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#la sera delle promesse
diceriadelluntore · 26 days
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Bei Fior
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Questo 25 Aprile è ancora più importante: perchè siamo al culmine di una strisciante strategia di revisionismo, dai tratti sbracati e ingenui (per questo spesso di presa) che continua ad ammiccare, a nascondersi, a non affrontare il problema. Lo fa nonostante sia classe dirigente, lo fa con atteggiamenti antistorici, propagandistici. Lo fa manipolando.
E pensò che forse un partigiano sarebbe stato come lui ritto sull’ultima collina, guardando la città e pensando lo stesso di lui e della sua notizia, la sera del giorno della sua morte. Ecco l’importante: che ne restasse sempre uno. Scattò il capo e acuì lo sguardo come a vedere più lontano e più profondo, la brama della città e la repugnanza delle colline l’afferrarono insieme e insieme lo squassarono, ma era come radicato per i piedi alle colline. – I’ll go on to the end. I’ll never give up.
Beppe Fenoglio, Il partigiano Johnny
Questo 25 Aprile è anche importante per un altro anniversario.
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50 anni fa una rivoluzione pacifica mise fine ad un regime che credeva fosse meglio vivere non nel presente, ma cento anni nel passato. Un regime che vigeva dal 1926: con il colpo di Stato del generale Carmona, Antonio de Oliveira Salazar è nominato Ministro delle Finanze con pieni poteri nel 1928 e nel 1932 Salazar si trasforma nel dittatore che, attraverso il suo Estado Novo, controllerà per 35 anni ogni aspetto della società portoghese. Nel 1968 una trombosi cerebrale, causata da un incidente domestico, lo allontana per sempre dal potere. Viene quasi subito sostituito da Marcelo Caetano, ma fino al giorno della sua morte nel 1970 rimane convinto di essere ancora il Primo Ministro. Pare che nessuno ebbe mai il coraggio di dirgli la verità. Dopo decenni di oscurantismo, censura, mancate libertà personali, l'ossessivo controllo della PIDE (poi DGS) la polizia politica, istruita dalla Gestapo e dalla CIA, che controlla l'intera popolazione in patria e nelle colonie, dove sin dagli anni '60 ribollono istanze di indipendenza (Angola, Mozambico, Guinea-Bissau). E In Portogallo furono i militari, tramite il Movimento das Forças Armadas, che organizzarono prima un movimento clandestino, poi un effettivo golpe incruento volto a far cadere il Governo Caetano.
La sera del 24 Aprile poco prima di Mezzanotte, il segnale fu lanciato: per la radio di Stato passò una canzone, Grândola vila morena del cantautore e attivista politico José Afonso, da sempre bandita. In poche ore un corteo pacifico di mezzi corazzati entra nel centro di Lisbona. Caetano prima si rifugia nel Palazzo della Guardia Civil, poi si arrende. Il 25 Aprile, sparsa la notizia, la gente si riversa in piazza, e una fioraia, felicissima, inizia a distribuire garofani rossi ai soldati, che li infilano nei loro fucili. È il simbolo della Rinascita: il 1° Maggio 1974 il Portogallo festeggia la Festa dei Lavoratori dopo 46 anni. La Transizione sarà lunga e difficile, ma i Militari mantengono le promesse: indipendenza alle colonie, libere elezioni, un progressivo ammodernamento del Paese.
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aurorasword · 1 year
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Ti scriverò una notte in cui mi starai
mancando troppo: ti scriverò che dopo di te
nessuno è più riuscito ad accendermi, e in mezzo alla gente io mi sento distante; rido, scherzo, certo, ma con te era diverso.
Con te non ho mai dovuto fingere, sono sempre stata me stessa, mi sono aperta, non accadeva da tempo ma è stato naturale, come se, già al primo sguardo,avessi capito che il mio posto nel mondo fosse proprio lì, accanto a te.
Ti scriverò che a volte la malinconia mi devasta. Continuo a farmi un sacco di domande, a guardare il cielo scovando segnali tra le nuvole, a sperare di ammirare lo stesso tramonto, anche se distanti magari ritrovandoci per un attimo anche solo col pensiero.
Ti scriverò che certe canzoni io non le riesco più ad ascoltare, che ci sono dei posti in questa città che cerco ancora di evitare, auto come la tua che mi fanno sempre sobbalzare. Ci sono delle foto che non riesco più a vedere, che un po' hanno tutto il mio cuore.
Ti scriverò che ogni tanto sento il tuo profumo ma chi lo indossa non sei tu, e allora mi fa strano, mi dà quasi fastidio.
E poi ci sono parti di me che non riesco più a riconoscere, non lo so, è come se ti fossi portato via quel senso di stupore, di meraviglia che mi sentivo sempre dentro.
E qualche sera una fitta mi attraversa dallo stomaco alla testa, passando per la gola. Un senso di vertigine, non te lo so spiegare.
Un ricordo spunta all'improvviso e il mio mare si inizia ad agitare. Chiudo gli occhi, provo a respirare ma non aiuta, mi sento quasi scomparire. Ti sento accanto ma non ci sei. Non riesco più a pronunciare la parola amore, ci sei dentro tu e nessun altro riesce a scacciarti da lì.
Non credo nei ritorni, lo sai. Ma credo nei posti e credo di avertene riservato uno per tutta la vita. Sai, credo soprattutto in quelle persone che fanno in modo di raggiungersi. Anzi, di non perdersi mai del tutto. Come quando ci si allontana tenendosi le mani, un passo dopo l'altro e restate insieme solo per i mignoli, come per le promesse che fanno i bambini.
Ma noi siamo grandi, dovremmo fermarci un attimo, guardarci dentro e poi capire che, forse, siamo quel pezzo mancante, un cielo di puzzle a cui manca la luna. Forse dovremmo fermarci un attimo, fare un passo indietro,prometterci di restare e poi restare sul serio.
Stringerci le mani, ritrovarci in un abbraccio e perderci soltanto negli occhi dell'altro.
