Tumgik
#non credo Abbia La Risposta per questa qua
demonecelestiale · 9 months
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sì Collega sì sorry mi sono scordato di chiedere se questa la merce relativa a questa fattura di acconto (?) dei vestiti è arrivata oppure no sorryyyyyy
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yomersapiens · 2 years
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La strana avventura del signor Pippoloni
Orario di arrivo previsto 12:30. Però io so come vanno le cose quando viaggi in bus. Devi sempre mettere in conto almeno un'ora di ritardo. Damiano mi scrive che no, sicuro arriva per tempo, figurati, sono già alle porte di Vienna. Invece avevo ragione io. Ma siccome sono uno stronzo che vuole essere puntuale, io alla stazione dei bus ci sono arrivato preciso. Damiano conferma che ci vorrà un'ora ulteriore, così mi metto a girare a vuoto in questa zona di arrivo dei bus, chiamata Erdberg. Vienna è una città pulita, ordinata, ricca, privilegiata, dove tutto funziona e ti senti sempre sicuro. Tranne ad Erdberg. Qua sembra di stare da un'altra parte del pianeta. Da quando sono nato ho passato non so quanto tempo tra varie stazioni pessime e pensavo di avere abbastanza pelo sullo stomaco, ma ora sono sicuro che il benessere viennese mi abbia rammollito. Non avevo paura, sia chiaro (la mia unica paura è perdere i capelli e forse è per questo che mi sono fatto biondo) mi sentivo solo a disagio e dopo due anni di pandemia oramai vedo sporco e batteri ovunque.
Non vedo Damiano da anni. Da quando non si faceva chiamare Damiano ed era un'altra persona. Io gliel'ho sempre detto, tu per me puoi essere quello che vuoi anche un unicorno, non mi interessa, basta che me lo dici e farò di tutto per capire e rispettare. Però ecco, l'unica cosa che non cambierà mai di Damiano è la totale mancanza di puntualità.
Mi aggiro per la stazione ascoltando un po' di musica, cercando di ignorare gli abitanti momentanei di questo non-luogo. Le cuffiette sono le mie cinta murarie. Mi difendono da chi vuole attaccare bottone. Noto questo signore anziano, spaesato, pantaloncini troppo corti e una pelle in avanzato stato di decomposizione. I vestiti sono quelli che vedi sulle testimonianze delle grandi migrazioni prima della guerra. Gli mancava solo una valigia in cartone e aveva tutto. Persino la coppola. Camminava a piccoli passi, trascinando i piedi, tenendo tra le mani un foglio di carta malconcio. Mi si avvicina e cerca di parlarmi ma io avevo le cuffie e non volevo essere disturbato. I suoi occhi brillavano di una sincerità che ho visto poche volte, solo da chi aveva realmente bisogno di aiuto, o solo di parlare. No. Solo di essere notato. Perché lì attorno nessuno sembrava vederlo. Io anche avevo fatto fatica, sembrava un viaggiatore del tempo più che un uomo reale.
Prova a esprimersi in un francese impiastricciato, arrancando parole e concetti e lanciandoli alla bella e meglio. Mi porge il foglio di carta che ha in mano: è il suo biglietto del bus. Una cosa ho imparato in anni di vita all'estero. Se qualcuno parla una lingua che non conosci e non sai come esprimerti, non provare a parlare la sua lingua, parla la tua. La confidenza e il tono, aggiungendo il gesticolare, risolveranno molto spesso la situazione. Poi noi italiani abbiamo la fortuna che 50% delle volte ci riesce di farci capire. Così mi butto, lo guardo e gli dico "Guardi io non parlo francese, parlo italiano, tedesco e inglese, lei mi capisce?" e lui si gela. Così guardo meglio il biglietto. Dice che la partenza è avvenuta la sera prima da un paesino a caso in Francia, arrivo previsto ore 6 a Monaco, cambio di bus, coincidenza che riparte alle 7 e viaggio che si conclude nel pomeriggio inoltrato a Perugia. Io guardo il signore, poi riguardo il biglietto. Qua non siamo a Monaco. Siamo a 400 chilometri da Monaco. Qua siamo a Vienna. Lo guardo ancora "Ma qua non siamo a Monaco. Lo sa che non siamo a Monaco? Siamo a Vienna". Da lui ancora nessuna risposta. Analizzo ogni millimetro del biglietto e scopro il nome: Luigi Pippoloni. Scoppio a sorridere, non ci credo. "Scusi, ma lei si chiama davvero Pippoloni?" e qui ricevo la prima risposta in un italiano che riemerge da un sarcofago "Sì, mi chiamo Luigi". Non riuscivo a trattenere il mio entusiasmo. - Signor Pippoloni! Ma lei parla italiano? - Sì, mi sono trasferito in Francia quando avevo 11 anni, con i miei genitori. - Pippoloni! Anche io parlo italiano! - Oh che bello - Siamo tutti e due italiani all'estero. Ma cosa mi ha combinato Pippoloni! Lei doveva scendere a Monaco e cambiare, e invece ora è a Vienna! Si è addormentato? - Nessuno mi ha detto niente - Legga qua, c'è scritto che doveva cambiare - E dove sono adesso - A Vienna, in Austria - E come faccio - Non lo so Pippoloni, ora dobbiamo capire come fare - Nessuno mi ha avvisato che dovevo scendere - Però è scritto qua sul biglietto - Ah, e come faccio - Quanti anni ha signor Pippoloni? - 76, a 11 anni mi sono trasferito in Francia con la mia famiglia - Sì questo me l'ha detto. Ha dei figli, un telefono, qualcuno che dobbiamo avvisare o che la sta aspettando? - Ho il telefono ma non si accende, è scarico - Ma cosa mi combina Pippoloni! Mi si mette in viaggio con un telefono scarico? E se non trovava me come faceva? E qui l'ho visto sorridere per la prima volta. Gli occhi erano ancora spaesati ma la bocca iniziava a essere meno serrata in una smorfia di smarrimento. - Facciamo così, prima andiamo dentro a capire se c'è un modo per mandarla in Italia, poi avvisiamo chi la sta aspettando. Tanto ho tempo, il mio amico è in ritardo di un'ora. Vedrà quanto è bello Damiano, voglio farglielo conoscere, è altissimo, splendente, veste sempre in maniera assurda, sembra un astronauta.
Lo porto alla biglietteria e spiego l'accaduto. Il bigliettaio si mette le mani in faccia. Errori così, o sviste, persone che si addormentano e si risvegliano nel luogo sbagliato ne ha viste spesso, ma non aveva mai visto il signor Pippoloni. Non ci sono soluzioni, non per questa giornata. Domani c'è un bus che va verso l'Italia, oppure stanotte. Io non potevo lasciare Pippoloni da solo in quella zona tutta una notte. Spiego nuovamente la situazione, chiedo se ha senso provare a cercare un treno. Mi dice che sicuramente in stazione qualcosa di alternativo si troverà più facilmente. - Signor Pippoloni, è un casino qua. Non ci sono bus, almeno fino a domani e io non ho posto in casa, sta arrivando Damiano, però possiamo andare in stazione e lì ci dovrà essere un treno per lei - In stazione? E come ci arrivo in stazione - La porto io signor Pippoloni, non si preoccupi! Aspettiamo insieme il mio amico e poi andiamo! - La ringrazio - Si sieda qui, ci vuole ancora un po' Noto che non riesce ad allontanare le mani dalle sue due borse. Le accarezza quasi, come fossero due animali da compagnia. Una è una valigia a rotelle mentre l'altro è un sacchetto ricolmo di cibo e altrettanti sacchetti minori.
Damiano arriva, scende dal bus stanco, lurido e stupendo come solo lui sa essere. Specialmente ora che il suo corpo e la sua mente coincidono. È una vecchia conoscenza ma al tempo stesso, un completo nuovo amico. Lo abbraccio e gli dico "Lo so che tu vorresti solo andare a casa a fare una doccia, manco sei sceso dal bus ed è già iniziata la nostra prima avventura. Dobbiamo aiutare il signor Pippoloni a tornare a casa. Vieni che te lo presento." Damiano non dice nulla, sommessamente accetta il suo triste destino, consapevole che con me le cose non vanno mai come pianifichi.
Il signor Pippoloni guarda Damiano e sgrana gli occhi. Non capisce cosa sia. "Le ho detto che è un astronauta. Forse è pure un alieno. Sicuro non è di questo pianeta". I due si piacciono subito, nonostante uno venga dal futuro anteriore e l'altro da inizi 900. Ci incamminiamo, uno dopo l'altro, in una stranissima carovana di bipedi, fatiscenti, claudicanti, appariscenti e splendenti, decadenti e lenti. Soprattutto molto molto lenti. Pippoloni cerca di starci dietro ma le valigie pesano troppo. Damiano anche è carico come un mulo. Dobbiamo aiutarci a vicenda per raggiungere la metropolitana. Mentre compro il biglietto a Pippoloni, vedo che Damiano gli regala una delle sue mascherine. Quelle queer, rosa, con resti di glitter provenienti da chissà quale party. Pippoloni la indossa e sorride, poi barcolla verso di me mentre mi avvio con i suoi bagagli verso l'ascensore. Durante il viaggio in metro cerco di spiegargli dove siamo, dove stiamo andando, quali sono le distanze. Non voglio abbia paura, voglio tenerlo aggiornato, così che sappia quello sta succedendo. Ogni cambio di linea della metro è una fatica. Ma come si fa a viaggiare con tutto questo peso a 76 anni, da solo? Sarà anche carino e neorealista, ma Pippoloni non è molto pratico.
Giungiamo in una stazione dei treni sovraffollata. "C'è tanta gente qua" dice Pippoloni abbassando la mascherina. Il suo volto anziano ora sbrilluccica di glitter. Io rido "Eh sì Pippoloni, siamo due milioni qua a Vienna!".
(Ora dirò una cosa molto estemporanea e che farà capire facilmente come ragiona la mia testa. Tutto questo bisogno di aiutare, questa voglia che è emersa in me, un po' nasce da come sono stato cresciuto in famiglia, certo, i miei genitori e soprattutto mia madre mi hanno sempre insegnato che bisogna aiutare il prossimo a qualunque costo. Anche mio nonno, uguale, sempre aiutare chi ha bisogno in ogni circostanza, anche se si finisce a rimetterci qualcosa. Ma io ora lo posso ammettere, tutto questo, l'ho fatto solamente per poter ripetere a voce alta ogni due secondi il suo cognome. Pippoloni ha un suono celestiale. Buffo. Dirompente. Dovete provare anche voi a dirlo a voce alta. Provate anche delle varianti come "a Pippolò!" in stile Corrado Guzzanti. Non si fosse chiamato così, forse non lo avrei aiutato con tanto entusiasmo)
Guardo Damiano e noto che quasi non ce la fa più a reggersi in piedi. Ha fame e le 18 ore di bus si fanno sentire tutte. Così lo metto di guardia alle valigie mentre prendo il signor Pippoloni sotto braccio e lo porto verso la biglietteria. Prendiamo il numero e aspettiamo il nostro turno. Il caso vuole che il bigliettaio che ci capita sia un giovane sbarbatello, forse alla sua prima settimana di lavoro. Lo guardo e parlandogli in tedesco gli dico "Preparati, perché ora ti racconto una bella storia e tu stai per entrare a farne parte e diventerai un protagonista essenziale". Il ragazzino non capisce ma i suoi brufoletti adolescenziali mi fanno l'occhiolino. Gli spiego tutto e la sua faccia diventa seria. Ora è entrato nella parte. Ora anche lui vuole aiutare Pippoloni. Si mette subito alla ricerca di soluzioni possibili ma tutto o parte troppo tardi o è completamente prenotato. "Il signor Pippoloni mi deve partire il prima possibile, guarda se trovi una cuccetta!". Molto candidamente ammette di non capire un cacchio di geografia italiana. Mi chiede se Trieste va bene come punto di arrivo. Io guardo Pippoloni e no, non me lo vedo a Trieste a chiedere aiuto per riuscire ad arrivare poi a Perugia. Le soluzioni devono essere Bologna, Firenze o Roma. Il ragazzino sta sudando copiosamente quando ecco che gli si illumina il volto. "Trovato! Parte alle 19 e arriva domani a Milano, poi cambia e scende verso Firenze." - E poi? - E poi non lo so. - Pippoloni, ma se lei arriva a Firenze, poi riesce a trovare un modo per arrivare a casa? - Chiamo mio cugino e gli dico di venirmi a prendere - Giusto, mi ero dimenticato che dovevamo chiamare i familiari! Vabbè quello lo facciamo tra poco. Va bene, senta, prendiamo subito il biglietto, quant'è? - Sono 145€ - Signor Pippoloni, sono 145€. Ce li ha? Il signor Pippoloni inizia a rovistare nel sacchetto che ora capisco essere il sacchetto ufficiale contenente i documenti di maggiore importanza. Estrae una rubrichina del telefono mangiata dal tempo e un blocchetto chiaro, di assegni. - Ecco, va bene questo? Io non so come rispondere. Guardo il ragazzino. Lui guarda me. - Non accettiamo assegni, mi spiace. - Signor Pippoloni, non ha banconote o altro? - Non accettano gli assegni? - Facciamo così, facciamo un po' una colletta tra di noi e ne parliamo dopo, ecco, prenoti subito, la ringrazio. Riceviamo il biglietto e corriamo verso Damiano che oramai sta dormendo in piedi con la testa poggiata su una valigia di enorme dimensioni.
Abbiamo fatto tutto. Possiamo finalmente mangiare e rilassarci per qualche minuti. "Signor Pippoloni, prima ho visto che aveva una piccola rubrichina, magari là dentro c'è il numero di telefono di un qualche familiare che posso chiamare?" - Ci dovrebbe essere il numero di mio cugino - Se me lo cerca per favore Damiano torna con un vassoio pieno di patatine fritte, panini vegetariani con pollo che pollo non è e una vasca di coca cola. Ha un sorriso enorme e contagioso. Non siamo più tre uomini seduti ad un tavolino lercio di una stazione, siamo tre signori nel locale più lussuoso di tutta Vienna. Ricevo il numero di telefono e chiamo in Italia. - Sì salve, sono Matteo, noi non ci conosciamo ma girando per la stazione dei bus di Vienna ho trovato suo cugino Luigi, aveva sbagliato coincidenza e insomma, si è perso ma non si preoccupi! L'ho portato in stazione dei treni e abbiamo trovato una soluzione alternativa. Arriverà domani con un treno verso Firenze. Sarebbe carino lo andasse a prendere. - Ah, accidenti, mi si è perso il Luigino! Va bene. Senta, allora se me lo può mettere su un treno, la ringrazio. - Sì certo, glielo metto su un treno. - Che magari arriva vicino a Perugia - Faccio il possibile - La ringrazio, povero Luigino - Eh già. Povero. Si figuri! Mi giro un po' confuso e vedo che ora sul tavolo il signor Pippoloni ha disposto quasi tutto il contenuto del suo sacchetto a mano. C'è una baguette, coltelli, burro, salame, uva in ogni contenitore possibile, formaggio, un altro sacchetto pieno di uva, bottiglie di acqua e succo di frutta, un barattolo di nutella vuoto contenente altrettanta uva. Damiano ha cambiato colore del volto. Mi siedo e mangio il mio finto pollo, Luigino prova ad offrirmi da mangiare "Signor Pippoloni, meglio se conserva qualcosa, il viaggio per lei è ancora lungo, ci deve campare per un altro giorno almeno con questa roba".
Arriva il momento dei saluti. Mancano alcune ore alla partenza del treno ma non posso costringere Damiano a stare ulteriormente qui. Però nascono i dubbi. E se Pippoloni si alza e si allontana e perde il treno? O se si addormenta e perde il treno? O se lo rapiscono e derubano e perde il treno? Pippoloni è il cucciolino abbondanato che trovi quando sei in vacanza al mare, che vorresti portare a casa ma i tuoi genitori ti dicono di no, non possiamo, abbiamo altri cuccioli a casa che ci aspettano. Così vado dalla security della stazione a spiegare per l'ennesima volta la situazione. "Vedete, è lui, si chiama Pippoloni. Importante, categorico che lui alle 19:23 salga sul treno diretto per l'Italia. Ma me lo dovete proprio accompagnare voi di persona. Prendetelo in braccio se necessario ma fatelo salire su quel treno!" I tre omaccioni austriaci prendono appunti e promettono. Io mi sento tranquillo. - Pippoloni, noi ora andiamo, è stato un piacere conoscerla e mi raccomando non si allontani da qui che poi vengono a prenderla e la portano al treno! - Non mi devo muovere? - No vabbè, se deve andare in bagno ci vada pure Damiano mi sussurra nell'orecchio "Guarda bene cosa ha in borsa". In mezzo a tutto il cibo e ai documenti ufficiali, ci sono una dozzina di pannoloni da adulto. - Resti qui allora signor Pippoloni! Non vada neanche in bagno che è meglio. La prenderanno e la porteranno questi tre signori. Se li ricordi. Sono vestiti di blu e arancione. Vede? - Blu e arancione - Dove ha il biglietto? - Qua! - Non lo perda mi raccomando! Noi ci sentiamo domani, chiamo suo cugino per sapere se è arrivato! - La ringrazio Matteo, lei conosce molte persone, è stato molto gentile - A me piacciono le storie signor Pippoloni, lei ora è diventato una delle mie storie! Ci abbracciamo. Profuma di un passato italiano che ho vissuto solo in estate quando andavo a trovare i bisnonni e le ragnatele e la polvere arredavano le loro case e i loro centrotavola.
Decido di non pensarci più. Damiano mi dice "Stai tranquillo, hai fatto abbastanza, ora rilassati" e io ci provo, voglio dargli ascolto. Ma ovviamente di notte non chiudo occhio pensando che forse qualcosa è andato storto e che Pippoloni ora è di nuovo smarrito. Magari si aggira per la stazione di Vienna chiedendo di me. Il mio cucciolo di 76 anni abbandonato. Mi addormento e la mattina dopo riesco quasi a non pensarci.
Un numero italiano mi chiama nel pomeriggio, riconosco la voce, è il cugino del signor Pippoloni. Rispondo carico di gioia pensando di poter mettere la parola fine a questa avventura. - Salve, sono il cugino di Luigi - Salve! È arrivato? È con lei? - Veramente no. - Ah. - Ma lei me l'ha portato a Milano? - No io l'ho messo su un treno, non avevo modo di portarlo fino a Milano. - Ah - Eh - E allora aspettiamo - Però mi faccia sapere qualcosa che sono in pensiero!
Che io abbia realmente fallito? Che il signor Pippoloni abbia sbagliato qualcosa nuovamente? Che sia finito altrove, in un luogo senza italiani all'estero pronti ad aiutarlo? Le domande mi bombardano la testa e a questo punto penso siano le domande che abbiamo tutti. Perché un signore di 76 anni si mette in viaggio da solo sul bus? Perché non un aereo così da non dover stare 24 ore in giro? Perché senza un telefono? Dove sta la sua famiglia? Ha dei figli che lo cercano? Che sia odiato da tutti? Che sia solo al mondo? È colpa mia adesso se non arriverà mai dal cugino? Potevo fare di più? Dovevo portarlo a Milano? Tutte domande lecite a cui ho deciso di non dare risposta. Perché rispondere vorrebbe dire entrare in zone che non mi riguardano. Generare colpe e colpevoli. Analizzare contesti a me lontani. Devo solo perdonarmi e trovare un po' di pace.
Damiano è con me. È radioso grazie alle ore di sonno finalmente portate a termine. Mi aiuta a non restare infangato. Verso sera gli chiedo: - Ma secondo te, lo chiamo il cugino per sapere se è arrivato Luigi? - Basta Matteo! Lascia perdere. Datti pace. Hai fatto quello che potevi non puoi stare a struggerti! Mentre lo dice chiude la canna, la accende, fa due tiri e me la passa.
Due giorni passano veloci, ci divertiamo, sfondiamo di canne, alcol, cibo austriaco e mercatini dell'usato. Damiano riparte carico come non mai, di vestiti appariscenti e promesse di rivederci prima o poi. Chissà come sarà la prossima volta. Chi sarà. Tra un anno. Due anni. Dieci. Damiano cambia sempre, è questa la sua natura. Mutevole, dannato fenomeno. Senza la sua presenza divento nuovamente nervoso e paranoico. Io devo sapere che fine ha fatto il signor Pippoloni. Passo la domenica cercando la forza per chiamare quel numero italiano. Cosa può succede di male? Se non è arrivato ho scattato delle foto, le mandiamo a "Chi l'ha visto" e rilascio un'intervista. Se è arrivato tiro un sospiro di sollievo e mi calmo. - Salve, sono Matteo, l'italiano che sta a Vienna. Si ricorda? Ho trovato suo cugino Luigi in stazione - Ah signor Matteo, certo! - Volevo sapere, è poi arrivato Luigi? - Luigi? Ma certo! La sera stessa! Ha fatto tutto da solo. È arrivato direttamente qua a casa mia! - Ah. E non poteva chiamarmi? - Volevamo farlo ma poi ci siamo dimenticati. Adesso è in pista che si sta facendo un giro, un attimo che lo chiamo! - In pista??? - Sì, sul go-kart - Ma come sul go-kart - Signor Matteo, salve! - Signor Pippoloni!!! Sta bene? - Tutto bene grazie, sono qua con mio cugino Mario - Che bello sentirla! - La ringrazio ancora, ci vediamo presto - Spero di no signor Pippoloni, altrimenti vuol dire che si è perso un'altra volta! - Le passo mio cugino che vuole ringraziarla, arrivederci - Arrivederci signor Pippoloni! - Pronto signor Matteo, sono Mario, il cugino di Luigi, volevo dirle che è stato davvero molto gentile e quando vuole, lei è invitato qua da me, ho una pista di go-kart, si chiama Pista Arcobaleno. Quando vuole lei viene ed è ospite mio. - Scusi un attimo. Lei si chiama Mario? - Sì - E ha una pista di go-kart, chiamata Pista Arcobaleno? - Sì - E suo cugino, che le ho spedito, si chiama Luigi - Sì - Non ci posso credere. Mario e Luigi, i go-kart, la pista. Questa se la scrivo sembra completamente inventata. - Tutto bene signor Matteo? - Tutto benissimo! Verrò a trovarvi presto. Devo fare una gara contro Mario e Luigi! - A presto allora! - Mi raccomando, non mi tiri nessuna buccia di banana! Capito? - A presto!
