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#ricreazione
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Sporcatevi di vita, d’amore e di passione. Non di parole 🎶
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deathshallbenomore · 1 year
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per dire:
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thousandisthemaximum · 8 months
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Puntine #132 - Canzoni da ricordare questa settimana
https://www.dlso.it/site/2024/01/31/puntine-132-canzoni-da-ricordare/
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...leggere un libro in cui, tra le altre cose, si illustrava un tratto tipico della mentalità cinese: anziché agire in vista di uno scopo, il saggio lascia che le circostanze lo portino dove vogliono loro, senza incaponirsi, alla maniera occidentale, a voler essere per forza l'artefice del proprio destino. Se questa cosa è effettivamente come l'ho capita io, quindi, il punto non è che sono pigro, ma che sono praticamente il modello del saggio taoista. _______________
Si comincia a intravedere che quel suo essere animalesco non è una scelta, ma il semplice portato di una vita nei campi, del lavoro brutale a cui i Nocentini sono stati costretti da tempo immemore; e a quel giogo essi sarebbero serenamente rimasti attaccati - bovini, indifferenti, e perfino sereni - se a un certo punto i tempi non li avessero portati a percepire l'intollerabilità della loro situazione. La pressione sotto cui si era trovato Beppe, primo della sua schiatta, era duplice: i suoi avi erano stati semplicemente schiacciati sotto un giogo, e vi erano rimasti sottomessi come animali mansueti, mentre a lui oltre al peso reale è stata rovesciata addosso anche la consapevolezza del fatto che quel giogo fosse ingiusto. «Se era possibile resistere al peso che gravava sulla sua schiena, era fisicamente impossibile resistere contemporaneamente a quel peso e alla sua coscienza, che quel peso raddoppiava». [...] Proprio per questo, ipotizza Sella, Beppe si era accanito contro Enrico. ovvero il più magnanimo e garbato dei Chiti: non contro suo padre, «il signore», né contro il fratello Riccardo, che trattava i lavoratori come uno schiavista. Il più generoso dei padroni era proprio quello che con la sua pietà gli mostrava costantemente l'ingiustizia di quella condizione subordinata. [...] «Una società che non sa più essere semplicemente repressiva e al contempo non sa emancipare è quella che costringe i suoi figli alla peggiore delle schiavitù». [...]
È questo a far decidere Beppe: se l'ipotesi di uno stupro non era riuscita a spingerlo all'azione ma solo all'elucubrazione, quest'altra violenza, quella che ottiene la complicità della vittima, che le colonizza la volontà, fa saltare le ultime remore. [...] Lei non aveva scelto il fratello che la corteggiava, il fratello dolce e sensibile, che con la sua pietà la faceva vergognare, ma il padrone sprezzante al cui rango sognava di assurgere. Non voleva qualcuno che la commiserasse per il suo ruolo subordinato, ma qualcuno che la schiacciasse e al contempo la nobilitasse proprio in virtù della sua superiorità Lui probabilmente aveva dovuto accettare di sposarla perché dopo tutto il rumore che aveva fatto l'omicidio non poteva più insabbiare la gravidanza. «O forse», chiosa Sella, «perché aveva intravisto in lei i tratti immortali di una Lady Macbeth». _______________
Sto insomma cominciando a capire un paio di cose: la prima è che se uno vuole comprendere un autore deve leggerlo e poi astenersi dal leggerne i critici. I critici cominciano a spiegarti che l'autore x non sta dicendo ciò che sta dicendo, perché in realtà sta facendo una parodia, una provocazione, un'antifrasi, un paradosso, un ingigantimento retorico, un uso umoristico, un rovesciamento ironico, un ammiccamento autoironico: sotto i colpi delle interpretazioni l'opera evapora, e può essere costretta a dire qualsiasi cosa. [...]
La seconda cosa che ho capito è che anche gli studi letterari, alla fine, sono una lotta tra bande, e che gli autori non sono altro che occasioni per fare sfoggio delle proprie sconfinate ed egolatriche doti ermeneutiche, che devono necessariamente esercitarsi contro le sconfinate ed egolatriche doti ermeneutiche di qualcun altro. Se si diventa critici, dunque, la prima cosa da fare è scegliere in che cordata stare e allinearsi. _______________
Non diciamo quasi niente. Ogni tanto un commento su quello che stiamo bevendo, buttato là giusto per rompere il silenzio, che però finisce solo per renderlo più evidente. Ma il fatto che non abbiamo niente da dirci è secondario. Stiamo in silenzio e beviamo. È questo, da sempre, il nostro modo di starci vicini. L'alcol è il nostro unico modo per manifestarci affetto e vicinanza. Se uno di noi sei ha bisogno, l'unica cosa che sappiamo fare è presentarci da lui e bere. L'unico modo di festeggiare i compleanni e le ricorrenze importanti è ritrovarci, magari dopo mesi che nessuno si vede o si manda un messaggio, e bere. La sola lingua dell'amicizia che conosciamo è questa. Più sentiamo il bisogno di manifestare affetto e più alziamo la gradazione. _______________
E vorreste fare la rivoluzione per costringere tutti a vestirsi di stracci e guardare spuntare i cavolfiori, e a mangiare pane e cipolla. Ma lo capite che alla gente gli fa schifo, questa vita che gli volete far fare? La gente vuole godere, porca puttana. Vuole star bene, divertirsi e non vuole che gli si rompano i coglioni. Tutto qui. Nel vostro mondo di stenti e di privazioni non ci durano cinque minuti. Anche ai proletari gli piace fare un po' di bella vita, lo sapete?». [....]
«Quando avremo eliminato lo sfruttamento borghese anche questi desideri ci appariranno per quello che sono. Semplicemente non esisteranno più», disse Giorgio. Romano tornò calmo: «Ah sì, Giorgino? T'hanno detto così? Che quando faranno fuori il capitalismo alla gente come per magia non gli interesseranno più le macchine? E i soldi? E magari nemmeno la fica? Pensi che nel socialismo diventeranno tutti come te?». [...]
