il dono di Cadmo: L'incredibile storia delle lettere dell'alfabeto di Alessandro Magrini edito da Ponte alle Grazie
- Tumbas. Tombe di poeti e pensatori di Cees Nooteboom edito da Iperborea
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Per tutti noi l’assunzione quotidiana di caffeina coincide nientemeno che con la «condizione normale della coscienza». Eppure, quell’alcaloide naturale è a tutti gli effetti una droga, come rivela l’«esperimento di privazione» cui Michael Pollan si è sottoposto, trovandosi afflitto via via da mal di testa, letargia e «intensa angoscia». Per cercare di rispondere alla domanda cruciale da cui è partito – che cosa sia esattamente una droga –, Pollan intreccia reportage, «memoir» e saggio scientifico, spaziando attraverso varie discipline e concentrandosi soprattutto su tre molecole psicoattive: oltre alla caffeina, l’oppio, il cui effetto – secondo il poeta vittoriano Robert Bulwer-Lytton – è assimilabile al «sentirsi accarezzare l’anima dalla seta», e la mescalina, la più «sacra», che permise ad Aldous Huxley di vedere il mondo nella sua autentica «bellezza, minuzia, profondità e “quiddità”». Da questo affascinante percorso emerge ogni aspetto di queste sostanze, e in particolare la loro «natura bifronte»: il loro essere cioè «veleni» e «attrattori» al tempo stesso, in grado da un lato di dissuadere gli animali dal mangiare le piante che le producono, dall’altro di spingerli a utilizzarle accrescendo così la loro espansione ecologica: la caffeina contenuta nel nettare di certe piante, per esempio, rende le api impollinatrici «più affidabili, efficienti e industriose». Un’ambiguità che contraddistingue anche il millenario rapporto con le «droghe» degli esseri umani – e spiega come mai, sul piano evolutivo e culturale, «quella che era iniziata come una guerra» nei loro confronti si sia «trasformata in un matrimonio».
"Piante che cambiano la mente: oppio, caffeina, mescalina" è venuto a casa con me perché mentre lo sfogliavo in libreria ho beccato una pagina in cui si parlava dell'effetto della caffeina sulle api. E boom, caffè più api? Una sorta di kriptonite per la sottoscritta. Ed ecco che allora mi sono avvicinata al saggio di Pollan edito da Adelphi con una curiosità senza precedenti. Mentre l'oppio e la mescalina sono due sostanze che non erano entrate nel mio radar, la caffeina esercita su di me un fascino senza eguali. Pollan analizza gli effetti che queste sostanze provocano su di lui in un affascinante riflettersi tra esperienze personali e informazioni scientifiche sulle sostanze, in un saggio che esplora ad ampio spettro l'effetto dirompente che ognuna di essa scatena nel suo corpo. Mentre per la caffeina è un lento disintossicarsi mentre i giorni procedono e Pollan supera il piacere di bersi una tazza di caffè nel suo locale preferito, sperimentare con i papaveri e i cactus è un po' più complicato e pericoloso. Mentre il giornalista si addentra nello scoprire come coltivare le piante che gli servono, racconta aneddoti e curiosità e soprattutto ci rivela informazioni preziose per comprendere meglio i principi attivi delle sostanze che ci circondano. Resta incredibilmente affascinante leggere sia le sue esperienze che gli incontri che lo accompagnano, perché non è mai un viaggio solitario ma sempre una scoperta reciproca, un metodo di comunicazione, una ricerca preziosa. Non è mai solo la ricerca dello sballo ma soprattutto un minuzioso lavoro di ricostruzione, di ricostruzione, di meraviglia, ed è sempre incredibile come piante apparentemente innocue nella loro semplicità possano avere effetti tanto trasformativi sulla nostra psiche. 
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Uccide di più la sete che la fame: la disponibilità d’acqua vincola da sempre le sorti dell’umanità, generando fortune e catastrofi, spostamenti di popoli e scelte di stanzialità, prosperità e guerre. Eppure l’acqua, pur essendo la più antica e la più usata delle bevande, non è certo l’unica ad aver condizionato la nostra storia, ad aver spinto la vita di ciascuno di noi in una particolare direzione in un determinato momento. Fotografando cinquemila anni di eventi, Tom Standage getta nuova luce sulle vicende dell’uomo, leggendole attraverso le bevande che ne hanno accompagnato le sorti – e concorrendo, nelle maniere più sorprendenti, addirittura a crearle. Cosa ha spinto gli antichi popoli del Vicino Oriente a divenire stanziali? Perché la spugna passata sulle labbra del Cristo crocifisso era intrisa d’aceto? Come mai i marinai della flotta inglese erano più in salute di quelli francesi? Cos’ha costretto l’Impero cinese a cedere Hong Kong ai britannici? Se gli archeologi distinguono le epoche in base all’uso di diversi materiali – pietra, bronzo, ferro – Standage le ripartisce riferendosi a birra, vino, liquori, caffè, tè e Coca-Cola. Originale e ironico, questa avvincente Storia del mondo in sei bicchieri alterna alla verità di documenti autentici le cuoriose trame di cronache e aneddoti, creando un cortocircuito tra realtà e leggenda in grado di soddisfare esperti e curiosi, ma soprattutto capace di offrire una visione “altra” della storia, una visione che alle rivelazioni degli eventi epocali preferisce i piccoli, grandi segreti racchiusi in un bicchiere.
"Una storia del mondo in sei bicchieri" era uno dei libri citati nella bibliografia del libro di Pollan era quindi inevitabile che finissi per cercarlo e scoprire che "wow si era proprio il libro che volevo leggere!" per approfondire ancora l'uso del caffè ma scoprire inevitabilmente altre bevande a me care: se del caffè pensavo di sapere tutto dopo aver chiuso il volume di Standage non potevo più affermarlo. La tazzina del caffè è quella che mi ha fatto approdare a questo saggio, ma poi sono rimasta per la birra, per il vino, per il the, per l'alcool in generale e per la Coca-Cola che mi ha permesso di scoprire tantissime cose interessanti e che non sapevo minimamente. Come la birra sia nata un po' per caso e come il vino dell'antichità non aveva il gusto attuale, come vengono preparate le foglie di the e come il rhum sia inevitabilmente legato alla storia della tratta degli schiavi e come la Coca-Cola abbia rivoluzionato il seltz e le bibite in bottaglia. Le storie si uniscono quindi per dare nuove prospettive alla storia che conosciamo con una chiave di lettura che non avevo immaginato e di cui non sapevo niente, davvero molto interessante, super mega consigliato. 
