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#serialità
lalacrimafacile · 2 months
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La Magia della Serialità: Tra Novità e Dejà Vu
Indice
Il gusto del nuovo con un retrogusto di “già visto”
Benvenuti nel Mondo della Serialità: Innovazione e ripetizione
Quando l’Innovazione Ci Fa Dire “Wow!”
L’Arte del Colpo di Scena
Personaggi che Evolvono: Più Sorprese di un Uovo di Pasqua
La Dolce Sicurezza della Ripetizione
Il Comfort del Dejà Vu
I Motivi Ricorrenti: Una Sinfonia di Emozioni
L’Equilibrio Perfetto
Il Mix Vincente tra Innovazione e Ripetizione
Conclusione: Inno alla Serialità
Il gusto del nuovo con un retrogusto di “già visto”
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Benvenuti nel Mondo della Serialità: Innovazione e ripetizione
Cari amanti delle serie TV, preparatevi a tuffarvi nel magico mondo della serialità!
Come blogger venticinquenne che si è fatta una cultura più sui divani di Netflix che nelle aule universitarie, sono qui per esplorare insieme a voi il delicato equilibrio tra innovazione e ripetizione che rende le nostre serie preferite così irresistibili.
La serialità è quello che più si avvicina alla modalità di narrazione citata all’inizio di questo post. I poemi epici, le storie di cavalieri, fino ad arrivare ai primi romanzi pubblicati sui periodici. Queste storie venivano trasmesse ad “episodi”. Oltre a giocare sull’attesa e i cliffhanger tra una parte e l’altra, gli autori sapevano come attirare l’attenzione di un pubblico molto vasto ed eterogeneo. Dai ceti più alti ai cittadini londinesi meno istruiti: Charles Dickens, per esempio, è riuscito a tenere col fiato sospeso tutti i suoi lettori tra una pubblicazione e l’altra.
Ora gli show runner fanno la stessa cosa: concedono elementi già conosciuti e familiari per riempire il cuore degli spettatori di nostalgia, per poi sorprenderli con colpi di scena emozionanti.
Il vecchio e il nuovo. Il noto e l’ignoto. Un familiare richiamo al passato assieme ad un’intrigante senso di sorpresa. Sono certa che avete capito quello che sto descrivendo. Sicuramente l’avete vissuto ogni volta che avete iniziato una nuova serie televisiva.
Quando l’Innovazione Ci Fa Dire “Wow!”
L’Arte del Colpo di Scena
La novità e la sorpresa, sono quelle scintille che ci tengono incollati allo schermo, boccheggiando come pesciolini fuori dall’acqua. Chi non ama un bel colpo di scena? Quella sensazione di non sapere cosa diavolo succederà dopo è una delle ragioni per cui siamo così dipendenti.
Prendiamo per esempio “Breaking Bad”: chi si aspettava che il tranquillo professorino di chimica si trasformasse nel signore della droga Heisenberg? Quelle sorprese che ci fanno esclamare “Ma dai, non ci credo!” sono ciò che mantiene fresca ogni stagione.
Pensate a “Lost”, una delle serie televisive che più hanno causato lievi aritmie al proprio pubblico. Nel bene o nel male, ogni episodio aveva al suo interno una nuova rivelazione che creava un vero e proprio senso di sconvolgimento all’interno del già fragile equilibrio della trama.
Personaggi che Evolvono: Più Sorprese di un Uovo di Pasqua
Un altro aspetto innovativo che adoriamo sono i personaggi che crescono, cambiano e ci sorprendono. Pensate a “Game of Thrones” (escludendo l’ultima stagione, ovviamente). Vedere il viaggio di Arya Stark, da ragazzina ribelle a spietata assassina, è stato come scartare un uovo di Pasqua pieno di sorprese. Questi cambiamenti mantengono viva la nostra curiosità e ci fanno tornare episodio dopo episodio.
La Dolce Sicurezza della Ripetizione
Il Comfort del Dejà Vu
Nonostante amiamo le sorprese, c’è qualcosa di rassicurante nella ripetizione. Sapere che ogni episodio di “Friends” seguirà un certo schema ci dà un senso di comfort. È come la copertina di Linus per gli adulti! Che siano le battute ricorrenti di Chandler o le disavventure romantiche di Ross, questi elementi familiari ci fanno sentire a casa, soprattutto quando abbiamo bisogno di un po’ di relax dopo una lunga giornata.
I Motivi Ricorrenti: Una Sinfonia di Emozioni
Parliamo dei motivi ricorrenti: quegli elementi narrativi che tornano stagione dopo stagione, proprio quando pensavamo di essercene liberati.
Chi avrebbe mai immaginato che avremmo visto infinite variazioni della frase “Winter is coming” in “Game of Thrones”? O che “How I Met Your Mother” ci avrebbe torturato con innumerevoli episodi prima di rivelarci chi fosse la madre?
Questi motivi sono come il ritornello di una canzone che non riusciamo a smettere di canticchiare. Nella stessa colonna sonora delle serie TV (come già nelle opere liriche e nel soundtrack dei film) ritroviamo dei leitmotiv che ricollegano il nostro udito ad una particolare situazione, ad un preciso personaggio o ad un luogo iconico del mondo narrativo. Le sigle che separano il cold open e il resto della puntata, per esempio, sono un modo per riequilibrare le emozioni degli spettatori.