Romano restò calmo, e parlò quasi in falsetto: «Vedi, Giorgio. te ora ti sei imparato queste quattro frasine del cazzo, per giustificare che te nella vita non hai goduto mai. nemmeno per sbaglio. Ma te lo dico io, come stanno le cose: la gente vuole godersi la vita e stare bene e non avere nessuno che gli rompe le palle da molto prima del capitalismo. Se alla gente gli dite che andare in vacanza è borghese. vestirsi bene è frivolo, guardare la televisione è da stronzi. comprarsi la macchina è da maiali fascisti. continuerà sempre a mandarvi a fare in culo». Intervenne Emma: «E intanto però la gente. come dici te. muore nelle fabbriche. e muore intossicata dai rifiuti chimici, e si spezza la spina dorsale alla catena di montaggio, e si fa venire le ulcere, e non si può permettere di andare dal medico perché non ha la mutua. La gente è annientata, dentro e fuori; e però i padroni gli danno il diversivo, anzi ti dicono cosa devi volere, cosa devi sognare: la televisione, la domenica al mare, la pelliccia, e magari tra un milione di anni sarai ricco pure te e ti comprerai quella macchina di merda che loro ti hanno fatto desiderare, e poi ti hanno detto che se stai buono forse un giorno ce l'avrai anche te, e intanto ti sfruttano, e ti annientano, e poi alla fine ti dicono che ti eri sbagliato, cosa credevi?, quella macchina non era per te, non è mai stata per te, che non te la potevi permettere. Dovevi solo passare il tempo a desiderarla e a invidiare chi ce l'aveva, mentre qualcun altro ti portava via tutto. Te pensi di volere qualcosa, ma in realtà sono sempre loro a dirti cosa, e come, e che però no». Emma aveva parlato con voce ferma; concitata ma ferma.
«Avrai ragione te, che ti devo dire? Siete bravi voi, e io sono stronzo. Sono il prodotto del capitalismo. Va bene? Però ricordatevelo che il mondo è fatto di stronzi come me, e non di santi infilzati come voi. E che se mai riuscirete a farlo, questo mondo nuovo, la gente non vi dirà grazie, ma vi sputerà addosso, perché quando la Spider non esisterà più, la gente non saprà che cazzo sognare». _______________
«…Qua invece sembra che siamo diventati dei terroristi», disse Tito. «Che stupidaggine», rispose Miro con un'affettata espressione di stupore. «Terrorismo è quello di destra. Terrorismo è quello dello Stato contro il proletariato. Noi apriamo delle crepe in questo terrore universale per far filtrare qualche brandello di luce» [...]
«La propaganda che rimane ferma alla dichiarazione, alla formulazione astratta, è solo retorica. Per farsi reale deve diventare azione». Il tono di Barabba era diventato sentenzioso, vaticinante. Era definitorio e consequenziale: la rivoluzione more geometrico. «Il sogno, se non lo nutri, si rattrappisce. E per nutrire il sogno c'è bisogno di farne una cosa. Bisogna reificarlo. Se non ci si assume la responsabilità della violenza, se non si accetta la possibilità di avere le mani sporche di sangue, il sogno è solo utopismo sterile, velleitarismo infantile». «Ma le azioni senza spargimento di sangue non sono anch'esse azioni, atti, contraddizioni che si aprono di fronte agli occhi di tutti?», insistette Tito. «Un'estetica senza carne, senza una potenza distruttrice e rigeneratrice, è l'epitome della decadenza borghese», disse lapidario Barabba. _______________
Uno dei temi ricorrenti dell'opera letteraria di Sella - quello su cui è costruito l'intero ciclo delle Agiografie, e che ritorna anche in Il sapore della neve - è l'idea che esista un momento in cui si sospende la serie del tempo e delle vicende di una vita per svelare l'identità ultima di un personaggio, l'essenza di un individuo, quello che lo stesso Sella, citando Yeats, chiama «il volto che avevo prima che esistesse il mondo». Borges scrive - e Sella sottoscrive - che «qualunque destino, per lungo e complicato che sia, consta in realtà di un solo momento: il momento in cui l'uomo sa per sempre chi è». _______________
«...Quando voi leggete Gadda non è che godete per quello che scrive, ma godete nel pensare quanto siete fichi perché voi siete in grado di apprezzarlo. È tutto un ammicco e contro-ammicco. Lui è un genio che scrive in maniera miracolosamente complessa e allora io che lo capisco sono per questo ammesso nel club dei geni. Gadda è solo il piacere di scoprirsi intelligenti, del saper cogliere le citazioni, decifrare i neologismi e via dicendo. Non c'entra nulla, o molto poco, col piacere della lettura» [...]
«E infatti secondo me è una perversione, questa di scrivere solo per i letterati studiati. Omero lo capivano tutti... Dante sembrava perfino sciatto, perché usava il volgare... le opere di Shakespeare le andavano a vedere anche gli analfabeti... Cervantes ha scritto un bestseller... Delitto e castigo usciva a puntate come un romanzo d'appendice. Poi a un certo punto hanno deciso che la letteratura doveva essere roba da intellettuali. E allora è diventata una roba borghese e masturbatoria». [...]
