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#ricercar primo
ballata · 21 days
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Vi spiego perché amo Israele: solo storia no politica.
Con la fine della 2ww a partire dal 46, gli agenti del Mossad fecero di tutto per recuperare attrezzature appartenute alla Xª MAS da utilizzare per le loro missioni.
Nel giugno del 46 ci fu un primo incontro tra Ada Seréni ( Mossad in Italia) e il capitano di vascello Agostino Calosi, capo del Servizio Informazioni Segrete (S.I.S.) della Marina, lo stesso ufficiale che aveva fatto prelevare il comandante Borghese al termine della guerra, in modo che fosse processato e non giustiziato.
Dopo aver avuto l’assenso dalle superiori autorità, Calosi ordinò al capitano del genio navale Nino Buttazzoni, ex comandante del battaglione nuotatori paracadutisti, di ricercare il personale più adatto da inviare in Israele.Non poteva essere ovviamente impiegato il personale ancora in servizio e si decise quindi la strada “non ufficiale” ovvero l’impiego di ex militari dei reparti d’assalto della Regia Marina, sia della Xª M.A.S. che di MARIASSALTO. Alcuni accettarono, tra questi il capitano Geo Calderoni, ex appartenente al battaglione nuotatori paracadutisti, e il tenente di vascello Nicola Conte, operatore di S.L.C., che avrebbero istruito gli assaltatori subacquei.
Come istruttore dei mezzi d’assalto di superfice si offrì il capo di terza classe Fiorenzo Capriotti, ex pilota di barchini esplosivi.
Dei 3 personaggi, sopra menzionati, Fiorenzo Capriotti fu elemento fondamentale per la creazione della “Shayetet 13” o “Tredicesima Flottiglia”.
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amamiofacciouncasinoo · 4 months
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Provate ad abitare in un corpo di cui non avete il controllo, che dalla mattina alla sera vi piega in due, che da una settimana all'altra cambia forma, immagine, dimensione, diventando estraneo a te stesso, bruciando tutto ciò che ha attorno, e ripete questi cicli continuamente nel tempo.
Provate ad abitare in un corpo che decide per voi se potete uscire la sera, se potete assaggiare il primo piatto al pranzo di Natale, se potete andare in vacanza in quel posto che amate tanto.
Provate ad abitare in un corpo costantemente sottoposto a giudizi, perché altro non sono. "Sei anoressica!", "Non mangi niente!", "Ma quanto mangi?", "Ehh beata te che hai quel metabolismo", "Hai messo qualche chiletto?", e pensare che dietro non ci sono scelte estetiche, ma una malattia che non vi fa assorbire alcun nutriente, o che vi gonfia da matti quando si assumono molti dei farmaci utilizzati.
Provate ad abitare in un corpo che viene costantemente osservato, studiato, sottoposto a cure dolorose, a volte devastanti. Un corpo desiderato come strumento, come una cavia, come se la tua mente fosse costantemente esclusa e contasse solo quella pancia e quella malattia a cui di te, non importa nulla.
Provate ad abitare in un corpo che vi fa disperare spesso, che vi strema quando le terapie non fanno effetto, che vi fa raggomitolare a letto tra i dolori, che vi conduce con frequenza nel solito ospedale tra le solite pareti bianche.
E non importa quanti anni tu abbia, non importa lo stile di vita sano mantenuto fino a quel momento, non importa l'urgenza di finire la scuola, o andare al lavoro, o occuparsi dei proprio bambini.
Non importa chi tu sia, lui viene prima.
E ora provate a raccontarlo, a chiedere attenzione e cura, a ricercare amore ed empatia.. Senza avere nulla da mostrare.
Perché questo corpo le cicatrici e i tagli li nasconde e protegge dentro di sé.
Sotto strati di pelle custodisce la storia più grande.
E così, spesso, una caviglia slogata riceve maggiore rispetto.
E così, spesso, chi hai intorno si dimentica che la tua battaglia non ha il pulsante "pausa", né "fine".
E così, spesso, ci ritroviamo davanti allo specchio e ci sembra che questo involucro non ci rappresenti.
Ma non è così, non è così..
Oggi è la Giornata Mondiale delle Malattie Infiammatorie croniche intestinali, il Morbo di Crohn e la Colite ulcerosa, anche dette Malattie Invisibili.
Il mio invito è quello di andare oltre le apparenze, di aiutarci a rendere la nostra malattia Visibile.
Di darci coraggio, anche se, spesso, non potete vedere i segni della nostra battaglia.
S. Parisi
"Non sai quanto sei forte, finché essere forte è l'unica scelta che hai." 🌸
Buon World IBD Day a tutti 💜
#makingtheinvisiblevisible #WorldIBDDay #AmiciOnlus #invisiblebodydisabilities
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susieporta · 11 months
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Come si fa a sopportare la paura nell’attesa del responso? Aspettare una settimana, due, un mese. Lasciarne passare uno e mezzo, cedere alla dimenticanza che copre la rimozione. E poi decidersi, rifare la strada verso l’ambulatorio, la clinica, l’ospedale, chiedere al banco informazioni: “È qui o di sopra che si ritirano gli esiti degli esami?”. Come si fa ad abitare lo spazio del ‘tutto è possibile’: non cambia nulla o cambia ogni cosa. Prendere il numero, attendere il turno, tenere a bada la bestia ponderosa nel petto. Cartelle di plastica, stampelle, monitor controllati compulsivamente. A037, F016. L’ironia della cassiera, un lavoro come un altro quello di dispensare sentenze sul corpo, ci si abitua a tutto, non si dice così? Le voci degli altri che affiorano e svaniscono, primo piano e sfondo: la figlia che accompagna i genitori anziani a lamentarsi per un esame slittato di un anno, la donna che quasi esulta per un posto libero la settimana prossima. E intanto far finta di nulla, nessuno che veda la nube irrespirabile tra petto e gola, i piccoli angoli di aria da ricercare di lato. Ho un corpo allenato a reggere l’urto, sul momento, – come gli acrobati da circo, direbbe Campo, qualsiasi condizione – è dopo, semmai, che lo vedi crollare. L’orrore che si irradia nei gesti: l’apertura del portafoglio, il documento da porgere, l’ombrello assicurato al braccio. Il pensiero accantonato da oltre un mese, l’appuntamento proiettato lontano, manca ancora un sacco!, la danza dubbiosa tra statistiche e immaginazione: ora si prendono tutto, è il loro momento.
La biopsia stampata: “Vuole una busta?”. La cassiera sudamericana che ride: “Non guardo, c’è la privacy”. E poi allontanarsi: la apro subito o aspetto un passo, due, ogni metro in avanti rimanda ancora un po’ il momento, ritarda l'esecuzione. Mi siedo e la apro?, tornare in strada, no basta ora, qui, sulle scale di pietra, leggere a ripetizione, confondersi tra quesito diagnostico e conclusioni. Era un neo irregolare ma benigno, confermerà poi la dottoressa. Ma quanta speranza ogni volta ci vuole, e che mistero che dopo ci si scopra ancora tutti interi.
Jonathan Bazzi
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multiverseofseries · 6 months
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Dune
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LA RECENSIONE IN BREVE
- Dune mette in scena solo la prima metà del romanzo, gettando solide basi per reggere una storia estremamente complessa.
- Villeneuve prende decisioni che possono piacere o meno, ma dimostra piena consapevolezza della materia narrativa che sta adattando.