L’Equilibrio Perfetto
Il Mix Vincente tra Innovazione e Ripetizione
La verità è che le migliori serie TV riescono a bilanciare innovazione e ripetizione in modo magistrale. Ci sorprendono abbastanza da tenerci interessati, ma ci danno anche quella dose di familiarità che ci fa sentire al sicuro. È un po’ come mettere il ketchup sulla pasta: innovativo per alcuni, un’eresia per altri, ma per chi lo ama, è il mix perfetto!
Conclusione: Inno alla Serialità
Ecco a voi, cari binge-watchers, la magia della serialità. Un viaggio tra innovazione e ripetizione che ci tiene incollati allo schermo, settimana dopo settimana, stagione dopo stagione. Quindi, prendete il vostro snack preferito, mettetevi comodi sul divano e lasciatevi trasportare dal prossimo episodio. Chi sa quali sorprese (e ripetizioni) ci aspettano? Buona visione!
Spero che questo articolo vi abbia strappato un sorriso e vi abbia fatto riflettere sul perché amiamo tanto le serie TV. Se volete leggere altro non perdete gli altri articoli di questo Blog.
Se avete pensieri o serie da consigliarmi, lasciate un commento qui sotto.
Alla prossima puntata! La vostra EasyTears
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arreton · 1 year
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L'intelligenza è lo sviluppo del particolare nella totalità dell'intelletto. L'intelligenza dunque è propria di chiunque.
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garadinervi · 1 year
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Mario Nigro, Vibrazione nello spazio totale: serialità progressiva con variazione cromatica, (tempera collage on canvas), 1964 [Private Collection. © Archivio Mario Nigro, Milano]
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chez-mimich · 2 months
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“ARS SONORA” E “NEL TEMPO”
“Ars Sonora” è una iniziativa del FAI che ha proposto, a Villa Panza a Varese, una serie di tre concerti, l’ultimo dei quali si è tenuto domenica 21 luglio scorso, con un magnifico confronto a quattro mani tra Enrico Intra e Ricciarda Belgiojoso. Il concerto, nello splendido salone della Villa (che è anche sede della collezione d’arte contemporanea Panza di Biumo), ha presentato un programma pianistico di assoluta originalità sia per la scelta degli autori sia nel “concept” della serata. I brani interpretati primariamente da Ricciarda Belgiojoso, venivamo poi ripresi, in forma di reinterpretazione, da Enrico Intra, quasi sempre con un tocco di jazz e comunque attraverso l’improvvisazione più pura. In qualche brano il paradigma era rovesciato, ma il risultato sempre fascinoso. Certo che improvvisare sul minimalismo di Philip Glass, primo autore proposto, sembra operazione piuttosto ardua, vista la serialità quasi maniacale di certi spartiti del musicista statunitense, eppure, già da “Opening” primo raffinatissimo brano, si è capito, se ce ne fosse stato bisogno, di quale agile maestria mentale (e manuale) sia capace il Maestro Intra. Segue quindi Bach (studio n. 1 dal Clavicembalo ben temperato), in un programma che è un florilegio di piccoli gioielli musicali, e anche qui Intra ne dà una interpretazione di assoluta originalità, dove il divertimento dell’invenzione, benché su un banco di prova così impegnativo, si legge nell’espressione degli interpreti. Si susseguono velocemente (il concerto è stato replicato subito dopo, visto il grande successo di pubblico) autori molto stimolanti quali György Ligeti e Eric Satie, la cui “Gymnopedie” fa sembrare ancora più incantevole il bellissimo salone, l’antistante giardino e la magia del cielo sereno dopo un temporale. Seguono Chick Corea, con un incantevole brano dal suo “Children’s Songs”, Julia Wolf con un brano minimalista “torturato” a dovere da Intra che mette le mani nella pancia del pianoforte, come da miglior tradizione del jazz di improvvisazione, traendone un magnifica variazione sotto lo sguardo attento, divertito e affascinato della bravissima Ricciarda Belgiojoso. Un’ora esatta per un concerto difficile da dimenticare o da riporre nello scaffale dei tanti ricordi musicali. Anziché parlare del dopo concerto, vale però la pena parlare del “prima”: Villa Panza, ospita fino al gennaio 2025, una piccola ma assolutamente inconsueta mostra che raccoglie opere del Minimalismo americano (e italiano) intitolata “Nel Tempo” di cui, il FAI (con Magonza), edita anche il bel catalogo. Numerosi e variegati gli artisti in mostra: Gregory Mahoney, con la sua apodittica “Time exist in the Minds” (del 2000, guarda caso stesso anno del brano di Julia Wolf), Allan Graham, Grenville Davey, Susar Kaiser Vogel, William Metcalf, On Kawara, Jan Dibbets, Cioni (Eugenio) Carpi, Walter De Maria, Robert Tiemann, Franco Vimercati, Hanne Darboven, Ian Wilson e altri. Non capita spesso, di godere di due appuntamenti con la bellezza nell’arco di pochi minuti (per restare al tema del Tempo) e a pochissima distanza. Appuntamenti che fanno ricordare l’estate anche come qualcosa di bello per lo spirito.
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klimt7 · 1 year
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RAI: SERVIZIO PUBBLICO?
M'è capitato per sbaglio di vedere l'altro pomeriggio, "La Vita in Diretta" condotta da un certo Alberto Matano su RAIUNO.
Un programma che ho scoperto va in onda tutti i santi giorni feriali.
Ho messo in moto il cervello.
A chi giova imbastire un programma del genere? Un programma che si onora di sfruculiare in mille modi diversi, la curiosità macabra del pubblico.
