Tumgik
#urla di dolore in sottofondo
orchiteo · 2 months
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Quando circolavano le prime indiscrezioni del suicidio di Chester Bennington io mi sono sentito come quei ragazzi che avevano appena perso Kurt Cobain all’improvviso, il loro eroe. "No, non è vero. non può essere vero. ditemi che è una notizia falsa, ditemi che è stata travisata". Poi escono altri articoli, altri post in successione, tutti col medesimo titolo scritto in stampatello maiuscolo e in grassetto. Inizi a perdere la speranza, dubiti di quella strana idea che ti eri fatto di una cospirazione, ti aggrappi solo alla flebile convinzione che finché non esce il comunicato ufficiale tu non crederai a quella notizia. Non può essere successo per davvero, qualcuno smentirà queste voci di corridoio. Ma alla fine la smentita non arriva ed esce il comunicato ufficiale che tanto temevi. Ne parlano al tg e c'è una serie di fotogrammi e la voce del giornalista in sottofondo. È tutto vero. Chester Bennington, voce dei Linkin Park, è morto. quel maledetto 20 luglio 2017 è più lontano che vicino, sono già passati 7 anni, e mentirei se dicessi che mi sono lasciato quel dolore alle spalle. Ci sono ferite così profonde che nemmeno il tempo riesce a curare.
Ricordo con esattezza la notte seguente. Ero scosso, incredulo, non realizzai subito ciò che era successo, cosa che feci la mattina dopo, e per questo mi rigirai nel letto più volte e feci molta fatica ad addormentarmi. Quella notte pioveva fortissimo e vedevo entrare il bagliore dei lampi dai fori della tapparella. Il rumore della pioggia era così incessante da tenermi sveglio ed era persino sovrastato dai tuoni. Ricorderò quei tuoni per tutta la mia vita perché non erano solo dei tuoni, io sentivo delle urla. Era come se lo spirito di Chester fosse dentro quei tuoni e lui gridava con tutta la sua forza, con tutto il fiato che aveva dentro. Cantava per noi: la sua gente, il suo pubblico che stava piangendo a dirotto perché non riusciva ancora a credere che se ne fosse andato così all'improvviso. E lui piangeva insieme a noi, allungava la mano e scambiava un abbraccio con chi poteva, si faceva toccare, perché era conscio che non ci sarebbero state altre occasioni. Teneva l'ultimo concerto prima di svanire per sempre e gridava in faccia a quella maledetta vita che lo ha salvato da tante cose tranne che da se stesso. Il canto del cigno più triste a cui abbia mai assistito e mi vengono i brividi e gli occhi lucidi solo a pensarci.
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alephsblog · 7 months
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Del molto che è stato scritto sulla Zona di interesse, il film di Jonathan Glazer, mi ha toccato una riflessione di Wlodek Goldkorn: quando finisce la testimonianza, è l’immaginazione a tramandare la memoria. Il film – lo saprete tutti – racconta le giornate della famiglia di Rudolph Höss, il comandante di Auschwitz, in una villetta che un muro separa dal campo di concentramento. Il muro impedisce la vista del campo alla moglie e ai figli di Höss e a chi guarda il film, ma non ferma i rumori né le urla d’imperio né di dolore né i latrati dei cani. La grande protagonista, la macchina dello sterminio, non si vede mai e si immagina sempre. La famiglia è tavola, è in giardino, è in salotto, si intrattiene in conversazioni di sublime ordinarietà, le conversazioni di ognuno di noi quando c’è nulla da dire, e intanto da oltre il muro arriva l’incessante sottofondo di voci, di pianti, di schianti, di labili frastuoni di morte. Senza quel sottofondo spaventoso, il film non esiste, svaporerebbe in pochi minuti. Il film non si vede, si immagina. O perlomeno immaginiamo noi spettatori, mentre la moglie e figli di Höss non immaginano, è come se avessero fatto l’abitudine alla colonna sonora delle loro esistenze, non la sentono, non li riguarda, non li sorprende un solo istante, non sposta di un millimetro la banalissima quotidianità di pasti, pulizie, compiti, chiacchiere. Tutto perfettamente normale fino alla noia. E resta dunque soltanto un’altra cosa da immaginare: che avremmo fatto noi, così uguali a loro, al posto loro? Sono uscito dal cinema senza voglia di giudicare, ma di ringraziare il cielo che non c’è risposta. (Mattia Feltri)
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iubris · 3 years
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🩸
Thomas sente i muscoli vibrare.
Sì, è così.
È strano, non avrebbe mai pensato di percepire parti del suo corpo muoversi sottili come corde tirate, si ritrova a stringere le sue stainless steel  fra le dita callose come se pizzicandole pizzicasse anche se stesso.
Con sua sorpresa quel dolore acuto e improvviso lo avverte per davvero, è sotto la pelle, forse il suo corpo si è trasformato davvero in una chitarra, del tutto simile a quella che stringe fra le braccia, rossa con le rifiniture in oro e gli Swarovski a formare un teschio, una custom esagerata, segno di chi ce l'ha fatta.
Non gli è sembrato vero.
Fino ad ora.
Solleva lo sguardo.
Il flash di una fotocamera lo acceca per un momento, poi si ritorna nella semi-oscurità, alle voci concitate del dietro le quinte, ai loro affaccendati amici diventati da tempo anche loro collaboratori preziosi, al loro manager silenzioso e riflessivo, ai loro stylist intenti a sistemare orli, lisciare tessuti con le dita, sistemare gli accessori preziosi.
È pronto.
Sono pronti.
Vic è a diversi metri sulla sua sinistra, il suo sguardo puntato sulla luce scarlatta davanti a loro esprime glaciale concentrazione, incava le guance quando glielo chiede la make-up-artist per un ritocco veloce al viso, ma non si lascia toccare gli occhi, non ha intenzione di distogliere lo sguardo dal premio.
La luce rossa.
Damiano è al fianco di Vic, anche lui immobile, anche lui con gli occhi sbarrati.
No, no, ora che aguzza la vista Damiano non è immobile, scuote le braccia lungo i propri fianchi, apre e chiude le mani nervose, il fascio di luce rosso gli invade le palpebre, no, Damiano non chiude gli occhi perché teme che quella luce possa scomparire se lo fa.
La luce, la luce rossa.
Thomas si volta alla propria destra.
La luce rossa invade completamente il volto e il petto di Ethan, le uniche parti chiare del suo corpo, i capelli, il completo, sì, appare completamente nero, solo la pelle è rosso brillante.
Ethan non guarda la luce, la tiene chiusa fuori dalle proprie palpebre, ma non come se non gli importasse o ne avesse paura, ma come se la stesse tenendo momentaneamente fuori per concentrarsi sul proprio mondo interiore, le mani che manovrando le bacchette tamburellano su una batteria invisibile.
E lui?
E Thomas?
Stringe il manico della chitarra.
Il cuore gli scoppia nel petto ma non ha il tempo di concentrarsi attivamente sui propri sentimenti nei confronti della luce rossa perché due tecnici fanno loro segno.
È il momento.
Si muovono tutti e quattro nello stesso momento, nessuno di loro ha bisogno di cedere il passo a un altro, c'è spazio su quel palco, tutto lo spazio necessario.
Le urla, che fino a quel momento non erano null'altro che un sottofondo piacevole, li invadono ancor prima della luce rossa dell'O2 Arena, assordandoli.
È così, si è sentito sovrastato per qualche secondo, ma Damiano ha preso il microfono con una frenesia nuova e ha salutato con altrettanta forza il pubblico in visibilio.
Le sue grida gutturali hanno restituito a Thomas l'udito, le corde nei suoi muscoli il tatto, la luce rossa è diventata blu e poi verde e poi gialla, restituendogli la vista, l'odore di quelle ventimila persone gli ha liberato il naso, leccandosi il sudore accumulato sopra il labbro ha riscoperto il proprio gusto.
Non ha bisogno di girarsi verso i propri compagni per percepire la loro aura fiammeggiante a coprirgli le spalle.
Stringe la sua chitarra rossa coperta di oro e Swarovski ‘simbolo di chi ce l'ha fatta’ e prende un respiro.
Sa cosa deve fare.
Loro sono i Måneskin.
Sì, ed è solo l'inizio.
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Davanti mi è crollato il mondo
e non ho fatto niente, ora affondo
nelle lacrime, scusa non rispondo
se mi chiedi come va, nascondo
le cicatrici mentre in sottofondo
sento le urla del demonio moribondo,
senza amore in un oblio senza fondo
precipito veloce, passa un secondo
e mi ritrovo prigioniero di un immondo
dolore, è troppo tardi ormai confondo
il sangue con il vino,
scusa sono un casino.
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poeta--estinto · 5 years
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Prima della notte
La colonna sonora della mia vita sono le urla he ho in testa che a volte sono solo un sottofondo. Sembro pazzo è vero ma il dolore che ho provato, le volte che mi sono rialzato, quelle a fumare mentre scopo senza sentire nulla, le volte che ho sbagliato il male che ho fatto e ricevuto... Sembro pure strano se a volte quando parlo con qualcuno immagino a come sarebbe sbattergli una picozza in testa. Dentro me convivono più parti e questa ricorda di ferragosto solo alcol, le tende rotte, il fumo, il sesso, le mani con sopra il sangue... Adesso sono a casa e sto così, penso che sta notte il fuoco e l'alcol mi diano altre prospettive... Forse lo spero... Forse spero esca un altro me...
@poeta--estinto
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emozione-invisibile · 5 years
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Racconto erotico
Veronica, la mayalona sottomessa 
Era un suo sogno e si parlava tra noi per farlo diventare realtà, me ne occupai per quasi un mese per cercare la possibilità’ di realizzarlo e alla fine ci riuscii, a Veronica, per tutto quel periodo, non dissi nulla, e non sospettava niente. Una sera, era giovedì, le annunciai l’evento ma senza dirle i particolari, e andò così. Arrivato a casa mi comporto come al solito, chiacchiero dei problemi sul lavoro e di banalità solite tra me e lei. Lei parla dei suoi problemi con la trasmissione ed io le rispondo le solite banalità che capitano in un mondo di mezzi matti come il suo. Poi, dopo cena, mentre guarda la tv, vado a prendere il suo cazzone in lattice, mi avvicino e comincio a stuzzicarla e, mentre lo infilo nella sua figa bagnata, con un dito le apro il culetto. Dopo un po’ comincia a chiedermi di trattarla da puttana, allora io duramente le ordino di mettersi in ginocchio alla pecorina, Veronica lo fa prontamente, e mentre si trova in quella posizione sul tappeto, le infilo il grosso fallo nel culo, Veronica grida: “dai porco sfondamelo” , così con le mani si divarica le natiche ed io le infilo il cazzone di lattice per circa venti centimetri. Mentre il dildo le resta impiantato dentro, io mi sposto più in la per ammirarla nuda, per terra, con quel grosso cazzone dentro il culo e le sue enormi tette penzolanti. Camminando carponi, si avvicina e apre la bocca per ingoiare il mio cazzo duro, e mentre la chiavo in bocca, stantuffando e facendoglielo arrivare fino in gola, le annuncio la sorpresa.