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Questo è un libro sulla storia dei libri: libri di fumo, di pietra, di argilla, di giunchi, di seta, di pelle, di alberi e, gli ultimi arrivati, di plastica e di luce. Ma è anche un libro di viaggio che percorrendo le rotte del mondo antico fa tappa tra i canneti di papiro lungo il Nilo, sui campi di battaglia di Alessandro, tra le stanze dei palazzi di Cleopatra, nella Villa dei Papiri di Pompei prima dell’eruzione del Vesuvio, sul luogo del delitto di Ipazia, e poi nelle scuole più antiche dove si insegnava l’alfabeto, nelle prime librerie e nei laboratori di copiatura manoscritta, fino ad arrivare davanti ai roghi dove sono stati bruciati i libri proibiti, ai gulag, alla biblioteca di Sarajevo e ai sotterranei di Oxford. Papyrus è un racconto personalissimo, dove l’esperienza autobiografica si intreccia a evocazioni letterarie e a storie antiche, e dove un filo invisibile collega i classici con il frenetico mondo contemporaneo e i dibattiti più attuali: Erodoto e i “fatti alternativi”, Aristofane e i processi agli umoristi, Tito Livio e il fenomeno dei fan, Saffo e la voce letteraria delle donne, Seneca e la post-verità. Ma questo libro è soprattutto una favolosa avventura collettiva che ha come protagoniste le migliaia di persone che nel corso del tempo hanno salvato e protetto i libri: cantori, scribi, miniatori, traduttori, venditori ambulanti, insegnanti, maestri, spie, ribelli, suore, schiavi, avventurieri... lettori al riparo delle montagne o di fronte al mare in tempesta, nelle grandi capitali dove l’energia si concentra o nelle comunità più remote dove il sapere si rifugia quando fuori infuria il caos.
"Papyrus. l'infinito in un giunco" è un libro per lettori, o per cultori della carta o per chi esalta al massimo l'oggetto libro. Come quando entri in un luogo per la prima volta e ne vuoi conoscere tutti i particolari, vuoi aggrapparti ad ogni dettaglio, vuoi scoprirne ogni segreto. Ecco entrare in questo libro è come entrare in un libro, perché se ne sviscera la nascita, l'evoluzione di come la carta di imposta di come le biblioteche si sono riempite e di come l'autrice ne è venuta a conoscenza. La storia del libro non è mai avulsa dalla storia personale dei lettori, la storia della parola scritta si intreccia in maniera primaria a come il supporto è stato scelto e conservato. Dalle rive del Nilo ai piedi del Vesuvio, dalla biblioteca di Alessandria ai sotterranei di Oxford tutte le descrizioni riempiono di meraviglia gli occhi del lettore che legge incantato e si aspetta di scoprire qualcosa ad ogni pagina. Purtroppo la nota dolente sono i riferimenti alla vita personale di Iren Vallejo: fin troppo ridondanti e poco funzionali alle storie della carta e dei libri, a volte è meglio essere più reticenti. 
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Perché la A è la prima lettera dell’alfabeto? Forse perché il bue era considerato dai fenici il più importante fra i beni? Perché la D, fra i numeri romani, significa 500? Come si può vedere nella M il volto di un uomo? Perché davanti a U usiamo Q? Questo libro è una storia dell’alfabeto. La storia di una delle più straordinarie invenzioni umane, di quei «venti caratteruzzi» che ci permettono di «parlare con quelli che son nell’Indie, parlare a quelli che non sono ancora nati né saranno se non di qua a mille e dieci mila anni», per usare le parole di Galileo. (E perché per Galileo le lettere sono venti, e non ventuno?) Alessandro Magrini ci accompagna in un viaggio affascinante, un capitolo per lettera, dall’antico Egitto alla Fenicia alla Grecia a Roma (con lo zampino degli etruschi). E lo fa con la rara capacità di tenere sempre viva l’attenzione, complici la sua contagiosa curiosità e un’esposizione limpida e avvincente. Grazie anche al ricco apparato d’immagini, Il dono di Cadmo è uno di quei rari libri in cui il rigore scientifico convive con una genuina abilità divulgativa. Venite a scoprire la storia delle ogni scarabocchio sul muro, ogni insegna pubblicitaria non vi parrà più la stessa. Quando vedrete una N, penserete d’ora in poi a un antico serpente di mare.
"Il dono di Cadmo: L'incredibile storia delle lettere dell'alfabeto" il saggio di Magrini è diviso in capitoli uno per ogni lettera dell'alfabeto e di ognuna cerca di ripercorrerne le origini e di raccontare da quali segni è partita e come è diventata quella che leggiamo oggi nei libri stampati e nella tastiera del computer. Una carrellata affascinante che parte dalla scrittura cuneiforme o quella protosinaitica, passa dai geroglifici e si dirama tra greco e latino in un viaggio tra province confinanti, dialetti simili ma fondamentalmente diversi e pronunce che richiamano specificamente certe regioni. E se la casa è forse il concetto principale che dà origine a tutto, l'alfa e l'omega si rincorrono tra disegni di bui e vicende che non si penserebbe mai abbiano influenzato così tanto i segni da cui dipendono tutte le nostre comunicazioni. Comunicare è fondamentale e farlo in forma scritta lo diventa ancora di più soprattutto quando non c'è niente ed è tutto da costruire. Anche l'ordine in cui le elenchiamo diventa fondamentale e ogni aspetto riflette le scelte e i pensieri di chi ci ha preceduto, davvero molto affascinante anche se devo dire estremamente breve. 
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"La maggior parte dei morti tace. Per i poeti non è così. I poeti continuano a parlare." Perché comunicano a ognuno qualcosa di personale e accompagnano diversi momenti della nostra vita, innescando con noi un dialogo intimo al di sopra dello spazio e del tempo. Per questo Cees Nooteboom, nel corso di trent'anni di viaggi per il mondo e attraverso i cieli della letteratura, ha visitato le tombe dei grandi scrittori e filosofi che lo hanno segnato, raccogliendo quello che, dietro una lapide di marmo, un monumento bizzarro, un'epigrafe toccante o l'incanto di un'atmosfera, hanno ancora da raccontare. Dal famoso Père-Lachaise di Proust e Oscar Wilde alla pittoresca collina sopra Napoli che ospita Leopardi, dalla cima del monte Vaea, nelle isole Samoa, dove è sepolto R.L. Stevenson, a Joyce e Nabokov in Svizzera. Calvino a Castiglione della Pescaia, Melville in un angolo sperduto del Bronx, e Kawabata nel suo Giappone; Keats e Shelley accanto a Gregory Corso nel romantico Cimitero Acattolico di Roma; Brecht a due passi da Hegel a Berlino est; Brodskij insieme a Pound nell'isola veneziana di San Michele, e il Montparnasse di Baudelaire, Beckett e Sartre, a cui ha scelto di unirsi anche Susan Sontag.