- Il minuzioso world building non rappresenta una premessa, ma è essenza stessa di Dune.
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«Io sono un seme» è ciò che dice Paul Atreides a circa metà del romanzo scritto da Frank Herbert nel 1965. Una rivelazione indottagli della spezia geriatrica, la droga che altera la percezione spazio-temporale, e che impregna l’aria di Arrakis, o meglio conosciuto come Dune. È in quel momento che il ragazzo smette di essere, improvvisamente, solo un ragazzo. E per la prima volta, Paul, figlio del Duca Leto Atreides e Lady Jessica, educato dalla donna alle sacre vie del Bene Gesserit, esprime consapevolezza di sé, trovando alcune dolorose risposte alle sue domande, nella conclusione del primo arco narrativo del suo personaggio. Primo arco narrativo di molti, tanti quanti sono i nomi con cui verrà chiamato all’interno del libro: Muad'dib, Usul, Lisan al Gaib, Kwisatz Haderach, Madhi. Un seme, creato con un determinato scopo, certo, ma dalla crescita imprevedibile, che penetra in profondità, si diffonde, si trasforma, e modifica il territorio circostante.
Dune di Frank Herbert, è uno dei romanzi di fantascienza più influenti di sempre, il libro ha dato origine a una saga che ha cambiato profondamente l’immaginario collettivo a partire dalle sue fondamenta, è esso stesso un seme. Lo è nel suo modo di contenere tutta una serie di idee, temi, suggestioni, capaci di sbocciare in luoghi e situazioni sempre diverse, senza però perdere specificità. Perché, questa saga, dietro la sua facciata di epica eroica di tradizione classica, che sembra solo apparentemente seguire il monomito, ovvero il viaggio dell’eroe (di cui, in realtà, Dune rappresenta un’aspra critica), la storia di Paul e dei Fremen, il popolo nativo di Arrakis, è invece un romanzo che a volte sembra un trattato di filosofia, di psicologia, di etica o di religione. Altre acquista connotati politici, parlando di lotta di classe e degli effetti del colonialismo, mettendo in discussione sia le figure messianiche che i leader carismatici. Altre ancora assume la forma di un’eco-narrazione che anticipa alcune delle problematiche che oggi sembrano più urgenti che mai.
Anche la prima parte dell’adattamento di Denis Villeneuve, in cui è Timothée Chalamet ad interpretare Paul Atreides, è un seme. O perlomeno, il primo stadio di un qualcosa che sembra destinato ad acquistare forma. È, però, necessario prima piantarlo per poi poter godere dei suoi frutti, ed è quello che Villeneuve ha provato a fare con il suo Dune, che segue piuttosto fedelmente la storia di Herbert, ma risulta anche intimamente villeneuviano,(scusate l’aggettivazione). È qui che forse c’è un equivoco di molti: il ricercare compiutezza in un’opera che per sua natura rappresenta un inizio. Questa versione di Dune è un tentativo di gettare solide basi per reggere una storia ancora più complessa, non tanto nell’intreccio, quanto nella stessa costruzione del suo stesso mondo. Di fatto, si tratta della prima parte di un dittico, e come tale deve essere considerata.
In molti lo hanno ripetuto così tante volte da farlo divenire un logo comune: Dune è un libro impossibile da trasporre al cinema. Potrebbe essere vero ma solo in parte, nel senso che un adattamento presuppone sempre il dover fare alcune scelte, perché a un cambiamento del mezzo di narrazione deve seguire, necessariamente, un cambiamento della stessa materia narrativa. Sta di fatto che il romanzo di Herbert è così denso, stratificato e colto, da per poter essere raccontato in un altre forma che non sia il libro, figuriamoci quella filmica che ha durata limitata. il libro di Herbert lo si può paragonare a un prisma dalle molte facce, che riflettono la luce in modo diverso a seconda di come le si guarda. Ora immaginate di dover dipingere quel prisma. Prima di tutto è necessario scegliere come orientarlo e farlo colpire dalla luce. È quello che fa Villeneuve, insieme ai co-sceneggiatori Jon Spaihts e Eric Roth, prendendo delle decisioni che possono piacere o meno, ma dimostrando una profonda consapevolezza. Mancano dei personaggi questo è vero e alcuni snodi non sono ancora esplicitati, ma non era difficile aspettarsi qualcosa di diverso da questo. 
Il Dune di Frank Herbert è realmente uno strano oggetto letterario. Ha un approccio molto concreto al mondo che racconta, costruendo nei minimi dettagli interi ecosistemi per soffermarsi poi in maniera particolare a delineare il contesto dal punto di vista politico e socio-economico. C’è una parte del romanzo in cui il Duca Leto (nel film interpretato da Oscar Isaac) discute dei salari da offrire agli estrattori di melange, la sostanza presente solo su Arrakis e che permette i viaggi interstellari, il cui monopolio è detenuto dalla Gilda spaziale. Leto ha, infatti, ricevuto dall'Imperatore Padiscià Shaddam IV, che governa l’Universo, l’ordine di trasferirsi dal suo pianeta natale Caladan ad Arrakis, subentrando ai nemici di sempre, gli Harkonnen, per gestire la raccolta di spezia.
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Shai Hulud è il termine usato dai Fremen per indicare i vermi delle sabbia, ossia l'incarnazione fisica della loro unica divinità.
Si tratta di una scena, quella di cui sopra, rievocata nel film di Villeneuve di sfuggita, con una sola linea di dialogo, non particolarmente importante ai fini della trama, eppure per me sufficiente per comprendere il tono dell’adattamento. Una situazione che poco c’entra con una storia nota per le atmosfere lisergiche e un certo gusto per l’eccesso, elementi enfatizzati dai due prodotti culturali più noti legati al libro: il grandioso e folle progetto naufragato di Jodorowsky nel 1975, raccontato in Jodorowsky's Dune, documentario del 2013 di Frank Pavich, e l’affascinante quando confuso disastro di David Lynch con Kyle MacLachlan del 1984 - a cui, nonostante tutto, voglio benissimo, anche solo per aver ispirato l’avventura grafica omonima, quella sì un capolavoro, di Cryo Interactive del 1992.
Dune è anche questo: l’approccio è spesso pragmatico, l'atmosfera più mistica che lisergica, il tono più solenne che eccessivo. Il film di Villeneuve è così, presenta un’austera grandiosità estetica, coerente con la visione d’insieme. La fotografia di Greig Fraser è caratterizzata da toni scuri, metallici e terrosi, mentre nella scenografia ricorrono forme geometriche e massicce, soprattutto negli edifici di Arrakeen, modellati sulle ziqqurat mesopotamiche, o nei fregi dei palazzi che ricordano i bassorilievi neoassiri. Antichità e futuro si incontrano quasi per alludere a un tempo fuori dal tempo, e non si è  fuori strada si parlasse di «tempo del mito». Mentre il vasto deserto, territorio dei Fremen dei giganteschi Shai Hulud, i vermi della sabbia, fa il resto.