-ti penso (ancora)
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copihueart · 2 months
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PENSIERI DI PRIMAVERA
L’AMORE
Ognuno lo legge in modo diverso, perché altra spiegazione non sa dare al suo ridere di spore, ai bruschi abbassamenti di temperatura, ai movimenti del fascino e dell’ignoto. Amare è come essere dentro una bolla d’aria, è come sopravvivere ad una immersione prolungata, riuscire a diventare bersaglio, come mordere una mela vistosamente colorata, in un estremo labirinto per liberarlo dal piacere, così da sussultare e agonizzare, accarezzandosi il corpo con la calma di una costellazione. L’amore è come uno stregone indiano,che ad un’ora imprecisata, in un giorno che non so, in un luogo che non conosco, certe volte o forse mai, ci chiamerà a raggiungerlo, approfittando del tempo di un mare tranquillo, o sotto la pioggia battente o dentro il vortice di un uragano. Spenderà il suo buon calore, disegnerà teli sgombri di presenze, forse seduto nella panca intiepidita dal sole autunnale, dove si stamperà il primo bacio, a succhiare sotterranee solitudini della vena cava. Sarà l’odore che si porta addosso, perché le piace appuntarsi fiori nei capelli e zuccherarsi le labbra di rossetto, nel rosso succo delle fragole, nel suo comodo nascondiglio, tra i capricci del vento dove si affollano i sogni e i desideri.
O se ne starà a bruciare accovacciato davanti al fuoco, aggrappato mani e piedi al cordame, ebbro d’aria e di vento, aspettando di ridisegnare i contorni del mondo, nell’arco di una piazza piena di fortezze dove mancano i tavolini all’aperto. Camminerà a passi brevi, nel disincanto della sera, come un musicante ubriaco, drogato dalla nafta degli scappamenti e dal luccichio delle auto in corsa, a disseppellire granchi nei deserti dove niente può turbare le nostre attese e circonderà ingorghi di nuvole, parole pronunciate senza convinzione, nel disordine inafferrabile delle gambe delle donne, con quel senso confuso di mancata intimità.
Lo si memorizzerà per assorbimento, come un impercettibile liquido, soffocato dal minimo rumore, dal prolungarsi della sua caduta o della sua vittoria e si guarderò intorno, consunto e leggero, quasi pietrificato dal sapore della melanconia, dal silenzio seppellito nell’abbandono, con il suo desiderio unico e inconsueto, a deporre i gioielli della felicità, in un groviglio di pensieri che si trasformano e strascicati illuminano le ultime voci remote di ogni attimo trascorso. Faccia a faccia con la tonda luna, mentre la poesia lo morde e lo sublima, il colore gli accarezza gli occhi e fiorisce in bocca, la musica le strugge l’anima e scoppia di desiderio e di passione sulla mia giubba scolorita. Cosa lo può distogliere dal nascere e dal morire, nella spossatezza del creato, tra la folla dai volti ignoti, nei delicati frammenti del cuore, nell’attorcigliarsi di nuovi e prossimi incontri, di anime candide che si stupiranno di esistere, negli assolati pomeriggi d’estate, nell’immobilità del mare, appassionandosi ancor di più, governando senza raggiungere nessun luogo, in attesa di quella brezza tiepida che tornerà a consumarlo-
Oggi lo ritrovo seduto in una stanza terremotata, nella nebbia bassa della terra, declinante di luce, dove cade l’antica abitudine serale, ancora un po’ smarrito, tra i soprabiti scambiati e subito ripresi, quasi che non si potesse più pronunciare il suo nome, smarrito nei vicoli che si ingolfano di memoria, nell’ingratitudine azzurra, nel sospiro e nel pianto, a non aver voglia di coricarsi con nessuno, perso nella tramontana che sgretola le siepi, nell’immobilità del mutamento. Quasi lo avessero bandito, con tutte quelle promesse che ora occupano il suo posto, nel dondolio degli steli umidi di pioggia. E’ stato tradito, più volte calpestato e ingannato, nella dimensione dei torrenti in piena, travolto dagli scandali, in questa ressa del cuore dove tutto è permesso, dove sfuma invisibile il cielo, tra quei caseggiati dove si chiude l’esistenza, decifrando il desolante possesso, a smascherare la cattiveria degli uomini, nel freddo dato dalla tristezza, nell’umile corruzione dell’orgasmo.
Ma l’amore, anche se risulta una mossa sfocata, nelle labbra che sono laghi, tra i flaconi vuoti, nello sguardo delicato tra i rifiuti, saprà risorgere, con tutta la forza dei suoi denti saprà mordere, ripetere i suoi schiocchi di frusta. Saprà rinnovarsi in quel qualcosa che spesso ci sfugge, nell’incrinatura dell’aria incerta e tra i segni indelebili che lo ammantano, impresso in uno zampillo di pellicola, come un guerriero pronto alla battaglia, scivolando leggero sulle molli flottiglie di passanti, con in mano il petalo di una rosa, così come lo abbiamo sempre sognato, unico e raro, a cercare un’anima dove riflettersi, nel senso perfetto che deterge il sudore, schermato l’obiettivo, se ne andrà a spasso in bicicletta, tra le nostre forme contorte, quasi ad indagare dove lo porterà l’umanità, con quella goccia sua che è fulgore del diamante.
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Sono intorno a noi, in mezzo a noi
In molti casi siamo noi a far promesse
Senza mantenerle mai se non per calcolo
Il fine è solo l'utile, il mezzo ogni possibile
La posta in gioco è massima, l'imperativo è vincere
E non far partecipare nessun altro
Nella logica del gioco la sola regola è esser scaltro
Niente scrupoli o rispetto verso i propri simili
Perché gli ultimi saranno gli ultimi se i primi sono irraggiungibili
Sono tanti, arroganti coi più deboli, zerbini coi potenti
Sono replicanti, sono tutti identici, guardali
Stanno dietro a maschere e non li puoi distinguere
Come lucertole s'arrampicano, e se poi perdon la coda la ricomprano
Fanno quel che vogliono si sappia in giro fanno
Spendono, spandono e sono quel che hanno
Sono intorno a me, ma non parlano con me
Sono come me, ma si sentono meglio
Sono intorno a me, ma non parlano con me
Sono come me, ma si sentono meglio
E come le supposte abitano in blisters full-optional
Con cani oltre i 120 decibels e nani manco fosse Disneyland
Vivon col timore di poter sembrare poveri
Quel che hanno ostentano, tutto il resto invidiano
Poi lo comprano, in costante escalation col vicino costruiscono
Parton dal pratino e vanno fino in cielo
Han più parabole sul tetto che S.Marco nel Vangelo
Sono quelli che di sabato lavano automobili
Che alla sera sfrecciano tra l'asfalto e i pargoli
Medi come i ceti cui appartengono
Terra-terra come i missili cui assomigliano
Tiratissimi, s'infarinano
S'alcolizzano e poi s'impastano su un albero - boom!