Di sollecitare una sorta di perversione sadica nell'apprendere i dettagli feroci e disumani degli assassini che abbelliscono il nostro bel paese. E intendo il numero delle coltellate, il topicida fatto ingerire alla ragazza incinta, la trappola mortale architettata e spacciata per "incontro chiarificatore".
Eccolo allora il festival della pugnalata, del sangue schizzato sul pavimento, androne, scalinata. Un fiorire delle peggiori atrocità sbandierate a destra e manca con l'ausilio del commento della criminologa di turno.
A chi serve un orrore del genere travestito da cronaca del Presente.
Certo, serve a certo Pseudo-giornalismo per fare ascolti. Per scandalizzare, per scioccare, per catturare attenzioni raschiando il fondo del barile della peggiore "cronaca nera" del nostro paese.
Ma questo rimestare, questo intingere continuamente le mani nei delitti della peggiore criminalità e della miseria di certi individui perversi e malati, a chi giova?
È EDUCATIVO ?
È MORALE ?
È QUESTO CHE DEVE ESSERE IL "SERVIZIO PUBBLICO" FINANZIATO COL CANONE DA TUTTI QUANTI?
È SOCIALMENTE ACCETTABILE PRESTARSI A FARSI MEGAFONO E CASSA DI RISONANZA DEL PEGGIO CHE ACCADE NELLA NOSTRA ATTUALE SOCIETÀ?
La cosa che mi lascia di sasso è la SERIALITÀ delle puntate.
Mi spiego: un singolo crimine, delitto, omicidio, viene ripreso quotidianamente.
A volte anche per decine di puntate.
Quasi che un telespettatore dovesse mandare a memoria l'intera sequenza di un assassinio. E questi allora che fanno?
Ti aiutano a memorizzare. Spacchettando l'intero accadimento in tante sequenze da imparare un poco ogni giorno.
Come se fosse una POESIA da imparare a memoria!
...ogni giorno ti offriremo 4 versi dell'intero componimento!
Ci pensavo ieri sera.
Perchè allora, invece di presentarci una serie infinita di femminicidi ormai già avvenuti, non si cambia punto di vista e di osservazione?
Perchè, se ci sta davvero a cuore il problema di questa piaga sociale che è la violenza alle donne, il giornalista, invece che intervistare a bocce ferme, i parenti e le amiche della malcapitata di turno, non va ad intervistare...
una donna ANCORA VIVA, ANCORA RESPIRANTE, ANCORA PENSANTE
che abbia presentato una denuncia per maltrattamenti, violenza, percossse ?
Perchè se si è davvero " servizio pubblico" invece che speculare sul dolore e sulla carneficina in corso ai danni del genere femminile, non si decide di documentare il problema vero, di entrare nella carne viva di questi inferni umani che sono certe relazioni.
Perchè non si decide, invece, quando ancora "si è in tempo" di prendere le parti delle vittime di maltrattamenti, di documentarne le difficoltà, di arrivare a chiedere immediati interventi di ordine pubblico (braccialetto elettronico o carcere) contro gli aggressori, prima ancora che l'irreparabile sia accaduto?
Non sarebbe forse quello il migliore SERVIZIO PUBBLICO che si potrebbe svolgere a difesa delle donne che rischiano ogni giorno di essere le prossime vittime di femminicidio?
Io me lo chiedo.
Meno tv del dolore, e più trasmissioni educative sul tipo di relazioni che vale la pena vivere.
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multiverseofseries · 4 months
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Willow (2024): una serie che fa tornare a credere nella magia
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Willow, la serie: digressioni spassose, aperture epiche, effetto nostalgia, inclusività e un personaggio mitico. Tornato soprattutto per noi. Protagonisti Ruby Cruz, Erin Kellyman e il leggendario Warwick Davis. Otto episodi usciti a cadenza settimanale su Disney+, per chi ha avuto fortuna nel vederli perché ora sono più presenti sulla piattaforma.
Tempi oscuri, ansie generali, oppressione, stanchezza. Rabbia. Una dimensione contemporanea decisamente complessa che potrebbe coincidere con l'incipit di una serie dalla forte potenza visiva e, ovviamente, dal fortissimo sapore nostalgico. "In un'epoca di terrore, nacque una bambina destinata a cambiare il mondo". Da qui, il veloce recap di ciò che è accaduto oltre trent'anni fa, non prima che la serie in questione venga introdotta dal logo iconico della LucasFilm. Nel 1988, infatti, George Lucas e Bob Dolman, affidarono il loro script a Ron Howard, che costruì, appunto, Willow, divenuto un cult assoluto, dopo la canonica iniziale incomprensione. All'epoca il fantasy era avvolto da una certa leggerezza, le fan base non erano contemplate e i retaggi tolkeniani erano materia ristretta.
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Locandina di Willow
Oggi il mondo è sottosopra, le certezze vengono meno e guai a ridurre il fantasy a mera materia per bambini. Tant'è, subito è apparso strano (e sorprendente) l'annuncio della Disney: sviluppare una serie sequel di Willow. Adesso, che lo show è divenuto realtà, comprendiamo meglio quanto oggi la serialità sia il mezzo perfetto per espandere, tramandare, rinnovare le pellicole della nostra memoria. E Willow, traslato nel coraggio leggendario di Warwick Davis, è a tutti gli effetti la dimostrazione che anche il fantasy può essere un genere leggero, in grado di parlare verticalmente a tutti. "Nessuno sceglie la propria vita", dice la sovrana Sorsha (di nuovo interpretata da Joanne Whalley), riferendosi alle aspettative della giovane Dove (Ellie Bamber), in una delle prime scende del pilot. Appare dunque chiaro quanto il retaggio del cult Anni Ottanta (all'epoca già molto inclusivo) sia mutato in qualcosa di contemporaneo, in cui c'è una netta differenza tra il dentro e il fuori il castello di Tir Asleen.