Anche se narrativamente sobrio, Dune colpisce per la semplicità con cui racconta gli eventi, senza banalizzare o semplificare una vicenda parecchio strutturata già di per se. Villeneuve fa delle scelte e, per esempio, tutto il contesto religioso (e in particolare il ruolo del Bene Gesserit, ordine religioso matriarcale che muove i destini dell’Impero e che sarà al centro di una serie TV attualmente in pre-produzione), viene relegato un po’ sullo sfondo, presente solo in alcune pennellate. È anche vero che il libro è fatto di parole, pensieri, annotazioni. D’altronde, ogni capitolo del libro è corredato da estratti tratti dai testi storiografici della principessa Irulan, figlia dell’imperatore. Mentre il film di Villeneuve, puntuale nell’esporre l’intreccio, costruisce il suo mondo e delinea i rapporti anche attraverso sogni, allusioni, piccoli dettagli e, soprattutto, sguardi e gesti. Un linguaggio corporeo che va a sostituire il flusso costante di pensieri dei personaggi letterari.
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Il Bene Gesserit è la sorellanza che muove i destini dell'Impero, il cui compito è quello di incrociare e conservare le linee genetiche delle casate.
Villeneuve utilizza così le lingue, anche quelle dei gesti, in modo fluido, forse anche più del romanzo, dove l'uso di nomi e termini mutuati dalla lingua araba erano comunque fondamentali nella costruzione culturale di Arrakis. Ma non è la prima volta che il regista dimostra una certa attenzione verso tematiche come il valore fondante del linguaggio nell’identificazione culturale, il suo ruolo nell’intrecciare relazioni e la possibilità di alterare la percezione del mondo. Lo aveva fatto nel suo film più peculiare: Arrival del 2016. Che anche in quel caso si trattava di un testo letterario molto difficile da trasporre. A Villeneuve, del resto, piacciono le sfide e spesso non sembra nemmeno interessato a dare al pubblico quello che vuole o si aspetta.
Riprendendo il discorso sul linguaggio, e in particolare a come nel film è stata resa la famosa Voce, ossia una tecnica Bene Gesserit che influenza il subcoscio di chi l’ascolta attraverso la modulazione del tono, presta il fianco anche a un altro aspetto dell’opera che non lascia indifferenti: suono e colonna sonora contribuiscono in maniera attiva alla definizione del mondo stesso. Il sound designer Theo Green, che aveva già lavorato con Villeneuve in Blade Runner 2049, fa qui un lavoro impressionante nel modulare intensità e volume, giocando con l’assenza di suono in brevi, ma significativi momenti. In questo, lavora in sinergia con Hans Zimmer, che compone una roboante colonna sonora, certamente ingombrante, ma di grande importanza narrativa. Il risultato è una base sonora costante, granulosa e avvolgente su cui si innesta il racconto, e che dà costantemente la sensazione di arrancare e sprofondare nelle sabbie di Arrakis.
Giocando sulla contrapposizione tra i campi lunghi degli sconfinati paesaggi, i primi piani e dei dettagli, la macchina da presa indugia spesso sui volti dei personaggi e in particolare gli occhi. Sono gli occhi blu - per effetto della spezia geriatrica - di Chani (Zendaya) che appare nei sogni di Paul; quelli del popolo di Arrakis che accoglie il giovane duca al suo arrivo sul pianeta al grido di Lisan al-Gaib, «la voce da un altro mondo»; quelli forti, consapevoli ma spaventati di Jessica, mentre cerca di far convivere gli obiettivi del Bene Gesserit con i propri, in un’interpretazione notevolissima di Rebecca Ferguson.
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I Fremen sono i misteriosi abitanti di Arrakis. Vivono in insediamenti segreti chiamati sietch.
Timothée Chalamet è un Paul abbastanza coerente con il personaggio del libro, ma forse troppo monocorde. Di certo, non ha avuto la possibilità di emergere completamente. In questa parte della storia, Paul è un ragazzo in balia di forze che hanno segnato il suo destino, alla ricerca di se stesso.
La vera sfida d’altronde, non è cercare il Dune di Frank Herbert in quello di Villeneuve, ma provare a capire cosa il regista stia cercando di dirci attraverso Dune. In questa prima parte di un progetto più articolato, si può certamente intuire il percorso intrapreso da Villeneuve, all’interno dei tanti offerti da Frank Herbert. È un seme, come detto in precedenza, e bisogna capire dove piantarlo e cosa nascerà.
È comunque difficile guardare a un film come il Dune di Denis Villeneuve senza però sentire la voce di tutta la tradizione precedente e senza farsi influenzare dal peso dell’opera originale o dalle visioni dei diversi autori. Dune è, forse esagerando, il Gilgamesh del nostro tempo, o almeno la cosa più simile a un poema mitologico declinato in forma post-moderna. Contiene, come le grandi epopee antiche, molti dei temi della cultura da cui ha preso forma. Ma allo stesso tempo, è uno dei principali modelli per tutte le storie di fantascienza che sono venute dopo. Non solo un libro inadattabile ma il libro che forse più di tutti può ambire allo status di mito, quando si parla di narrazione investita di sacralità e significatività. A livello estetico, il film è eccezionale. Si questa solennità può essere, in un certo senso, interpretata come mancanza di originalità, ma in verità credo che la forza di questo adattamento di Dune sia nelle cose molto più piccole. Proprio nei piccoli dettagli sullo sfondo, nei gesti dei personaggi che hanno tutti, sempre un significato, nonostante esso spesso non sia esplicitato. Nella cura con cui una parola, detta in un determinato modo, alluda invece a un mondo intero. In questa storia, del resto, il world building non rappresenta solamente una premessa ma ne è essenza stessa. Quello che manca in un film che forse sarebbe stato meglio chiamare Dune Parte I è, letteralmente, l’epica. Ma quella verrà dopo, perché in questa fase della storia non era prevista. In questa fase abbiamo il racconto di una crisi, dello smarrimento, di morte e rinascita. L’epica verrà dopo, si spera.
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nonhosbattii · 7 months
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in che senso il 90% dei rapporti occasionali?
Che è mille volte meglio la fase iniziale. Quella in cui ci si guarda, ci si provoca. L'atto del sesso in sé è una cosa come un'altra. Ti toglie lo sfizio ma a fine di tutto ti lascia comunque insoddisfatto e di conseguenza vuoi ricercare nuovamente il brivido del primo sguardo.
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unapinetaamare718 · 1 year
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Pasticceria e dolcezze
Nel Medioevo si ha la distinzione tra cuochi e pasticcieri e, con la scoperta della canna da zucchero, nasce la vera pasticceria. Nel XVI secolo, in seguito al matrimonio di Caterina de’ Medici con Enrico II, arrivano in Francia dall’Italia i primi gelati e la pasta choux inventata dal pasticciere mediceo Penterelli. Nel XVII secolo Anna d'Asburgo introduce in Francia il cioccolato dalla Spagna mentre il pasticciere francese François Vatel inventa la crema Chantilly, o meglio la rende così famosa al punto che molti pensano che ne sia stato lui l’inventore. Ma è nel XIX secolo che la pasticceria francese raggiunge l’apice quando Marie-Antoine Carême, considerato da alcuni storici il primo grande pasticciere dei tempi moderni, pubblica "Le pâtissier royal parisien", il manuale per eccellenza della pâtisserie française. La maggior parte dei dolci francesi che conosciamo risale proprio al XIX secolo.
Oggi molti grandi classici della pasticceria vengono rivisitati in chiave moderna da dei chefs pâtissiers capaci di ricercare creatività e innovazione nelle loro produzioni. Gaston Lenôtre, Philippe Conticini, Jean-Paul Hévin, Christophe Michalak, Pierre Hermé, sono solo alcuni dei più grandi innovatori nell'arte dolciaria francese degli ultimi decenni.