In una specie di epifania vedo parlare non due persone ma due tipi umani: lei è la rampolla dell'alta borghesia intellettuale capitolina, con la sua bella parlata appena colorita da un'ombra di cadenza romana, che ha gattonato nella biblioteca sterminata dei genitori e che chiamava «zii» professori universitari e scrittori, tutti ammirati dalla sua precoce intelligenza, e che dunque ha sempre trattato i classici con familiarità e pure con una certa sarcastica confidenza, e per questo ora non si fa problemi a tranciare giudizi con nonchalance. Lui invece è figlio di due insegnanti pugliesi, e l'italiano dalla dizione impeccabile che parla è il segno che per lui la lingua è stata emancipazione ma anche presa di distanza dal proprio contesto sociale: per lui studiare fino ad arrivare in Normale è stata una conquista frutto di dedizione e sacrificio, e i classici per lui sono stati un oggetto di venerazione perché erano la mano che offriva salvezza. Per questo i giudizi che esprime devono essere ponderati, giustificati, scientificamente fondati. La grazia innata dell'aristocratica contro il ponderato rigore dell'uomo che si è fatto con le proprie forze: Pier Paolo non ha speranza. _______________
Torna quindi agli anni Settanta, ai loro entusiasmi velleitari, ai loro errori strategici e ai tradimenti subiti. Per un attimo ho l'impressione che questo gruppo di giovani militanti stia prendendo in giro il vecchio terrorista, imboccandolo come si farebbe con un vecchio ubriacone perché racconti per la millesima volta la stessa storia ridicola in cambio di un altro bicchiere. Eppure la sensazione è che non sia una recita, e che la presenza di tutte queste persone sia importante più per loro che per lui. È come se tutti loro volessero essere altrove, volessero investire la loro militanza in qualcosa di più significativo, e invece se ne stanno qui a ricordare e glorificare l'ultima volta che una rivoluzione era sembrata a portata di mano. Sono loro a essere fuori luogo: i Pecoraro, come i Sella, come i Ravachol e tutta la sinistra extraparlamentare, volevano fare piazza pulita dei padri nobili, dei mentori, dei vecchi militanti: volevano fare un mondo nuovo, e un mondo nuovo non si poteva fare con le vecchie facce e i vecchi discorsi. Questi, invece - che poi dovrei dire noi -, non solo non possono fare niente di nuovo, ma non riescono nemmeno a immaginare qualcosa che non sia la santificazione del passato di un settantenne che almeno ha dalla sua il diritto anagrafico di rimpiangere i tempi andati. _______________
È notte fonda, sono a Parigi, sono abbastanza sbronzo da concedermi di essere felice senza sentirmi un coglione, sto inseguendo una ragazza che per me è la rivoluzione e che mi sembra la reincarnazione di una serie di donne combattenti di cui mi sono innamorato per interposta persona e per interposta letteratura. La inseguo, e l'unica cosa che desidero è raggiungerla, stringerla; e la sensazione non è quella di avere il desiderio di lei, quanto di essere quel desiderio, che io non sia altro che quello. È forse la prima volta che vivo senza residuo, senza distacco ironico, senza guardarmi vivere con uno sguardo mezzo partecipe e mezzo disincantato. _______________
Per questo Sella ha passato il resto della vita cercando di emendare (o di espiare) quel momento: il momento che ne rivelava l'essenza ma in cui lui rifiutava di identificarsi. L'accettazione del carcere a vita non riguardava tanto il farsi carico delle conseguenze della propria militanza, ma coincideva con l'impossibilità di identificarsi con la propria scelta dirimente, con la propria sorte, con il volto di se stesso che gli si era rivelato. Accettò le conseguenze di un destino di cui non si era mostrato all'altezza. In questa luce, forse, dovrò rileggere tutta la sua opera: il tema decisivo non sono gli epici momenti del disvelamento del destino, ma, al contrario, le prosaiche scelte sbagliate dei suoi personaggi e le loro conseguenze impreviste. _______________
Si sente ripetere spesso l'adagio di Marx secondo cui i fatti della storia si presenterebbero due volte: la prima sotto forma di tragedia e la seconda sotto forma di farsa. Questo forse vale per Milano o per Parigi; da noi in provincia è diverso: qui i fatti della storia arrivano già disinnescati per cui già la prima volta sono una parodia (o una commedia nera, una fantasima) e la seconda volta si presentano come velleità abortite. _______________ E in conclusione ho preferito mandare tutto in vacca, sapendo che in questo modo mettevo una pietra tombale su ogni possibilità per il futuro. Credo che sia questa l'etica che abbiamo sempre seguito dalle mie parti: se ti si presenta un'occasione, l'unica cosa onesta da fare è cercare di sputtanarla nella maniera più colossale possibile, trasformandola in aneddoto da raccontare al bar, anziché metterla a frutto e correre il rischio di riuscire. L'essere dei vincenti. per noi. non varrà mai quanto aver fallito in grande stile.
Dario Ferrari, La ricreazione è finita
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appuntibrevi · 1 year
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Lo stesso Proust, forse il più frainteso degli autori novecenteschi, non sostiene affatto che la memoria faccia scoprire il proprio io, o una qualche continuità personale: le sue reminiscenze dicono al contrario che la nostra memoria è al di fuori di noi: in un soffio piovoso del tempo, nell’odore della prima esplosione dell’autunno.
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susieporta · 8 months
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[Lei s’innamorò come s’ innamorano sempre le donne intelligenti:
come un’ idiota]
La zia Daniela s’innamorò come s’innamorano sempre le donne intelligenti: come un’idiota. Lo aveva visto arrivare un mattino, le spalle erette e il passo sereno, e aveva pensato: «Quest’uomo si crede Dio». Ma dopo averlo sentito raccontare storie di mondi lontani e di passioni sconosciute, si innamorò di lui e delle sue braccia come se non parlasse latino sin da bambina, non avesse studiato logica e non avesse sorpreso mezza città imitando i giochi poetici di Góngora e di suor Juana Inés de la Cruz come chi risponde ad una filastrocca durante la ricreazione. Era tanto colta che nessun uomo voleva mettersi con lei, per quanto avesse occhi di miele e labbra di rugiada, per quanto il suo corpo solleticasse l’immaginazione risvegliando il desiderio di vederlo nudo, per quanto fosse bella come la Madonna del Rosario. Gli uomini avevano paura di amarla, perché c’era qualcosa nella sua intelligenza che suggeriva sempre un disprezzo per il sesso opposto e le sue ricchezze.
Ma quell’uomo che nulla sapeva di lei e dei suoi libri le si accostò come a chiunque altra. Allora la zia Daniela lo dotò di un’intelligenza abbagliante, una virtù angelica e un talento d’artista. Il suo cervello lo guardò in tanti modi che in capo a dodici giorni credette di conoscere cento uomini.
Lo amò convinta che Dio possa aggirarsi tra i mortali, abbandonata con tutta se stessa ai desideri e alle stramberie di un uomo che non aveva mai avuto intenzione di rimanere e non aveva mai capito neppure uno di tutti i poemi che Daniela aveva voluto leggergli per spiegare il suo amore.
Un giorno così com’era venuto, se ne andò senza neppure salutare. Non ci fu allora in tutta l’intelligenza della zia Daniela una sola scintilla in grado di spiegarle ciò che era successo.
Ipnotizzata da un dolore senza nome né destino, diventò la più stupide delle stupide. Perderlo fu un dolore lungo come l’insonnia, una vecchiaia di secoli, l’inferno.
Per pochi giorni di luce, per un indizio, per gli occhi d’acciaio e di supplica che le aveva prestato una notte, la zia Daniela sotterrò la voglia di vivere e cominciò a perdere lo splendore della pelle, la forza delle gambe, l’intensità della fronte e delle viscere.
Nel giro di tre mesi divenne quasi cieca, le crebbe una gobba sulla schiena e dovette succedere qualcosa anche al suo termostato interno, perché, nonostante indossasse anche in pieno sole calze e cappotto, batteva i denti dal freddo come se vivesse al centro stesso dell’inverno. La portavano fuori a prendere aria come un canarino. Le mettevano accanto frutta e biscotti da becchettare, ma sua madre si portava via il piatto intatto mentre Daniela rimaneva muta, nonostante gli sforzi che tutti facevano per distrarla.