Io non credo in molte cose. Credo che se scavi, molto, in profondità, ogni essere umano possa fare meno schifo di quello che si vede in superficie. Lo penso anche di me. Sotto sotto non faccio così schifo. La psicanalisi mi ha aiutato. Anche compiere atti di gentilezza spontanea, come questo, aiuta a farmi sentire meno in colpa per lo schifo che ho fatto in vita. Lo faccio come redenzione. Lo scrivo non per essere da esempio a nessuno, solo per non dimenticare. Mi piacerebbe vivere in un mondo dove gli umani, a casaccio proprio, si mettano a compiere atti di gentilezza spontanea, come terapia. Non ti puoi permettere la psicanalisi? Aiuta qualcuno allora. Senza volere nulla in cambio. Non credo soprattutto nel karma, è un concetto che mi fa schifo. Essere buoni per ricevere bontà. Aspettare che i cattivi vengano puniti passivamente da una forza superiore. Col cazzo. I cattivi vanno puniti a sprangate senza dover aspettare. Ok ora sto diventando estremo. Voglio solo concludere con questo. Sono disoccupato da marzo. Il mio conto in banca sta diventando sempre più ridicolo. Mando curriculum su base quotidiana e sempre, non ricevo risposta. Sapete cosa è successo il giorno dopo aver incontrato il signor Pippoloni? Che hanno risposto a una mail. Che ho iniziato subito a lavorare, carico di una voglia di fare che manco a vent'anni avevo e adesso, lunedì, mi arriva il contratto, dove tutte le mie richieste sono state accettate. Forse. Vedremo. Il karma non esiste, io voglio essere gentile solo perché così mi incasino di meno e le persone pensano io sia innocuo. Ma se per caso fosse anche lontanamente vero che qualcosa ti torna indietro, quando ti comporti bene, ecco allora adesso sono io che ringrazio ancora il signor Pippoloni per avermi messo di buon umore. Magari era questo quello che mancava in tutte le mie mail, il sorriso.
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chiesovic · 1 year
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però dai parliamo chiaramente gli interisti si stanno focalizzando su sta cosa dei cori razzisti perché non riescono a spiegarsi il secondo cartellino giallo, e questa cosa mi dispiace un sacco. tutti i juventini che hanno fatto versi e preso parte a cori razzisti devono essere beccati e devono pagare amaramente perché sono immondizia umana, e su questo penso non ci siano dubbi. tuttavia, la risposta di lukaku nonostante sia comprensibile, non è stata quella giusta ed è inutile cercare di giustificarla. ha fatto quell'esultanza "che fa sempre" a mo' di provocazione, gettando benzina sul fuoco in mezzo al campo (così come juan, che si è meritato il rosso) e rischiando di sollevare gli animi anche delle tifoserie, immaginate che cazzo sarebbe potuto succedere fuori allo stadio??? il regolamento dice chiaramente che un giocatore può essere ammonito se esulta provocando gli avversari, l'arbitro per me ha fatto benissimo.
avrebbe fatto molta più figura se si fosse preso la soddisfazione del gol esultando con i suoi tifosi e poi avesse denunciato gli episodi razzisti ai microfoni davanti a tutta italia, vi assicuro che ci saremmo indignati tutti ugualmente e la juve si sarebbe comunque impegnata a trovare i colpevoli. attaccare briga non porta mai da nessuna parte.
su questo non posso essere d'accordo non credo sia assolutamente giusto sindacare su come le vittime di episodi di razzismo debbano reagire, anche perché è molto facile dirlo da fuori uno stadio.
molto semplicemente io penso sia successo un gran casino – a quanto ho capito molti giocatori non avevano capito la situazione (su alcuni posso anche dubitare, ma di una persona come danilo sinceramente no). non so se anche l'arbitro non avesse effettivamente idea in un primo momento o se abbia dato il secondo giallo per calmare la situazione che altrimenti, come dici tu, sarebbe sfuggita di mano. fatto sta che è una squalifica ingiusta.
comunque tutte queste cazzate eh ma i gobbi eh ma i ratti eh ma tumblr user non ha condannato il gesto ecc. anche basta per me se davanti a queste cose si fanno questi discorsi allora possiamo anche finirla qua tanto non ne usciremo mai
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kon-igi · 4 years
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PERCHÉ VISUALIZZI E NON RISPONDI!?
Per cercare di dare una risposta a @pokotopokoto su questo interrogativo qua in cui chiede perché il collega stillicidi con messaggi irrisposti da più di un anno, la spiegazione credo che sia semplice e si chiama 
VALIDAZIONE
Se non riceve risposta lui non ha conferma della propria esistenza.
Visto che non hai chiesto delucidazioni su come comportarti tu (lo hai pure detto ma anche se non lo avessi fatto non credo tu ne abbia davvero bisogno) posso però dirti che qualche persona parecchie persone troppe persone quasi tutti hanno lasciato qualche filo attaccato al proprio sé adolescente, a quel periodo in cui ognuno di noi doveva ricevere costante validazione del proprio esserci, uniformato o controcorrente che fosse.
L’adolescenza... il momento in cui - e scusate se mi ripeto - la persona dovrebbe cominciare a gettare le basi per il distinguo tra concetto di individualità e di individualismo.
Individualismo è ‘Io meglio degli altri’, una percezione immatura del rapporto con il mondo, utile nei primi anni di vita per formare quell’io succitato ma che trascinata oltre un certo periodo diventa una zavorra sociale, sia per chi la porta che per chi la sopporta.
Individualità, invece, è avere ben chiaro - scansati! - che si è il centro del proprio mondo ma in coesistenza e in convivenza con altri mondi, tenendo ben a mente che l’altrui percezione della realtà non solo è diversa ma che questa ‘diversità’ non la si può ridurre a una questione di meri ‘punti di vista’.
Io manco posso immaginare tutte le esperienze, tutti i pensieri, tutte le emozioni, i traumi, le delusioni, le lotte, i giorni passati nell’indifferenza o nella solitudine che hanno portato chi mi passa accanto a grugnirmi un saluto appena accennato o a non salutare affatto.
Certo, posso pensare che è strano, che è maleducato quando io invece sono stato bene educato, che è una persona antipatica...come osa fare questo affronto a uno come me sempre così splendido e solare? Mi sta dando dello stronzo? Si crede migliore di me?! Se vuole la guerra, guerra avrà!
Oppure passare oltre.
Come voi non sapete nulla di tutto quello che lo ha portato a grugnire un saluto appena accennato, non potete pretendere che lui sappia quanto voi siate persone splendide e contese per un’amicizia appagante e adorante da parte di tutti quelli che vi incrociano.
A volte le persone non si alzano con la missione di offendervi personalmente... semplicemente non siete importanti per loro, quindi fatevene una ragione e andate avanti cercando di essere migliori, non cercando la validazione di chi vi dice che siete i migliori.
P.S.
Qualcuno nelle note del post di Pokoto ha scritto che sono gli uomini rifiutati da una donna a essere quelli più molestamente insistenti ma mi chiedo se questo qualcuno abbia mai avuto a che fare con una donna ferita nell’orgoglio.
L’individualismo non conosce confini di genere, tenetelo a mente.
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arieldallas03 · 4 years
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ehi lu, mi spiace che mi sto rifacendo risentire non voglio disturbare o altro, ma ho bisogno di scriverti delle cose e non importa se non leggerai o semplicemente farai finta di non averlo visto, almeno mi sarò tolta un peso e ne ho bisogno.
mi fa un sacco strano sapere che davvero sto scrivendo questo e riesco ad inviarlo, avrei preferito riuscire ad affrontare sta cosa di persona e pensavo davvero di farcela con tanta sicurezza finché non ti ho avuto davanti quel giorno, però ora dovrei farcela.
so benissimo che nemmeno per te è un segreto che io son stata presa di te, ma la cosa più strana è che lo sono tutt’ora, non mi è mai successo di star davvero così tanto tempo dietro a qualcuno e soprattutto facendo la “sottona” in sto modo, non sono mai stata così vulnerabile davanti a qualcuno, MAI; ho avuto mille motivi per non dover continuare e in mille che mi dicevano di lasciar stare, pure io me lo dicevo, ma alla fin fine sempre in un modo o nell’altro arrivavo sempre a te.
si, è una cosa abbastanza tossica lo riconosco, non dovrei nemmeno star qua a perdere ancora tempo che non spero più in nulla e non ti chiedo nulla in cambio, ma ne sento davvero il bisogno.
non ne ho nemmeno io la più pallida idea del come son riuscita a prendermi così di qualcuno, son sempre stata acida con i ragazzi e facevo la “figa di legno” come al solito, ma come te sia riuscito a non fare la loro fine non so, non riesco davvero a spiegarmelo.
fidati che son stata davvero troppo male quando a febbraio mi hai scaricata senza dirmi nulla, non nego che son stata davvero a penare sta cosa per un botto di mesi, non riuscivo nemmeno a capire che avesse lucrezia meglio di me che hai scelto lei, non importa questo dai l’importante è che tu sia stato felice con lei e che sia riuscita a darti quello che io non sarei mai riuscita.
ho provato mille volte a smettere di pensarti e passarci oltre e non c’è la facevo proprio, mi riducevo sempre alla fine a piangermi addosso come una stupida perché son così fragile a pensare a quel che c’è stato tra noi.
mi son posta tante domande sul perché è successo tutto questo e come abbia fatto a farmi trasportare così tanto da questo casino.
lo so, per te probabilmente non sarà stato nulla di che quello che è successo, sarò stata una delle tante con cui hai voluto divertirti un po’ e avere come seconda scelta, ma fidati che a me hai preso troppo e non son riuscita a vivere tutto questo con la leggerezza con cui la fai te davvero, son stata troppe volte a piangere per te sentendomi sbagliata per come sono anche andate a finire le cose.
hai ragione, non mi hai illuso, son stata io a illudermi pensando che sarebbe andato tutto bene tra noi e ho ripercorso tutto su di te mi spiace.
sono una persona troppo fragile che ne ha passate tante di cose brutte e ho avuto vari problemi per cui son stata anche in ospedale, non sono pazza o altro, solo che soffro di depressione da anni, tutto qui.
nonostante la “””tossicità””” son riuscita a godermi tutti i pochi momenti che ti ho avuto affianco senza buttarti addosso roba mia e varie paranoie, almeno ci provavo poi non so, perché davvero ero felice quando ti avevo intorno e stavo bene in quei momenti, anche solo quando ci scrivevamo in chat.
la cosa che ci siamo usati per sesso alla fin fine non mi ha fatto male, ovviamente non avrei mai pensato che sarei arrivata a sto punto con te, però sarei stata davvero felice a prescindere quando ero con te indipendentemente dalla situazione, quella faccenda è solo una cosa in più.
son riuscita a perdonarmi tutte le volte che mi buttavi merda addosso nonostante non lo tollero a nessun altro, perché davvero ci tenevo e tutt’ora tengo troppo a te indipendentemente dal resto.
quasi tutti mi dicevano “lascia stare, è un puttaniere”, “ti farà davvero male”, “non gli interessa nulla a lui di te, arrenditi” e cazzate varie, pochi mi hanno sostenuto davvero su questo caso anche se le persone più care a me dicevano ste stronzate, volevo dimostrargli che non era vero nonostante alla fine è stato così in parte.
son davvero dispiaciuta che ho fallito in tutto e non son riuscita a smentire ciò che dicevano gli altri e stare serena con me stessa e fidati che non ti auguro che tu passi ciò che ho passato io con te con nessun’altra ragazza perché ho...si, sofferto molto e anche ora ci penso spesso.
avrei voluto che sia andata bene fin dall’inizio così non avrei fatto ricadute e magari sarebbe andata diversamente anche per te senza che tu abbia non so che pregiudizi nei miei confronti, fidati che se non ti fossi arreso così per quel poco che mi conoscevi non sarebbe finita in questo modo.
ti sembrerò esagerata lo so benissimo, ma finché non passi una situazione del genere non so quanto tu possa capirmi.
ora son qua a londra, non c’è nulla da fare più ormai ma meglio così, non credo che se sarebbe andata diversamente tu saresti stato felice assieme a me, sono una 2005 infondo no? una bambina per quelli più grandi che non vuole nulla di serio.
non so nemmeno come avrei potuto salutarti prima di partire senza che io scoppiassi, meglio che sia andata a finire così.
lo so di non essere la classica ragazza che tutti vorrebbero avere al proprio fianco che si pone tutta bella e gentile, ma nonostante i miei difetti sarei stata disposta a tutto per essere la persona che volevi al tuo fianco perché io non mi sarei permessa di perderti a differenza di altre ma non so nemmeno spiegarti come e perché.
non ti ho mai odiato anche se avrei avuto i motivi, ho sempre continuato a pensare che c’è l’avrei fatta.
mi ha portato un calo di autostima in molti sensi ciò che c’è stato nel passato che si è fatto notare molto.
io spero che almeno ciò che c’è stato non sia solo una cosa a caso perché io ci ho messo tanto anche se te non hai visto, ma ho anche davvero sofferto.
già mi hai dimenticata me lo sento, non pretendo nulla da te ripeto, se non sei stato bene non ci posso far nulla se non accettare la cosa, però ogni volta che mi arriva una tua notifica anche dopo ore mi fa sorridere sempre, apprezzo ogni piccolo momento che mi concedi.
ora come ora fidati che molte cose successe le ho superate nel modo o nell’altro, il passato rimane lì, ora mi concentro sul presente.
ti ricordi quella volta che ero in centro con sara e ci siam visti? sai perché piangevo? ero davvero felice di averti rivisto ma odiavo il fatto di vederti così indifferente, poi dopo che ho saputo che avresti lasciato roberto roca provarci è stato anche quello un colpo basso.
tutt’ora provo davvero dei sentimenti per te, ma ora che son lontana riesco un po’ più a rassegnarmi.
non ci tengo per nulla che sta cosa che provo per te influenzi il nostro rapporto, però dovevo troppo dirtela per stare anche bene con me e non mi importa di quello che poi tu deciderai, non hai molta scelta se non capirmi ,sempre se vuoi apprezzare.
tu hai fatto riscoprire la ariel fragile che non vedevo da troppo e dopo questa occasione non ne ho più avuto modo.
non pensare di aver avuto un impatto negativo nella mia vita, son felice di averti conosciuto.
beh, direi che ho scritto anche troppo ed è una cosa che faccio ogni morte di papa soprattutto rendendomi così vulnerabile.
ripeto, io spero che tu non ti allontani da me pensando male o cose simili, se lo vuoi fare sei libero di farlo senza problemi tanto son abituata dopo tutte le volte che ci son state, so anche che se leggi tutto questo ti sembrerò un mostro o altro, ma ci ho messo davvero tutta me a scrivere anche se non ho detto tutto.
ogni scelta tua nei miei confronti la comprenderò, non pretendo nulla.
qualsiasi sarà la tua scelta o risposta, ti appoggio. ariel
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itslexkno-w-x · 3 years
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𝙸𝙸 𝚊𝚗𝚗𝚘, "𝘚𝘤𝘶𝘴𝘢"
Lex: Dopo la giornata di ieri ad Alexa non basta di certo isolarsi in giardino o in qualche altro angolo del castello per poter rimanere un attimo sola a riflettere: Hogwarts è decisamente troppo affollata ovunque tu vada. E` per questo che, uscita dal castello, si è diretta verso il suo più grande nemico: il Platano, che in effetti non fa più poi tanta paura quando riesci a bloccarne i rami.[...] Nell`ispezione dei dintorni aguzza gli occhietti da dietro gli occhiali, ed è abbastanza sicura che lo zaino che si trova davanti a lei, no, non appartiene di certo al mobilio della stamberga. Ed infatti, le basta spostare di poco lo sguardo per ritrovarsi un Sebastian apparentemente appisolato. Rischia di prenderselo davvero quel pugno in faccia se si sveglia? Forse, ma non ha idee su dove altro andare e, tentando di non fare troppo rumore -per quanto le calzature di gomma possano permetterglielo- adocchia la parete di fronte, e ci si va a sedere vicino ugualmente.
Seb: E` una sfortuna per Alexa che abbia quelle scarpe così rumorose e che l`orecchio di Seb sia un poco più sensibile rispetto ad uno normale, riuscendo a sentire rumori anche ad una distanza considerabile, i quali gli fanno aprire gli occhi ed irrigidire leggermente, con lo sguardo che vaga qua e là [...] la testa si solleva nuovamente, le palpebre si rialzano e gli occhi vanno a mettere a fuoco quella figura fin troppo famigliare che riconosce come «Knox» se l`era scordato probabilmente, che anche lei sapesse di questo posticino. Niente commenti o che, espressione e tono impassibili, se non per quella nota di fastidio che solo l`esistenza della Knox gli provoca.
Lex: «ah, ti ho svegliato» e dal tono sembra che quella frase dovrebbe concludersi con uno "scusa" che però non viene aggiunto. [...] Per qualche secondo lo osserva da dietro le lenti spesse, come stesse cercando di capire se ha intenzione di far finta di nulla, o come se temesse in uno scatto improvviso a portare a termine la litigata inconclusa di qualche tempo prima. [...] «non devo certo chiederti il permesso di stare qui, ma...» [...] «posso starci e tornare tutta intera al castello?» il tono potrebbe sembrare leggermente una presa in giro, ma quel pugno mancato ce l`ha ancora impresso nella memoria
Seb: [...] «non stavo dormendo» puntualizza completamente a caso, il tono della voce completamente apatico mentre lo sguardo non viene distolto nemmeno per un attimo dalla figura altrui, che viene percorsa dall`alto al basso per un paio di volte. Vuole metterla in soggezione, sì [...] quell`accenno di ghigno divertito che gli si dipinge sul volto mentre la ascolta, un lato della bocca che quasi si solleva «uhm» sembra pensarci un po` più del dovuto, arricciando il labbro e distogliendo un attimo lo sguardo per poi finire a fare un`alzatina di spalle e tornare su di lei «beh, potrei farlo, sì» ma dietro a quella finta serietà è chiaro che si stia divertendo solo per averle fatto venire il dubbio.
Lex: [...] «Bene» quando finalmente si decide a darle una risposta «se cambi idea fammi sapere, che magari faccio in tempo ad infilarmi lì» accennando con un cenno della testa all`entrata del passaggio. A questo punto distoglie lo sguardo, portandolo al libro che ha appoggiato addosso, ma si ritrova a leggere le prime tre parole, per tre o quattro volte, senza capirne il significato, sentendo lo sguardo dell`altro puntato su di sè. Alza dinuovo lo sguardo e rotea gli occhi: no, così decisamente non si concentra. Chiude il libro con molta poca delicatezza, che si esaurisce in un tonfo, e la destra che cercava il catalizzatore esce dalla tracolla cacciandone invece due api frizzole, strette nel pugno. Una viene lanciata con poca attenzione verso l`altra parete, in direzione del compagno
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«un`ape frizzola per la mia faccia, a me sembra un buon affare» dice mentre apre la confezione della sua, e poi se la infila in bocca, un po` in dubbio che l`altro, in effetti, possa accettare quel gesto di semi-pace che non è dettato da altro che dai sensi di colpa
Seb: [...] E sì, lui la guarda anche mentre quella legge, aspettando probabilmente che torni l`attenzione su di lui: ma non voleva stare da solo? E si guadagna pure un`ape frizzola, nascondendo bene quella sua sorpresa andando ad adocchiare la caramellina alla quale non si avvicina minimamente, semplicemente la fissa un po` più pensieroso [...]
Lex: [...] ma quando le ricapita di essere nello stesso posto, da sola, con MacNamara senza scannarsi? «Comunque scusa» aggiunge totalmente dal nulla [...] il tono è fermo e parecchio serio, e gli occhi puntati in quelli del compagno, un po` timorosi. Non aggiunge la motivazione di quelle scuse improvvise, essendo abbastanza sicura che possa essere colta al volo.
Seb: [...] lei decide - senza alcune preavviso - di scusarsi, facendogli immediatamente mutare espressione. Va a serrare le labbra rimanendo con lo sguardo su di lei per un «mh» molto più serio ora, gli occhi leggermente assottigliati con quella rabbia che comunque riesce a reprimere «non me ne faccio niente delle tue scuse» che poi a lui non interessa molto dell`insulto, e il tono è comunque pacato «me li recuperi tu i 10 punti che ho perso?» il tono scettico e un sopracciglio che va ad alzarsi «per colpa tua.» ecco, specifichiamolo.
Lex: [...] La reazione alle scuse se l`aspettava diversa. Di certo non si aspettava perdono o chissà che, ma anzi, è proprio quel tono pacato a confonderla «non credo che da regolamento si possano regalare» scrolla le spalle mentre dice quella cosa talmente ovvia «altrimenti lo farei» forse «e non è colpa mia. Potevi benissimo continuare ad insultarmi come fai sempre» marcando particolarmente l`ultima parola «e non li avresti persi, quei dieci punti». 
Seb: [...] arrivano quelle scuse e poi l`incolparsi a vicenda «io non ho detto nulla» che poi è pure possibile, che lui abbia rimosso come sia andata realmente «e tu non dovevi dire certe cose.» occhiata eloquente, che si sa cosa intende con quel "certe" «la prossima volta Clancy o chiunque altro non mi fermerà» molto meno pacato ora, una vera e propria minaccia, la mascella che va ad irrigidirsi; però vabbè, sorvola su ciò e decide di approfittare della situazione e di questa figlia di Tosca «d`ora in poi mi devi far copiare» manco sa se Alexa sia brava o meno, ma comunque non può essere peggio di lui (?) «storia della magia e astronomia. Fai i tuoi compiti e poi me li passi» rimanendo con lo sguardo su di lei, in chiara attesa di un sì - dovrà pur farsi perdonare in qualche modo. [...] fa per andarsene, compiendo quei passi che lo separano dalla botola per fermarsi qualche secondo «aspetto i compiti eh» lanciandole un`occhiata «ciao» e ti lascia pure da sola, cosa vuoi di più?
