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#lavoro su fune
kritere · 9 months
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Danneggiato da ignoti il cavo di una seggiovia a Cervinia: i carabinieri indagano su autori e movente
DIRETTA TV 8 Gennaio 2024 La fune in acciaio dell’impianto di risalita di Cielo alto, a Cervinia, è stata danneggiata da ignoti e la società che gestisce il comprensorio ha denunciato l’accaduto ai carabinieri. I militari dell’Arma sono al lavoro per scoprire gli autori e il movente alla base del gesto. Si tratterebbe del terzo episodio di questo tipo avvenuto in pochi anni. Entra nel nuovo…
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lamilanomagazine · 11 months
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Roma: sopralluogo Sindaco Gualtieri intervento di pulizia acrobatica a Ponte Milvio.
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Roma: sopralluogo Sindaco Gualtieri intervento di pulizia acrobatica a Ponte Milvio. È in corso a Ponte Milvio un intervento di edilizia acrobatica con fune per rimuovere la vegetazione infestante di entrambe le facciate, delle pile, degli archi e delle ringhiere. Le lavorazioni, eseguite dal Dipartimento Csimu, hanno costo di circa 40mila euro e termineranno in 15 giorni. Il Sindaco Gualtieri, insieme all'assessore ai Lavori pubblici Ornella Segnalini, si è recato questa mattina sul ponte per verificare lo stato di avanzamento dei lavori. Sul posto anche il presidente del Municipio XV, Daniele Torquati. L'intervento in corso è molto importante dal punto di vista del decoro, ma soprattutto è fondamentale per la conservazione dello storico ponte monumentale e per la sicurezza idraulica dell'area di piazzale di Ponte Milvio. Gli arbusti infestanti, di dimensioni spesso rilevanti, con il tempo possono provocare distacchi e crolli di parti di muratura e l'intervento non era più procrastinabile, tenuto conto che da circa 6 anni non veniva estirpata la vegetazione, particolarmente infestante in quest'area. Per le lavorazioni ci si è avvalsi di un intervento di edilizia acrobatica con fune come accaduto il mese scorso a Ponte Sant'Angelo. Le operazioni, infatti, sono eseguite da due operai specializzati che stanno eliminando gli elementi arborei manualmente o con l'utilizzo di piccoli strumenti (come il seghetto elettrico) con la massima cura per preservare la parte storico monumentale degli elementi lapidei, sotto la supervisione della Sovrintendenza Capitolina. "Questo è un lavoro importantissimo che stiamo facendo su Ponte Milvio con l'edilizia acrobatica. L'obiettivo è quello di eliminare il verde infestante, così da ridurre il rischio idraulico e curare il decoro di uno dei ponti più antichi e belli di Roma. Ringrazio l'assessore Segnalini e il Csimu per il grande lavoro che stanno facendo non solo qui a Ponte Milvio ma in tutta la città, per intervenire laddove spesso non si interveniva da troppi anni con la necessaria manutenzione.", ha commentato il Sindaco di Roma Roberto Gualtieri. Per l'assessore Segnalini: "Stiamo lavorando in modo eccezionale su uno dei ponti più importanti e rappresentativi di Roma. Non veniva pulito dal 2017, ma grazie al Csimu e alla collaborazione della Sovrintendenza capitolina stiamo svolgendo un lavoro che restituisce dignità e bellezza al ponte. Inoltre, la rimozione degli arbusti salvaguarda il ponte da eventuali piene. Sull'area stiamo operando diverse attività di messa in sicurezza stradale e soprattutto lavoriamo al ripristino del Collettore Alto Farnesina, grazie al quale riusciremo a mitigare gli allagamenti della zona". L'area di Ponte Milvio nel corso dell'ultimo anno è stata interessata da diversi interventi. A dicembre 2022 si è concluso il restyling del piazzale e della via Cassia fino a via Oriolo romano (rifacimento manto stradale, segnaletica e strisce, e pulizia e verifica funzionale di tombini e caditoie). In questo momento sono in corso i lavori di riqualificazione dei marciapiedi e dello slargo del Lungotevere Maresciallo Diaz nel tratto compreso tra Ponte Duca D'Aosta e Ponte Milvio e nei prossimi mesi saranno riqualificati in notturna il Lungotevere Grande Ammiraglio Thaon di Revel e il Lungotevere Salvo D'Acquisto. Inoltre, per mitigare gli allagamenti che colpiscono le aree di Ponte Milvio, Tor di Quinto e Corso Francia, il Dipartimento Csimu sta procedendo al ripristino del Collettore Alto Farnesina che era stato danneggiato nel 1990 durante le costruzione della copertura dell'Olimpico. Una delle principali cause degli allagamenti dell'area dipende infatti dalla mancata funzionalità del collettore fognario. Questo intervento, atteso da oltre 30 anni, ha un costo di 11 milioni del bilancio capitolino e sarà concluso in 24 mesi.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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cdprocaccini · 2 years
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Werther Von Witten nelle montagne: una gita pericolosa
Con un suo collega si trovavano in un rifugio che stava alle pendici di una parete inclinata, ma liscia come la superficie lunare più inospitale da immaginarsi. Portavano tutti gli attrezzi necessari per affrontare la salita, alla partenza il suo compagno disse a lui “hai visto quei due lì che ci precedono? Sono dei tipi loschi” e Werther diceva tra sé e sé “che mai può succedere?”
Mise l'elmetto e gli scarponi e cominciò a portare la corda alla salita. Il suo compagno andava su per primo e mise tutti gli incastri in sicurezza: la corda con dei dadi e dei cunei...chi più ne ha più ne metta. Werther man mano che saliva toglieva queste sicurezze per poi passarle di nuovo per fare un altro tiro di fune. Oramai eravamo a metà della placca che cominciavano a fischiare dei sassi dall'alto, schizzavano via dalla placca oppure sibilavano sopra di lui e Werther gridò al compagno: “Cosa sono questi sassi?”
“Sono i sassi tirati via dalla fune di sopra”
In verità erano dei sassi tirati con una fionda e solo dopo Werther capì che quel furfante del suo compare aveva organizzato tutto con i suoi amici francesi che per farlo fuori non gli avrebbe dato sicurezza con la fune e l'avrebbe fatto passare per un incidente di montagna un omicidio premeditato. Ma perché il suo compare ha tramato questo attentato?
Perché nel lavoro di ricerca che faceva Werther gli aveva dato un'idea da brevettare di cui voleva appropriarsi questo infame delinquente. Perché se l'avesse lasciato in vita sarebbe saltato fuori che lui ha rubato l'idea a questo suo più grande amico.
Matthias
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kon-igi · 2 years
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VORREI FARVI IL SOLITO PIPPONE ESISTENZIALE
E dopo attenta scelta ho deciso che niente di meglio di un dialogo del film Bianca di nanni Moretti poteva fungere da incipit esplicativo:
- Io lo so che tipo è lei: ha il suo macellaio di fiducia, che le tiene i pezzi migliori… - Perché, c'è qualcosa di male? - E certo che c'è. Se ci vado io, poi mi prendo i pezzi peggiori!