“puttana avresti voglia di essere la troia di tanti uomini” e Veronica mi risponde: “sì voglio essere usata come una vacca, farò tutto quello che vogliono , .... dai maiale“ e io con una mano do un colpo forte al cazzo in lattice, conficcandolo ancora di più nel suo culo, Veronica lancia un urlo da gallina squartata e poi si infila ancora di piu’ il mio cazzo in gola per soffocare il dolore. Allora glielo dico: “partiamo venerdì e si torna domenica sera ti ho organizzato una sorpresa, non chiedermi nulla ti prometto che sarai la vacca di tanti uomini” e così dicendo estraggo il cazzo dalla bocca e un getto della mia sborra le colpisce la faccia, lei allora prontamente cerca di riacchiapparlo con la bocca ma io lo sposto e i restanti spruzzi un po’ le vanno negli occhi e un po’ per terra . Veroniva non è ancora sazia, è una troia, per questo l’ho sposata, si ribella e mi dice: “io sono venuta ma sento che posso venire di nuovo, dai porco” e cosi dicendo le spingo il cazzone di lattice ancora più forte nel culo e mentre lo faccio la puttana gode di nuovo e le ordino: “pulisci la sborra per terra, vecchia bagascia da bordello messicano.” La Veronica “formato famiglia” da tv del pomeriggio, si abbassa e con la lingua e lecca, come una cagna, la sborra sul pavimento, mentre il cazzone in lattice entra e esce dal suo culo ormai completamente aperto. E cosi leccando e in quella posizione se ne viene fremendo e tremando. Arriva venerdì e, avendo sentito mia moglie al telefono, le ricordo di prepararsi per la sorpresa; era eccitata e il pomeriggio era andata a comprarsi della biancheria intima molto sexy, lei adora mettersi il reggicalze o una guepiere, la fa sentire più provocante e sexy. Arrivati a casa io infilo in una borsa alcune cose, invece Veronica ha già preparato la sua. Per la strada è curiosa ma non vuole sapere nulla, le piace e la eccita cosi, io le dico solo che per arrivare ci metteremo circa un’ora. Durante il viaggiò la sditalino un po’ e Veronica fa’ uscire i suoi seni enormi dalla camicetta. Questo è un gioco che facciamo spesso per arrizzare i camionisti mentre guardano dai finestrini mentre li sorpassiamo. Arriviamo dunque in una località vicino Genova e lì ci rechiamo da un mio conoscente che ha una piccola azienda di materiale elettrico. Mia moglie ci segue senza dire nulla, è un po’ incuriosita ma fra la disinvolta e il cordiale non chiede nulla. All'interno dell’edificio, un grande magazzino vediamo un materasso messo per terra in malo modo e attorno delle seggiole, circa una ventina, a quella vista mia moglie sgrana gli occhi e mi guarda sorpresa, io allora le dico: “ Ci sarà movimento, non preoccuparti”. Mario, il mio conoscente, l’accompagna nel retro dove c’e’ un bagno che ha anche una doccia, a quel punto le dico “preparati, si inizia ora“, lei mi chiede: “come devo mettermi?” ed io... “ mettiti quello che ti sei comprata oggi, farai un bell'effetto”, Veronica entra e sparisce mentre nel capannone sono gia’ arrivati una decina di uomini di tutte le eta’, anche qualcuno con ha un’aria rozza e volgare. Io lo guardo ma lui mi dice: “non ti preoccupare, vedrai che la vacca sarà soddisfatta”, sul lato vedo dei cestini con delle bottiglie e del cibo, capisco che hanno fatto tutto come avevo chiesto. Pochi si parlano io mi metto di lato e guardo, c’e’ un’aria squallida e sporca, ad un certo punto arriva Veronica, vestita con un tailleur nero e molto elegante, qualcuno accende un piccolo mangiacassette con una musichetta in sottofondo. Lei è ferma in mezzo a tutti quanti, alcuni seduti e altri in piedi la guardano, Marina, ha due tette notevoli (una quarta) e un culo un po’ abbondante ma bello sodo. Mario si avvicina a Veronica e, rivolgendosi a tutti, dice: “questa donna è la moglie di un mio amico, e lui ve la offre per usarla come una vacca e soddisfare ogni suo e vostro desiderio, l’accordo e che la famosa Veronica non si opporrà a nulla, e non si dovrà usare violenza alcuna. Solo se si opporrà dovrete costringerla anche contro il suo volere, certo senza ferirla in nessun modo”.Subito dopo la famosa Veronica televisiva non esiste più e lascia il passo ad un’ altra donna, così incomincia a spogliarsi mentre tutti la guardano e le sue forme esplodono. Il reggiseno ricopre solo metà delle sue grosse tette, si toglie la gonna e tutti fanno dei complimenti al suo culo incorniciato dal reggicalze. Tre maschi di cui uno grasso e uno con un grande pancione, completamente nudi si avvicinano e la circondano, la palpano, le loro mani le fanno uscire le tette, le si infilano nelle mutandine, il ciccione la bacia e lei si lascia baciare con la lingua, i loro corpi si toccano e Veronica prende in mano il cazzo del ciccione e lo masturba,mentre un’altro le si incolla dietro e preme il suo cazzo contro il culo e le sue mani sono aggrappate alle sue tette, ma non riescono a contenerle,l’altro le tocca la figa, Veronica geme e li lascia fare, la trattano come una vacca. Mario a un certo momento si fa’ avanti e sento che dice ai tre di sedersi, e che ora incomincia la parte piu’ bella, dice testualmente: “so che che la signora Veronica, famosa conduttrice tv e addrizzacazzi mondiale vuole e essere servizievole con tutti, quindi restate seduti e chi non la ha gia fatto si tolga i pantaloni!”, Poi guarda nella mia direzione e strizza l’occhio e urlando si rivolge a Veronica: “Ora troia devi leccare le palle di tutti e masturbarli senza prender nessun cazzo in bocca ...chiaro!” Lei fa cenno di sì con la testa. E’ uno spettacolo, tutti seduti con i loro cazzi fuori e la mia donna in reggicalze e tacchi alti che si avvicina al primo, si inginocchia e comincia a leccare le palle, poi si sputa sulle mani e con queste masturba il cazzo che lecca, mentre lo fa Mario si avvicina da dietro con un vibratore, e lo bagna con la lingua, poi lo infila nel culo di Ver, Ver urla e si gira e lui: “Datti da fare puttana e apri bene il culo” allora lei, remissiva, continua a leccare mentre lui gli spinge il cazzone di gomma in modo che resti piantato nel culo. Impiega circa mezz’ora passando da un cazzo all'altro con quel grosso cazzo nel culo e lecca le palle degli uomini. Lei viene fottita da tutti, è oscena, cosi in ginocchio, in quello squallido magazzino con tutti gli uomini che la guardano, con quel grosso cazzo di gomma piantato nel suo buco del culo, mentre geme di piacere. Io, in disparte resto a guardare e Mario mente la dirige e le tiene il cazzone di gomma conficcato dentro, anche quando si sposta in ginocchio da un uomo all'alto e così la dirige. Lecca i coglioni degli uomini e certe volte vedo la sua bocca che si spalanca per inghiottirli e succhiarli, mentre le sue mani delle volte stringono forte i cazzi e altre volte sono leggere e li accarezzano come sa fare lei, qualcuno si solleva di molto le gambe e le mostra il buco del culo. E Veronica, prontamente, da troiaconsumata che ha frequentato le più squallide casa di tolleranza del terzo mondo, infila la lingua e dà dei colpetti veloci, cercando di infilarla nel buco del culo dell’uomo. Mentre lo fa tutti la chiamano: “vacca, puttana, troia. zoccola, rottainculo, baldracca, succhiacazzi, bagascia” e così, insultandola, io sono sempre più orgoglioso di averla come moglie. Ad un bel momento....Mario, da vero master.....ordina a tre uomini di prenderla. Veronica aveva già capito che le sarebbe stata inflitta qualche tortura, allora cerca di divincolarsi, nuda cerca di scappare, uno dei ragazzi la blocca, da dietro la stringe con le mani le tettone, poi arrivano gli altri e la fanno inginocchiare, lei è sorpresa ma li lascia fare, si arrende. Mentre è in ginocchio le legano le mani dietro la schiena. Mario allora si avvicina e le dice: “Se solo ti ribelli ti faccio scopare dal mio pastore tedesco, quindi cerca di fare divertire questi uomini!”, Veronica fa un cenno con la testa e mi guarda con un fare da sfida, Mario parla agli uomini e dice: ”Ragazzi potete fare quello che più vi piace ma a gruppi di massimo quattro”. Amore mio, sei sdraiata...hai gli occhi bendati...ti senti strana , non ha mai provato una sensazione così.. l'oscurità ti circonda...sei vestita con la vestaglia trasparente, un miniperizoma nero e delle calze autoreggenti...sei molto eccitata non sai cosa succederà...senti solo dei rumori soffusi...un brivido ti percorre quando senti una mano che inizia ad accarezzarti il tuo corpo...senti la mano che ti accarezza il seno da sopra la vestaglia...senti un'altra mano sulle tue gambe...poi senti un'altra sull'altro tuo seno... capisci che nella stanza ci sono due persone...le mani che ti accarezzano i seni iniziano a slacciare la vestaglietta e a liberarli...hai i capezzoli talmente duri per l'eccitazione, duri come degli spilli...senti dell'umido attorno...capisci che qualcuno te li sta succhiando...mentre con l'altra mano ti accarezza quello libero... intanto l'altro continua ad accarezzarti...è arrivato alle cosce e senti il contatto della sua mano dove finiscono le autoreggenti e inizia la pelle libera...e continuano ad andare sempre più su, in un lento massaggio...la bocca di uno intanto continua su un seno e poi su un altro... ogni tanto sale un po' più su e ti lecca il collo per poi arrivare all'orecchio... te lo morde...sei molto eccitata, ti umetti le labbra con la lingua... sotto senti che l'altro si è avvicinato al tuo fiore ricoperto solo di quel piccolo perizoma...senti le mani avvicinarsi fino a quando le senti che scostano il tuo perizoma...ti senti accarezzare lentamente, per facilitargli il compito gli apri leggermente le gambe...sentire solo con il tatto senza vedere ti fa accelerare il respiro, senti che ti stai bagnando...le mani sotto si trasformano in una bocca...senti una lingua che ti sta penetrando dentro...la senti prima sulle grandi labbra poi si fa più audace ed entra dentro di te...intanto la linguia che si stava occupando della parte di sopra scende di nuovo verso i seni...te li succhia ancora un pò e ad un tratto capisci che qualcuno si è messo a cavalcioni su di te...senti le mani che ti stringono i seni e qualcosa di duro in mezzo a loro...un cazzo...stai facendo una spagnola bendata... senti che va lento...tiri fuori la lingua per sentirlo nel momento che si avvicina al tuo viso...lui capisce e te lo avvicina di più... inizi a leccarglielo... intanto sotto di te..la lingua si è sostituita con un dito...ti sta masturbando...ogni tanto senti un guizzo della lingua sull'altro tuo fiore...con un orgasmo in arrivo continui il tuo pompino.....sei un lago...un cazzo in bocca che te lo stai gustando come se fosse il gelato più prelibato che tu abba mai assaggiato...una lingua che ti sta esplorando il tuo secondo fiore mentre delle dita ti stanno esplorando la tua fica...no ce la fai più ed hai un orgasmo...ti bagni tutta e brividi ti corrono per tutto il corpo grazie anche alle sensazione che sono più acuite essendo bendata...dopo questo orgasmo...i tuoi amanti si fermano...e ti lasciano lì a terra in uno squallido capannone...un flebile "no" ti esce dalle labbra...ma ad un certo punto... senti qualcosa di duro premere vicino alla tua bocca...sorridi e accogli il cazzo...lo trovi diverso da quello di prima e capisci che è della persone che prima ti leccava la figa...e inizi a leccarlo come hai fatto prima...la tua fica è bollente...e senti anche lì qualcosa che piano piano entra... e il cazzo dell'altro uomo...mugoli con la bocca piena mentre il cazzo ti entra nella fica...coi muscoli della vagina inizi a pomparlo...lui sta fermo poi inizia un lento movimento dentro di te, mentre continui a succhiare l'altro cazzo...sono sensazioni nuove per te...bendata...ti stanno scopando in due...la tua bocca continua a succhiare inperterrita...ogni tanto delle mani ti accarezzano i senti e ti tintillano i capezzoli...senti ad un certo punto che quello che ti sta scopando in fica ti prende le gambe e te le alza...senti dell'umido sulle dita dei piedi...capisci che mentre ti sta scopando, con la bocca ti sta succhiando le dita dei piedi inguaiate nelle calze...e questo ti fa piacere....il cazzo che hai in bocca diventa sempre più grosso..capisci che lo stai portando all'orgasmo... ma...si fermano di nuovo...e ti lasciano di nuovo in bali della cecità....senti che ti prendono le mani e ti fanno alzare...avverti un movimento sul letto...capisci che uno si è sdraiato...l'altro ti accompagna su di lui...senti che sotto di te c'è un cazzo svettante che non vede l'ora di rientrare neela tua fica.... e allora visto che sei eccitata da morire...ti impali...sei a smorzacandela...te lo fai entrare dentro tutto e inizi a cavalcarlo...dietro di te sulla tua schiena nda è appoggiato l'altro...da dietro ti accarezza i seni mentre vai su e giù...senti il suo cazzo da dietro....le mani continuano ad esplorarti e scendono sempre più giù...accarezzano la tua figa mentre cavalchi l'altro cazzo...poi si spostano fino ad arrivareal tuo culo...prima le senti sulle tue chiappe poi si fanno sempre più audaci e una arriva vicino all'altro tuo fiore...tu continui la tua cavalcata...senti il cazzo duro dentro di te...i tuoi muscoli vaginali lo spremono...intanto un dito da dietro inizia ad entrare dentro di te...poi ne senti due...stai godendo...un cazzo un fica e due dita nel culo...ad un certo punto le dita escono...senti una mano premee la schiena per farti capire che devi piegarti verso il basso..smetti un'attimo di cavalcare...ti abbassi e senti la lingua di quello che cavalcavi lambire i tuoi seni aiutandosi con le mani...hai sempre il suo cazzo in fica...intanto dietro, le mani dell'altro ti allargano le chiappe....e inizi a sentire qualcosa di più grosso rispetto alle dita...