#raccontamiunastoria
C'era una volta in un regno lontano, una principessa di nome Elara che amava profondamente il suo innamorato, un giovane cavaliere di nome Leander. Un giorno, un malvagio stregone catturò Leander, promettendo di liberarlo solo se Elara avesse filato diecimila matasse di filo d'oro in un solo mese.
Disperata, la principessa iniziò a filare giorno e notte, ma ben presto si rese conto che il compito era troppo arduo per una sola persona. Fu allora che i suoi amati gatti, che avevano sempre vegliato su di lei, le si avvicinarono e, come per magia, iniziarono a filare il filo d'oro con agilità sorprendente.
I gatti lavorarono senza sosta, facendo ronzare i fusi del filatoio con un suono melodioso che riempiva l'aria. La loro dedizione e il loro amore per la principessa trasformarono il lavoro in un'opera d'arte scintillante. Grazie all'aiuto dei suoi fedeli compagni, Elara completò la sfida dell'astuto stregone.
Per ringraziare i gatti del loro aiuto inestimabile, la principessa chiese all'antica dea della luna di benedirli con un dono speciale. La dea, commossa dalla lealtà e dall'amore dei gatti, concesse loro le fusa, un suono dolce e rassicurante che da allora accompagna il loro riposo e il loro affetto verso gli umani.
E così, ogni volta che un gatto fa le fusa, si dice che stia ricordando la gentile principessa Elara e il suo coraggio nel salvare il suo amato Leander, tessendo un legame eterno di gratitudine e amore.
_______Fiaba rivisitata della Leggenda tedesca [dal web]
#fiabe #gatti #fantasia #pensierivintage
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Era un giorno di quarantena in bel mezzo di una pandemia, mi svegliai presto per essere da lei, quella sera avevo fatto tardi, colpa del cross play e gli amici, in quei giorni monotoni non potevi fare ben altro.
Mi svegliai con due occhi rossi, sembrava che mi ero fumato una canna di prima mattina, ma non era così, erano le due ore di dormita e le troppe a giocare davanti lo schermo.
06.00 AM. Suona la sveglia. Salto dal letto come se avessi dormito dodici ore di fila. Appuntamento fra mezzora giù nel parcheggio.
Di fretta e furia, metto sotto i denti qualcosa, subito nel bagno 5 minuti e passo nella mia stanza per sistemare quel casino e scendere. Sono in anticipo, scendo in cortile per guardare l'alba e fumare una sigaretta.
Uno spettacolo bellissimo, alla mia vista, non vedevo quei colori da molto tempo. Come lei, erano ben due mesi che non ricevevo un suo abbraccio, un suo bacio, il non poter sentire la sua mano sulla mia, il profumo della sua pelle, le sue labbra su le mie.
Si ci era accordati che una volta a casa sua, si dormiva sul divano per qualche altra ora e poi ci svegliavamo. E fu così. Alle sette meno dieci già ero a casa sua, ci mettemmo abbracciati a dormire sul divano. Lei si svegliò prima di me, quindi mi fece trovare già il caffè pronto a tavola.
Era un sogno a occhi aperti, lei che mi chiama, io che pian piano apro gli occhi e trasportato dal profumo del caffè arrivo in cucina, dove lei, con il tutto il suo splendore mi aspetta, mi aspettava, per cominciare una giornata insieme.
Buongiorno amore, con un bel bacio. Mi sedetti di fronte a lei, in modo da poterla ammirare, poter fissare i suoi occhi grandi e castani, i suoi capelli lunghi e biondi. Il secondo spettacolo della giornata alla mia vista ...