Lex: [...] «tu hai detto eccome» gli conferma «e io semplicemente non ci ho pensato, me ne ero dimenticata» perchè sì, sarà stata anche cattiva, ma di certo il primo dei suoi pensieri quando si alza la mattina non è la situazione familiare di un MacNamara con cui non vorrebbe neanche condividere l`aria che respira. [...] «I compiti?» chiede confusa «poi se se ne accorgono che hai copiato, te la vedi tu, però» e così sta impilcitamente accettando quella specie di accordo di pace «e poi, sempre se li faccio» come se non stesse con la testa sempre infilata nei libri. [...] «Contaci» risponde riguardo ai compiti, e al saluto risponde semplicemente con un cenno della manina.
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veronica-nardi · 4 years
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Man to man
La serie dei travestimenti e delle garanzie
Voglio essere breve e veloce sul commento di questa serie, anche perché tra poco mi toccherà scriverne un altro su When the camellia blooms. Ultimamente non faccio altro che scrivere commenti.
Innanzitutto, sono molto offesa perché ho iniziato a vedere questo drama SOLAMENTE per la presenza di Song Joong-ki, presenza che ha avuto la grazia di mostrarsi al nono episodio, per un minuto e mezzo forse, nelle vesti di un banchiere.
Song Joong-ki che interpreta un banchiere non è oggettivamente credibile.
Me:
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Ma a parte questo, preferisco fare una lista di quello che mi è e non mi è piaciuto, perché mi trovo meglio.
COSE CHE MI SONO PIACIUTE:
I personaggi secondari
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Ebbene sì, il lead e la lead non sono riusciti a conquistarmi, mentre mi hanno convinta molto di più personaggi come il procuratore Lee, l'uomo dei travestimenti, e il signor Jang (ma questo attore sa fare altro oltre al poliziotto?), i miei preferiti della serie.
Pensavo fossero dei semplici personaggi di contorno che sarebbero comparsi qua e là, invece si sono rivelati più importanti di quello che credevo. Entrambi sono caratterizzati molto bene, sono stati divertenti e commoventi allo stesso tempo.
Per me, la vera bromance di questa serie sono loro, e nessuno potrà farmi cambiare idea.
Carino anche l'Agente Fantasma traditore del NIS, un personaggio a cui hanno dato uno spazio che non mi aspettavo e che mi è piaciuto molto.
Il rapporto tra Do Ha e l'attore.
Mi è piaciuta molto la loro l'amicizia e come si sono conosciuti: entrambi due sopravvissuti a delle tragedie, si sono salvati e aiutati a vicenda.
Si adorano e sono protettivi l'uno con l'altra, ma il loro rapporto non è mai passato a una fase romantica, è sempre rimasta una bellissima amicizia, e questa cosa mi è piaciuta un sacco.
Il signor Mo e Mi Eun.
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So che il signor Mo dovrebbe essere uno dei cattivi di questa serie, ma ad essere sincera non sono mai riuscita a odiarlo o a strapparmi le mani nella speranza che venisse incastrato come si fa di solito coi villain.
Alla fine non sembra nemmeno un vero e proprio villain, di quelli cattivi fino al midollo.
Ad essere sincera, mi è dispiaciuto un po' per lui e credo sia il personaggio della serie per cui ho empatizzato di più. Non riesco nemmeno io a capire il perché. Forse perché non l'ho mai visto con i miei occhi fare qualcosa di cattivo? Voglio dire, quest'uomo ha passato il 90% del tempo seduto sul divano del suo studio a chiacchierare e complottare XD.
Alla fine mi è dispiaciuto vederlo distrutto dietro le sbarre. È la giusta punizione, così come è giusto dire che è un uomo che è stato ingannato e manipolato per anni (il signor Mo è la vera vittima di questa serie), e credo che questa sia la cosa che lo abbia distrutto di più.
Di Mi Eun mi ha colpito l'immenso sacrificio che ha deciso di compiere come Agente Fantasma per il bene della missione. Il signor Mo sarà stato sedotto e ingannato, ma lei ha dovuto sacrificare tutta la sua vita per un bene più grande.
Ma ora chi lo spiega al bambino che la madre si è sposata col padre con l'inganno e che per otto anni è stata un'Agente Fantasma sotto copertura?
Traumatizzato a vita.
Yeo Woon Gwang.
Lo salvo per il rotto della cuffia, solo perché è un personaggio caratterizzato bene e sfaccettato, che mi ha fatto tanto sorridere ma che si è anche rivelato più profondo di quello che credevo.
Ma secondo me meritava di più di passare 5/6 episodi a spolverare due statuette di legno con il senso della sua esistenza buttato nel cesso.
COSE CHE NON MI SONO PIACIUTE:
Il protagonista
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Non è che mi abbia fatto cagare. È solo che secondo me è stato sfruttato male e non è stato approfondito abbastanza. Tutto quello che sappiamo di lui è che fa l'Agente Fantasma. Riguardo la sua infanzia, la sua famiglia, o il perché abbia deciso di fare questo lavoro, nulla si sa.
Oggettivamente, quest'uomo vive una vita difficile e triste, sempre in pericolo, sempre in viaggio, ogni volta con un'identità diversa. Non ha radici, non ha una casa, non ha stabilità. Ma questo punto non viene affrontato con la profondità che speravo, ed è un peccato.
L'unica cosa buona che poteva avere era un'evoluzione che lo portasse ad abbandonare questa vita per mettere radici da qualche parte, ma non gli ho mai creduto fino in fondo quando diceva di volerlo fare, e infatti...
Un'altra cosa che non mi è piaciuta di lui è quanto sia stato over power.
La storia d'amore
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Stendiamo un velo pietoso. A parte il fatto che non si capisce bene come si siano innamorati, la loro love story sembra scollegata alla trama principale orizzontale, tanto che a una certa ho avuto l'impressione di star guardando due serie differenti.
Non mi sono poi piaciuti i loro dialoghi, che ho trovato poco profondi ma più confezionati da frasi fatte e tipiche da film.
Inoltre ho trovato la loro storia abbastanza ripetitiva e poco coinvolgente.
La struttura della serie.
Mi aspettavo una cosa più seria, ma non è questo il problema. La serie è del genere comedy-spia, tipo Ocean's eleven, ma a mio parere i due generi non sono stati fusi per bene, sembra di vedere due cose distinte, due storyline nella stessa serie.
Inoltre la trama, quella vera e propria, è un po' incasinata e spesso poco chiara, incapace di dare risposta a tutte le domande, e povera di colpi di scena, ma ammetto che si risolleva abbastanza negli ultimi episodi @dilebe06
La bromance principale
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Sono delusa. Pensavo che Man to man mi avrebbe regalato un'altra bellissima bromance da inserire nella mia lista delle più belle dell'anno, ma la verità è che non mi ha soddisfatta.
Per carità, è carina e ci sono scenette molto divertenti, ma di questa bromance io ho avuto due impressioni: che l'attore fosse molto più investito nel rapporto rispetto al bodyguard, e che la relazione non sia mai stata approfondita come si deve.
Oddio, non è ai livelli della "bromance" di My Country perché lì i protagonisti si sono infilzati a vicenda per quindici episodi per poi morire abbracciati nell'ultimo, ma secondo me questa bromance poteva dare molto, molto di più.
Per il resto, a livello tecnico Man to man è fatta molto bene, talmente bene che la tecnologia messa in scena sembra fantascienza. Belle le scenografie. Carine le ost, anche se abbastanza ripetitive.
Punteggio: 6.8
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sad-melted-soul · 3 years
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Scrivo qua perché stasera non ho a chi dirlo
penso di averla gestita molto bene, anche se per certi aspetti mi sento una cogliona
una cogliona perché comunque io ho fatto un ennesimo passo indietro, sto scendendo domani e sto mettendo “al primo posto” questa situazione
Sto imparando che non ci sono cose giuste o sbagliate. Che “giusto” o “sbagliato” è soggettivo e dipende solo da noi e dal momento
forse non avrei dovuto cercarti, aspettare che tu mandassi un messaggio e ripeterti quanto male mi hai fatto
Ma ti ho cercata di nuovo io, ho cercato forse un piccolo punto di contatto
e mi fa seccare, mi fa restare senza parole il fatto che a te sembri non importi molto, anche se dici il contrario, dicendo di voler fare pace, dicendo che ti spiace, poi dici che pensi a me e che provi qualcosa per me
ho fatto un passo indietro ma anche un enorme passo avanti
Il rancore non serve a nulla, serve piuttosto chiudere il cerchio.
Mi da anche fastidio come ne parli “la carne è carne” o “è successo “
No, non è successo, hai scelto tu.
Capisco l’attrazione fisica capisco tutto, ma allora forse sei più complessata tu che io.
prima mi dici che eravate organizzate, poi mi dici che è “successo, perché la carne è carne” è una frase schifosa davvero.
Se prima avevo il dubbio di buttarmi con te ora non lo ho più.
Non voglio buttarmi con te, quanto meno ora e sono anche sicura del fatto che sta volta sarò io ad allontanarmi e a non parlarti come prima e questo perché ne penso mi vada nè è corretto nei miei confronti.
Forse pensi di giocare. Anzi hai detto di giocare, hai detto di giocare con lei, ma penso tu stia giocando anche con me
perché se il tuo interesse e la tua attrazione erano davvero forti ti sarebbe passata l’attrazione e la voglia di scoparti quella mentre io come una cogliona aspettavo una tua buonanotte e tu tranquilla che te la scopavi, e mi vieni pure a dire che pensavi a me.
Ora io non so più a cosa credere, non ti credo, non del tutto almeno.
Non pensare che domani scendo per fare pace con te, se deve accadere non accade così, poi che tu voglia aspettare o meno sono fatti tuoi. Ma non pensare che domani scendo, mi abbracci mi guardi e facciamo pace, non te lo permetterò.
E non te lo permetterò perché mi sto volendo bene e sono stanca di sentirmi una stupida cogliona sempre sbagliata. Avrò fatto i miei errori ma non meritavo questa cosa, non meritavo e non merito e non meriterò mai di essere presa per il culo così.
Stai uscendo questa cosa del “sto lavorando su una parte del mio carattere” quando mi hai fatta sentire una cogliona quando ti dicevo che io davvero ci sto lavorando e che davvero sto crescendo e che sto meglio. Dici di non volerti giustificare ma sembra così.
per il rispetto che devo a me stessa domani non ti permetterò di prendermi ancora in giro, non importa come finisce, ma questa volta basta. E se necessario me lo ripeterò all’infinito prima di salire da te.
Penso di aver impiegato troppa testa, tempo, energia e sonno buttato per questa cosa e per te. E sono davvero stanca.
L’aspetto positivo? Sono contenta di come sto gestendo questa cosa, so di poter fare meglio ma sono contenta. Mi sono sentita libera ieri sera. Ferita, delusa, senza parole e un pò arrabbiata o forse è rancore bho ma, libera. Penso tu mi abbia dato la risposta, ovvero che io e te non possiamo stare insieme o che comunque io ora non lo voglio come prima. Mi sono sentita libera, forte ed al tempo stesso vuota, ferita e con il fuoco negli occhi.
E comunque sempre meglio prima che dopo no?
devo dirmi brava stasera. Perché mi sento un pó più grande ed anche un pó meglio e questo penso vada benissimo.
25 Aprile 2021 23:13
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ribbit-darthvalz · 4 years
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Polvere viola
“Mi chiedo come sia sopravvissuta... è sicuramente una strega... non ho altre spiegazioni altrimenti.” “...aiutami, mettiamola sul tavolo” Una folata d’aria gelida, mi trapassò da fianco a fianco, sentii mani calde sollevarmi, con una rigidità e una cura quasi religiose. Poi il legno del tavolo, mi bruciava, delle parti di me bruciavano con un intensità tale da farmi gridare. Anche gridare era doloroso, sentivo le corde vocali stridere, come se le stessi portando allo stremo, c’era come della ruggine nella mia gola. Un sapore disgustoso e terribile mi raggiunse la lingua, era sangue, ed era lì da un po’, come se non avessi respirato o deglutito. Il fuoco tornò a riempirmi i pensieri, sentivo le fiamme avvolgermi la gamba e forse anche il braccio destro, forse era la schiena. Aprire gli occhi mi costò altre urla, poiché la poca luce che c’era, mi fece aggrottare la fronte e percepii delle cicatrici, o forse croste, sul viso che venne tirato di conseguenza. Ma niente era come il fuoco che sentivo sul corpo.  Potevo vedere benissimo il cielo, era notte, le stelle iniziavano a comparire sopra di me, non feci troppo caso alla neve sulle cime degli alberi, o attorno a quelli che erano i resti di un camino e le assi di legno che una volta componevano le pareti della casa. Era buio, freddo, ma bellissimo, quando realizzai che poteva essere inverno, mi forzai di non sentire il fuoco che mi avvolgeva. Di fatto poco dopo sparì. 
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“Ci dispiace signorina, non abbiamo potuto fare niente...” La voce di prima mi sorprese, ma non riuscivo a muovere il collo, una forte fitta alla schiena me lo impediva, ora sentivo quel maledetto braccio destro, pesante, stanco, non morto, ma nemmeno felice di muoversi, e il collo con lui.
 “Oh dio, scusa... ecco sono qui. Non puoi vedermi se sto di qua...”
Sentii dei passi prima dietro, cioè all’altezza della mia testa, poi al fianco e in fine un’ombra sovrastò il viso, senza però coprire il cielo. Era un ragazzo dalla faccia simpatica, sembrava il tipico eroe puro e un po’ ingenuo. Faccia da brava persona, naso di una certa importanza, barba media e curata, i capelli corti ma non troppo da essere radi. Evidentemente lo stavo guardando con troppa insistenza, tanto che sgranò gli occhi esclamando “Ti prego, sta calma, non siamo qui per farti del male... giuro”
“Se avessi voluto farmi del male, adesso ...” Mi bloccai a metà, la mia voce era diversa, la cosa mi fece raggelare. Vidi esitazione nel suo volto, scrutò una parte della casa che era fuori dal mio campo visivo, era in difficoltà, provai pena per lui. Ero così stanca da non riuscirmi a preoccupare per me stessa. Provai a richiamare la sua attenzione muovendo una mano nella sua direzione, afferrargli il giaccone di pelliccia era l’intento, nella realtà si accorse di me perché iniziai a soffrire come un cane. Inspirò profondamente. Mi guardò, provai ancora dispiacere per lui, chissà chi era e che incontro crudele doveva essere stato questo.  “... Siamo a fine Novembre. Ti abbiamo trovata questo pomeriggio, non sappiamo da quanto tempo tu sia qui, come vedi ha nevicato e questa baracca è andata distrutta dopo solo Dio sa cosa.” Si fece un po’ più indietro, si spostò appoggiandosi al tavolo, in modo che potessi vederlo bene. 
“Sono quello che chiameresti babbano o no-mag, non magico. Però mi occupo di occulto, sai chi vive su questi monti è molto abituato ad avere a che fare con cose strane... pensiamo che tu sia entrata in contatto con quello che molti chiamano baubau, o uomo nero, insomma hai sicuramente sentito parlare di questa leggenda.”  Ci fu una sferzata d’aria gelida, socchiuse gli occhi infastidito, io rimasi muta ed immobile. La porta, o qualcosa fatto di legno, sbatté lontano da entrambi, successivamente sentii dei passi, più pesanti e affrettati.  “Ah... finalmente sei tornato... bravo accendi il fuoco, ne abbiamo bisogno” “... e lei... è sveglia? dovrebbe esserlo dai, ho fatto tutto quello che ho potuto per ...insomma scongelarla... o qualsiasi cosa abbia fatto a se stessa” 
La voce del secondo uomo aveva un accento molto diverso da quello vicino a me. Mentre parlava, lo sentivo fuori campo che spezzava legna e l’accatastava non poco lontano da dov’eravamo. 
“Sì Sandro, è sveglia... però le stavo raccontando una cosa un po’ seria. Tu finisci con il fuoco e io col racconto...” La stizza del ragazzo mi fece divertire. Colui che rispondeva al nome di Sandro, rispose facendo una serie di rumori infantili, tipo “gne gne” 
“Scu-scusami... volevo essere serio e darti una risposta credibile, che ti lasciasse tranquilla, mi dispiace.” si sfregò le mani per scaldarsi. Solo allora notai che le sue labbra si erano inscurite e tremava tantissimo “Mi ricollego a quello che ha detto il mio collega... ti abbiamo trovata in questa catapecchia ed era come se il tuo corpo si fosse congelato, o boh, fatto sta che il cuore non era fermo fermo, era solo... lento... credo”  Guardò verso il compare e una luce gialla e calda gli illuminò il viso. Sentii un leggero caldo pure io, quasi impercettibile.  “Penso che tu lo sappia, in Italia la magia è cosa più comune di quanto non si dica. Ci sono tipi di magie, attività magiche... sì, diciamo così... che possono essere tramandate o imparate. Sandro ha provato a scongelarti o insomma... farti tornarne qui, con le tecniche che ha imparato dalla sua famiglia. Ha usato una pozione, diciamo...”  Una mezza risata si levò dal centro della stanza.  “... da quando le pozioni si danno nel costato tipo pulp fiction ... “ La cosa mi sorprese, ma evidentemente non sapevano come darmi quella roba che mi aveva riportata vigile.  “Eh sì insomma... fatto sta che hai tantissime ferite ed evidentemente sei rimasta in quello stato per diverso tempo, te ne sarai accorta dallo sforzo che hai fatto nel provare a parlare o anche solo urlando. Sfortunatamente sei finita in un postaccio, non so dove stessi andando... anzi, temo di saperlo, ma penso anche che tu non abbia vissuto niente di reale negli ultimi mesi... almeno le poche cose che ricordi, non credo siano vere...”  “Ma scusa, falle vedere il volantino che ho trovato, no!?”  Il ragazzo si illuminò e un po’ parve confuso, rovistò in una delle tasche interne del giaccone e mi mostrò una pergamena di scomparsa.  “Già... è del tuo mondo.” vedere la mia foto dell’ultimo anno di scuola, che si muoveva, ad un palmo da me, mentre io nemmeno riuscivo a parlare, mi fece lacrimare silenziosamente. 
“è di questa estate... il ministero ha contattato ehm.. beh, siamo tipo dei ranger, cioè definirci maghi sarebbe troppo... insomma ha contattato noi esperti del luogo e di queste creature, poco dopo la tua scomparsa...” 
“La parola giusta sarebbe, coglioni che non si fanno i cazzi propri e vanno a rovinare la festa a casa del Baubau... ma meglio di no, qui sono superstiziosi nel pronunciare quel nome” Sandro si intromise e sentii la sua voce farsi più vicina, per poi fermarsi al lato opposto del tavolo. Prese l’unica sedia che c’era e si sedette come se niente fosse.
“Quindi... è iniziato dopo il diploma... mi ha presa prima che iniziassi...” provai a dire due parole, la gola raschiava meno e forse il mio corpo bruciava meno, il braccio mi pesava così tanto che non riuscii a concentrarmi a dovere.
“Il tirocinio, iniziassi il tirocinio, già. Le ricerche sono partite dal ministero, poi si sono spostate nella sezione del nord, questa qua, dove saresti dovuta arrivare tu. Veniamo da quelle zone, la comunità magica e non magica vivono a stretto contatto, c’era un gran vociare sulla sconfitta di quel mago cattivo e sull’arrivo di qualcuno dell’accademia di magia. Una sparizione così, per una persona tanto attesa, ha fatto pensare al peggio subito...” Il ragazzo mi parve più rilassato, sicuramente meno infreddolito. 
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Sandro si intromise, aveva un tono tranquillo ma sicuro non andava preso alla leggera. “Poi non ti abbiamo trovata subito, perché il bau-bau è un gran burlone e nasconde tutto a tutti. Un po’ brutto come primo incontro con un criptide. Ogni cosa può essere piegata alla sua volontà e le leggi della magia moderna, non funzionano con lui. Ti spiego, per contrastarlo, anche solo in cose minori, come piccole manipolazioni della realtà, siamo dovuti ricorrere ai libri di sua nonna...” La risata stavolta non venne da Sandro “non mi ci far pensare... una volta i rituali, anche solo i sigilli, venivano tramandati in modo segreto. Ho dovuto leggere appunti su appunti su come fare la polenta, e tutti i tipi di polenta esistenti all’epoca, per estrapolare qualche informazione sui sigilli di protezione e su come una volta si riparavano da questa minaccia...” Il suo viso tornò a farsi scuro. “Certo Vale, abbiamo avvertito i soccorsi e presto una squadra del ministero sarà qui...mi dispiace se provi tanta paura... lo so”
Sandro batté una mano sul tavolo “Non la toccare! ah-ha! Sai che non puoi usare i poteri su di lei, non sappiamo se una traccia del nostro amicone è ancora dentro di lei... potrebbe farti sentire o vedere cose che non sono mai esistite...” Si sporse e lo vidi in viso per la prima volta, una facciotta rotonda, allegra e resa ancor più gioviale dalle guance rese rosse dal freddo, ma le sopracciglia erano aggrottate in un’espressione di preoccupazione e disappunto.  “Tu non le hai pensate quelle cose, vero. Non gli hai chiesto...” “No. Non so di cosa parla...” Dissi con un filo di voce.  Sandro continuò a parlarmi, lanciò uno sguardo al suo compare e in tono consolatorio disse “Vedi, il nostro caro amico Furio è nato con un potere a metà tra il tuo mondo e quello babbano. Peccato che il buon cuore lo renda terribilmente stupido!” Tuonò, più in senso amichevole, quasi per tirarlo su di morale stuzzicandolo che per rimproverarlo. “Può leggere nella mente delle persone e vedere i loro ricordi, ma solo se le tocca. Oltre a ciò riesce a percepire la paura delle creature, come dire, piccole... indifese, insomma tipo te ora”.