è il cazzo del secondo uomo...il tuo respiro si fa sempre più affannato per via dell'eccitazione e del godimento che stai provando...lo senti entrare dentro di te...sempre pìù lentamente per non farti male ma per farti provare solo piacere...il tuo respiro si blocca un attimo...lo senti tutto dentro di te...anzi li senti tutte e due...uno in fica e l'altro in culo...aspettano un secondo che i tuoi muscoli si adattino ai loro cazzi..e poi con movimenti coordinati.....iniziano a scoparti.......sei piena dentro di te...due cazzi...uno nel culo e l'altra nella figa che coordinati ti stanno scopando...tu sei ancora con la benda...sensazioni mai provate prima...nella stanza si sentono i tuoi gemiti ad ogni affondo...due mani e ogni tanto una lingua di quello di sotto, li senti sui tuoi seni...altre mani sui tuoi glutei...le tue mani appoggiati sul letto facilitare i tuoi movimenti...senti arrivare l'ennesimo orgasmo di questo incontro...tutto il tuo corpo rabbrividisce e ti bagni come una fontana...esausta ti accasci sull'uomo sotto di te...i cazzi ancora duri si sfilano da te...senti che ti girano...ora hai la schiena a contatto con il torso dell'uomo che ti stava sotto...le sue mani iniziano ad accarezzarti in un lento massaggio...senti il suo cazzo duro vicino al tuo secondo fiore...intanto l'altro uomo ha iniziato ad accarezzarti le gambe...e ogni tanto ti fa sentire il suo cazzo...le mani di quello di sotto iniziano di nuovo a massaggiare il tuo seno...la voglia sta rinascendo...con il cazzo vicino tu inizi un lento massaggio col tuo sedere...poi le tue mani si avvicinano a lui, glielo prendi e telo indirizzi nel tuo secondo canale...piano, lentamente entra dentro di te...lo senti tutto...intanto anche l'altro si sta avvicinando seguendo le tue gambe...lo senti vicino al tuo fiore, e come una carezza, lentamente entra anche lui dentro di te...se di nuovo piena...due cazzi...in fica e in culo...solo che sei in altra posizione...le tue gambe si incrociano sulla schiena di chi ti è appena penetrato...e di nuovo...come se lo facessero da anni...iniziano a scoparti...i tuoi gemiti ricominciano a farsi sentire...un odore di sesso e di corpi imprenia la stanza...mani ti accarezzano lungo tutto il corpo...vanno avanti, dentro di te...li senti prendere velocità...ti manca il respiro...e inizi il piacere arrivare...fino a quando hai di nuovo un brivido...l'orgasmo è arrivato...urli dal piacere...ma loro non hanno finito..i loro cazzi sono ancora duri...ad un certo punto pronunci con un fil di voce..."venitemi in viso"...e come un comando, la macchina si ferma....escono da dentro di te...ti fanno sdraiare...senti i due cazzi dri vicino alle tue labbra...ed inizi ad assaggiarli..prima uno poi l'altro..senti i tuoi sapori...poi ti fai più decisa e inizi un doppio pompino...alternadoti..prima uno poi l'altro, e poi di nuovo...fino a che no li senti pronti...che sta per arrivare anche per loro finalmente l'orgasmo...apri la bocca tirando fuori la lingua e... ti sborrano come due fontane...accogli tutti in bocca...sborrano copioso il loro nettare....lo senti tutto...e lo ingoi...un sorriso di gratitudine e appagamento compare sul tuo volto...e come sono arrivati..le due macchine da sesso...silenziose...escono lasciandoti ancora bendata....
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La Febbre Del Sabato Sera, ma non Quella Buona
Mi chiamo Milena e anche se in teoria avrei kose da fare per la patente, mi sono ammalata come Ermal, per cui mi è partita una cosina. Con un po’ di Rindrea di sottofondo e un ospite a sorpresa manco fossi Maria de Filippi, eccoci qua.
Ermal si è ammalato.
Ok e grazie al cazzo direte voi: con tutto lo sbollattamento subito da Febbraio, prima o poi il suo corpo doveva cedere. 
Non che negli ultimi tempi non abbia dato prova di alcuni piccoli segnali: il polso infiammato, il cortisone, la voce fuori uso. Tutte cose che, però, era riuscito bene o male a superare con un po’ di salti mortali e fin troppi convinti “sto bene” che quasi nessuno si era bevuto.
Solo che questa volta, la grande differenza è che si è ammalato per bene.
Febbre a trentanove, mal di gola, tosse, indolenzimento, mal di testa, nausea. Insomma tutti i bellissimi sintomi che stanno a indicare un’influenza bella potente.
Indi per cui, è dovuto rimanersene a letto.
Ci ha provato fino all’ultimo, a non mancare. Ha preso più tachipirina di quanto fosse umanamente consigliabile, eppure il termometro è ostinatamente rimasto ad oscillare tra i numeri 38 e i 39.
 Ha perfino chiamato l’autista che l’ha raggiunto sotto casa, ma quando alzandosi per cercare di rendersi presentabili si è ritrovato con le orecchie che fischiavano e ha rischiato di dare un poco gentile e delicato bacio al pavimento con la faccia, ha capito che sì, per una volta la risposta doveva essere “no, non ce la faccio a venire, mi dispiace”
Quindi, una volta che ha barcollato di nuovo verso il letto e si è rimesso dentro alle coperte tipo avocado nel sushi roll, ha chiamato, disdetto, scritto un tweet di scuse, e poi ha collassato.
Si risveglia soltanto quando sente delle voci nell’ingresso
Infastidito, si rigira nel letto, la testa che gli duole come non mai
I suoi neuroni ci mettono qualche secondo di troppo a collegare che non dovrebbero esserci delle voci nel suo ingresso, ma quando ci arrivano apre gli occhi lucidi, sforzandosi di tirarsi su nonostante tutte le sue articolazioni siano in full mood Albano urla AAAA per dieci minuti
Tendendo le orecchie doloranti e mezze tappate, riesce a sentire qualcuno parlare
“... detto che non lo so, ma non posso” “Solo per qualche ora, davvero”
Riconosce, nelle voci che sente a stento, quello che sembrerebbe il tono di Rinald. 
“Rinald?” si sforza di chiamare, dubbioso, la voce che suona roca e impastata per il sonno e il dolore che la attraversa quando parla.
Le voci si fermano. Poco dopo, la porta si apre e sì, sbuca suo fratello. Suo fratello dietro al quale, timidamente, sbuca anche Andrea, che sembra voler fare di tutto per strizzarsi nello spazio occupato dalle sue spalle per non farsi vedere
Li osserva qualche istante, rintronato come non mai, prima di dire stupidamente “Che cosa ci fate in casa mia?”
I due si scambiano una lunga occhiata che ha la forma di un breve litigio interiore e poi Rinald fa un passo avanti, sospirando “Siamo passati per darti una mano. Ti abbiamo ritirato la posta e sistemato un po’ le cose che erano rimaste in giro. Io devo andare a lavoro adesso, ma Andrea rimarrà qui con te, ok?”
Ermal li guarda, più perplesso di prima
Non tanto per loro, ma perché nella sua mente ottenebrata dalla febbre sta comparendo il ricordo sfocato di Pastorino sulla porta della sua stanza che lo guarda in silenzio e quando si accorge che è sveglio proclama un “Ero passato a vedere come stai. Non entro per non ammalarmi. Buona guarigione, ciao”
“Ma per caso avete visto pastorino?” chiede
Rinald e Andrea si guardano come se non fossero del tutto sicuri che il suo cervello non sia stato fritto dalla febbre.
Nella testa di Ermal, i dettagli riaffiorano e compongono una visione piuttosto inquietante dato che se lo ricorda in penombra, quindi era probabilmente sera tarda. Deve essere mattino, ora.
“Che ore sono?” chiede infatti poi o, per meglio dire, gracchia, tossendo
“Le sette e mezzo” risponde Rinald, scrollando le spalle “Siamo venuti appena svegli”
Ermal non commenta la cosa. Lo sa che ormai i due passano più tempo insieme che da soli. E poi, non gli interessa di commentarla. Sta troppo male. Si sente la testa scoppiare mentre, con un sospiro, si riaccascia sul cuscino, recuperando un fazzoletto ormai freddo e inutilizzabile dal comodino per soffiarcisi il naso
Non commenta nemmeno che devono essere venuti la mattina a casa sua perché la sera erano impegnati a venire in altro modo. Lui vuole solo che gli venga una botta di sonno che lo faccia dormire fino a quando la febbre non scende
“Senti” dice Rinald guardandolo “Ti porto una tachipirina, ok? Poi tu riposi. Andrea magari ti fa un te o qualcosa da mangiare, va bene? E ci vediamo stasera” 
Annuisce, perché non ha nient’altro da fare
I due si baciano per salutarsi. Un bacio rumoroso, che prende più tempo di quanto Ermal vorrebbe
Potrebbe vomitare
Ma non per loro, perché sta proprio male
Solo che così gli verrà pure il diabete cazzo e ci manca solo quella
Alla fine Rinald esce e Andrea rimane a guardarlo con un sorrisino imbarazzato, lo stesso da “what the actual fuck” che aveva a Lisbona quando stavano comprando il deodorante
Ermal si chiede quanto Rinald faccia una scelta giusta, ma altro non può fare
Effettivamente, Andrea gli porta una tachipirina. Gliela fa prendere, guarda l’orologio, e gli assicura che tornerà a dargliene un’altra tra qualche ora. Gli fa provare la febbre, ostinatamente fissa su 38.8, e gli chiede se se la sente di alzarsi
Ermal gli rivolge lo stesso sguardo che rivolgerebbe a qualcuno che gli ha chiesto se vuole andare sulla Luna a piedi nel weekend e lui desiste. Gli lascia quindi il bicchiere d’acqua e gli porta un nuovo pacchetto di fazzoletti, evitando accuratamente di toccare gli altri lasciati sul comodino e sul pavimento
Alla fine scappa in cucina e se ne ritorna con un tè che gli posa sul comodino, suggerendogli di berlo. 
“Ci ho messo un po’ di zucchero, così ti ridà le forze” spiega, tormentandosi le mani
Il po’ di zucchero si rivela essere un quantitativo tale che dopo un sorso Ermal rischia di rimettere pure il pranzo pasquale di quando era un feto
Perciò, lo ringrazia con un sorriso che gli fa male alla faccia quanto all’anima e torna a sdraiarsi a letto.
Prende il telefono, ma ha un mal di testa talmente forte che dopo un “starò presto meglio, non preoccuparti” mandato a Fabrizio, deve mettere giù
Anche perché i commenti che ha intravisto sulla sua assenza gli hanno fatto di nuovo salire la voglia di rovesciare l’inesistente contenuto del suo stomaco sul pavimento
Leggere non se ne parla nemmeno. Per cui, sceglie di attendere che la tachipirina gli porti via un po’ di mal di testa per dormire, ancora
Si sente così debole e spossato che altro non può fare
“Ermal”
Viene riscosso dalla voce di Andrea che, sulla porta della stanza, si tiene in mano un piatto
“Ho pensato che potesse andarti di mangiare qualcosa” dice, entrando
L’occhiata sospettosa che rivolge al piatto, di solito scambiata per un gesto da persona schizzinosa, in quel caso è più che giustificata: nella fondina galleggia qualcosa che dovrebbe essere una sorta di minestrone, ma che somiglia più a una poltiglia dal colore malaticcio e dall’odore di morte liquida che gli causa un crampo allo stomaco
“Andrea” mormora piano “non credo che mi vada di mangiare”
“ma devi recuperare le forze, Ermal” insiste lui, avvicinandosi ancora. La consistenza della cosa è indubbiamente sospetta e Ermal si chiede cosa cazzo ci abbia messo. Al che, gli viene un gran dubbio
“Che cosa...è quella cosa?” chiede, sforzandosi per far uscire la voce, che comunque appare roca e nasale
“Emmm... tipo... una zuppa? Era l’unica cosa che avevi nel freezer di decente, cioè, hai il frigor vuoto e negli armadietti ho trovato solo cose che non vanno bene ora come ora... solo che non sono sicuro di averlo fatto nel modo giusto e... quando l’hai comprato”
“Buttalo” è la sola risposta che riesce a dargli “non ricordo quando l’ho preso, buttalo via” dice, storcendo il naso
Alla fine, Andrea si convince a portarlo via dato che lo vede che è sull’orlo dello sbocco 
Ermal lo sente trafficare con il lavandino. Si chiede quanto resisterà in quel modo. Però la tachipirina deve aver fatto un po’ effetto, perché si sente un po’ meglio
Intendiamoci, un po’ meglio significa solo che convince Andrea ad aiutarlo ad alzarsi per fare pipì e poi si schianta sul divano, non per volontà sua, ma perché si sente sul punto di svenire e non crede di riuscire a raggiungere il letto
Il fatto è che rimane bloccato lì per tipo diverse ore, avvolto in un rotolo di coperte e costretto a guardare uomini e donne, programma che l’amico sembra molto entusiasta di vedere
Amico che si è messo il più lontano possibile da lui e gli passa i fazzoletti praticamente tirandoglieli
Stronzo.