Nasi bianchi come Fruit of the Loom
Che diventano più rossi d'un livello di Doom
Sono intorno a me, ma non parlano con me
Sono come me, ma si sentono meglio
Sono intorno a me, ma non parlano con me
Sono come me, ma si sentono meglio
Ognun per sé, Dio per sé
Mani che si stringono tra i banchi delle chiese alla domenica
Mani ipocrite, mani che fan cose che non si raccontano
Altrimenti le altre mani chissà cosa pensano, si scandalizzano
Mani che poi firman petizioni per lo sgombero
Mani lisce come olio di ricino, mani che brandiscon manganelli
Che farciscono gioielli, che si alzano alle spalle dei fratelli
Quelli che la notte non si può girare più
Quelli che vanno a mignotte mentre i figli guardan la tv
Che fanno i boss, che compran Class
Che son sofisticati da chiamare i NAS, incubi di plastica
Che vorrebbero dar fuoco ad ogni zingara
Ma l'unica che accendono è quella che da loro l'elemosina ogni sera
Quando mi nascondo sulla faccia oscura della loro luna nera
Sono intorno a me, ma non parlano con me
Sono come me, ma si sentono meglio
Merita intero il testo❤️
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libriaco · 1 year
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Dùnque?
OR dùnque, il naturale stato dell’uomo è la infelicità? dùnque, sarà e vera e immutàbile l’antica sentenza che ci dannava all’esiglio, al sudore, al dolore? dùnque, non avremo a conforto che o gli obliosi fumi del vino o le lontane promesse delle religioni?
C. Dossi, Il Regno dei Cieli - La Colonia felice [1873 e 1874], Napoli, Guida editori, 1985
Perché quegli accenti? A domani sera.
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Essere portata sul palmo della mano, come la cosa più preziosa, più fragile, più bella, come un tesoro da difendere ad ogni costo, da non perdere per nessuna ragione.
Essere tenuta stretta, stretta sempre.
Essere l'orgoglio di chi mi sta accanto, la fonte della gioia, una persona per cui combattere, oltre ogni limite, oltre ogni ostacolo, oltre ogni paura.
Essere io la priorità, la persona su cui non avere nemmeno un'ombra di dubbio.
Rappresentare il centro assoluto di tutto ma prima ancora del cuore. Il centro dei pensieri, delle attenzioni, della cura.
Essere il primo pensiero del mattino e l'ultimo della sera, la protagonista di ogni sogno, essere desiderata, guardata.
La persona a cui pensare immediatamente quando accade una cosa bella, con cui condividere la gioia e la rabbia, la stanchezza e la spensieratezza, i progetti, i momenti no. I ricordi del passato, il mare, l'arcobaleno, un temporale, ogni fiore sulla faccia della terra, ogni tramonto, tutte le fasi della luna.
Essere la spinta, la follia, la ragione per superare i giorni difficili, le notti senza dormire.
La nota di ogni canzone, il verso di ogni poesia, il senso delle cose che un senso sembrano non averlo.
Una persona a cui dire le cose sempre, anche quelle che non sono belle. Una persona a cui regalare parole, non silenzio. Parole sincere, non favolette. Una persona a cui non fare promesse senza sapere che possono essere mantenute.
Una persona a cui dire "ci sono io con te" e poi esserci davvero.
Una persona per cui rompere gli schemi, da non sacrificare, assolutamente da non sacrificare mai.
Non mi interessa nulla di meno di tutto questo.
Laura Messina
Illustrazione Endmion1
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montag28 · 1 year
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Le vent nous portera
Il ramo più basso del tiglio, foglie larghe e ruvide e setose, come lamine morbide e asciutte, sottilissime lingue di gatto. Mi accingo a passarci attraverso, senza aiutarmi col braccio, ci infilo il viso dentro; il mio naso fende il verde e scosta la cortina vegetale, aprendo la strada verso l’interno. Tiglio non può fare male, le mani stanno a guardare, gli occhi abbassano le serrande, accarezzo con le ciglia le nervature, o forse viceversa, è l’albero che accarezza me, con le sue foglie sulle mie palpebre chiuse. Una tendina giapponese leggera fissata alla sua stecca naturale, un ramo alto come un ragazzino di dieci, undici anni. Mi chino un poco e finalmente mi addentro in quel nascondiglio di clorofilla ed essenze, a respirarne il verde, ad ascoltarne gli aromi, a osservarne le innervate carezze. Le foglie sono ora scialle sulle mie spalle, i rami sono tetto, l’albero capanna.
Il cielo si appanna e s’accartoccia su sé stesso, cenci di grigio si stratificano e s’ammucchiano, cirri sopra cumuli, il vento fa tremare il mio e tutti gli altri tigli del viale. L’aria si carica di nuovo di promesse di tempesta e sensazione di pioggia imminente; non pioverà. I papaveri, da qualche parte, lontani e vicini, il loro coro rosso che canta: noi siamo qua, non abbiamo paura, il vento non ci sposterà. Il vento, ci porterà.