All’inizio la invitavano in strada, per vedere se, guardando i colombi e osservando la gente che andava e veniva, qualcosa in lei cominciasse a dare segni di attaccamento alla vita. Provarono di tutto. Sua madre se la portò in Spagna e le fece girare tutti i locali sivigliani di flamenco senza ottenere da lei nulla più di una lacrima, una sera in cui il cantante era allegro. La mattina seguente inviò un telegramma a suo marito:«Comincia a migliorare, ha pianto un secondo». Era diventata come un arbusto secco, andava dove la portavano e appena poteva si lasciava cadere sul letto come se avesse lavorato ventiquattr’ore di seguito in una piantagione di cotone. Alla fine non ebbe più forze che per gettarsi su una sedia a dire a sua madre:«Ti prego, andiamocene a casa».
Quando tornarono, la zia Daniela camminava a stento, e da allora non volle più alzarsi dal letto. Non voleva neppure lavarsi, né pettinarsi, né fare pipì. Un mattino non riuscì neppure ad aprire gli occhi.
«E’ morta!», sentì esclamare intorno a sé, e non trovò la forza di negarlo.
Qualcuno suggerì a sua madre che un tale comportamento fosse un ricatto, un modo di vendicarsi degli altri, una posa da bambina viziata che, se di colpo avesse perso la tranquillità di una casa sua e la pappa pronta, si sarebbe data da fare per guarire da un giorno all’altro. Sua madre fece lo sforzo di crederci e seguì il consiglio di abbandonarla sul portone della cattedrale. La lasciarono lì una notte con la speranza di vederla tornare, affamata e furiosa, com’era stata un tempo. La terza notte la raccolsero dal portone e la portarono in ospedale tra le lacrime di tutta la famiglia.
All’ospedale andò a farle visita la sua amica Elidé, una giovane dalla pelle luminosa che parlava senza posa e che sosteneva di saper curare il mal d’amore. Chiese che le permettessero di prendersi cura dell’anima e dello stomaco di quella naufraga. Era una creatura allegra e attiva. Ascoltarono il suo parere. Secondo lei, l’errore nella cura della sua intelligente amica consisteva nel consiglio di dimenticare. Dimenticare era una cosa impossibile. Quel che bisognava fare era imbrigliare i suoi ricordi perché non la uccidessero, perché la obbligassero a continuare a vivere.
I genitori ascoltarono la ragazza con la stessa indifferenza che ormai suscitava in loro qualsiasi tentativo di curare la figlia. Davano per scontato che non sarebbe servito a nulla, ma autorizzarono il tentativo come se non avessero ancora perso la speranza, che ormai avevano perso.
Le misero a dormire nella stessa stanza. Passando davanti a quella porta, in qualsiasi momento, si udiva l’infaticabile voce di Elidé parlare dell’argomento con la stessa ostinazione con la quale un medico veglia un moribondo. Non stava zitta un minuto. Non le dava tregua. Un giorno dopo l’altro, una settimana dopo l’altra.
«Come hai detto che erano le sue mani?», chiedeva.
Se la zia Daniela non rispondeva, Elidé l’attaccava su un altro fronte.
«Aveva gli occhi verdi? Castani? Grandi?».
«Piccoli», rispose la zia Daniela, aprendo bocca per la prima volta dopo un mese.
«Piccoli e torbidi?», domandò Elidé.
«Piccoli e fieri», rispose la zia Daniela, e ricadde nel suo mutismo per un altro mese.
«Era sicuramente del Leone. Sono così, i Leoni», diceva la sua amica tirando fuori un libro sui segni zodiacali. Le leggeva tutte le nefandezze che un Leone può commettere. «E poi sono bugiardi. Ma tu non devi lasciarti andare, sei un Toro: sono forti le donne del Toro».
«Di bugie sì che ne ha dette», le rispose Daniela una sera.
«Quali? Non te ne scordare! Perché il mondo non è tanto grande da non incontrarlo mai più, e allora gli ricorderai le sue parole: una per una, quelle che ti ha detto e quelle che ha fatto dire a te».
«Non voglio umiliarmi».
«Sarai tu a umiliare lui. Sarebbe troppo facile, seminare parole e poi filarsela».
«Le sue parole mi hanno illuminata!», lo difese la zia Daniela.
«Si vede, come ti hanno illuminata!», diceva la sua amica, arrivate a questo punto.
Dopo tre mesi ininterrotti di parole la fece mangiare come Dio comanda. Non si rese neppure conto di come fosse successo. L’aveva portata a fare una passeggiata in giardino. Teneva sottobraccio una cesta con frutta, pane, burro, formaggio e tè. Stese una tovaglia sull’erba, tirò fuori la roba e continuò a parlare mettendosi a mangiare senza offrirle nulla.
«Gli piaceva l’uva», disse l’ammalata.
«Capisco che ti manchi».
«Sì» disse la zia Daniela, portandosi alla bocca un grappolo d’uva. «Baciava divinamente. E aveva la pelle morbida, sulla schiena e sulla pancia».
«E com’era… sai di che cosa parlo», disse l’amica, come se avesse sempre saputo che cosa la torturava.
«Non te lo dico», rispose Daniela ridendo per la prima volta dopo mesi. Mangiò poi pane e burro, formaggio e tè.
«Bello?», chiese Elidé.
«Sì», rispose l’ammalata, ricominciando a essere se stessa.
Una sera scesero a cena. La zia Daniela indossava un vestito nuovo e aveva i capelli lucidi e puliti, finalmente liberi dalla treccia polverosa che non si era pettinata per tanto tempo.
Venti giorni più tardi, le due ragazze avevano ripassato tutti i ricordi da cima a fondo, fino a renderli banali. Tutto ciò che la zia Daniela aveva cercato di dimenticare, sforzandosi di non pensarci, a furia di ripeterlo divenne per lei indegno di ricordo. Castigò il suo buon senso sentendosi raccontare una dopo l’altra le centoventimila sciocchezze che l’avevano resa felice e disgraziata.
«Ormai non desidero più neppure vendicarmi», disse un mattino a Elidé. «Sono stufa marcia di questa storia».