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Il rumore del punto di vista
03:59 È quello il numero che vedo sul display della sveglia dopo aver pensato per non so quanto a distese infinite di ghiacciai e acque gelide a perdita d'occhio. 04:00 Lo sento per la prima volta "pum" All'inizio lo scambio per un rumore notturno della casa. 04:02 Poi capisco che si ripete ad intervalli irregolari "pum". 04:05 Odio il mio lavoro, mi ricorda sempre le parole di un singolo di Peter Gabriel, lo shock della scimmia, sono io, una stupida scimmia che non riesce a dormire più di 3 ore a notte. 04:06 "pum" Ha cambiato punto della casa, forse stavolta più forte. Cos'è? Frigo? Termosifoni? voglio dormire chi se ne frega. 04:08 Forse per riuscire a dormire dovrei pensare allo spazio nero e profondo. 04:12 "pum" Beccato, sono in mutande sudate al chiarore di luna al centro del minuscolo saloncino del mio squallido monolocale in periferia, e individuo il punto di provenienza del "pum", la parete davanti a me,credo di aver sentito anche un grugnito, perché? 04:20 Tre volte, ho appoggiato l'orecchio alla parete, nell' appartamento accanto succede qualcosa, dopo il "pum" stavolta ho sentito il rumore di un oggetto caduto a terra in frantumi, poi un "merda" in un sussurro. Perché? 04:30 Non so chi sia il mio vicino, ma so che c'è stanotte e fa questi rumori, uno seguito da un "puttana". Sta sbattendo la testa di qualcuna al muro? 4 volte, ho contato, in 10 minuti. 04:45 Lo seguo,"pum, maledetta ti ammazzo", 6 volte, poi silenzio seguito da lamenti, "vieni qui che ti ammazzo". 04:55 Sono fronte alla porta del mio merdoso buco in affitto, voglio chiamare la polizia, rumori che si sono spostati al pianerottolo, ho sentito un colpo forte poi l'eco della porta che si apriva sul pianerottolo. La sua. La poveretta, si trascina alla mia porta, sento passo incerti, spalle alla porta compongo il 113,non chiamo, prima voglio vedere, sudato mi giro, forte colpo alla mia porta, cerca aiuto, metto l'occhio sullo spioncino,"bam", sussulto, buoi non vedo nulla, voglio guardare, poi lentamente un dito scivola sullo spioncino , lascia una viscida scia di sangue, mio dio, sento ridere, sghignazzare. 05:10 Apro con un sussulto e una foga che faccio cadere il cellulare senza avviare la chiamata....... 05:12 Urlo "lasciala" rimbomba per tutte le scale come un tuono, un'ombra mi affronta scivolandomi addosso , cadiamo sul pianerottolo, tento di bloccargli la mano, la vedo quasi schiacciata sui mie occhi,vedo la zanzara morta sul palmo. 05:20 Ora so perché.
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LA CASA DISTRUTTA
Di come le paure si ereditano.
Tanto tempo fa un ragazzo viveva in una bellissima tenuta di campagna con bianchi mattoni che scoprivano piccole crepe e mattoncini rossi a vista, immersa in una brughiera verdeggiante che declinava leggermente verso sud, seguendo il pendio dei monti attorno. Il luogo era adorabile, ma ahimè , come a volte accade, chi vive lontano dalla città sente il bisogno di ricreare nei piccoli spazi gli stessi ritmi frenetici di questa,così se foste passati davanti a quella casa di campagna, la prima cosa che avreste notato sarebbero stati gli ordini della governante che piombavano sugli altri due sventurati abitanti della casa. La sua voce partiva da una stanza e rimbalzava tra le pareti e rincorreva la persona a cui era diretto l’ordine. . – Buonanotte, piccolo mostro- era il saluto che la governante gli serbava prima di coricarsi, ricordandogli i piccoli momenti di ribellione che si era concesso, forse troppo intensi e allo stesso tempo lontani e l’alba sarebbe tornata a pizzicargli le pupille il giorno dopo.
Dieci anni fa il ritrovo per le megere era il pozzo, alle dieci di mattina , riunite in crocchio tutte le donne del quartiere. Ma quel giorno, appena arrivata, Sofia venne richiamata a casa dalla voce della sorella , gli zoccoli di legno sbattevano forte sul selciato: era successo qualcosa di grave, e significava botte. Rientrò in casa trafelata per la corsa e la paura, sudava freddo. Per conto di un’amica era riuscita ad ottenere lavoro come governante presso la casa in campagna di un importante commerciante d’armi. Le botte non c’erano e tutti erano felici perché la paga era buona. La sera festeggiarono con polenta , salsiccia e buon vino, perché altri soldi sarebbero entrati in casa, e c’era bisogno di soldi. Erano quindici anni che lavorava lì, e al posto del pozzo c’era solo un’immensa distesa di orzo, sulla quale danzava il profumo del tabacco da pipa aromatizzato, che il maggiordomo fumava al piano di sopra.
Il maggiordomo aveva studiato , non molto e male, aveva studiato in lingua francese e si rivendeva spesso questo latinorum con i contadini. Aveva strutturato l’educazione del ragazzo fin da principio basandosi su ciò che sapeva lui, conoscenze che con l’età si affievolivano, e soltanto molte storielle tratte dalla sua vita personale riuscivano ad occupare le lunghe ore di lezione.
