Tumgik
#tassidermista
unfilodaria · 1 month
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GIUDIZIO ABBREVIATO
Tra chi si dissolve e chi resta, un soffio. Silenzio, laceri i suoni, la pietra, circondi di ombre le colline, trovi il riso dei passanti, l' arcadia dei torrenti. Nascosto alla pioggia di primavera Ti calmi, attendi un luogo, chiedi dove decifrarti. Silenzio che fiorisci tra le traiettorie dei morti, sotto gli armadi, allo specchio, tra luci di lanugini. Alle quattro doni due spighe al vento, non ti perdi tra gli ulivi, smarrisci la consistenza di zolla, incontri pomeriggi vasti come il disegno dei gusci. La luna di marzo prepara la pula e spala. Ruota l' ora come il bacio di ieri, le labbra, la lotta.
Alfonso Guida da "Il tassidermista" Terra D'ulivi Edizioni 2022
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acquaconlimone · 1 year
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Il tassidermista di Papa Benedetto XVI è lo stesso truccatore della Santanchè.
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massimomelani58 · 2 years
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Quell'inquietante persona di nome Giorgia e di cognome Meloni
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salvia · 3 years
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delirio alla tassinara
mugugnante, mi accingo a prendere un taxi a linate, nella solita disordinata fila, coi tassisti che arrivano senza un (apparente) ordine e caricano per primo il più aggressivo. Per quello mugugno preventivamente, già lo so.
E’ ogni volta un momento di trascurabile infelicità [cit.] che poi passa, un po’ perché è, appunto, trascurabile, e un po’  perché devo concentrarmi a spiegare al tassista che la mia via è quella con al D non con la T, che altrimenti mi porta dall’altra parte della città.
Il tassista generico di solito dopo un po’ capisce. 
Il tassista che mi accoglie parte mentre cerco di spiegargli: via de panDeronis, no via de panTeronis  (ho mascherato il nome della via per la praivasi), mi raccomando, che altrimenti mi porta fuori strada. 
ho capito ho capito, via de panTeronis. 
NOOOOO, con la D, no la T!
eh ma io conosco solo via de panTeronis.  
sì ma non è lì che devo andare. guardi, se vuole le indico la strada io, c’ho anche waze, non possiamo sbagliare. 
ah questo no! Ho il mio navigatore, che non sbaglia un colpo. 
tira fuori un tomtom, credo prima serie, quello con lo schermino piccolo piccolo, e lo mette a sedere nel sedile di fianco a lui. comincia a digitare con la gomma di una matita mentre siamo in marcia, guardando il sedile e non la strada. mi sento inquieta. io sbircio e vedo che scrive la via con la T.  
non devo andare lì, diomadonna! ha capito?
sì ma come si scrive la sua via?
scriva: D come Domodossola, E come Empoli, P come… guardi che non ha fatto lo spazio!
vabbè ricomincio ma aspetti il semaforo rosso così nel frattempo guarda la strada.
allora ricominciamo: D. come domodossola, E come empoli, SPAZIO, P come palermo… Noooo, non B come Balermo P, scriva P poi arriviamo alla D che lui vuol fare T,  gli urlo DOMODOSSOLA!!!! e la mette giusta. 
Da qui dovrebbe andare tutto bene.
Per farla breve nel tragitto si è infilato in una preferenziale dei tram (quella con rotaie ed erba), se ne è accorto dalle mie urla, poi ha fatto marcia indietro (col tram che incombeva). Ha fatto anche un pezzo di contromano per rientrare nella sua preferenziale, con me dietro sempre urlante. Ma credo che fosse anche un po’ sordo. E anche che ci vedesse poco. e che probabilmente fosse vicino ai 100 anni. 
Immagino che continui a guidare per necessità, perché se è per tigna, è da galera.
Oh tassista,
sei quasi pronto per il tassidermista
nel frattempo
che dio t’assista
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tma-traduzioni · 3 years
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MAG054 - Caso #0132306 - “Natura Morta”
[Episodio precedente]
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ARCHIVISTA
Dichiarazione di Alexander Scaplehorn, riguardo alla sua valutazione del tassidermista La Stanza dei Trofei a Barnet.
Dichiarazione originale rilasciata il 23 giugno del 2013. Registrazione audio di Jonathan Sims, Capo Archivista dell’Istituto Magnus, Londra.
Inizio della dichiarazione.
ARCHIVISTA (DICHIARAZIONE)
Cerco di non giudicare in base alle apparenze. Provo un po’ di pena per coloro che si ritrovano automaticamente offesi da quelli attorno a loro. Non solo perché io stesso sono uno che potresti gentilmente descrivere come “dall’aspetto bizzarro”, ma perché la mia carriera mi ha portato a lavorare per l’Agenzia delle Entrate, e dovresti vedere il modo in cui le persone si scansano da te quando scoprono che lavori per il fisco.
Quindi io provo a essere un po’ meno superficiale di così e di dare a tutti una possibilità, quindi fu con quella che potrebbe essere descritta come una mente ostinatamente aperta che andai a fare un controllo a La Stanza dei Trofei - il negozio di un tassidermista vicino a Woodside Park a Barnet.
Non sono mai stato in alcun modo attratto dall’idea della tassidermia tranne che per qualche esempio interessante al Museo di Storia Naturale, ma ero abbastanza sicuro del fatto che non si meritasse la sua macabra reputazione. Ovviamente, avrei fatto l’ispezione per accertarmi che non venisse usata per riciclaggio di denaro, quindi se fosse venuto fuori che era coinvolto in attività illecite ogni mia possibile cattiva opinione sarebbe stata abbastanza giustificata, ma non volevo essere avventato.
Vedi, La Stanza dei Trofei è stata un punto di riferimento a Woodside Park per circa trent’anni, ma come molti negozi per interessi di nicchia, sembra vedere pochi veri affari. Le sue tasse erano tutte in regola, ma c’erano pochissimi clienti regolari e la maggior parte dei soldi che la tenevano a galla venivano da grosse transazioni sporadiche che in qualche modo sembravano eccessive per gli oggetti acquistati - tutte caratteristiche del riciclaggio di denaro.
Saresti sorpreso da quante attività davanti alle quali passi ogni giorno lungo la strada vengono usate in questo modo. Quei negozi che sembrano non essere mai aperti, o che servono mercati così specifici che ti chiedi come facciano a chiudere in pari. Beh, spesso non ce la fanno senza un po’ di aiuto illecito.
Ora, non sono un poliziotto, non ho il potere di arrestare nessuno, di revocare una licenza, e neppure di fare una multa senza una discreta quantità di scocciature, tutto quello succede dopo e con altre persone. Il mio lavoro è solo discutere dei loro adempimenti fiscali e le norme per prevenire il riciclaggio di denaro ed esaminare le loro transazioni per confermare che non siano troppo sospette. Lo trovo interessante ma sono ben consapevole che la maggior parte delle persone che esamino non condividono la mia opinione.
Non appena arrivai a La Stanza dei Trofei fui in grado di determinare che ci sarebbe voluto del tempo.
Il luogo aveva uno strato di sudicio che si può accumulare solo dopo anni che un’attività è stata aperta senza alcun cambiamento, le lettere dorate dipinte erano ora di un marrone sporco e i bordi della tenda da sole verde oliva erano rigati dalla sporcizia. La tigre impagliata nella vetrina era così sbiadita dal sole che che dovetti controllare due volte per assicurarmi che non fosse un leone, da quanto erano leggere le strisce. I suoi occhi erano vitrei e uno dei suoi denti si era spezzato.
Anche così, c’era qualcosa nella curva della sua bocca che mi attirò, e mi persi a fissarla al punto tale che quasi feci un salto quando la campanella sopra la porta fece il suo stridente rumore metallico.
Guardai su e vidi un uomo sorprendente giovane lì in piedi. Mi ero aspettato un qualche burbero vecchio guardacaccia a giudicare dall’aspetto del luogo, ma invece questo ragazzo sbarbato di venti e qualcosa anni mi offrì la mano perché la stringessi. La presi. La mano era ferma e molto asciutta. Gli chiesi se fosse il proprietario, e lui rispose che lo era, presentandosi come Daniel Rawlings. A quanto pare il negozio era appartenuto a un vecchio amico di suo padre, che non aveva molti parenti, e quando era morto qualche anno prima Daniel lo aveva ereditato.