«Come? Non mi ridiventare intelligente, adesso», disse Elidé. «Questa è sempre stata una questione di ragione offuscata: non vorrai trasformarla in qualcosa di lucido? Non sprecarla, ci manca la parte migliore: dobbiamo ancora andare a cercare quell’uomo in Europa e in Africa, in Sudamerica e in India, dobbiamo trovarlo e fare un baccano tale da giustificare i nostri viaggi. Dobbiamo ancora visitare la Galleria Pitti, vedere Firenze, innamorarci a Venezia, gettare una moneta nella Fontana di Trevi. Non vogliamo inseguire quell’uomo che ti ha fatto innamorare come un’imbecille e poi se n’è andato?».
Avevamo progettato di girare il mondo in cerca del colpevole, e questa storia che la vendetta non fosse più imprescindibile nella cura della sua amica era stata un brutto colpo per Elidé. Dovevano perdersi per l’India e il Marocco, la Bolivia e il Congo, Vienna e soprattutto l’Italia. Non aveva mai pensato di trasformarla in un essere razionale dopo averla vista paralizzata e quasi pazza quattro mesi prima.
«Dobbiamo andare a cercarlo. Non mi diventare intelligente prima del tempo», le diceva.
«E’ arrivato ieri», le rispose la zia Daniela un giorno.
«Come lo sai?»
«L’ho visto. Ha bussato al mio balcone come una volta».
«E che cosa hai provato?»
«Niente».
«E che cosa ti ha detto?»
«Tutto».
«E che cosa gli hai risposto?»
«Ho chiuso la finestra».
«E adesso?», domandò la terapista.
«Gli assenti si sbagliano sempre».
Ángeles Mastretta
[racconto tratto dal libro “Donne dagli occhi grandi”]
*traduzione di Gina Maneri
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gregor-samsung · 5 days
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LA NOSTRA SCUOLA
La nostra scuola è privata. È in due stanze della canonica più due che ci servono da officina. D’inverno ci stiamo un po’ stretti. Ma da aprile a ottobre facciamo scuola all’aperto e allora il posto non ci manca! Ora siamo 29. Tre bambine e 26 ragazzi. Soltanto nove hanno la famiglia nella parrocchia di Barbiana. Altri cinque vivono ospiti di famiglie di qui perché le loro case sono troppo lontane. Gli altri quindici sono di altre parrocchie e tornano a casa ogni giorno: chi a piedi, chi in bicicletta, chi in motorino. Qualcuno viene molto da lontano, per es. Luciano cammina nel bosco quasi due ore per venire e altrettanto per tornare. Il più piccolo di noi ha 11 anni, il più grande 18. I più piccoli fanno la prima media. Poi c’è una seconda e una terza industriali. Quelli che hanno finito le industriali studiano altre lingue straniere e disegno meccanico. Le lingue sono: il francese, l’inglese, lo spagnolo e il tedesco. Francuccio che vuol fare il missionario comincia ora anche l’arabo. L’orario è dalle otto di mattina alle sette e mezzo di sera. C’è solo una breve interruzione per mangiare. La mattina prima delle otto quelli più vicini in genere lavorano in casa loro nella stalla o a spezzare legna. Non facciamo mai ricreazione e mai nessun gioco. Quando c’è la neve sciamo un’ora dopo mangiato e d’estate nuotiamo un’ora in una piccola piscina che abbiamo costruito noi. Queste non le chiamiamo ricreazioni ma materie scolastiche particolarmente appassionanti! Il priore ce le fa imparare solo perché potranno esserci utili nella vita. I giorni di scuola sono 365 l’anno. 366 negli anni bisestili. La domenica si distingue dagli altri giorni solo perché prendiamo la messa. Abbiamo due stanze che chiamiamo officina. Lì impariamo a lavorare il legno e il ferro e costruiamo tutti gli oggetti che servono per la scuola. Abbiamo 23 maestri! Perché, esclusi i sette più piccoli, tutti gli altri insegnano a quelli che sono minori di loro. Il priore insegna solo ai più grandi. Per prendere i diplomi andiamo a fare gli esami come privatisti nelle scuole di stato.
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Brano tratto dalla lettera dei ragazzi di Barbiana ai ragazzi di Piadena dell’1 novembre 1963 raccolta in:
Lettere di don Lorenzo Milani priore di Barbiana, a cura di Michele Gesualdi, Milano, A. Mondadori (collana Oscar n° 431), 1976 [1ª Edizione: 1970]; pp. 167-168.
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mermaidemilystuff · 7 months
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Questa mattina ho avuto con capa una riunione con la preside al liceo che ho frequentato. Mentre aspettavamo capa mi chiede "ti emoziona tornare qui, eh? Anche a me un po'."
Emoziona è una parola forte, più che altro ho dei simil flashback del Vietnam. Il bullismo, l'isolamento, l'essere etichettata, aspettare la ricreazione per avere qualcuno con cui parlare, passare ogni giorno cinque ore con 20 persone che mi disprezzano, aver passato tra i periodi più bui e non aver avuto un minimo di supporto in quel luogo, anzi. L'ingiustizia di un voto finale dopo anni e anni di impegno nonostante quello che mi è successo nel mezzo. Senza contare la sterilità di questo posto quando ci stavo io, adesso si respira un'aria completamente diversa.
Ahah eh sì.