Non che non capisca la sua paura di ammalarsi, ma non è mica un appestato. 
Ermal ci prova, a fare conversazione. “Come va con Rinald?” chiede, la voce graffiante e bassa. Non vuole impicciarsi dei fatti loro, solo sapere. “Bene” gli risponde Andrea con un sorriso
Sembra felice della cosa. Non può che essere contento anche lui per loro, in fondo. 
Il punto è che mentre dice “Sono contento per voi” arriva a malapena alla metà di contento che scoppia in un attacco di tosse da cui impiega cinque minuti a riprendersi e che gli fa passare la voglia di parlare
E vaffanculo, deve tornarsene a uomini e donne, programma che odia, ma fa niente
Alla fine, stanco e indolenzito peggio di prima, si fa aiutare per tornare a letto, zoppicando come un vecchietto, e ingolla di malavoglia un’altra tachipirina prima di tornare a rotolarsi nella lenzuola lamentandosi come una balena spiaggiata nella speranza che la guarigione sopraggiunga presto
Dal salotto, sente Andrea parlare al telefono con quello che suppone debba essere Rinald dato che lo chiama “amore”
sorride al pensiero, e si allunga a recuperare il telefono
Scarico
E allora vita, che cazzo vuoi.
Finisce che, poco dopo, si riaddormenta di nuovo, sperando che il ritorno di Rinald non significhi che si risveglierà con la casa in fiamme
Non che non creda nelle capacità del fratello, ma con Andrea vicino l’ha visto sbrodolarsi con l’acqua mentre parlava, quindi non è tanto sicuro che sia in pieno possesso delle sue facoltà mentali quando l’altro è lì
Quando si risveglia, la prima cosa che sente è una mano fresca e appena ruvida premuta sulla sua fronte calda
Si sente andare a fuoco e nonostante sia così caldo sta tremando
Eppure, le coperte gli sembrano più pesanti e non sente tanto freddo quanto la notte prima. 
In casa, oltretutto, c’è un profumo caldo e piacevole, che non identifica ma che gli fa brontolare la pancia vuota ormai da troppe ore
Andrea ha provato, prima, a fargli ingollare qualche pavesino che si era portato dietro-e non sapeva perché e nemmeno voleva saperlo-ma masticare e mandare giù gli faceva dolere la gola troppo perché potesse sopportarlo e quindi si era arreso. Erano troppo secchi per lui.
Il profumo di cibo gli ricorda Fabrizio. 
E’ abituato che, quando sta da lui, ad un certo punto ci sia sempre l’odore del cibo che proviene dalla cucina e questo gli fa muovere una sorta di moto di speranza nel petto
Forse è venuto per lui
Non rimane però nemmeno troppo deluso quando, aprendo gli occhi, si rende conto di aver sperato un po’ troppo, è vero, ma che comunque in cambio ha avuto “Dino”
Gracchia il suo nome con fatica, deglutendo poi con una smorfia. Ha la gola secca e riarsa e si sente la testa che scoppia
Dino è seduto accanto a lui, sul letto, e lo guarda con preoccupazione, anche se concentrato. Sul letto è comparsa una nuova coperta, i fazzoletti sono spariti.
E poi gli sorride appena, alzando le labbra e la barba
“Ho fatto il prima che ho potuto. Hai la febbre alta, comunque” gli annuncia, scuotendo appena la testa “Ti sto facendo un po’ di brodo caldo, va bene? E ho portato delle medicine decenti, non quelle che hai tu. Sempre che tu le abbia, certo. Quini tachipirine, spray per la gola, sciroppo per la tosse, la crema per il naso irritato e a proposito, ho buttato via lo schifo di fazzoletti che c’erano qui attorno, e insomma Ermal, perché non mi hai chiamato quando hai capito di stare così male?” sciorina, guardandolo
Ermal sospira, tirando su con il naso
“Non volevo disturbarti” gracchia, accettando il fazzoletto pulito che l’altro gli tende. 
Dino alza gli occhi al cielo
“E io non voglio che tu muoia, quindi la prossima volta magari evita di far venire Andrea. Che, a proposito, sta dormendo sul divano in sala con tuo fratello. Cercava aiuto per disfarsi del cadavere?” 
Un sorrisino si dipinge sulle labbra secche dell’altro 
“Probabile” dice, prima di leccarsele e ridendo rocamente quando Dino gli passa del burrocacao
“Grazie” dice, tossendo, cosa che fa sbucare nelle mani altrui uno spray “Parli come una cornacchia. Tieni” dice, e poi notando quanto lentamente si muove sospira “Apri, faccio io” 
“Non ho due anni” rimbecca, offeso, aprendo poi la bocca per lasciarlo fare
“Guarda che è amaro” dice Dino e già lui sta sentendo il sapore atroce della medicina in bocca e una smorfia gli piega il viso, cosa che fa ridere l’altro “Dai che ti fa bene, signor non ho due anni” dice, passandogli una mano tra i ricci “Sei tutto sudato. Ti devi cambiare” dice poi, alzandosi “Dove tieni i pigiami?”
“Il cassetto...non quello...sì. Quello lì in fondo” lo guida Ermal, ancora muovendo la bocca come un bimbo disgustato
Lascia che l’amico recuperi un pigiama pulito e glielo porti, sospirando quando deve tirarsi su, le giunture che cigolano e scricchiolano 
“Aspetta” mormora l’altro, alzandosi e uscendo dalla stanza. Torna dopo qualche minuto con una salvietta umida, che gli tende “Sistemati un po’, così almeno ti metti a letto un po’ più fresco” dice, cosa che fa sorridere Ermal mentre lo aiuta a levare la maglia
“Grazie. Avrei dovuto sposarti io, a questo punto. San Dino”
Dino si limita a sorridere, scuotendo il capo “Non diciamo cazzate dai”
“Lo consideri il divorzio per me?” gracchia scherzosamente, passandosi la salvietta sul collo madido di sudore 
“Ti piacerebbe” ride l’altro, aiutandolo poi a rivestirsi prima di fargli un cenno “Cambia lato del letto” dice, aiutandolo poi a spostarsi
“Meglio?” gli chiede quando lo guarda riadagiarsi sul cuscino fresco e pulito mentre gli tende dell’acqua fresca e una tachipirina
“Meglio” risponde lui, accettando le cose
“Vado a prenderti da mangiare, allora” sussurra Dino, passandogli di nuovo una mano tra i ricci
Sorride Ermal, annuendo appena
Ne hanno passate tante, lui e Dino, eppure l’altro è sempre rimasto
“Ah Ermal? Ti ho messo il telefono in carica. Ti converrà sentire Fabrizio, ti ha chiamato tipo nove volte” lo avverte l’altro prima di sparire accostandosi la porta dietro le spalle
Ermal sospira, allungandosi a prendere il telefono. Gli fa ancora male la testa, ma non abbastanza questa volta perché non riesca a premere il tasto della chiamata 
Squilla a vuoto per qualche secondo prima che una voce preoccupata dall’altra parte risponda “Pronto Erma?”
In automatico, il sorriso gli si allarga sul viso.
“Bizio” gracchia piano
“Erma. M’hai fatto morì, non riuscivo a chiamarti” “Si scusa, lo so” bisbiglia, il tono preoccupato di fabrizio che gli fa male e gli scalda il cuore insieme “Mi si è scaricato il telefono e poi mi sono addormentato” spiega
“Ah. Capito. Che brutta voce che c’hai. Come stai ora?” gli chiede, la voce bassa e più tranquilla
“Meglio, dai. Cioè, no, sto ancora una merda ma è arrivato Dino quindi meglio. Almeno so che non morirò avvelenato per colpa del brodo di Andrea” ride, anche se la risata viene stroncata a metà da un colpo di tosse, cosa che fa sospirare Fabrizio
“Sta al caldo. E mangia. E prendi ‘e tachipirine, eh. E qualcosa pe a gola. Verrei a Milano, se potessi, ma sto co’ Anita che pure c’ha ‘a febbre” gli spiega, contrito, cosa che fa scuotere il capo a Ermal anche se non può vederlo
“Non fa niente. Spero che si riprenda presto anche lei. Dille che la saluto” mormora, schiarendosi la voce più che può e tirando però su con il naso. 
“Comunque so contento che ci sta Dino” dice poi Fabrizio, il tono più dolce “Che almeno si prende cura di te. Per una volta lascia che ‘o facciano gli altri, per favore. Che te devi riprendere e se te sento di che dai fastidio guarda che mi arrabbio” 
Di rimando Ermal ride appena “Per una volta, credo che farò così, grazie. Non ho chiamato Dino subito” ammette “Ma effettivamente mi serve che sia qui” dice, sospirando poi “Mi manchi” soffia “Ma ci vediamo presto, ok? Appena guarisco” gli promette, tossicchiando
“Ma certo. Mo vado che Anita sta a piagnere, scusa. Ci sentiamo dopo” mormora Fabrizio
“A dopo” sospira Ermal chiudendo la chiamata con un sospiro.
Salvo poi ridere quando sente che, dal salotto, Andrea deve essersi svegliato dato che sente un tonfo e poi un urlo
Probabilmente è caduto dal divano 
E mentre si riaccomoda tra le coperte pensa che sì, può lasciare che gli altri si prendano cura di lui per una volta
Anche perché senza Dino, dubita che sarebbe sopravvissuto un altro giorno in balia di quei due che, fortunatamente, passano a salutarlo e poi decidono di andarsene, tenendosi la mano
Sono carini, insieme
Quando Dino si presenta in camera con una fondina piena di brodo caldo e profumato, Ermal giura che potrebbe piangere dalla gioia
Mentre lo mangia, con Dino seduto accanto a lui che gli da una mano a non sbrodolarsi come un bambino, si ricorda della cucina della nonna, dove aleggiava sempre un profumo caldo e avvolgente, che ti faceva brontolare la pancia e sognare di pane e dolci e tanti altri buoni piatti che cucinava
“Grazie” mormora quando finisce, lasciandosi ricadere a letto tra le coltri calde e morbide con un sospiro
Si sente già meglio, così
Alla fine si ritrova steso vicino a Dino, che ha scelto di sdraiarsi accanto a lui nel letto nonostante le proteste sul fatto che sarebbe finito ad ammalarsi a sua volta
Finisce che, come anni e anni prima, si ritrova accoccolato vicino a lui, uno sbadiglio che soffoca vicino al suo collo mentre sospira appena
“Ti voglio bene” mormora piano, nel silenzio della stanza
“Anche io ti voglio bene” replica l’altro, carezzandogli appena la schiena
Se ci ripensa, Ermal quasi non crede a quanta strada hanno fatto negli ultimi anni e di quante ne abbia fatta anche da solo, personalmente, negli ultimi tempi
Sa solo che è grato, grato di avere Dino, grato di avere Marco e Andrea e Pace e Emiliano e tutte le altre persone che gli sono accanto in quel momento
Grato di avere Fabrizio, che è come arrivato dal nulla e che si è guadagnato nel suo cuore uno spazio enorme, incontenibile, e che nella sua anima ha lasciato più di un’impronta indelebile
E mentre scivola nel sonno, seppur malato e stanco, si sente più sereno che mai.
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yellowinter · 6 years
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Davanti mi è crollato il mondo e non ho fatto niente, ora affondo nelle lacrime, scusa non rispondo se mi chiedi come va, nascondo le cicatrici mentre in sottofondo sento le urla del demonio moribondo, senza amore in un oblio senza fondo precipito veloce, passa un secondo e mi ritrovo prigioniera di un immondo dolore, è troppo tardi ormai confondo il sangue con il vino, scusa sono un casino . non riuscirò a salvarmi.