Gli chiesi se almeno fosse interessato alla tassidermia e lui si limitò ad alzare le spalle e a invitarmi dentro con un gesto.
L’odore mi colpì non appena varcai la soglia. Era così denso che quasi potevi sentirne il sapore, come se qualcosa avesse ucciso un giglio e ora questo stesse marcendo sotto le assi del pavimento. Un odore terribile. Mi girai per vedere Daniel accendersi una sigaretta come per riconoscere la presenza dell’odore. Fece di nuovo spallucce e disse che erano le sostanze chimiche, lanciando un’occhiata alla collezione composta di fauna impagliata.
Fu allora che me ne accorsi. Centinaia di occhi vitrei e morti che mi fissavano da ogni direzione. Un alce di fronte a me, uno scaffale pieno di scoiattoli lungo la parete, corvi immobili attaccati a un vecchio lampadario elettrico, e dozzine e dozzine di pesci attaccati a targhe o sigillati in finti acquari.
Pelo, piume, scaglie, ogni specie e tipo di pelle morta mi circondava, tutte bloccate in un’immobilità inquietante come se fossero intrappolate in un mondo dove il tempo si era semplicemente fermato. Tutto tranne i loro occhi ovviamente. I loro occhi non erano mai stati vivi e sembravano tutti fissare nella mia direzione, così che guardare troppo da vicino uno qualsiasi di loro era come scrutare in quel vetro cieco.
Mi ci volle un momento per ricompormi e per provare a ricordarmi che avevo preso la decisione di non giudicare il negozio o il suo proprietario in base al fatto che molti consideravano la tassidermia inquietante. Potevo vedermi diventare una di quelle persone e combattei molto duramente contro la sensazione che c’era qualcosa di sbagliato che provava a farsi strada nella mia testa.
Mi sforzai di fare a Daniel qualche vago complimento sulla varietà dei suoi esemplari mentre lui si accendeva un’altra sigaretta. Presi in considerazione di menzionare il divieto di fumare, ma quello non era il motivo per cui mi trovavo lì, quindi iniziai semplicemente a parlare del riciclaggio di denaro.
Annuì e disse che aveva ricevuto la lettera che preannunciava il controllo e che mi aveva preparato tutti i conti e le transazioni degli ultimi anni, mi spiegò che in quanto aveva avuto l’attività da pochissimo non ne sapeva molto di pratiche e procedure contro il riciclaggio di denaro. Questo fu musica per le mie orecchie, in quanto ci sono pochissime cose che preferisco allo spiegarne le basi a un nuovo e interessato proprietario di un’attività e in pochi minuti mi ero dimenticato di tutti gli occhi vitrei che sembravano seguirmi in giro per la stanza. (Per lo meno quasi del tutto.)
Daniel sembrò particolarmente interessato quando illustrai i controlli base di adeguata verifica, ma questa non era la prima volta. La gente, in particolar modo i nuovi proprietari di attività, tendono a mettersi seduti e prestare attenzione quando l’HMRC viene a far visita. Voglio dire, non cerco di sfruttare la mia posizione, ma le persone prendono un controllo del fisco molto seriamente e può creare delle audience meravigliosamente attente.
Daniel non sembrava essere nel panico o preoccupato però, semplicemente interessato. Fece tutte le domande giuste e aveva sempre pronto un buon esempio per tutti gli aspetti più astratti della conversazione. Tutto considerato fu un vero piacere discutere il riciclaggio di denaro con lui. Smisi addirittura di notare l’odore dopo un po’, anche se me ne accorgevo di nuovo ogni qual volta lui accendeva un’altra sigaretta, cosa che succedeva solitamente subito dopo che finiva la precedente. Non posso neanche immaginare in che condizione siano i suoi polmoni.
L’unica cosa leggermente imbarazzante era che sembrava determinato a non incrociare il mio sguardo, guardando il pavimento, o gli animali impagliati, ma mai me direttamente. Era un po’ sconcertante, ma ho un cugino con l’autismo quindi non era una situazione completamente nuova per me.
Alla fine la conversazione giunse al termine e Daniel parlò di alcune delle procedure che avrebbe implementato. In verità sembravano leggermente eccessive visto che al momento era l’unico a lavorare a La Stanza dei Trofei, ma di certo non gli avrei detto di essere meno scrupoloso.
Poi gli chiesi se potessi controllare i suoi libri contabili, e lui annuì di nuovo e mi condusse nel retrobottega.
L’ufficio dietro il negozio principale era piccolo e molto pulito. La maggior parte dello spazio era occupato da una grande scrivania di rovere, e potevo vedere un’altra porta che conduceva a quello che sembrava essere un laboratorio a giudicare dai tavoli e dalle buste di segatura.
Daniel mi diede i suoi libri mastri, registri bancari, e scontrini e mi lasciò al mio lavoro. Niente era stato digitalizzato e potevo dire che mi ci sarebbe voluto molto tempo per controllare tutto. L’odore lì era meno intenso se non altro, quindi non sarebbe stato così terribile quanto avrebbe potuto essere.
C’erano lavori di tassidermia anche in questa stanza, anche se diversi da quelli sul davanti. Appese lungo le pareti c’erano pellicce e pelli animali conciate. Sembravano molto vecchie. Riconobbi le origini di alcune come native americane o africane, e una sembrava così antica che a respirarci vicino avevo paura si sarebbe polverizzata.
Sulla scrivania, schiacciata contro la parete, c’era una lepre impagliata con un piccolo panciotto. Mi ricordò il Bianconiglio di Alice nel Paese delle Meraviglie, anche se il pelo era sbiadito e ora macchiato di un giallo pallido. Trovai il suo muso un po’ più inquietante degli altri anche se non sapevo dire perché, e provai a non guardarlo troppo da vicino mentre esaminavo i registri del negozio.
Non sembrava esserci alcun giro di riciclaggio di denaro, il che fu un sollievo. I prezzi che le persone pagavano occasionalmente per le creature impagliate erano molto alti, ma non sono affatto un esperto del settore e non sembrava esserci nulla di sospetto nei libri contabili.
Mi chiesi a che tipo di persone vendesse, tuttavia.
Dalla stanza sul retro vidi quattro clienti entrare durante il corso della giornata. Ogni volta li guardai mentre diventavano sempre più a disagio prima di fuggire via dalla porta, cercando di razionalizzare le loro paure. Li capivo.
Era quasi l’orario di chiusura quando Daniel tornò a controllarmi. Gli diedi la buona notizia. Non sembrava particolarmente sollevato ma mi disse che era felice di sentirla. Poi rise e chiese se sapessi quale onore avessi avuto. Non capii.
Mi disse che ero stato seduto qui tra alcune delle pelli più vecchie del mondo. Fu così che lo disse. Mi innervosì un poco e lanciai uno sguardo veloce al laboratorio prima di ricordarmi che stavo tenendo la mente aperta verso la sua strana professione.
Daniel iniziò a illustrare i pezzi esposti. Pelle di bufalo dal Nord America, giaguaro dal Sud, una pelliccia di lupo dell’Alto Medio Evo. La lepre, disse, era stata parte della Grande Esposizione del 1851 e contribuì a far impazzire l’Inghilterra Vittoriana per quest’arte.
Non mi piacque l’enfasi che mise su impazzire quando lo disse.
Infine indicò la più antica delle pellicce. Mi disse che era una pelle di gorilla da Cartagine, portata da Annone nel V secolo aC, e che poteva essere il pezzo di tassidermia più antico al mondo.
A essere onesto non gli credetti. Anche se la pelle di un gorilla potesse essere preservata per più di due millenni, sembrava essere una cosa improbabile da trovare nel retrobottega di un negozio a Barnet. Era chiaramente molto vecchia tuttavia, e su quello non lo contestai.
Stavo proprio per inventarmi una scusa e andarmene quando la campanella suonò all’ingresso del negozio, un paio di voci antipatiche dall’accento cockney iniziarono a chiamare Daniel. A questo impallidì e mi chiese di scusarlo per un momento, lasciandomi improvvisamente solo nel retrobottega.