Tutto nasce da un ricordo targato anni ‘80 dove, pischello di 11 o 12 anni, insieme ad alcuni amici presi il treno da Viareggio a Lucca per andare al Luna Park (sì... a quei tempi un bambino di 11 anni poteva prendere il treno senza che venissero allertati i carabinieri, i servizi sociali, Chi l’ha Visto e il Codacons) e tutti ci stupimmo del fatto che venimmo fatti sedere dal controllore su DELLE DURISSIME PANCHE DI LEGNO invece dei soliti sedili rosso polvere lercia.
Tornato a casa, mio padre mi spiegò che quelli erano i vagoni di TERZA CLASSE, aboliti nella seconda metà degli anni ‘50 ma di fatto equiparati a quelli di seconda classe (il controllore ci fece sedere lì perché in effetti avevamo già la faccia da disturbatori di pubblico trasporto).
Alla mia domanda su che differenza ci fosse tra la prima e la seconda classe, mio padre mi rispose ‘Che i sedili sono più morbidi e che, soprattutto, ci sono meno persone’.
Incassai la risposta, incamerando tale verità senza farmi troppe domande (funziona così nell’età dello sviluppo) ma anni dopo, quando un controllore mi fece cambiare vagone perché mi ero seduto per sbaglio in un posto di prima classe, mi resi conto che il mio errore era dettato dal fatto che i sedili erano perfettamente identici a quelli di seconda classe... e fu a quel punto che capii una verità deludente e a tratti disgustosa: la gente semplicemente pagava di più per non mescolarsi con quelli che non si potevano permettere di pagare di più.
Volevi andare al cinema ma avevi pochi soldi? A quei tempi andavi in platea a prenderti gli sputi dei ricconi che stavano lassù in galleria.
Volevi il gelato? La coppetta costava meno ma ti meritavi lo sguardo di pietà dei bambini ricchi cono-leccanti.
Oggi usiamo, senza riflettere sul suo significato, il termine ESCLUSIVO, riferito a un qualcosa di particolarmente affascinante ma non dimentichiamo che l’etimologia della parola ben descrive l’azione che facciamo quando compriamo o possediamo quel qualcosa...
ex+‎claudō - ‘chiudo fuori’, escludo.
IO CE L’HO E TU NO.
IO POSSO PERMETTERMELO E TU NO.
IO FACCIO PARTE DEL CLUB ESCLUSIVO DI QUELLI CHE CE L’HANNO
E ALLORA TI ESCLUDO PERCHÉ TU INVECE NO.
La nostra è una società basata sul PRIVILEGIO (non per niente privus+lex, legge per persone a parte, particolari) e a qualsiasi livello di tale società presumiamo istintivamente che una persona che abbia questo privilegio in qualche modo se lo sia meritato. O se non crediamo questo, ne diamo il merito alla loro fortuna e l’invidioso demerito alla nostra sfortuna.
In ogni caso vorremmo essere come loro, possidenti di tale privilegio esclusivo, e così desiderando ci guardiamo attorno (e per un solo attimo indietro) per rimirare i poveracci che abbiamo intenzione di escludere.
L’equilibrista si schianta giù dalla fune ma ho pagato il biglietto e lo spettacolo deve andare avanti?
No, diocane.
Se il cameriere è oberato di lavoro, io gli preparo i piatti impilati e le posate ammucchiate e se non è oberato di lavoro lo faccio lo stesso perché mi fornisce un servizio, non è il servo di un privilegiato che si può permettere di mangiare fuori e invece lui no.
Io non voglio puntualità e precisione a prescindere perché pago.
Io voglio puntualità e precisione perché ciò significa che le persone che mi forniscono un servizio puntuale e preciso sono state messe in condizioni di lavorare bene, serenamente e, soprattutto, ben retribuite, sia dai datori di lavoro che dai clienti.
Se le persone esigono perché pagano, si meritano di essere seppellite dall'immondizia raccolta da gente appesa ai camion con +40° e -15°, soffocati da un pezzo di pomodoro raccolto sotto al sole da schiavi pagati una manciata di euro al giorno e che gli venga un cagotto esplosivo pangalattico per il prossimo virus mutato su uno dei miliardi di polli e maiali allevati intensivamente perché così loro possono avere la fettina panata ogni giorno in tavola.
Io non voglio avere un bene o un servizio esclusivi...
Io voglio che TUTTI si possano permettere il mio stesso bene o servizio.
Io esigo INCLUSIVITÀ, non esclusività, perché il valore di una persona io non la misuro da come si comporta coi primi ma da come tratta gli ultimi.
E se pensate che questo sia il discorso retorico e scontato di un privilegiato, allora togliete il freno a mano e andatevene affanculo sgommando.
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der-papero · 3 years
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Quando nel 2005 mi trasferii a Milano per lavoro, vivevo in un trilocale con un siciliano e uno di Caivano, si chiamava Lino, che fece subito le sue presentazioni esclamando, alla prima "riunione" su compiti e doveri,
uagliu', 'a primma cos c'avimm accatta' è 'u portaualler pa' doccie!
Ecco, ogni volta che sono in albergo e mi manca il portauallera, mi tornano alla mente le sue parole.
Così come mi sono tornate alla mente anche le parole di don Pietro Savastano, una volta aperto il rubinetto della doccia
E visto che ormai ero entrato nel personaggio, per far capire anche ai vicini di stanza chi pernottasse alla camera 358, ho iniziato a cantare con voce fiera ed importante
🎶 Agg bisogne 'e me fa' l'amant / Sinnò me mett 'na fune n'gann / 'Nda sta cas ce manc 'o sol / S'allucc semp, nun ce sta pace 🎵
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rovinapost · 4 years
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mi rendo conto che non posto niente da tanto, e che probabilmente non posso più raggiungervi come prima. però spero che stiate tutti bene, soprattutto dopo la pandemia da cui, seppur lentamente, ora ci stiamo rialzando. spero che da voi sia stata più leggera rispetto a qui.
ogni tanto ripenso al mio rovinapost.
penso a come sia cresciuto in fretta, a come all’improvviso venivo riempito di domande e di affetto, addirittura ammirazione - che cosa impensabile. ripenso ai messaggi che mi ringraziavano per le risate che riuscivo a dare, perchè era quello l’essenziale. far ridere le persone, portare un po’ di gioia temporanea, è l’unico motivo per cui continuo a fare tante cose.
ho iniziato a vedere una psicologa, negli ultimi mesi. mi trovo molto bene. le ho parlato anche di questo blog, le ho detto che mi dispiace averlo abbandonato. durante quella seduta, ho capito che ho un grande problema nel portare avanti ciò che ho iniziato. ho un problema di continuità, e mi dispiace che questo blog, il mio unico modo di regalare spensieratezza e risate, ne sia stato vittima. faceva star bene anche me.
detto onestamente, sono stato lontano dalla serenità per gran parte della mia vita. da quando ho iniziato a parlare con qualcuno che è lì esclusivamente per ascoltare, però, mi sento un po’ più vicino a ciò che sto scoprendo essere equilibrio.
per farvi capire, ho scoperto anche di avere l’acufene. o meglio, ho scoperto che l’acufene esiste. è da tutta la vita che sento un fischio nell’orecchio, ma ho sempre pensato che fosse una cosa comune a tutti. ho più di vent’anni e ho scoperto che la maggior parte della popolazione riesce a sentire il silenzio, e l’ho trovato meraviglioso. certo, a me rode un po’, anche perchè mi è stata rilevata una leggera sordità che col tempo peggiorerà, ma... ma il silenzio esiste.