Il mio sonno m’attraversa il corpo come la linfa un tronco d’albero. Levarsi in piedi e iniziare a vivere quando è ancora notte comporta un giorno intriso di cosciente attività onirica e sghembe fantasie che attorcigliano la veglia col sogno, come maglie di giunco e vimini intrecciate in un unico cestino, un comune destino. Ma il profumo della siepe di gelsomino nella via alle quattro e quarantacinque del mattino è reale, esiste; persiste. Come il ricordo della sera prima, il ragno controluce in prossimità del semaforo pedonale, alla mia sinistra. Attendo di attraversare: il ragno scende dal cielo, perpendicolare, il suo filo perfetto e invisibile teso dalla forza di gravità. Muove le zampe e danza nell’aria, scendendo dall’alto, fluido e verticale: spremo la vista, come ad assicurarmi che i miei occhi non siano farlocchi, ovvero che non ci sia davvero una parete trasparente su cui il ragno sta in realtà camminando. Allungo una mano, la parete svanisce.
Io pure, cammino: e più non distinguo l’oggi dallo ieri, l’alba dalla sera, i nomi delle nuvole. Confondo i sensi, senza confondermi col senso. Conosco la direzione. Riconosco i miei passi, distinguo il loro suono dalle altre tracce: attrito di pneumatici sull’asfalto, camere di scoppio di motori in temperatura; e in alto, più alto, il fruscio argentino delle foglie dei pioppi e dei tigli, mosse ora dal vento di bufera di oggi, ora dalla brezza calma della sera di qualche ieri, di qualche domani. Che il tempo sia clemente o che s’inasprisca, il loro suono rimane dolce, riconciliante. Come la voce, la voce che non ho perso. Mi basta chiudere gli occhi, nella strada, per ritrovarla ancora, ancora. E poi, risentirla, ancora - come il coro dei papaveri, che il vento porterà.
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cucuzzaemelanzani · 5 months
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Quattro mesi fa.
Lo fa così, di sera, di punto in bianco.
Torna dalla doccia, si siede davanti a me, e mi dice: “non ce la faccio più ad andare avanti”.
Io risi, perché pensavo scherzasse, pensavo fosse un suo modo per avere delle rassicurazioni o per avere un momento per parlare di sé. Insomma, non mi avrebbe sorpreso! Capitava spesso che quando era giù di morale vedeva il mondo tutto nero, si chiudeva a riccio e magari se ne usciva con qualche frase un po’ aggressiva. Con il tempo avevo imparato a decifrare tempestivamente quel comportamento e anziché perdermi in frustrazioni inutili, avevo capito che era meglio agire subito. Cioè metterla lì seduta davanti a me e aiutarla a snocciolare la questione.
Quella sera, feci esattamente così. Le dissi proprio: “dai vieni qui, dimmi che succede”. Ma lei non si mosse. Rimase lì dov’era, immobile. Con uno sguardo a metà tra lo spaventato e l’arrabbiato.
Fu in quel momento che qualcosa scattò nella mia testa e concretizzai che non stava scherzando, era seria.
Io vorrei riuscire a descrivere esaustivamente che cosa successe al mio corpo in quel momento.
Quando la gente mi diceva di aver sentito il cuore spezzarsi, io pensavo di sapere cosa intendessero. Invece no! Che idiota! Non lo sapevo neanche lontanamente!
Un cuore spezzato lo senti, nel petto, abbandonarsi. Aprirsi in due come un guscio d’uovo. Una caduta in un pozzo profondo. Un urlo in una stanza insonorizzata.
Non è un petto che si stringe, una gola che si attorciglia, una tachicardia.
È un silenzio tombale, il crollo di un seracco, uno scrigno che sprofonda nell’oceano.
In quel momento i miei occhi si annebbiarono, come se fossero anche loro nel pozzo, i suoni rimbombavano, ma non sentivo nessuna parola.
Lei provava a spiegarsi, a dirmi qualche frase del tipo “il problema sono io non sei tu”. Ma io mi sentivo già in terza persona. Galleggiavo su quel letto.
Non aveva senso quello che mi stava dicendo, il modo in cui me lo stava dicendo, il posto, i colori del suo pigiama, la forma dell’armadio.
Dov’erano finite le promesse di un amore eterno, di una vita insieme, l’amore per i nostri cani, il tagliere di formaggi con il vino sul divano?
Ma da quanto tempo non beviamo vino sul divano?
Mi fermo, non riesco ad andare avanti. Però devo dire che obbligarsi a ricordare i dettagli è terapeutico.
La mia unica consolazione fu un grande simbolo la mattina seguente.
Un grillo sotto il mio comodino. 💚
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Ritrovamenti
Capita che una sera di metà giugno ti ritrovi nella tua città di riferimento, per un festival, e ti ascolti da sola Luca Marinelli che legge a te e tutti Kafka, con la sicurezza e l'interpretazione di chi ha vissuto il racconto per davvero.
Succede che ti raggiungano alcuni amici del dottorato e che si faccia un aperitivo insieme, ammirando il duomo di Cremona e la sua imponenza.
Accade che il festival prosegue appena fuori dal centro, in un parco, e scopri che alcuni ragazzi che frequentavano le superiori con te sono lì a fare da volontari. Riconosci subito colui per cui questo blog ha proprio questo nome e ti senti in debito per non avere ancora finito di ricamare la sua maglietta. Arriva a salutarti anche un altro ragazzo, con cui hai condiviso la gita di quinta superiore e solo qualche saluto, e ti chiede se ti ricordi di lui. Come non potrei? Una delle persone più belle e interessanti dell'epoca delle superiori, così inarrivabile da diventare inaccessibile nella mia testa. Certo, Angelo, mi ricordo di te. Mi chiedo come tu possa ricordarti di me, piuttosto. E cosa ti faccia passare con me troppo tempo a chiacchierare delle nostre vite e della tua medicina che continua a rilento.
Come può l'inaccessibile diventare non solo accessibile, ma trasformarsi in un abbraccio a fine serata, in mille promesse di nuovi incontri espresse con timore e riguardo?
Non mi capacito di come tutto quello che sembrava distante anni luce fino a poco fa sia diventato così tangibile e vicino, tanto reale da spaventarmi.
Vita, cosa mi riservi?
Stelle, qual è il mio destino?