Furio rimase distante, guardava il fuoco, probabilmente. “Già. Io sono di queste zone. Non sai quante volte, da piccolo, sentivo cose che non potevo comprendere, bambini portati via da quel mostro terribile, sentivo la loro paura, anche se vivevo in città e non in questa foresta. La paura dei bambini per l’uomo nero... speravo di non sentirla più...” “Quindi, brutto cretino, sai anche che rischi corri se entri in contatto con una persona come lei, che le ha resistito.” ci fu una pausa “E tu non solo gli hai resistito... chissà come, hai trovato il suo libro. Sei l’unica che torna indietro con questo” Mi mise davanti agli occhi una sorta di giornalino pieno di macchie d’inchiostro. “Il libro dei cuori perduti, o dei cuori neri. Si dice che sia il mezzo con cui il Baubau si metta in contatto con le vittime, però poi sparisce con loro. Questo fatto è singolare, sicuramente aiuterà quelli del ministero a fare luce sulla faccenda...” “Ma puoi tenerlo... così...” Chiesi, un po’ sorpresa dalla semplicità con cui lo teneva in mano.  Solo allora mi accorsi che le sue mani erano completamente segnate di viola, c’erano dei disegni su ogni falange, sul dorso della mano e anche sui palmi. Evidentemente Furio notò la mia faccia incuriosita e sollevò un braccio, tirando su la manica della pelliccia.
 “Prima di entrare in questa foresta, ci siamo dovuti far segnare questi dalle vecchiette dell’ultimo villaggio vicino, quello mezzo magico. Usando le informazioni dei libri di mia nonna e la loro conoscenza. E come noi, anche le altre squadre di maghi, altrimenti saremo finiti tutti come te” Il suo braccio era pieno di rune a me sconosciute ed altri simboli intricati. 
“Poi io ne ho molti meno perché non ci credo a questo mostro farlocco, ah-ha. Che si palesi come fece l’uomofalena, quello sì che è un signore...” C’era una nota di fierezza nella voce di Sandro, ma anche tanta voglia di smorzare gli animi. Mi strappò una sincera risata “...l’uomo falena... il mio preferito..”  sussurrai esausta ma molto più presente a me stessa. Ormai quei due mi avevano incuriosita abbastanza da farmi sentire un po’ più al sicuro, quindi dentro di me si accesero altre necessità, necessità da persona viva e cosciente, dopo tanti mesi. Feci uno sforzo enorme ma con uno scatto che sembrò più uno spasmo, sfiorai una delle dita di Furio.  “Devo sapere... scusa” Sentii la mia energia rinvigorirsi, come un fiume che torna a sgorgare. Non era giusto intrufolarsi nella mente di una persona che aveva poca dimestichezza coi propri poteri, anche meno potente di me, dato che babbana, però parlare mi stancava davvero tanto, volevo sapere tutto sul Baubau. Appena lo toccai, sentii che la mia energia veniva come strappata, afferrata di forza da qualcos’altro, era la sua mente affamata di ricordi.
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Ero così arrabbiata... mi accorsi che ero arrabbiata, solo quando mi vidi riflessa nei pensieri di Furio.  Quella creatura teneva sotto scacco la foresta da secoli, c’era una zona nera, come il triangolo delle bermuda, in cui tutto svaniva, niente poteva giungervi e fare ritorno, la magia per spostarsi non funzionava, anche alcune bacchette davano problemi. Vidi un mare di alberi neri, diventare rossi sotto la luce del tramonto, poi fogli, inchiostro, un bambino che gioca nel giardino di una vecchia casa. Un’anziana lo tiene d’occhio mentre stende il bucato. Era tutto silenzioso e avvolto da un’aura stranamente pacifica. Non si muoveva una foglia, in quel pomeriggio, ma niente faceva pensare che fosse normale.
Una lunga ombra serpeggia sul prato ma il bambino non se ne accorge. Un fuoco altissimo, di colpo, con lingue blu e viola, si alzano dal prato a due passi dall’ombra che sta per schizzare fuori dall’erba, sta per farsi viva, ma non ci riesce.  “Tornerò a prenderlo... o lo farà la foresta per me...” Ulula la bestia, sgusciata fuori dalla sua tetra dimora, sfruttando l’ombra degli alberi, la giornata che va a morire. Una donna, rossa come il sole che la illumina, tiene stretto il bambino. “Vorrà dire che ogni cosa brucerà”  Anche l’anziana accorre e la donna gli porge il bambino che viene subito riportato in casa. Intravedo della polvere viola sulle imposte della vecchia casa, poi tutto diventa velocissimo e non posso controllarlo, posso solo guardare e stare in silenzio, aspettare il momento in cui vorrà mostrarmi qualcosa di rilevante, ancora.  Scatoloni, polvere, fogli, inchiostro, tanto inchiostro, giocattoli, sorrisi, una città, alberi che diventano palazzi, cielo azzurro e spensierato che diventa grigio e plumbeo. Tanti ragazzini, tanta solitudine, verifiche, errori, altre risate. Un viaggio, una ragazza, un anello. Poi nuovamente tanti alberi, il fumo di una casa di legno, un camino, della tecnologia babbana, tante persone allegre, diverse tra loro, ma sembrano stare bene insieme. Un villaggio pacifico e pieno di maghi, di colpo fogli, altri fogli, inchiostro. La mia foto. Il buio del bosco, quel prato dove l’ombra apparve, la veranda della nonna, ormai vuota. Polvere viola, sigilli, fuoco.  Un’auto, la mia auto, viene ripescata da un lago ormai ghiacciato. E’ mezza fuori, come nei film thriller. Il cuore quasi mi si ferma. Camminano nella foresta, tutto è estremamente pesante, fa freddo, sembra che il sole non sorga mai. Trovano la mia bacchetta vicino ad una roccia piatta, ha sopra dei simboli che non ho mai visto, che ci fa lì... non ci sono mai stata. La marcia continua, il sole sorge ma per pochissimo. Qualcosa li attacca, piccoli esserini neri, come gatti estremamente magri e spigolosi. Sandro gli tira contro delle ampolle, uno salta sul suo braccio ma appena tocca i sigilli, si polverizza.  Una scossa percorre Furio e la sento pure io, che sensazione terribile, come se qualcosa ti tirasse dai piedi e ti trascinasse sul fondo di un lago ghiacciato, come svegliarsi nel cuore della notte e vedere qualcuno sul proprio letto per poi scoprire che è solo un cumulo di vestiti da lavare.  Dopo poco il mio corpo. Mi viene da vomitare. “Smettetela adesso o vi taglio le mani!” Un clap mi riporta alla realtà, Sandro ha tirato uno schiaffo all’amico per interrompere il nostro collegamento, io vengo sbalzata fuori come se lo avesse tirato pure a me. 
“Signorina ce l’ho anche con te... non ti posso prendere a schiaffi solo perché sei a tanto così dalla morte”  Furio intanto scuote il capo e si lamenta “Potevi anche allontanarmi di peso, non importano gli schiaffi ora...”
“Ho come l’impressione che non sarebbe bastato, e poi te lo meriti, così impari a trascinare gli altri dentro di te... ti avevo detto di non farlo, o sbaglio!?”  Sandro è molto stizzito ma si capisce che la sua è sincera preoccupazione da amico più che altro. 
“Volevo solo che vedesse... è entrata e non..” mi lanciò un occhiata stanca e un po’ dispiaciuta “Non ho potuto fare a meno di usare la sua energia, i suoi poteri, per, per... non lo so” rimase distante da me, quasi a scusarsi.
“Visto!? Non sappiamo nemmeno come funzionano i tuoi poteri, almeno non fino in fondo. Poteva succedere qualsiasi cosa... vieni qui tu! Sta ferma mi raccomando!” Mentre Sandro rimproverava Furio, lo sentii mettermi un braccio su entrambe le cosce, per tenerle immobili. Estrasse qualcosa da una borsa che prima non avevo notato, simile a quelle vecchie di pelle, quelle dei dottori per intenderci. Subito dopo ci fu uno sparo. Urlai, o meglio, aprii la bocca cercando di far uscire un suono, ma non uscì niente poiché contrariamente a quanto mi aspettavo, non sentii alcun dolore.  “Smetterò di entrare nella testa delle persone o insomma, usare questi poteri a caso, quando TU smetterai di sparare le tue pozioni sulla gente SENZA AVVERTIRE!”  Sandro rise di gusto, con in mano quella che era una pistola ma che ai miei occhi stanchi sembrava boh, un paio di grosse forbici da dottore, o una cosa del genere. All’affermazione di Furio mi feci un po’ più preoccupata, sentii la tensione ma anche l’adrenalina che circolavano in ogni parte del mio corpo, percepivo il freddo pungente e la faccia non mi faceva così male, quel colpo mi aveva fatto sicuramente bene, la mia gamba non andava più a fuoco.
“Bene mia cara, ora non sentirai alcun dolore, per le prossime ore. Però non significa che tu sia guarita, ma almeno potrai riposare... ora ti do questo che dovrebbe aiutarti con la gola, poi penso a ripulirti le bende e ti sistemo un po’ per farti trasportare al meglio dai tuoi amici.” Prese una vecchia coperta e me la mise sotto la testa, riuscivo finalmente a vedermi i piedi senza nessuno sforzo, avrei preferito non vederli, ma almeno in quella posizione mi era più facile parlare con loro due e prendere la pozione, che sembrava più uno sciroppo per la tosse mescolato con la vodka, che mi passò Sandro poco dopo.  La gamba che sentivo in fiamme, aveva ogni ragione per esserlo. Riuscivo a vedere quello che penso fosse la mia rotula, mentre attorno la carne era rossa e viva come non mai, però Sandro riusciva a sdrammatizzare abbastanza mentre mi cambiava quella porzione di bende. Ero scalza, mi avevano trovata coi vestiti strappati e induriti da un mix di sangue e neve. Quando mi avevano messa sul tavolo, prima ero stata fasciata e cosparsa di unguenti, rimedi insomma, pseudo magici, poi avvolta in una sorta di lenzuolo con sopra una coperta termica. Le mie cose erano state ritrovate nella mia borsa, a pochi metri dal mio corpo. Anche se era territorio del Baubau, quei due erano così tranquilli, affiatati tra loro, e propensi a stuzzicarsi e prendersi in giro, che la mancanza di un soffitto per quella baracca nella foresta, era poca cosa. Sprigionavano calore familiare, accoglienza, sicurezza.  “E così il tuo ex ragazzo era un vampiro... che storia... non ero sicuro esistessero. Dev’essere stato terribile...” Mentre mi cambiava le bende, Sandro chiese a Furio di disegnarmi sulle braccia gli stessi simboli che avevano pure loro, quindi per tenermi sveglia iniziò a chiedermi cose sul mio vissuto. Il suo sciroppo magico alla vodka, dopo una prima fiammata alle corde vocali, sembrò ripulirle dal tempo e dal sangue in un istante. Quindi attaccai subito con la mia instancabile parlantina, un po’ per rimanere presente a me stessa, un po’ per esorcizzare le cose che mi aveva fatto vedere quella bestia. 
“Mh, pure della peggior specie. Non posso nemmeno impalarlo” sbuffai “Sapete, nel mondo magico i vampiri sono accettati, tanti si sanno contenere, ma tanti altri ancora sfruttano gli umani... come fossimo inferiori”
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“Il mondo è molto più complicato di come lo descrivono nei libri per ragazzi, eh vabbè” Sandro fece spallucce riferendosi alla famosissima serie di libri, che per tanti babbani sono pura fantasia. Sistemate le mie bende, rimise le sue cose nella borsa e si spostò verso il fuoco, ormai ero sicura fosse alle mie spalle, vedevo la sua luce proiettata in ciò che rimaneva del muro di legno, davanti a me. Furio stava ancora disegnando rune, così assorto che non parlava già da un po’. “Quindi, tua madre è una strega...” sussurrai, pensando alla donna coi capelli rossi, le fiamme blu e viola, su quel prato nei suoi ricordi.
 Alzò lo sguardo dal mio gomito e mi guardò come se non avesse capito bene ciò che avevo detto.  “Penso di sì...” sospirò e si guardò attorno un po’ incerto. “Non lo so, sono cresciuto in città, non ricordo bene come fosse qui quando ero piccolo... scusami, ho cercato di fartelo vedere per... non so, forse speravo che avresti potuto dirmelo tu.”  Erano passate ore, il cielo era più sereno, e mentre mi parlava pieno di incertezze, iniziammo a sentire rumori strani, come di pentole che vengono sbattute. Più si avvicinavano più suonavano familiari.  “Schiantesimi?!” borbottai, aggrottando la fronte, che iniziò a pizzicarmi per il freddo. “Beh la fuori è pieno di quei cosini scemi, qua non possono entrare, tranquilla, ma se i tuoi amici sanno come farli saltare in aria... beh, non mi metto a piangere, anzi”.  La risposta sarcastica di Sandro, mi distrasse completamente dalla conversazione che stavo avendo, e sentii il calore della salvezza, credo, invadermi il cuore. Più si avvicinavano, più gli incantesimi volavano, ma entrambi i miei compari, erano tranquilli e continuavano con le loro cose. Erano così vicini che vedevo i fasci verdi, azzurri e rossi, riflessi nelle finestre.  Sospirai profondamente. “E’ arrivata la cavalleria...” Furio accennò una risata.  “Coi fuochi d’artificio. In grande stile” Risposi sinceramente divertita, mi sentivo così piena di speranza, che quel duro tavolo di legno, divenne comodo come il letto di casa mia. Ero rilassata, dopo mesi e giorni passati al freddo, rattrappita dalla paura e dalla neve. Che splendida sensazione. 
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thesunatmidnight-91 · 4 years
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Stamani mi sono svegliata più presto del solito. <Ovviamente>
Comunque, ho messaggiato un po' con la mia migliore amica, e lei ad un certo punto mi chiede.
<Se dovresti dirmi 3 cose della tua vita , che ti hanno resa felice e lasciata col fiato sospeso quali sono?>
Sono partita col dire il PRIMO.
Praticamente avrò avuto tipo 13 anni e insieme a lei ci ospitarano a fare una gita in barca in mezzo al mare, arrivammo all'isola d'Elba, comunque fu davvero una delle cose più belle che abbia mai fatto in vita mia... E il fatto di tuffarsi dal trampolino nel bel mezzo del mare e raggiungere una profondità mai aspettata, fu seriamente adrenalina pura.
Poi sono passata al SECONDO.
Ovvero senza farla tanto lunga, ero felice quando giocavo e chiacchieravo con mio cugino perché si, all'epoca c'era tanta spensieratezza e facevamo finta di detestarci. Ma in realtà era un vero amore di cuginanza.
E la TERZA.
Non perché sia di meno importanza, ma appunto perché fa parte della mia vita.
È stato conoscere D. Sapevo bene, che si aspettava questa risposta. Anzi non aspettava altro, che questa conferma lol.
Perché come puntualmente dico è arrivato per caso, punto per cui non credevo a niente e il mondo intorno a me era completamente rivestito di cecità. Ma non cambierei una virgola di tutto quello accaduto. Perché se anche spesso e volentieri feriti. Ci siamo rialzati insieme, entrambi, e nonostante i mille danni, i mille ostacoli, siamo ancora qua.
Non cambierei LUI per nessun altro al mondo.
Nessuno capirebbe una storia simile. Son cose che sappiamo solo io e lui. Chi ci si è intromesso o non. Non potrebbe capire nemmeno un granello della nostra storia.
A nessuno serve la superficie dell'iceberg, come dico sempre. Nessuno conosce meglio me o meglio lui. Perché siamo una cosa sola.
Ho sempre detto se non fosse stato lì, sarebbe stato di sicuro da qualche altra parte. Ma sicuramente ti avrei incontrato anche altrove. Perché io ci credo in tutto ciò.
Hanno cercato fra tutti e tutte di distruggerci in svariato modo, oltre a tante altre cose.
Ma l'amore vive, e continuerà a vivere.
L'uno è la forza dell'altro.
E sono più che sicura che di te non cambierei una virgola.
Quindi si, cara amica mia. Questo è il tutto.
🖤
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Boom!
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01.09.2076
[...]
I: le tocca aprire la bocca e boccheggiare tipo cagnolino. Il tutto mentre il tappeto vibra, lei tossicchia e la cameriera li invita ad essere coraggiosi. Se fosse ancora viva tornerebbe a rivolgersi a Katrine. «Via Warren, sarò buona» sarà colpa del peperoncino. «Raccontaci la tua prima volta: dove, quando, come e con chi» un grande classico, no? Con tanto di ammicc al seguito e aggiunta finale. «E soprattutto...che cosa cambieresti?» Si sa, c`è sempre da cambiare qualcosa.
K: le iridi fissano Ilary in modo quasi glaciale, deglutisce per poi mordersi le labbra sembra quasi raggelare tutta la stanza, ma poi torna di botto «Un grifondoro di un`anno più grande di me, io ero al sesto anno..in una stanza abbandonata o in disuso del castello non ricordo precisamente quale delle due fosse o forse era abbandonata perché non più usata...insomma ero ubriaca perché non mi avevano preso per la coppa, o forse era perché Adam aveva pomiciato con un`altra... non ricordo» parla a macchinetta «insomma questo grifondoro del settimo anno campione tre maghi... sai quando si dice " ti do un dito e ti prendi il braccio..." beh lui ha preso tutto il pacchetto completo e fine..»pausa e un grosso respiro per poi aggiungere «Quella che ricordo bene, e che per me vale come prima, è invece stata qualche mese dopo con Adam, dopo avergli fatto un balletto di burlesque per il suo compleanno, mi ha portato a casa sua, nella casa sull`albero e anche li...mi sono presa tutto il pacchetto»ride, ride davvero.
BOOM, un’altra esplosione. E questa volta proprio in faccia a KATRINE. Il cocktail le inonda il volto, macchiandole tutta la parte frontale della maglia e gocciolandole lungo il corpo. Le goccioline negli occhi sono decisamente fastidiose per via del peperoncino. «Oh, non vale mentire.» sogghigna la cameriera, «Prego, di qua.» deve abbandonare il campo, «Può continuare a godersi le altre attrazioni, non vada via, mi raccomando.»
I: la reazione di Katrine non se la poteva immaginare perché no, ovviamente NON SA, ma dal modo in cui sgrana le iridi di riflesso si direbbe che abbia capito al volo. Deglutisce a vuoto «...» e non fa in tempo a partorire una battuta per sciogliere la tensione che lei prende parola, beccandosi uno sguardo confuso e due occhi sbarrati carichi di mortificazione. Che poi si fanno lucidi, mentre lei annuisce lentamente, tanto per farle capire che capisce. Oh, se capisce. «Credo di sapere cosa cambieresti, allora» un timido tentativo di sdrammatizzare, con una dolcezza tanto lieve che rischia di stonare coi toni accesi e vivaci di quel luna park. Quanto il sorriso acquoso e genuino che le incurva le labbra al secondo racconto. Allunga una manciata di zucchero in direzione di Kat «Lo sai che la mia prossima domanda si trasformerà in un obbligo, vero? MI DEVI UN BALLETTO DI BURLESQUE, WARREN!» Perché buttarla in caciara le sembra tanto la cosa migliore e speriamo che lo sia anche per Kat, a cui scocca un`ultima occhiata attenta.Sobbalza, e il tappeto con lei, costringendola ad aggrapparsi al tavolo per non cappottarsi, mentre parte del drink di Kat le finisce addosso, facendola scoppiare inevitabilmente a ridere. «Merlino, che spreco di drink!» la rimbecca con le lacrime agli occhi, affrettandosi a recuperare dalla propria borsetta il piccolo bauletto del kit. «Ehi ehi, prendi questo!» provando a lanciarlo a Kat prima che scenda dal tappeto. «Ingrandiscilo, dentro ci trovi sicuro delle gocce di ruta. Per gli occhi» mica scema, è arrivata preparata. «Sentiti libera di medicare chi capita, ti cedo l`abilitazione per una sera».
K: Tra la risposta di Eileen e la domanda successiva si perde un secondo nei suoi pensieri giusto qualche secondo, prima che gli scoppi il drink in faccia, e lei non se lo aspetta proprio; è stata sincera, avrebbe potuto mentire, o bere e saltare la domanda, invece ha cercato nei suoi ricordi quello che ricordava davvero.. e non tanto della prima volta con Ade, quella è incisa nella sua mente, quanto la prima volta con il grifondoro. Ma non importa quello che lei sa, il cocktail è esploso erroneamente alla domanda peggiore tra tutte; perché per quanto alcuni di loro sappiano la verità più scomoda, gli altri presenti penseranno che lei abbia mentito su qualcosa, suo marito e Harry nei tavoli vicini, vedendola, penseranno che lei abbia mentito su una delle domande; persino Ilary potrebbe pensare di non conoscerla davvero. Si alza di scatto mentre le goccioline sugli occhi le pizzicano davvero, si alza cercando di pulirsi, per poi alzare le iridi verso Ilary serrando la mascella, poco prima di lasciarsi accompagnare nei tavolini vicini; Ilary le lancia il kit ma sbadatamente(?) Kat lo lascia cadere e rimbalzare sul tappeto ancora per un po`. Se non fosse per Adam ancora li, sarebbe davvero andata via.. e si sta maledicendo per non aver bevuto, pare dunque che quel grifondoro maledetto sia ancora nonostante tutto sempre la sua maledizione peggiore. Melodrammatica?! forse, ma comprendetela un pochino anche voi, in fondo voleva solo divertirsi, e quello non è stato per niente divertente.