come esiste anche l’equilibrio, a quanto pare.
nessuno di noi è salvo. siamo costantemente in equilibrio su una fune sospesa nel nulla, e l’unica cosa che ci impedisce di cadere è il fatto che quella fune ha un centro di gravità. anche quando finiamo sottosopra, urlanti e terrorizzati, col sangue che ci va alla testa, quando vorremmo solo cadere per porre fine a questa terrificante visione di un mondo al contrario, rimaniamo in qualche modo aggrappati. dà ai nervi, non ve lo nego. però torna utile, perchè col sangue alla testa non si ragiona mai bene.
quando si vive con un fischio nelle orecchie per tanto tempo, il silenzio sembra normale solo se macchiato. quando si vive senza equilibrio per tanto tempo, il mondo sembra normale solo visto storto.
mi sto abituando, piano piano. ho bisogno di tempo. non ve lo nego, a volte ho paura che il mondo visto per come è stato concepito mi possa deludere. fare tanto lavoro per niente sarebbe... farebbe bestemmiare pesantemente, ecco. però posso provarci. che si ha da perdere, comunque? spero che, con l’equilibrio, possa trovare anche un po’ della continuità che mi serve per tornare da voi. perché, anche se non sapete che faccia ho, anche se non vi conosco, anche se i disegni sono semplici e le battute pessime, questo è quello di cui ho bisogno.
grazie per l’affetto, che sia solo passato o anche presente e futuro 💙 a presto
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popolodipekino · 3 years
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Il prete rabdomante "Qui c'è di sicuro" esclamò il prete, mentre il rametto di salice che teneva in mano si muoveva tutto, come impazzito. "Sì. Deve esserci per forza - confermò Poldo - perché anche mio padre diceva che nel bosco della Gruggola c'è sempre stata una sorgente". Gli altri contadini, disposti a ruota attorno a quel pretone venuto dalla pianura per trovare l'acqua, ascoltavano attenti e ripetevano: "C'è di sicuro". Ogni tanto, la vecchia Amelia usciva di casa per guardare fiduciosa il gruppetto che stazionava vicino al ciliegio nel Piantume e per chiamare i nipoti Berto e Ugo che vi si erano intrufolati per sentirsi più grandi. Per individuare con certezza la vena che avrebbe tolto il paese dalla siccità, ci vollero due giorni. Il rabdomante, seguito da un codazzo di curiosi, andava nel Piantume alle 10. Vi restava fino alle 13, quando le stoppie bruciavano per un'insolita calura settembrina e le foglie della vigna che separava quel campo pari come una mano dal muro e dalla strada per Costaborga sembravano incollate ai tralci. A quell'ora, Marianna aveva già preparato, per lui e per i capifamiglia di Tizzolo, il pranzo nella sala aperta solo per le grandi occasioni. Una teglia di pastasciutta, carne di gallina e di coniglio, insalata e pomodori dell'orto, pane, vino e caffè. Pasto da prete, da sagra, non per lei e Giovanni che avevano sette vacche nella stalla e cinque figli da mantenere. Il dolce alla panna lo portava l'Amelia che abitava nella casa di fronte. Alla zuppa inglese, coi savoiardi madidi di Alchermes, pensavano Virginia e Leonilde. I muri a sassi non lasciavano passare il caldo e le fronde dei noci e dei meli che lambivano le finestre aperte davano una piacevole sensazione di fresco. Dopo mangiato, verso le 15, don Pierino tornava nel Piantume. Rientrava alle 18 per la merenda: salame e coppa su piatti bianchi di portata, vino e grappa fatta in casa che le altre massaie avevano appena allungato a Marianna. La sera del secondo giorno, il punto esatto in cui doveva sgorgare la vena fu indicato dalla bacchetta di salice che non stava ferma nemmeno quando il prete la teneva con entrambe le mani. "Scavate qui" ordinò ai suoi seguaci in festa. Presero vanghe e picconi, badili e carriole e cominciarono a toglier terra finché il piccolo Berto insinuò "Non sarà mica la sorgente del pozzo?" "Lavora" gli urlò dietro suo padre. Ma il dubbio rimase e Poldo si mise a bestemmiare quando, la mattina seguente, dopo sei ore di lavoro di tutti i Tizzolesi, s'accorse che un po' d'acqua filtrava proprio in corrispondenza di quel pozzo quasi secco che si trovava a pochi passi dalla buca che avevano forato senza risparmiare forze e sudore. Don Pierino non si perse d'animo; i suoi aiutanti nemmeno. Così, dopo pranzo, setacciarono tutta la campagna fin sopra la Castellina. "Eccola. L'ho ritrovata" gridò il sacerdote sensitivo. "L'acqua è una gran cosa. Si nasconde, scivola via, ma non sparisce mai" precisò Giuseppe, tornato da uno dei suoi viaggi da mediatore di maiali in Toscana. "Ve l'ho detto che le vene non si perdono" fece eco Poldo. Don Pierino gongolava. Aveva le maniche dell'abito talare arrotolate sulle braccia leggermente abbronzate,la parte davanti del vestito tirata su fino alla cintura, i risvolti dei calzoni pieni di stoppie e il viso arrossato dalle tensioni della rabdomanzia. Quella sera bevvero tutti come spugne il vino della botte migliore di Terzo che aveva il miglior rosso della zona. Mangiarono a sazietà pancetta e salame e quando il prete li informò che avrebbe lasciato subito Tizzolo perché il suo compito era finito, lo invitarono a tornare quando voleva. "Vado a cercar l'acqua a Carpineti" disse. "Sono all'asciutto anche là?" domandò Amelia. "Sì. L'acqua è un dono di Dio che, a volte, si fa desiderare" concluse il prete. Li avvertì che, per una settimana, si sarebbe fermato nel Seminario di Marola, una borgata dove lo conoscevano tutti, ma che sarebbe tornato a Tizzolo per vedere la nuova fontana. "La fontana di don Pierino. Ecco come la chiameremo" promise Marianna. Il giorno dopo cominciarono
gli scavi. Timoteo, che era abituato a cubare la paglia nei fienili, disegnò con la cenere un quadrato coi lati di quattro metri. Poldo diede il primo colpo di vanga. Lavoravano tutti, a turni di tre persone, dal mattino alla sera. Il buco diventava sempre più profondo e fu necessario armarlo con assi e pali di legno. All'inizio di ottobre, i bambini che andavano a scuola a Vetto passando per i boschi del Faille si fermavano a guardare padri, zii e nonni che sudavano e imprecavano, ma picconavano di buona lena. "Salta fuori, maledetta" ripeteva spesso Luigi, asciugandosi la fronte col fazzoletto che teneva stretto al collo con un anello d'ottone. Scavarono per tre settimane. Ormai, il buco era nero, fondo una ventina di metri, e le teste degli uomini che vi lavoravano in piedi o carponi si vedevano appena. Lavorarono come talpe finché, con una carrucola e una fune, riuscirono a far risalire in superficie la terra in secchi sempre più pesanti e finché il freddo dell'autunno e qualche scricchiolio delle assi non li convinse a smettere. Un lunedì, Poldo trovò il rettore del Seminario di Marola al mercato di Castelnovo Monti. Lo conosceva perché gliel'aveva presentato l'onorevole Marconi che, prima di diventare medico e sindaco di Vetto, aveva studiato da prete lassù. "E' ancora da voi don Pierino?" gli domandò. "Mai conosciuto nessuno con questo nome" fu la risposta. da A. Nobili, L. Menozzi, Racconti di fiume e di valle
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Che cos’è la fotografia?