Un fantasy on-the-road
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Willow: Warwick Davis in una scena
Sviluppata da Jonathan Kasdan e Wendy Mericle (Ron Howard figura come produttore esecutivo), e divisa in otto episodi, la serie tv di Willow, tra influenze vintage e duelli di cappa e di spada, è dunque il sogno che torna ad accendersi, capace di scavare il nostro strambo ma confortevole bisogno di magia. Del resto, è l'immaginazione che legava la pellicola del 1988, di cui la serie, come detto, è diretto seguito. Una narrazione in cui gli archetipi del genere sono rimessi al centro dell'attenzione, a cominciare dal click che scatenerà gli eventi. I cattivi di turno? Ovviamente le forze del male, che irrompono a Tir Asleen rapendo uno dei figli di Sorsha, il prince Airk (Dempsey Bryk). Per salvarlo, sua sorella Kit (Ruby Cruz), al fianco dell'amica Jade (Erin Kellyman), intraprendono un viaggio tra i regni per salvarlo. Ma non saranno sole, e il viaggio - Willow potrebbe considerarsi quasi un fantasy on-the-road - viene condiviso da una sgangherata banda di coraggiosi personaggi (Ellie Bamber, Tony Revolori, Amar Chada-Patel). Ciononostante, l'unico che può aiutarli è il leggendario Willow, l'ultimo stregone rimasto.
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Una scena della serie Willow
Willow è tornato. Per noi
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Willow: Warwick Davis in una scena
Tra aperture musicali e aperture visive (le location naturali, alcune già viste nel film di Howard, sono un plus assoluto), spassose deviazioni e richiami attuali - "Conto su di te come se fossi un cavaliere", dice Sorsha a Jade, mostrando la chiave egualitaria del prodotto -, Willow gioca con il fattore nostalgia e con l'epica di genere (che a sua volta lascia terreno ai dialoghi), allungando lo sguardo sui tanti punti di vista della storia. Anche perché la serie deve necessariamente correre su due binari. Da una parte i fan della pellicola diretta da Ron Howard, dall'altra le nuove generazioni che si ritroveranno, insieme a Willow e alla compagnia, a lottare contro le Forze del Male.
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Willow: un'immagine della serie
C'è bisogno di unione, di condivisione e di amore, suggerisce lo script, fortemente inseguito da Jon Kasdan fin dai tempi del sottovalutato Solo: A Star Wars Story, nel quale recitavano Warwick Davis ed Erin Kellyman. "Ho fatto un sogno, e in cuor mio lo sapevo. È quello che accadrà se non cambiamo le cose. È giunto il tempo. Il nemico è ancora lì fuori", confida il mago Willow a Sorsha in uno dei molti slanci nelle due prime puntate; uno slancio che non possiamo non affiancare alla nostra realtà, così sfilacciata e imprevedibile. Per questo, il ritorno dello stregone Willow coincide con la marcata necessità di ritrovare una strada da percorrere. Una strada che ci porti finalmente lontano dall'oscurità. E magari più vicino ai concetti di sogno, di bontà e di fervida immaginazione. "Oltre i confini del mondo, dentro l'ignoto". Allora, in una digressione dalle sfumature commoventi, sembra lampante: Willow è tornato per noi, perché non smettessimo di credere nella magia.
Conclusioni
Una vera gioia rivedere un film cult attraverso il linguaggio seriale. Concludo la recensione di Willow, la Serie, concentrandomi tanto sull'effetto nostalgia quanto sulle innovazione visivi e narrative, che rendono il prodotto moderno e contemporaneo. Rivedere Warwick Davis è una gioia, ma il plus è Erin Kellyman, giovane e promettente attrice britannica.
Perché ci piace👍🏻
Le vibrazioni nostalgiche.
L'idea che il sequel di un film cult possa divenire una serie.
Il cast, a cominciare da Erin Kellyman.
La musica.
Le location, in gran parte naturali.
Cosa non va👎🏻
Il rilascio settimanale, forse un'arma a doppio taglio.
Disney+ che ha rimosso la serie dalla piattaforma, prima dandola per cancellata poi solo in pausa, una pausa che però sembra tanto una vera e propria cancellazione. Sta di fatto che non ha dato la possibilità al prodotto di poter raggiungere nel tempo i più, ciò che a conti fatti è successe al film alla sua uscita non apprezzato appieno e poi trasformatosi in un cult.
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patemi-pk · 1 year
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Ho iniziato una rilettura delle saghe pezziniane, che considero un po' l'inizio di un certo modo di pensare la serialità in Disney.
Sono partito dai Signori della Galazzia, una via di mezzo fra delle storie lunghe collegate e una vera impostazione seriale, per poi passare a C'era una volta in America, un grande classico e, forse la migliore del lotto, per la sua compiutezza.
Ora, grazie a Ebay, ho recuperato anche la vecchia ristampa delle Cronache della Frontiera.