"Tumbas. Tombe di poeti e pensatori" è un libro che giace nei meandri della mia lista di libri da leggere dall'estate 2018, conservavo ancora lo scontrino del Libraccio di Bologna dove lo acquistato al suo interno e mi è tornato tra le mani mentre riordinavo i volumi di cui sono impossesso. L'idea di questo libro edito Iperborea mi affascinava molto: l'autore in giro per il mondo a visitare le tombe di una selezione di poeti. E se da un lato ci sono le fotografie e il Cimitero in cui il poeta riposa, non posso dire che le informazioni condivise da Nooteboom siano esaustive. Mi aspettavo un resoconto delle sue sensazioni davanti ai grandi che hanno fatto la storia e invece l'autore condivide a seconda di chi sta prendendo in considerazione versi riguardanti la morte, estratti da saggi scritti da lui o sue considerazioni sull'autore se lo ha conosciuto, estratti dalla corrispondenza dell'autore, insomma un guazzabuglio di input non sempre facilmente decifrabili che rendono la lettura difficoltosa. Mentre l'intento di documentare il monumento funebre con la sua collocazione nel mondo è pienamente riuscito e devo dire anche molto affascinante la condivisione sui poeti lo è molto meno, soprattutto per quelli meno conosciuti che restano molto in ombra, nonostante gli sforzi dell'autore. 
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damon-ridenow · 2 months
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Il mare
Sgomberano la buridda, e io non posso andarci per non correre il rischio di giocare al nuovo giochino dell'estate "scappa da Irene". Ho chiesto del tempo, non per farmi i cazzi miei, ho chiesto tempo perchè non sono in grado di ragionare lucidamente. Ho ottenuto che TUTTI le hanno consigliato "ma no, se tu ti senti di tornare a casa, vai!" Io non so che cazzo di amici abbia. Mi viene sempre in mente Sabrina che chiede disperata alla Isa "guarda non so più cosa fare con Daniele, cosa mi consigli?" e lei candida "hai provato a fare quello che ti chiede?" e lei basita, silenzio, non si capacitava.
Bello il concerto della cover band dei queen, poi vissuto con leggerezza, con quattro ore di discussione prima, e due dopo. E' quello che ogni fan di una band sogna.
"Ora mi rendo conto che mi piace la nostra casa" potrei scrivere un poema epico in terzine su tutte le robe orrende che hai detto di questa casa, ma ora che ti si sta chiedendo di lasciarla, bellissima.
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chez-mimich · 3 months
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FUGA IN NORMANDIA
Nell’ultimo straordinario libro di Massimo Cacciari, “Metafisica concreta”, c’e un passaggio cruciale dove l’autore indaga sulla questione del passato e della memoria. Per dirla molto sinteticamente, Cacciari sostiene che il passato fa in realtà parte a tutti gli effetti del presente, attraverso la memoria che opera immanentemente sul presente. Possiamo leggere così il film “Fuga in Normandia” (The Great Escaper) di Oliver Parker. Bernard Jordan (Michael Caine) veterano della marina britannica vive con la moglie Irene (Glenda Jackson) in una casa di riposo sulla costa inglese non lontano da Dover. Rapito dall’immanenza della momoria a cui facevo riferimento prima, in occasione del settantesimo anniversario dello sbarco in Normandia, nel giugno 2014, decide di fuggire verso la Francia, coperto dalla moglie, per partecipare alle celebrazioni. Bernie ritrova sulle coste francesi una parte della sua gioventù e lo struggente ricordo (ossessivo) di quello sbarco che costò la vita a molti dei suoi commilitoni. A tal proposito, troppo spesso gli europei sembrano aver rimosso il sacrificio di tanti giovani statunitensi, mandati dall'altra parte dell'oceano per difendere la nostra libertà. Va ricordato che, nel 2023, un altro film intitolato “Ritorno in Normandia” era stato girato sulla vicenda realmente accaduta. Raccontato così, il film potrebbe sembrare piuttosto prevedibile, ed infatti lo è, tuttavia è un film fatto con un certo garbo e costruito attorno ai due grandi attori che interpretano i due protagonisti. Ma c’è un altro aspetto che rende attraente questa pellicola: è raro, molto raro, che una narrazione cinematografica individui come protagonisti di una vicenda due vecchi che, con tutto l'armamentario della retorica, portano con sé il messaggio universalmente vero del "io ero quello che tu sei e tu sarai quello che io sono". Certo, l’episodio si prestava abbastanza al bozzettismo ironico-sentimentale ed il film non è certo un’opera senza sbavature, ma allo stesso tempo si può ben dire che non è affatto sgradevole, basta non avere chissà quali aspettative prima di entrare in sala…
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giancarlonicoli · 3 months
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25 giu 2024 17:02
“SO ESSERE CONCAVO CON I CONVESSI E CONVESSO E CON I CONCAVI” – CICCIO BONGARRÀ CONFESSIONS: “HO UNO ZIO PRETE E A 15 ANNI CONOBBI IL VICEDIRETTORE DELL'OSSERVATORE ROMANO CHE MI MANDÒ A FARE UN'INTERVISTA. NEL ’92, A 18 ANNI, LAVORAVO COME CORRISPONDENTE PER IL GIORNALE DEL VATICANO DA PALERMO" - "FRANCESCO COSSIGA? TUTTI ALL’ANSA ERANO TERRORIZZATI. AVEVO 27 ANNI, MI AVEVANO ASSUNTO DA DUE GIORNI E ME LO SMOLLARONO AL TELEFONO. DOPO 40 MINUTI SI PRESENTÒ PER INCONTRARMI E RIMANEMMO A RACCONTARCI LA VITA” – QUELLA VOLTA CHE SUONÒ BACH A CASA DI RATZINGER, IN GERMANIA, E IL NUOVO INCARICO COME DIRETTORE DELL’ISTITUTO DI CULTURA ITALIANO A LONDRA: “IL SEGRETO È LA CURIOSITÀ. E POI CONTA LA PERSEVERANZA..."
Estratto dell’articolo di Irene Carmina per https://palermo.repubblica.it/
[…] Francesco Bongarrà — Ciccio per gli amici — […] è un’autobiografia vivente. E parlante. Ha suonato la spinetta a casa Ratzinger, facendo commuovere il fratello del papa, è andato al McDonald’s con l’amico presidente Cossiga. Persino Wojtyla sapeva chi fosse.
Cinquant’anni tondi tondi, nato a Palermo, si è fatto strada sin da giovanissimo nel giornalismo: prima come corrispondente da Palermo per “L’Osservatore Romano”, la “Reuters”, il “Times” e la “BBC”, poi come addetto stampa dell’ex sindaco Leoluca Orlando, infine per 23 anni come giornalista parlamentare dell’Ansa.
