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#maschera pirandelliana
gioacchi · 3 months
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Capitolo.14
•essenziale•
I miei occhi non vedevano bene mancavano i punti focali e ciò che scorgevo erano solo bagliori sbiaditi a tratti che giocavano a nascondino con le ombre ho il cuore miopie io sceglievo da lontano e sbagliavo da vicino se mi fossi avvicinato avrei rovinato tutto avevo iniziato per fino a temere una carezza innocua e tutto diventato un gioco di corpo e di sguardi non compresi in qui ognuno fa le proprie regole ma il gioco ammette un solo vincitore se ci metti emozioni hai perso in partenza
Non devo legarmi
Non devo fidarmi
Non devo fargli credere che io provi qualcosa
Selezioniamo le parti di voler mostrare assumendo così la cosiddetta maschera pirandelliana ciò che una volta era amore oggi è diventato un capriccio nonostante fossi consapevole che una persona che un cuore non lo aveva non poteva iniziare nulla e tanto meno concluderlo quest’ultima ci confermava ogni volta che queste leggi erano autentici il tempo non mentiva a differenza nostra ma nonostante tutto ciò ero pur sempre io con il cuore che correva a mille e tutti quei tatuaggi sbiaditi dagli anni uno quelli dove sei raffigurato tu
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Ciao, ci tenevo a condividere un racconto che spero possa essere utile. Il racconta parla di un ragazzo all'interno di una classe liceale. Egli va a scuola solo per stare in loro compagnia, il resto non gli importava, per lui casa era stare circondato da quei compagni, che per lui erano fratelli e sorelle. Ma in quinta liceo, questo ragazzo avverte uno strano senso di paura, era la paura dell'addio e la paura di non esser ricordato da nessuno. Il ragazzo si sente come se indossasse una maschera Pirandelliana, fa battute, ride, è felice solo in quella classe, ma appena mette piede nella sua cameretta piange costantemente, ha paura di perdere tutto. Egli vuole solo renderli felici e fa tutto ciò che può, egli scriverà poesie per i compleanni degli amici, e addirittura si innamorerà di una ragazza. Come era lei? Per lui era bella, ma che dico, forse la più bella di tutte. Lui si innamorò perdutamente di lei. Un giorno lei stava male e lui gli portò un mazzo di fiori, la colazione a letto e un biglietto in cui la ringraziava anche solo per la sua presenza così rassicurante che fa dissipa ogni paura dalla mente di lui. Egli è felice con lei, ridevano, scherzavano, parlavano, ma un giorno accadde l'irreparabile. Era un lunedì di scuola, finito scienze motorie si fermarono in palestra a parlare. Lui disse "mi odio spesso durante la giornata, ma non mi odio più così tanto quando sono con te, anzi inizio ad apprezzare quella parte di me follemente innamorata di te". La ragazza purtroppo non provava lo stesso e se ne andò negli spogliatoi a cambiarsi. Il ragazzo invece, con la maglietta ancora sporca di sangue, andò direttamente in classe, era solo, prese la sua bottiglietta d'acqua e la scaraventò contro il muro così forte che si spaccò in due, per poi scoppiare a piangere ininterrottamente. Nelle materie successive il ragazzo pianse per tutto il tempo, non si riuscì a fermare. Aveva una ferita dentro che si ampliava ogni volta che si girava a guardare lei, che invece non lo degnava di uno sguardo, per lei era la priorità fare matematica. Da quel giorno il ragazzo non si riprese e si perse del tutto, si abbandonò al pensiero di farla finita, la sua vita non aveva più un senso se non poteva rendere felici le persone. Andò da svariati psicologi ma con scarsi risultati, non parlava, si chiudeva in sé senza rispondere ad una domanda. Fu molto vicino ad essere rinchiuso in un centro psichiatrico, ma ormai a lui nemmeno interessava, si sentiva troppo vuoto per provare emozioni, era solo un cumolo di organi, ai quali lui voleva staccare la spina, premere il tasto di spegnimento. Dopo l'esame di maturità abbandonò tutti, anche quei pochi fratelli che voleva bene, ma ormai lui non si sentiva degno di essere perdonato da loro, e prese la sua strada, da solo. Oggi quel ragazzo ha paura a provare emozioni, ad affezionarsi alle persone, ha paura di fare del male, ormai sa fare solo quello. Ma in realtà questa non è la storia di un ragazzo, ma è solo la mia vita che ho deciso di condividere perché è penso possa aiutare le persone a capire che ognuno di noi è unico da solo, che la nostra felicità non dipenda dagli altri, ed infine che se si è persi nel buio, basta solo cercare le luci, che possono essere chiunque, dagli amici ai libri a persone su internet appena conosciute. Detto questo vi auguro a tutti un buon proseguo di vita e che la possiate vivere in maniera più dignitosa della mia. Un abbraccio. Firmato Diego Terracciano
❤️.