Sentii l’uomo dire qualcosa sullo scaricare un furgone e poi la campanella suonò di nuovo, portandosi via Daniel. Ero solo.
Stavo giusto mettendo via le mie cose e prendendo gli ultimi appunti per il mio report quando sentii qualcosa. Erano smorzate ma erano sicuramente delle parole. Sembrava che venissero da sotto il pavimento. Controllai e vidi una maniglia ad anello connessa a una piccola porta che non avevo notato, che pensai conducesse a uno scantinato.
Il suono riecheggiò nuovamente. Diedi un’occhiata al davanti del negozio per vedere se Daniel fosse ritornato, ma c’era silenzio.
Sapevo che aprire la porta era una cosa stupida da fare. Non posso immaginare un singolo scenario in cui per me potesse finire bene, ma l’intero posto era così strano che parte di me non poté resistere al vedere quanto scendesse la tana del coniglio, se mi scusate il gioco di parole.
Quindi aprii la porta.
C’era davvero una rampa di scale che svaniva giù in quello che sembrava essere uno scantinato. Se c’era un interruttore della luce non riuscii a vederlo. Era impossibile vedere oltre la prima dozzina circa di scalini. La luce che veniva dalla debole lampadina dietro di me però illuminava una cosa.
Un volto.
Non riuscii a coglierne i dettagli ma era pallido e oscillava leggermente da un lato all’altro. Il corpo sottostante era nell’ombra e nascosto ma sembrava fissare in su verso di me mentre si muoveva.
Parlò, la cadenza identica a quella che avevo sentito attraverso la porta di legno.
“Ne abbiamo uno qua sotto. Venga, glielo faccio vedere.”
Era così piatta, quasi meccanica. Sembrava un discorso genuino tanto quanto il vento che soffia attraverso una roccia crepata sembra la musica di un flauto. Questo per dire che potrebbero avere  un suono quasi identico, ma solo uno è prodotto da un essere umano in vita. Iniziai a dire qualcosa, a gridare, ma la voce mi morì leggermente in gola mentre il volto si ritirava nello scantinato.
“Ne abbiamo uno qua sotto. Venga, glielo faccio vedere.”
Mi girai e camminai molto rapidamente nel negozio. Ora ero completamente terrorizzato e potevo sentire il sudore freddo gocciolarmi dalla fronte. Sulla porta si trovava Daniel. Mi chiese se stessi bene con un sorriso che mi diede il voltastomaco, e infine mi guardò negli occhi.
Riconobbi lo sguardo vitreo. Gli stessi occhi che mi fissavano da centinaia di orbite piene di segatura in giro per la stanza.
Quando tutti iniziarono a muoversi per poco non crollai. Se lo avessi fatto senza dubbio sarei morto o magari molto peggio. Invece ebbi un’improvvisa scarica di adrenalina e corsi contro Daniel, spingendolo e facendolo cadere sorpreso sul pavimento. Fu come colpire un sacco di sabbia.
I suoi due amici cockney furono troppo lenti per afferrarmi prima che fossi giù in strada. Non sembra, ma posso muovermi a un passo decente quando devo, e lo feci per quasi un’ora prima che mi sentissi abbastanza sicuro da fermarmi.
Sono stato molto fortunato, sa. Ho avuto la prontezza di radunare tutti i miei appunti prima di aprire la porta dello scantinato. Voleva dire che non ci sarei dovuto ritornare, avrei potuto semplicemente scrivergli un rapporto coi fiocchi e non pensarci mai più.
Tranne che per lasciarvi la mia dichiarazione, ovviamente. E questo è proprio quello che ho fatto. Dopo tutto, qualsiasi cosa fosse tutta quell’altra roba, non stavano riciclando denaro.
ARCHIVISTA
Fine della dichiarazione.
È stato con un po’ di trepidazione che ho fatto la scoperta che La Stanza dei Trofei è ancora aperta e ancora proprietà di Daniel Rawlings. È il tipo di pista che non ci capita mai in questi casi, ancora operativi e disponibili per le indagini. Comunque, visti gli eventi riportati qui, ho avuto dei seri dubbi riguardo al mandare qualcuno a investigare. Potrei non fidarmi completamente dei miei assistenti, ma non li perderò.
Alla fine Sasha si è offerta volontaria. L’ho avvisata che avrebbe potuto essere pericoloso ma sembrava molto entusiasta. È venuto fuori che si trattava di una cosa piuttosto deludente alla fine.
Per quanto fosse sinistra la tassidermia, a quanto pare non c’era nessuna figura nello scantinato, cosa che Rawlings è stato felice di farle indagare, né ulteriori evidenti stranezze relative ad altri aspetti del negozio. Rawlings afferma di non ricordare corrieri dall’evidente accento cockney, ma sono sicuro di non aver bisogno di esplicitare i miei sospetti a riguardo.
Non c’è niente che possiamo provare e se non vuole parlare non c’è molto che possiamo fare per fargli cambiare idea. Nega inoltre di essere lo stesso Daniel Rawlings scomparso da Edimburgo nel 2006.
Ha permesso a Sasha di scattargli una fotografia e l’ho comparata con le immagini disponibili del Daniel Rawlings che è sparito. È una cosa molto strana. Sono di altezze diverse, di costituzioni diverse, forme dei volti diverse, ma i capelli sono identici.
Gli occhi d’altro canto no, e ritengo difficile pensare che possano essere la stessa persona. Un altro vicolo cieco.
Fine della registrazione.
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Supplemento.
Mi sono introdotto nell’appartamento di Gertrude.
Stavo facendo delle indagini quando ho scoperto che la sua casa non era ancora stata riaffittata. Una rapida conversazione con l’agente immobiliare ha confermato che ci sono stati dei contrattempi legali dovuti alle circostanze della sua scomparsa e morte, e che lei aveva pagato per i sei mesi seguenti, quindi non lo avevano ancora svuotato.
Allora ho fatto irruzione. Non è stato facile e la finestra ha significato che non ho avuto molto tempo prima che sentissi le sirene ma penso di essere riuscito a farla franca.
Ho scoperto delle cose grazie a questo. Primo, Gertrude conduceva una vita molto minimalista. Non c’era nulla in cucina tranne delle bustine di tè, una teiera, un bollitore, e una sola tazza. Il suo letto era rifatto con precisione e aveva un singolo scaffale di libri pieno di una gamma di volumi, principalmente sulla storia. A giudicare dalla busta che ho trovato lì vicino, credo che si sbarazzasse dei libri una volta che li aveva letti.
Non possedeva un televisore, ma ho trovato qualcosa che ha destato il mio interesse: il caricabatterie di un laptop. Non c’era traccia del computer a cui si collega, ma la possibilità che avrebbe potuto possederne uno si è inserita piuttosto in alto nella lista delle mie priorità.
Comunque, casa sua mi ha dato poche informazioni in sé per sé, anche se continua a provare che la mia impressione di Gertrude difficilmente potrebbe essere meno accurata. Sto iniziando a pensare che l’unica supposizione azzeccata che ho fatto su di lei sia che probabilmente le piaceva il tè.
Oh, e ho anche dato un’occhiata a una manciata di libri sul suo scaffale. Erano tenuti molto bene, tranne per il fatto che ogni qual volta il volto di una persona era stampato sulla copertina, i loro occhi erano stati ritagliati e rimossi con molta cura.
Fine del supplemento.
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[Traduzione di: Victoria]
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limoniacolazione · 4 years
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La piccola tassidermista
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kon-igi · 5 years
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LONG WAY HOME - Capitolo Due - Per un pugno di mosche
Capitolo Uno - Il cavaliere Impallidito
Questo è il punto di svolta da cui le cose vanno a farsi vieppiù spiacevoli, a partire in modo particolare dall’ascella.