Nel 2024 inizia la sua seconda vita. È il 28 dicembre del 2023 e Bongarrà lascia Montecitorio, con l’applauso della Camera a salutarlo. “London calling”: Bongarrà è il nuovo direttore dell’Istituto italiano di Cultura a Londra.
Si è ambientato a Londra?
«Bazzico da queste parti da 12 anni, avendo insegnato all’Imperial college e alla Bayes Business School. Qualche giorno fa sono stato anche nominato visiting professor al Pembroke College, uno dei college più prestigiosi dell’università di Cambridge».
Nel suo curriculum si legge, tra le altre cose, che è stato ambasciatore della Repubblica di San Marino in Perù, rappresentante della Repubblica di San Marino presso l’Organizzazione marittima internazionale, consulente del Sovrano militare dell’Ordine di Malta ed è stato insignito con varie onorificenze tra cui quella di Grande ufficiale e di commendatore della Repubblica italiana. Come minimo, deve avere molti di più degli anni che dice.
«Ho iniziato presto».
Quando?
«A 12 anni. Mi inventai un programma radiofonico tutto mio, “Bimbomix”, a Mistretta, dove passavo l’estate con i miei genitori. La radio trasmetteva dal campanile della chiesa di Santa Caterina e dalle 2 alle 4 del pomeriggio, mentre la gente si appisolava, mi divertivo a mettere dischi e a leggere il giornale. A 14 anni iniziai a fare interviste per “Radio voce nostra”, poi diventata “Radio spazio noi”, che trasmetteva dal palazzo arcivescovile. L’aveva appena aperta il cardinale Pappalardo che conoscevo perché spesso celebrava la messa nella chiesetta di via Oreto dove sono cresciuto».
Un enfant prodige praticamente, cresciuto a pane, giornalismo e chiesa.
«Ho uno zio prete e a 15 anni durante un viaggio a Roma conobbi il vicedirettore dell’Osservatore romano. Mi mandò a fare un’intervista. Nel ’92 lavoravo come corrispondente per il giornale del Vaticano da Palermo: era l’anno delle stragi di mafia».
L’anno dopo incontrò papa Wojtyla ad Agrigento.
«[…] Me lo presentò il direttore dell’Osservatore, Mario Agnes. Wojtyla mi guardò: “Abbiamo letto, abbiamo letto”».
[…] Wojtyla suo lettore, Ratzinger […] quasi uno di famiglia, visto che ci andò a casa quando lavorava all’Ansa.
«Fumata bianca, Ratzinger è il nuovo papa. È il 19 aprile del 2005 e mi dicono di correre nel suo paese natale, Marktl, in Baviera. Proprio io, perché parlo il tedesco che ho imparato stando vicino all’ex sindaco Orlando per quattro anni da workaholic in qualità di suo addetto stampa. Non ci sono aerei ma, con l’aiuto di Cossiga, riesco ad arrivare a destinazione.
A Marktl incontro un pensionato dell’Albergheria che il giorno dopo mi porta dal fratello del papa, a Ratisbona. Riesco a entrare a casa sua, tirando fuori dal portafoglio un tesserino con lo stemma del Vaticano. Tombola. Finisce che suono Bach alla spinetta e faccio un grande scoop».
[…] Cossiga […]. Eravate amici?
«Molto. Tutti all’Ansa erano terrorizzati dalle sue dichiarazioni dettate al telefono. Avevo 27 anni, mi avevano assunto da due giorni e mi smollarono Cossiga al telefono».
Che le disse?
«“Con questo accento non puoi essere siciliano, devi essere scozzese”. Mi disse così dopo che esclamai “bloody hell”, “maledizione”, mentre trascrivevo le sue parole. Dopo 40 minuti si presentò per incontrarmi e rimanemmo a raccontarci la vita dalle 10 di mattina alle 9 di sera. Un mostro, un teologo. Quando si dimise mi chiamò la mattina all’alba perché lo raggiungessi. Abitava in una casa a Prati, borghese ma non lussuosa, piena di soldatini di piombo e di gadget elettronici. La cosa che gli piaceva di più era un vaso che gli aveva regalato Craxi da Hammamet».
[…] «[…] Una volta andai a Siviglia con l’allora assessore allo Sport, Giovanni Ferro. Lui non parlava inglese e bisognava presentare la candidatura di Palermo per i mondiali di mezza maratona. Allora il presidente della federazione di atletica leggera, Primo Nebiolo, propose: “Facciamo così, tu sei l’assessore e Ferro è l’addetto stampa di Orlando”. E così facemmo davanti a un’intera platea».
Dove la mettono, lei riesce. Come fa?
«So essere concavo con i convessi e convesso e con i concavi: mi adatto all’interlocutore. Il segreto vero, però, è la curiosità. Devi avere sempre la voglia di conoscere. E poi conta la perseveranza: non mollare mai. Mi sarebbe piaciuto da ragazzo andare a ballare e fare tardi la sera, ma non l’ho fatto sapendo che alle sei del mattino dovevo leggermi i giornali. E lo faccio ancora. Sono un cronista, anche se ora dirigo l’Istituto italiano di Cultura a Londra».
È soddisfatto del suo lavoro a Londra?
«Ho una squadra pazzesca. Assieme alle mie due giovani colleghe del ministero degli Esteri, stiamo lanciando iniziative a 360 gradi. Mostre d’arte contemporanea, rappresentazioni teatrali, presentazioni di libri italiani in inglese […]. Londra è la quinta città d’Italia: nel Regno unito vivono 530mila italiani. La nostra […] è una mission complessa: dobbiamo raccontare la nostra politica culturale agli inglesi, mostrandogli quanta avanguardia esiste in Italia. […]».
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tarditardi · 4 months
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Alberto Salaorni & Al-B.Band, giro d’Italia ‘live’ a giugno '24
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A giugno 2024 la musica dal vivo della Al-B.Band, la formazione guidata da Alberto Salaorni fa come sempre il giro d'Italia. Chiaramente, lo fa a ritmo di canzoni che regalano emozioni... ed energia. 
Venerdì 7 giugno solo a Villa Picinelli, a Fano (Pesaro Urbino). Mercoledì 12 giugno eccoli al Signorvino di Affi (Verona), dove giocano in casa. 
Ed eccoci al 24 giugno, quando sono protagonisti con la loro musica a San Pietro Incariano (Verona), in piazza. Ultimo appuntamento già confermato mentre scriviamo, quello a Veronello, sul Garda (Verona), venerdì 28 giugno.
Quando ci sono di mezzo loro, la Al-B.Band, con la loro musica e la loro allegria, l'evento è perfetto per godersi un po' di successi dal vivo e cantare con gli amici. Quale musica? Beh, la migliore di sempre, rivista e risuonata da una band unica. 