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fashionbooksmilano · 2 years
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L’arte delle pietre dure
Annamaria Giusti
euro 39,50
email if you want to buy [email protected]
Le Lettere, Bagno a Ripoli 2012, 264 pagine, 32,5 x 24,5 cm.,brossura,  ISBN 978-8860875969  
Nel corso del tempo le pietre dure hanno esercitato un fascino perenne nel panorama artistico italiano ed europeo. La raffinatezza, l’eleganza e la finezza dei manufatti hanno incantato mecenati e collezionisti di ogni epoca, celebrato i fasti di corti regie e aristocratici casati. Il volume ricostruisce sapientemente, all’interno di un quadro storico completo ed esaustivo, le forme, l’utilizzo e l’impiego di questi nobili materiali nel corso delle varie epoche, attraverso un appassionante percorso corredato di suggestive e affascinanti illustrazioni a colori. Dopo brevi cenni storici – dai tempi antichi fino all’epoca medievale – il viaggio di Annamaria Giusti comincia nel Cinquecento, a Roma, dove la nuova tecnica a mosaico in pietre dure trova largo impiego nella lavorazione di preziosi ornamenti architettonici e sontuosi arredi, adornando i lussuosi ambienti di ricche e nobili famiglie, e diffondendosi così nelle corti aristocratiche di tutta la penisola. Ma è a Firenze che, durante il periodo mediceo, la produzione di mosaici si affina e si perfeziona, arrivando al suo massimo splendore sotto la corte di Ferdinando I de’ Medici quando, nel 1588, viene fondato per volere del sovrano l’Opificio delle Pietre Dure. In seguito al successo della manifattura fiorentina, nel corso del Seicento nascono e si sviluppano presso altre corti europee (a Praga sotto gli Asburgo, in Francia sotto Luigi XIV) laboratori regali per la lavorazione di arredi in pietre dure. Affiancata a quella di Carlo di Borbone a Napoli e a Madrid, e di Caterina II in Russia, la tradizione manifatturiera dell’Opificio fiorentino continua anche nel secolo successivo, sotto i Lorena, quando l’illustre struttura rinverdisce la sua notorietà e il suo prestigio internazionali. Il volume ne tratteggia efficacemente le principali tappe storiche – dal periodo napoleonico alla restaurazione – fino alla seconda metà del XIX secolo, quando l’Opificio vede il suo tramonto come laboratorio artistico delle pietre dure, e viene destinato ad attività di restauro. Un efficace sguardo agli ultimi decenni dell’Ottocento, alle prime esposizioni universali dell’artigianato «tra invenzione e serialità» conclude e completa adeguatamente il volume.
06/10/22
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bravagente · 2 years
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omarfor-orchestra · 2 years
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Parlerei per ore di questa cosa Nic ci prendiamo un caffè e discutiamo della serialità italiana IN CHE SENSO GLI CHIEDONO DI UN PROFE
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enkeynetwork · 2 months
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lalacrimafacile · 2 months
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Midnight Mass: Un Venerdì Santo da Paura in Sette Puntate
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Midnight Mass: Benvenuti nell'Altare del Terrore Televisivo
Cosa ottieni se mescoli il sacro con il profano, l'horror con il dramma, e aggiungi un pizzico di mistero soprannaturale? Ottieni "Midnight Mass", una miniserie che ridefinisce il concetto di genere televisivo. Diretto da Mike Flanagan, noto per i suoi lavori nel campo dell'horror psicologico, "Midnight Mass" si distingue per la sua capacità di fondere elementi di horror classico con riflessioni esistenziali e morali. Chi avrebbe mai pensato che una serie ambientata su un'isola sperduta, con un prete carismatico e una congregazione di fedeli, potesse diventare un cult del piccolo schermo?
Non è la prima volta che l'horror viene imbastito all'interno di un contesto religioso. Sono moltissimi gli esempi di film dove preti e suore vengono posseduti da entità maligne. Tuttavia nel mondo della serialità, "Midnight Mass" diventa un esempio di miniserie paurosa ma anche elegante e profonda.
Flanagan e la Scalata Tensiva: Prendete i Popcorn, ma Non Abbiate Fretta
Mike Flanagan, il maestro dell'horror contemporaneo, dimostra ancora una volta di sapere come costruire una narrazione intensa e coinvolgente. La tensione in "Midnight Mass" cresce come un’onda di marea, lenta ma inesorabile. Ogni episodio aggiunge un pezzo al puzzle, portando lo spettatore sempre più vicino all'inevitabile climax. Questo non è uno show da binge-watching distratto; richiede attenzione e pazienza, ma la ricompensa è una storia che ti tiene incollato allo schermo.
La Recitazione: Un'Ensemble di Talenti Celestiali
La recitazione in "Midnight Mass" è semplicemente stellare. Zach Gilford, Kate Siegel, Hamish Linklater e il resto del cast offrono performance che sono tanto intense quanto credibili. Linklater, in particolare, brilla nel ruolo di Padre Paul, il misterioso sacerdote che porta con sé un'aria di inquietudine e segreti oscuri. I personaggi sono ben sviluppati, e gli attori riescono a trasmettere una gamma di emozioni che vanno dalla devozione cieca alla disperazione più profonda.
Infatti, è proprio l'eterogeneità del cast che rende questo racconto speciale e intenso, secondo me. Dagli adulti ai pochi giovani presenti sull'isola, l'umanità viene incarnata in questa piccola ma speciale comunità.