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sandnerd · 6 years
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Banana fish - Ep 24 - Fine
Io non ci credo che sto piangendo davanti al computer come una scema. Il mio cinismo è andato a nascondersi in un angolo e piange a dirotto tutte le sue lacrime. Sono stati 30 minuti di emozione, e non c'è stato un solo secondo in cui il mio cuore non abbia battuto per qualcosa, che fosse paura, gioia, terrore, rabbia, sollievo, tenerezza, amore. Ed anzi avevo letto che i minuti sarebbero stati 40, credo che da una cosa del genere ne sarei uscita con una crisi isterica. Ma procediamo col commentone della puntata, adesso mi ricompongo un attimo...o almeno ci provo. Quel bastardo di Fox ha sparato a Golzine, io lo davo per spacciato ma a quanto pare è ancora vivo e vigile a quello che gli accade attorno. Subito dopo i colpi di pistola le saracinesche vengono chiuse ed Ash resta privo di supporto da parte dei compari che erano rimasti fuori un momento a fumarsi una sigaretta ed avevano fatto entrare Ash da solo, perchè, dai, cosa può succedere di storto, restiamocene tutti e 120 quanto la briscola qua fuori, così diamo ad Ash i suoi spazi...boh. Ma i compari rimasti fuori vengono attaccati da una truppa ai comandi di Fox, che a quanto pare era già appostata lì ed aspettava solo la chiusura delle saracinesche per svuotare sui compari i loro proiettili. Fox se la ride all'interno della struttura, con Ash sotto il suo scarpone (devi morire malissimo) e Golzine che non può fare niente, mentre arriva il dottor Mannerheim che aveva tutti i dati sulla droga e resta di sasso alla vista di Golzine per terra ferito. Adesso il capo è ufficiosamente Fox, ed ufficialmente Ash, che sarà sostanzialmente il burattino nonchè prostituta di Fox (che deve morire malissimo). Ash viene quindi portato all'elicottero, ed in teoria è narcotizzato, ma figuriamoci se si fa fregare da una cosa del genere il nostro biondo, ed appena resta solo col soldato di guardia lo tramortisce e si nasconde. Nel frattempo Blanca lì fuori ha preso in mano la situazione, ed ha detto a tutti di pensare ai prigionieri e poi scappare, lui penserà ad Ash. Sing affida i suoi uomini a Cain e segue Blanca, aiutandolo a sgominare le varie bande di soldati che si trovano davanti. La scena del condotto di aerazione è una piccola perla, in effetti pure io vedendo quella cosetta mi ero chiesta in che modo Blanca ci sarebbe passato senza tagliarsi metà corpo, le dimensioni sono importanti ma non sempre, ricordiamolo. Il piano di Fox (quello che deve morire malissimo), e cioè quello di portarsi valigetta coi dati, Ash e dottore via elicottero e dare fuoco a tutta la struttura non sta funzionando, perchè il codice di accesso al sistema è stato manomesso e non risponde più ai comandi. E' opera di Golzine, che seriamente nessuno ha pensato di sorvegliare dato che era ancora vivo, e con due bei buchi sul petto non avendo niente da fare se ne va a zonzo per il centro a manomettere codici, che vuoi che sia. Nel frattempo i compari sono arrivati nell'area in cui sono tenuti i prigionieri, e stanno facendo una bella sparatoria contro il battaglione che era appostato lì. Jessica, in quanto donna, sa bene quando una causa è persa e lascia stare le armi, semplicemente lancia una bomba contro i soldati e prende a colpi di proiettile il pannello che teneva chiuse le porte, perchè noi donne siamo così, tenere e delicate. Segue rimpatriata nel corridoio come se fossimo ad un happy hour e Max che chiede a Jessica di sposarlo di nuovo...teneri questi due. Blanca e Sing sono sbucati fuori dal condotto di aerazione, o per meglio dire Sing è uscito, Blanca sta incontrando dei problemi tecnici, la programmazione riprenderà tra poco. Il dottore che ha ancora la valigetta viene intercettato da Ash, che lo porta con se lungo una struttura in costruzione, penso verso l'uscita, ma viene bloccato da Fox (che deve morire malissimo) che spara al dottore e da un elicottero con all'interno un mitra che fa fuoco. Blanca e Sing sono arrivati anche loro all'interno del complesso in costruzione, e Blanca sfodera le sue doti da cecchino usando Sing come sostegno per il fucile, alla Bard l'arciere style, colpendo il pilota dell'elicottero. Blanca sei tutti noi. Segue combattimento contro Fox (devi morire malissimo) con la prima opening di sottofondo e Sing che ha trovato la valigetta ma viene sbalzato via dall'esplosione dell'elicottero che si schianta contro l'edificio. I due continuano a combattere e quell'infame di Fox infilza la spalla di Ash con un coltello, ma il biondo si trova a portata di mano un avvitatore, pensa se era scarico, e lo infila nel fianco a quello stronzo fino a fargli perdere i sensi. Ash si rialza quindi e va ad aiutare Sing che sta per cadere dalla soletta, e gli dice di lasciare andare la valigetta con un'espressione che mi ha letteralmente sciolto il cuore. Ma quel gran figlio di sua madre di Fox non ne ha avute abbastanza e punta la pistola ad Ash, ma viene colpito alla testa da niente popò di meno che da Golzine, che con quei soliti buchi al petto è riuscito a salire non so quanti piani di scale di un edificio in costruzione. Ma non fa niente Golzine, ti perdoniamo per questo nonsense dato che hai fatto fuori quella carogna di Fox (che non è morto proprio malissimo ma è comunque morto, accontentiamoci). E Golzine, dopo un ultimo sguardo ad Ash, uno sguardo colmo di orgoglio, affetto, per non dire amore, certo un amore malato ma pur sempre amore, verso quella creatura che guardava da sempre con ammirazione e smania di controllo ma che non riusciva a domare e che l'affascinava per questo, si lascia andare e cade di sotto tra le fiamme. Blanca interrompe la conversazione tra Ash e Sing, che come abbiamo già capito, non ha mai voluto affrontare seriamente Ash, l'ha sempre ammirato anzi, così come ha sempre ammirato Shorter, e la scena cambia. E venuta fuori la storia degli scandali sessuali nella quale erano invischiati funzionari del governo, e questo sta facendo alzare un gran polverone, ma di banana fish non si dice niente, anche perchè non è rimasto niente, quindi sarebbe una denuncia vana. Andiamo da Eiji in ospedale, triste come non mai perchè Ash non si è fatto vedere e lui parte l'indomani, ma sa benissimo che è perchè non vuole più coinvolgerlo nel suo mondo di faide tra bande e morti ammazzati, sa che è per la sua sicurezza che Ash non sta cercando in qualche modo di mettersi in contatto con lui ma di certo non può prenderla con filosofia dopo tutto quello che hanno passato insieme. Un'ultima visita a Yut Lung, che dopo quello che è successo ad Eiji non ha più agito, forse perchè Blanca l'ha fatto ragionare, forse perchè non gli importava più niente, sta di fatto che ora sta lì tutto il tempo a "morire di noia e a bere". Arriva Sing a parlare con lui, ed a metterlo davanti all'evidenza, cioè al semplice fatto che era geloso di quello che aveva trovato Ash con Eiji, ma anche che Sing non detesta Yut Lung, non potrà perdonarlo per aver convinto alcuni suoi uomini ad attaccare Eiji, ma è disponibile a collaborare con lui perchè è di questo che Yut Lung ha bisogno, qualcuno che lo aiuti e che sia sincero con lui, e Sing è disposto a dargli tutto questo, anche perchè Chinatown con tutto quello che è successo adesso è troppo pericolosa, e solo l'autorità dei Lee, la famiglia di Yut Lung, può sistemare questo problema. Sing si dimostra ancora una volta più maturo dei suoi 14 anni, ma ci torneremo. Blanca è al parco che legge Hemingway, al solito, e vede sedersi accanto a lui Ash, che gli da i soldi che avevano stabilito per contratto, una promessa è pur sempre una promessa. Ash ammette che Blanca aveva ragione, non doveva permettere ad Eiji di stargli accanto, ma Ash non ha potuto farne a meno, quella purezza e quella tenerezza, quell'onestà e supporto avevano avvolto Ash e lo avevano fatto sentire completo, per usare le sue parole, ma così facendo lo aveva esposto a troppi rischi, quindi è meglio così. Tutto sembra essere finito, e bene anche, ma mancano ancora 10 minuti alla fine e io ho paura. Eiji è pronto per uscire dall'ospedale e riceve la visita di Sing, stupito che Ash non si sia fatto vedere, ma onestamente nessuno sa dove sia finito quel birbantello. Eiji ha un flash, Ash deve essere in biblioteca, è quel posto che raggiunge ogni volta che vuole rasserenarsi, e da a Sing una lettera da consegnare ad Ash. Sing quindi assume il ruolo di piccione viaggiatore e trova Ash in biblioteca, e lo copre di insulti per non essere andato da Eiji, ma Ash ha ragione, vuole che Eiji se ne vada da questo mondo e che torni alla sua serena vita dove non devi girare con la pistola al fianco per essere tranquillo. La lettera di Eiji, piena di affetto, tenerezza, nostalgia e comprensione, fa però cambiare idea ad Ash, che corre via per andare all'aeroporto, ma un tizio incappucciato gli sbarra la strada e prima che se ne possa accorgere lo ferisce al fianco in modo grave. Parte un colpo di pistola, e l'aggressore cade a terra, rivelandoci di essere Lao, che non aveva accettato l'atteggiamento di Sing nei confronti di Ash, per lui il biondo la doveva pagare per Shorter e non era altri che un mostro che si ergeva sopra tutti con la sua intelligenza. Ed a questo punto continuo a chiedermi perchè Ash non abbia fatto dire la verità a Sing su Shorter, molte cose sarebbero andate diversamente. Eiji è all'aeroporto, ed i ragazzi della banda tra cui Sing sono venuti a salutarlo con tanto di peluche. "Ash dice che vi rivedrete!" urla Sing, e noi cominciamo a piangere perchè potranno rivedersi solo nell'altra vita, perchè Ash, ferito gravemente, è tornato nella biblioteca trascinando i piedi e sedendosi continua a leggere la lettera di Eiji. Cazzo vai in ospedale, avverti qualcuno, è una ferita curabile e tu te ne stai lì a morire come uno scemo. La fine arriva così, leggera, morbida, delicata, per Eiji che ha la certezza di rivedere Ash prima o poi, e per Ash che muore sui sentimenti che Eiji ha convertito in parole per lui, regalandoci insieme gioia e dolore, perchè Ash è finalmente in pace dopo il mondo di violenza e crudeltà nel quale aveva vissuto fin da piccolo ed il dolore che aveva sperimentato a causa di chi voleva dominarlo. Ha smesso di combattere, di stare costantemente in guardia, di chiudere il proprio cuore a chiunque gli si avvicinava, come un gatto randagio che davanti ad un piatto di latte rigeneratore scappa via perchè non conosce la gentilezza. Vuole morire così, dopo essere stato amato e considerato da una persona che ha sfondato la sua armatura costruita in anni ed anni di sofferenza, e che l'ha affatto sentire, come già detto, completo. Io sono provata, quest'ultimo episodio non è stato da meno di tutti gli altri, è stata una serie che non ha mai deluso le aspettative, non c'è mai stato un momento in cui ho storto il naso in modo serio se non per piccole cose e la caratterizzazione dei personaggi è stata abbastanza soddisfacente. Ho letto di trame che nel manga ci sono ma che qui non sono state trattate, ma naturalmente nella trasposizione animata qualcosa deve per forza essere tagliata, e nonostante questo, parlando da persona che non ha letto il manga, non ho mai avuto la sensazione di non capire gli intrecci e le dinamiche, il tempo è stato gestito bene così come l'alternanza tra scene d'azione e di dialoghi, e quei momenti in cui Ash ed Eiji erano soli, anche ad insultarsi l'un l'altro, regalavano il batticuore. Forse il concept di Ash che viene catturato-poi si libera-poi viene ricatturato-poi si libera di nuovo e via dicendo, nel complesso può risultare ridondante, ma è una sensazione minima che non rovina la visione nel suo complesso ed in ogni situazione c'è sempre una serie di elementi che le rendono una diversa dall'altra. Mi è piaciuta anche l'evoluzione di certi personaggi, in particolar modo quella di Sing, che ammette i suoi errori e se ne assume la responsabilità, capisce di non essere all'altezza di Ash ma non lo ostacola come farebbe un Arthur qualunque, bensì gli fa da supporto e si unisce a lui perchè sa distinguere un mostro da chi non lo è, ed arriva perfino ad offrire la sua collaborazione a Yut Lung pur di riportare la pace a Chinatown; ed anche il rapporto tra Ash e Golzine, nonostante la sua percentuale molto alta di amore malato e non corrisposto, ha portato alla fine alla realizzazione per Ash dell'attaccamento che quest'uomo aveva per lui, tanto che il suo ultimo gesto è stato quello di salvargli la vita. Sono tutti elementi questi che non possono essere catalogati come buoni o malvagi, parlano di tematiche complesse, esplorano per quello che possono l'animo umano e ti fanno rimanere in contraddizione con te stessa. Sono molto soddisfatta di quest'anime, i disegni, i colori, le atmosfere sono stati un altro elemento che mi hanno guidato in questi 24 episodi e che non mi hanno mai deluso. Confido un giorno di poter leggere il manga, è una storia che mi ha emozionato tanto e merita di essere comprata e letta da tutti. Chiudo qui che il papiro è lunghissimo, al prossimo anime! -sand-
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lucidafoll1a · 3 years
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Inconsistente inconstatabile delirio calmo
La mia vita non ha preso nessuna forma e quando sembra definirsi in realtà è solo una nuova caduta libera verso un precipizio sconfinato.