Al-B.Band infatti è infatti un gruppo in grado di far scatenare ogni tipo di pubblico. Da  oltre 15 anni i loro concerti, che spesso sono dinner show scatenati, fanno divertire l'Italia e non solo. Riassumendo, sono in tournée da una vita. Il loro slogan è: "live music is back in fashion", ovvero la (bella) musica dal vivo è tornata di moda.
Un concerto di questa formazione veronese, la Al-B.Band, una volta vissuto, lo si dimentica difficilmente. Per le canzoni e per l'energia che i musicisti regalano. Guidati da Alberto Salaorni, non hanno mai una scaletta definita. Passano da un brano all'altro a seconda dell'atmosfera e del feedback del pubblico. 
E le loro scelte sono sempre originali. Ad esempio, la Al-B.Band raramente ripropone le canzoni di Vasco Rossi e Ligabue, preferendo quelle di Battisti, Mina o grandi successi anni '70, col risultato che il sound di questa formazione risulta molto originale. E' una caratteristica molto rara nel panorama musicale di questi anni. 
Sul palco con Alberto Salaorni (chitarra e voce) e lo storico bassista e produttore Davide Rossi, in ordine sparso, di solito ci sono: Irene De Pascalis (voce), Andrea Mai (tastiere), Luca Modena (batteria e percussioni).
Alberto Salaorni & Al-B.Band su Instagram
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sounds-right · 4 months
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Alberto Salaorni & Al-B.Band, giro d’Italia ‘live’ a giugno '24
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A giugno 2024 la musica dal vivo della Al-B.Band, la formazione guidata da Alberto Salaorni fa come sempre il giro d'Italia. Chiaramente, lo fa a ritmo di canzoni che regalano emozioni... ed energia. 
Venerdì 7 giugno solo a Villa Picinelli, a Fano (Pesaro Urbino). Mercoledì 12 giugno eccoli al Signorvino di Affi (Verona), dove giocano in casa. 
Ed eccoci al 24 giugno, quando sono protagonisti con la loro musica a San Pietro Incariano (Verona), in piazza. Ultimo appuntamento già confermato mentre scriviamo, quello a Veronello, sul Garda (Verona), venerdì 28 giugno.
Quando ci sono di mezzo loro, la Al-B.Band, con la loro musica e la loro allegria, l'evento è perfetto per godersi un po' di successi dal vivo e cantare con gli amici. Quale musica? Beh, la migliore di sempre, rivista e risuonata da una band unica. 
Al-B.Band infatti è infatti un gruppo in grado di far scatenare ogni tipo di pubblico. Da  oltre 15 anni i loro concerti, che spesso sono dinner show scatenati, fanno divertire l'Italia e non solo. Riassumendo, sono in tournée da una vita. Il loro slogan è: "live music is back in fashion", ovvero la (bella) musica dal vivo è tornata di moda.
Un concerto di questa formazione veronese, la Al-B.Band, una volta vissuto, lo si dimentica difficilmente. Per le canzoni e per l'energia che i musicisti regalano. Guidati da Alberto Salaorni, non hanno mai una scaletta definita. Passano da un brano all'altro a seconda dell'atmosfera e del feedback del pubblico. 
E le loro scelte sono sempre originali. Ad esempio, la Al-B.Band raramente ripropone le canzoni di Vasco Rossi e Ligabue, preferendo quelle di Battisti, Mina o grandi successi anni '70, col risultato che il sound di questa formazione risulta molto originale. E' una caratteristica molto rara nel panorama musicale di questi anni. 
Sul palco con Alberto Salaorni (chitarra e voce) e lo storico bassista e produttore Davide Rossi, in ordine sparso, di solito ci sono: Irene De Pascalis (voce), Andrea Mai (tastiere), Luca Modena (batteria e percussioni).
Alberto Salaorni & Al-B.Band su Instagram
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lamilanomagazine · 5 months
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Liguria, il presidente Giovanni Toti agli arresti domiciliari: è accusato di corruzione
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Liguria, il presidente Giovanni Toti agli arresti domiciliari: è accusato di corruzione. «Siamo tranquillissimi». Queste le parole di Giovanni Toti rientrando nel suo appartamento a Genova, scortato da personale della Guardia di Finanza in borghese. Il Presidente della Regione Liguria è agli arresti domiciliari nell'ambito di un’inchiesta della Dda genovese e della Guardia di Finanza. L'accusa è di corruzione. Toti potrebbe recarsi nella sua casa ad Ameglia, nello spezzino, dove ha la residenza, in virtù degli arresti domiciliari per l'inchiesta sulla corruzione. "In occasione e in concomitanza delle quattro competizioni elettorali che si sono susseguite" in 18 mesi, dal 2021 al 2022, "Toti, pressato dalla necessità di reperire fondi per affrontare la campagna elettorale, ha messo a disposizione la propria funzione e i propri poteri per favore di interessi privati, in cambio di finanziamenti, reiterando il meccanismo con diversi imprenditori". Lo scrive il Gip di Genova nell'ordinanza di custodia cautelare nei confronti del Presidente della Liguria e di altri indagati per corruzione. «È molto sereno e molto tranquillo», ripete il suo avvocato Stefano Savi ribadendo che «non si parla di dimissioni, ma di sospensione dalla funzione». Toti, ha ripetuto Savi, «continuerà a lavorare. Come abbiamo potuto vedere fino a questo momento sono tutti fatti a cui possiamo dare una spiegazione nell'ambito di una legittima attività di amministrazione per l'interesse pubblico». Il vicepresidente della Regione Liguria Alessandro Piana sostituirà pro tempore in tutte le sue funzioni e nella pienezza dei poteri il presidente Giovanni Toti. Lo comunica lo stesso ente in una nota ribadendo che "l'attività amministrativa della Regione Liguria prosegue senza soluzione di continuità". «Siamo vicini al nostro presidente Toti, certi che abbia sempre agito nell'esclusivo interesse della Liguria. - dichiara Piana - Auspichiamo che venga fatta chiarezza al più presto e che il presidente possa così dimostrare la sua più totale estraneità ai fatti contestati». Toti, uscito dal suo appartamento di Genova con la Guardia di Finanza, ha detto ai giornalisti presenti di non poter rilasciare dichiarazioni. «Non posso parlare, parlate con l’avvocato», ha ripetuto più volte, appena uscito dal suo appartamento prima di raggiungere il comando provinciale delle fiamme gialle, in lungomare Canepa. Arresti domiciliari anche per Matteo Cozzani, capo di gabinetto e braccio destro di Toti. È accusato di corruzione elettorale, aggravato dalla circostanza di cui all'art. 416-bis.1 c.p. perché, per l'accusa, avrebbe agevolato l'attività di Cosa Nostra. In particolare avrebbe agevolato il clan Cammarata del mandamento di Riesi (Caltanissetta) con proiezione nella città di Genova. È accusato anche di corruzione per l'esercizio della funzione. Ai domiciliari anche il terminalista genovese Aldo Spinelli. In carcere invece l'ex presidente dell'Autorità di Sistema Portuale del Mar Ligure Occidentale Paolo Emilio Signorini, oggi amministratore delegato di Iren. Secondo l'inchiesta, l'imprenditore avrebbe dato soldi a Toti per ottenere in cambio favori come la concessione a Spinelli per le aree del terminal Rinfuse. Nell'ambito dell'inchiesta della procura di Genova su un giro di corruzione, è indagato anche Francesco Moncada, consigliere di amministrazione di Esselunga S.p.A.. Moncada, sottoposto al divieto temporaneo di esercitare l'attività imprenditoriale e professionale con l'accusa di corruzione. Stessa misura per Roberto Spinelli, imprenditore nel settore logistico ed immobiliare, figlio di Aldo Spinelli, e per Mauro Vianello, imprenditore operante nell'ambito del Porto di Genova, accusato di corruzione nei confronti di Signorini, ex presidente del porto.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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sisionscreen · 2 years
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Irene Della Casa (Baroness Francesca) behind the scenes of The Empress (2022).