Monologhi Lunghi e Dialoghi Teatrali: Shakespeare, Prendi Appunti
Una delle caratteristiche più distintive di "Midnight Mass" è l'uso di riprese lunghe e dialoghi che sembrano monologhi teatrali. Ogni parola è pesata e ogni silenzio carico di significato. Questi momenti possono sembrare lenti, ma sono essenziali per costruire l'atmosfera e sviluppare i temi della serie.
È come se Flanagan avesse deciso di portare il teatro in televisione, regalando agli spettatori scene di pura intensità emotiva che rimangono impresse nella memoria.
Il Messaggio: Non Solo Vampiri e Messa di Mezzanotte
"Midnight Mass" non è solo una storia di terrore; è una riflessione profonda sulla fede, il fanatismo religioso, il senso di colpa e la redenzione. Attraverso i suoi personaggi, la serie esplora le motivazioni che spingono le persone a credere e a sacrificarsi per ciò in cui credono. Il risultato è un messaggio potente che invita a riflettere su ciò che significa veramente avere fede e su quanto possa essere pericoloso quando diventa cieca e incontrollata.
Musica da Brividi: Un Coro di Note Angoscianti
La colonna sonora di "Midnight Mass" è un altro elemento chiave che contribuisce all'atmosfera inquietante della serie. Composta da The Newton Brothers, la musica utilizza cori angelici e melodie spettrali per amplificare la tensione e l'angoscia.
Ogni nota sembra avvolgere lo spettatore, immergendolo ancora di più nel mondo oscuro e misterioso dell'isola di Crockett. La musica non è mai invadente, ma sempre presente, come un sussurro inquietante all'orecchio.
Drammaticità e Impatto Emotivo: Preparati a Lacrime e Riflessioni
Il finale di "Midnight Mass" è un vero e proprio pugno nello stomaco emotivo. La drammaticità delle ultime scene, accompagnata dai dialoghi profondi e toccanti. Vengono toccati infatti temi universali come la fede e la morte.
I personaggi, giunti al loro momento di resa dei conti, offrono riflessioni che non solo danno senso alle loro azioni, ma costringono anche il pubblico a interrogarsi su ciò in cui crede. Il finale porta lo spettatore a pensare non solo alla fede ma anche sul significato della vita e della morte.
È un finale che lascia un segno profondo, sia per la sua potenza narrativa che per l'intensità emotiva, rendendo "Midnight Mass" una visione che resta nel cuore e nella mente ben oltre l'ultimo episodio.
Un'Esperienza Divina (ma Spaventosa) da Non Perdere
"Midnight Mass" è una miniserie che si distingue per la sua capacità di combinare elementi di horror e dramma con una narrazione profonda e riflessiva. Mike Flanagan ha creato un'opera che è tanto affascinante quanto inquietante.
Una serie che richiede attenzione ma ripaga con momenti di pura tensione e riflessione. Con una recitazione straordinaria, dialoghi che sembrano monologhi teatrali e una colonna sonora perfettamente calibrata, "Midnight Mass" è un must per chiunque ami le storie che fanno pensare e, al contempo, tremare di paura.
Non perdetevela, ma ricordate: guardatela a luci spente e con il cuore pronto a un bel batticuore.
Se vi è piaciuta come serie, commentate qui sotto. Non perdetevi i prossimi articoli e gli aggiornamenti sul mio profilo TikTok.
La vostra Easy Tears.
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lamilanomagazine · 3 months
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Forlì: 70enne danneggia l’auto dell’ex fidanzato imbrattandola con le proprie deiezioni, sorpresa e arrestata dai carabinieri
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Forlì: 70enne danneggia l’auto dell’ex fidanzato imbrattandola con le proprie deiezioni, sorpresa e arrestata dai carabinieri. Il malcapitato, anch’egli 70enne, sin dal mese di marzo di quest’anno era stato destinatario delle particolari “attenzioni” della sua ex che non si era rassegnata alla fine della storia sentimentale intrapresa poco più di un anno fa e conclusa, per volontà dell’uomo, lo scorso mese di gennaio. Dopo alcuni vani tentativi, la donna, intuendo che non avrebbe avuto alcuna possibilità di rimettere in piedi il rapporto, decideva di cospargere di feci il veicolo dell’ex fidanzato, agendo in tal modo in almeno 6 diverse occasioni. La vittima, pur non avendone certezza, sin da subito ha nutrito forti dubbi sulla ex partner, esternando i suoi sospetti in sede di denuncia che formalizzava presso il Comando Stazione Carabinieri del Ronco. La serialità degli eventi delittuosi, ingeneravano nella stessa persona offesa un grave e perdurante stato di ansia e paura, tale da cagionare un fondato timore per la propria incolumità costringendola ad alterare le proprie abitudini di vita come evitare di uscire durante le ore notturne. Gli stessi Carabinieri del Ronco, quindi, dopo una serie di mirati appostamenti, durante la decorsa notta hanno sorpreso ed arrestato in flagranza di reato la donna per atti persecutori, con ancora al seguito “l’arma del delitto” ovvero un bicchiere di plastica pieno di feci che la stessa ammetteva essere proprie. Convalidato l’arresto, alla donna è stato applicato il braccialetto elettronico così da non potersi avvicinare alla vittima entro il raggio di 500 metri.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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afnews7 · 3 months
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I migliori fumetti autobiografici da avere in libreria
http://www.afnews.info segnala: I fumetti autobiografici sono quelli che raccontano storie personali, di vita vissuta e con punti di vista unici. Consentono di viaggiare lontano e di entrare nei meccanismi di culture anche molto diverse dalla nostra. Con l’esplosione del successo dei graphic novel in libreria è cambiata totalmente la fruizione del fumetto, in passato ancorato alla serialità e a…
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ambrenoir · 3 months
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VITA & CONSUMISMO
Prendere atto vuol dire non subire fatalmente, vuol dire cercare di capire da dove sia iniziato il danno socio umano in cui siamo inclusi, perlomeno, se non da protagonisti, come spettatori assuefatti e passivi dentro una statistica. E dunque sospendiamo per un attimo la furia della tracimazione di cui siamo oggetto partecipe, o involontario, e ragioniamo. Ragioniamo oltre il subire questo maleficio sociale, dove la coscienza del sentimento è disidratata, agonica. Fare l’inventario fra cause ed effetti per capire chi siamo e che cosa abbia prodotto questo è il minimo. Non si può parlare del presente senza voltarsi indietro. Le cose iniziano sempre da altre cose. Dall’astinenza inizia il dispendio, la ricchezza nasce dalla miseria, come il rimedio nasce dal danno e il coraggio dalla paura. Per sottrazione dei beni si diventa migliori per forza di cose. Serve la mancanza per iniziare l’opulenza sia economica che emotiva. Le cose iniziano sempre da altre cose, purtroppo anche da rivoluzioni bendate.