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manoelt-finisterrae · 2 years
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unha sombra que sinto
vivir en vivir amodo indefenso este corpo de tempo máis quieto sereno día a día sen días vivir de súpeto sucedendo á sombra
© Manoel T, 2023
A wonderful recreation of my poem. Thanks @silvergrain-in-the-dark:
Ein Schatten des Bedauerns
Zu leben im Leben wehrlos langsam Das ist der Körper der Zeit Doch ruhig, im Gleichgewicht Tag für Tag, ohne Tage Das Ungewisse leben Den Schatten überwältigen
Una splendida ricreazione della mia poesia. Grazie @la-scigghiu:
vivere in diretta                                                                 lentamente impotente                                                questo corpo di tempo                                                    più tranquillo                                                                   sereno giorno per giorno                                           senza giorni vivere all'improvviso                        accadendo all'ombra
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SENSI DELL'ARTE - di Gianpiero Menniti
LA VIOLENZA DELLA TRADIZIONE
Non è mai semplice, per il nostro tempo, comprendere l’opera d’arte che risale nei secoli, la sua origine, la sua ragione, la sua finalità. Si dimentica che l’artista solo tra Ottocento e Novecento ha realizzato la propria libertà d’espressione e soprattutto di scelta dell’oggetto rappresentato. E si tralascia anche la sottile distanza che ha sempre connotato il contenuto, frequentemente richiesto e riproposto, dallo stile della composizione: il medesimo “oggetto” muta attraverso pochi cenni delle figure, la scena, lo sfondo, la luce, i colori. Così, l’oblio della memoria consuma anche il vero significato della tradizione: non pedissequa ripetizione dell’immutabile ma sempre il riflesso di un’interpretazione. L’interpretazione configura il tradimento: la stessa etimologia del tardo latino lascia scivolare la “consegna” in un passaggio che altera di per sè la cosa rimessa. Si tratta di un tradimento necessario, pena la fine stessa dell’espressione d’arte. Ma un tradimento che poggia le sue radici su un’interpretazione che precede: ermeneutica di un’ermeneutica. Non importa che sia un testo letterario o un testo pittorico: lo sguardo abbraccia sempre un’immagine. L’origine scompare. Così, al “Parnaso” (1495 - 1497, Louvre, Parigi) di Andrea Mantegna (1431 - 1506) che trasuda esibita regalità, si contrappone il “Festino degli dei” (1514, National Gallery of Art, Washington) di Giovanni Bellini (1429 - 1516) dal quale emerge il riflesso sorprendente di una nascosta “ricreazione” delle figure divine: appartate, finalmente lontane dagli occhi mortali, abbandonano la loro funzione regale, la partecipazione alle vicende umane fino a raccogliersi nella modestia dei gesti. Pochi anni dividono questi due dipinti. Eppure, lo spazio temporale non giustifica l’abisso della dissonanza. Tra i due, il “Parnaso” (1510 - 1511) della Stanza della Segnatura (Musei Vaticani), l’affresco realizzato da Raffello (1483 - 1520) che mostra dei e mortali uniti nella celebrazione della poesia. Ecco l’anello di congiunzione. Ma è di nuovo un tradimento. Ancora la violenza dell’interpretazione. Il trascendimento della tradizione è, infine, il segno di un passaggio d’epoca. Che fa violenza al passato. A similitudine del processo naturale di nascita e di morte. Nulla permane. Niente è mai assoluto. Nella vita come nell’arte.
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I libri della renna
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Il regalo di Natale delle biblioteche di Milano consiste, naturalmente, nei nostri consigli di lettura, scelti per offrire al pubblico un’occasione per distrarsi in totale relax.
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È ambientata proprio in tempo di feste l’ultima fatica di Valerio Varesi, L’affittacamere, ma è un Natale un po’ cupo per il commissario Soneri, costretto a scavare anche nel proprio doloroso passato per venire a capo dell’omicidio di un’anziana affittacamere dalla vita piuttosto torbida: “La nostalgia è la sublimazione della paura che ci fa il tempo che passa”. Forse Varesi è riuscito a darci, una volta per tutte, la spiegazione della passione per i libri gialli: “La vita, dopotutto, non assomiglia tragicamente a un omicidio? Non si concludeva sempre con un morto? Non ci ammazzava il tempo logorandoci ogni giorno con un piccolo affronto fino al cedimento? E il tempo non ha bisogno di un alibi come non ce l’ha il boia: compie semplicemente il suo mestiere”. Scritto molto bene, sembra di passeggiare insieme al protagonista per le vie nebbiose di Parma, durante le festività natalizie.
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Antonio Manzini, nel titolo del suo ultimo libro della serie del vice questore Rocco Schiavone, Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l’amico misteriosamente scomparso in Sud America?, fa il verso al noto film di Ettore Scola con Nino Manfredi e Alberto Sordi, ma l’amico, in questo caso, è misteriosamente scomparso in Sud America e non in Africa. Spassoso e divertente anche durante la trasferta, il coriaceo Rocco sembra ricordare la risposta che Aldo Fabrizi diede ai giornalisti che lo rimproveravano di parlare solo in romanesco: “Sono sicuro che se anche fossi nato altrove parlerei romanesco lo stesso”: è così anche per i nostri eroi, che si trovino a Roma, ad Aosta, a Buenos Aires o in Messico. Buon divertimento!
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Anche in La ricreazione è finita, recentissimo romanzo di Dario Ferrari, si respira aria di Natale, ma in questo caso il riferimento cinematografico non è a Scola bensì al Fellini dei Vitelloni, perché il protagonista gigioneggia in quel di Viareggio senza decidersi a dare una svolta, matrimoniale e professionale, alla sua tardo-fanciullesca esperienza personale. Egli riesce però, del tutto inaspettatamente, a vincere un dottorato di ricerca in università e viene incaricato di occuparsi degli scritti del compatriota Tito Sella, morto in carcere dove era stato rinchiuso per il reato di terrorismo. Diversi generi letterari e temi, il romanzo di formazione, il mondo accademico, le suggestioni cinematografiche, storiche e metaletterarie, si intrecciano in questo romanzo davvero accattivante.
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Feste decisamente spensierate per chi sceglierà Le imprudenze di Archie di Wodehouse, recentemente ripubblicato da Mursia. Inossidabile humour inglese di ottima lega, del suo stile l’autore diceva: “consiste nel costruire una specie di commedia musicale senza musica, ignorando del tutto la vita reale”. E proprio così, in assoluta leggerezza, vive Archie, il protagonista di questo romanzo che vi lascerà con il sorriso stampato durante tutta la lettura. “Mentre considerava la sua situazione alla fine del primo mese di vita matrimoniale, ad Archie pareva che andasse tutto per il meglio nel migliore di tutti i mondi possibili. … C’erano dei momenti in cui gli sembrava che New York fosse solo stata in attesa del suo arrivo prima di dare ufficialmente inizio ai bagordi”.
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Le festività natalizie sono l’occasione giusta anche per affrontare un bel romanzo storico, di quelli “cappa e spada”, soprattutto per chi ha amato I promessi sposi. Il conte Attilio di Claudio Paglieri è infatti il prequel del capolavoro manzoniano e ci offre un punto di vista diverso sulla personalità del famigerato cugino di Don Rodrigo, ma l’ambientazione è sempre la stessa: la nostra grande Milano e le meravigliose sponde del lago di Como.
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Ancora in tema con le feste vi proponiamo Un lungo capodanno in noir, in cui dieci autori contemporanei tra i più seguiti ci offrono la loro versione delle feste. Diversi sono anche gli scenari: Roma, Firenze e Milano “con i suoi quartieri e la sua gente; Milano che negli anni Venti ospitava Antonio Gramsci a San Vittore, uno che il Capodanno lo odiava proprio”. Poi un borgo del centro Italia, e infine Barcellona e la Svizzera: un ampio panorama per feste colorate di giallo!