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veronicacoelho · 5 months
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“Formatcio e carta di cotcina”
Portogallo. Percezione e sentimento di appartenenza.
Una via di mezzo tra una riflessione personale e uno spazio di "archiviazione" visivo e auditivo.
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| BIGLIETTO "NAVIGANTE" |
GENNAIO 2024 "Mi trovo in un momento piuttosto delicato della mia vita: un periodo di transizione, in cui una fase sta finendo e una nuova, sconosciuta, deve iniziare. Negli ultimi anni, per vari motivi, il mio futuro è stato proiettato in direzione del Portogallo, ed è stato allora che, con ancora più forza di prima, ho iniziato a pensare a che tipo di significato avesse per me questo Paese". "Perché mi attrae così tanto?".
Così, è nata la riflessione sul tipo di legame che mi unisce a questa terra, sulla percezione che ho avuto della stessa fin da bambina, e su come questa sia evoluta nel tempo.
| ORIGINE |
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Figlia di madre italiana e padre portoghese, sono nata nel nordest d'Italia e sono cresciuta in due case: una "italiana" e una "portoghese", con due culture e modi di pensare molto diversi, ma io ero prevalentemente italiana.
La casa "portoghese", tuttavia, ha iniziato gradualmente a stimolare il mio interesse per la lingua e per la sua cultura.
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SALAME DI CIOCCOLATO (2009)
[in portoghese] [in italiano]
Papà: “Veronica sta…” 
Veronica: “cucinando”
Papà: “mischiando il cioccolato. Facciamo il salame…”
Veronica: “di cioccolato”
Papà: “di cioccolato !”
Veronica: “facciamo una pallina?”
Papà: “una pallina di salame”
Veronica: “è molto appiccicoso. Come si dice in portoghese?”
Papà: “pegajoso”
Irene: “come si dice in italiano?”
Veronica: “appiccicoso"
Papà e Irene: "APPICCICOSO”
Veronica: “olha, uhhh, bleah! Sto mescolando cacchina di mucca …sì però sembra. Cacchina di mucca! Cocó de vaca!”
| IMPATTO |
Papà: “stiamo andando… in…a…dove?” Veronica: “aereooo” Papà: “aereo verso il? Veronica: “Portogallooo” “A LISBONA!!” Papà: “a casa dei…?” Veronica: “NONNI!” Papà: “con…?” Veronica: “IRENE!” Papà: “e..?” Veronica: “papà(?)” Papà: “e Veronica” Veronica: “eh anche tu però! Al gate 38”
Due settimane all'anno, soprattutto in estate, andavamo a trovare i nonni e i parenti portoghesi.  In questo modo venivo catapultata in un mondo completamente diverso che, tuttavia, mi attraeva immensamente. La lingua era diversa, il cibo aveva un sapore diverso (pieno d'aglio), le strade erano costruite e decorate in modo diverso. I paesaggi mi sembravano tropicali, il mare era un oceano ghiacciato. Anche gli odori, l'atmosfera e la gente erano un mondo a parte, tutto molto più multiculturale rispetto a quello a cui ero abituata.
| DOPPIA CULTURA= DOPPIA MUSICA- COELHINHA |
Sin da piccola la musica ha sempre rappresentato una parte importante della mia vita, sia come sfondo per vedere il mondo in modo diverso, sia come scusa per ballare. Ho avuto la fortuna di crescere non solo con la musica americana e inglese, ma anche con vari generi di musica italiana e portoghese (e con le "hit" estive italiane, spagnole e latinoamericane di "Hot summer", i dischi che si vendevano in cartoleria e che piacevano tanto alla mia nonna italiana).
Ecco una playlist con le canzoni italiane e portoghesi (e brasiliane, e creole) che la "Coelhinha" amava ascoltare:
| MEMORIE “CHIAVE” |
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Ciò che mi rimane dei miei ricordi d’infanzia e adolescenza del Portogallo sono tanti piccoli dettagli che, tuttavia, sono molto importanti per comprendere il legame che ho oggi con questo Paese:
Sono le ore passate sul divano, al riparo dal caldo torrido, a guardare Noddy, Ruca (Caillou) e poi a giocare a Lara Croft alla televisione e a guardare Domingão (programma televisivo di musica popolare portoghese abbastanza cringe) a un volume incredibilmente alto. 
Sono i gatti sul tetto (che infestano ancora il condominio) a cui davo da mangiare di nascosto.
Sono le feste popolari di Lavradio (frazione in cui abitano i miei nonni) che portavano alla bocca zucchero e grasso delle farturas (frittelle lunghe) e alle orecchie musica che faceva tremare i vetri delle finestre. 
Sono gli odori di concime e fichi e i suoni dei cani, delle galline e dei miei nonni che lavorano in giardino (che, ancora oggi, rimane uno dei miei luoghi preferiti per trovare un po' di pace e di contatto con la natura). 
È il defunto Tommy, il pincher bastardino che mi ha vista crescere e che io e i miei cugini tormentavamo tanto quando eravamo piccoli.
Sono le giornate di sole in spiaggia, piene di sabbia grossa, coraggio per entrare nell'acqua gelida dell’Oceano, dove mi deliziavo con panini, Ucal (marca di latte al cioccolato) e bolas de berlim (krapfen ripieni) sciolte e dove ho facevo infiniti sonnellini.
Sono i giochi bizzarri:
- sfilata di moda vestita da "principessa" di High School Musical - "spettacolo" di danza classica con scarpe da punta (che ovviamente non sapevo usare) e nastro viola da ginnastica ritmica - gara di nuoto e tuffi nella piscina della cugina Leonor - vestire Tommy con i vestiti delle bambole - rotolarsi sulle colline del giardino delle onde vicino all'Oceanario di Lisbona - gare di barchette di sughero improvvisate - fare il bagno nella piccola “cisterna” d’acqua dei nonni di Margarida
È lo spuntino di mezzanotte che sapeva di caffè con cicoria per gli adulti e latte caldo per i bambini (e dolci e biscotti per tutti, ovviamente).