La pasticceria francese è un vero e proprio mondo di dolcezza e golosità: scopriamo insieme i suoi dolci più famosi!
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youtube
Jacques Buus - Ricercar Primo ·
Richard Lester · harpsichord
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chez-mimich · 11 months
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C’È ANCORA DOMANI
Per una volta cominciamo dal pubblico in sala e non dal film: una sala gremita alle quindici di domenica pomeriggio, di questi tempi almeno, è sempre qualcosa di sospetto. Infatti si percepisce che non si tratta del pubblico abituale amante del cinema, ma prettamente di un pubblico televisivo, trasferitosi al cinema per via della regista-interprete Paola Cortellesi; un pubblico che commenta le scene più pregnanti come è abituato a fare nel salotto di casa, davanti alla televisione, col marito o con la moglie. Ma queste sono osservazioni di contorno, benché abbiano una loro pertinenza. Paola Cortellesi è stata attrice (ma soprattutto intrattenitrice), ma mai regista, e questo lo si nota dopo poche inquadrature e bisogna, tuttavia, ammettere che il film non è di cattiva qualità. E’ un prodotto con una sua dignità costruito intorno a Delia, proletaria romana, e ad Ivano il marito-padrone che usa più le mani che i sentimenti per tenere in piedi una famiglia che vive di privazioni e stenti. Sarà il probabile fidanzamento della figlia maggiore Marcella a far deflagrare la situazione: la ragazza infatti si innamora del figlio del proprietario del bar più elegante del quartiere, ma quando Delia si accorge che anche Marcella sta per finire nelle mani di un uomo-padrone, decide( probabilmente) di fuggire con il primo amore, un meccanico male in arnese che sta per trasferirsi al nord. Questo esile impianto narrativo si intreccia con le vicende dell’immediato secondo dopoguerra, con gli americani ancora di stanza a Roma e il primo voto femminile alla porte. Paola Cortellesi profonde il massimo sforzo e ottiene un apprezzabile risultato, imbastendo un film dignitoso, ma sceglie per la sua narrazione un bianco/nero piuttosto prevedibile e che, inutile dirlo, vuole richiamare le atmosfere del neorealismo italiano (solo che la signora Cortellesi non è Roberto Rossellini e forse avrebbe dovuto ricercare modelli più vicini al suo pubblico e alle sue capacità). Ritmo sincopato, qualche piccola divertente gag, qualche misurato sconfinamento nella surrealtà, con qualche buona trovata (come il ballo tra Ivano e Delia) strizzando l’occhio ad un pubblico di bocca buona alla ricerca di conferme alle proprie convinzioni, ma nulla di più. Se si tratta di fare della divulgazione al grande pubblico del politicamente corretto, il bersaglio è stato centrato in pieno, se invece Cortellesi pensa che basti un b/n, che fa molto “Giornata particolare”, e crede di essere nel Barrio “Roma” di Alfonso Cuaron, allora è parecchio fuori strada. Ma diamo tempo al tempo, una prima regia un po’ acerba non significa che non ne possano seguire altre migliori. È ancora giovane e ha tanto tempo davanti…
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qindil · 2 years
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Charles Darwin era una gigantesca frode satanica
Charles Darwin era una gigantesca frode satanica
Fonte: Jesusisprecious.org Di David J. Stewartdicembre 2014 Romani 1:22-23: “Mentre si dichiaravano sapienti, sono diventati stolti e hanno cambiato la gloria dell’incorruttibile Dio con l’immagine e la figura dell’uomo corruttibile, di uccelli, di quadrupedi e di rettili”. La Massoneria è il primo punto cui lo studioso diligente della storia dovrebbe partire se vuole ricercare le radici del…
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jazzluca · 4 hours
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OPTIMUS PRIME ( Deluxe ) Movie Studio Series 112
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Ed il primo modellino degli Studio Series dedicato al film di Transformers One, uscito in concomitanza proprio col lungometraggio, non poteva che essere quello di OPTIMUS PRIME! … anche se un po' fa strano, dato che al cinema il personaggio è perlopiù del tempo nelle fattezze di Orion Pax MA il giocattolo in questione è solo un classe Deluxe! :O
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Infatti già fa strano questa declassazione di Optimus negli SS, dal consueto Voyager ad un Deluxe, quasi a ricreare una nuova scala per questo film rispetto agli omonimi di altri lungometraggi e serie, ma appunto avrebbe avuto più senso fare un Orion Pax Deluxe il quale poi si sarebbe tramutato in un Optimus Voyager, un po' come si vede appunto al cinema!
Oppure, a questo punto, ci si può aspettare MAGARI un'uscita futura di un Deluxe 2 pack con un Orion trasformabile ed un altro no senza il T-Cog, proprio per ricercare la fedeltà cinematografica! :D …No, eh? ^^'
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Vabbè, elucubrazioni di ipotetiche uscite a parte, il ROBOT perlomeno è un Deluxe altino: non dico che raggiunga l'Op Earthrise, ma almeno rivaleggiucchia un po' con quello WfC Gamer Edition, suo collega poi in quanto a tematica d'aspetto. Infatti questa ennesima versione pre terrestre di Commander aggiungerebbe poco a quanto già visto negli anni passati: diciamo che non è barocco come i vari WfC dei videogiochi, ma più asciutto e con i soliti particolari classici, con gli avambracci però ora grigi e un'unico finestrone sul petto, questo fatto apposta in modo da far intravedere la Matrice al suo interno.
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A proposito di accessori staccabili, sulla schiena il nostro si trova una sorta di zainata / coperchio un po' come quella dell'Optimus Siege, cui va messo a riposo l'accessorio con le bocche di fuoco frontali del veicolo cui si trasforma ( che però è un po' attaccato con lo sputo, diciamo ), così come le iconiche canne fumarie sulle spalle sono staccabili ed impugnabili, mentre come arma Optimus One ha solo l'ascia d'Energon in plastica azzurra trasparente.
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Tornando all'aspetto del robot, a voler spaccare il capello in quattro, nonostante si presenti bene e ben dipinto con un rosso e blu scuretti ma brillanti, ci sarebbe il grigio che è sì metallico ma un po' troppo opaco, mentre il petto sovrasta parecchio l'addome che a sua volta soffocato dalle spallone, mentre la testa pare quasi annaspare in mezzo fra queste. Ma niente per cui strapparsi i capelli, per carità, ma magari in un Voyager queste inezie si potevano limare meglio… ;3
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Anzi, ok, petto e spallone sono parte del design originale, quindi l'"inestetismo" è a monte e amen, teniamocelo nei modellini fedeli, vabbè.
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A proposito poi di fedeltà al media, mi fa specie che abbia la faccia con la mascherina sulla bocca, che ci sarebbe stata bene una gimmick con una doppia testa o che con l'altra senza mascherina, ma ehi, è pur sempre solo un Deluxe! ^^'
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D'altro canto, ripeto, è perlomeno altino come Dlx e stra -posabile, con tutto quello che si può volere nel pacchetto della posabilità medio alta, pure la testa che si alza notevolmente, pugni che ruotano, etc. Ah, quasi dimenticavo: ovviamente non ha le mani che si aprono, visto che E' SOLO UN DELUXE, ma può comunque "impugnare" la Matrice tramite dei perni su questa e delle fessurine sui pugni, ok.