Parto col dire che rispondere ad una domanda così è sempre difficile e che, nonostante la teoria sia una sola, il significato che la fotografia prende è diverso da fotografo a fotografo. Sicuramente se cerchi su internet " Che cos'è la fotografia?" ti verranno proposte milioni di pagine, tra siti storici, blog, articoli e pagine social, ognuno di questi risultati però ti darà la propria definizione di fotografia.
Ma partiamo da quello che è sicuro ed uguale per tutti.
La parola Fotografia deriva da due parole greche: Foto(phos) e Grafia(graphis). Fotografia significa quindi letteralmente Scrittura(graphis) con la luce(phos), disegnare con la luce. La fotografia infatti non è altro che un'immagine fissata su un supporto sensibile alla luce.
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Ma la fotografia non è solo questo. La fotografia è sentimento, passione, denuncia e pensiero, ma anche documento storico e informazione. La fotografia è un mondo dove realtà e fantasia, astratto e fisico si incontrano e si fondono alla perfezione.
Per me la fotografia è il connubio tra ciò che provo io fotografo e ciò che è il mio soggetto, la fusione di questi due elementi per me crea qualcosa di nuovo e sorprendente che non ti aspetteresti mai. La fotografia è un'arte meravigliosa da scoprire e da realizzare.
- Come posso capire cos'è per me la fotografia?
Per ognuno di noi la fotografia potrebbe essere una cosa differente, per chi un semplice modo di immortalare le cose e per chi invece una vera e propria strada di vita.
"La fotografia ha la capacità di fornire immagini dell'uomo e del suo ambiente che sono insieme opere d'arte e momenti di storia" cit: Cornell Capa
"Io porto la mia macchina fotografica ovunque vada. Avere un nuovo rullino da sviluppare mi dà una buona ragione per svegliarmi la mattina" cit: Andy Warhol
"Al commento - Non ci sono persone in queste fotografie - in genere replico: - ci sono sempre due persone, il fotografo e l'osservatore" cit: Ansel Easton Adams
Per comprendere cos'è la fotografia per noi bisogna innanzitutto guardare e documentarci moltissimo sul lavoro degli altri fotografi, attuali e non, per comprendere l'evoluzione della fotografia e il sentimento che questi grandi fotografi mettevano nelle loro opere. Un altro modo interessante e spesso anche divertente per comprendere questo è quello di iscriversi e visitare forum di fotografia o social app dedicate alla fotografia.
Un esempio può essere quello delle app come
Instagram e Facebook possono essere un buon inizio per farti un'idea di che stile fotografico prediligere e da quale tipologia di scatti sei più attratto.
Flickr è stato per anni il dominatore assoluto dei social dedicati ai fotografi, qui puoi vedere e seguire i tuoi fotografi preferiti e salvare tutte quelle foto che ti trasmettono qualcosa.
500px è un social di alta qualità dal design minimale e molto curato, qui inoltre si apre la possibilità di vendere anche i proprio scatti.
- Esercizio
Un buon esercizio, a mio parere, per iniziare a comprendere la fotografia al di là della sua parte tecnica è quello della visualizzazione per sentimento. Cosa intendo? Te lo spiego subito.
- Questo esercizio consiste nel creare una cartella sul tuo desktop con al suo interno altre cartelle  nominate come i più comuni stati d'animo e sentimenti, come per esempio Gioia, Rabbia, Tristezza, Pace, Solitudine o Allegria
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- Il secondo passo sarà quello di aprire google e cercare la parola più generica del caso "Foto". Dei probabilmente infiniti risultati che google immagini ti proporrà tu inizia a salvare, nella cartella creata prima, le foto che più ti piacciono mettendole nella cartella con il sentimento che ti trasmettono.
- Continua così per tutto il tempo che desideri, io personalmente ti consiglio di andare avanti a fare questo esercizio per un paio di giorni, quando hai un minuto libero nella tua giornata.
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- Se hai seguito tutti i passaggi ora ti troverai con, in ogni cartella creata, all'incirca tra le 40 e le 100 foto. Inizia a guardare tutte queste foto e ti accorgerai che, senza volerlo, avrai selezionato tutte(o quasi) foto che per un qualche particolare o dettaglio si assomigliano e che ti trasmettono tutte la stessa sensazione. Le foto della cartella "Allegria" avranno tutte(o quasi) un qualcosa di simile, e così via per tutte le altre cartelle.
Spero che questo articolo ti sia servito e ti do appuntamento al prossimo aggiornamento.
Antonio Funes
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insonnja · 5 years
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ed ho riflettuto tanto
ed ho capito quasi per quanto ho pensato
che la vita è come una fune
mossa sempre dal vento
sgualcita
che sembra sempre guaribile
che sembra sempre invincibile
e ci si dimentica
alle volte
che la vita
come tutto ciò di cui essa è fatta
sarà pure il dono migliore
quello più grande
ma è fatta di cose mortali
ed è destinata ai mortali
e come noi
è ferita
sgualcita
ed alle volte inguaribile
mi chiedo perché ogni giorno ci si prende la briga
di lamentarsi per la giornata piena
piena di impegni di lavoro
di corse qui e lì
supermercato, casa e figli
o lavoro
scuola
università
perché ci si lamenta sempre
di una vita piena di vita
vita mortale
difettosa e vera
perché sì da sempre per scontato
che ci si possa anche solo svegliare
e vedere il sole o la pioggia
le cose mortali
le persone
mortali.
siamo inguaribili esseri
feriti ognuno in posti diversi
seguiamo la nostra fune
tutti quanti
ed alle volte ci saltiamo sopra
ce la giochiamo, quella fune
quella che è l’unico equilibrio povero
ma anche l’unica cosa che ci fa stare in piedi
e ci si può ballare dolcemente
la si può accarezzare
e ci si può cadere
quando si è stanchi
o quando lei si spezza.
abbiate cura delle vostre funi
anche di quelle più spezzate
di quelle messe peggio
di quelle sempre vuote
e quelle piene di cose mortali
perchè un giorno potreste cadere
solo su di essa
oppure potrebbe spezzarsi
e voi potreste dipendere da lei.
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In una situazione conflittuale si oppongono diversi punti di vista. In una relazione tra colleghi alla pari la configurazione è simmetrica. Con le figure preposte si è in una condizione di asimmetria.
In entrambi i casi ci si troverà a scegliere se cercare di far valere il proprio punto di vista o soccombere e subire.
Sarebbe auspicabile riuscire a gestire le dinamiche conflittuali in modo equilibrato cercando di rispettare se stessi e l’altro.
Non sempre si riesce. Chi svolge un ruolo di dirigente ha in sé già un ruolo superiore, che condiziona e crea squilibrio. Inoltre succede a chi dirige di dover far fronte a più correnti contemporaneamente. Chi si trova in condizione di parità di ruoli dovrà fare i conti con la collaborazione, il rispetto, il gioco di squadra. E potranno subentrare competizione, rivalità. Ognuno crede fermamente che il proprio punto di vista sia giusto e sacrosanto.