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ATTACCO NOTTURNO AL FRIGORIFERO (2009)
Sono le ore in macchina con i Porto-Coelho, quando andavamo in viaggio alla scoperta delle varie zone del Portogallo e della sua cultura (durante le quali dovevo sopportare le urla della mia splendida cugina).
È mia cugina Margarida, la bambina che indossava sempre le crocs rosa e amava i glitter (ne è ancora ossessionata). È una persona che ho sempre ammirato e che ora più che mai ha un ruolo importante nella mia vita.
Sono Gino e Gina, le scimmie di peluche che sono fuggite per vivere il loro amore.
È la baba de camelo  (“bava di cammello”, dolce tipico).
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[Io e mia cugina Margarida, Gino e Gina (e la Manta), 2009].
| STUDIO 2000/MEMORIE INTERATTIVE - bonus |
Entrare nello studio della casa dei miei nonni e vai a caccia di ricordi. :)
| OSTACOLO - PORTA SEMIAPERTA |
Ero follemente innamorata di tutto ciò, ma all'epoca non sapevo dire “nemmeno una parola"...
Capivo abbastanza bene quello che le persone mi dicevano in portoghese quando, per esempio, i miei nonni scambiavano parole al mercato o con i vicini e mi presentavano a loro, quando Irene mi parlava, o quando iniziavo a conoscere gli amici di Margarida.
Capivo quasi sempre cosa stava succedendo, ma non avevo mai il coraggio di comunicare e avevo paura di sbagliare, così, per un certo verso, continuavo sempre ad essere la nipote straniera che non parlava la lingua, la figlia dell'ennesimo portoghese che era emigrato da giovane.
Sorridevo, annuivo e tutto finiva lì.
Il risultato era che, purtroppo, non riuscivo a sentirmi pienamente parte di questa cultura che, in un certo senso, mi apparteneva, però sembrava ancora così lontana...
Mi piaceva stare lì, ma non sapevo come comunicare, se non a gesti e con le poche frasi che conoscevo, come: "Vorrei un bicchiere d'acqua, per favore" (necessario quando ero piccola se stavo morendo di sete).
"Poesia per il vento"
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[Testo scritto in italiano tra il 2015 e il 2016. Traduzione fatta nel 2024].
| CANTIERE |
Nel 2017 ho iniziato a rendermi conto dell'importanza che davo al tempo trascorso lì.
Nel 2018 ho preso coraggio e ho deciso di fare il mio primo viaggio da sola in Portogallo.
Negli anni successivi sono tornata diverse volte, mai soddisfatta delle esperienze che facevo lì.
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[Io e mia cugina Margarida a Lisbona, 2021].
Lentamente ho iniziato a parlare, a conoscere meglio la mia famiglia portoghese, a creare un legame un po' più profondo (ho persino litigato con i miei nonni).
[Raccolta di fichi nell'orto dei nonni, 2023].
Ho iniziato a fare amicizia, ho conosciuto persone che mi hanno aiutata a esplorare il Portogallo con occhi diversi e a integrarmi nella cultura.
Cultura, della quale gli elementi più rilevanti per me (oltre al rispetto per le arti, l'integrazione delle tradizioni di vari popoli in nuovi progetti e idee e il concetto di "DIY") sono quelli più "colti" ed "elevati", quelli che hanno rappresentato un ponte per la mia integrazione negli ultimi anni, come:
bifana (panino ripieno di lonza di maiale) a tutte le ore
patate fritte e riso come accompagnamento base di ogni piatto
galão, pingado, garoto (tipi di caffè)
"bueda fixe" (modo giovanile per dire "molto figo")
"Chamem os amigos" (progetto che porta sullo stesso palco band locali vecchie e nuove)
folla interessante alle partite di calcio del FC Barreirense (club sportivo locale)
la routine che prevede: concerto e dj set nella Sala 6, mezz'ora di ballo al "DNA" (orrenda discoteca che non porta più questo nome da anni), colazione delle 6 al FC Barreirense
"Croissant misto prensado" (croissant con burro, prosciutto e formaggio, pressato nella tostiera)
“Não estavas capaz, não vinhas” ("Non eri all'altezza, non venivi").
indice sulla testa=devi fare un giro su te stesso
Concerto privato dei BRO-X (banda idiota locale)
pane tostato con marmellata di zucca e formaggio fuso della Portuguesa (bar locale) per curare il cattivo umore
concerti sempre e ovunque (benedizione)
Volantini di medium africani
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[persone belle e cose importanti della città di Barreiro, 2022-2024].
| DOPPIA CULTURA/DOPPIA MÚSICA- VRONKA - bonus |
Ecco un'enorme playlist con le canzoni italiane e portoghesi (e brasiliane, e creole) che "Vronka" ama ascoltare:
! CANTIERE !
APRILE 2024 "Questa terra che, da bambina, da adolescente e poi da adulta mi sembrava così lontana e irraggiungibile, è ora molto più vicina. A piccoli passi, sento di farne parte. Ora ho la doppia cittadinanza. Ora vivo in questo Paese. Sono felice".
"Ora ho un bel cantiere, un terreno umido e fertile. Sta già lentamente fiorendo. Tutto pronto per costruire nuove connessioni e nuovi progetti interessanti(purché siano fighi)."
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["Il mio bel cantiere", illustrazione animata fatta da Margarida Porto].
| A MINHA MANEIRA DE VER |
Associata a questa riflessione, ho creato una mini collezione intitolata "Il mio modo di vedere". Si tratta di foto scattate durante le mie vacanze in Portogallo che rappresentano un po' l'evoluzione, nel corso degli anni, della mia percezione del Paese e delle persone ad esso legate.