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Questo modello poi esce in contemporanea con la wave 1 dei Prime Changers, i Deluxe della linea principale del film, dove è presente anche lì un Orion Pax con però mascherina, ascia e canne fumarie di Optimus One, QUINDI a seconda dei punti di vista l'uno potrebbe essere ridondante verso l'altro e viceversa, laddove invece potevano essere complentari se il Prime Changer lo lasciavano con l'aspetto di Pax piuttosto che non pimparlo con quello di Prime, mah!
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La TRASFORMAZIONE è grossomodo quella classica, riprendendo elementi dal succitato Siege, con il coperchio / tettuccio e le ruote scolpite che dall'interno delle gambe slittano all'esterno, e con il solito bacino che ruota ed i piedi che si drizzano; almeno nella parte anteriore c'è qualche novità, con il pannello frontale con la griglia che è ripiegato subito sotto il petto, mentre le spalle si abbassano a diventare dei moduli laterali anteriori, ANCHE SE poi le braccia restano in vista con i pugni che letteralmente agguanto dei perni sulle gambe per tenere unito il veicolo! ^^'
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Ma è pur sempre una sorta di CAMION CYBERTRONIANO, che cerca di ricordare l'iconico Frightliner terrestre, anche se non so quanto senso abbia rappresentare Optimus così anche su Cybertron se non si porta appresso un rimorchio, ok, però diciamo che la novità delle parti laterali anteriori non è male, così come ora le canne fumarie usate come armi o razzi di spinta, a seconda della direzione.
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Ad aggiungere potenza di fuoco ci pensa il summenzionato modulino da sistemare frontalmente con i due laser in più, solo che non c'è poi posto dove poterlo nascondere, nel camion, anche se ci sarebbe volendo proprio dietro il pannello cui lo si aggancia. L'ascia d'Energon invece trova spazio comodamente in mezzo alle gambe nella parte posteriore del mezzo.
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Il fatto delle braccia in vista alla fine non da così fastidio, a dire il vero, dato che si mimetizzano bene ai lati del veicolo, mentre è davvero una furbata l'assenza di ruote effettive, sostituite da 4 ruotine essenziali, di cui quelle anteriori sono rosse e si confono tranquillamente nella parte frontale delle spalle.
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Insomma, alla fine non è affatto un brutto modellino, con aspetto fedele in entrambe le modalità e trasformazione ben realizzata e non troppo complicata, ma che però non esprime le potenzialità del personaggio poichè "degradato" alla classe Deluxe, laddove le varie gimmick che già questo SS doveva avere ( faccia con o senza mascherina, laser frontali a scomparsa ) sono invece finite nella versione estemporanea ed esclusiva giapponese di classe quasi Leader, il Brave Commander.
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Magari riducendolo di classe hanno voluto renderlo più conveniente anche a chi non colleziona per forza gli SS, e di conseguenza così tutti i successivi One Studio Series, ma speriamo, come dicevo sopra, che in qualche maniera recuperino prima o poi anche la versione di Orion Pax e senza T-Cog, giusto per completezza. :)
-Video recensione
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lemaclinic · 20 days
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Stai considerando gli impianti dentali ma sei preoccupato per il costo? Trovare impianti dentali accessibili che offrano sia qualità che durata può essere difficile. Tuttavia, alla Clinica Dentale Lema, crediamo che tutti meritino un sorriso perfetto senza spendere una fortuna. In questa guida, esploreremo tutto ciò che devi sapere per ottenere impianti dentali che non sono solo convenienti, ma anche di alta qualità. Dall'interpretare i costi al processo di trattamento e alla cura post-procedura, ti abbiamo coperto. Cosa sono gli impianti dentali accessibili? Gli impianti dentali accessibili sono soluzioni economiche per sostituire i denti mancanti con impianti di alta qualità che offrono la stessa durata ed estetica dei loro corrispondenti più costosi. Alla Clinica Dentale Lema, forniamo impianti realizzati con materiali di prima scelta per garantire longevità e funzionalità, mantenendo al contempo i costi accessibili per i nostri pazienti. Perché gli impianti dentali sono così costosi? Diversi fattori contribuiscono al costo complessivo degli impianti dentali: Costi dei Materiali: I materiali usati negli impianti, come il titanio o la zirconia, sono di alta qualità e biocompatibili, il che significa che sono progettati per durare e integrarsi perfettamente con l'osso della mascella. Competenza e Tecnologia: La procedura richiede tecnologie avanzate e professionisti dentali altamente qualificati per garantire i migliori risultati. La formazione, l'esperienza e l'investimento in tecnologia contribuiscono al costo complessivo. Complessità della Procedura: Le esigenze di ogni paziente sono diverse e la complessità della procedura può variare, influenzando il prezzo finale. Nonostante questi costi, scegliere impianti dentali accessibili non significa sacrificare la qualità. Scegliendo la clinica giusta, come la Clinica Dentale Lema, puoi trovare un equilibrio tra costo e qualità. Come trovare impianti dentali accessibili senza compromettere la qualità 1. Ricerca e confronto dei prezzi Il primo passo per trovare impianti dentali accessibili è ricercare e confrontare i prezzi tra varie cliniche dentali. Molte cliniche offrono prezzi competitivi e opzioni di finanziamento per rendere gli impianti più accessibili. Tuttavia, è fondamentale non scegliere basandosi solo sul prezzo. Cerca cliniche che offrano una spiegazione chiara di cosa includono i loro costi e assicurati che non ci siano costi nascosti. 2. Considera pacchetti tutto incluso Alla Clinica Dentale Lema, offriamo pacchetti tutto incluso che coprono il costo degli impianti, la procedura e anche la cura post-procedura. In questo modo, sai esattamente per cosa stai pagando e non ci sono sorprese. I pacchetti di impianti dentali accessibili possono includere: Consulenza iniziale e esame Raggi X e imaging L'impianto stesso (tipicamente in titanio o zirconia) Inserimento chirurgico e anestesia Appuntamenti di controllo e regolazioni 3. Verifica la reputazione e le recensioni della clinica Quando cerchi impianti dentali accessibili, è essenziale considerare la reputazione della clinica. Cerca recensioni di pazienti precedenti per farti un'idea della loro esperienza con la clinica. Una clinica di buona reputazione avrà un record di procedure di impianto riuscite e pazienti soddisfatti. Alla Clinica Dentale Lema, il nostro impegno per la soddisfazione dei pazienti e per risultati eccezionali ci ha reso un nome affidabile nella cura dentale. Il nostro team esperto garantisce che anche i nostri impianti dentali più accessibili mantengano i più alti standard di qualità. La procedura dell'impianto: Cosa aspettarsi? Guida passo passo per ottenere impianti dentali accessibili Consultazione iniziale: Il tuo percorso inizia con un esame approfondito e una consultazione. Il dentista valuterà la tua salute dentale, discuterà i tuoi obiettivi e delineerà un piano di trattamento personalizzato, incluso il costo degli impianti dentali accessibili.