Quando si tratta di sostenere una propria idea la persona equilibrata riesce a distinguere Sé e ciò per cui si batte. Chi questo equilibrio non ce l’ha si identifica col problema e vincere sul conflitto diventa di vitale importanza “vinco ergo sum”, “se riesco a farmi dare ragione esisto”, il monologo interiore con la persona con bassa autostima sarà permeato di fantasie vendicative e punitive: “glielo farò vedere io, gliela farò pagare, voi non sapete chi sono io”, ecc ecc. Il malato di insicurezza in un contesto lavorativo crea conflitti poiché usa qualsiasi pretesto per dimostrare di valere, sforzandosi di avere conferme da tutti. Ma tale processo è già faticoso in partenza quando si ha a che fare con altri, magari con più o meno gli stessi problemi.
In questo processo entrano in causa numerose variabili. Il proprio temperamento, docile o spinoso, la capacità di mediare, l’idea che si ha sul mondo e le cose, e le proprie ferite irrisolte.
Chi si approccia nei confronti dei conflitti da uno spazio di sua inadeguatezza leggerà ogni cosa contro di sé, poiché pervaso di un senso di inferiorità che lo perseguita e gli farà interpretare ogni decisione altrui come screditante per il proprio ego.
Sul luogo di lavoro le persone affette da un senso di inadeguatezza saranno le più difficili da gestire sia dai colleghi che dai dirigenti. Esse si muoveranno dovendo dimostrare a se stesse e al mondo di valere e di aver ragione. E per salvare la propria immagine interiore saranno disposte e battersi allo sfinimento. O, se subiscono, coltiveranno frustrazione in un fiume sotterraneo carico di rancore e desideri più o meno consci di vendetta.
La gestione del conflitto può procedere su due binari paralleli: l’obiettivo e la relazione. Se si vuole ottenere efficacia si opterà per il minor danno, dando soluzioni che medino i vari punti di vista.
Così facendo non si andranno a toccare punti nevralgici per le persone varie, le cose potranno lì per lì funzionare, ma i conflitti si ripresenteranno poiché resteranno correnti di negatività inespresse e sotterranee.
L’alternativa è scegliere di lavorare sulla relazione. Questa opzione è molto più complessa, implica tempo, volontà e capacità delle persone in causa di leggere se stesse e gli altri. A volte si è così feriti che non si ha la capacità di guardarsi dentro poiché ciò che si andrebbe a scoperchiare sarebbe troppo doloroso e devastante per il Sé.
Scegliere di lavorare sulla relazione pare pertanto non sempre possibile. La mente umana attua costantemente meccanismi di difesa, e una persona ferita, affetta da scarsa autostima oscillerà continuamente tra il sentirsi una nullità e dare la colpa al “cattivo” di turno su cui proietta la propria frustrazione di non sentirsi mai contento e appagato di se stesso.
Quando ci si trova coinvolti in situazioni conflittuali è bene ricordarsi di scindere i problemi, osservare e prendere più possibile le distanze da temperature emotive alte, aspettare a reagire e magari chiedere un parere super partes di un supervisore non coinvolto che riesca ad includere le varie posizioni.
Più si riuscirà a guadare al problema “dalla collina”, più si scoprirà che le persone che urlano maggiormente stanno solo chiedendo aiuto, riconoscimento e apprezzamento che magari non hanno ricevuto altrove. Se si riuscirà ad osservare con neutralità chi emergerà dalla dinamica conflittuale è un bambino ancora ferito per non essere stato visto adeguatamente, e ora, nei panni dell’adulto, cerca disperatamente con tutto se stesso di farsi valere e riscattarsi dalle ferite narcisistiche subite tanto tempo fa.
Di fronte a tali schemi proiettivi resta difficile non farsi coinvolgere.
La consapevolezza di chi si è, del perché si hanno certe reazioni è un primo passo per fermarsi prima di innescare certe danze che si ripeteranno sempre e ovunque finché non verranno portate alla luce le radici di tali comportamenti.
Nel frattempo chi si trova a convivere sul luogo di lavoro con tutte queste tematiche, che ognuno più o meno si porta dietro, dovrà stare in equilibrio su una fune sottile, cercando vie di fuga alle pressioni di chi vuole emergere e vincere. Chi dirige una squadra dovrà, come un direttore d’orchestra, ascoltare tutte le note e cercare di creare una melodia armonica. Chi è nella squadra dovrà ricordarsi di giocare non solo per sé. E il rispetto dei ruoli è imprescindibile.
Migliorare la propria autostima è possibile. Se il proprio vissuto irrisolto interferisce troppo sulla qualità del lavoro è indicato intraprendere un percorso di crescita personale che porti a una maggiore consapevolezza di sé. Il dirigente per quanto sappia fare il proprio lavoro non può sostituirsi a un terapeuta per sanare i conflitti sul luogo di lavoro. In alcuni casi è utile avvalersi di un esperto esterno che prenderà in esame le situazioni varie e offrirà strategie di fronteggiamento atte al potenziamento delle risorse umane.
Serenità e senso di autorealizzazione in campo lavorativo creano una società capace di agire in modo efficace.
Per poterlo fare occorre alleggerirsi dei propri buchi affettivi irrisolti.
Di troppo Amore. Dott.ssa Ameya Gabriella Canovi
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lamilanomagazine · 11 months
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Messina: a villa Dante la finale di Giochi Senza Quartiere, vince l'edizione 2023 la III Municipalità.