Grazie
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Ho una resa dell’82%, come una piastrella in due metri quadrati di cielo: insignificante, sproporzionata e insensata. Lui si complimenta, io mi annoio. Se fossi io la risorsa su cui ha avuto parole dure, non mi butterei in lacrime dal balcone. Tradotto: tutto ciò di cui mi riempio la bocca ogni giorno prende troppo poco posto nei miei occhi. La maledizione del non abbastanza. Come chi fa sporadicamente un salto, ma non torna mai. Come i tuoi scatoloni pieni e le giornate afose che sono seguite, come se una pretesa di caldo opprimente potesse sopperire alla tua stretta avvolgente. Ma forse tu, senza esserti bruciato, hai capito che a starmi vicino ci si scotta. Proprio tu che facevi piani di domani mentre io facevo il pieno di rimani. Sei felice? Me lo hai chiesto una sera qualsiasi, con un sole cocente e una scrivania piena di scartoffie. Sono grata. Mi sono così incastrata tra il pensiero di avere troppi capelli bianchi per essere leggera e al contempo troppi pochi per essere così pesante. Sei felice? Mi rimbomba nelle orecchie tra la mia voglia di partire, un interpello da scrivere e una manciata di scatoloni da fare. Dirti ciao come chi va via e poi ingoiare l’assenza come non fossimo fragili. Che poi rido, come quando mi hai urlato che siamo fragili, sì, ma come bombe, mica come fiori. Ricordo nitidamente il tuo profumo, evapora invece la tua voce. Quaranta secondi di audio in quaranta minuti di strada, perché lei mi ha guardato dritta in faccia e mi ha detto che perdere te non è stata solo una sconfitta. Ho smesso di piangere a Seven Sisters per ricominciare ad Harlow Town, perché perdere te è stata una disfatta clamorosa. Se fosse qui ora non lo chiamerei, e mi sono vergognata tanto persino a pensarlo. Se fosse qui ora comunque non saprei volergli bene, te l’avrei detto piano su quel balcone minuscolo di una casa ora abitata da altri. Guarda che si vede quando non sei felice. Ti accompagno in stazione, anche se alle partenze piango sempre, ché a forza di correre non si afferra niente. Cerco nei tuoi occhi un perché anche quando penso che sia tutto un caso. Ad avermi disarmato è stata la complicità, così spontanea e inattesa. Dormiamo insieme senza che serva una scusa, senza attrito e senza chiederci che ora sia. Odio dormire da solo e altre affermazioni che butti alla rinfusa tra un caffè e una checklist. A domani, e altre promesse che ci danzano sulle labbra che tentiamo di mordere per tenerci più stretti. Ma sappiamo solo volerci, e cerchiamo di afferrarci in modo talmente viscerale che poi non siamo in grado di riconoscerci tra i volti dei passanti. Ho una resa dell’82%, ma perdonami se mi hanno insegnato a leggere solo lo scarto del 18%. Il mio tempo buttato è il suo pallino giallo, i suoi 4k di maggior compenso, i suoi 4 anni di esperienza in meno. Il mio obiettivo mancato è l’entusiasmo affievolito, la noia latente, l’insopportazione costante. Giri intorno a ciò che non dico per non inciampare in recriminazioni a casaccio e invece poi finisco intrappolata nella sicurezza delle solite insicurezze. Sono legata da un lavoro che non so fare, sono ossessionata da un ragionamento che non so chiudere, sono intimorita da un’interpretazione che non so fare mia. Mi terrorizza non riuscire, mi tocchi i capelli mentre mi dici che non ti fa paura io fallisca. Ieri sera pioveva senza gocce e io abbozzavo una canzone di cui non ricordo le parole per non appassire nel silenzio delle stanze vuote. Sei felice? Mi chiami quando arrivi, mi scrivi quando parti, insomma, metti in fila i piedi per dirmi che ti manco. Io mi dondolo un po’ nell’incertezza di un cuore che non batte poi così forte, nella melodia accennata di un giro di chitarra che non mi spiazza, di un cielo con un tramonto che non mi incendia. Di cosa sei grata? Questo non me l’hai chiesto mai. Di perdere sempre l’equilibrio, di fare tante cose tutte consapevolmente male, di stringere i denti nel sentirmi stretta.
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carraromarco · 10 months
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Ho firmato il contratto per un nuovo affitto. Sarà una casa nuova (ci vuole coraggio a chiamarla casa), un piccolo angolo di mondo solo mio. Un punto da cui ripartire, un modo per provare a lasciare alle spalle ciò che in questi mesi sono stato bravo solo a trattenere e a conservare. Ieri sera ho pianto. Ho pensato a quanto sia difficile lasciare la mia casa attuale; ho pensato a quante cose ci ho fatto qua dentro, a quante promesse, a quanto amore, a quanta vita sia passata tra queste mura. Vita che all'epoca pareva la quotidianità mentre ora ripensare a quei momenti mi sembra che tutto fosse oro. Lucente. Perfetto. Il tempo modifica la prospettiva delle cose, temo. Però com'è difficile cambiare adesso casa, sapendo che nessuna nuova casa sarà comparabile alla precedente. E non si parla di affitti, non si parla di grandezza, metri quadri o bellezza. Si parla di cuore. Ed un pezzo del mio cuore (chissà quale e chissà quanto importante) rimarrà per sempre tra queste mura. Spero che il mio cuore abbia capacità di staminalità e possa rigenerare le parti mancanti. Ora mi sento solo a pezzi. Chissà cosa diresti tu se vedessi adesso questa nuova casa. Ti piacerebbe il letto? Hai visto che ora ho pure il condizionatore? Ma sono parole ed anche le parole a volte non bastano a riportare indietro il tempo. Vorrei solo avere il coraggio per andare avanti.