Preparazioni pre-chirurgiche: Prima del posizionamento dell'impianto, potresti aver bisogno di procedure preparatorie come l'innesto osseo, se non c'è abbastanza densità ossea per supportare l'impianto. Queste procedure garantiscono il successo e la longevità dell'impianto. Posizionamento dell'impianto: Il passo successivo è il posizionamento chirurgico dell'impianto nell'osso mascellare. Questo viene solitamente eseguito in anestesia locale, e l'impianto viene inserito direttamente nell'osso per fungere da radice solida per il nuovo dente. Periodo di guarigione: Dopo il posizionamento dell'impianto, c'è un periodo di guarigione di alcuni mesi, durante il quale l'impianto si fonde con l'osso in un processo chiamato osteointegrazione. Questo è fondamentale per la stabilità dell'impianto. Posizionamento della corona: Una volta che l'impianto si è guarito e integrato con l'osso mascellare, viene attaccata una corona personalizzata all'impianto, completando il processo di restauro. La corona è progettata per adattarsi al colore e alla forma dei tuoi denti naturali, fornendo un aspetto armonioso e naturale. Cura post-procedura per impianti dentali accessibili Prendersi cura degli impianti dentali dopo la procedura è fondamentale per garantirne la longevità. Ecco alcuni consigli per mantenere i tuoi impianti: Mantieni una corretta igiene orale: Spazzola e usa il filo interdentale quotidianamente per mantenere pulita l'area attorno all'impianto e prevenire la formazione di placca. Controlli dentali regolari: Visita regolarmente il tuo dentista per controlli e pulizie professionali. Evita cibi duri: Evita di masticare cibi duri e oggetti per prevenire danni all'impianto. Domande frequenti sugli impianti dentali accessibili 1. Gli impianti dentali accessibili sono altrettanto validi rispetto alle opzioni più costose? Sì, gli impianti dentali accessibili possono essere altrettanto efficaci rispetto alle opzioni più costose. La chiave è scegliere una clinica affidabile che utilizzi materiali di alta qualità e impieghi professionisti esperti. 2. Quanto durano gli impianti dentali? Con una cura adeguata, gli impianti dentali possono durare tutta la vita. Il successo del tuo impianto dipende da diversi fattori, tra cui la qualità dell'impianto, l'esperienza del dentista e le tue pratiche di igiene orale. 3. Chiunque può ottenere impianti dentali? La maggior parte delle persone che sono in buona salute generale e hanno una densità ossea adeguata nella mascella può ricevere impianti dentali. Il tuo dentista valuterà la tua idoneità durante la consultazione iniziale. Perché scegliere la Clinica Dentale Lema per i tuoi impianti dentali accessibili? Vivi qualità e convenienza con la Clinica Dentale Lema La Clinica Dentale Lema è dedicata a fornire cure dentali di alta qualità che si adattano al tuo budget. Ecco perché siamo la scelta migliore per i tuoi impianti dentali accessibili: Competenza e tecnologia avanzata: La nostra clinica è dotata di tecnologia all'avanguardia e il nostro team di dentisti esperti è specializzato in procedure di impianto, garantendo risultati ottimali. Prezzi trasparenti: Offriamo prezzi trasparenti senza costi nascosti, permettendoti di pianificare il tuo trattamento con fiducia. Cura completa: Dalla consultazione iniziale alla cura post-trattamento, ci impegniamo a fornire un'esperienza fluida e confortevole per i nostri pazienti. Scegliendo la Clinica Dentale Lema, scegli un partner affidabile nel tuo percorso verso un sorriso bello e funzionale. Contattaci oggi per saperne di più sui nostri impianti dentali accessibili e inizia il tuo percorso verso un sorriso più sano e sicuro di te.
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sguardimora · 24 days
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Seconda giornata di incontri con la comunità per Hamdi prima di lavorare in teatro nel weekend con gli abitanti di Mondaino e dintorni che si sono iscritti al workshop. 
Nella mattinata di giovedì la nuova cucina della foresteria del teatro si è popolata di odori, racconti e risate. Eravamo in cinque. Mauro alle riprese. Anouk, che ci sta aiutando con le traduzioni, è arrivata portando in dono un mazzo di spezie del suo giardino per insaporire i piatti: salvia e rosmarino, timo e basilico e il loro verde profumato ha colorato tavolo e piatti. Marina, invece, giunta con in spalla il suo matterello personale, si è messa subito all'opera: ha ammonticchiato la farina sul tavolo, rotto 12 uova - queste le dosi da lei consigliate per preparare tagliatelle per tutti - e ha iniziato a impastare aiutata da Hamdi. Poi è arrivata Paola per preparare con noi i il ragù: con lei la sua paranza con disegni romagnoli, la sua taglierina degli anni 40' per fare il trito di carote, sedano, cipolla e spezie e un melone dell'orto in dono. 
"Rendere omaggio ai gesti del lavoro e la cucina come atto d'amore": queste le radici dai cui si snoda il progetto di Hamdi come lui stesso racconta mentre lavora osservando attentamente con un occhio i gesti di Marina e con l'altro Paola che sta facendo dondolare ritmicamente sul tagliere il tritaverdura. In un attimo la cucina è invasa dal profumo del soffritto. Intanto, mentre la sfoglia è stesa a riposare prima di essere tagliata, Marina racconta di quando servì un matrimonio con un braccio rotto, o di come le dita delle sue mani siano diverse tra la destra e la sinistra a forza di chiudere tortellini - "che non sono come i cappelletti" ci tiene a precisare. Poi taglia, con un gesto preciso e sicuro, veloce, le tagliatelle e appena finito esclama: "ecco qua, pronte in meno di un'ora: tagliatelle per 14 persone!!!" E noi che siamo in 5 ridiamo, e iniziamo ad invitare altre persone al pranzo: Mirco, che sta montando la sua mostra di fotografie in teatro, e Fabio, compagno di Anouk, che ci raggiunge con la loro piccola Anais.
Siamo a tavola e ricordando il giorno precedente quando Ivan a un certo punto ci dice che le norme sanitarie imposte con l'HACCP hanno definitivamente allontanato i nostri due cervelli depotenziando il secondo, l'intestino, e provocando così un notevole aumento di allergie Fabio ricorda il racconto degli anni Quaranta di Fabio Tombari, scrittore mondainese, che già all'epoca immaginava un futuro di cucine asettiche, super igieniche e di allergie diffuse. 
E' Paola poi a raccontare ad Hamdi la storia dell'Arboreto, cosa c'era prima e come è nato il teatro nel bosco: il desiderio di Fabio Biondi di costruire una casa per gli artisti dove potessero lavorare e ricercare lontano dai ritmi produttivi è quello che si è realizzato. 
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Nel pomeriggio ci accolgono poi Cristina e Mirco de L'oro del Daino nel loro laboratorio di Montespino: sono degli apicoltori di Mondaino che producono miele biologico. Ci mostreranno la smielatura, ci illustra Cristina, cioè il macchinario e il processo che sta dietro alla raccolta del miele. "Un ciclo dura circa una ventina di minuti", ci dice, "spero di non annoiarvi". E invece ci apre le porte a un mondo meraviglioso.
Hamdi intanto le racconta del suo progetto, precisando come in questo momento stia lavorando a coniugare danza cucina e musica ma come la sua ricerca all’origine sia sul mondo del lavoro e sull’azione del lavoratore: il saper fare, il gesto del lavoro, la ripetizione, è ciò che è centrale: "Entrar in un universo è quello che faccio. La danza entra nella qualità del tuo movimento. Il tuo lavoro è l’ispirazione, non è la danza che prende preponderanza sul gesto ma è tutta l’esperienza del nostro incontro che crea la danza".