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Messina: a villa Dante la finale di Giochi Senza Quartiere, vince l'edizione 2023 la III Municipalità. Con la vittoria della III Municipalità si è conclusa ieri, domenica 22 ottobre, a villa Dante, la seconda edizione di "Giochi Senza Quartiere" (GSQ) edizione 2023. Al gran finale presente l'assessora alle Politiche giovanili Liana Cannata, che ha decretato il nome della Municipalità vincitrice. "Un momento emozionante – ha commentato l'Assessora – come comporta ogni vittoria, ma lo sono ancora di più perché siamo riusciti oggi, grazie ad un intenso lavoro di squadra che ha visto la collaborazione del collega assessore Massimiliano Minutoli per la delega ai Rapporti con le Municipalità, i rappresentanti delle stesse, Presidenti e Consiglieri circoscrizionali, le Partecipate comunali coinvolte, in particolare l'Azienda Speciale Messina Social City con la presidente Valeria Asquini, per il contributo nella gestione della location villa Dante, a regalare all'intera Città una domenica di festa. E non solo divertimento, in quanto abbiamo concretizzato la nostra volontà e lo spirito del progetto volto a sensibilizzare a partecipare giovani, bambini e famiglie nelle piazze dei loro quartieri di residenza per offrire momenti di socializzazione ma soprattutto favorire l'inclusione sociale. Essere inclusi - ha concluso l'assessora Cannata - significa soprattutto sentirsi accolti ovvero, appartenere a una società e godere pienamente di tutti i diritti e le opportunità che questa appartenenza comporta. Una testimonianza è stata la partecipazione ai giochi di diversi minori stranieri ospiti delle case famiglia". Le squadre finaliste si sono sfidate su varie discipline palla a scalpo; corsa al quadrato; corsa con i sacchi; tiro alla fune; freccette; basket - tiri da 3; zalcio balilla; sitting volley; padel; e scacchiera gigante; ed ancora tornei di bubble football; tennis e nuoto a staffetta. La squadra della Terza Municipalità che ha totalizzato il punteggio più alto, era composta da Rahman Mafijur Chakider Md Jibon, Jessica Morabito, Giada Boemi, Annamaria Centorrino, Giada Villari, Lorenzo La Rosa, Antonio Aricò, Mattia Strano, Giuseppe Carbonaro, Emanuele Galletta, Claudia Di Benedetto, Agostino Conigliello, Gregorio Ratti, Matteo Foti, Gabriella Calí e Marco Serranò, si è aggiudicata la coppa. Il trofeo, come da regolamento, sarà esposto per un anno nella sede istituzionale, presieduta da Alessandro Cacciotto, sita in via Suor Maria Giannetto a Camaro. La scorsa edizione era stata vinta dalla II Municipalità. Tutte le Municipalità sono state premiate con targhe ricordo che sono state consegnate ai Presidenti e ai rappresentanti circoscrizionali dai consiglieri comunali Raimondo Mortelliti e Raffaele Rinaldo rispettivamente, presidente e vicepresidente della Commissione politiche giovanili; mentre tutti i partecipanti-atleti sono stati omaggiati di una medaglia per esaltare il valore "Tutti campioni per la voglia di mettersi in gioco".... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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luca-zelinotti · 6 years
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ancoraggio / armo dinamico a tre punti (tutorial)
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assopadanafs · 7 years
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Assopadana Fire & Safety
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sadnessisnecessary · 5 years
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Prendete un ragazzo, spezzategli il cuore la prima volta, lasciatelo solo in pasto ad i suoi errori. Aggiungete un padre ubriaco che maltratta lui e sua madre. Non aveva nessuno su cui contare, ne amici, ne parenti. Aveva giusto qualche libro, la musica, ed il magico mondo di internet al suo fianco, che sembrava aiutarlo chissà quanto, senza rendersi conto che ormai si era rinchiuso in una dannata gabbia di finzione. Mandava a fanculo quelle poche persone che cercavano di sapere come si sentisse, piangeva la notte e non dormiva, urlava come un ragazzino e si spaccava le nocche contro i muri. Ma lui non capiva dove sbagliava, lui si assumeva tutte le colpe a riguardo, tutti i dolori che lei aveva causato a lui e viceversa, tutta colpa sua, questo si raccontava, e gli andava bene così. Si rasò a zero tutti i suoi capelli, l'unica cosa che lo distingueva da tutti, essendo di colore rossi. Voleva cambiare, e ci riuscii, ma il suo cuore ancora non si sentiva appagato. Passarono altri mesi, tutto il periodo estivo, ed il ragazzo si distrasse cercando un lavoro per qualche spiccio. I mesi passarono ed il ragazzo si ritrovò ancora più solo, senza neanche un padre disposto a chiedergli come mai non parlasse più, come mai i suoi occhi erano spenti e morti, come mai quel celestino che li distingueva sembrava esser diventato un triste nero. Scoprii che stare sotto la pioggia lo rilassava, passò così quindi la maggior parte delle giornate d'inverno, guardando un paio di cani rincorrersi e giocherellare tra pozzanghere e gocce di pioggia, tra lacrime e alberi spogli, tristi quasi quanto il ragazzo. Arrivò una speranza, quando quel dannato giorno di gennaio scrisse ad una ragazza su Instagram, il problema? Che gli piaceva parlare con lei. Si legarono in un attimo, quasi si conoscessero da una vita. Ridevano e giocavano come bambini, parlavano per ore ed ore, anche senza dirsi nulla di interessante, ma ne avevano bisogno per sentirsi bene. Lui, con tutto il suo dolore e debolezza era riuscito a trovare le forze per tirare lei fuori dai suoi problemi, renderla felice e darle tutto ciò che aveva sempre desiderato. Lui continuava a lottare con i suoi demoni, ma che al fianco di lei sembravano esseri insignificanti. Lui si fidava di lei, le aveva dato tutto, ogni sentimento, ogni emozione, ogni attimo, battito di cuore. Lui le aveva promesso che non l'avrebbe fatta stare male, come avevano fatto altre persone in precedenza, ma non ci riuscì, non riuscì a mantenere questa promessa. Lui la ferì, lui la fece piangere, lui la lascio sola, lui sbagliò. Inizio a crollare tutto il suo castello di sicurezze che si era creato insieme a lei e le sue promesse, insieme ad i loro "per sempre" ed i loro "nonostante tutto" iniziò a sentirsi ancora l'unico errore della situazione, ma continuò a lottare per lei, continuò a dimostrarle che lui l'amava, e l'amava veramente. Che per un attimo, riuscì a sentire finalmente quella sensazione che non sentiva da mesi e mesi, riuscì a sentirsi vivo grazie a lei, riuscì a capire cosa amare e vivere significasse. Ma tutto ciò durò poco, bastò qualche sbaglio, qualche parola messa male, qualche attacco di finta gelosia e magia!! Lei tornò con l'ex senza dirgli nulla. Lui infuriato tira un pugno contro una porta, finendo per rompere la porta e la sua mano. Oggi il ragazzo non prova sentimenti, e la sua vita è in bilico su di una fune che si trova tra il tetto di due grattacieli. La sua vita barcolla tra il vuoto e il dolore. Non fa altro che farsi del male, si sta' uccidendo. Il ragazzo ha perso ogni più grande sicurezza e fiducia nell'essere umano. Il ragazzo sono io.
- Simone Rauti
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wolfhowls · 4 years
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Fanfic: Danzando sulla fune. (2 di 7)
Questa fanfic è dedicata a Miraculous: le storie di Ladybug e Chat Noir. Mi è venuta in mente un'immagine precisa e da lì ho pensato al resto. Spero vi piacerà.
Buona lettura.
Miraculous: le storie di Ladybug e Chat Noir - Zagtoon, Method Animation, Toei Animation, SAMG Animation, De Agostini Editore, Nelvana, Cartoon Network Studios Tutti i diritti appartengono ai rispettivi proprietari. Questa fanfic non ha scopo di lucro
Capitolo 2 di 7
Tornando a casa da scuola, Marinette venne intercettata dalla mamma sulla porta "Stamattina non sei passata in negozio" le disse Sabine "Io e papà siamo davvero in pena, mi dici cosa non va?"
La ragazza guardò la madre, poi dopo un sospiro, cominciò a spiegare "Sì... Vedi mamma è... per Adrien..." raccontando alla mamma quello che era accaduto a scuola con Alya e le decisioni di miss Bustier.
"Oh, tesoro" fece Sabine quando Marinette concluse il racconto, abbracciando la figlia "sono davvero orgogliosa di te. Però avresti dovuto chiedere prima, anche noi avremmo potuto aiutarti".
"Lo so mamma. scusami ma... non mi sentivo di parlarne, ero troppo triste e preoccupata." fece una pausa, sciogliendosi dall'abbraccio "E un po' lo sono ancora, ma penso che più tardi farò due passi al parco." concluse, avviandosi su per la scala della propria stanza.