(Prendete nota: è stato molto ganzo e scaltro essersi evitato due cartuccioni a pallettoni nel pancreas ma come tutti voi sicuramente saprete 14 (7+7) grammi di polvere nera Swiss N°2 detonati in una canna da 18,5 mm sviluppano una temperatura prossimale conduttiva di 3120 Joule e prima che andiate a rispolverare i vostri vecchi tomi di fisica vi dico che equivale a circa tre giorni di bestemmie fitte a suonare il banjo col gomito in alto per dare aria all’ascella ustionata)
♪♫ Mush-a ring dumb-a do dumb-a da Wack fall the daddy-o, wack fall the daddy-o C’è il whiskey nella giara! ♪♫
La tempesta lasciata alle mie spalle, pancake di arenaria rossa che mi cingono i bordi degli occhi, sopra di me un sole cattivo che sembra suggerirmi di provare a togliere il cappello e sotto di me il fedele e possente Re Nero, un pony color panna acida senza una zampa.
♪♫ Mush-a rin… CAZZO! dumb-a do dumb-aAARGH! Wack fall the dadEEEHHHH!!!, wack fall thECCHECCAZZO! C’è il whiskey nella giarAAAHHHHHH!! EH NOOOO, CRISTO!!! ♪♫
Rennie – gli dico spazientito – cerca di sincronizzare il passo monco coi punti morti degli accordi sennò mi fai assomigliare a Jimi Hendrix che cerca di mangiare fried chicken wings da un pollo vivo!
Vaffanculo – controbatte Rennie o perlomeno è quello che credo intenda, in assenza di un buon dizionario cavallese-umano.
E si continua così, col gomito sinistro che punta ben alto verso la stella polare e il graffiare metallico del banjo, che mi accompagna nell’esecuzione della vecchia e famosa ballata di whiskey, donne e tradimenti.
Io stavo cavalcando in mezzo ai monti Kerry Poi vidi il Captain Farrel che contava il suo bottino Puntai la mia pistola, sventolai la sciabolona Gli dissi ‘molla l’osso!’ perché un ladro ruba a un altro.
♪♫ Mush-a ring dumb-a do dumb-a da Wack fall the daddy-o, wack fall the daddy-o C’è il whiskey nella giara! ♪♫
Contai le sue monete, mordendo pure i penny Le misi tutte in sacca e tornai dalla mia Jenny Lei splendida mi bacia e mi dice che mi ama Ma il diavolo la prenda ché le donne sono serpi
♪♫ Mush-a ring dumb-a do dumb-a da Wack fall the daddy-o, wack fall the daddy-o C’è il whiskey nella giara! ♪♫
Andai nella mia stanza per fare un sonnellino Sognai cascate d’oro da donare alla mia donna Ma Jenny la bagascia mi bagnò le munizioni E disse a Captain Farrel di venire a massacrarmi
♪♫ Mush-a ring dumb-a do dumb-a da Wack fall the daddy-o, wack fall the daddy-o C’è il whiskey nella giara! ♪♫
Col sole ancora a nanna, appen prima di svegliarmi sfondaron la mia porta Captain Farrel e i suoi soldati sparai cinque o sei colpi, ché la sciabola non c’era ma con l’acqua nella canna in galera mi gettaron
♪♫ Mush-a ring dumb-a do dumb-a da Wack fall the daddy-o, wack fall the daddy-o C’è il whiskey nella giara! ♪♫
– Ehi! Guarda là, Rennie, più avanti sulla strada! Non ti pare un cartello con uno scontatissimo teschio di vacca appeso a un angolo?! Ti sei mai chiesto perché si vedano un sacco di teschi di vacca in giro ma non il resto dello scheletro? Forse esiste un cimitero delle vacche dove questi animali vanno a morire ghigliottinati e poi qualcuno si prende la briga di appenderne le teste in giro! Eh, Rennie? –
Vaffanculo – un altra volta, anche se voglio pensare di avere capito male e che invece l’idea lo esaltasse.
Mi avvicino al cartello, strizzo gli occhi nella luce del sole che va indebolendosi e leggo ad alta voce il nome
OLD KNEE-WOUNDED ONE-EYED BACK-CROOKED UNDER-WHIZZER  GOLDSEEKER’S DUSTY DAMNED FRENCH GULCH - Popolazione 666 665 abitanti
Continuo a fissare il cartello per cinque minuti buoni, con la strana sensazione inspiegabile che qualcosa non vada per il verso giusto, finché non mi rendo conto che è solo profonda compassione per i residenti dislessici. Poracci!
Entro nella cittadina, il classico stradone costellato di buche fangose e merde di cavallo; sui lati qualcuno ha vomitato un’emorragia di legno marcio che vorrebbe fare il verso a un insieme organizzato di abitazioni e negozi. Lì la bottega del maniscalco (uno a cento che è pelato e picchia sull’incudine guardandoti sempre male), laggiù il falegname-becchino, sicuramente col metro sempre in mano, più avanti l’emporio col proprietario che funge pure da barbiere e cavadenti e infine il saloon, che puzza di sifilide e guai seri anche da questa distanza.
– Credo che chiederò informazioni su dove alloggiare al legale rappresentante dell’ordine costituito, Rennie e mi farò rischiarare la strada dal fulgore della sua Stella di Sceriffo.
Nemmeno il pony sembra avere da obiettare e così mi dirigo alla piccola costruzione in legno, riconoscibile dalle sbarre alle finestre, dalla stella stilizzata in nero e giallo sulla facciata ma soprattutto dal cadavere impiccato all’albero di fronte.
L’odore di scorreggia dopo un avvelenamento da pesce avariato mi dice che il becchino ha terminato il legno già da qualche giorno e la cosa mi stupisce perché conosco l’ipocrita rispetto che questi bigotti forcaioli riservano ai morti. Cerco di non notare il liquame nero che cola dagli occhi e dalle orecchie del morto e passando oltre salgo i gradini di legno del porticato.
Trovo lo sceriffo davanti all’ingresso, stravaccato a gambe incrociate e cappello calato in faccia su una sedia a dondolo che sembra cigolare anche da ferma. Una bottiglia quasi vuota appoggiata a terra, il cui contenuto lo vedrei bene nel laboratorio di un tassidermista, mi suggerisce che per quell’aiuto dovrò essere molto convincente.
Sceriffo? – faccio – Sceriffo?! Mi scusi… sceriffo?! SCERIFFOOO?!?!
E con un urlo improvviso, lo sceriffo semiaccasciato si alza di scatto in piedi e tirandosi bruscamente su la falda del cappello mi fissa con due spiritati occhi azzurri perforanti.
– COME MI HAI CHIAMATO?! –
Sotto quel cappello di cuoio consunto, dentro quei puzzolenti vestiti e davanti a me adesso sta non uno sdrucito e quasi sdentato sceriffo di frontiera ma una donna bellissima, i cui capelli rossi (che avevo scambiato per una sciarpa) scendono sul collo e le incorniciano un viso affilato e decisamente, clamorosamente, indiscutibilmente incazzato nero.
Ehm… mi scusi ma, ecco, l’ho chiamata ‘sceriffo’ – le dico – Dalla stella sul petto oserei scommettere che è proprio quello il suo ruolo.
– Com’è vero che mi chiamo Bechdelia Dykes, io sono una SCERIFFA! Con la lettera A!
– Mi scusi, signora, ma…
– SignorA?! Hai appena presunto il mio genere?!
No, dunque – rispondo stizzito, non appena mi riprendo dal loop psico-ebefrenico – intanto siamo in un brutto esperimento pseudo-letterario ambientato in una cittadina del profondo e selvaggio Ovest degli Stati Uniti e in questa patetica lingua, seppur tanto pubblicizzata da Sir Lanciascossa, il genere dei sostantivi (per non parlare del cazzo di aggettivi!) lo devi sempre estrapolare dal contesto ma se proprio le brucia il gender ho detto ‘sheriff’… ‘SHE-RIFF’… SHE, pronome personale di genere femminile che credo possa soddisfare la sua voglia di essere riconosciuta come mi auguro lei si voglia o non si voglia identificare a suo personale, autodeterministico e insindacabile giudizio!
Mi fermo in attesa dell’applauso del pubblico ma come al solito ricevo solo il vaffanculo di Rennie.
Bechdelia mi sta fissando con uno sguardo che un profondo conoscitore dell’animo umano come il sottoscritto riesce a collocare nella gamma di sentimenti che spaziano dal ‘ti uso per tenere al caldo il manico della mia scopa’ al ‘ti lego per le palle a un mulino a vento in un giorno di tempesta’ e dopo aver inspirato con forza un’oncia d’aria e due di zanzare, comincia a urlare un nome.