E mentre apre le cellette esagonali sui telaini del melario primo di inserirlo nella centrifuga, Cristina ci racconta di come il miele si riconosca prima dall'odore e poi dal sapore: il girasole sa di albicocca, il coriandolo è forte... e poi c'è il colore. Poi ci parla di famiglie e di come sia una triste sconfitta quando se ne perde una; ci dice che il pollice è la carta d'identità del miele e di come la propoli racconti la storia di un alveare: "tutto resta, c’è la traccia di tutta la storia di un lavoro".
Poi lo assaggiamo ed è un tripudio di sapori. Nel mentre ci porta nel "bar dei fuchi" Cristina, raccontandoci un simpatico scritto di Susanna Tamaro: "nell'alveare i fuchi stanno lì, come tonti, in aria, non sanno fare niente, non sanno cosa fare come quegli uomini che si aggirano in cucina mentre tu sei super affaccendata, si guardano intono occhi sgranati e chiedono "cosa posso fare?", ecco i fuchi sono proprio così, stanno lì in aria aspettando che passi in volo l'ape regina per il primo e ultimo acme di piacere; non appena infatti si accoppiano precipita nel vuoto e muoiono; e se questo non accade vengono cacciati da quella casa: spermatozoi volanti!" E ridiamo. 
Poi prepariamo con lei un piccola merenda di miele e polline e ci salutiamo in attesa di rivederci il 6 settembre per la première del lavoro di Hamdi. 
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Second day of meetings with the community for Hamdi before working in the theatre over the weekend with the inhabitants of Mondaino and the surrounding area who signed up for the workshop.
On Thursday morning, the new kitchen of the theatre's guesthouse was filled with smells, stories and laughter. There were five of us. Mauro at the shoot. Anouk, who is helping us with the translations, arrived bringing a bouquet of spices from her garden to flavour the dishes: sage and rosemary, thyme and basil, and their fragrant green coloured the table and plates. Marina, on the other hand, arrived with her personal rolling pin on her shoulder, and immediately set to work: she heaped the flour on the table, broke 12 eggs - these are the doses she recommended to prepare tagliatelle for everyone - and began to knead, helped by Hamdi. Then Paola arrived to prepare the ragù with us: with her, her paranza with Romagna designs, her 1940s cutter for chopping carrots, celery, onion and spices, and a melon from the garden as a gift.
"Paying homage to the gestures of work and cooking as an act of love": these are the roots from which Hamdi's project unwinds, as he himself recounts as he works, attentively observing Marina's gestures with one eye and Paola who is rhythmically rocking the vegetable chopper on the chopping board with the other. In an instant the kitchen is invaded by the scent of the soffritto. Meanwhile, as the pastry is laid out to rest before being cut, Marina recounts the time she served a wedding with a broken arm, or how the fingers on her hands are different between the right and the left as she closes tortellini - "which are not like cappelletti", she points out. Then he cuts, with a precise and sure, quick gesture, the tagliatelle, and as soon as he is finished he exclaims: ‘there you go, ready in less than an hour: tagliatelle for 14 people!!!’ And there are five of us laughing, and we start inviting other people to lunch: Mirco, who is mounting his photo exhibition in the theatre, and Fabio, Anouk's partner, who joins us with their little Anais.
We are at the table, and remembering the previous day when Ivan at one point tells us that the health regulations imposed with the HACCP have definitively removed our two brains, depotentiating the second one, the intestine, and thus causing a notable increase in allergies Fabio recalls the story from the 1940s by Fabio Tombari, a writer from Mondain, who at the time was already imagining a future of aseptic, super-hygienic kitchens and widespread allergies.
It is Paola who then tells Hamdi the story of the Arboretum, what was there before, and how the theatre in the forest came into being: Fabio Biondi's desire to build a home for artists where they could work and research away from the rhythms of production is what came true.
In the afternoon, we are welcomed by Cristina and Mirco of L'oro del Daino in their workshop in Montespino: they are beekeepers from Mondaino who produce organic honey. They will show us honey extraction, Cristina illustrates, i.e. the machinery and process behind harvesting the honey. "A cycle lasts about twenty minutes", she tells us, “I hope I don't bore you”. Instead, she opens the door to a wonderful world.
In the meantime, Hamdi tells us about his project, pointing out how he is currently working on combining dance, cuisine and music, but how his research at its origin is on the world of work and the action of the worker: the know-how, the gesture of work, the repetition, is what is central: ‘Entering a universe is what I do. Dance enters into the quality of your movement. Your work is the inspiration, it is not the dance that takes preponderance over the gesture but it is the whole experience of our encounter that creates the dance'.
And as she opens the hexagonal cells on the frames of the honeycomb before inserting it into the centrifuge, Cristina tells us how honey is recognised first by its smell and then by its taste: sunflower tastes like apricots, coriander is strong… and then there is the colour. Then he tells us about families and how it is a sad defeat when one is lost; he tells us that the thumb is the honey's identity card and how propolis tells the story of a beehive: ‘everything remains, there is the trace of the whole story of a job’.
Then we taste it and it is a riot of flavours. In the meantime, Cristina takes us to the ‘drones’ bar', recounting a nice piece of writing by Susanna Tamaro: “in the beehive, the drones stand there, like drones, in the air, they don't know what to do, they don't know what to do like those men who hang around in the kitchen while you are super busy, they look at each other with wide eyes and ask 'what can I do? ', that's exactly what drones are, they stand there in the air waiting for the queen bee to fly past for the first and last acme of pleasure; as soon as they mate they plummet into the void and die; and if that doesn't happen they are kicked out of that house: flying sperm!" And we laugh.
Then we prepare a small snack of honey and pollen with her and say goodbye, looking forward to seeing each other again on 6 September for the premiere of Hamdi's work.
#Tandem 11
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susieporta · 1 year
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Una lettera a te che mi leggi e segui
La spiritualità è una cosa intima… all’inizio la condivido in silenzio senza parlarne.
All’inizio ti accompagno ad ascoltare la tua voce quella che hai messo a tacere come hai imparato a fare.
All’inizio ti spingo a rinforzare le gambe per poterti sostenere anche nelle tempeste più buie e anche davanti al drago che dormiva e che si manifesta più facilmente, spesso negli occhi di chi più ami. Ti stimolo ad avere fiducia in te che sei la persona più importante.
All’inizio ti accompagno a prenderti per mano.. ogni tanto la tengo io e poi la lascio e ti aiuto a cadere facendoti accorgere che non ti fai poi così male ora. Che puoi farcela, che credo in te come mai nessuno ha creduto, nemmeno tu, ma io vedo la tua luce perché sono in contatto con la mia.
Ma poi… potresti odiarmi per questo…. Rinfacciarmi le poche attenzioni, la poca presenza, ma dal primo momento che ti dico “SI ti accompagno”, io ci sono sempre, ti sento da lontano ovunque tu sia, credo in te e so che puoi diventare grande e prenderti la vita per mano scegliendo di farti felice!
Puoi odiarmi. Puoi sentirti giudicat@ forse perché io sono tanto severa ed esigente con me e questa esigenza trasuda. Non è personale verso di te e non devi mai e poi mai assomigliarmi. Non sono migliore. Sono solo compromessa con la grande sfida della terra di ricercare la verità scendendo anche fino al buio più lontano, poiché a volte, lo spirito si nasconde li. Ma lo faccio per me, nessuno è obbligato a venire in quegli abissi terrorizzanti, è una scelta che faccio io e non la consiglio agli altri.