Come ogni sera, Chat Noir tornò davanti alla statua. Diversamente dalla sera prima c'era qualcuno a passeggio nel parco ma nessuno faceva caso all'eroe in nero, fermo in piedi vicino alla statua. Adrien era perso nei propri pensieri, quando una voce lo riscosse "Ciat noar? Sei proprio tu?". L'eroe abbassò lo sguardo in direzione della voce, vedendo una bambina, avrà avuto cinque anni, bionda come il grano e con le trecce, che lo guardava "Sono io, in baffi e coda" rispose, asciugandosi le lacrime col dorso della mano e chinandosi per stare all'altezza della piccola.
"Pecché piangi? Hai fatto la bua?" chiese la bimba, guardandolo negli occhi verdi. Lui inghiottì a vuoto prima di rispondere "Beh, non proprio. Mi manca tanto Ladybug." le disse "Ma dov'è la tua mamma?" chiese poi, guardandosi in giro. La bambina si voltò indicando una giovane donna bionda come lei intenta a parlare con altre mamme poco più in là, poi guardò di nuovo Chat Noir con un "Oh." sorpreso "E non puoi chiamarla al teefono?" chiese.
"Ci ho provato, piccola" rispose l'eroe con un sorriso malinconico "ma non risponde...".
La donna bionda si accorse che la figlia non era vicina a lei, e iniziò a chiamare il suo nome "Sophie?...." facendo voltare di nuovo la bimba, che guardò di nuovo Chat Noir "Devo andare!" gli disse, con aria delusa "Ciao" dando poi un veloce abbraccio all'eroe e correndo dalla mamma.
Adrien rimase per un po' accovacciato a terra, dopo aver salutato bambina e mamma con un gesto della mano, riflettendo "So che non serve continuare così. Ma cos'altro posso fare? Non mi rimane altro che lei, ed ora è scomparsa".
Poi si alzò e con un colpo di bastone salì su uno dei tetti degli edifici circostanti il parco.
Marinette aspettava l'arrivo di Chat Noir al parco, come ogni sera, con un occhio sul telefono, in attesa di notizie da Alya o dagli altri compagni, o perché no, da Adrien, ma il telefono restava silenzioso.
Finalmente la mora lo vide arrivare, sceso con un salto da uno dei tetti dal lato opposto del parco; mise in tasca il telefono e con un sospiro scese le scale "Mamma, vado al parco, torno presto" disse, uscendo dall'appartamento.
"Non posso tornare ad essere Ladybug" si ripeteva Marinette da due settimane "non voglio mettere di nuovo in pericolo delle persone. E Adrien" mentre continuavano a tornarle alla mente le immagini di due settimane prima.
L'Akumizzato era Pascal Bernard, uno stagista alla Gabriel, la casa di moda della famiglia Agreste. Durante gli scatti di alcuni capi della nuova collezione era stato prima rimproverato e poi allontanato dal set in malo modo per presunti problemi col suo lavoro, akumizzato in Effaceur.
Marinette aveva visto la notizia all'edizione straordinaria del telegiornale: la Torre Eiffel era improvvisamente scomparsa."Tikki, c'è sicuramente lo zampino di Papillon!" disse alla sua Kwami "Adrien sta facendo un servizio fotografico in quella zona, spero che non gli sia successo niente... Dobbiamo fare presto. Tikki! Trasformami!" .
In pochi minuti Ladybug raggiunse il piazzale antistante alla Torre, ancora più grande di quel che sembra di solito senza il monumento. Appena arrivata vide subito varie persone uscire precipitosamente da un teatro poco distante, al momento chiuso, accanto al quale c'era l'auto degli Agreste e diversi furgoni.
L'Akumizzato stava in piedi su una pila di casse, sulla destra. Ladybug vide che indossava una specie di calzamaglia, come quella dei mimi, ma era a quadrettini alternati bianchi e grigi, piccolissimi. "E togli questo! E togli quello! Ma tanto cosa ci vuole! Chiedetemelo adesso! La Torre l'ho tolta!" gridava, lanciando contro l'ingresso del teatro quella che sembrava una grossa gomma da cancellare, che con un flash fece sparire l'intera facciata, rivelando l'interno "Sono Effaceur! E adesso andiamo a finire il lavoro dentro!" gridava l'akumizzato, mentre faceva il suo ingresso nel teatro.
La ragazza in rosso si lanciò attraverso il varco, atterrando al centro della platea.
Le prime due file di poltrone erano occupate da casse ed attrezzature fotografiche e sul palco erano stati montati riflettori ed alcune scenografie di strade cittadine.
Effaceur saltò sulle pile di casse, diretto verso i membri della troupe fotografica che stavano scappando dietro le quinte. L'akumizzato lanciò nuovamente la gomma, colpendo uno degli addetti delle luci, facendolo scomparire e rimbalzando in mano a Effaceur.
Ladybug notò che sul palco, dietro un tavolo rovesciato, c'erano alcune persone "Chat Noir... dove sei, mi serve un diversivo" disse fra sé, mentre legava lo yo yo sulla struttura delle luci, in alto sopra il palco.
"Ehi, è me che vuoi, lascia stare quelle persone!" gridò Ladybug, per sovrastare il rumore delle persone in fuga.
Effaceur si voltò verso di lei "Ah! Eccoti! Ladybug! Dammi il tuo Miraculous!" gridò di rimando, lanciando la gomma verso di lei. Ladybug a pois spiccò un salto, tendendo il filo per salire sul traliccio delle luci, evitando l'oggetto. Dall'alto vide che dietro il tavolo c'erano accucciate due ragazze circa della sua età, abbracciate tra loro e Adrien, che si guardava attorno.
L'Akumizzato aveva ripreso la gomma e approfittando della distrazione di Ladybug la lanciò verso uno dei supporti della struttura, facendolo scomparire. Lei sentì l'appoggio mancare e, come al rallentatore, l'intera struttura cadere sul palco, verso i ragazzi accovacciati. Marinette lanciò lo yo yo per cercare di bloccarla creando una carrucola improvvisata, ma il peso del traliccio di acciaio la scagliò contro il soffitto del teatro. Ricadde sul palco, qualche metro più in basso -Respira!- riusciva solo a pensare, l'impatto l'aveva lasciata totalmente senza fiato.
Con uno sforzo, Ladybug si alza in piedi, cercando con lo sguardo il suo avversario "Se resta fermo sembra fondersi con gli oggetti che ha vicino" notò la ragazza, scuotendo la testa, leggermente stordita, poi notò che il traliccio delle luci aveva travolto il tavolo e le scenografie, spezzando le tavole del palcoscenico.
Il cuore le mancò un battito quando Marinette comprese che i ragazzi erano rimasti lì ed erano stati colpiti in pieno, iniziava a sentire un ronzio alle orecchie, non era certa se per la botta di prima, "No. No. No." balbettò fra sé, ignorando Effaceur che stava facendo sparire uno dopo l'altro i tecnici della troupe che non erano ancora riusciti a scappare.
Ladybug corse verso i resti del palco, gli occhi che bruciavano, poi "No... Concentrati Marinette. Sistemerai tutto dopo" e si voltò verso il suo avversario roteando lo yo yo e lanciandolo subito dopo, immobilizzando il braccio dell'akumizzato. "Adesso BASTA" gridò, quasi un ruggito, mentre tirava con entrambe le braccia verso di sé, trascinando Effaceur a terra.