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Chiudiamo questa breve rassegna con una garanzia assoluta, ovvero l’ultima raccolta di racconti gialli di Simenon pubblicata da Adelphi: I misteri del Grand-Saint-Georges, anch’essa, in qualche modo, in tema con il Natale perché ambientata nei paesaggi innevati della Lituania. Una tremenda vendetta è l'argomento della prima storia, un “racconto di Natale per grandi” è il sottotitolo della seconda, mentre l’ultima, Il piccolo sarto e il cappellaio, sarà poi sviluppata nel romanzo I fantasmi del cappellaio: basta un semplice pezzettino di carta per suscitare i più atroci sospetti e scatenare la tensione.
Di nuovo auguri di buone feste a tutti i nostri fedelissimi lettori!
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garadinervi · 2 years
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Susi+Ueli Berger, Pausenplatzskulptur, Schulhaus Melchenbühl Gümligen, [«Sistemazione dello spazio per la ricreazione», Muri bei Bern, 1971], Muri bei Bern, 1971 [Museum für Gestaltung Zürich. © Susi+Ueli Berger. Photo: © Leonardo Bezzola]
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32-46-49-50
32) gatto
Difficile raccontare un ricordo con il gatto perché ne ho tanti. Però ne devo dire uno triste perché al momento mi viene questo in mente:
Mi ricordo che era settembre, vivevo ancora nella vecchia casa e avevo una gatta molto anziana aveva 18 anni. Dovevo andare a scuola e lei era dentro una scatola di scarpe era dimagrita tantissimo e ci stava acciambellata dormendo almeno penso stesse dormendo. Quando verso sera, ero dai nonni, tornammo a casa lei era ancora li acciambellata e mia madre mi chiese di guardare se respirasse e purtroppo non respirava più. L’abbiamo chiusa e mamma chiamò la sua migliore amica per seppellirla nel campo dietro casa sua
46) estate
Un ricordo estivo invece è quando la mia migliore amica cioè la sua famiglia prese una casa in montagna dove attualmente vivono i suoi. Eravamo andate in una piscina li vicino, noi due genie pensando che in montagna non si prendesse il sole, non ci siamo nemmeno curate di prendere la crema solare. Facevamo il bagno, stavamo sugli sdrai e parlavamo. Non ce ne accorgemmo nemmeno che ci eravamo bruciate e quando tornammo a casa sua, nella stanza (che poi ora è diventato il salotto con la cucina vicino) ci siamo stese nel letto e per rinfrescarci dalle “ustioni” abbiamo usato qualsiasi cosa fosse fresca. Che fossero salviette struccanti o salviette per il sedere l’importante era mantenerci fresce. Il giorno dopo siamo andate a prendere una crema in farmacia ahah
49) bacio
Il ricordo con bacio dico:
Il mio primo bacio, ero in prima media, avevo il classico “fidanzatino” delle medie era ora della ricreazione, facevo il dopo scuola a scuola ed eravamo usciti. Mi ricordo che andammo dietro ad una colonna ed io ero appoggiata e lui mi diede il mio primo bacio. Era un po’ bavoso ma come primo bacio era okay, poi prima di andare in classe ce ne siamo dati un altro dietro il calcio balilla
50) sogni
Non so cosa intenda se i miei sogni attuali quello che vorrei si realizzassero o sogni quelli che fai quando dormi. In caso vado di sogni fatti da piccola:
Mi ricordo che una notte sognai che nonna mi doveva accompagnare a fare danza in un posto che era poi il posto in cui si faceva pure il saggio di fine anno.
Premetto non ho mai fatto danza classica in vita mia. Torno a raccontare:
Mamma non poteva portarmi per il lavoro e quindi mi accompagnò nonna. La strada era infinita, lunghissima e quando arrivammo notammo che c’era un cancello e una strada ancora lunghissima di quelle tipo cartoni animati, c’era a fine della lunga strada un castello con i lampi e i tuoi, proprio come quello dei cartoni animati. Percorremmo la strada e arrivammo a destinazione. Quando entrammo c’era un corridoio, tante altre bambine con i genitori. Camminammo per andare verso un portone che una persona aprì e vedemmo con meraviglia che quella stanza era dorata bellissima ed enorme, alla fine il sogno finisce con me e le altre bambine che finimmo il nostro saggio e io che vedevo la mia mamma, nonna e la famiglia applaudirmi ahah
Scusami sono tanto lunghi come ricordi.
Grazie per i numerini ✨
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lunamagicablu · 4 months
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Ognuno di noi ha una compagna-presenza sempre fedele. Qualcosa che è sempre con noi. Qualcosa che ci aiuta a vivere con integrità interiore e profondità, a vedere attraverso gli involucri esteriori degli altri e del mondo fino al loro scopo e al loro essere profondo, e a superare la posizione di noi stessi al centro di tutto. Questa presenza-compagna è il Silenzio. Non se ne va mai. Ma il Silenzio è qui prima di ogni altra cosa, e avvolge tutto il resto. È il fenomeno più primario dell'esistenza, qualcosa di palpabile e allo stesso tempo apparentemente nulla. Il silenzio è prima del suono, non la cessazione del suono. È già presente. Se cadiamo nel silenzio anche solo per un momento, sentiamo la presenza del Silenzio come un invito. Il centro del nostro essere corporeo è l'organo per ricevere questo invito del Silenzio. Quando entriamo nel mistero del Silenzio, la sua presenza risuona attraverso le fibre della nostra carne, estendendosi oltre la carne fino all'anima interiormente e al cosmo esteriormente. Il centro del nostro corpo è il punto d’incontro necessario dove il Silenzio interiore della solitudine incontra il grande Silenzio della Saggezza Cosmica. Quando non coltiviamo questo punto d'incontro nel modo giusto, perdiamo l'accesso alla nostra anima, alla presenza del Silenzio e al nostro posto individuale nella Saggezza del Mondo. Senza il silenzio siamo perduti e non riusciamo a calmarci abbastanza per ritrovare la via del ritorno. Il silenzio porta con sé la completezza che continuiamo a cercare mentre non sappiamo esattamente cosa stiamo cercando. È intorno a noi e dentro di noi. Raggiunge le profondità più profonde dell'anima fino ai confini più remoti del cosmo e unisce continuamente i due nel luogo centrale di un cuore. Qui scopriamo il potere della ricreazione. Qui tutto rivive come se fosse la prima volta. Robert Sardello da Il silenzio: il mistero della totalità art by_bingus503_ ************************************* Each of us has an ever-faithful companion-presence. Something that is always with us. Something that helps us live with inner integrity and depth, to see through the outer coverings of others and of the world to their purpose and core being, and to get over placing ourselves at the centre of everything. This companion-presence is Silence. It never goes away. But Silence was here before anything else, and it envelops everything else. It is the most primary phenomenon of existence, both palpably something and seemingly nothing. Silence is prior to sound, not the cessation of sound. It is already present. If we drop into quietness just for a moment, we feel the presence of Silence as an invitation. The centre of our bodily being is the organ for receiving this invitation from the Silence. As we enter the mystery of Silence, its presence resonates throughout the fibres of our flesh, while extending beyond the flesh to the soul inwardly and to the cosmos outwardly. Our body’s centre is the necessary meeting point where the inward Silence of solitude meets up with the great Silence of Cosmic Wisdom. When we do not cultivate this meeting point in the right ways, we lose access to our soul, to the presence of the Silence, and to our individual place in the Wisdom of the World. Without Silence, we are lost and cannot get still enough to find our way back. Silence bears the wholeness we keep looking for while we do not know exactly what we are looking for. It is around us and within us. It goes to the deepest depths of the soul into the outermost reaches of the cosmos and continually unites the two at the centering place of a heart. Here we discover the power of re-creation. Here everything comes alive again as if for the first time. Robert Sardello from Silence: The Mystery of Wholeness art by_bingus503_ 
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fioredialabastro · 4 months
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26. Ti piacciono le sorprese?