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ladiva07 · 1 year
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non capisco hai detto che non avresti mollato subito, mi hai fatto un sacco di promesse e ora la mia mente scherza con me dicendo hai visto che carina che era e tu ora sei felice anche senza di me ma io voglio tornare al giorno che ci siamo conosciuti e rifare tutto da capo a me manchi così tanto che la sera e la parte peggiore perché stavo con te tutto il giorno mi aggiornavi se mangiavi uscivi e ora invece c'ho che ricevo e sono fuori o mi manchi così a cazzo e io mi ritrovo a fare i conti da solo e a piangere di rotto con la musica senza farmi scoprire dai miei anche se e impossibile perché mamma continua a chiedermi "mi manca il vecchio te" "perché sei così stronzo?" "perché hai gli occhi spenti?, prima tornavi a casa con il sorriso" la tutor non è da meno e sempre "ciao tesoro come sta la miri?come va tra di voi?" "quindi vi incontrate ancora st'estate?" "tesoro mio perché hai gli occhi spenti?, hai pianto?" "Theo ti sei spento" e io non so cosa dirgli anche se la sera mi ritrovo con la lattina della birra e il sabato e la domenica con il vino fino a dimenticare il fatto che tu mi abbia lasciato un vuoto incolmabile. sai a volte vorrei sparire da tutto o non essere direttamente non nato odio il giorno in cui sono venuto al mondo perché ho solo rovinato tanta gente e tu compresa.. a volte ripenso a noi e a capire cosa possa essere andato storto per essere finito a piangere come un bambino in un angolo ho perso la mia casa il mio punto di riferimento ora posso contare solo su di me perché la flotta si è distrutta e fa male come mi chiami ancora perché spero in un tuo ritorno dicendo voglio lottare.. perché sono stanco delle lacrime che rigano il volto ho bisogno di te ho bisogno della tua voce ho bisogno che quel cazzo di telefono vibri ho bisogno della tua incazzatura perché non ti ho risposto ho bisogno che tu ti preoccupi per me ho bisogno di tornare come prima sono stanco di piangere fino a mandarmi il fiato ho bisogno di te.. non so andare avanti senza di te..
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pettirosso1959 · 1 year
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Utilissimo ricordare cosa e come avvennero i fatti, pare che con questa polemica di oggi (Alfonso Bonafede-Nino Di Matteo), si ricalchi esattamente quello che successe tanti anni fa:
Oggi non è la ricorrenza della Strage di Capaci. Ma quello che successe il 19 gennaio di trent’anni fa fu una delle tappe che portarono all’isolamento di Giovanni Falcone. Uno dei tanti atti di ostilità e di gelosia che annunciarono pubblicamente la sua condanna a morte, raramente ricordati durante le commemorazioni e per questo necessari da ricordare.
Il Maxiprocesso era finito: la sentenza del 16 dicembre 1987 condannava la mafia per la prima volta nella storia d’Italia. Giovanni aveva vinto, ma era diventato “il morto che cammina”.
Come raccontato da Giovanni Brusca, l’uomo che avrebbe premuto il pulsante che fece detonare l’esplosivo allo svincolo per Capaci, Ignazio Salvo, un altro mafioso, gli disse che c’erano amici più in alto che avrebbero pensato a delegittimare Falcone, a cercare di ostacolarne la carriera. Che forse non ci sarebbe stato bisogno di ucciderlo.
Ad attaccare Falcone ci aveva già pensato Sciascia sul Corriere della Sera, in prima pagina, il 10 gennaio 1987, nel mezzo del Maxiprocesso, scatenando contro i giudici del Pool la celeberrima polemica dei “professionisti dell’antimafia”.
Antonino Caponnetto, allora anziano capo dell’Ufficio Istruzione di Palermo e guida del Pool, conclusosi il Maxiprocesso decise di tornare a Firenze, avendo ricevuto rassicurazioni sul fatto che il suo erede naturale, Giovanni Falcone, avrebbe meritatamente preso il suo posto.
Ma le promesse non vennero mantenute, e le parole di Ignazio Salvo si rivelarono come una profezia: Falcone non avrebbe ottenuto quel posto. Partito Caponnetto si aprì il concorso per l’Ufficio Istruzione e a un uomo anziano con diverse e più grandi ambizioni venne chiesto di candidarsi per quel posto destinato a Falcone.
Antonino Meli non era un corrotto. Aveva però tutti i requisiti per essere il candidato ideale per soffiare il posto a Falcone: vent’anni di anzianità in più, ma sopratutto non capiva niente di mafia. Il tradizionale criterio dell’anzianità di servizio fu anteposto a quello del merito. Palermo in quegli anni aveva il più alto tasso di omicidi tra le città delle democrazie occidentali: nessuna ragione dunque per non applicare inflessibilmente quei tradizionali criteri di selezione basati sull’età.
Il 19 gennaio 1988 il CSM votò: 10 voti a favore di Giovanni Falcone, 14 a favore di Antonino Meli. Vanno ricordati tutti, uno a uno.
A favore di Meli votarono Agnoli, Borrè, Buonajuto, Cariti di Persia, Geraci, Lapenta, Letizia, Maddalena, Marconi, Morozzo della Rocca, Paciotti, Suraci, e Tatozzi.
A favore di Falcone Abbate, Brutti, Calogero, Caselli, Contri, D’Ambrosio, Gomez d’Ayala, Racheli, Smuraglia, Ziccone.
Astenuti: Lombardi, Mirabelli, Papa, Pennacchini, Sgroi.
Come disse in seguito Borsellino, “il CSM mi fece un bel regalo di compleanno…“. Pochi mesi dopo, il Pool antimafia cessò di esistere.
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animepersissime · 1 year
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Spiazzata. Un po’ vuota. Non capisco. Dovrei essere arrabbiata, triste, delusa, in realtà mi sento indifferente. Non riesco a leggermi. E’ un’emozione nuova, non ho mai fatto i conti con queste cose. Le emozioni, è tutta una lotta con il cervello.
E’ veramente questo essere adulti? Voglio tornare ad essere piccola, ancora protetta dal mondo esterno. 
Ti amo perché sei la persona di cui mi fidavo. Ti detesto perché continuo ad amarti, nonostante faccia male da morire. Non voglio cancellare ciò che è stato, tu continui a farmi promesse, io continuo a crederci. Non so cosa pensare, in questo momento verità e bugia si sono fuse in un’unica miscela che fa a botte nei miei pensieri.
Non so che fare. Ho svuotato il mio cassetto delle lacrime, ieri sera sono scoppiata mentre ti stavo chiamando, perché i miei sentimenti sono così forti e impossibili da gestire che non riesco ad esprimerli. Pensa a te stessa. 