– Alison! ALISON! Esci subito, testa quadra! ALISOOOON! E con subito intendo proprio ora adesso all’istante! –
Trambusto all’interno e poi vedo venir fuori a passo frettoloso quella che la stella di latta sul petto qualifica come una vice she-riffo ma che a me pare Biancaneve se i sette nani l’avessero scelta della loro misura.
– Alison, portami subito lo Yellow Boy!
– Ssssss…. iiiiiiiii….. sisisisissssssssss……. siiiiisssssssiiiiiiiiiiiiii…. – si ferma un attimo per spostarsi dalla pozza di sputacchi sul pavimento – ssssiiiiiiisssssiiiiii….. ssssssssssssssssssssss… SISSIGNORA!
– Alison… ti ho detto mille volte di rispondere solo con un cenno della testa. Ora fai quello che ti ho detto.
La sceriffa sembra davvero incazzata, più che altro – intuisco – per il fatto di non essere riuscita a trovare un insulto politicamente corretto per denigrare la mia bellissima borsa blu di Pochacco, che ha occhieggiato a narici dilatate per tutto il tempo, ma ecco finalmente uscire Alison che tira per una catena un ragazzo cinese tutto fasciato da un’attillata tuta di cuoio.
Oh, Santa Zedda Protettrice degli Storpi! – faccio io, divertito – non per fare kinkshaming ma…
Non azzardarti a fiatare! – schiuma la sceriffa rivolta a me – E tu, Alison… CRETIDIOTA! Intendevo IL FUCILE Yellow Boy!
Appena sento il nome capisco che questa volta mi sono spinto un po’ troppo oltre e infatti Alison ritorna con un Winchester ‘Yellow Boy’ Modello 1866 sul cui calcio sono attaccati due pompon viola scarlatto, solo che quando si avvicina mi accorgo con una fitta al basso ventre che non sono esattamente dei pompon.
– Cammina fino al centro della strada e ringrazia che ti do la possibilità di difenderti con le tue pistole, invece di spararti nella schiena come il cane bastardo che sei!
Becky – cerco di prendere tempo – io non ho due pistole… non ne ho nemmeno una! Non saprei che farmene! Ma se mi permetti di prendere una di quelle – e indico una delle padelle appesa fuori dall’emporio – ti prometto che finirà tutto velocissimamente!
La sceriffa non sembra avere nulla da obiettare – in fondo, tecnicamente, non sono disarmato – e perciò mi avvio al centro della strada, bilanciando la padella per danzare passi e ritmi del duello.
Senti, Becky – faccio io, voltandomi verso di lei – contiamo fino a die…
KA-BOOM!
Bechdelia scarrella subito dopo la leva di espulsione del bossolo e ricarica un altro colpo, che tanto sa non essere necessario.
Il fumo e la polvere si diradano quasi subito, mostrandomi a tutti i numerosi e curiosi spettatori del duello in una posizione piuttosto imbarazzante, con una padella ammaccata tenuta davanti ai testicoli e un’espressione di delusione per la sua scelta piuttosto prevedibile.
Ramona – le dico – se vuoi uccidere un uomo devi colpirlo al..
KA-BOOM!
Fumo, polvere e padella doppiamente ammaccata, questa volta appoggiata alla parte sinistra del petto.
Quando vedo che Bechdelia sgrana gli occhi per l’ennesimo colpo deviato e si appresta a scarrellare per la terza volta, solo allora pianto la punta del piede a terra, scalcio nella sua direzione una nuvola di merda di cavallo essiccata e scatto in avanti.
KA-BOOM!
Sdeng!
KA-BOOM!
Sdeng!
KA-BOOM!
Sdeng!
KA-BOOM!
Sdeng!
STUD!
Fumo e polvere si diradano per l’ultima volta, lasciando che lo stanco sole del tramonto bagni di rosso un uomo in piedi e una donna a terra, spezzata dalle sue certezze infrante ma anche da mezzo chilo di ghisa a velocità sostenuta.
– ‘Quando una donna col fucile incontra un uomo con la padella, la donna col fucile è una donna dolorante’…  È un vecchio proverbio messicano nel quale ti invito a non cercare metafore neoconservatrici reganiane nascoste.
E un attimo dopo tutti gli abitanti del paese mi sono addosso e l’ultima cosa che vedo è il maniscalco pelato dagli occhi cattivi che cala la mazzetta verso la mia fronte, poi il buio.
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italreport · 3 years
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I #timeforrevolution sbarcano a Padova
I #timeforrevolution sbarcano a Padova was originally published on ITALREPORT
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Liborio Salomi e il capodoglio di Punta Palascia (I parte)
di Riccardo Carrozzini
Liborio Salomi (Carpignano Salentino, 1882 – Lecce 1952) è lo scienziato / geologo / naturalista / tassidermista, amico e collaboratore di Cosimo De Giorgi, al quale succedette nella cattedra di Scienze naturali e nella direzione del Museo – Gabinetto di Scienze presso l’Istituto “O. G. Costa” di Lecce. Di lui mi sono occupato nel volume Liborio Salomi, un illustre salentino quasi sconosciuto [1]. Ne riporto di seguito uno stralcio, che vede coinvolti gli addetti al Faro di Punta Palascia (Otranto), in ciò stimolato da Cristina Manzo, che ci delizia con i suoi bellissimi articoli sui Guardiani del mare (https://www.fondazioneterradotranto.it/2020/08/07/i-guardiani-del-mare-si-raccontano-e-i-piu-belli-sono-nel-salento-iv-parte/). E che in quello del 7 agosto parla proprio di quel faro, che sul web (non ricordo dove) ho trovato essere stato costruito nel 1869, sul luogo di una delle nostre tante torri cinquecentesche, all’epoca già allo stato di rudere, che fu interamente demolita. Ho un po’ ridotto e adattato il testo alle esigenze di questo sito: si tratta della vicenda (che vide Salomi protagonista nel 1902-1903) del recupero dello scheletro di un capodoglio, la cui carcassa in decomposizione venne avvistata proprio dai soldati del semaforo. Sarei curioso di sapere se esistono i diari dell’attività di quel faro (allora era presidiato) e, in caso affermativo, se in quello del 1902 la vicenda è stata riportata.
  Poco più che diciannovenne, da studente del secondo Liceo dell’Istituto “Capece” di Maglie, Liborio Salomi mise già alla prova tutte le sue capacità partecipando attivamente al recupero e alla preparazione dello scheletro di un grosso capodoglio morto, il cui corpo venne avvistato al largo di Otranto il 18 gennaio 1902 [2].
Il corpo di questo enorme pesce (che in realtà, come si sa, è un mammifero), visto in lontananza, fu scambiato, dai “soldati del semaforo, addetti al servizio di Otranto, in località così detta Palascia”, per il profilo di un natante naufragato; alcuni gruppi di pescatori si diressero perciò, a bordo di sette imbarcazioni, verso questa sagoma indistinta visibile al largo, sperando di trovarvi chissà quale bottino.
Rivelatosi per quello che era, il corpo del cetaceo, già in stato di decomposizione, venne trainato a Otranto, da dove il Sindaco dell’epoca ordinò che venisse rimosso e spostato in località “Rinule” [3], a causa del fetore che emanava, in attesa che chi di dovere decidesse il destino di quella enorme carcassa. Esiste una foto, in possesso di Teresa Salomi (figlia dello scienziato, ancora vivente), appena leggibile e che, malgrado ciò, ho pensato ugualmente di pubblicare, del corpo del cetaceo trasportato nel porto di Otranto.