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I: Buffo, poi, come si possa passare tanto velocemente dall`allegra ilarità di un drink esploso che avrebbe dovuto mandare tutto in caciara (almeno per chi sa come funziona) e l`atterrimento più totale nel rendersi conto che -per chi non lo sa- è un brutto colpo. Non può fare altro che ricambiare lo sguardo di Kat con occhi umidi e allargati di un dispiacere che non riesce a mettere in parole. Qui le cose si sono fatte serie e lei spera solo di poter salvare almeno le apparenze con qualche battuta e il lancio di un kit. Che invece rimbalza a vuoto su quel tappeto elastico, mentre la Warren si allontana.  «KAT!» Un urlo ci prova a lanciarlo, per sovrastare la confusione, sgomitando e sgusciando fra un cappello e un mantello per provare a raggiungerla...prima di Adam.
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K: la raggiunge Harry e per quanto vorrebbe essere infantile e esplodere si trattiene, si trattiene tutto che forse è ancora peggio, fa spallucce al suo dire, ma le uniche parole che proferisce dopo tempo sono «Puoi farne due?» riferendosi alla barista quasi in richiesta d`aiuto; non vuole parlare e attualmente l`unica cosa che vuole fare è concludere la serata in un modo o nell`altro, viene raggiunta da Adam poco prima di Ilary e si lascia coccolare in modo del tutto naturale -o glaciale- ad ogni modo sta al gioco e gli sorride seppur non dica nulla di troppo o di troppo poco «Ne vuoi uno?!»indica lo scotch probabilmente appena arrivato, prima di buttarlo giù tutto d`un fiato «Son qui» fa una pausa «siamo tutti qui»aggiunge guardandosi intorno, non la guarda del tutto, non la scruta perché non sa neanche lei cosa possa dire o fare e Ilary non se lo merita, non si merita quella parte di lei, quindi la lascia li in disparte per un po` rivolgendosi a tutti «Direi che la serata è andata bene no?!»domanda retoricamente rivolta verso Harry. Abbraccia Adam tenendolo a se quasi a voler marcare un territorio che per troppi anni l`è scivolato dalle mani, piccoli gesti che per lei in quel momento sono terra ferma, un`ancora ben salda...trovate voi la metafora «Facciamo un giro di qualcosa di più classico?!»domanda verso tutti spostando le iridi da Harry, ad Adam a Ilary infine.
I: si sistema fra lui e Kat; «Super alcolici» sente di poter ordinare per entrambi, ora abbastanza vicina a Kat da poterle parlare. Sebbene non esattamente in privato. L`unico contatto che cerca è quello dello spalla contro spalla, il tono il più possibile disinvolto. E` il suo turno di Imperio o Veritaserum, solo che solo Kat lo sa. «E` successo anche a me, sai?» Cose da gioco, non sarà difficile immaginarselo per Harry e Adam. Nulla di cui preoccuparsi. «Cioè, non ero ubriaca ma non si può nemmeno dire che fossi proprio proprio lucida» incomincia. «E... beh, anche io sono rimasta sola dopo. E anche se me lo aspettavo, non è stato comunque il mio momento migliore» arricciando il nasino e allungando le manine nella speranza si sia palesato nel frattempo chissà quale drink a cui rubare un sorso.
K: «no.» la ferma, la ferma subito prima che si facciano male entrambe «non qui» una pausa a guardarsi intorno mentre intorno a loro la serata prosegue «non ora» continua parlando come se fossero delle piccole spacciatrici che si organizzano senza farsi beccare «non così..» lascia il braccio di Adam accarezzandoglielo e girandosi in modo da dare le spalle ai ragazzi per qualche istante ma rimanendo udibile per Ilary «non deve essere questo, non si aggiusta raccontando di forza una cosa così importante..» fa una pausa voltandosi nuovamente quasi ad aver cercato fazzolettini, noccioline, non lo sa neanche lei «avremo modo..ma non stasera» scuote la testolina portando nuovamente quel sorriso da bambolina che tiene da ormai una buona mezz`ora; «sto bene» oooh se solo il drink potesse scoppiare adesso, ma è giusto così, the show must go on, e non è giusto rovinare la serata a Harry, non è giusto per una cosa di poca importanza, per una cosa passata, per una persona..
I: «Beh» arriccia il naso, abbassando ancora di più il tono della voce, in barba ai sospetti che potrebbero suscitare. «Non è a forza se te la dico perché voglio» autentica, nell`occhiata vitrea e intensa che le rifila, perché sicuro non glielo avrebbe detto controvoglia, nemmeno per rimediare. Glielo ha detto perché si fida, perché «lo avrei fatto comunque...prima o poi» giocherellando appena con le dita del Signor Duffany. «E poi ho ricordi peggiori, te lo assicuro» tragicomica, eppure è la verità, tanto che nell`intercettare lo sguardo altrui rischia quasi di scapparle un risolino. Che si deve fare tanto? Riderci e berci sù. «Se vuoi possiamo montarci un altro gioco sopra...uno coi controbolidi però, tanto alcol. Si dorme insieme» propone solenne, interpretando così le battute finali della Warren.«No, non è vero» calma e tranquilla, almeno tanto quanto sincera. «Ma va bene così» cercando di darle una piccola spintarella di spalla e di rubarle un bacetto a caso fra la chioma scura.
K: Annuisce seria «lo faremo»fa una pausa teatrale quasi «ma saremo solo noi e nessun`altro»annuisce a se stessa e alle parole successive di Ilary «Voglio esserci quando lo faremo..»stringe gli occhi cercando di capire se il senso si sia capito «Forse ci ubriacheremo dopo, ma voglio esserci quando racconteremo, voglio ricordare ogni gesto, sensazione e racconto..almeno finché si possa babbanamente sopportare». Si rivolta dando le spalle al bancone e tornando con la mancina a cercare Adam «ma per il dormire ci sto»; Fa spallucce e un mezzo sorriso in risposta al "non è vero" di Ilary, e lascia cadere il discorso senza troppi pensieri,
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dreamerwriter18mha · 4 years
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CRONACHE DI YUUEI - GROUND ZERO Capitolo 10 - Legame pt. 1
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PAIRING: KIRISHIMA X BAKUGO   RATING: +18   GENERE: Fantasy AU
Quando Kirishima si svegliò la mattina dopo, fu inizialmente sorpreso dal corpo caldo premuto contro di lui, dal dolce odore di fuoco e zucchero che lo avvolgeva e dal respiro che gli solleticava la pelle del collo. Poi si ricordò esattamente di come era finito nel letto del Re e si sentì avvampare.
"E' presto, dormi" brontolò una voce ovattata contro la sua spalla.
Passò qualche altro minuto. Kirishima cercò di restare più fermo e rilassato possibile, per non disturbare ulteriormente il sonno del Re.
"Oh, al diavolo" esclamò il biondo, allontanando il viso dalla spalla di Eiji, quel tanto che bastava per scoccargli un occhiata infastidita.
"Mi dispiace" disse il rosso con un sorriso.
Diavolo, Bakugo era carino da morire appena sveglio. Con i capelli arricciati in posizioni strane e lo sguardo annebbiato.
In risposta Katsuki si premette ancora più forte contro di lui, strofinandosi come un gatto, finché improvvisamente non si bloccò, molto più sveglio e con espressione stranita.
"Che succede?" chiese Kiri, perplesso.
Lentamente il Re sollevò le pellicce e guardò in basso. Anche il drago curioso seguì il suo sguardo e quando vide cosa aveva attirato l'attenzione del biondo, arrossì vistosamente.
Un lungo arto arricciato, spesso alla base e sottile sulla punta, coperto di squame rosso brillante era saldamente avviluppato attorno ai fianchi del Re, con la punta che oscillava qua e là, dotata di vita propria.
"Umh...scusa..." mormorò Eiji imbarazzato, concentrandosi per spostare la sua grande coda.
"No...va bene...credo...non me l'aspettavo" ribatté Bakugo, senza togliere gli occhi dal bizzarro arto.
Fece per toccare le squame, ma si fermò con la mano a mezz'aria.
"Posso?" chiese, guardandolo in attesa.
"Oh...certo..." rispose l'altro sorpreso.
Il Re sfiorò una delle scaglie con un dito e ci picchiettò contro per saggiarne la durezza. Kiri lo osservò curioso.
"Sono bellissime" mormorò Bakugo, facendo scorrere la mano sulla distesa cremisi.
"Grazie" rispose il drago arrossendo.
Qualcosa nel fatto che a Katsuki piacessero le sue squame lo fece sentire immensamente orgoglioso.
"Ti da fastidio se le tocco?" chiese il Re curioso.
"In realtà non sento gran che...credo che siano troppo spesse" rispose Kiri.
"Mmh...capisco..."
"Dovremmo alzarci?"
"Devi dirmelo tu, Capelli di merda. Sei tu che mi stai trattenendo" ridacchiò il Re, indicando la coda.
Anche Kirishima rise, imbarazzato.
Appena la lunga appendice si fu srotolata via dai suoi fianchi, Bakugo uscì dal letto, ma non prima di essersi sporto a baciare il suo drago.
"Potrei abituarmi a quest'immagine" commentò.
"Non posso lamentarmi, il tuo letto è davvero comodo" ribatté Eiji,  gettando via le pellicce e rotolando sulla schiena con un sorrisetto malizioso.
Gli occhi rossi di Bakugo scivolarono avidi sulla sinuosa figura, per lo più nuda, che giaceva nel suo letto.
"Bada bene alle proposte che avanzi, drago. Potresti doverne rispondere in seguito" lo avvertì, ma con un ghigno giocoso "Dai alzati, andiamo a mettere qualcosa in quel buco nero che hai al posto dello stomaco"
Effettivamente, rispetto a quando era arrivato, l'appetito di Kirishima era cresciuto in modo più che esponenziale. Se i primi giorni faticava a finire due piatti pieni, ora poteva far sparire un pranzo completo di otto portate senza troppe difficoltà e avere anche il coraggio di scendere in cucina per la merenda a metà pomeriggio. Da ciò che Katsuki aveva letto, per un drago era normale mangiare come un esercito.
Dopo che il Re ebbe indossato il suo solito mantello con tutti i gioielli tribali e Kirishima uno dei suoi soliti completi comodi e resistenti, scesero insieme per le scale. Una volta attraversata la porta segreta, però, il rosso si accorse di essere solo.
"Kat?" esclamò, ruotando su se stesso.
Bakugo era fermo a pochi centimetri dall'uscita della torre, con occhi sbarrati e viso pallido.
"Katsuki? Qualcosa non va?" chiese, sentendo l'istinto di protezione del suo drago emergere con prepotenza.
"Puoi restare lì tutto il giorno se vuoi, piccolo Re, ma non te la scamperai" brontolò Amane con un sorriso divertito.
Anche le aiutanti di cucina ridacchiarono con lei.
Il clima ilare rassicurò Kirishima, qualunque cosa avesse spaventato Bakugo in quel modo, non si trattava di un vero pericolo per la sua vita.
"Vi giuro, se una sola di voi osa..." ringhiò il biondo, uscendo finalmente dalla torre con sguardo omicida.
"Buon compleanno Re Bakugo!" gridarono tutte insieme.
L'esclamazione fu subito seguita da delle piccole ma rumorose esplosioni. Bakugo sembrava un vulcano sul punto di eruttare.
"Ehi ehi ehi! Calmo, amico!" ridacchiò Kiri, avvicinandosi con le mani alzate "vogliono solo essere gentili, non mi sembra il caso di arrabbiarsi" mormorò dolcemente, posando una mano sul viso dell'altro.
Drago e Re si fissarono negli occhi nella cucina silenziosa per un lungo istante, il primo amichevole e rilassato e il secondo con i denti scoperti e gli occhi che mandavano fiamme. Il resto del personale pronto alla fuga e Amane con un enorme coperchio di latta in mano per difendere il povero ragazzo se il Re fosse esploso.
Non accadde.
Dopo qualche secondo, le spalle di Bakugo si abbassarono e le sue mani smisero di fumare.
"Sì...va bene...grazie Amane, e anche a voi ragazze. Ma che la cosa si fermi qui" brontolò indispettito, evitando l'altro ragazzo e marciando a grandi passi verso la porta "vieni o no, Capelli di merda?"
"Sissignore" sospirò Eiji, lanciandosi al seguito, dopo aver fatto un sorrisino tirato alle signore.
"Cosa ho appena visto?" esclamò la sguattera, dopo che furono spariti.
"I miracoli dell'amore, bambina" rispose la mezza-gigantessa con una forte risata.
Fuori dalla cucina, il Re imboccò il corridoio per la sala da pranzo con passo pesante e un aria a metà tra imbarazzato e incazzato nero.
"Umh...Re Bakugo?" mormorò Kiri con voce debole.
Il biondo sembrò sussultare alle sue parole, ma non si voltò.
"Sei arrabbiato con me?" continuò.
Stavolta Bakugo smise di colpo di camminare e lo guardò con il viso contratto.
La risposta alla domanda era praticamente dipinta su tutta la sua faccia, o almeno così pensò Kirishima. Nonostante fosse un drago e nonostante fosse ormai più grosso del Re, l'istinto radicato nel suo cervello di farsi più piccolo possibile ebbe la meglio.
In un battito di ciglia tutta la sua sicurezza svanì, le spalle si incurvarono e il viso si abbassò. Davanti al Re c'era una copia quasi perfetta del ragazzino incatenato e spaventato di molte settimane prima.
"Perché diavolo dovrei essere arrabbiato con te?" sbottò il sovrano.
I grandi occhi cremisi scattarono interrogativi dal pavimento al viso del Re.
Bakugo fece per avvicinarsi, ma si fermò nel suo movimento, chiuse gli occhi, prese un respiro lungo e rumoroso. Poi li riaprì. L'espressione rabbiosa si era in parte attenuata. Solo allora riprese il suo passo verso il drago.
"No, Eiji. Non sono arrabbiato con te. Ora mi spieghi perché cazzo l'hai pensato?" chiese, con un tono molto più dolce.
"Prima, in cucina io...insomma, dopo ieri sera...io non..." balbettò "non so come comportarmi con te, ecco"
"Ma che cazzo stai dicendo?"
"Dopo ieri sera...siamo ancora amici? O siamo qualcos'altro? Quello che sto cercando di dire...quali sono i confini?" chiese, con voce leggermente più ferma.
Dopo qualche secondo, gli occhi di Bakugo si accesero di comprensione.
"Oh...pensavi che fossi arrabbiato perché mi hai accarezzato il viso davanti alle domestiche?"
"Sì? Cioè, voglio dire...tu sei un Re...io sono solo..."
"Capelli di merda, se quello che sta per uscire dalla tua bocca è che sei solo uno schiavo giuro che ti colpirò. Forte" ringhiò Bakugo, puntandogli un dito contro con aria minacciosa.
"Beh, ma tecnicamente..."
"Tecnicamente un cazzo!" ruggì il biondo avanzando verso di lui "Tu non sei un fottuto schiavo! Mettitelo bene in testa! Non lo sei dal giorno in cui hai varcato la porta di questo castello! Tu sei uno dei miei Lord, sei il mio drago, sei uno dei miei consiglieri, diavolo, sei uno dei miei migliori amici. Forse dopo ieri sera sei qualcos'altro, forse no, non lo so, non ci avevo pensato, ma una cosa la so: Non. Sei. Un. Fottuto. Schiavo. Punto!"
Alla fine della sfuriata, Kirishima era con le spalle al muro e lo sguardo colmo di una tale adorazione da lasciare perfino il rumoroso sovrano senza parole.
"Grazie, Kat"
"Tsk. Ora muoviti, ho fame" brontolò in risposta il biondo.
Afferrò saldamente la mano di Kiri con la sua e iniziò a trascinarlo con se verso la sala da pranzo.
Accanto a lui, un silenzioso drago elaborava un piano.
Appena varcarono la soglia della sala da pranzo, Eiji fu stritolato in un abbraccio spacca ossa da Uraraka.
"Stai bene Kiri? Ieri sera ero un po' preoccupata"
"Si, grazie Chako. Ero un po' sconfortato" confessò timidamente.
"Forse avremo dovuto mandare su qualcuno di un po' meno gretto. Bakugo è un vero stronzo, amico, qualunque cosa ti abbia detto, non ascoltarlo" commentò Sero, indicando il Re con una forchetta.
Katsuki fece per mandarlo a quel paese, ma fu anticipato da un ringhio gutturale.
"Chi sei tu, che osi insultare il mio Re" ruggì Eijiro, mentre il suo corpo iniziava a passare alla forma ibrida.
Sero e Uraraka indietreggiarono.
"Uraraka?" chiese Sero, posando la mano sull'elsa della spada.
Kirishima sibilò minaccioso e si spostò davanti a Bakugo, coprendolo con una delle sue ali.
"Lascia andare la spada, Sero. Se non vuoi finire sbranato" esclamò Katsuki, accarezzando la base della lunga coda con un ghigno divertito.
"Sei tu che dovresti allontanarti da questa bestia" gli fece notare Sero, estraendo la lama e puntandola verso Kirishima.
"Abbassa immediatamente quella spada, Sero, o non sarà di lui che dovrai preoccuparti" ordinò Katsuki, con tono duro e freddo. Ogni traccia di ilarità era scomparsa dal suo viso.
Il cavaliere spostò gli occhi un paio di volte tra il drago e il Re, poi lentamente ripose la spada nell'elsa, alzò le mani in segno di resa e fece qualche passo indietro.
"Kiri è un drago? E quando pensavi di dirmelo?" esclamò Uraraka con espressione imbronciata.
"È il suo segreto, non il mio. Non ero io a dovertelo dire" specificò il Re "Aspettate, ci penso io" aggiunse poi, vedendo che i due erano ancora restii ad avvicinarsi e Kirishima stava ancora guardando Sero con sospetto.
Allungò la mano per toccargli il viso e lo costrinse a guardarlo.
"Va tutto bene, Eiji. E' un amico, non è una minaccia" sussurrò, accarezzandogli la guancia.
L'espressione del drago si distese e lentamente tornò alla sua forma originale.
Appena fu nuovamente alla sua altezza, Bakugo posò la fronte contro quella di Eijiro, in quello che lui sapeva essere un bacio nella cultura dei draghi.
"Bravo il mio drago. Sei stato fantastico" mormorò, in modo che gli altri due non lo sentissero..
Gli occhi di Kirishima si illuminarono di gioia.
"Avete finito di flirtare voi due?" chiese Uraraka spazientita.
Tutta la dolcezza svanì dagli occhi di Bakugo, sostituita dal solito fastidio.
"Sei solo gelosa perché Eiji vuole più bene a me che a te" ribatté il Re, mostrandole la lingua.
La mora inarcò un sopracciglio al soprannome, ma decise di non dire nulla. Katsuki sembrava già abbastanza irritato.
"Kiri, questo è Hanta Sero, è il comandante del nostro esercito. E' appena tornato da un importante missione. Fa dei commenti un po' inopportuni, ma puoi fidarti" spiegò la mora, tornando pigramente alla sua colazione, come se non avessero appena rischiato una rissa.
"Ciao. Scusa, ma non sopporto chi parla male di Katsuki" disse Eiji, con sguardo serio.
"Cercherò di ricordarmelo. Non ci tengo ad essere fatto a pezzi da un drago" rispose il soldato, stringendosi nelle spalle con nonchalance.
"Vieni a mangiare, Eiji" esclamò il biondo, posando due piatti straripanti di cibo al suo posto e a quello accanto, dove si sedeva sempre il rosso.
Subito l'altro lo raggiunse e lo ringraziò prima di riempirsi la bocca di cibo.
Come sempre era tutto delizioso.
Sero e Uraraka finirono poco dopo, ma rimasero a chiacchierare. Bakugo stava sorseggiando del latte caldo e Kirishima aveva appena riempito il suo quarto piatto, quando una guardia fece irruzione nella saletta privata, con l'uniforme scombinata e il fiatone. Era un uomo grande come una montagna, con corti capelli marroni e occhi gentili.
"Sire...miei Lord..." ansimò.
"Che succede, Sato?" esclamò Bakugo con preoccupazione, avvicinandosi all'omone.
"Sire...armate di Lord Todoroki al confine Sud" spiegò.
"Cosa vogliono?" ringhiò il Re.
"Dovete consegnare subito il drago o distruggeranno il regno e lo porteranno via con la forza"
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magicnightfall · 5 years
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(AND MY, MY LOVE HAD BEEN) FROZEN II
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*Attenzione: contiene spoiler, commenti caustici e tracce di frutta a guscio*
Ralph Spacca Internet è stato un quarto di delusione.
Maleficent - Signora del male è stato una mezza delusione.
Frozen II - Il segreto di Arendelle è stato una delusione intera.
Il grafico a torta del mio disappunto ha la farcitura alla confettura di more quando credevi ci sarebbe stata la Nutella.
Frozen - Il regno di ghiaccio è il mio film d’animazione Disney preferito, e siccome riesco a funzionare soltanto un limitato periodo di tempo lontana dalle sorelle di Arendelle, sei anni dopo sono andata al cinema felice come un quokka che ha appena lanciato i piccoli quokki contro il predatore, perché così può vivere un altro giorno.
(che poi, dai, fare cuccioli quokki in questa economia?)
Se non fosse che la felicità di avere un’altra storia ambientata nei fiordi norvegesi ha obnubilato il mio raziocinio, e mi ha resa dimentica del motto che mi aiuta ad arrivare a fine giornata con pacata rassegnazione (motto che, se fossi un personaggio di Game of Thrones, sarebbe sullo stemma della mia casata): “La vita è miseria e poi si muore”.
Ecco. La miseria qua è data dal fatto che Frozen II - Il segreto di Arendelle, è proprio brutto non è assolutamente all’altezza del suo predecessore, e per quel che mi riguarda manca di tutto ciò che ha reso il primo film grandioso.
Alcune cose - ben poche, per la verità - mi sono piaciute, altrettanto poche mi hanno divertita, e sebbene la mia astinenza per le sorelle di Arendelle sia stata abbastanza placata, il film poteva essere migliore.
Molto migliore.
Migliorissimo.