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Caldaia forse difettosa, coppia intossicata dal monossido
Una coppia, un uomo di 68 anni e una donna di 62, è rimasta intossicata in casa da monossido di carbonio probabilmente a causa di una combustione difettosa della caldaia a gas. È accaduto la notte scorsa in località Bagno di Reggio Emilia. L’intervento intorno alle tre dei vigili del fuoco, insieme a Polizia, 118 e tecnico Ireti (la società del Gruppo Iren che gestisce energia elettrica, gas e…
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30 dicembre 2023 ore 1.26
Così di botto ho deciso che questo è il momento giusto per ripensare a quest’anno . E posso dire una cosa ? Io più passa il tempo più mi rendo conto che i ricordi della mia vita diventano fiochi e poco lucidi . Pensando al 2023 mi viene mente molta fatica e voglia di mettersi in gioco, molte paure , ansie ma anche molta felicità . Mi viene in mente il distacco dalla realtà che ormai mi accompagna molto spesso e mi vengo in mente io che soprattutto nell’ultimo mese mi sono sentita libera di essere me stessa anche davanti alla mia famiglia , sempre pungente , divertente e sdolcinata ma sempre presente , un palo portante per tutti quelli che ho incontrato . Andando un po’ in dietro a gennaio è stato un mese un duro in cui è iniziata la mia battaglia contro una compagna di viaggio che mi ha accompagnato per molto tempo nel 2023 : procedura civile ahahah .pero mi sono messa in gioco e ho provato e riprovato . Ho deciso di mettermi sotto con la palestra e ho ritrovato la mia voglia di essere lì , sfogarmi e diventare la versione migliore di me .a febbraio continuo queste lotte e vado a Napoli per un viaggio stupendo regalato da Serena e nel mentre ogni weekend mi godevo l’amore di mio nipote e ricercavo l’amore con il mio ex fidanzato l’ero mi rendevo conto che non era lì che dovevo cercarlo .a marzo scopro che partirò per Malaga e mi iniziano ad assalire le ansie e i dubbi che riversarvi nella palestra . Aprile è il mese in cui mi sono resa conto di quanto mi stessi distrugge di appresso ad un lavoro che mi portava solo molto stress e ansia e quindi lascio finalmente Rodhouse con una festa che non dimentico più .a maggio continua la mia lotta contro me stessa e i miei studi e ritorna L. Così all’improvviso come un fulmine a ciel sereno.a giugno vado ad un festival e finalmente PASSO PROCEDURA CIVILE e inizio a godermi di più l’estate con feste bei boschi . Tra giugno e luglio do 6 esami e finalmente mi sento di nuovo me stessa .a luglio festeggio il mio compleanno con una gratitudine nel cuore molto presente e mi diverto da pazza al mio compleanno e poi parto vado a Rimini e poi a Savona per divertirmi senza freni e per festeggiare i miei traguardi universitari. Ad agosto vado nella mia amata Calabria e ad attendermi in Italia c’era L. Dopo un anno di alti e di bassi , di parole spese , di presenza continua , di compleanni dimenticati lo vedo e me lo godo al massimo per quello che lui mi rende possibile fare e lascio un po’ da parte le mie paure .ad agosto poi festeggio il mio amato Leo e parto per New York , per ricongiungermi con una famiglia che è sempre più mia anche se una parte di questa è volata via 👼, mi sento sempre più amata e vicina alla mia famiglia , anche a quella che abita a un passo da casa mia che ho dovuto rincontrare dall’altra parte del mondo . A settembre vado in Canada e finalmente concludo le conoscenze dell mia famiglia con il mio ultimo Zio e cugini che vi posso assicurare che mi sembrava di conoscere da sempre . Torno da questo viaggio , rivedo L. E lo saluto con la consapevolezza di essermene innamorata ma con la consapevolezza ancora più forte che quella sarebbe stata l’ultima volta che ci saremo visti . Ottobre lo passo con i miei amici e la mia famiglia , conosco di più Irene e mi rendo conto del tesoro che sia . Volo in Sardegna e la mia luce e solarità mi fanno sempre più rendere certa della scelta che ho fatto lavorativamente parlando .a novembre incomincia a prendere forma il mio viaggio a malaga e inicomicio a studiare di nuovo per nuove sfide e a dicembre do 3 esami di fila .concludo l’anno con la laurea delle mie due sorelle , con un orgoglio immenso e una festa stupenda che ha riunito tutta la mia famiglia , come non succedeva da 20 anni .questa festa è stata bella quanto malinconica , mi ha fatto pensare a quella che sarebbe potuta essere la mia quotidianità , con una mamma e un papà sempre presenti e con la mia famiglia unita . Nonostante questo sono grata di tutto l’amore che ho attorno e che sento giornalmente. Sono grata del supporto costante e delle persone che credono sempre in me
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damon-ridenow · 2 months
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Sput
Quanti pensieri mi girano per la testa. Dovrei andarmene, vivere con Irene per qualche mese, come dice lei. O dovrei cancellarla, con la bacchetta magica, sempre come dice lei. Dovrei fare come voglio io secondo quanto dice lei, anche quando il mio fare provoca dolore. Perchè lo scopo non è la felicità di tutti, non è essere sereni, è fare esperienze a spese di chi ti sta a fianco. Questo ovviamente finchè non provi sulla pelle il dolore che fa, la paura dell'abbandono, l'insicurezza, la gelosia, la voglia di essere migliore, o di vedere l'altr* essere peggiore. Questo a mio avviso non è poliamore, è il modo disfunzionale che UNA PERSONA si è creata, e che ora in qualche modo impone a chi gli sta intorno.
"mi fido di te" Ma mi fido di te per cosa? perchè stavolta farò la scelta giusta senza far soffrire nessuno? Perchè lascerò Irene in un bagno di lacrime mie e sue, DI MIA SPONTANEA VOLONTA'? Che gioia vivere questo compleanno, questa festa. Questa storia. Da vivere LIBERAMENTE.
La puzza della lettiera del gatto mi ammorba il naso, e dietro di me manifesta lo stantio che c'è qui dentro, nella stanza appena dipinta. Qeusta casa, che continua ad essere MIA, nonostante tutto quello che abbiamo fatto. Non è casa nostra, continua ad essere solo casa MIA. Una casa di cui non posso disporre, una casa che ho chiesto più volte di condividere, una casa che mi è stato garantito che io potessi aprire ad Irene.
Tutte le parole che mi dovrò rimangiare : non sei sola, puoi contare su di me, questa casa è anche la tua, ti assicuro che Giulia ha detto che va bene, vedrai che ne usciremo insieme. Ecco, speravo che la storia finisse magari solo con me a soffrire : lei trova una persona che le piace, si allontana piano piano, io rimango nel mio angolino a piangere l'abbandono, e tutto è ok. Ora invece sarà molto divertente andare da lei con la faccia fuenerea, spiegarle che niente, abbiamo scherzato, che tutto quello che ci siamo detti era una bella burla, fatta per darle ancora di più la convinzione che la vita è una merda.
La vita è una merda se ti costruisci una merda intorno. Se lavori per essere felice, per rendere felici gli altri, la vita ti sorride. Ma non sia mai che la vita ci sorrida, non sarebbe abbastanza triste, pensieroso, riflessivo, non porterebbe abbastanza presa male nelle nostre vite, perchè bisogna sentirsi in colpa ad essere felici, sempre.
In tutto questo, AUGURI DANIELE. Cento di questi giorni di ansia, frustrazione, sofferenza, amore soffocato, droghe prese a casaccio.
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