Era ancora in fasce il bambino quando si svolse l’unica conversazione riguardo la sua istruzione: si decise che dopo un’infarinata iniziale, il padre avrebbe preso in mano e diretto lui stesso le redini del futuro del suo pupillo, rendendolo un erede degno del padre.
Ed arrivarono col tempo sempre più insegnanti dalla grande città, giovani che avevano già le rughe, pallidi e ingobbiti passavano sotto la luce estiva come ombre sfuggenti, affamati e stanchi. L’erede divenne sempre più impegnato con le lezioni che venivano a fargli i professori dalla città lontana. Le lezioni si tenevano in uno studio ampio al piano terra, con le tende mezzo abbassate per nascondersi alla luce del sole. Molti facevano fare sempre i conti con i fagioli, oppure volevo giocare con le fave in lingua straniera o conteggiare i soldi dovuti con i ceci, per mangiarsi le fave con la buccia di nascosto sotto il tavolo;tutti volevano fare sempre merenda, in città si mangiava poco e male.
Le lezioni erano sempre considerate eventi mondani per gli abitanti della casa, convinti che data l’importanza dell’evento, questi avrebbe garantito un sapere forte e duraturo al ragazzo, ma in realtà quelli erano scheletri ambulanti che vendevano parole piene di polvere, morivano in un verbo irrealizzabile e nelle vite di chi tentava ogni volta quelle idee, inabissandosi con loro. Sfuggiva a tutto questo l’estate, quando i suoi professori smettevano di venire, lui trascorreva quelle ore perse d ‘ inverno, stando ore sotto querce secolari, anche quando l’ aria afosa non avrebbe permesso ad animale di qualsivoglia specie di mettere piede fuori dall‘ ombra di casa, dove tornava la sera, trafelato, tra le strade stanche di campagna che d’ inverno ritornavano, dopo essere state spianate in primavera, storte e vorticanti .
Era una tarda mattinata alla fine di marzo, il sole albeggiava rischiarando il terreno attorno, era uscito vedendo che il gelo dell’inverno era passato, camminava aspettando l’estate ancora lontana a venire come i primi boccioli dei fiori, ma si sa che alcune piante , nate da un seme sparso dal vento con forza e tenacia sopravvivono alle stagioni favorevoli dei campi, e nate in un mese poco consono , passano tutta la vita a lottare contro il tempo, rinnovando ad ogni stagione la loro volontà di vivere. Quell’ albero era un melo e vide delle mele! Si arrampicò sull’albero per coglierle e, mentre saliva, scorse una rudere poco distante dal melo, un ‘ accozzaglia di tegole a falde bruciacchiate che si alzavano verso un ‘ asta , il tetto poi scompariva, per poi riprendere con la parte posteriore della casa piegata verso la depressione che finiva con una grondaia che scrostata per metà dal cornicione, rimaneva lì a penzoloni .La cosa più affascinate che avesse mai visto.
Il giorno delle compere, quando la governante doveva andare in città, solo quel giorno poteva dedicarsi a tale impresa. Il ragazzo si era armato con vecchie borracce e ramponi del padre credendo che l’ esplorazione della casa sarebbe stata difficile e pericolosa, ricca delle avventure che aveva letto e visto alla televisione. Arrivato nei pressi della casa faticò molto a tagliare le erbacce, copiose, che avevano lambito i resti dell’edificio. La casa era stata sventrata dall’esplosione di una bomba, che caduta poco distante aveva bruciato e distrutto metà dell’abitazione, finito il suo effetto, e roso ai minimi il pendio sul quale era precipitata, era rotolata nel cuore della casa stessa. Si potevano ancora ben distinguere il primo pian ed il soppalco,i mattoni sgretolati dal calore indicavano l’energia che si era sprigionata dall’esplosione, e i muschi che ricoprivano la scena tutt’intorno indicavano che l’evento era avvenuto parecchio tempo addietro. Eppure era ancora lì, la madre storta, arrugginita e bruciacchiata era là che ancora giaceva isolata al centro di tutto, circondata dalla distruzione, tanto potente da trasformare una villa in un rudere in pochi minuti, da rendere il duro lavoro solo polvere. Il ragazzo scrutava quel luogo mistico con paura e stupore, la stessa sensazione che si ha quando ci si trova di fronte a chi è più potente di noi .
Nel corso degli anni tornò molte volte alla casa, inventando fantastiche avventure, ricordando quel luogo con un sentimento mistico e d’avventura: la liberazione dalla vita quotidiana.