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È così triste vedere le persone cambiare improvvisamente e diventare sconosciute. Ci sono ancora così tante cose che avrei voluto dire a quella versione di loro che conoscevo.
È come se fossi in lutto per un corpo ancora in vita ma una personalità sepolta, chissà se sia veramente esistita o era da sempre un'illusione, una maschera pirandelliana
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iannozzigiuseppe · 2 years
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Natura umana
Natura umana di Giuseppe Iannozzi – Stai ancora oziando? Che costanza! Questo ozio così tanto a lungo portato avanti, mi sa che ti sta costando una fatica immane. – Il mondo è nato per colpa di un pettegolezzo. – Tutti noi, in misura diversa, siamo anche degli strumenti nelle mani dei nostri affetti. L’ho capito tantissimi anni or sono e oggi non mi fa più né caldo né freddo. Accetto il fatto…
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ultimabombaincitta · 3 years
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Lettere mai spedite
Mi piace pensare che tu sia ancora come ti ricordo, perchè i cambiamenti mi spaventano, anche se ne sono avvenuti già tanti.
Vivo ancorata nei ricordi, sono l'unica cosa che mi danno la spinta per fare, ogni giorno, qualche passo in più.
Come stai? In realtà non voglio una risposta.
Nel mio ideale tu stai bene, sei finalmente te stessa e stai andando avanti. Credo sia terribile non poter essere quello che si è realmente, doversi nascondere perennemente da ciò che portiamo dentro.
Certo, la teoria Pirandelliana dice che tutti portiamo delle maschere, addirittura più di una, ma io credo sia solo una scusa. Mi correggo, consento la maschera solo a chi - per non recare sofferenza a terzi - la indossa provvisoriamente, ma per il resto, celarsi dietro una maschera è solo sintomo di codardia.
Mi viene in mente Tremotino, che per non accettare il fatto di essere un uomo fragile e con dei limiti, si fa possedere da una forza oscura che lo rende infimo, incapace di amare. Addirittura il Signore Oscuro odia quello che è diventato, potente, ma vuoto.
Mi auguro, ti auguro, di aver accettato i tuoi limiti e di aver iniziato a volerti bene.
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decadent-xx · 5 years
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Che consorsi hai vinto?
A 13 anni ho vinto un concorso scrivendo una poesia in rima che trattava come tema la violenza sulle donne.Parlava di una ragazza che conobbi in un progetto a scuola.L'anno scorso ho vinto un concorso alla Federico ll parlando del mio paese e delle sue risorse fisiocratiche.Quest'anno ho vinto un concorso alla Federico ll che trattava degli aspetti più incompresi del nostro lato emotivo. In particolar modo della maschera che si costringe ad avere l'uomo per integrarsi nella società. Un pò pirandelliana lo so.
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micro961 · 3 years
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Vesper canta The Show Must Go On
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è la canzone che l’ha scelta e le ha dato la forza di togliersi la maschera. Nonostante le avversità lo spettacolo della vita deve continuare
Che ogni giorno si indossi una maschera non è una novità. Corriamo incessantemente a lavoro a scuola, le giornate sono piene le amicizie vere poche e spesso di vecchia data . La differenza è che la maschera che indossiamo oggi non si toglie come quella pirandelliana di una volta, slegando l’elastico dietro la testa . Sembra che molte ideologie oggi siano state sdoganate. In realtà quello che rimane sotto la maschera è così profondo e doloroso e ha fatto parte della vita di ognuno di noi, che toglierla brucerebbe il volto così come rivelare cosa si prova o si è provato veramente, cosa cambia il nostro stato emotivo e lo destabilizza anche solo a causa di un odore o di rumore o di un sapore anche solo per due secondi . Quel sentimento, sebbene duri quanto un lampo, viene immediatamente scacciato di nuovo da noi in un angolino dove a nessuno è permesso entrare, a volte nemmeno a noi stessi .
Dice Vesper :” Non credo di aver scelto di cantare The Show Must Go On. Non ho mai preso lezioni di canto, non sono mai stata una cantante ho sofferto perdite come tutti nella vita e esperienze che mi hanno segnata . Quando però un anno e mezzo fa ho subito un errore importante in un’intervento che doveva essere semplicissimo ma che mi ha portata a altre 5 operazioni, a rischiare di perdere la vista, la vita, che mi ha tolto la libertà di uscire mangiare bere e che mi ha portata tra la vita e la morte le cose sono cambiate . Non parlo e non mangio e non bevo se non con tre otturatori palatali e comunque rischio sempre che la comunicazione col naso mi faccia fare figure davanti al mondo , quel mondo, quella società che porta quella dolorosa maschera con disinvoltura ogni giorno “.