Fig. 1 – Il capodoglio nel porto di Otranto; sul molo un gruppo di curiosi (Foto da Teresa Salomi)
  Frattanto la notizia era giunta a Maglie, dove il Presidente del Consiglio d’Amministrazione del Liceo Capece, avv. Raffaele Garzia, si interessò alla questione, manifestando il suo interesse anche presso il Ministero della Marina. Questo, con telegramma in data 24 gennaio, concesse il cetaceo al Ministero dell’Istruzione e per esso al Preside del Liceo Capece a “scopo scientifico”. Con telegramma del giorno successivo il Sindaco di Otranto comunicava al Preside che il Prefetto lo aveva reso partecipe di quanto sopra e che pertanto il cetaceo recuperato era nella disponibilità del Liceo Capece “subordinatamente intero pagamento spesa ricupero ed in caso rifiuto lo abbandoni ricuperatori”. Lo stesso giorno (25 gennaio) il Consiglio d’Amministrazione del Liceo Capece, convocato in via d’urgenza, adottava la deliberazione n. 51, con la quale si stanziavano £. 150,00 per l’acquisto “dello scheletro del cetaceo giacente nelle acque di Otranto”.
Il Salomi, già conosciuto nella sua scuola per la sua competenza e per gli interessi nel settore della preparazione di animali imbalsamati e scheletri, fu incaricato di recuperare, per l’Istituto “Capece”, lo scheletro del cetaceo, e si recò dove il corpo era stato portato, procedendo [4] alla rimozione di tutte le carni e le parti molli in decomposizione [5] e al dissezionamento dello scheletro; organizzò e sovrintese anche al trasporto dello scheletro stesso, ormai privato degli organi interni e in gran parte ripulito dalle masse carnose, a Maglie, dove le ossa vennero seppellite nella calce viva per una loro completa ripulitura.
Tra la documentazione reperita vi è poi una lettera del Presidente Garzia al prof. Giuseppe Consiglio [6] con la quale il docente veniva pregato “di compiacersi procedere al diseppellimento delle ossa del cetaceo, e provvedere per pulirle, facendosi aiutare da qualche alunno, se lo crede, per evitare spese all’Istituto”. Qui rientra in gioco il Salomi, che effettua la pulizia finale delle ossa dissotterrate e procede alla ricomposizione dello scheletro, come testimonia la fig. 5, in possesso della figlia Teresa e già pubblicata (sia pure in una versione “speculare” fornita dalla pronipote di Liborio dott. Elena Valsecchi) nell’articolo Braschi – Cagnolaro – Nicolosi (si veda la nota 2); la foto mostra lo scheletro, sommariamente ricomposto a Maglie, con accanto la figura inconfondibile del giovane Salomi [7].
Fig. 2 – Il frontespizio del fascicolo che contiene tutti i documenti della vicenda (archivio Fondazione “Capece”, Maglie)
  Non si capisce bene perché, ma le originarie motivazioni dell’acquisto, di cui si trova traccia nella delibera n. 51 (“per arricchire il materiale scientifico dei nostri Gabinetti”), vennero successivamente meno, tanto che venne deciso –credo unicamente per motivi economici, ma non ho trovato documentazione che confermi questa mia supposizione- di alienare lo scheletro, forse al miglior offerente, inoltrando la relativa offerta anche oltr’alpe.
Fig. 3 – La deliberazione n. 51 (Archivio Fondazione “Capece”)
  A tal proposito si segnala una lettera a stampa in lingua francese, su carta intestata, anch’essa in francese, non si sa se mai spedita (è, infatti, senza indirizzo), che trascrivo integralmente nella mia traduzione:
“Data del timbro postale – Il nostro Istituto ha acquisito, da qualche mese, lo scheletro di un capodoglio, restituito morto dal mare Adriatico nei pressi di Otranto il 19 gennaio 1902. Si tratta di un physiter macrocephalus femmina, il cui scheletro raggiunge la lunghezza di 15 metri [8] e la circonferenza di 7 metri all’altezza della parte anteriore del tronco. Non è ancora montato, ma tutti i suoi pezzi – mancano solo 8 dei 25 denti della mandibola destra – sono stati scarnificati con cura e seccati con la calce. Desideriamo venderlo o scambiarlo con altro materiale scientifico di zoologia in buono stato. In attesa di ricevere proposte, siamo pronti a fornirvi eventuali chiarimenti richiesti (foto, inventario dei pezzi, ecc.). Il Presidente dell’Istituto Raffaele Garzia.” La lettera è indirizzata, sempre a stampa, “ai Signori Direttori d’Istituti di scienze naturali, di Musei zoologici, etc.”, senza ulteriori specificazioni.
Fig. 4 – La lettera al prof. Consiglio (Fondaz. “Capece”)
  (continua)
  Note
[1] R. Carrozzini, Liborio Salomi, un illustre salentino quasi sconosciuto, Ed. Milella, Lecce 2015, ISBN 978–88–7048–581–3. Chi volesse saperne di più può cercare Liborio Salomi tra gli articoli della Fondazione Terra d’Otranto.
[2] Nell’archivio della Fondazione “Capece”, la cui sede è ubicata nello stesso stabile dell’omonimo Liceo, a Maglie, si trova, nella busta n. 9, un fascicoletto con la documentazione relativa a questa vicenda; in altre buste vi è anche traccia di alcuni mandati di pagamento relativi alla stessa. Ringrazio il Presidente della Fondazione dott. Dario Vincenti e l’addetta all’archivio dott. Giovanna Ciriolo per la grande disponibilità dimostrata e per l’autorizzazione a pubblicare la documentazione in loro possesso. Altro doveroso ringraziamento al prof. Roberto Barbuti, vice-Direttore del centro Interdipartimentale – Museo di Storia Naturale e del Territorio dell’Università di Pisa per le foto dello scheletro, l’articolo sullo stesso (S. Braschi,     L. Cagnolaro, P. Nicolosi, Catalogo dei Cetacei attuali del Museo di Storia Naturale e del Territorio                       dell’Università di Pisa, alla Certosa di Calci. Note osteometriche e ricerca storica, in Atti Soc. tosc. Sci. nat., Mem., Serie B, 114, 2007) ed altre notizie fornite. Ringrazio infine il dott. Nicola Maio dell’Università di Napoli, studioso dello scheletro dei cetacei dei musei italiani, con il quale ero in contatto per altre vicende relative al Salomi e che mi ha permesso di trovare e pubblicare la lettera/relazione di Salomi che si può leggere in questo articolo.
[3] Piccola cala ubicata circa 650 metri a nord della “punta” posta sulla costa a nord dell’insenatura principale della città di Otranto, ossia dopo l’odierna Riviera degli Haethei.
[4] Con l’aiuto di manovalanza non particolarmente qualificata, vedere relazione di Salomi trascritta più oltre.
[5] Il lavoro durò complessivamente tredici giorni; Teresa Salomi riferisce di aver appreso direttamente da suo padre che in quella occasione qualcuno gli insegnò a fumare il sigaro toscano, il cui “odore” riusciva in qualche modo a coprire o almeno a mitigare gli effetti dei miasmi nauseabondi emanati dall’enorme carcassa in decomposizione.
[6] prot. n. 110 in data 31 maggio 1902, fig. 4
[7] Si vedano anche le figg. 5a, 5b, 5c, 5d e 5e che raffigurano particolari dello scheletro prima del suo assemblaggio.
[8] I pochissimi articoli finora pubblicati sul Salomi, ed anche quanto riferitomi dalla figlia Teresa, in realtà concordavano sul fatto che la lunghezza del capodoglio sarebbe stata di 22 metri; la cosa mi insospettì fin da subito per due ordini di motivi: per quanto a mia conoscenza 22 metri era una dimensione più che rispettabile persino per una balenottera (i capodogli, più piccoli, non credevo arrivassero a tale misura), ed inoltre dalla fig. 5, in cui è visibile anche il Salomi, si desume facilmente che la lunghezza doveva essere notevolmente inferiore; il prof. Barbuti mi ha scritto infatti, il 15 gennaio 2013, che “non è lungo 22 metri bensì 12,57 metri”, evidentemente così com’è ancora esposto a Pisa; nella lettera riprodotta nella fig. 6 si parla di una lunghezza di 15 metri; Salomi nella sua relazione (ved. oltre) parla di una lunghezza massima di 12 metri.