Innanzitutto, non ho potuto fare a meno di notare una certa pigrizia narrativa (che si trascinerà per tutto il film), per cui già all’inizio ho pensato “Sì, vabbè, che palle, andiamo al sodo”. Il film si apre infatti con un flashback di Anna ed Elsa da piccole insieme ai genitori, i quali - oltre ad aver creato traumi indicibili nella psiche delle figlie, come abbiamo avuto modo di scoprire sei anni fa - fanno anche un’altra cosa che mi ha fatto dire “Ma che, davero?”: espongono per mezzo dell’“infodump”. L’esposizione è l’inserimento di informazioni all’interno di una narrazione, e l’infodump è il modo (erroneo) con cui quelle informazioni vengono veicolate al lettore o allo spettatore: tante (troppe) e tutte insieme. Chi fruisce la storia si trova sommerso di nozioni, a carriolate proprio, e non può fare altro che annaspare in cerca di aria. È un artificio, anzi, una paraculata, e non una tecnica narrativa legittima. Questo perché le informazioni vanno diluite e centellinate nel corso della storia (di tutta la storia), non sono mai qualcosa di cui liberarsi furbescamente appena possibile, così da poter passare oltre. Il Re ci rende partecipi all’inizio di tutto ciò che ci servirà dopo (e non sono certo poche cose), e lo stesso fa la Regina, lei però cantando. E il fatto che l’infodump sia camuffato uno da storia della buonanotte e l’altro da canzone è soltanto una paraculata nella paraculata.
Il flashback, invece, è una tecnica ben nota nella narrazione, ma non per questo significa che può essere utilizzata a prescindere e impunemente. Se l’infodump non va mai bene, il flashback deve comunque essere dosato e non abusato, e posto in punti della storia dove è assolutamente necessario che vi sia. Frozen II se l’è sparato proprio all’inizio (della serie “Famo ‘sta sceneggiata così poi passiamo alla roba interessante”), e per me è un grande “no”.
E non fatevi confondere dal fatto che anche Il regno di ghiaccio si apre con Anna ed Elsa da piccole: in quel caso è semplicemente il vero inizio della storia, nel passato rispetto al tempo della storia stessa, che copre velocemente diversi anni fino a quando non ci mettiamo in pari col presente. Nel caso del secondo film, invece, quella scena non è che un non richiesto salto temporale all’indietro rispetto al tempo della narrazione. Ed è proprio questo il problema: io voglio sapere - dopo sei anni - cosa stanno facendo i personaggi che ho tanto amato, come si sono adattati ai cambiamenti portati dal primo film, in che modo sono maturati, quali altre sfide personali li attendono (ovvero quello che il teorico Christopher Vogler etichetta come “Mondo ordinario”, e che colloca all’inizio del primo atto delle storie). Se per rispondere a questi quesiti deve aspettare dieci minuti, il pubblico inizia diventare insofferente. E perché mai alienarselo fin da subito?
In buona sostanza, se l’unico modo che hanno trovato per informare lo spettatore degli antefatti è l’infodump a mezzo flashback, significa che il film andava ripensato strutturalmente daccapo.
A differenza del primo film, che era “character-driven”, Frozen II è invece “plot-driven”. Banalmente, significa che in uno la narrazione “si concentra sul conflitto interno dei personaggi, sui rapporti dei personaggi tra loro. Anche gli obiettivi sono interni. Traumi da superare, errori a cui rimediare, convinzioni da correggere. I cambiamenti sono soprattutto di carattere intimo, personale [...]”, nell’altro “la narrazione si concentra sul conflitto esterno, sull’azione. Gli obiettivi sono esterni: qualcosa da trovare, qualcuno da salvare [...]”*. Nel Regno di ghiaccio, Elsa perde il controllo e Anna vuole aiutarla a sistemare le cose. L’inverno perenne e il pericolo corso da Arendelle sono solo una necessaria conseguenza materiale del malessere immateriale di Elsa e come tale, perché possa risolverla, Elsa deve superare il proprio trauma e accantonare le convinzioni errate che aveva su se stessa. Anna, dal canto suo, deve maturare, e deve colmare quel vuoto che la freddezza di Elsa le ha scavato dentro. In Frozen II, invece, Arendelle è in pericolo perché Elsa, dal nulla e completamente a caso e senza nemmeno avere una mezza idea di come abbia fatto (né lei né noi, perché un conto è l’inverno perenne, coerente coi suoi poteri, e un conto è questo), risveglia i famigerati spiriti della Foresta. Almeno Evelyn che risveglia Imothep ha senso: ha senso perché era un’archeologa competente relegata a fare la bibliotecaria, si trova davanti un manufatto di importanza colossale e decide di leggerlo perché, da persona studiosa e razionale com’è, non crede “alle favole e alle leggende”. Nella decisione di leggere il libro dei morti c’è la solida caratterizzazione del personaggio e la trama si mette inevitabilmente in moto. In Frozen II la cosa è lasciata totalmente a sé stessa, e sebbene sia stata Elsa a risvegliare gli spiriti (cioè ha compiuto attivamente un’azione), il suo gesto non è pregnante come lo è nella Mummia. Gli spiriti potevano risvegliarsi in altre mille maniere diverse, e tutte probabilmente molto più valide.
Quindi, per quanto la posta in gioco sia altissima - la salvezza di Arendelle - non si riesce mai a entrare in sintonia perfetta con le motivazioni dei personaggi, perché il gesto di Elsa non trova una spiegazione sufficientemente apprezzabile, o addirittura adeguata. Dicevo che che l’inverno perenne del primo film è conseguenza del malessere di Elsa. A voler ben guardare (ma proprio con il lanternino) forse si potrebbe dire che anche il risveglio degli spiriti sia conseguenza del (vago e comunque poco approfondito) tormento di Elsa (perché si sente un pesce fuor d’acqua, e sembrerebbe dirlo nella canzone Nell’ignoto): ciò non toglie che non capisco come i suoi poteri di ghiaccio possano fare qualcosa di quel genere. Quindi l’unica risposta che posso darmi è che anche l’azione di Elsa (come i dialoghi tra Anna e Kristoff, e lo vedremo poi) ha avuto luogo soltanto perché così è stato deciso dagli sceneggiatori, e non perché richiesto dallo sviluppo organico della storia (e della psiche del personaggio).
E poi, perché diavolo la voce che chiama Elsa, la chiama proprio adesso? Perché non subito dopo l’incoronazione? Perché non fra vent’anni? Perché non quando era piccola? Perché era in agenda proprio per quel giorno e non per un altro? Perché faceva comodo così? Ochèi.
Siccome la voce, che poi è sua madre (toh!) avrebbe potuto chiamare Elsa in qualsiasi istante dello spazio-tempo, e non c’è una ragione perché lo faccia proprio ora, ciò va a detrimento della caratterizzazione di Elsa. Questo perché Elsa decide di imbarcarsi in un viaggio introspettivo non perché arrivata lei stessa a un punto di rottura, ma perché approfitta di una circostanza capitata in quel momento (e che poteva capitare in qualsiasi altro). Anche se vediamo Elsa agire e prendere decisioni, c’è comunque, nella sua avventura, una componente passiva che mi ha infastidita parecchio.
Per concludere quindi il ragionamento: per quanto, ovviamente, un film plot-driven sia un’opzione validissima (La Mummia che citavo è plot-driven), credo che un sequel di questo genere non possa che risultare soccombente (e molto meno incisivo) rispetto a un predecessore character-driven. Se infatti sei anni fa ero uscita dal cinema con tante riflessioni sulla psicologia dei personaggi, sui conflitti di una e sulla determinazione dell’altra, riflessioni che mi sono divertita a sviscerare in diversi post, questa volta sono uscita con l’unico pensiero di cercare di ricordare dove avevo parcheggiato.
E tutto ciò ci porta all’altro difetto importante di questo film, brevemente già menzionato, ovvero la caratterizzazione dei personaggi. Nel primo Frozen, il disagio di Elsa lo percepiamo fin da subito: ha paura, si considera un mostro, non riesce a venire a patti con la sua natura, per proteggere chi le è più cara ha dovuto allontanarla.
In Frozen II Elsa è ormai regina da sei anni, e noi non abbiamo idea alcuna (o comunque soltanto molto vaga) di come si senta nella sua vita attuale: il fatto che forse non sia mai del tutto riuscita a venire a patti con i doveri che derivano dall’essere regina, e con l’essere l’unica persona di Arendelle ad avere poteri magici lo scopriamo solo alla fine, quando abdica in favore di Anna e decide di restare in mezzo alla foresta, tipo DiCaprio in The Revenant ma con un miglior gusto nel vestire. Ecco, io allora avrei dedicato molto più tempo a scavare nella psicologia di Elsa - e non di una Elsa qualunque ma di una Elsa post Regno di ghiaccio - anziché a istruire il pubblico con una lezioncina sul perché e sul percome della Foresta incantata. Soltanto se avessimo avuto una buona contezza dei suoi tormenti attuali (del tipo: perché nonostante sia stata pienamente accettata dal regno, ancora sente di non appartenere ad Arendelle?) avremmo potuto comprendere molto di più le sue ragioni e le sue decisioni, non ultima quella, insignificantissima, di cedere la corona. Che per carità, io sono davvero felice che Elsa abbia finalmente trovato se stessa e sia in pace nel luogo cui è convinta di appartenere, ma la sua è una risposta a domande che il film ha dimenticato di porci.
D’altro canto, Anna regina è un big fucking yes: la sua ascesa al trono è un quid pluris rispetto a chi ascende soltanto per privilegio di nascita. Anna, infatti, ha dimostrato di avere la personalità di un leader, cosa che (almeno questa) è stata coltivata fin dal primo film. E se qui non ha potuto seguire Elsa fino in fondo, è stato soltanto perché Elsa gliel’ha materialmente impedito. Sebbene Anna sia la sorella minore, per certi versi più immatura, di certo più svagata, non si è mai tirata indietro di fronte a una sfida, e ha sempre dimostrato abnegazione verso gli altri: l’idea di averla in posizione di comando non è affatto campata per aria, e anzi la trovo anche ben giustificata.
La sottotrama relativa a Kristoff e ai suoi goffi tentativi di chiedere la mano di Anna invece è simpatica, ma nulla di più. E i battibecchi tra lui e la principessa sulla carta saranno stati anche carini, ma nella resa sono apparsi forzati, non naturali. Anna sembrava che di proposito volesse fraintendere quello che Kristoff diceva, così tanto per (anche perché dopo tre anni eventuali problemi di comunicazione dovrebbero essere stati risolti). Un esempio su tutti quando, nel mezzo della foresta, Kristoff dice che in circostanze diverse la situazione sarebbe stata piuttosto romantica, e Anna parte subito per la tangente: “In altre circostanze nel senso con un’altra persona?”. Anna, eddaje, non è fisica quantistica, in altre circostanze nel senso “in un momento in cui Arendelle non si trovi sull’orlo della distruzione”. Il suo timore che Kristoff non abbia più interesse per lei, questo sì che è totalmente campato per aria, ed è presente soltanto perché è stato voluto a tavolino in fase di sceneggiatura. Dovrebbero divertire i fraintendimenti di Anna, perché il pubblico sa che è fuori strada (dopotutto Kristoff cerca di chiederle di sposarlo, mica di mollarla), ma in realtà irritano e basta.
E Kristoff, a ogni fraintendimento di Anna, non reagisce mai come sarebbe (narrativamente) opportuno, ma farfuglia sempre e solo giustificazioni senza apportare alcunché alla conversazione. Non c’è mai un vero e proprio “botta e risposta”. Ora, i dialoghi sono l’habitat naturale dei cosiddetti “beat”. I beat non sono altro che transizioni emozionali da un personaggio all’altro. Ad esempio, un personaggio, triste, può dire a un altro personaggio che è triste: quest’ultimo può divenire triste a sua volta, oppure può provare a ribattere e a infondere all’altro un po’ di gioia, e di conseguenza il primo diviene meno triste. Banalmente, quindi, è un costante dare e avere, e si esplica nei dialoghi. Un rimbalzo emozionale continuo da un personaggio all’altro, una partita di tennis giocata con le parole. Nelle scene con Anna e Kristoff questa cosa io, stavolta, non l’ho vista affatto. In un confronto necessario (e in un parallelo perfetto, perché mi vengono in mente le scene a bordo della slitta), i dialoghi tra i due nel Regno di ghiaccio avevano una carica molto più energica, e per ogni colpo sferrato corrispondeva un colpo incassato, da una parte e dall’altra. Pensate ai dialoghi tra Anya e Dimitri in Anastasia (ad esempio, nella seconda scena sul treno) e capirete perfettamente cosa intendo.
E che dire della “morte” di Olaf? Di per sé sarebbe stata una scena dal grandissimo impatto emotivo, traumatizzante perfino, roba che se l’avessi vista da bambina sarei cresciuta disturbata al punto da diventare una serial killer oppure da iscrivermi a giurisprudenza, se non fosse che la lieta risoluzione era stata telefonata già all’inizio del film. Il concetto che “l’acqua ha memoria” è stato ripetuto fino allo sfinimento, così insistentemente (troppo insistentemente) che era ovvio che avrebbe costituito la soluzione di quella sfortunata vicenda. Potreste obiettare che, all’inizio, ancora non si sarebbe certo potuto sapere che Olaf si sarebbe sciolto. No, ma era impossibile anche ignorare le insegne al neon lampeggianti, disseminate nei primi due atti, con scritto “L’acqua ha memoria”. Lo spettatore non dico scafato, ma solo mediamente attento, la prima cosa che pensa è: “Se insistono così tanto su questo concetto, vuol dire che sarà importante più in là”. Lo spettatore può non sapere di cosa quel concetto sia la soluzione, ma non può certo dire di non aver capito che fosse la soluzione a qualcosa. Così, quando vediamo il mucchietto di neve, anziché disperarci ci limitiamo a pensare che non sarà una condizione permanente, e tutta l’emozione che avremmo dovuto provare davanti a una scena simile, semplicemente non la proviamo. E infatti Olaf, novello Nazareno, torna in vita perché il mucchietto di neve ne ha conservata la memoria. Ora, di per sé questa cosa ci starebbe pure, non è sbagliata, anzi, trattasi di una tecnica narrativa imprescindibile. Il problema è che l’hanno usata male. In gergo, piazzare in un punto della storia - in genere nel primo atto - un’informazione che sarà cruciale alla fine prende il nome di “planting and payoff” (semina e raccolta), ed è forse una delle cose che mi piacciono di più dell’arte antica dello storytelling. In questo caso, però, la semina è stata così palese, così lapalissiana, da avere come conseguenza quella di aver svuotato di qualsiasi carica emotiva la resurrezione dell’amato pupazzo di neve. Semplicemente, sapevamo (o ci aspettavamo) che sarebbe accaduto, e non ne siamo stati sorpresi o emotivamente colpiti. È venuto meno, in buona sostanza, quel senso di freschezza, di genialità e di originalità che aveva caratterizzato il Regno di ghiaccio, il quale, in una serie di ben congegnati plot twist e di sovvertimenti del canone delle fiabe (il principe vestito di bianco non è l’eroe ma il cattivo, e il vero amore risolutivo non è quello romantico ma quello fraterno), ha fatto sì che lo scioglimento di Anna ci cogliesse tutti abbastanza impreparati. Non dico che giunti a quel punto fosse impossibile rendersi conto di quello che sarebbe avvenuto, ma di certo non l’abbiamo capito all’inizio del film come in questo caso. Sarebbe stato molto più efficace se avessero fatto un’unica, singola semina di quel concetto, lasciare che lo spettatore lo “registrasse” nel subconscio, e lasciargli fare due più due alla fine,“col senno di poi”, ovvero una volta visto Olaf ricomporsi. Così mantenendo in vita il senso di freschezza e di sorpresa.
Per contro, ben più sottile e per questo molto più apprezzato, il “planting” (che forse è più un foreshadowing, cioè un’anticipazione) di Anna che, all’inizio del film, abbraccia Olaf e gli canta “I’m holding on tight to you” (che nell’adattamento italiano purtroppo si è perso), cosa che la vediamo effettivamente fare quando il pupazzo le muore in grembo.
La memoria dell’acqua, peraltro, costituisce anche un pigro e forzato “plot device”, ovvero l’espediente narrativo per cui un elemento della narrazione viene introdotto dall’autore “in modo deliberato, con lo scopo unico o principale di consentire un determinato sviluppo della trama”**. È proprio grazie ad esso che Elsa scopre i segreti della sua famiglia e di quello che è realmente accaduto alla Foresta incantata, ovvero tutto ciò che serve sapere a lei e ad Anna (che capisce di dover distruggere la diga) per risolvere la situazione. Decisamente troppo comodo così. Anche in questo caso, se l’unico modo per portare avanti la trama è fare uso di mezzucci, significa che la storia ha un problema di fondo abbastanza importante, e andava rivista a livello di struttura.
Altra cosa che mi ha fatto storcere il naso è il modo in cui viene impedita la distruzione di Arendelle, ovvero Elsa che congela lo tsunami provocato dalla rottura della diga. Tutto bello e tutto giusto e forse anche legittimo, se non fosse che Elsa fino a tre decimi di secondo prima era congelata ella stessa, e il suo arrivo improvviso in sella al cavallo acquatico a salvare la situazione ha tanto il sapore di un deus ex machina. Anche qui, ma che, davero?
Infine, sul serio volete farmi credere che Elsa andrà il venerdì alla serata giochi, ma è restata nella foresta il giorno dell’incoronazione di Anna? Cosa sono, arresti domiciliari? Essù, le basi proprio.
In definitiva, questo film non mi ha lasciato nulla, ma nulla proprio, se non la sensazione che la storia sia stata palesemente (e in modo grossolano) costruita a posteriori, e che all’epoca del primo film non avessero abbozzato nemmeno mezza idea di sequel. Quello che manca è un’organicità, un filo conduttore che sia veramente un ponte tra i due i film (tanto quanto Elsa è un ponte tra due culture), e non una cosa posticcia e incollata ex post come è la storia di questo secondo film. Per dire, veniamo a scoprire che Iduna, la madre di Anna ed Elsa, fa parte - guarda caso - del popolo dei Northuldri, la cui popolazione ha i peculiari tratti somatici delle popolazioni artiche. Ebbene, la genetica non è un’opinione, eppure né Iduna, né Anna né Elsa hanno ereditato alcuno di quei tratti. Ecco, venitemi a dire che questo plot twist non sia stato creato a tavolino anni dopo. Stessa cosa per lo scialle della madre, che guarda caso Elsa inizia ad indossare in questo film, ed è proprio lo stesso scialle che permetterà di riconoscere Iduna come una degli appartenenti ai Northuldri. E lo stesso discorso vale per il vascello di Arendelle scopertosi arenato non nei mari del sud, ma guarda caso nel mare oscuro, a due passi da casa e a due passi dal ghiacciaio Ahtohallan (che sulla mappa sembrava lontanissimo e invece tra quello e Arendelle c’è tipo la stessa distanza che c’è, boh, tra Ancona e Sirolo). Troppi “guarda caso” per i miei gusti, ecco.
Inutile dire che Frozen II mi ha reso timorosa del futuro: c’è un altro film che aspetto con vera impazienza, il sequel di quello che per me è stato il miglior film del 2018, cioè A Quiet Place. E se mi tradisce John Krasinski come mi ha tradito Frozen II, io non ho davvero più alcun motivo per campare andare al cinema.
Per quanto invece riguarda le canzoni, anche se ci ho messo un po’ ad orecchiarle, dai e dai mi sono piaciute. L’unica che, per quanto bellina, mi ha lasciata veramente perplessa è quella di Kristoff, troppo poppettara rispetto al resto, e soprattutto sembrava la parodia (voluta? Non voluta?) di un pessimo video musicale anni ’80. Forse è stato questo il mio più grande “ma che, davero?”.
Ma la verità è che, musicalmente parlando, c’è solo una cosa che è fuori da ogni grazia di Dio: la versione di Nell’ignoto fatta da Giuliano Sangiorgi. Siccome per un’ora e mezza di film non avevo sofferto abbastanza, lui ci ha voluto mettere il carico. Credo che i miei timpani ne siano usciti irrimediabilmente danneggiati, ed è stata la prima volta in vita mia in cui ho rimpianto di non avere l’otite. Sangiorgi macella canta la canzone nei titoli di coda, cosa che in originale è spettata a Brendon Urie dei Panic! At The Disco, con la piccola differenza che il primo, rispetto al secondo, non arriva alle note alte nemmeno con l’ausilio dell’autoscala dei pompieri. Non solo, ma la voce gli cala come un aereo che precipita verso l’inevitabile spiaccicamento, che in tutta onestà è una fine preferibile rispetto al dover sentire lui mentre viene sgozzato. Se pensavate che la versione di All’alba sorgerò fatta da Violetta fosse terribile, fidatevi: questa è peggio. L’unica consolazione è che Serena Autieri nel canto fa sempre la sua porca figura e pertanto la sua interpretazione, calda, lirica, viva, piena di emozione, è approvatissima (e infatti la ascolto a ruota). Come, Ça va sans dire, è approvatissima quella di Brendon Urie.