I giorni a Bergamo ti hanno fatto solo del bene, lontano da tutto e da tutti. Ciò che hai sempre voluto, alla fine stai bene da sola. Come ti senti da sola? Indipendente? Libera? Oppure sola e basta? 
Domani tornerai alla tua vita, alla tua quotidianità. Cerca di restare in piedi, non pensarci troppo, non entrare nello stato di inemotività, quello stato in cui una persona vedendoti ti domanda “che hai?” e l’unica cosa che vorresti fare sarebbe gridare o piangere; mentre tutto ciò che fai è rispondere con un semplice “niente” e finirla lì, dove non è neanche incominciata.
Bergamo ha una luce diversa quando sei triste. In un qualche modo diventa più bella, si notano tutti i suoi dettagli, non è monotona come pensavo. O forse le città sono più belle quando fuori splende il sole?
Il solito baretto, in città alta, è stato il mio posto in questi giorni. Sotto il sole, i raggi del sole che mi baciano la faccia, mentre bevo il mio solito caffè macchiato. I piccoli uccellini che ronzano intorno alle briciole sui piattini ormai vuoti, lasciati sui tavolini bianchi; io circondata da turisti, mezzi inglese e mezzi tedeschi, (forse anche un po’ ubriachi alle 10 di mattina) e dalle signore sulla ottantina, di un certo ceto, vestite anche in una certa maniera, con un cane legato al proprio braccio, che si riuniscono tutte le mattine al solito tavolino, a parlare delle loro vite e dei loro nipoti. 
“E’ andato in Francia per migliorare il francese e non è più ritornato.” “Ho il nipote che non parla, ha quasi due anni, ma niente, speriamo cresca in fretta.” “Su instagram, mi hanno seguito delle donne, sai, quei profili con le donne nude, io le ho bloccate subito.” 
Il loro accento mi entra dentro, non capisco se mi piaccia oppure no. Mi sembra di essere quella riga nera sulla pagina di un libro che devi rileggere tre o quattro volte perché non si capisce molto bene il significato delle parole. Vorrei sapermi leggere meglio.
Anche tua mamma al telefono ti ha sentita distante, svuotata. « Mamma non farmi piangere, sono in mezzo alla gente » con le lacrime ormai copiose sulle guance, come se in quel momento era più importante l’apparire bene.
In mezzo a queste persone felici e con in mano una tazza di caffè o una sigaretta, mi sento un pesce fuor d’acqua. Qui, seduta in un tavolino, al centro e accecato dal sole, io sono in cerca di qualcosa, forse di aiuto, da me stessa. Mi sento fuori dal mondo. Non ho voglia di restare lì, ma allo stesso tempo voglio, perché mi fa del bene. 
Vorrei solo sparire, non ho più certezze. L’unica cosa che faccio è sospirare, prendere i soldi per pagare il caffè e chiamare Alice, per sentirmi ascoltata e forse per sentirmi meglio. 
Ho bisogno che qualcuno si prenda cura di me, perché io non ho il coraggio di farlo.
Dove sei?
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my-camilla-stuff · 2 years
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Sto guardando la luna, o almeno quello che ne rimane. Stasera è solo un piccolo spicchio e forse anche qualcosa di meno. Ti dirò di più. Se alzassi lo sguardo in questo momento, la vedresti anche tu e, capiresti, che in fondo non siamo poi così lontani. È tornata la primavera. È tornato il rumore assordante delle macchine, dei clacson che suonano all’impazzata, del volume alto della musica che esce dalle vetture in movimento. Questa sera qualcuno sta preparando la pizza. Che buon odore! Un’aria tiepida mi accarezza. Un brivido pervade la mia pelle. In questo momento mi sento serena. Nonostante i tanti pensieri che cercano di partecipare e prendere la parte principale del mio spettacolo. Questa sera il mondo lo percepisco come fermo. Statico. Eppure, allo stesso tempo, sento che si muove al giusto ritmo. Anche io che sono in continuo ritardo , riesco a gestire quella sensazione di fuori controllo che governa ultimamente la mia vita. Questa sera sono in terrazzo. Il mio posto sicuro. Lontano dalle persone e dal resto del mondo. Ogni tanto, ho capito, che bisogna abbandonare quello che c’è fuori per trovare la pace. Ultimamente le persone mi destabilizzano e mi rendono triste. Mi feriscono. Sono in fuga. Da loro. Dagli sguardi. Dalle tante mani che cercano di fermarmi. Sono in fuga dagli addii. Dalle bugie e dalle promesse che poi non vengono mai mantenute. Sono in fuga da me stessa. Forse la cosa più terribile che potessi dire. Qui, adesso. Sto cercando la mia casa. La mia disperata casa che, penavo fosse accanto a te! Ma non riesco a trovarla. Ne ho viste alcune ma, non erano abbastanza. Mancava sempre qualcosa. (Forse tu?!) Alcune erano così vicine dall’essere perfette. Avevano una bella vista, ben posizionate. Illuminate dal sole durante il giorno e dalla luna durante la notte. So che prima o poi dovrò sceglierne una. Basta con queste scuse! Per il momento ho smesso di cercarle. Aspetto che siano loro a trovare me. Forse la cosa più assurda ed impossibile che possa momentaneamente accadere. Ma non ho più fretta!