Ha sempre amato cantare . La vita non le pareva più così lunga e  prevedibile come le era sempre apparsa . Ha detto basta . Doveva fare quello che le piaceva o almeno provarci .
Continua Vesper:” Non mi sarei mai permessa di paragonarmi a Freddy Mercury, uomo e idolo assoluto, e ho scelto di cantare The show must go on .  Ma la cantavo, non parlavo e la cantavo come nessun’altra canzone . The Show Must Go On mi ha fatta accettare dal mondo della musica a 40 anni e dato in pochi mesi, dopo tanto dolore, la possibilità di dire al mondo che togliersi quella maschera e mostrarla brucia a tutti, che non c’è vergogna o colpa in quello che si è passato e che se lo spettacolo deve e voglio che continui per me, sono altrettanto sicura che la forza per farlo andare avanti si trovi, magari in un altro angolino così potente ma dove non abbiamo mai guardato, in tutti noi”.
La Storia https://www.dcodcommunication.com/vesper
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bicheco · 7 years
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Pirandelliana
- Devo procurarmi una di quelle cose che uno si mette addosso per non sembrare più quello che veramente è ed ingannare così gli altri
- Forse ho capito: una maschera?
- No, un social!
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clo-rofilla · 7 years
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Cos'è per te la bellezza? Cosa rende davvero bella una persona? E tu, riesci a sentirti e vederti bella?
Vieni tu dal cielo profondo o sorgi dall’abisso, Bellezza?(Baudelaire)
Come faccio a rispondere in due righe a una domanda del genere? Non è mia intenzione aprire un vaso di Pandora e fare una dissertazione in chiave estetico-filosofica, cosa che una questione del genere implicherebbe quanto meno per dovere di esaustività. Quindi risponderò così:
Per me la bellezza, svincolata dal mero canone estetico e oggettivo, è quella magia che accade quando quanto più conosci una persona tanto più essa diventa bella ai tuoi occhi, senza che tu te ne accorga. Credo che ogni persona abbia qualcosa che le appartiene e che la rende bella in maniera unica al mondo, un modo di fare, una movenza, la risata, un arricciarsi i capelli sulle dita o stringersi le braccia al petto e così via. C’è sempre quel particolare che è speciale e che rende quella persona bella perché è suo, spontaneo, genuino. Per me le persone belle sono quelle di cuore, che gettano la maschera pirandelliana per aprirsi con sincerità all’Altro. E poi anche la bontà è bella. Eppure quanto è sottovalutata!
Io - come credo sia nella natura di molte donne - mi muovo in punta di piedi, spogliata di tutto, in una stanza piena di specchi deformi, dove metto a nudo me stessa e imparo la difficile arte dell’accettazione e dell’amore per chi sono. Mi piacciono i miei occhi blu mare, il mio seno lievemente asimmetrico, l’ombelico stretto stretto e rientrato, la schiena tempestata di nei. Mi piace la mia pelle troppo chiara che si arrossa al primo freddo e le lentiggini, perché sono solo mie e mi rendono chi sono. Con gli anni ho imparato a volere bene anche ai difetti (perché ci sono anche quelli, eh!). Ogni tanto litighiamo ancora, ma se prima li detestavo, adesso li accolgo nella totalità del fiume di chi sono, e lascio che anche loro raccontino qualcosa di me.
Infine, soprattutto e più di tutto, mi vedo bella attraverso gli occhi di chi mi ci vede, e di riflesso mi ci fa sentire.
Credo che ogni donna abbia bisogno di essere vista da qualcuno in quel modo lì, speciale, che ti fa sentire necessariamente bella.