Cerco di essere esempio di umanità e non di una Dea che ha perso il suo Olimpo (visto che qui non Cè Olimpo ma terrenalita), ma di una donna che cresce che cade che medita che prega che ride che sbaglia che piange che ama che è insicura e pretenziosa, selettiva e impaurita e molto altro e cerca di amare tutto questo, includendolo.
È questo che desidero trasmettere. E se a volte sono molto severa, in realtà, mi sto nascondendo dietro a una maschera che protegge una fragilità, una tristezza che davanti alla scelta di perseverare lontani dalla verità e dalla bellezza che siamo, crolla di dolore.
Siamo alla deriva, è un dato di fatto. Come umanità diamo il peggio di noi. Scontri, competizioni, giudizi, falsità anche in nome dello spirito più elevato, ma con intenti ben lontani dall’amore. In nome dello spirito si fanno le
peggio cose. D’altronde lo abbiamo sempre fatto, ricordate? E se fosse ora di cambiare?
Ce lo auguro… perché ne soffro..mi han detto che sono troppo idealista, ma questa visione mi ha permesso di far vita a sogni, parole, immagini che sono diventati reali fatti e grandi creazioni sulla terra.. quindi è possibile non credi?
Buona domenica a te che leggi e a chi mi conosce che sa, ma chi mi legge probabile gli manchi un pezzo🩷
E questi transiti non son poi così male alla fine, dobbiamo solo uscire dalla convinzione che si evolve solo con dolore… c’è anche quello si, ma se scegliessimo la facilità sarebbe meglio? Proviamoci🙏🏻
Lunga ma vera a presto!
Grazie per esserci, sempre🙏🏻
Francesca Ollin
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carmenvicinanza · 2 months
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Suzanne Ciani
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Suzanne Ciani, musicista e compositrice è una vera pioniera della musica elettronica.
Prima donna a usare il sintetizzatore, è stata la prima sound designer nel mondo delle pubblicità (suo il celebre suono della bottiglietta di Coca Cola che viene aperta e versata in un bicchiere) e anche la prima a comporre una colonna sonora per Hollywood, nel 1981. 
La sua è stata la prima voce femminile ascoltata in un gioco di flipper, lo Xenon, di cui ha realizzato gli effetti sonori.
Ha pubblicato oltre 20 album da solista, è stata nominata cinque volte ai Grammy Award e vinto diversi premi tra cui il Golden Globe. 
Nata in Indiana il 4 giugno 1946, ha iniziato a suonare il pianoforte e solfeggiare da autodidatta a soli sei anni.
Si è laureata al Wellesley College, dove è nato il suo interesse per la tecnologia. Ha conseguito un Master in Composizione musicale presso l’Università della California, Berkeley.
In quegli anni non veniva insegnata la musica elettronica e, andando a ricercare strumentazioni negli studi di registrazione, ha avuto modo di conoscere Don Buchla, uno dei fondatori della musica elettronica, con cui ha iniziato a lavorare saldando sintetizzatori. Ha trascorso i successivi dieci anni a esplorarne le possibilità e costruendone uno con diverse parti assemblate che ha chiamato Buchla, in onore del suo maestro.
Mentre provava a lavorare come ingegnera del suono, obiettivo praticamente irraggiungibile per una donna all’inizio degli anni Settanta, si è fatta un nome come compositrice di spot pubblicitari, il primo incarico è stato per Macy’s nel 1969. Successivamente ha realizzato installazioni sonore per mostre e spettacoli di danza, registrando pezzi sperimentali nel suo studio nel garage di casa.
Il suo album di esordio è stato Voices of Packaged Souls, del 1970, in collaborazione con lo scultore Harold Paris.
Nel 1974 è andata a vivere a New York, dove, in situazioni precarie e poco retribuite, collaborava con altre band e realizzava performance artistiche. Prima di vincere una borsa di studio del National Endowment for the Arts, era ospitata a casa di amici, ha dormito anche sul pavimento dello studio di registrazione di Philip Glass.
Col suo fedele strumento ha creato gli effetti sonori per Star Wars and Other Galactic Funk, versione disco della colonna sonora di Star Wars Episodio IV: Una nuova speranza, composto le colonne sonore del film sperimentale Rainbow’s Children del 1975 e i temi della Columbia Pictures e della Columbia Pictures Television del 1976.
Con la sua società Ciani/Music ha prodotto un’infinità di jingle pubblicitari per colossi come Coca Cola, American Express, General Electric e Atari.
Ha dovuto sgomitare per affermarsi come musicista in un genere considerato ad appannaggio maschile. Una donna e un synth insieme rappresentavano una strana coppia. Si è così prodotta da sola il suo primo disco, Seven Waves che in Giappone, primo paese in cui è uscito, ha raggiunto il primo posto in classifica.
Il suo secondo album, del 1986 è stato The Velocity of Love. Due anni dopo, con Neverland, ha ottenuto la prima nomination ai Grammy Award.
Ha anche inciso un disco di musica classica, dal titolo Pianissimo, che è stato il suo album più venduto.
Nel 1992 le è stato diagnosticato un cancro al seno e ha deciso di trasferirsi in California, dove si è curata e si è appieno alla sua passione per la musica elettronica, abbandonando gli impegni da sound designer. Lì ha creato la sua  casa discografica, la Seventh Wave, con la quale ha pubblicato i suoi dischi.
Sulla sua vita e lavoro è stato girato il documentario A Life in Waves, del 2017.
Recentemente il suo lavoro è stato riscoperto e ha ricominciato a girare il mondo col suo Buchla, tra concerti di improvvisazione elettronica e pubblicazioni recenti e d’archivio.
Le sue esibizioni sono caratterizzate da elettricità, tridimensionalità e movimento. Tra onde trasmesse e percezioni condivise, una musicista e la sua macchina, esplicano forme d’arte ibride esplorate in una carriera lunghissima, densa di snodi, intuizioni e voli dell’anima.
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musicwithoutborders · 2 months
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Andrea Gabrieli / Camerata Hungarica, Ricercar del Primo Tuono Alla Quarta alta I The Gems of Renaissance Music, 1976
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Ricerca perdita acqua e gas a Forli
I professionisti con cui noi collaboriamo si preoccuperanno di ricercare ogni perdita “nascosta” di acqua o gas all’interno di muratura oppure nelle tubazioni sotterranee. Ogni ricerca non sarà assolutamente invasiva, ma al contrario ogni intervento sarà appositamente studiato. Ogni tecnologia utilizzata è completamente moderna.
Strumenti che i tecnici usano
La termocamera
La videocamera
Il geofono
L'igrometro
Il gas tracciante
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Come operano i nostri professionisti?
Grazie a questi cinque strumenti principali che utilizzano, gli esperti con cui noi collaboriamo saranno in grado di risolvere i danni presenti nelle vostre tubazioni. In genere, grazie alla modernità che contraddistingue le tecniche usate dai nostri colleghi, le operazioni risulteranno rapide e soprattutto efficaci. Il nostro primo obiettivo è quello di risparmiare tempo, dunque le soluzioni adottate sono sempre studiate e mirate per risolvere esattamente ogni problema, senza sprecare materiale o tempo.
Come avete potuto notare dalla descrizione degli strumenti più importanti che utilizziamo, questi non sono invasivi, anzi, tutto il contrario. Un altro dei nostri punti di forza è infatti la capacità di risolvere i danni interni senza andare a compromettere in alcun modo le vostre mura. Dite così addio a ogni scavo, e non pensate assolutamente che qualcosa vada demolito! 
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