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realnews20 · 3 days
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 La procura di Genova ha aperto un fascicolo per rivelazione di segreto d'ufficio nell'ambito dell'inchiesta sul comitato d'affari e corruzione che ha portato all'arresto del presidente della Regione Liguria Giovanni Toti. Il fascicolo, a carico di ignoti, è stato iscritto alla luce di quanto emerso dalle intercettazioni ambientali.   E' il 30 settembre 2020. I fratelli Arturo Angelo Testa e Italo Maurizio Testa, Iscritti a Forza Italia in Lombardia e da ieri sospesi dal partito, vengono a Genova per incontrarsi con alcune persone della comunità riesina. A quell'incontro si avvicina un uomo con la felpa e il cappellino. "Viene riconosciuto in Umberto Lo Grasso (consigliere comunale totiano). Che dice a Italo Testa: "Vedi che stanno indagando, non fate nomi e non parlate al telefono …. Stanno indagando". Per tutta risposta Italo Maurizio Testa afferma: "si lo so, non ti preoccupare …. L'ho stutato ("spento" in dialetto siciliano, ndr)". Questa condotta, scrive il giudice per le indagini preliminari Paola Faggioni, "appare in tal modo integrare il delitto di favoreggiamento personale, avendo il predetto - avvisando i fratelli Testa a non parlare al telefono essendo in corso indagini ("stanno indagando") - fornito un aiuto in favore dei predetti ad eludere le investigazioni a loro carico". Ma chi ha avvisato Lo Grasso? Una ipotesi è che vi sia appunto una talpa visto che Stefano Anzalone, totiano anche lui e indagato nell'inchiesta, è un ex poliziotto che ha dunque agganci tra le forze dell'ordine. L'altra ipotesi è che si possa trattare di una sorta di millanteria dello stesso Anzalone, che dopo le elezioni voleva togliersi di torno i fratelli Testa e non onorare le promesse fatte in cambio dei voti.   "Spinelli ha detto di aver finanziato tutti ma con sottoscrizioni elettorali che pensava fossero tracciate". Lo ha detto l'avvocato di Aldo Spinelli, Vernazza stamani davanti a Palazzo di giustizia a Genova aggiungendo che farà ricorso "al Riesame perché non abbiamo una misura così afflittiva, non siamo in carcere". A chi gli chiedeva se una promessa elettorale non mantenuta consente comunque di configurare il reato di finanziamento illecito, Vernazza ha risposto che "esiste anche il reato di truffa per fare delle ipotesi... c'è da discuterne. Non mettiamo limite alle difese".   Infine l'avvocato genovese ha sottolineato di non aver fatto richiesta di revoca della misura dei domiciliari: "Non la chiedo. Lui vorrebbe tornare in azienda ma non lo può fare e poi secondo me è prematuro, bisogna far andare avanti le cose". A chi gli chiedeva se fosse "scocciato di aver dato senza ricevere nulla in cambio", Vernazza ha risposto: 'Lui dà sempre'.   "Sono stato preso in giro da Toti".Lo ha detto l'imprenditore Aldo Spinelli rispondendo alle domande del giudice e del pm della Procura della Repubblica guidata da Nicola Piacente che gli contesta di aver pagato in tre anni tangenti per 75 mila euro a Giovanni Toti per ottenere favori e delibere. Le frasi sono riportate oggi dal Corriere della Sera e da altri quotidiani."Ho dato finanziamenti sempre rispettando la legge a tutti, perfino alla Bonino che nemmeno conoscevo" ha aggiunto, e contro il parere del figlio Roberto - scrive il giornale milanese- come dice anche in un'intercettazione depositata agli atti.   Arturo Testa: 'Facevo solo campagna elettorale'  "Facevo solo campagna elettorale tramite comunità riesina, non capisco perché mi accusano'. Lo ha detto Arturo Angelo Testa, uno dei due fratelli ex Forza Italia indagati per corruzione elettorale aggravata dall'aver agevolato il clan mafioso Cammarata del mandamento di Riesi nell'ambito dell'inchiesta che ha portato ai domiciliari il governatore ligure Toti, l'imprenditore Aldo Spinelli e l'ex presidente dell'autorità portuale ed ex ad di Iren Paolo Signorini.
Testa sta entrando in tribunale per l'interrogatorio di garanzia davanti al gip Paola Faggioni.  Fratelli Testa anche in elezioni Torino e Treviglio  Le elezioni in Liguria ma anche quelle in Lombardia e Piemonte erano nel mirino di Arturo e Maurizio Testa, i fratelli indagati nell'ambito dell'inchiesta che ha terremotato la Regione Liguria e portato ai domiciliari il presidente Giovanni Toti. E' quanto emerge dalle carte depositate dopo gli arresti. "Già nelle prime fasi successive alle elezioni regionali della Liguria del 20 e 21 settembre 2020, i fratelli Testa si sono interessati ad ulteriori tornate elettorali - scrivono gli investigatori coordinati dai pm Federico Manotti e Luca Monteverde - in particolare ad elezioni amministrative comunali che si dovranno tenere nei prossimi mesi a Treviglio (BG), Torino e Genova". È il deputato Alessandro Sorte che, dopo il successo della cena elettorale a Genova, propone ad Arturo Testa di trovare "una sala per realizzare un evento similare in occasione delle elezioni comunali di Treviglio (BG), in programma nel mese di ottobre 2021". In una telefonata del 6 ottobre 2020, Angelo Arturo Testa dice a Sorte di aver trovato una sala da 120 posti, mentre, se ha bisogno di una sala più grande, bisognerà rivolgersi alla "Muratella", dove hanno una capienza di circa 150 posti. Nel corso della conversazione Sorte chiede: "ma, Arturo ma tu c'hai riesini anche a Treviglio?". Testa, dopo aver risposto affermativamente, precisa: "ma saranno una trentina". A febbraio è Luigi Stracuzzi, politico locale di Treviglio, a rivolgersi a Italo Maurizio Testa domandando: "hai qualche amico nel treviglianese? (...) io farò questa lista civica che correrà assieme alla maggioranza".Continuano i militari: "le elezioni amministrative di Torino si sono svolte nel mese di ottobre 2021. In data 17 maggio 2021 l'onorevole Sorte chiama Arturo Angelo Testa per chiedergli: "la tua comunità come è messa a Torino?" e ottiene la seguente risposta: "Come Genova, uguale.... Ti ho detto come a Genova, quindicimila sono a Genova e quindicimila sono a Torino"". Sorte prosegue: "allora puoi cominciare a muoverti che c'è... che quando ti vedo ti spiego... mettici un attimo la testa" e l'interlocutore risponde: "vediamo cosa cerchi e cosa vuoi vediamo di fare sempre il massimo".  Riproduzione riservata © Copyright ANSA [ad_2] Sorgente
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