Ora, mi rendo conto di aver scritto un post veramente molto critico, quindi vorrei chiudere su alcune note positive (note che comunque Sangiorgi non sarebbe in grado di prendere):
la quasi totale assenza dei troll di montagna. Perché davvero, un’altra canzone come quella del primo film e mi sarei fatta brillare in mezzo alla sala;
la salamandra spirito del fuoco, che è carina e coccolosa tanto quanto il Pascal di Rapunzel;
il riassunto di Olaf (sia nel film sia nella scena post credit)
la fiducia incondizionata che Anna ripone in Elsa, e il supporto che non manca mai di darle;
la reunion tra Anna, Elsa, Kristoff e Olaf;
in particolare, quella tra Elsa e Kristoff, perché è bello vedere come il montanaro si sia scavato una nicchia nel cuore della cognata (anche considerato quanto Elsa sia protettiva verso Anna)
la reazione di Anna alla proposta di matrimonio, che ho trovato molto realistica e ben poco cartoonesca. Adesso mi serve un terzo film (possibilmente migliore di questo) con almeno un paio di piccoli quokki dai capelli rossi, perché voglio vedere Anna genitore 1 ed Elsa e Olaf zii;
l’ho già detto e lo ripeto, Anna regina di Arendelle. A vederla, mi sono sentita orgogliosa come una vecchia zia;
Olaf tutto in ghingheri con un abito da cerimonia, nonostante avesse detto che i vestiti gli danno noia, perché evidentemente per Anna era disposto a fare un sacrificio;
il contatto fisico tra le sorelle: non per forza le cose eclatanti come gli abbracci di reunion, ma anche e sopratutto le piccole, come una mano appoggiata su un braccio. Dopo quella distanza che Elsa aveva imposto fino a tre anni prima, vederle così vicine ha sciolto il mio cuore arido e criticone;
in generale, la fotografia, l’animazione e le scene d’azione, che non hanno nulla da invidiare a quelle di un film di avventura dura e pura (ho adorato Anna che si fa inseguire dai giganti e li costringe a distruggere la diga). Se non fosse che con le sole scene d’azione ci faccio poco: io sono affamata di belle storie e di personaggi approfonditi, e questo Frozen II è carente sia delle une sia degli altri.
Quindi niente, credo che ora andrò a rivedermi il Frozen-arc di Once Upon A Time, un telefilm a cui sono affezionatissima anche se fatto da sceneggiatori che più passava il tempo più diventavano cialtroni, ma che almeno quella storyline l’hanno fatta davvero bene. Cosa che di certo non si può dire di questo film. * Le definizioni riportate sono tratte dall’articolo “Meglio un romanzo plot-driven o character-driven?” di Edy Tassi (che ringrazio per avermi concesso di citarle), pubblicato su www.edytassi.it 
** Definizione tratta da Wikipedia alla voce “Espediente narrativo”
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harryduffany · 4 years
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L’attimo che precede il bacio
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2nd May - The Maze
H: I Grifondoro non scappano. Lui, a quanto pare, sì. Perché deluso: ancora non riesce a capacitarsi di quella risposta; ha sbagliato lui a inviarle quel dannato sole. Ma che aveva in mente?? Una interpretazione sbagliata e la sua permalosità e l’orgoglio hanno fatto il resto. Si dirige a passo spedito verso l’ufficio; apre la porta laterale alla stanzetta colma di abiti e si introduce all’interno. È talmente irritato che involontariamente la lascia socchiusa. È un ambiente sterile e minimalista. Pareti bianche. Lui e la scrivania con poltrone sono gli unici punti neri in quell’esplosione di bianco. Si sfila la bacchetta dalla tasca interna della giacca, dalla cui punta fuoriescono scintille rosse.
I: Se lui è deluso e confuso figuriamoci in quale stato sia la testolina bionda che ha appena dato spettacolo per raggiungere il biondino che ha appena lasciato un tavolo illuminato di blu. Non che ne possa capire il senso, ma siccome non è un colore diffuso fra gli altri piedistalli del locale, è piuttosto sicura che sia un segnale nefasto. Il boa di piume rosso che la Drag le ha simpaticamente fatto scivolare attorno al collo è praticamente più lungo di lei, fa a pugni col turchese delle scarpette e del vestitino a fiori. «AHI!» Le dita le restano pinzate nella fessura della porta dove ha intrufolato una manina prima che si chiudesse. «Non lo sai che è peccato bere da soli?» Non trattiene nemmeno il secondo «che ho fatto?» mentre gli occhi azzurri lo cercano. «Adam è stato rapito da una Drag Queen, credo che lo stia spogliando e io potrei morire oggi e sarei veramente una strega felice. Ho seriamente creduto che il mio cuore non avrebbe retto alle risate!» doveva proprio dirlo, dannati drink.
H: Una voce più squillante annunciatrice di dolore lo fa voltare. Subito il suo viso si indurisce perché non si aspettava di vederla, e non si aspettava di vederla nel SUO ufficio. «È vietato l`accesso a chi non è autorizzato» Quella scia di piume rosse cozza con qualsiasi colore lei abbia addosso. «E tra l`altro, a me il porridge piace e Celestina mi fa vomitare» Quel vestito a fiori le sta d`incanto, se non fosse per quel boa di piume che le andrebbe a togliere, arrotolandolo poi su una mano. «Non c`è un colore che si abbini a un altro, Wilson».  Inspira. Espira.  «Dannazione, Wilson... Non dovresti essere qua».
I: Lo stomaco sfrigola fastidioso quando lo sguardo incrocia l`inconfondibile disperazione di quella testa fra le mani, e non escludiamo che un guizzo di senso di colpa le ricordi il pessimo molliccio che si ritrova.
«Allora autorizzami» 
Lo sguardo a subire un guizzo curioso quando lui snocciola quell`informazione, che sembra illuminarla di immenso. «Oh, è questo il problema? Che non abbiamo gli stessi gusti? Oh per Merlino, Duffany. Fammi firmare un contratto se proprio è importante che i clienti non entrino qui dentro. Non me la cavo male a ballare, sai?» Momenti d`orgoglio tutti rosso-oro. «Mi piace. È...?» certo, la tessimante che è in lei va a sfiorare il rever della giacca. 
H: Uno sbuffo prolungato fuoriesce dalle narici: sa già che quella conversazione sarà stancante.  «No, Ilary, più che altro deluso. Dopo un chiaro simbolo di ricordi, hai piacere di informarmi che ti fa schifo il porridge, ma ami i pancakes. Buono a sapersi, lo aggiungerò alla lista». Senza speranza. «Ho toccato con mano che sei brava a ballare».  E di nuovo il battito cardiaco accelera quando gli si avvicina. «Grisaglia liquida».  Repentinamente, andrebbe a bloccarle quella mano sfiorante il tessuto. 
«Che ci fai qui, Ilary?» Questa è la vera domanda.
I: «Se eri deluso di vedermi, potevi non mandarmi quel sole, non credi? Poi sono io che ti fraintendo!» Oggi è veramente brava a non capire nulla di quello che lui le dice. 
Ci mette un attimo a far scivolare oltre le nubi dell`alcol e degli effetti magici dei cocktail, il reale senso di quell`informazione che inizia a farle dubitare che i propri tentativi di comunicare siano universalmente comprensibili come crede lei. 
«Anche io». Lui ha toccato con mano quanto lei sia brava a ballare e lei ci tiene a fargli presente che è reciproco; mentre con mano assai più letterale va a toccare la sua giacca. «Beh, ti rispondo. Ma tu non fai che fraintendermi» anche lei citava un ricordo. «Quando ho detto che potevi comprarmi le mele caramellate mentre guardavo gli altri salire sulle insalate russe, volevo dire quello che ho detto. Non dovevi sparire, ma portarmi una mela caramella. E un po` di pazienza». Ora è chiaro?
«Dovremmo ballare» 
H: Dategli un traduttore, vi prego. Ok, riproviamoci. «Ilary, sono un tipo paziente, ma tu davvero metti alla prova la mia calma. Tanto per cominciare, credi davvero che sia deluso di vederti?» La morsa sul polso di lei allena un pochino, ma non la lascia andare di un millimetro. La sua mente è paragonabile a un naufrago in mezzo al Pacifico. Inspira. Espira. «No, Ilary. Non balliamo. Perché devi imparare a parlare chiaramente. Vuoi una mela caramellata?» Inspira. Espira. Andrebbe ad afferrarle anche l`altra mano, la chiuderebbe nella sua, stringendola appena. Poi, mentre il cervello gli dice di non farlo, sente il cuore prendere il sopravvento, e andrebbe a posare la fronte su quella sua.  Espirando e inspirando. 
«Dannazione, Wilson... che mi fai».
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I: «IO PARLO CHIARAMENTE. Sei tu che non ascolti chiaramente» «SI`! Mi piacciono le mele caramellate» Anche l`altra mano finisce avvolta dalla sua. 
E ora ha di colpo la vivida sensazione che in mezzo al Pacifico ci stiano naufragando davvero. 
Le palpebre s`abbassano nell`abbandonare il capino contro quello di lui; i suoi battiti sotto le dita e la testa momentaneamente invasa di piume. Le dita si muovono distrattamente nelle sue e il suo profumo così vicino non aiuta, no. Inspira. «Ti-ti consiglio Miss Burton» per il traduttore. Deglutisce. Espira. 
Che gli fa? Boh, mica parla chiaro, lui. Ma il bruciapolmoni e i battiti improvvisamente accelerati parlano chiaro almeno a lei, piacevolmente immersa in una confusione che rende quasi naturale -alle labbra dischiuse- seguire l`impulso ad avvicinarsi alle sue. Il respiro corto e quelle manine dispettose che autonomamente si sono mosse per iniziare a tirarlo dolcemente più vicino. O magari si sta avvicinando lei, non è chiaro o importante stabilirlo, no?
H: Si dice che l`attesa del piacere è essa stessa il piacere. Uno dei motivi per cui Harry è fondamentalmente paziente. Si dice anche, che il momento più bello dell`atto di baciare sia quell`attimo prima che accada il tutto. Un`attesa durante la quale non importa del perché faccia aspettare tanto, perché sarà valsa la pena di tutto. Di momenti bui al sole, di balli anni `50 anche se si detesta ballare, di ridicole cene al milkshake, e di bolidi (anzi, uno solo) incendiati. 
Il momento che precede il bacio è quello in cui si sa che sta per arrivare, in secondi che sembrano secoli, ed è il momento in cui gli occhi di Ilary incontrano per un frammento di minuto i suoi, in cui la bocca si spegne per parlare e il cervello non pensa più a rispondere alle frasi prima, perché ora tutto il corpo, ogni singolo nervo, è impegnato a viversi quell`attimo che precede il bacio.
I due naufraghi sono nel pieno attimo che precede il bacio. 
Ora ha paura e non sa se avrà il coraggio o meno di uscire da quell`attimo e annullare tutto, oppure tuffarsi in quell`oceano di miele e camomilla. Gli occhi non hanno paranoie: se vogliono baciarti te lo dicono, e lo dicono un attimo prima che ciò avvenga; colgono all`improvviso il baciato. Ma Harry non è tipo da farsi cogliere impreparato. Non in quell`attimo. Quindi al diavolo la paura, esaltiamo il coraggio rosso e oro: romperebbe quell`attimo precedente al bacio, annullando ogni centimetro dalle due bocche.
I: Sarebbe finita a chiedersi di cosa lui stesse parlando, se lui davvero avesse provato ad assecondarla in quella conversazione surreale. Fatta di metafore chiare solo a lei e che lei pretende pure di fargli comprendere senza sognarsi di perder tempo a spiegargliele. Tutto ciò che riesce a sentire è il profumo del muschio bianco che l`ha resa affezionata estimatrice dei suoi colletti.  Il respiro accelerato fa sobbalzare il petto e lo sguardo incrocia il suo in un attimo tanto fugace che potrebbe quasi esserselo sognato. E` una frazione di secondo di ritardo infinitesimale, quella che trascorre fra la sua decisione di azzerare le distanze e la propria. E quando lo asseconda in quell`incontro, lo fa senza alcun tentennamento. Con uno slancio che i piedini prendono nel sollevarsi sulle punte per aiutarla a premere le labbra contro le sue e spingerglisi addosso con adorabile irruenza. 
Gli occhi ormai chiusi e... gente, si baciano.
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H: E... gente, la biondina si stringe a lui, facendo scivolare una mano dal river della giacca alla spalla, circondandogli il collo. Per una volta il cervello se ne sta zitto, mentre il cuore offre bicchieri di champagne a tutti i nervi del corpo, congratulandosi con loro. Ci aveva indovinato: miele e camomilla, davanti a un lontano sentore di alcol. Si gode quella piccola vittoria con un tiepido sorriso nel bacio: è riuscito a far stare zitta la Wilson. Le cinge la vita con un braccio, tenendola stretta a sé, mentre la mano racchiusa in quella sua più grande si sposterebbe verso l`alto, come in un valzer. Le concede questo ballo, su. «Mi sa che cominciano a piacere anche a me le mele caramellate...» Andrebbe così a ondeggiare col corpo, trascinando anche lei in un ballo silenzioso. «Stai bene?» Un trentenne naufrago, con la mente confusa, in una stanza insonorizzata, durante un evento organizzato da lui, che tiene stretta a sé una adorabile chiacchierona.
I: Non sembra dispiaciuta di stringersi a lui o di far scivolare quel braccio tintinnante attorno alle sue spalle. Le dita che trovano appiglio su quel colletto muschiato, sfiorandogli appena la pelle nell`intrufolarsi accidentalmente al di sotto della stoffa. Come durante quel ballo al Back to `50s. L`altra mano segue la sua e il respiro finisce piacevolmente trattenuto quando il suo braccio le scivola intorno alla vita e loro si ritrovano in una posa da valzer che viola le sacrosante regole imposte da Dirty Dancing. Ma fa sfuggire un sorriso luminoso a lei. Gli occhi a riaprirsi di colpo, forse presa in contropiede dalla sua voce. «Io non sono ancora sicura che tu abbia capito cosa siano, invece» le mele caramellate. Un moto di lievissima frustrazione talmente ben mescolato al bruciacuore da essere innegabilmente una delle sensazioni migliori di questo 2076. Lo segue in quell`ondeggiamento ballerino, che ora non riesce a non farla sorridere un po` scema, flettendo un solo sopracciglio a quella domanda curiosa. «Dipende. Stai per scappare?» 
H: Mentre si preoccupa se stia bene o meno, gli appare davanti un sorriso luminoso, come raggi di sole accecanti in una stanza, se possibile, ancora più accecante. «Wow». Sarebbe rimasto ben volentieri a godersi quell’incantesimo di silenzio e sorrisi. «Illuminami». La mente maschile non arriva a metafore così sofisticate, Wilson. Poi la guarda serio, scuotendo lentamente la testa. Non scappa.
I: «Le mele caramellate sono quelle che vendono alle bancarelle mentre la gente balla all` aperto e... si smangiucchiano nel momenti di pausa, mentre si osservano andare sulle colline russe... mentre decidi se salire anche tu. Sono buone e ti tengono compagnia. «Le montagne russe» CE L`HA FATTA, SIORI «sono i rapporti sentimentali, le mele caramellate sono la parte d`attesa che c`è prima. Dovevi portarmi una mela caramellata e aspettare con me, non lasciarmi i galeoni per farmela prendere da sola. Non sono fan delle mele caramellate in solitaria, finisce solo che poi si trova qualcun altro con cui mangiarle e alla fine si sale sull`insalata russa con lui» Lui non scappa, e quel semplice diniego le accartoccia le labbra in una smorfia improvvisamente impacciata. 
«Allora sto bene»  Un animaletto soddisfatto sembra essersi sistemato nel proprio angolo di poltrona preferito.
H: La tiene ancora stretta a sé: braccio sulla vita e mano nella mano. Quella faccia ebete continua a riaffiorare al ritmo di una musica inesistente. «Non sono mai salito su delle montagne russe...» commenta, stringendo inevitabilmente le labbra, forse con una leggera nota d’amarezza nella voce. «Avrai la tua mela di zucchero.» Ora la metafora gli è chiara, grazie della spiegazione. «Ma cerchi di parlare più chiaro, la prossima volta, donzella» Gli occhi ridenti si chiudono, mentre la tempia chiara della giovane preme con il mento ruvido e rasato di Harry. Rimane così in una stretta salda a lei, ondeggiando lentamente, come in un dolcissimo dejavu, ma senza musica né pista da ballo.
I: Ora che il capino ha guadagnato qualche centimetro di distanza dal suo viso, può metterlo a fuoco al meglio e mangiarsi con occhi indiscreti tutti i suoi particolari; come lui fosse un interessante film che non c`è nulla di male a guardare sgranocchiando pop-corn. O mele caramellate in questo caso. «Che vuoi dire? Stai ancora parlando per metafora? Nemmeno io sono mai salita su quegli ammassi di ferraglia arrugginita. Soffro di vertigini!» Deglutisce. «E lei la prossima volta s`assicuri di non ascoltare solo con le orecchie, Sir». Prende un profondo sospiro, guarda caso contro il suo affezionatissimo colletto, rilasciandolo poi lentamente assieme alla tensione delle spalle o del viso. In quell`abbraccio con cui gli resta accoccolata contro e in quelle dita che sono tornate ad accarezzargli distrattamente la nuca.
H: Sì, parlava a metafore ma, no, non lo dà a vedere. Un`occasione per confondere metafore e realtà imperdibile. «Certo che non parlo di metafore. Potremmo cominciare su quei trenini lenti»  Ora sposterebbe la manina racchiusa sull`altra sull`altra spalla, desideroso di essere abbracciato da quell`essenza di miele e camomilla; entrambi le mani si spostano sulla schiena di lei e sul quel vestitino di fiori colorato tanto da far contrasto all`abito nero dell`architetto. Le stamperebbe un bacio dolce e modesto sulla fronte, ondeggiando ancora per un po`. I: Lei se la beve eccome, la storia che lui non parlasse di montagne russe metaforiche, ma vere. «Ah ecco» Le labbra tornano a curvarsi verso l`alto in un altro sorriso scemo. «Il bruco!» Gli occhi socchiusi e quell`ondeggiare lento e assorto a venir distolto solo dal movimento della manina che l`altro conduce sulla propria spalla. 
Gli abbracci non si chiedono, si danno: check. Gli abbracci non si rifiutano mai: check. Gli abbracci non si interrompono finché chi ne ha avuto bisogno non accenna a volersi liberare di te: loading.
Le braccia finiscono a stringergli le spalle, lei ancora una volta sollevata sulle punte per raggiungerlo meglio. E sbuffando appena a quel bacio sulla fronte che l`altro si prende, al che quel «Duffany» di richiamo le scappa proprio. Sommesso, magari con ancora qualche rimasuglio di alcol in circolo ma le pare il caso di chiarire il fraintendimento che sente farsi strada. O magari no. Il viso non fa in tempo a scostarsi che lei ha già cambiato idea.
«Mi fai venire voglia di star bene. E di essere un po` meno incasinata. E di mele caramellate» 
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H: Ha come una tenera e celestiale armonia che gli ronza in testa. Harry Duffany sembra abbia rinunciato alla parte razionale. È tornato di nuovo adolescente. Difficile dire chi stia dando l`abbraccio a chi. Difficile dire chi stia ricevendo l`abbraccio da chi. «Mhm» conferma. Il bruco. Non si sente più un naufrago, e probabilmente entrambi non lo sono più. Quando si sente chiamare da quella vocetta morbida e assopita. «Mh?» E Harry Duffany torna adolescente per la terza volta. Perché si scioglie e non gli rimane molto da dire. Quindi andrebbe a guardarla e cercare una seconda volta quel musetto toccato da due cocktail che, per la serata, hanno fatto fin troppo. 
E proprio in quell`attimo che precede il bacio, quello in cui c`è paura, aspettativa, ci sono tutte le prime volte e tutte le emozioni che ne conseguono; quell`attimo che accomuna gli amanti come Amore e Psiche, che si guardano da secoli e non sono ancora stanchi di essere in quell`attimo, quel momento in cui non si possono avere rimpianti, ma si sente invece quel bacio che sta per arrivare amplificato, ecco in quell`attimo lui andrà a sussurrare: «Andrà bene».
I: Scivola in quell`abbraccio morbido e ondeggiante, che ormai è diventato più un lento a ritmo di nulla che altro. E ora che non c`è un dj a lasciare la console o le luci a variare, non è proprio sicura che arriverà mai un momento in cui lei deciderà che è sensato scollarsi o rinunciare ad attimi di pace e bruciapolmoni così preziosi. Non riesce nemmeno a terminare quella domanda mentale prima di venir ricatapultata in quel momento di squisitissima attesa pre bacio. Potrebbe quasi iniziare a piacerle tutto questo tempo assurdamente dilatato. 
Cullandosi ancora al rirmo di quel momento e di quell`"andrà bene" che le fa sfuggire solo il più semplice dei «lo so». 
Lo tira appena verso di sé con le braccia che ancora gli cingono il collo. E poi manda semplicemente le labbre a cercare d`unirsi con le sue, ridicolmente lenta questa volta, ma inesorabile come la voglia d`approfondire quel contatto dolcemente. 
H: Il silenzio è incantevole. Si sente tirare appena verso il basso e asseconda il movimento, abbassandosi un poco, dedicandosi a quel bacio, più approfondito, in cui non necessita proprio di staccarsi. Ecco perché la stringe nuovamente a sé, schiudendo nuovamente la bocca per accogliere i suoi sorrisi e quella dolcezza che raramente aveva provato fino a quel momento. Quel "lo so" sussurrato lo fa sorridere. Andrà infine a staccarsi, e dolcemente come quando si staccarono sulla pista da ballo e lui andò a sussurrarle "Siamo stati bravi", con la stessa dolcezza e lo stesso tono delicato, gli esce un secco e soddisfatto: 
«Ho fame. Mi inviti a cena per un milkshake?» 
I: Le dita scivolano sul tessuto della giacca in una coccola che è più per sé che per lui. Grisaglia liquida. E un altro sospiro accuratamente trattenuto e rilasciato in quel bacio che va a prendersi, azzerando la già ridicola distanza che li separava. Sceglie di premere maggiormente le labbra contro le sue, contro il suo sorriso, nel dispetto del morsetto che tenta di rifilargli al labbro inferiore quando lui accenna a voler interrompere quel contatto. «Seriamente?»  Un`occhiata pericolosissima tranquillamente traducibile in un "solo se io posso cenare con te". Con te che hai detto che hai fame, proprio adesso e che cenerai con un milkshake. «Vedo che ci stai prendendo gusto, Duffany» a farsi invitare a cena dalle donzelle. «Ok, ma solo se posso portare le piume con me» «dovrei avvi-» Inquadra una Katrine ancora fuori di testa che ormai sta ballando col marito dando più spettacolo della Drag Queen. «Oh beh, d`altronde è il loro anniversario di matrimonio, non credo che gli dispiacerà restar soli» 
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gloriabourne · 4 years
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Ci tengo a spiegarmi meglio così non pensate che mi sono inventata che Ermal abbia fatto commenti transfobici e abilisti: nel primo caso, è stato in risposta a un tweet di Paola Turci. Ermal era partito con l'intento di osannare le donne (come al solito sfiorando il sessismo all'inverso, tra l'altro) e ne esce fuori una frase transfobica. Un ragazzo trans glielo fa notare, una persona che tra l'altro è qui su Tumblr e che apprezziamo molto tutti, e lui si offende persino!