Come l’inverno scende sull’estate così il lavoro calò sulle piante ed i ruderi del giovane. L’erede fu tale di un enorme patrimonio dato che sua madre era morta di parto ed era figlio unico, l’unica persona che gli era rimasta era la governante, dato che il maggiordomo era morto due anni prima,già avanti con gli anni, non poté fare altro che licenziarla con una copiosa pensione e riprendere gli affari del padre per iniziare a lavorare. Scoprì d’essere ricco, ed essendo ricco si credeva anche potente ed esperto e per quanto si fosse messo in testa di voler fare il mercante di stoffe gli mancava l’esperienza , il contatto con la gente , le città, per lui tutto questo era nuovo e molte volte si fece sopraffare dalla sua nuova vita e tutte le volte che fallì miseramente dovette attingere ad un patrimonio che si consumava ad ogni sconfitta, di più. Fortunatamente alla fine , esportando in Europa tessuti sintetici indiani alle grandi aziende produttrici di vestiti riuscì a diventare un mercante di discreto successo.
Gli affari andavano bene, così pensò d’iniziare a produrre lui stesso il prodotto, ma per riuscire doveva iniziare ad ingrandire la sua impresa e gestirla utilizzando tutti i vecchi contatti del padre; iniziò a lavorare giorno e notte , a pensare solo e sempre al lavoro in maniera perduta e famelica. Viaggiò per molti anni più volte intorno al globo, vedendo sempre e solo le stesse stanze , gli stessi volti anonimi, lo stesso sprezzante egoismo.
C’era un’aria azzurra nella stanza, da fumo di sigaretta,spoglia, senza mobili, un sottile strato di polvere ricopriva il pavimento. Lei era seduta su una sedia , unico oggetto che occupava quella landa desolata, sembrava quasi un trono col suo legno massello e i riccioli attorcigliati sulla spalliera. Vestiva una pesante pelliccia di visone per scaldarsi, a stento. Si trattava in Russia di affari indiani: gli veniva offerto un prezzo più basso del 10% per il prodotto lavorato, con possibili ulteriori riduzioni del prezzo se era disposto ad investire nella ricerca della plastica riciclata a livello industriale. Lei rappresentava l’azienda offerente, era una donna bellissima, aveva una voce dolce che pronunciava poche parole che definivano bene la situazione, quasi offensive, ma tanto secche da colpire l’argomento e chi ascoltava nel profondo. Aveva zigomi pronunciati e occhi azzurri, terribilmente limpidi . Come al solito gli affari da sbrigare erano più di quelli riferiti ad una semplice compravendita. Tra multinazionali è buona educazione coprire i propri crimini contro l’umanità a vicenda. Accettò l’offerta e scoprì che la donna dagli occhi celestiali era la segretaria nonché concubina di un poco noto industriale indiano che aveva trovato un nuovo modo per creare tessuti attraverso la plastica riciclata risparmiando di molto sulla qualità e costo del prodotto. I due dovevano mantenersi in contatto sempre più speso per motivi di lavoro, anche se lei era anche concubina del suo padrone, il che avrebbe impedito un rapporto tra i due, ma il padrone presto si accorse di quello che stava succedendo, ed iniziò a presentarsi sempre e solo con lei sottobraccio ai summit di lavoro , alle cene ai gala, persino nei bar di Nuova Dheli e Mosca dove discutevano le questioni più delicate, credendo di poter indurre il suo compratore a fare affari svantaggiosi per lui e vantaggiosi per sé. Il padrone era un uomo abbietto, volgare l’unica cosa che gl’interessava nella vita erano le donne oltre che gli affari, per cui i suoi argomenti per intrattenere l’ospite a cena erano sempre e solo a sfondo sessuale, noncurante di lei che invece riusciva sempre a mimetizzarsi con l’ambiente circostante: era sofisticata ai balli di gala e sapeva elencare a memoria i bar di San Pietroburgo dove si poteva bere la miglior vodka. Dopo sette anni di tortura decise di chiedere al padrone di poterla avere, questi inizialmente rifiutò, ma ripensando alla bellezza della donna che iniziava ad appassire, acconsentì al matrimonio per poter poi andare a cercare una stagista più giovane con la quale dilettarsi. L’azienda era cresciuta di molto dalle stentate origini, erano gli inizi degli anni novanta e la trovata d’importare materiale riciclato in Europa a metà anni ottanta aveva fruttato molti soldi all’imprenditore, ma il destino vero