65. Anime preferito?
Buongiorno 🌷 Grazie per queste domande carine ✨
Dunque, per quanto riguarda le sorprese, premettendo che si parli di quelle belle, dato che quelle brutte è impossibile possano piacere, mi sento molto più a mio agio nel farle agli altri che a riceverle. Secondo me perché sono una persona che ama avere tutto sotto controllo, e benché negli anni sia migliorata moltissimo nel considerare e vivere l'imprevedibile come qualcosa di positivo, la mia natura razionale continuerà ad esistere, seppur smussata e ammorbidita. Tuttavia, devo dire che finora ho ricevuto delle sorprese davvero belle, per giunta fatte da persone che mi conoscono e mi vogliono bene, perciò non posso che ritenermi grata e felice di questo. Anzi, azzardo anche a dire che tutto sommato, se fatte con moderazione, mi piacciono!
[La gif di Yzma è a puro scopo goliardico]
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Per ciò che concerne gli anime, invece, devo dire di non conoscere bene quel mondo e dalla regia googliana mi dicono che i film di Miyazaki non possono considerarsi di quella categoria, perciò, senza alcuna vergogna, comunico alla signoria vostra e a tutto il popolo di tumblr che il mio anime preferito ha una certa età, ma ha segnato intere generazioni ed è tuttora amato: "Lady Oscar" 🌹🗡️
La sua storia mi ha folgorato fin dall'asilo, tant'è che durante la ricreazione, anziché giocare con le bambole con le altre bambine, mi addentravo nel grande giardino urlando a tutti di essere lei, che con la mia spada li avrei protetti dai cattivi, mentre con il mio senso di giustizia li avrei salvati da qualsiasi prepotenza, ripristinando la verità e l'uguaglianza. Inutile dire che compresi già in tenera età la meschinità del mondo, eppure ancora oggi, nonostante abbia volontariamente evitato studi giuridici e politici, sono sempre pronta a proteggere e difendere chi si trova in difficoltà, in nome di quegli ideali a me tanto cari. Non morirò alla Bastiglia, ma oggigiorno preferiscono ucciderti in un altro modo, ovvero evitando di conferirti carriere brillanti e poteri decisionali. Però vuoi mettere di avere come beniamina Lady Oscar anziché un'influencer-etcì-salute?
[P. S. C'è chi si è innamorato di André, ha sofferto per lui e Oscar e ancora oggi si commuove, e chi mente]
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dramasetter · 4 months
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Mentre S parlava oggi ha citato quando c'è stato l'incidente di suo fratello, anni fa. Proprio in quel momento la mia testa ha iniziato a macinare per i fatti suoi e ha tirato fuori una serie di ricordi, partendo da S ma non solo.
La sera dell'incidente di suo fratello lei mi ha chiamata piangendo ed era molto agitata. Però sono stata la prima persona che ha chiamato, quella che voleva vedere in quel momento di paura. Insomma: quel giorno ho capito che ho un'importanza per S. Essendo una delle mie più care amiche la cosa non avrebbe dovuto sorprendermi, ma io già ho le mie ansie su questo genere di cose. Siamo andate sugli scogli a bere birra e alla fine sorrideva (cosa darei per tornare ai tempi delle bevute sugli scogli, sistemavano tutto). Un'altra volta è stata il suo esame di maturità che è uscita molto incazzata e io ero l'unica persona che voleva attorno. O un'altra volta ancora quando si è fidata al punto da raccontarmi un suo pensiero, e posso immaginare che fatica debba essere stata parlarmene.
Sono quella che ascolta. E urca, lo sono sempre stata. Per qualche motivo le persone si fidano di me e mi raccontano cose private e chiedono consiglio e a me sta bene, insomma, mi piace ascoltare ed essere d'aiuto quando posso. Solo mi chiedo il perché mi sia sempre stato assegnato questo ruolo.
Ricordo in quarta elementare durante una ricreazione una mia compagna di classe (ma con cui non avevo alcun tipo di rapporto e il massimo che ci dicevamo era ciao) si è seduta vicino a me e mi ha detto una cosa tipo "tu mi ispiri fiducia. Posso raccontarti una cosa?" e mi ha parlato del divorzio dei suoi genitori. E io ero lì, 9 anni di bambina, un po' psicologa un po' prete, e nella mia testa pensavo "ok, ma perché io?"
O A, quando è morto suo padre, o C al funerale di sua nonna (avevo scritto un post su quell'episodio ma non ricordo se l'ho mai pubblicato), in clinica, perfino le madri dei miei amici, insomma, tanti casi in cui sono successe cose che mi dimostravano la fiducia delle persone attorno a me e anche quella di persone che non c'entravano un cazzo con me.
E mi son ritrovata a pensare che è una bella cosa. E guardavo S che nel frattempo continuava a parlare e mi è dispiaciuto realizzare che per lei non è più così, o meglio che il nostro rapporto è cambiato e ora tutto sembra più difficile.
Non so il perché di questo wallpost sotto questa foto poi, però la foto era carina e io sono in piena malinconia
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