Ermal poteva almeno avere la decenza e l'umiltà di ascoltare le parole di una persona coinvolta direttamente, una persona trans, che ti sta dicendo che quello che hai scritto è a tutti gli effetti transfobico e che quindi sarebbe meglio non dire più certe cose perché i diretti interessati si possono offendere. Ma no, arrivano sempre le sue fanatiche di emme (quelle sì, che sono fanatiche, e mi dispiace esser stata ingiustamente paragonata a loro da certe persone qui su Tumblr) a difenderlo.
Morale della favola, né Ermal né le sue fanatiche si sono dimostrati volenterosi ad imparare qualcosa di nuovo e utile per la società, una società che ancora manco ha la minima idea, in linea di massima, di cosa significhi essere transgender. La risposta da parte di entrambi è stata "Eh ma sempre a cercare il pelo nell'uovo state!" Quello è fanatismo, grazie. Nel caso dell'abilismo, è stato quando Ermal ha paragonato gli stronzi omofobi di emme alle persone affette da disabilità intellettiva.
Lì poi nessuno gli ha proprio fatto notare niente, e se n'è parlato solo qua su Tumblr per un po', perché se si parla di abilismo allora in Italia non siamo manco all'ABC. La cosa che più mi ha sorpreso è che neanche in questo social, che credevo più sensibile a queste tematiche, si è stati abbastanza indignati da riconoscere l'enorme scivolone. Ora, tra il crocifiggere senza pietà e difendere ciecamente, mi chiedo, può esistere un dannato equilibrio, per l'amor del cielo?
Scusa ancora se ti ho bombardata di ask, probabilmente qualcuno è anche andato perso perché Tumblr funziona a minchia, il mio scopo era solo quello di informare su questi due avvenimenti, non quello di sollevare polveroni su fatti ormai appartenenti al passato. Grazie sempre per l'ascolto.
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Spero di risponderti con la dovuta calma, ma oggi è veramente una giornata del cazzo quindi non ti assicuro nulla, chiedo scusa fin da subito.
Prima cosa: nessuno ha detto che ti fossi inventata qualcosa. Io ho semplicemente detto che così come certe cose non le avevo notate io, poteva essere che anche altra gente non le avesse notate ed ecco perché determinate cose non sono state criticate. Se non vedo una cosa, non la posso criticare. Tutto qua.
Seconda cosa: mi hai gentilmente spiegato quali fossero i due episodi di cui parlavi e allora a questo punto devo rettificare perché li avevo notati eppure la cosa non mi ha minimamente toccata. E il motivo è quello che già ho detto nella risposta che ti ho dato ieri: viviamo in una società in cui certi comportamenti che consideriamo normali non lo sono e viceversa. Non è colpa di nessuno se abbiamo questa percezione, è semplicemente la società in cui siamo cresciuti che, senza che nemmeno ce ne accorgiamo, ci impone delle idee e dei pregiudizi che si radicano in noi. E certe cose a volte vengono fuori senza nemmeno pensarci. Capita!
Mi sembra assurdo dover mettere alla gogna qualcuno perché ha detto una cosa in buona fede ma che agli occhi delle persone può risultare sbagliata. Detto onestamente, vi va bene che abbia troncato la conversazione con tono offeso e basta. Fosse capitato a me vedi i vaffanculo che volavano! E non dico che sia giusto, io ho notoriamente un carattere di merda, però sinceramente attaccare le persone per ogni singola cosa che dicono mi pare eccessivo. Se non vi sta bene un pensiero basta non ascoltarlo.
Io comunque continuo a non vederci tutto il marcio che invece ci vedete voi in quella storia.
Riguardo alla faccenda abilista, io ho due casi di disabilità intellettiva in famiglia. Disabilità grave. Dovrebbe essere una cosa che mi tocca da vicino, in effetti lo è, eppure se non me la sono presa io per sta storia (di nuovo per tutta la faccenda che ho già spiegato che non credo sia stato fatto con cattiveria, bla bla bla) e ve la dovete prendere voi? A me sembra veramente che ogni scusa sia buona per fare polemica! E ragazzi, detto da una come me che fa polemica su tutto è grave!
E sì, sempre a cercare il pelo nell'uovo state. O come direbbe Ultimo e come preferirei dire: sempre a rompere il cazzo.
Scusami, ma è così. Se non vi va bene ciò che pensa qualcuno, non lo ascoltate e basta. Saranno cazzi suoi se dice cose sbagliate. Non siamo mica sua madre che dobbiamo correggerlo in ogni cosa che fa. Manco le avesse dette direttamente a noi!
E non azzardatevi a dirmi che non riconosco lo scivolone perché non sono abbastanza sensibile. Anzi, forse proprio perché almeno in un caso la faccenda la vivo in prima persona, so distinguere chi dice certe cose con leggerezza e senza cattiveria e chi invece lo fa per ferire. E scusa ma Ermal non l'ha mai fatto con lo scopo di ferire qualcuno, quindi ci stiamo davvero attaccando al nulla.
A me spiace davvero arrivare a questo punto, con i toni alzati e le mani che tremano a scrivere perché mi è montato su un nervoso che non sto a dirti, però pure te amica mia (perché pure se mi scrivi in anonimo, se scrivi a me ti considero amica) se non volevi sollevare polveroni sta storia la potevamo pure evitare, no?
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uds · 5 years
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il mostro
(sistemando vecchi indrizzi mail -non fatelo, mai- ho trovato un racconto breve di una decina di anni fa che avevo completamente rimosso dalla mia memoria credo dai tempi in cui ancora il non plus ultra della comunicazione sociale era msn messenger, non so neanche se lo avessi mai messo qua o da altre parti in precedenza; comunque sia, lo incollo qua sotto)
Guidare annoiati è come essere all’inferno, con la differenza che se non altro all’inferno non devi stare attento alla strada.
Non sono mai riuscito ad ascoltare dischi interi in auto, già dopo tre o quattro canzoni di fila perdo la pazienza e comincio a rovistare nel cruscotto per scegliere il prossimo cd masterizzato da maledire venti minuti dopo. Ho bisogno di parole, discorsi, chiacchiere per non impazzire, specie quando mancano ancora centosettanta chilometri ed entrambe le corsie sono bloccate dalla geniale idea del camionista che fa gli ottantasette all’ora di superare quello che si tiene, più prudentemente, sugli ottantasei. Il problema è che sembra che questo venerdì pomeriggio tutto l’etere si sia messo d’accordo per trasmettere soltanto irritazione, e quando la punta del tuo indice diventa un calco del pulsante per mandare avanti la frequenza capisci che forse è ora di spegnere tutto e lasciare che a non farti pensare sia il fischio di sottofondo del motore lasciato andare a troppi giri.
L’asfalto scivola sotto la carrozzeria a centoventi all’ora, per poi esser sputato fuori dallo specchietto retrovisore. Ancora un’ora e un quarto buona di strada. Quella storia che a volte ti penti di non aver mai iniziato a fumare giusto perché almeno avresti qualcosa da fare in momenti come questo.
“Tutto bene, no?” chiedo, senza staccare gli occhi dalla A4, tentando la conversazione come misura estrema prima di arrendermi al tramonto sulla Pianura Padana. A passare troppo tempo in mezzo a un paesaggio del genere cominci a credere che al centro del Sistema Solare non ci sia una stella, ma che tutto giri intorno ad una complicata costellazione di capannoni. E troppo tempo è stato più o meno tre uscite fa.
Il mostro mi guarda con la sua solita faccia beata dal sedile del passeggero, senza confermare né smentire. Sta lì, come al solito. Lascia penzolare le gambette sopra il tappetino e si gode il viaggio con gli occhi socchiusi e le labbra incurvate nella sua posa pigramente soddisfatta.
Sospiro, dichiarando ufficialmente la mia resa alla noia grigioverde che assedia i finestrini. “Metti almeno la cintura.”
Non si muove di un millimetro, nemmeno per annuire. Non avendo il collo, è qualcosa che gli si può perdonare, suppongo. Rimane lì a fissarmi nel suo colore radioattivo da fumetto, le mani appoggiate sull’addome, le dita incrociate.
Non che mi aspettassi davvero una risposta, sia chiaro. Non sono pazzo. Beh, non attualmente. Magari il giorno in cui inizierà a rispondere sarà il caso di farsi qualche domanda, ma al momento posso dirmi sufficientemente sicuro che non sia nulla più di un semplice gioco tra me e me o, se preferite il finto gergo da psicanalista dei telefilm, un costrutto della mia mente. Un costrutto neanche troppo originale, a dire il vero, dato che è praticamente Slimer, quello dei vecchi cartoni dei Ghostbusters, con in più un paio di gambette rachitiche. Quella storia che la televisione ha distrutto la fantasia alla mia generazione.
Non ha nemmeno un nome (o, meglio, non ha un nome pronunciabile nella nostra lingua, dato che arriva da un’altra dimensione)(sì, sto scherzando). Semplicemente, c’è sempre stato, sin da quando ero bambino. A nove anni non riuscivo a dormire per paura di un compito in classe, lui rimaneva imbambolato a fissarmi dalla sedia dove mia madre mi preparava i vestiti per il giorno dopo. A diciotto, con l’orale della maturità a tre giorni di distanza, continuavo a rileggere la stessa frase un migliaio di volte dimenticandola ancora prima di arrivare al punto, e lui era appollaiato sulla scrivania che ondeggiava leggermente al ritmo dei miei vaffanculo. Durante la tesi ha praticamente vissuto sulla tastiera del mio computer, e non era facile spiegare ai miei che, se non ero riuscito a scrivere nemmeno una riga in sei ore, era perché c’era una creatura inesistente che si rifiutava di togliersi dai tasti.
(Scrivevo un messaggio per dirle buonanotte, ti amo, lei rispondeva soltanto notte e lui era dietro la mia spalla destra per avere una visuale ottimale del display del cellulare. Che già era un casino giocare decentemente a Snake 2 con qualcuno che mi guardava, figuriamoci accettare che stava andando tutto a puttane.)
È tutta una questione di che parte del tuo corpo è stata scelta dal destino per somatizzare e tormentarti, almeno fino al momento in cui gli acciacchi si distribuiranno uniformemente in tutto il tuo organismo e sarai pronto per essere uno di quegli anziani che rendono le giornate in sala d’attesa dal dottore la cosa più prossima all’infinito che un essere umano possa sperimentare in questa vita. C’è chi l’ansia, la preoccupazione, quel senso di totale e completo oh, cazzo li sente nello stomaco, chi nelle meningi, chi nell’intestino, chi nei nervi.
Io me li sento nell’immaginazione. Un metro e qualcosa di bozzi, sorriso e rotoli di ciccia alieni. A volte mi chiedo perché qualcosa del genere mi succeda solo con le cose brutte, perché non possa avere una presenza costante che mi segnali che stanno per arrivare momenti migliori. Quella storia che uno è destinato a venir su pessimista.
Ancora adesso, quando ho una presentazione importante il giorno dopo è a lato dello schermo del portatile che si gode le mie bestemmie a Power Point. Se esco di casa in ritardo lo trovo già steso sul corrimano delle scale per non perdersi il probabile spettacolo di me che inciampo e finisco a rotolare per due o tre rampe.
E ora è qui, accanto a me, perché sa benissimo che domani
Eh.
Poi c’è il casello, poi ci sono solo provinciali, comunali, vialetto, saluti.
A cena mio padre risolve l’indovinello finale del programma di rai uno, e quello più o meno è il momento più eccitante di tutta la faccenda. Mi fanno le solite domande su come sta andando, stando bene attenti a non scendere troppo nei dettagli. Confeziono le risposte con cura per non creare nessun tipo di preoccupazione, e li osservo mentre le assorbono con un certo sollievo e un cucchiaio di piselli in più, lieti di poter passare ad altro. Essere cresciuto in una famiglia in cui la comunicazione interpersonale è considerata un disagevole equivoco rappresenta un vantaggio non indifferente, a volte.
Dico ai miei che no, non credo di uscire. Sono stanco per il viaggio, vado a letto presto che tanto vedo tutti domani. Uno, due, tre sms per ripeterlo agli altri, rimbalzare le insistenze. Sì, sono sicuro. Grazie lo stesso, davvero. Ciao.
Il mostro si guarda intorno sul letto, seduto sopra il pigiama ben piegato che mi aspetta sul cuscino. Erano mesi che non vedeva camera mia, e ora rotea gli occhietti su ogni angolo, superficie e poster di questi dieci metri quadri scarsi, come quando vai a votare alle tue vecchie scuole elementari e cerchi di raccattare i ricordi di quei tempi da ogni piastrella.
“Bravo. Se te gà da ‘fondar, se no altro che sia dentro l’oceano.” Era successo che ci eravamo lasciati. Non l’avevo presa bene. Non l’avevo presa in nessuna maniera, in realtà. Avevo smesso di voler pensare e la soluzione più immediata era stata concentrarmi sugli ultimi esami che mi mancavano prima della  laurea. Credo che per qualche mese studiare sia l’unica cosa che abbia fatto con regolarità maniacale, al contrario di altre attività secondarie come l’uscire con gli amici, il radermi, il lavarmi o, non so, il parlare. Avevo scoperto che, da un certo numero di pagine al giorno in poi, le formule diventano una specie di mantra che ti occupa la testa durante il giorno e ti stanca quel che ti basta per affrontare la notte. Arriva un certo punto in cui addirittura credi di averla superata.
La prima volta che l’avevo rivista avevo finto di dover telefonare ed ero tornato a casa a vomitare anche l’anima, col mostro che lasciava penzolare le gambe a cavallo del bidet. Quella storia che a pensare positivo sei sempre due passi indietro rispetto a dove credevi di essere.
Dopo un paio di colloqui in cui avevo simulato con successo una certa voglia di responsabilità, mi avevano offerto un lavoro a Milano. Sette provincie e tre ore e mezza di auto più in là. Sembrava una buona idea. Quando l’avevo detto a mia nonna lei mi aveva abbracciato e risposto così, nel nostro dialetto fatto apposta per odorare di terra e parlare di sbagli.
Bravo. Se devi affondare, se non altro che sia dentro l’oceano.
Convinta di aver un nipote ambizioso, deciso a farsi un nome in una città grande duecento volte la nostra. O, forse, abbastanza esperta di mostri per avere il buon cuore di fingere che fosse così.
(Il sonno che non arriva fino alle quattro. Alzarsi con il mal di testa, mia madre che mi porta un succo alla pesca per colazione, con la cannuccia infilata già dentro, come non fossero passati più di vent’anni. Vestirsi e sentire la giacca tirare sotto le braccia, a livello dell’anima.)
“Mi spiace che tu non sia riuscito a venire all’addio al celibato”, mi dice Marco stringendo leggermente la mano sulla mia spalla sinistra. “Anche a me, gli altri mi hanno raccontato come è andata e mi sono mangiato le mani. È che al lavoro in questo periodo è un casino, è già tanto se son riuscito a prendermi questi due giorni”, mento. Prova a chiedermi qualcos’altro, ma viene afferrato per il gomito dal testimone e portato in chiesa perché, senza nemmeno qualche tradizionale minuto di ritardo, sta arrivando la sposa. Resto fermo sul sagrato, superato da amici e conoscenti che mi lanciano domande e bonari rimproveri in serie, come una catena di montaggio di convenzioni sociali che è inevitabile attraversare quando è un sacco che non ti fai sentire, è un sacco che non ti fai vedere, è un sacco che non ti trovo su Facebook. Lavoro. Impegni. Scuse improvvisate che migliorano e si arricchiscono di dettagli ad ogni nuovo giro. Ancora, e ancora. Finché, finalmente, arriva l’auto della sposa, che lascia scendere con una certa fatica un abito ingombrante dentro al quale si muove solenne un fascio di sorrisi tirati, lacca e trucco attraverso il quale riconosco Anna. La portiera si richiude svariati secondi dopo, lasciando srotolare con calma i commenti delle invitate e lo strascico bianco. Applausi mentre attraversa il sagrato, i tacchi che sopravvivono con qualche difficoltà ai cubetti di porfido. Qualcuno con l’occhio già lucido. Luca che progetta una maniera per saltare la celebrazione, cercando in giro un bar adatto e gli invitati giusti a cui scroccare minuti e sigarette. Sto per seguire la massa attraverso il portone quando vedo il mostro alla fine dello strascico, che si lascia trascinare come fosse Trinità. Non ho bisogno di chiedermi perché sia lì. Alzo lo sguardo sopra la sua espressione ridicolmente beota e la vedo in coda tra gli invitati, parlare con un’amica mentre scende gli scalini del duomo, ridere. Sembra felice. Sembra lei. Nonostante la capigliatura troppo elaborata, tutto quel trucco di cui non avrebbe bisogno, un vestito che è un incarto di caramella che le lascia libere le spalle. Quelle spalle. Quel neo. Non sono pronto. Cazzo, non sono pronto.
Corro dietro a Luca, che mi circonda le spalle con il suo braccio destro mentre acceleriamo il passo verso il bar. Magari entro a cerimonia già iniziata, ecco.
(Essere seduti a tavoli diversi, finire occhi negli occhi per qualche secondo di imbarazzo infinito. Alzare una mano, provare un’espressione gentile ma riuscire solo in una smorfia poco convinta, per nulla efficace. Non aver pensato a cosa dirle, non aver pensato a cosa potrebbe volermi dire lei. Non volerci pensare tutt’ora. Qualcuno che si azzarda a chiedermi se l’ho più sentita, se sto bene, se mi vedo con qualcuna e un altro miliardo di se che dribblo come posso. Mai stato un gran calciatore. Andare a salutare qualcuno al suo tavolo e far finta di niente. Girare lo sguardo un attimo troppo tardi quando si alza e attraversa il mio campo visivo. Capire che se n’è accorta. Guardare l’orologio. Controllare il cellulare ogni sei minuti netti, pregando in una telefonata di lavoro il sabato pomeriggio.)
Il mostro si gode beato antipasti, primi e secondi gentilmente offerti dal mio sistema nervoso.
Nel giardino sul retro del ristorante ci sono due altalene e più suv di quanto la media nazionale potrebbe far pensare. Mi siedo sulla tavoletta di plastica nera e ondeggio leggermente, la fronte imperlata di sudore appoggiata a una delle due catenelle di sostegno, a elemosinare quel po’ di frescura che pochi centimetri di metallo possono regalare. Dentro c’è troppo movimento, troppo alcol, troppo casino, e i principi della termodinamica non perdonano. Sotto i portici, lontano da me, invitati che chiacchierano, fumano, si scattano fotografie. Il musicista ben pagato per intrattenere gli invitati si prende una pausa davanti alla fontana all’ingresso. Tra poco qualcuno comincerà a ringraziare gli sposi, rassicurandoli sul fatto che è stato tutto perfetto, e si avvierà verso casa a smaltire la giornata. Sull’altalena accanto il mostro si gode la brezza e le poche stelle che le luci dei lampioni ci concedono. Chissà da quanto era qui fuori ad aspettarmi. Alzo la mano verso di lui, reggendo un bicchiere immaginario, e propongo un brindisi. “A noi due, vecchio. Ce l’abbiamo quasi fatta anche stasera.”
“Parli da solo, ora?”
La voce le esce meno sicura e sarcastica di quanto vorrebbe, la conosco ancora troppo bene per non accorgermene, ma il cuore salta un battito lo stesso. Il fatto che io non riesca a pensare a una risposta più intelligente di “ciao” conferma, come se ce ne fosse bisogno, chi sarà sempre nella posizione di vantaggio tra noi due.
Si avvicina senza fretta. Una ciocca di capelli fuori posto che le balla davanti a ogni piccolo movimento del capo, accarezzandole le labbra. Quelle labbra. Neanche tutto il rossetto del mondo potrebbe renderle diverse da quelle che ho imparato a memoria. Un altro passo ed è a cinque metri. I nostri sedici anni. Ancora un passo e siamo ai diciassette, al nostro primo bacio. Avanti veloce, correre attraverso i ricordi dei diciotto, diciannove, venti fino a rallentare all’altezza dei ventitré, ventiquattro, venticinque. La scarpa destra che affonda leggermente nell’erba ben tosata. Fermarsi con una pugnalata in mezzo al petto ai ventisei. Le nostre domeniche pomeriggio. Le nostre voci sotto le coperte. I nostri progetti, Cristo santo. I sabati sera promessi agli altri e poi tenuti solo per noi. Scegliere i nomi da dare ai figli che avremmo avuto, un giorno. Il suo basta. Fingere che fosse anche il mio basta. L’ultimo passo. Non riuscire ancora a far passare dell’aria sensata tra le corde vocali.
Ora è a portata di far male, e ancora non so dove vuole arrivare. Ci sono i suoi occhi e c’è tutto il resto che un po’ alla volta diventa soltanto una macchia sfocata. Giardino. Auto. Invitati. Voci. Il mostro le cede l’altalena al mio fianco -vai a fidarti degli amici- e si allontana tranquillo verso la confusione. Alla fine allora riesce a camminarci, su quelle gambe. Lei si sistema per quella che sembra una vita intera. Inspira profondamente e chiude gli occhi, poi lascia andare in un colpo solo l’aria e mi guarda in un modo che ho paura di riconoscere. Non sorride, ma la conosco troppo bene per non sapere che sta morendo dalla voglia di farlo.
Perfino i grilli adesso rimangono in silenzio. Siamo solo io, lei e tutto l’oceano di ricordi, scazzi, convinzioni fatte a pezzi e foto scattate mille volte per esser sicuri che vengano bene che c’è stato tra di noi.    
Se dobbiamo affondare, se non altro.
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