Per esempio il sesso: sdoganare l’articolo mediante libertà sessuale, senza impegno, alla lunga si è definito in una delle più devastanti sconfitte sociali che ha creato fratture a catena, se non peggio, perché poi tutto è diventato diritto, anche ammazzare il migliore amico perché ha detto "bona" alla ragazza del momento, quanto lo stupro, identificato come supremazia, segnale di potere che sovrasti persino le concessioni autorizzate. Il sesso libero, vabbè il diversivo, ma la disinvoltura, la promiscuità hanno abolito le sfumature, un comportamento storico culturale che ha deprivato l’umanità del tempo dedicato all'attesa dell’incontro, e ha preso il sopravvento la serialità compulsiva e indifferenziata. Perché non c’è tempo? E’ stato sostituito da voracità, da bulimia sociale, assente dalla cura sentimentale di coppia, a discapito della cerimonia dell’amore, e dunque, alla fine, del desiderio stesso, perché nulla si fa più attendere. E’ un attimo:
“A casa mia o a casa tua?” "Il troppo stroppia, diceva mia nonna Anita."
Per capirci, una sorta di consumismo e il consumismo non conosce i tempi dell’affezione, va di fretta. Senza tempi di attesa e l’abbondante reperibilità del sesso, ha fatto il resto, rendendo le relazioni da voraci a indigeste in un attimo ed ogni mezzo per sciogliere l’impegno è diventato valido, anche ammazzare, che è il capolinea dell’orrore senza rimonta del rimedio. Nessuno prende fiato per vivere, nessuno contempla, nessuno trattiene la bellezza, nessuno mette assieme i cocci, nessuno rammenda, nessuno ascolta, nessuno chiede perdono, nessuno dice grazie, nessuno chiede scusa. E’ un tempo dimissionario, terminale, perché non c’è tempo, è un tempo che non vive e non muore, perché bisogna consumare, consumare, consumare, dal turismo al bar, dalle calorie al sesso, è uguale.
L’abbondanza ha eluso la parsimonia, non serve più conservare a lungo, ma rinnovare di continuo ogni cosa, incluso il rapporto sentimentale, come fosse l’ultimo cellulare, ed è omologamia della peggior specie. L'indigenza rende migliori, l'abbondanza ti abitua all'indifferenza. La coscienza emotiva ha perso il volume, la risonanza, l'eco, si è spento tutto. E’ finito il tempo del sentimento, non si fa nemmeno in tempo ad accumulare i ricordi, che è già in avaria. Tutto uguale: dall’amore al cell. dal taglio dei capelli alla felpa. E' un codice di riconoscimento, una dittatura, un regime, liberi di non scegliere. Uno strazio collegiale.
Il diritto al cannibalismo sociale ha sopraffatto ogni armonia, compresa la musica senza più sfumature, atta allo stordimento, martellate identiche che annullino ogni volontà, una sorta d’ipnosi da cui non esci. Dalle persone alle cose è uguale, è diventato un fenomeno, non si può parlare più di eccezione, ci stiamo eliminando fra noi, e forse ce lo meritiamo. Il consumismo ha svalutato ogni cosa. Stiamo diventando dei monouso, di fatto, il nucleo, detto anche famiglia, è deflagrato, i figli sparsi qua e là come le perle cadute ovunque, dalla collana fatta a pezzi della Madre che si è spostata dal centro, o perché se n’è andata, o perché l’hanno ammazzata.
Ornella Pennacchioni
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multiverseofseries · 5 months
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Diabolik - Chi Sei?: il Re del Terrore saluta il cinema, senza infamia e senza lode
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È a malincuore che mi ritrovo a scrivere di Diabolik - Chi Sei?, il film che va a chiudere la trilogia dei Manetti Bros. Lo faccio con dispiacere perché si tratta di una saga che ha faticato molto a livello produttivo e il risultato ne ha risentito, tanto che siamo quasi più contenti di averlo salutato che tristi per dovergli dire addio, almeno sul grande schermo.