Curioso quanto ci credessi veramente. Il tempo passa e il caos urla più forte di prima.
Urla tra le quattro mura di casa e in mezzo al mare quando osservo l'infinito
Immensa energia di vita che si propaga nel nulla
Non è forse questo un limbo?
Ma adesso nel vuoto cosmico mi perdo e tu non ci sei più e di te resta solo fumo d'incenso disperso nell'aria
Le foglie fluttuano nel vento anche se la nostra complicità semplicemente non è e non ricordo più il tuo viso e la sua forma e il suo colore
-non sono mai riuscita a spiegarmi come mai accadesse che il t'amassi- ripetevo dentro me,ignara che le cicatrici che portavo nel corpo si stessero rimarginando e ad ogni pedalata in quel bosco,per ogni lacrima che si posava dolcemente sulla terra e inumidiva i fiori e alleggeriva me
Ma cosa resta poi quando il dolore passa?
Un vuoto nello stomaco che è peggio della sofferenza che scava lacera e consuma.
Cosa sento se mi ascolto? Silenzio e qualche reminescenza di pioggia acida
Agglomerato di materia indefinita indifferente ad ogni posa e spostamento impassibile a sguardi e rumori di sottofondo
Questo sono io : inconsistente inconstatabile delirio calmo
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Non so chi lo leggerà.
C’era una ragazza una di quelle ragazze che non si vedono da tutte le parti, occhi scuri come il buio, labbra dritte e sottili, aveva sempre una felpa tirata su come se si volesse nascondere dal mondo, alle orecchie le solite canzoni che la facevano andare avanti in questo mondo pieno di incubi, spine, strade asfaltate e sogni infranti. La sua pelle era bianca come il latte, era fredda come una notte d’inverno, il suo corpo era fragile nessuno si accorgeva cosa si nascondeva sotto quelle cazzo di maglie e nessuno si immaginava tutte le notti insonni a pensare alla sensazione di buttarsi giù da un grattacielo grandissimo.
Camminava sempre nei corridoi senza amici, tutti la guardavano credevano che era depressa ma lei voleva solo degli amici, quegli amici non esistevano , gli amici veri esistono?. La notte piangeva, si spogliava, in sottofondo c’era sempre qualche canzone deprimente, si guardava allo specchio e vedeva solo un errore da cancellare, prendeva la solita lametta che nascondeva nel cassetto affianco al letto, piangeva mentre la guardava come se fosse uno sbaglio quello che stava facendo ma la faceva stare bene, la faceva sentire viva come non mai. Allora si fece dei tagli forse trenta o cinquanta. I suoi genitori dormivano o litigavano come tutte le sere, ma le urla non le sentiva. Il sangue usciva dalle gambe e polsi, righe verticali, il dolore?, lei non sentiva più nulla. Si mise in altra volta davanti allo specchio e decise che datare qui, in questo mondo non affatto a lei. La vedevano la mattina che camminava nei corridoi, i genitori la evitavano come se avesse qualche malattia rara, i prof non la calcolavano come se fosse invisibile. Soffriva ma in silenzio. In fondo con chi ne poteva parlare se non con la lametta ?. L’odio che provava verso di se era immanso nessuno la vide più dopo le vacanze d’estate .... a scuola non c’era, a casa non c’era, in città non c’era e non era più in questo mondo.
- Paura di vivere -
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MAG193 - ########-33 - Uno sguardo severo
[Episodio precedente]
JONAH/ELIAS (In sottofondo)
Che puzza di odio e gli arriva in zaffate con promessa del cadavere che si avvicina velocemente e porta la sua faccia e ha nel petto la promessa del suo stesso annientamento inciso in squarci profondi e lacerazioni che tagliano attraverso l’osso che si è frantumato in polvere con schegge emerso dalla terra scura e vuota che è nuovamente la sua casa ma c’è qualcosa  di sbagliato con quel che vede sulla porta è scritto non il suo nome ma parole che per lui non hanno più significato di simboli disordinati che si contorcono alla periferia della sua vista che prova a concentrarsi sul vuoto attorno a lui ma la nebbia che rigira il suo dolore amaro e piangente attorno alle sue gambe che si ricoprono di brividi e pelle d’oca macchiata di rosso che non è il suo sangue il cui sangue ha sanguinato ma questo non viene da lui eppure sa che ha amato questo sangue quando un tempo batteva in un cuore che si era unito al suo o per scelta o per circostanza ma adesso macchia i suoi bordi scarlatti gongolando adesso si tutti i brutti destini macellati che sarebbero già potuti succedere a quel che tu potresti pensare che lui ami a mani che potrebbero essere mosse da altri o che potrebbero solo essere sue che cosa hai fatto che cosa hai fatto che cosa hai fatto che cosa hai fatto perché senti nel vento gongolante le urla del suo nome adesso mentre lo supplica per favore di fermare il rasoio che taglia la carne ma non c’è niente che può fare da qui sulla soglia di una casa che sa quasi essere la sua casa ma completamente vuora e priva di tutti gli ornamenti che una volta avrebbero potuto dare conforto all'ombra pallida e piangente della sua vita che è rimasta vuota e sbiadita negli angoli come una fotografia il sui calore color seppia è stato ridotto a una folla di sconosciuti che fissano tra i quali una volta stava per sentirsi sicura come case in cui nessuno osa più entrare per paura di inciampare sul cadavere ammuffito dei ricordi che una volta le davano speranza e adesso non le portano miente se non un sorriso sulla faccia di qualcosa che le rivolge un ghigno affilato e con denti come file di aghi affamati che desiderano disperatamente di fuoriuscire dalla sua pelle come il tessuto in un arazzo di sofferenza che svolazza nel vento e si gonfia come vele su un mare vasto e nero pece senza orizzonte in lontananza a chiamare uno e tutti verso di se con una presa che le fa cadere lo stomaco sapendo che non può resistere alle onde che le arrivano addosso e la trascino in lungo e in largo sulla superficie immobile come ossidiana crepata ma più profonda di quanto il mondo non potesse mai sognare mentre qualcosa si risveglia e si sposta in profondità afferrano il timone e gridano in preda al panico al loro equipaggio che urla di prepararsi a una fuga inutile e dolorosa da quello che inizia ad emergere sotto di loro -
[I passi di Martin e dell’Archivista che vagano per la stanza guardando verso l’alto al condotto di paura che è Jonah Magnus, cantilenando e incanalandolo verso l’Occhio incomprensibile che guarda dall’alto in basso]
MARTIN
Com'è che dici che ha vinto?
ARCHIVISTA
Voglio dire, ci è riuscito. È… asceso, diventato una parte dell’Occhio. Lui… è oltre noi.
MARTIN
[A Jonah] Sta zitto! Cristo!
ARCHIVISTA
Non può sentirti.
MARTIN
Allora, allora che? Non è consapevole di noi? O, o tutto questo?
ARCHIVISTA
No. O se lo è, è solo un minuscolo frammento nella marea di conoscenza e paura che passa attraverso di lui. È diventato il condotto tra questo nuovo mondo e la cosa che lo guarda. Scorre tutto attraverso di lui.
MARTIN
Sembra orribile.
ARCHIVISTA
Per qualcuno che gli è vicino, credo che sarebbe una specie di… beata agonia.
Posso sentire… la… completezza di tutto quello che lo attraversa. Riesco a vedere ogni cosa da qui, e questo è solo un accenno di quel che deve sentire -
MARTIN
[Avvertimento] Jon…
ARCHIVISTA
– mentre guarda un uomo correre urlando giù per vicoli bui senza fine che si chiudono e lo schiacciano e pigiano -
[Inizia a salire un rombo]
MARTIN
[Avvertimento più forte] Jon…
Rimani con me.
ARCHIVISTA
Scusa. È-È molto, è molto intenso.
MARTIN
Lo, lo vedo, ma devi trattenerti.
ARCHIVISTA
S-Scusa, credo… di poterlo gestire.
MARTIN
Okay, allora qual’è il piano?
ARCHIVISTA
N-Non ne sono sicuro.
MARTIN
Beh… siamo venuti qui per avere un confronto con Elias – Jonah – è uguale! Allora, come facciamo?
ARCHIVISTA
È troppo oltre. È a malapena consapevole della nostra esistenza.
MARTIN
E scommetto che non puoi distruggerlo come gli alti?
ARCHIVISTA
No. Dio sa cosa succederebbe se invocassi L’Occhio e provassi a distruggere una parte vitale di sé stesso. Nel migliore dei casi, niente.
MARTIN
E nel peggiore dei casi?
ARCHIVISTA
Non ne ho idea. Un’esplosione enorme che distruggerebbe il mondo? Noi verremmo fatti a pezzi, ma ancora agonizzanti o, o scagliati ai confini dei territori delle paure, forse? Non, non lo so.
MARTIN
Okay. Allora non è un’opzione. Ma… che mi dici di qualcosa, tipo, fisico?
ARCHIVISTA
Io – Cosa?
MARTIN
Guarda, so che si tratta del tutto di logica dei sogni e metafore e tutta quella… roba, ma, sai se ci limitassimo a… ad afferrarlo e a, sai, tirarlo giù? O se gli tirassimo qualcosa di pesante?
ARCHIVISTA
Uh… Io, io non…
MARTIN
O, o, o, se, um… Quello è il corpo di Elias, vero? Cioè, sì, ovviamente sono gli occhi di Magnus, ma quello è ancora un corpo Bouchard lassù quindi… quindi forse il corpo originale di Magnus si trova da qualche parte? Quello, quello era un punto debole prima della trasformazione, quindi… forse potremmo ancora usarlo?
ARCHIVISTA
Non c’è più. Cenere portata via dai venti di estatico terrore. Quel che vedi lassù è tutto quel che rimane.
MARTIN
Okay.
[A bassa voce] Okay, okay, okay.
L’Elias originale si trova lì da qualche parte?
ARCHIVISTA
Lui è, uh –
MARTIN
Forse possiamo raggiungerlo in qualche modo?
ARCHIVISTA
Ah, no, non è che – Ahh…
[La cantilena incessante si ferma]
[In sottofondo le statiche simili al fruscio di fogli riecheggiano per la stanza]
[Salgono le statiche delle dichiarazioni]
MARTIN
Di nuovo? Ma ne hai appena fatta una per Ro–
[Rendendosene conto] Oh no…
[I suoni del panopticon svaniscono nel ticchettio di un orologio e l’occasionale fruscio di fogli]
ARCHIVISTA (Dichiarazione)
Riconosce quegli occhi. Li ha visti per tutta la sua vita, lo osservavano, lo giudicavano, lo trapassavano da parte a parte al punto tale che nessun lato di sé era segreto o al sicuro. Staccano l’armatura, il suo sorriso senza preoccupazioni e le sue alzate di spalle studiate. Sono gli occhi di suo padre, e fissano Elias da dietro una vecchia scrivania di mogano, accomodati nella faccia di un uomo che diceva di chiamarsi James Wright. La persona che gli stava facendo un colloquio gli sorride con la bocca, ma gli occhi rimangono uguali.