della sua azienda si giocò in una piacevole serata di marzo a San Pietroburgo, alle due e mezza di notte. Era ancora sveglio e fissava il vuoto, capendo che da lì in poi la sua azienda avrebbe dovuto affrontare un inevitabile declino: non era più sulla cresta dell’onda, ora molte altre aziende avevano la possibilità di accedere ad un prodotto come il suo, non era più un esclusiva . Ma lui i soldi ne aveva fatti a palate , ora poteva guardare la sua azienda declinare e spegnersi e gestendo bene il suo patrimonio , avrebbe potuto far vivere lui, la consorte e i futuri figli di sola rendita. L’alternativa era buttarsi in un bordello che aveva immaginato solo da giovane: giocare in borsa, comprare e vendere , spostare il proprio patrimonio nei paesi che lo agevolano, essere sempre informati e sempre pronti in modo da rimanere sulla cresta dell’onda. Sorrise pensando a come vivere una vita del genere potesse diventare maniacale, eppure iniziarono a fiorirgli in mente tutte informazioni su nuove tasse, su aumenti delle spese , sulle possibili multe . Il riciclaggio stava per essere regolamentato, il controllo qualità alzato e lui avrebbe dovuto far fronte a tutte le spese, senza contare che se un incidente o un problema venivano a bussare alla sua porta lui come capofamiglia avrebbe dovuto pagare anche per conto della moglie e dei figli. Iniziò ad agitarsi, capì che il suo lavoro non era finito salvando la persona amata dalla schiavitù sessuale , adesso doveva proteggere la sua famiglia dal mondo. Iniziò un viaggio infinito che s’interrompeva di piccole pause dove faceva finta di essere padre, dove la madre rimembrava i magri incontri giovanili e malediceva la sua sorte che avrebbe voluto farla donna in carriera, il figlio ereditando la nostalgia paterna iniziò a desiderare che quell’uomo tornasse, ed ogni volta che dormiva per una settimana o meno a casa lo faceva felice, poi ripartiva aprendo una ferita che si rimarginava appena per il ritorno. Quando fu abbastanza grande per capire continuava a chiamarlo papà, pur sapendo che per lui quel nome ora non aveva più alcun senso.
La moglie era morta quindici anni dopo il matrimonio , stroncata da un infarto, ultima bevuta che aveva dovuto pagare per essere nata e cresciuta nei bassifondi di Mosca, il figlio gliel’aveva portato via la droga conosciuta a Londra. Aveva provato a riportarlo a casa , a farlo curare , ma lui ogni volta scappava via , ed ora non sapeva più nemmeno se fosse vivo o morto. Alla fine tornò nella casa dov’era cresciuto, sperando in qualche modo di poter ricominciare e non aveva niente come allora. S’illudeva di poter ricominciare davvero di nuov, ignorando i fantasmi che si era portato dietro dalla vita trascorsa. Aveva solo sessantott’anni e fissava il giardino.
Era un parallelepipedo di terra coltivata, strappata alla vegetazione incolta circostante, i lati di questa geometrica figura erano costituiti da una recinzione solidale a piante di rosmarino molto alte che ne sottolineavano bene il circondario. L’intento iniziale era stato quello di usare l’alloro come pianta delimitante, ma questo era stato preso di mira da piante infestanti ed ora , in corrispondenza dei vertici della figura, stavano numerosi cespugli, soffocati dalla sanguinella che aveva messo radici per gran parte del terreno disponibile, tanto da emanare un tanfo nauseabondo per tutta la casa durante il periodo di fioritura. Dove la sanguinella non era ancora arrivata facevano capolino stentati grappoli di rose giapponesi, circondate da mediocri ciuffi d’erba, che a causa del lungo rigore invernale non riuscivano a superare i trenta centimetri d’altezza; ed anche questa s’interrompeva dove pozze d’acqua stagnanti in autunno avevano scavano il terreno, permettendo alla vegetazione solo di lambirlo, ed in particolare abbracciavano questi solchi delicati ciuffi d’erba. Nel periodo estivo a fare compagnia all’erba, c’era la lavanda col suo buon profumo, a creare altre zone penose erano una decina di palme piantate in gran numero, già cresciute, da tempo giacevano come statue deformi, a resistere c’erano gli aceri nani che ogni primavera rispuntavano dal pesante manto nevoso. Le pianti infestanti che danzavano intorno ai ruderi non c’erano più, come i giorni perduti.
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