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pangeanews · 6 years
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Brava la Braschi, perfetta “donna clown” beckettiana (e di quella volta in cui il divino Samuel scrisse a Strehler, “io affermo la Vita, sempre”)
Samuel Beckett non aspetta solo Godot (anche se, va detto, è con ogni probabilità il suo testo più celebre). Samuel Beckett nella vita ha fatto anche altro. E ha soprattutto saputo mettere in difficoltà – e allo stesso tempo ammaliare – i grandi registi. Giorgio Strehler per esempio, ché nel 1982 chiese alla brava Giulia Lazzarini di fare Winnie. Proprio lui, a ridosso della mise en scene, scrisse: “Quando nell’allestire Giorni felici io sottolineai, senza una parola in più ma con un accento gestuale, la volontà di vivere ‘fino all’ultimo’ della protagonista, alcuni critici tedeschi sottolinearono questo fatto con grande e insolita meraviglia per questo ottimismo assegnato alla comune e creduta disperazione di Beckett. Ricevetti allora alcune righe da Beckett stesso che mi diceva di essere estremamente curioso e di volere venire a vedere lo spettacolo e che, comunque, per lui, in un modo o nell’altro i suoi personaggi vogliono sempre affermare la Vita, aggiungendo: anche se è forse la peggiore delle condizioni possibili”.
Dopo lo straordinario esercizio che ne fece Anna Marchesini al teatro Bonci di Cesena quasi dieci anni fa (l’artrite mostrava già i suoi segni sul suo corpo esile ma egualmente seppe districarsi, pur pianata in terra, con rara maestria), il testo è stato donato a Nicoletta Braschi (in copertina, photo Gianni Fiorito) che prontamente, l’ha offerto al pubblico del “Turroni” di Sogliano il 21 aprile confezionato nella regia di Andrea Renzi.
La pièce, un monologo spigoloso e affilato come una ramo di pungitopo e che dovrebbe sostituire in maniera permanente almeno l’80% dei classici che riempiono i cartelloni dei teatri – non si può sempre proporre Goldoni o Molière solo perché i professori li mettono nei programmi scolastici: il Novecento ha creato perle favolose che però non circuitano perché certi autori non vengono studiati -, racconta l’attuale quotidianità schizofrenica, solipsista, usuale delle persone. In questo caso è quello di una donna – la brava Nicoletta – che squittisce contro il marito, Willie, che a sua volta risponde quasi a monosillabi. Una coppia di reietti, una fotografia nitida e tagliente di un mondo borghese – deliziosa l’attenzione con cui la Braschi cura il proprio corpo, che di fatto è un non-corpo – che blatera senza ovviamente sapersi ascoltare.
Dice il regista Andrea Renzi, anche interprete dello spettacolo: “Abbiamo cercato di non dimenticare mai che si tratta di un testo a due che richiede la tessitura di una relazione continua tra Winnie e Willie. Sono numerosi all’interno del testo i riferimenti al mondo del teatro: ‘Strana sensazione che qualcuno mi stia guardando’ dice la protagonista, interrogandosi anche sul parasole che ritorna sempre nella stessa posizione, il campanello interpretabile anche come segnale del chi è di scena, l’operetta come memoria condivisa della coppia Winnie e Willie, i vuoti di memoria e i trucchi”. Per 90 minuti suddivisi in due atti si assiste a una “stanza della tortura” di matrice pirandelliana: la “partita” (che non è mai una “finale”) si gioca in panchina, quindi seduti. Seduta, anzi conficcata in una prigione di finti sassi di plastica (elemento totemistico di grande impatto) e poco più in là un paravento verticale dipinto, la protagonista viene cristallizzata da un quadro di luci ferme, e un campanello-telefono fuori scena, che scandisce l’assurda quotidianità delle parole apparentemente vuote.
Lungamente bastonato dalla critica per diversi anni (al contrario di Godot) perché troppo innovativo – il drammaturgo dublinese racconta un normale “dramma di conversazione” per svuotarlo da tutte le sue componenti significative sino a renderlo pallido specchio della misera condizione umana – in realtà questo interessante allestimento si inserisce nella strada tracciata dall’autore, quella cioè di riuscire a portare una situazione del tutto “domestica” sino al parossismo, costringendo i protagonisti all’in-azione (di fatto, una non-azione fisica che fa da contraltare a un’azione vorticosa verbale) quasi totale attraverso una lenta scarnificazione dei mezzi espressivi propri del teatro.
Anche qui quindi i personaggi sono generalmente imprigionati nel loro io, destinati alla solitudine, senza alcuna possibilità di comunicazione e di mutua comprensione, incapaci di vivere nel loro breve viaggio della vita, quello che unisce “il ventre alla tomba”.
Il vortice di parole, reiterate per riempire il vuoto di comunicazione, si sublimano nella prova di Nicoletta Braschi, che dona alla platea una particolareggiata “donna clown”: dietro ai sorrisi e alle vocette, spesso si cela la maschera della sofferenza. A teatro, come nella vita. In fondo, a guardarli con attenzione, sono la stessa, identica cosa.