[Jonah/Elias è un’entità dalla voce oscura e intrisa di statiche - ogni battuta un misto scricchiolante di intonazioni profonde eppure ancora così da Elias]
JONAH/ELIAS
Allora, dimmi, Elias. Di che cosa hai paura?
ARCHIVISTA (Dichiarazione)
Elias Bouchard si blocca di colpo. La domanda lo coglie del tutto impreparato. Perchè dovrebbe chiedergli qualcosa del genere? Elias ha fatto domanda per un lavoro da ricercatore - perché diavolo è rilevante?
“Perché, uh… Perché lo chiede?” Fa uscire le parole da una gola che non vuole parlare.
JONAH/ELIAS
All’Istituto abbiamo un attento interesse per l’anatomia della paura. Molte delle cose conservate qui sono inquietanti. È importante sapere se qualcosa qui potrebbe… darti fastidio.
ARCHIVISTA (Dichiarazione)
La sua mente galoppa. Non riesce a dire la verità, ovviamente. Elias non riesce a guardare quest’uomo in faccia, e dirgli che è lui ciò di cui ha paura. Che i suoi occhi, la curiosità e il giudizio che emettono, lo terrorizzano in un modo che non riesce ad esprimere a parole. Sente che il panico pungente crescergli in fondo alla testa, che la preoccupazione lo pervade: lui sa. Sa che sono strafatto. Il pensiero attraversa la mente di Elias per un secondo prima che si ricordi di non esserlo. Non si è fatto una canna per tutto il giorno, certo che no, ha un colloquio. Ma anche così, non può scrollarsi di dosso la paranoia familiare. Guarda di nuovo il suo possibile datore di lavoro, che sembra sul punto di ripetere la domanda.
“Ragni,” dice Elias velocemente. “Ho paura dei ragni.”
James Wright fa di sì con la testa, il sorriso si arriccia con soddisfazione, anche se Elias è sicuro che l’uomo non gli crede. Quegli occhi interrompono il contatto per un momento, guizzando verso l’angolo dell’ufficio dove, sul bordo di uno scaffale piegato dal tempo e dal peso dei libri, una piccola ragnatela ha iniziato a formarsi.
JONAH/ELIAS
Molto saggio. Una paura davvero ragionevole.
ARCHIVISTA (Dichiarazione)
Lo è. Sì, lo è. Ma è vero? Per un momento, Elias non riesce proprio a ricordare. Così su due piedi, il pensiero di un ragno gli fa davvero schifo. L’immagine di una creatura zampettante e sudicia, di otto occhi che brillano nell’oscurità, gli si infila nella testa, e rabbrividisce, distogliendo lo sguardo per un secondo. Ma il pensiero non invitato continua ad avanzare. Si immagina il ragno che gli risale per la gamba, il corpo, si immagina di sentire i suoi peli spessi contro la pelle della sua spalla, la sua gola, la sua guancia. Le sue zampe affusolate che si fanno strada sulla sua faccia. Elias non riesce a fermarsi dall’immaginare il ragno fermo lì, con il veleno che gocciola dalle zanne incombenti, posizionate sopra i suoi occhi. Non riesce a chiudere gli occhi.
Un colpo di tosse dall’altro lato della scrivania interrompe i suoi pensieri. Il suo interlocutore lo sta fissando. E tutto d’un tratto si trova di nuovo in sé, in fiamme per l’imbarazzo. Quegli occhi lo fissano, impassibili e severi come sempre, ma… quella è una scintilla di soddisfazione? Come se avesse ricevuto una risposta che gli piace. La domanda seguente arriva lentamente, ed Elias prova a schiacciare la paura che gli cresce nel petto.
JONAH/ELIAS
Allora, dimmi. Hai mai avuto un’esperienza che considereresti soprannaturale?
[I ricordi portano il ronzio delle mosche]
ARCHIVISTA (Dichiarazione)
E immediatamente Elias è di nuovo in quella stanza, a cercare l’interruttore della luce, sente l’odore metallico del sangue vecchio mescolato all’odore rancido di una stanza che è stata riempita di fumo qualche volta di troppo. Il ricordo è fresco e vivido come se fosse successo oggi. Sa che Allan è morto, ma ha bisogno della luce per esserne certo, per vedere lui stesso. Lo trova, e l’interruttore è scivoloso sotto le sue dita.
[Click di un interruttore, e poi un suono di disgusto e conati]
Quando la luce si accende, Elias non ha idea di quanto del rosso che inonda la scena è dovuto dal sangue sulle pareti, quanto dal sangue che ricopre la lampadina, e quanto semplicemente dalle sfumature della sua memoria. Ma si ricorda molto chiaramente cosa aveva pesato quando aveva visto quel che rimaneva di Allan Schrieber: dove erano i suoi occhi? Cosa ne avevano fatto dei suoi occhi?
“No…,” prova a dire Elias, anche se ha la bocca secca e gli sta girando la testa. “No, io non, uh, non credo…”
James Wright non dice niente mentre un altro ricordo risale in superficie, come le bollicine di un ultimo grido in un fiume letale.
[Suono di carta, pagine di un libro che vengono girate]
Allan è in biblioteca, seccato dall’interruzione, ma felice di vedere un volto amico. Il bianco dei suoi occhi è attraversato da vene arrossate di sonno, ma la sua mano trema di un’energia febbrile mentre cerca di spiegargli la rilevanza del libro che ha trovato. Anche da sobrio, Elias non sarebbe stato in grado di seguire quel che il suo amico stava dicendo, perso in strati di studi teologici, ma sorride comunque alla vista del giovane riservato Allan così appassionato dall’argomento.
Guarda il libro in questione. È vecchio, cade a pezzi, senza nessuna delle solite etichette della biblioteca del college. Chiede a Allan dove l’ha trovato, e il suo amico non risponde, guardandosi invece intorno con un improvviso sospetto consapevole di sé. Elias si sposta per dare un’occhiata più da vicino alle pagine, poi si blocca confuso, quando si rende conto che sono bianche. Allan scoppia a ridere quando lo dice. La risata era davvero così crudele? O è solo la distorsione della memoria, il passato che prova a dimenticare, mescolato agli incubi che erano seguiti, alle facce che sognava di vedere tra quelle pagine.
“Beh, em…” Elias sta tremando. “Intendo dire…”
Un’altra. Allan è accasciato dietro il divano nel soggiorno che condividono. Elias fissa il suo amico in lacrime, con uno sguardo distante, cercando di seguire lo strano monologo del suo coinquilino, per metà connessioni, per metà teoria del complotto, per metà leggenda metropolitana. “Mi ha visto,” continua a ripetere Allan, ancora e ancora, “mi ha visto attraverso le pagine. E sta arrivando.” Vede la cosa, dice, in ogni specchio, in ogni soglia distante, una sagoma in ogni paesaggio. Che si fa più vicina ogni volta, accorciando la distanza tra loro due, passo dopo passo. “Non ha gli occhi,” singhiozza Adam, “quindi deve sentire come arrivare a me. Ma lo sa. Lo sa!” Elias non può consolarlo in nessun modo. Non riesce nemmeno a capire di cosa sta parlando. E così, nell’ultima notte della vita di Allan Schreiber lo fa fumare, e lo lascia a dormire.
“Io… non so,” dice Elias alla fine. “Non se ne può mai essere veramente sicuri, no?”
Oltre quella distesa di mogano liscio, così ben lucidato che la sua faccia pallida e sudaticcia è visibile chiaramente, il sorriso di James Wright rimane uguale.
JONAH/ELIAS
Davvero. Adesso dimmi: perché vuoi questo lavoro?
ARCHIVISTA (Dichiarazione)
Elias prova a non lasciare un palese sospiro di sollievo. Questa perlomeno è una domanda per la quale ha preparato una risposta. Si schiarisce la gola un po’, scrollandosi di dosso l’immagine del corpo di Allan.
‘Beh,’ inizi, ‘ho sempre avuto il massimo rispetto per il lavoro pubblicato da questo Istituto sulle tradizioni mitologiche, in particolare per alcuni degli articoli più recenti sulle tradizioni Indo-Europee che sono stati molto utili per la mia analisi dei -’
Si ferma. Quegli occhi. Lo sanno. Possono vedere oltre tutte le sue stronzate, dritto nel suo profondo. Sanno cosa pensa davvero. Una posizione in una piccola, ignota organizzazione accademica, il primo passo verso la posizione che si meritava davvero. Questo posto potrebbe essere un altro qualsiasi, per quel che gli interessa. Ricerca medica, una grande fondazione… non è davvero importante. Allora perché ha scelto l’Istituto Magnus? A malapena conosciuto all’infuori della sua ristretta sfera d’influenza, a malapena rispettato dal resto della comunità accademica.
[Musica di pianoforte in sottofondo]
Le parole di suo padre gli erano tornate, come avevano sempre fatto, durante l’infanzia, il collegio, l’università. ‘Sei un ragazzo intelligente, Elias, ma sei pigro. Hai ogni vantaggio che io e questo mondo possiamo dare, eppure continui a sprecarli. Non pensare che non ti veda, mentre guardi quei bambini con invidia, come se le loro piccole vite insignificanti potessero contenere qualcosa di valore, qualcosa a cui un Bouchard possa aspirare. Sei migliore di loro, e loro lo sanno. Ed è tuo compito dimostrarti degno di questa distinzione.’
Lo stomaco di Elias si contrae al ricordo, il bruciante giudizio negli occhi di suo padre. Anche sdraiato in una bara, era come se avesse guardato Elias con disdegno. Che cosa dovrebbe dire? Che non aveva idea del perché voleva questo lavoro? Che era del tutto solo al mondo, senza amici o famiglia, niente se non la certezza che sotto sotto meritava di meglio. Che era destinato ad essere importante. Che ce l’aveva nel sangue.
Dove aveva sentito di questa opportunità di lavoro? Da un giornale? Non conosceva nessuno che lavorava qui, ma aveva comunque ricevuto una lettera che lo invitava al colloquio. Adesso che ci pensava, non aveva nemmeno mandato un curriculum. Eppure in qualche modo si era ritrovato seduto di fronte a quest’uomo il cui sorriso non si era mosso per tutto il tempo, e i cui occhi sembravano sapere perché si trovasse qui molto più di lui.
“Io, uh,” la voce di Elias aveva tentennato, una pausa. “Ho sempre avuto il massimo rispetto per il lavoro pubblicato da questo istituto sulle tradizioni mitologiche, in particolare per alcuni degli articoli più recenti sulle tradizioni Indo-Europee che sono stati molto -”
JONAH/ELIAS
Basta così. Dimmi, perché sei qui?
ARCHIVISTA (Dichiarazione)
Io… Io non lo so.
JONAH/ELIAS
Ti sei sentito attratto qui?
ARCHIVISTA (Dichiarazione)
Sì. Lo sono stato.
JONAH/ELIAS
Contro la tua volontà?
ARCHIVISTA (Dichiarazione)
No.
JONAH/ELIAS
Allora perché hai risposto alla chiamata?
ARCHIVISTA (Dichiarazione)
Perché… questo è il posto in cui so che devo essere.
JONAH/ELIAS
Bene.
La posizione è tua.
ARCHIVISTA (Dichiarazione)
[Si sentono delle strane statiche. Inizia un leggero suono rombante e ripetitivo]
Elias ha dei flash rapidissimi, un’improvvisa ondata di terrore, un’immagine di sé stesso, legato, indifeso. Lo svanire di volti ben noti, e i ghigni crudeli che li rimpiazzano quando lo guardano. Non può muoversi. Non può urlare. Cosa sta succedendo? Che cosa è quello che sente alla base del cranio? Cosa stanno facendo ai suoi occhi? La presenza, vecchia e putrida, nella sua mente?
Non può fare altro se non guardare.
[I suoni svaniscono]
Il momento passa, ed Elias torna in sé. Prova a sorridere, e ringrazia il suo nuovo datore per l’opportunità.
[Le statiche delle dichiarazioni crescono, poi svaniscono tra i suoni del panopticon]
MARTIN
Stai bene? Questa era… pesante.