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elettrisonanti · 4 years
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🎥#elettritv📲💻 Volume 01 la compilation della Stalla di Agripunk Autoprodotta con la collaborazione di Nikotina – Passione Nera Records – Pensieri Oltre e tuttu lu artistu che hanno aderito gentilmente a questa prima inziativa. Box dvd recuperato con copertina a colori e libretto a colori con tutti i testi e molto altro all’interno. Disegno di copertina di Beatrice Sabeddu e foto di Gioellino La Capra sul retro di Reptyle Suicide, il tutto montato grazie alla grafica post-punk-post-horrordrunk-post-apocalypsenow di Laboratorio di multinazionali e agrobusiness cioè FUORIMANO.
[Evento] Domenica 16 febbraio 2020 dalle ore 13:00 alle 20:00
Agripunk Onlus Località L’isola 61/a, 52021 Ambra, Toscana, Italia
Organizzazione no-profit Tel 055 996946 [email protected]
Tutto il ricavato è devoluto in beneficenza per le spese del rifugio.
Invita i tuoi amici, condividi, fai girare!
Per marzo 2020 in arrivo il volume 2, per la sopravvivenza punk hcì!
Tracklist: 01 Plankton HC – Nuova Speranza (02:50) 02 Congegno – Ira (02:26) 03 Pensieri Oltre – Caino (04:20) 04 Desacato Civil – Eu sei que ela destròi (04:32) 05 Nikotina – Animale chiuso in gabbia (02:43) 06 Come Le Bestie – Compromessi obbligati (01:00) 07 Balls Of Fire – Ancora qua (01:48) 08 NoWhiteRag – Monsanto is killing me (02:49) 09 Centromalessere – Il Tassidermista (03:51) 10 Desacato Civil – Presidio Escolar (01:25) 11 Frattura – Squalo (02:08) 12 Krav Boca – Cagoule (03:03) 13 Come Le Bestie – Nessuna parola (01:34) 14 Pensieri Oltre – Minoranza (03:48) 15 Nikotina – Libertà Pubblicità (02:26) 16 Balls Of Fire – Il terrore nelle strade (01:09) 17 Psychoanalisi – Che Io R.I.P. (02:32) 18 NoWhiteRag – No reason why (03:13) 19 J-PoL feat iL Cileno – Peta via chel Trator (06:40)
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pleaseanotherbook · 4 years
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La fabbrica delle bambole di Elizabeth Macneal
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Fa scorrere il pennello sulla pagina, osserva l'acquerello che sboccia sul foglio. Si sente padrona di sé stessa, come se il corpo fosse di nuovo suo, e non un sacco vuoto che Mrs Salter può usare per lavare i pavimenti, non semplicemente un promemoria quotidiano per ricordare a Rose come avrebbe potuto essere. Avverte un fremito, forse di vergogna, forse di soddisfazione, o magari è solo il freddo.
“La fabbrica delle bambole” di Elizabeth Macneal edito in italiano per Einaudi è entrato nelle mie cose da leggere perché mi sono innamorata a prima vista della copertina (curioso vero?) e perché al primo accenno di atmosfere della Londra Vittoriana ero già partita per la tangente, compreso il riferimento ai pittori Preraffelliti che mi hanno sempre colpito molto. Ci è voluto un attimo per perdermi nelle atmosfere di questo libro, e innamorarmene. Tra l’altro, vogliamo parlare della cover? Io la amo.
Giorno dopo giorno Iris Whittle siede nell’umido emporio di bambole di Mrs Salter e, china sui visi di porcellana in lavorazione, dipinge schiere di boccucce e occhietti tutti uguali. Ma la notte esce di soppiatto dal letto, scende in cantina, tira fuori colori e pennelli e riversa sulla carta la sua passione per la pittura. La tecnica è primitiva, certo, la famiglia e la società contrarie, e perfino la sua gemella Rose, un tempo sua complice ma ora esacerbata da un male che l’ha deturpata per sempre, le è ostile. E c’è quel leggero difetto della spalla a consigliarle di cercarsi un buon marito e accontentarsi di quel che ha. Ma lo spirito di Iris è indomito, la sua vocazione prepotente e, quanto alla presenza femminile nell’arte pittorica, non esiste forse il precedente di Lizzie Siddal, pittrice oltre che modella di John Everett Millais e Dante Gabriel Rossetti, esponenti di quella cosiddetta «Confraternita dei Preraffaelliti» che fa tanto parlare di sé? Quando Louis Frost, un altro membro della stessa cerchia, le chiede di posare per lui, Iris, in spregio a ogni convenzione del decoro vittoriano, accetta, ma solo in cambio di lezioni private di pittura. Per lei si aprono nuovi orizzonti: la libertà per sé e quelli che ama, da sua sorella Rose al generoso monello di strada Albie, l’arte, l’amore, molti incontri importanti, alcuni insospettati. Passeggiando in quella tumultuosa fucina di novità che è il cantiere per la Grande Esposizione di Hyde Park, la sua figura singolare cattura lo sguardo di un passante fra i molti. È Silas Reed, tassidermista di poco conto e grande ambizione, con un morboso attaccamento per le cose morte e una curiosa predilezione per ciò che è imperfetto. Silas, Iris, Louis, il monello Albie, le prostitute del bordello, i clienti della taverna, i pittori preraffaelliti danno vita a un romanzo storico vividissimo e carico di tensione che appassionerà i lettori di Jessie Burton e Sarah Perry.
Sono sempre particolarmente affascinata dalle atmosfere vittoriane, di quella Londra ottocentesca che si sviluppa all’ombra delle fabbriche a vapore e che si destreggia tra la povertà estrema e la ricchezza più sfarzosa, che trova il suo culmine proprio nella Grande Esposizione, un ricettacolo di invenzioni, scoperte, eventi. La bravura della Macneal, una ceramista, sta proprio nella sua incredibile cura nel delineare personaggi e situazioni, tratteggiandoli con pochi semplici tratti. Gli eventi che si affastellano veloci nella seconda parte del libro iniziando con una introduzione per ogni personaggio. Da un lato c’è Albie un ragazzino che vive nei bassifondi e si arrabatta come può per sopravvivere insieme alla sorella maggiore. Incosciente e impaurito, è caparbio e svelto, capace di escogitare mille stratagemmi anche quando tutto sembra tramare contro di lui. È la rappresentazione più spietata della crudeltà che percorreva le strade più povere di Londra, quelle consumate dalla rivoluzione industriale e dallo sfruttamento senza tregua, quella capace di fagocitare persone intercambiabili in ruoli meschini e senza nessun tipo di protezione. Orfano e solo, Albie lotta per non essere fagocitato dalla macchia della povertà. Dall’altro lato c’è Silas un esperto imbalsamatore alla ricerca della gloria e del successo e desideroso di affermarsi nella Londra più lussuosa e tra gli intellettuali che si muovono a metà tra la Royal Society e il gruppo di accademici che ruotano intorno la Grande Esposizione. Silas è molto ambizioso e si reputa estremamente capace e costruisce un mondo fatto di spettri e di convinzioni che in realtà si frangono di fronte i suoi limiti. Arriva dalla campagna ed è arrivato a Londra pieno delle migliori intenzioni, eppure il suo negozio è incredibilmente lugubre, un ricettacolo di bizzarrie senza capo né coda che nutrono la sua follia. Silas percorre le strade di Londra con le visioni che popolano la sua testa ma che non sempre corrispondono a verità. Dall’altra parte c’è Iris, con una clavicola sporgente, cresciuta all’ombra della sorella Rose, fino a che una tragedia non le fa perdere tutto. Entrambe le gemelle lavorano nel negozio di bambole di Mrs Salter, una vecchia megera che le sfrutta senza pietà: Iris dipinge le bambole, mentre Rose ne cuce i vestiti. Una squadra apparentemente perfetta che però si incrina quando Iris non è più disposta a mettersi da parte per la sorella, che sembra divorare tutto. Iris ha altri sogni, altre velleità, vuole dipingere e inizia a farlo di nascosto, investendo i suoi sparuti risparmi in colori e tele e poi immenso e sconvolgente arriva l’incontro con Louis Frost, uno dei membri della “Confraternita dei Preraffelliti” capitanati dall’irriverente Dante Gabriel Rossetti e da John Everett Millais. Per Iris ogni cosa diventa imprevedibile e magica, un viaggio di conoscenza e istruzione. Diventa una modella e sperimenta con i colori, dietro l’occhio attento e vigile di Louis. Iris che unisce tutte le storie, diventa il punto focale di tutto, sia per la sua intraprendenza che per la sua voglia di farcela sempre. Le atmosfere vittoriane sono ben presenti sia per temi che per ambientazioni e tutto viene amplificato dalle descrizioni minuziose dell’autrice e dall’intreccio che si spinge oltre le strade di Londra e atterra nelle gallerie della Grande Esposizione e nei vicoli ciechi di una vita che non è sempre generosa e spesso decima la speranza e i mezzi.