Alessandro Carli
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infocilento · 8 years
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"Luci in scena", prosegue la mostra dell'artista Nera D'Auto
"Luci in scena", prosegue la mostra dell'artista Nera D'Auto. Luci di scena. L’artista Nera D’Auto, di Roccadaspide, espone ad Ogliara, Salerno, al “Museo Città Creativa” dal 21 gennaio al 26 marzo 2017. Qual è il messaggio della sua arte? La vittoria della Natura sulla tecnologia. L’arte rappresenta la via di fuga da un mondo tecnologico. Occorre fare largo all’uomo che attraverso il proprio pensiero comunica la Legge dell’amore. Vestiamo l‘arte, organizziamo il mondo attraverso di essa, in modo che ognuno possa rivolgere all’esterno le potenzialità celate nell’interiorità. L’arte si veste di pensiero, di luce, d’amore, perché sa che la natura vince sulla tecnologia, l’immaginazione sull’elemento finito. L’arte deve coinvolgere con il pensiero sensibile la società, deve dialogare, condividere, vestirsi delle immagini della mente, come forme del suo tempo, della sua storia. “Vestirsi delle immagini della mente”? Ogni quadro è la luce energetica del pensiero umano. Rappresentano un uomo nuovo fatto di coscienza e responsabilità, illuminato da una luce interiore in continua ricerca della propria essenza, del proprio divenire. Un divenire che meraviglierà ogni uomo, perché il flusso di energia, fatto di quanti, stringhe e materia vagante, rende consapevole l’essere circa l’importanza della luce-pensiero individuale, e quindi della forza di esistere. Come avviene in lei il divenire dalla materia vagante a energia luminosa? Come materializza la luce- pensiero? Parlare di materia vuol dire vedere con la mente tutti i possibili elementi presenti nell’Universo, le loro combinazioni e gli stimoli che trasmettono ai sensi, comunicando informazioni sulla realtà del divenire. Cerco colori che trovano corrispondenza con la mia essenza, traduco l’odore dell’erba, il calore del sole, il mio essere leggera in un’atmosfera naturale e rilassante, inconsciamente centro la tela secondo un sentire mentale, mi soffermo, dando più corpo ad un colore al posto di un altro. È una sensazione che mi appaga. Che colori è Nera D’Auto? Il rosso, con il giallo, è il colore della mia interiorità. Rappresenta l’origine della passione e dell’indeterminatezza. Ma anche l’azzurro degli spazi infiniti e il verde appagante per uno spirito inquieto e d’artista. L’interiorità dell’essere trasmette all’opera un’aureola luminosa capace di formare un involucro che avvolge l’individuo. Forme diverse si accompagnano al colore e danno vita al carattere che compone la materia dell’involucro. Un colore, un carattere, un segno, un vuoto, una musicalità, l’essenza dell’interiorità, l’essenza del Cosmo. Il percorso artistico di Nera è visibile nelle sue tele, nelle stoffe, negli abiti, lì dove ferma la luce cosmica, esaltando in giusta dimensione le cromie della natura, le luminosità del sentire. In “Luci di scena” è possibile ammirare le opere di un’altra artista, Maria Pellegrino. “La Pellegrino racconta il suo viaggio nelle terrecotte, a corona di un’esigenza intima di dar forma ad emozioni profonde, impalpabili, nascoste e a volte represse per una giusta dimensione del vivere in pace” come scrive Vito Pinto. “Luci di scena” vuol essere anche un omaggio a Luigi Pirandello, nel centocinquantesimo anno dalla nascita. Un tributo delle artiste che hanno omaggiato, ognuna con le proprie peculiarità, la visione della maschera, ricca di significati, interpretazioni, enigmi dell’io e della collettività che rimandano al pensiero dello scrittore siciliano. E se la Pellegrino, con le sue maschere si interroga sull’identità e sulla simulazione- tematica tipicamente pirandelliana, Nera D’Auto con i suoi grandi pepli e mantelli rimanda al teatro greco che ha dato l’avvio alla scena di una qualsiasi rappresentazione postuma e in altre epoche storiche.
L’esposizione è presso il “Museo Città Creativa”
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neifatti-blog · 6 years
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La verità, strumento di sincerità assoluta o menzogna “mascherata”?
Riflessione domenicale: la verità, strumento di sincerità assoluta o menzogna “mascherata”?
di Giosuè Battaglia.
Roma, 13 Maggio 2018 – «La verità mi fa male, lo so…». Così iniziava una canzone degli anni ‘60, cantata da Caterina Caselli e dedicata all’amore fra due giovani. Tale asserzione, però, ben si adatta ad ogni momento di vita dell’uomo, in quanto proprio perché fa male si evita sempre di dirla. (more…)
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