Ladybug lanciò lo yo yo in aria scandendo "Lucky Charm!" e si trovò in mano un secchiello di vernice, rosso a pois neri. L'akumizzato nel frattempo si era alzato e caricò il colpo lanciando la gomma. Ladybug se l'aspettava e la parò con il secchio, facendola diventare dello stesso colore del Lucky Charm. Subito dopo la ragazza afferrò la gomma, strappandola e facendone uscire la farfalla viola. "Ladybug sconfigge il male!" declamò, catturandola e "Ciao ciao, farfallina.." dopo averla purificata.
L'akumizzato riprese il suo aspetto normale, rimanendo seduto con aria confusa a qualche metro da Ladybug, che, corsa sul palco, sollevò con tutte le sue forze i resti del traliccio, gemendo per lo sforzo. Finalmente, dopo un paio di minuti di sforzi enormi nonostante l'aiuto dei superpoteri, riuscì a spostarlo e vedere l'orlo frastagliato della voragine tra le assi.
"Adrien!" chiama "Adrien, rispondimi!", il fiato corto, un nodo alla gola sempre più stretto "no..." Marinette lasciò andare un gemito disperato quando vide un lembo della giacca che il ragazzo indossava sul set. La ragazza cadde sulle ginocchia, i pugni serrati. -No- pensava -no, non può essere!-, la testa vuota, un ronzio nelle orecchie, poi sentì il suono degli orecchini -Il Miraculous Ladybug. Posso ancora fare qualcosa!-. Ladybug si alza e corre a raccogliere il secchio, che lancia in aria scandendo "Miraculous Ladybug".
Immediatamente un'onda di coccinelle magiche si espanse dall'oggetto, annullando i danni fatti dall'akumizzato, riportando Adrien e le ragazze sul palco e tutti i membri della troupe in sala, incolumi.
Ladybug saltò di nuovo sul palco, gettandosi al collo di Adrien e abbracciandolo "Per fortuna! Stai bene!". Il ragazzo arrossì violentemente "L-L-Ladybug?" e lei lo lasciò subito, le guance in fiamme, più rosse del costume "Scu-scusami è che..." balbettò, indietreggiando "D-devo andare!" disse poi, lanciando lo yo yo e uscendo dal lucernario della sala.
Marinette arrossì di nuovo pensando a quella scena,a ma lo sconforto e la pena per Chat Noir presero subito il sopravvento, riportandola alla realtà.
Il parco era silenzioso come la sera precedente, Marinette, da lontano, vide Chat Noir accanto alla statua di Ladybug, immobile e si avvicinò al ragazzo, mentre si alzava una brezza fresca.
Chat Noir stava cercando di dare una spiegazione alla scomparsa di Ladybug, chiedendosi se ne fosse in qualche modo responsabile "Forse è colpa mia.. forse è perché non mi ha visto su quel set, sono stato così stupido, non sono stato attento.. ma è successo tutto così in fretta, non ho potuto reagire e..." si lambiccava lui.
-Cos'è questo.... ma è il suo profumo?- Adrien, i sensi acuiti dal Miraculous, pensò di sentire, nella brezza, il leggero profumo di lavanda e mandarino che accompagnava sempre Ladybug. Sentì dei passi leggeri alle sue spalle, voltandosi leggermente ma tenendo sempre lo sguardo a terra vide un paio di ballerine rosa "Ah. Sei tu. Non mi va di parlare, vai via, Marinette" disse poi, allontanandosi di un passo "Ma, Chat Noir io..." si intromise la ragazza, seguendolo, ma lui la allontanò con una leggera spinta, cominciando a voltarsi per darle le spalle "devo risolvere questa cosa da solo, non voglio che tu mi ve..."
Lo schiaffo giunse completamente inaspettato, facendolo voltare del tutto immediatamente, una mano sulla guancia, la bocca aperta, stupefatto e sorpreso.
"Stupido. Gatto. Sbruffone." alzò la voce Marinette, trattenendo a stento le lacrime e fissandolo, gli occhi color del mare nei suoi occhi felini.
Lui rimase immobile, gli occhi spalancati per quel suo gesto inaspettato, la bocca semiaperta. Marinette si coprì la bocca con una mano, non meno scossa "Oh no! s-scusami..." balbettò, circondando il petto dell'amico con le braccia "Non-non so cosa mi ha preso, scusami, Chat Noir!"
L'eroe in nero rimase per qualche momento immobile, poi finalmente ricambiò l'abbraccio, gli occhi che bruciavano "No, Principessa.. non piangere.. è.." parlava a fatica, mentre le lacrime gli appannavano la vista "colpa mia... non.. non volevo" disse tra i singhiozzi, lasciandosi cadere sulle ginocchia.
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sabatinodigiuliano · 4 years
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(parte 2 di 2) “Di niente, anzi, aggiungerei che, per un attimo, sono stata fuori dall’ufficio e lì su quella barca, ho sentito anch’io il vento in faccia! Nella tua foto ho trovato: le pietre, l’odore del sole, la mano del pescatore, la pelle rugosa di calli di chi lavora, lo sguardo che sul mare riposa, il vento che non riposa, gli occhi che di luce affogano, la luce che più occhi non trova, la sicurezza di una fune e il rifiuto di quella sicurezza, la forza di un legame e il legame che si spezza, chi il legame non lo vuole perché la vita non si lega, perché alla barca il porto gli sta stretto e il vento bisogna prenderlo di petto. Il tempo che logora la pelle, ma c’è chi nasce con la pelle secca. L’anima di chi non si lascia logorare dal tempo. Il sale che guarisce, come il tempo, ogni cicatrice… buona giornata!” Le sono ancora più grato e sono colpite da quelle bellissime parole. Le rispondo: “Che meraviglia, che sorpresa, una grande sorpresa. Sono appassionato di foto da tantissimo, guardo il mondo e cerco i dettagli, vorrei fermarli tutti, i miei obiettivi sono i miei occhi, ho tante fotografie che riproducono situazioni e stati d’animo, è stato difficile per me scegliere una foto per partecipare a un evento quale quello della Canon. Non ho mai partecipato ad alcun concorso perché’ lo ritengo inutile, una giuria di uomini che giudica. E’ tutto soggettivo, tutto vanità, ma questa volta il mio amico mi ha sfidato ed io ci ho provato senza convinzione. E’ stato difficile scegliere, perché’ le mie immagini sono tutti figlie dei miei sentimenti. Allora ho deciso per quella cima di fune perché’ rappresenta un momento felice della mia vita e perché’ ci sono gli elementi naturali che adoro e per cui vivo: aria, luce, cielo, mare, sale, vento. Con le tue parole di approvazione, in questa sorprendente email, io ho raggiunto uno degli scopi più’ significativi, quello di farti sorgere le emozioni di cui mi hai parlato, in un momento della giornata, di una giornata che deve essere necessariamente di routine (lavoro per procurarci il “da vivere”), quello di farti ritrovare con la mente e col cuore dove tu desideri, quello di farti “ascoltare” le mie emozioni. Grazie (presso Trieste, Italy) https://www.instagram.com/p/CFFiuk_FM4t/?igshid=wbbzroaymec4
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