 Il particolare da non dimenticare? Un ciondolo con una farfalla…
 Una storia affascinante e misteriosa, che segue le aspirazioni, le paure e gli amori di un gruppo di persone apparentemente lontanissime tra loro, ma collegate dalla trama del destino. Un viaggio tra tecniche di imbalsamazione, studio pittori e stratagemmi per la sopravvivenza. Un ritratto magico e impressionante della Londra Vittoriana.
Buona lettura guys!
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goodbearblind · 5 years
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Il traffico di animali selvatici non è legato solamente all' Asia. Le foto pubblicate sono state scattate a Praga, al termine dell' Operazione Trophy, un' indagine durata 5 anni. A terra, distesa sul pavimento, giace il corpo di una tigre di quattro anni appena uccisa, con un occhio mancante e una ferita da proiettile sul collo; l' hanno uccisa con una pallottola sparata all' altezza della gola, il resto della pelliccia è salvo. Un' industria criminale che opera Repubblica Ceca e verosimilmente in altri paesi in Europa: tigri detenute per essere macellate e rivenderne le parti: alcune per la medicina tradizionale orientale, le pelli per ricchi collezionisti di tutto il mondo.
E' stato scoperto un allevamento di tigri nella Repubblica Ceca con dozzine di grandi felini (leoni e tigri) con lo scopo apparente di fornire animali vivi per i circhi. Il proprietario della struttura, però, lavorava con un trafficante di animali selvatici vietnamita e un tassidermista locale che preparava le parti del corpo dei grandi felini appena uccisi e li contrabbandava in Vietnam.
Secondo un rapporto CITES i sequestri di parti del corpo delle tigri sono in aumento. Nel 2013, un uomo è stato trovato con quasi 8 chili di ossa di tigre in un sacco della spazzatura: uno scheletro completo, ma composto dai resti mescolati di due individui distinti.
Denti, artigli, ossa, sangue, pelle: ogni parte del corpo delle tigre frutta qualcosa. Ma è con gli esemplari vivi che i prezzi salgono: un animale per una collezione privata può arrivare a costare $25.000, per le collezioni private e capricci di ricchi signori annoiati.
https://goo.gl/QvpPNC https://goo.gl/5WGFzV https://goo.gl/cKkqPG
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ciscornx · 8 years
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Solitamente non mi metto mai a sponsorizzare troppo quello che faccio, nel campo della creatività.. Lo ritengo più uno sfogo personale per allontanarmi dalla banalità della vita di tutti i giorni, dalle routine lavorative, da una condizione mentale che ti porta a riempirti le giornate con un lavoro che sopporti a malapena per poterti permettere quei due giorni di libertà alla settimana. Poi c'è da dire che per assurdo passo il resto della giornata a fare inutili preamboli a discorsi che vorrei affrontare, soffermandomi su inutili considerazioni che potrei benissimo risparmiarmi. Ma questo è un altro discorso. Sta di fatto che l'altro giorno è uscito il video di cui sopra, ed è stato un traguardo. Anni passati a suonare in gruppi, a provare a fare musica propria: - grimble crumble - rose nightmare experience - celtic mess - sflantugem TUTTI TENTATIVI.. Si facevano canzoni perlopiù banali e scontate, con testi rigorosamente in inglese.. MAMMAMIA CHE FASTIDIO CHE MI DAVANO I TESTI IN INGLESE. Non avere la padronanza totale di una delle colonne portanti della struttura canzone mi faceva imbestialire. E come riferimento ho sempre avuto "il Pol". Era riuscito a farmi piacere un genere a me estraneo solamente con la forza dei suoi testi. E da allora l'ho sempre rincorso: sia imitandolo un po', sia cercando in tutti i modi di finire a suonare in gruppo con lui. Fino ad un anno fa quando, svanita ogni opportunità di suonare nei Congegno, riuscì a convincerlo che ero la persona giusta per portare avanti il suo progetto acustico. Credevo nella forza dei suoi testi ed ero più che convinto che sarebbe bastato anche un chitarrista mediocre come me a tenere botta nei pezzi. Non mi sbagliavo di molto, la comunicatività del suo cantato trascina l'ascoltatore fino alla fine, e i 5 minuti svaniscono in pochi ricordi confusi. Da allora tutto è cambiato, ho iniziato a scrivere i miei pezzi e finalmente posso scrivere ciò che tendenzialmente non dico. Questi sono i CENTROMALESSERE
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ciscornx · 8 years
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Solitamente non sono uno che parla molto della propria arte, o perlomeno faccio, scrivo, improvviso qualche canzone, ma senza la pretesa che qualcuno debba leggere o ascoltare. Creo esclusivamente per il gusto di evadere dalla monotonia di queste giornate spese a lavorare per pagare i bagordi dei due giorni di libertà. C'è anche da dire che il tempo che non passo a lavorare lo spreco a fare inutili preamboli ad argomenti che vorrei affrontare, perdendomi in vagonate di parole inutili come sta succedendo adesso. Sta di fatto che con l'uscita del video dei centromalessere ho chiuso un ciclo per iniziare uno nuovo. Sono ormai da più di 10 anni che vado in giro a suonare con diversi gruppi e provo a dare forma a delle canzoni che possano non solo piacere a chi ascolta ma prima di tutto piacere a chi le sta suonando e a chi le sta proponendo. Durante la mia esistenza musicale ho dato forma a molti progetti che guardandomi indietro risultano essere tutti quanti incompiuti. Fino a oggi, infatti, le canzoni sono sempre risultate semplicistiche e, la cosa che più da fastidio, i testi erano scritti in una lingua che non padroneggiavo (e non padronreggio tutt'ora) pienamente con la conseguenza di non poter avere il controllo totale su ciò che creavo. Mi sono sempre scontrato con tutti i membri dei gruppi in cui ho suonato per cercare di portare l'italiano all'interno della canzone ma nessuna mi ha mai dato retta (sai che scoperta, come se nessuno avesse mai scritto canzoni in italiano!!!). E così gruppi come i Grimble Crumble, i Rose Nightmare experience, i Celtic Mess, i Sflantugem, hanno si contribuito a creare il gusto musicale che influenza il "processo compositivo (parole grosse per definire 4 accordi messi in successione con una melodia per il cantato), ma sono sempre stati dei figli nati male perché partiti con le prerogative sbagliate. Già ai tempi in cui mi divertivo con queste band di scapestrati inseguivo come modello quello di un ragazzo della Val di non, che grazie ai suoi testi diretti e taglienti è riuscito a farmi piacere un genere fino ad allora a me sconosciuto, magari un poco odiato. La sua abilità nel creare un ritmo martellante attraverso la metrica e l'utilizzo di parole tendenzialmente inusuali, mi ha sempre affascinato. E così l'ho rincorso per anni cercando prima di entrare a suonare nei Congegno, e poi, quando questa speranza è venuta meno, cercando di formare un gruppo acustico con lui. La maggior parte delle persone che lo circondavano infatti non condivideva il gusto per la musica acustica perché era convinta che l'unico metodo di espressione valido per parlare di determinati concetti potesse essere esclusivamente il punk hardcore. Io invece ero convinto che se i suoi testi, se fossero stati associati ad una melodia più orecchiabile, sarebbero arrivati all'orecchio di più persone e quindi avrebbe raggiunto lo scopo maggiore. È così che a distanza di un po' di anni riesco finalmente a chiudere questo sogno, non da protagonista ma da seguace convinto delle potenzialità di questo progetto e orgoglioso di un disco che nel suo piccolo segnerà un solco netto nel modo di porsi verso il concetto di canzone melodica Sono orgoglioso di presentarvi l'inizio del nuovo flusso creativo.
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