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Diabolik - Chi sei?: Giacomo Gianniotti in una scena
Ciò che era nata infatti inizialmente come una serie tv per Sky - che a livello di qualità produttiva ha riscritto la serialità italiana degli ultimi anni - poi è diventata una trilogia per il cinema a cura dei Manetti Bros. Ma poi Ci si sono messe di mezzo anche la pandemia e un cambio di cast dovuto agli impegni di Luca Marinelli nei panni del personaggio titolare, che non voleva firmare per una trilogia, passando la mano a Giacomo Gianniotti, et voilà: l'insuccesso è, purtroppo, servito.
La parola alle donne
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Diabolik - Chi sei?: Giacomo Gianniotti in una foto
Dopo la presentazione dei personaggi nel primo film e l'attacco da parte del Ginko di Valerio Mastandrea nel secondo, questo terzo capitolo conclusivo si concentra da un lato sull'origin story di Diabolik e dall'altro su un nemico comune esterno che potrebbe far collaborare proprio il Re del Terrore e l'Ispettore sua nemesi complementare. C'è infatti una nuova e pericolosa banda di rapinatori in città, che non si fa problemi ad uccidere, e Diabolik e Ginko, lo yin e lo yang di questa storia, ne finiscono vittime.
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Diabolik - Chi sei?: Miriam Leone con Monica Bellucci in una scena
Spetterà allora alle donne della loro vita il compito di salvarli, rispettivamente la Eva Kant di Miriam Leone - sempre perfetta nel ruolo - e la Altea di Monica Bellucci - new entry del secondo film. Sono loro che muovono l'azione di questo canto del cigno cinematografico per il Re del Terrore, con sentimento, arguzia e maestria, mentre gli uomini sembrano perdersi in un bicchier d'acqua - non solo il poliziotto e il ladro, ma anche i membri della squinternata banda.
Spiegoni
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Diabolik - Chi sei?: Valerio Mastandrea in un'immagine
Il nuovo ed interessante punto di vista femminile - di cui in realtà erano già state gettate le basi nei capitoli precedenti ma che in Diabolik - Chi sei? viene approfondito ed acuito - purtroppo non impedisce alla pellicola di ricadere negli errori dei precedenti. Anche se bisogna lodare la coerenza dei Manetti Bros. mantenuta fino alla fine dello stile scelto, più fedele alla controparte cartacea e quindi più compassato. Ci troviamo quindi di fronte ad una serie di spiegoni che sembrano più indirizzati ad un target di spettatori da Rai Fiction, che hanno bisogno, anche quando si gioca con flashback e storyline ad incastro, che tutto sia il più chiaro possibile, a costo di essere allungato o esplicato più volte. Quello che doveva essere il grande saluto di Diabolik al cinema viene spogliato delle sue caratteristiche più avvincenti: dal ritmo che caratterizza una prima parte più dinamica si passa ad una seconda in cui si getta l'ancora e ci si dimentica di riaccendere il motore.
Cura formale
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Diabolik - Chi sei?: Giacomo Gianniotti con Carolina Crescentini in una foto
Non manca il ritorno, rispetto al secondo capitolo, alla cura formale che ha caratterizzato il Diabolik dei Manetti Bros., dalle scenografie e costumi che in questo caso dovevano ricreare gli anni '70, anche a livello di musiche sempre a cura di Pivio e Aldo De Scalzi, ma il risultato è davvero sottotono per un'uscita di scena che sarebbe potuta essere in grande stile per Giacomo Gianniotti, che continua ad avere gli occhi giusti, e per il suo Diabolik.
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Diabolik - Chi sei?: Miriam Leone e Giacomo Gianniotti in una scena
Il fascino di Miriam Leone e il suo incarnare perfettamente Eva Kant, gli split screen, le trovate di regia dei Manetti che però mancano di veri e propri guizzi, nonostante qualche omaggio qua e là al genere, non possono salvare un epilogo che risulta stanco proprio come tutta la trilogia. Non basta il ritorno alle origini proprio sul finale - con un Lorenzo Zurzolo che si ritrova sulle spalle la responsabilità di essere un giovane, ancora inesperto ma già glaciale Diabolik - se ciò a cui ci troviamo di fronte è una sceneggiatura troppo elementare, degli interpreti poco convincenti con una recitazione troppo teatrale e didascalica - come i membri della banda o l'accento surreale dell'Altea di Monica Bellucci. Tutti questi elementi chiudono il cerchio di motivi per i quali questa trilogia, forse, non s'aveva proprio da fare.
In conclusione Diabolik – Chi Sei? ancora dispiaciuta che il risultato di questo capitolo conclusivo, così come di tutta la trilogia cinematografica, non sia stato all’altezza delle aspettative. Si torna alla cura formale del film inaugurale ma il risultato non può renderci soddisfatti. Non sarebbe giusto nei confronti del fascino sempiterno di Diabolik, che sulle pagine di Astorina continua ad appassionare ancora oggi dopo 60 anni. Un film troppo didascalico, troppo lento nella parte centrale-finale, che indugia troppo sugli elementi che avrebbero reso il finale avvincente e appassionante, a favore di una coerenza con i due precedenti, che forse andava fatta virare su altri lidi, a costo di cambiare registro.
Perché ci piace 👍🏻
Il punto di vista femminile di Eva e Altea.
L’inserimento del nemico comune esterno a Diabolik e Ginko.
La cura formale a livello di scenografie, costumi e musiche.
L’origin story di Diabolik…
Cosa non va 👎🏻
…anche se forse arriva un po’ troppo tardi.
Tutta la parte centrale è troppo lenta e inutilmente allungata, facendo perdere mordente al finale.
Gli spiegoni.
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