[La narrazione cantilenante di JONAH/ELIAS continua]
JONAH/ELIAS (In sottofondo)
…mentre guardano giù per vedere il vuoto nero pece dell’oceano farsi ancora più buio mentre qualcosa emerge e fa sembrare minuscolo il cielo eppure sanno essere solo la punta più piccola di una delle appendici che si tendono per spezzare il legno e spezzare l’acciaio spezzare gli amici in piccoli forme esafomene e macchie che non si classificano più come umane anche se il mare ghiacciato color inchiostro trascina l’aria dai loro polmoni perché è così freddo così freddo ghigna con tale freddezza mentre gli steli appuccicosi si tendono contro le difficoltà al vento mentre cercano di trascinarsi via da quel che si avvicina al limite distante di questa colossale aggregazione di ossa e pastiglia appiccicosa che si grira e si arriccia con ogni vibrazione di idioti come loro adesso catturati e avvolti e dimenanti nella loro ansimante disperazione di non vederlo incombere su di loro con occhi vitrei e zanne che gocciolano di veleno e la promessa della lenta e costante agonia di sentire tutto quel che era dissolto e ridotto nell'amara supplica -
ARCHIVISTA
Sì… uhh… Io ho… uhh…
MARTIN
Quello era… il vero Elias? Si trova ancora là dentro?
ARCHIVISTA
No… No. Era… una eco. L’ultimo spasmo di un cadavere. È-È troppo tardi per entrambi.
MARTIN
Dannazione.
ARCHIVISTA
Non avremmo potuto fare niente. Ma h-ho visto…
MARTIN
Cosa?
ARCHIVISTA
Avevi ragione.
MARTIN
Su cosa?
ARCHIVISTA
Il suo corpo è vulnerabile. Per lo meno, a me.
MARTIN
Dov’è la fregatura?
ARCHIVISTA
Potrei uccidere il suo corpo, recidere la connessione, spezzare il Potere dell’Occhio e Jonah Magnus morirebbe.
MARTIN
Okay, sembra bello ma…?
ARCHIVISTA
Ma, questo non sarebbe dannoso per L’Occhio stesso. E senza di lui… sceglierebbe un rimpiazzo adeguato.
MARTIN
Oh.
ARCHIVISTA
Se uccidiamo Jonah Magnus, posso prenderne il posto.
MARTIN
Oh dio.
ARCHIVISTA
E credo…
…che sia proprio quello che vuole.
[CLICK]
[Traduzione di: Victoria]
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02.42 a.m. - ricordare.
I ricordi di quella sera non esistono più ormai. Qualcosa, sì, ma solo pezzetti di conversazioni e frammenti di verità, ricordo bene solo cosa è successo dopo. La faccia della mia amica, la preoccupazione di mio padre, che non mi ha trovata per ore, l'odore del mare. Mi ricordo che ogni cosa sembrava normale. Per le altre persone, era una normalissima serata di fine agosto. Era stato uno di quei giorni dal sapore dolciastro, come i miei coetanei sarei a breve tornata a casa per iniziare l'ultimo anno delle medie. Ricordo di averne parlato a Jenny nel pomeriggio, sulla sdraio. Ancora non immaginavo che sarebbe stato l'anno più difficile e triste da lì a un decennio. Sicuramente non potevo immaginare quanto presto sarebbe iniziata la mia serie di scelte infelici.
Stavo per compiere tredici anni, la pubertà non si era ancora dimostrata un'alleata per me; niente seno, niente forme, un bel sorriso d'argento sulla mia faccia tonda, incorniciata da un paio di sopracciglia selvagge che non mi avevano reso la preferita dei maschietti a scuola. Non ero abituata a sentirmi bella e non vedevo l'ora di essere grande, non so perché ma ero convinta che avrebbe risolto ogni cosa. Ciò a cui ero abituata, invece, erano le battutine sgradevoli sul mio aspetto, le ragazzine cattive più che mai, e la mia dose di infatuazioni dichiarate e respinte con poco garbo dai ragazzini.
Ricordo di averlo visto giocare a volley, in spiaggia, qualche giorno prima. Quando Martina me lo ha presentato, ricordo che aveva davvero un bel sorriso, di quelli gentili. Un'altra cosa a cui non ero abituata. Mi trovava simpatica, ha parlato con me, mi ha detto che in fondo l'apparecchio ai denti mi donava. Poco dopo mi avrebbe detto che mi trovava molto carina.
Non avevo mai provato nulla del genere. Non avevo mai pensato di poterlo provare, figuriamoci con un ragazzo più grande, addirittura bello. La mia autostima non l'avresti trovata nemmeno raschiando sul fondo del barile, continuavo a chiedermi perché parlasse proprio con me, inspiegabile. Oggi mi faccio la stessa domanda, ma senza il sottofondo musicale di sogni, speranze e illusioni che l'avevano accompagnata quando avevo dodici anni.
Lui ne aveva 17, o forse di più, non sono sicura, aveva i capelli rossi, era di vicino Napoli. Ho sempre amato l'accento napoletano, al contrario di mio padre. Il giorno dopo mi ha chiesto di fare una camminata, abbiamo preso un gelato e ci siamo seduti in un prato, parlavamo di cose stupide, abbiamo continuato finché non ho avuto freddo e, prima di accompagnarmi sotto casa, mi ha baciata. È stato un bacio strano, ricordo che mi ha detto "dovresti aprire di più la bocca", ero in imbarazzo. Il mio primo bacio è stato l'estate prima, nello stesso posto, ed era stato anche l'unico. A San Salvo con i miei genitori ci sono andata ogni estate, ci vado ancora tutti gli anni da sola, ho avuto molte prime volte lì.
Ovviamente il mattino dopo l'avevo raccontato a tutte le mie amiche, non ho nessuna memoria delle loro risposte, credo mi abbiano incoraggiata. Lui mi ha chiesto di vederci dopo cena, fare un'altra passeggiata, sulla spiaggia questa volta. E così la luce della luna, le scarpe in mano, le orme sulla sabbia, il rumore del mare, ci hanno accompagnato fino all'ultima spiaggetta prima del paese confinante, dove ci siamo seduti. I baci erano diventati più belli, lui più passionale. Sembrava così preso da me, non riuscivo a crederci. Quando le sue mani si sono spostate sul bottone dei miei jeans l'ho fermato, non ero pronta. In realtà forse era una gonna, chi lo sa. Ha insistito, gli ho detto che non me la sentivo, mi ha chiesto cosa pensavo che sarebbe successo, io non pensavo e basta credo. Voleva farmi sentire in colpa, ha parlato, cercava di convincermi, ha messo una mano nelle mie mutandine. Mentre lo scrivo mi viene da ridere, pensando al tipo di biancheria intima che potevo indossare a quell'età, gli slip che mi piaceva o di più avevano una stampa sul sedere con una mucca che beve il latte, mia madre mi avrebbe comprato il primo reggiseno solo un anno più tardi, non che mi servisse. A questo punto ricordo solo il senso di disagio, di paura, di dolore. Gli organi interni che si contorcevano, il cuore in gola. Paralisi. Ero come un cerbiatto, in mezzo alla strada, che abbagliato dai fari non riesce a muoversi, senza senso dell'orientamento, senza istinto di sopravvivenza, continua a fissare quella luce finché non è troppo tardi per scappare. Ormai era sopra di me, pesante, caldo, non sarei riuscita a muovermi, ma non credo di averci provato. Non riusciva a entrare, all'inizio, si è lamentato di quanto fossi "stretta". Il mattino dopo faceva ancora più male, come fossi ricoperta di lividi. Quando è finita ho preso il telefono e ho visto le chiamate perse di mio padre e di Jenny, che intanto si erano incontrati per caso, e a papà avevo detto di essere con lei. Un altro shottino di panico. Quindi ci siamo incamminati, ci teneva a rassicurarmi e mi ha detto di non preoccuparmi se avessi sanguinato, che era normale. Come mi è suonata strana quella parola. Ora mi chiedo se fosse esperto. Mi chiedo se sapesse quanto terrore avevo avuto nel corpo. Mi chiedo se sapesse cosa stava facendo. Cosa mi ha fatto. Mi ha dato un bacio quando siamo arrivati vicino alla piazza e ci siamo salutati, il giorno dopo sarebbe stato l'ultimo al mare per me.
Ho detto a mio padre che avevo incontrato altri amici e che io e Jenny ci eravamo perse di vista. Non mi ha creduto, ma non ha immaginato la verità. Non poteva. Gli ho sorriso per rassicurarlo, come faccio sempre quando mento. Non credo che farlo sia stato difficile, perché ho fatto la stessa cosa con Jenny, le ho detto che era stato bello e non so se ne abbiamo mai più parlato, ma siamo amiche da quasi vent'anni, anche se a distanza, e credo che in qualche modo sappia cosa provo a riguardo.
Ho pianto quando siamo partiti per tornare a casa, la sera dopo, volevo restare lì. Mentre ero in macchina lui mi ha inviato su Facebook una canzone in napoletano, quelle le ho sempre odiate, ma l'ho trovato dolce. A settembre ciclo mi è arrivato con due settimane di ritardo, non aveva usato il preservativo, e ho passato il mio compleanno pensando di essere incinta. L'ho detto a Daniel, il mio migliore amico alle scuole medie, e si è sparsa la voce. Per alcuni ero una puttana, per altri solamente una bugiarda.
Ho scritto tutto questo, a distanza di undici anni, per la prima volta. Non so se ho il coraggio di pubblicarlo e ancora di più ho paura di rileggerlo. E rendermi conto. Di cosa non lo so, ormai l'ho superato da tanto tempo. Beh alcuni segni sono rimasti, le cicatrici di un trauma te le porti dietro per sempre, anche se ci hai messo un po' a comprendere, anche se non sapevi che fosse traumatico mentre lo vivevi.
Lui non l'ho più sentito, fino all'estate successiva, in un pomeriggio di inizio agosto, ero appena arrivata e lui partiva quella sera. Mi ha abbracciata e abbiamo parlato di banalità, mi ha baciata, ed è andato via. Ero contenta di piacergli ancora. È assurdo, lo so, ma non avevo capito quanto fosse sbagliato quello che aveva fatto, infondo lui era stato il primo a dirmi che ero bella. Credo di averlo realizzato solo quando il sesso ha cominciato a interessarmi davvero, diversi anni dopo. Da allora l'ho visto solo una volta, in spiaggia, tre anni fa. Per la prima volta verso di lui ho provato disgusto, brividi di freddo mi hanno assalita, non si addicevano alla calda giornata estiva. Mi ha salutato con la mano da lontano e continuava a fissarmi, sono andata via per comprare le sigarette, ne ho fumate due di seguito prima di buttare via il pacchetto, perché avevo smesso da mesi, ma poi quella sera ho ne comprato un altro e così ho ricominciato.
Se stai leggendo questa storia, sappi che non importa cosa ne pensi, è successo e basta, indipendentemente da come lo si voglia chiamare. È stata una brutta esperienza. Un orribile primo approccio al mondo del sesso, che più tardi ho cominciato ad amare. Sono stata stupida, e sono stata male. Quello che fa soffrire non è il ricordo, al contrario mi sono sforzata di evocarlo, per capire cosa ho fatto, cosa c'è di sbagliato, quanto sono autorizzata a pensare che lui fosse un bastardo, quanto io abbia fatto intendere cosa, quanto ero ingenua in realtà o se avevo immaginato almeno un po' quanto lui voleva spingersi oltre, se non sapevo che si stesse approfittando di me, perché non me ne sono andata, perché sono stata zitta, perché ha scelto proprio me. Poi però ricordo le uniche due cose rilevanti: ero una bambina, avevo detto di no. Dovrebbe essermi di conforto probabilmente, ma è proprio il senso di violazione, la sensazione che qualcosa di puro mi sia stato strappato di mano, quasi senza che me ne accorgessi, questo è ciò che fa soffrire veramente. Il resto fa soltanto rabbia, tanta rabbia.
Non l'ho mai chiamato stupro, un po' perché forse trovo difficile accettare più di qualunque altra cosa il fatto di essere una vittima, un po' perché è come se non me ne sentissi in diritto, non ho mai pensato che lo sia stato. Perché quando pensi alla parola stupro in genere ti viene in mente una vittima trattenuta, malmenata, che urla, che scalcia, che prova a liberarsi, e a me questo non è successo. Forse questo immaginario è parte del problema, forse ci sarebbero meno ingenue e meno bastardi se fosse chiaro a tutti che alla violenza piace mascherarsi, si presenta con un volto diverso, ogni volta. Vorrei solo che nessuno mi avesse chiesto se sono sicura che sia successo, se lo avevo provocato in qualche modo, se nessuno mi avesse detto che stavo esagerando, o che non avrei dovuto essere ingenua, che le accuse che muovevo erano molto pesanti, che anche lui era solo un ragazzo. Ed è sempre così, ogni volta che ci viene fatto del male, qualcuno ci tiene a sottolineare che non dovevamo essere lì dal principio, non dovevamo vestirci in quel modo, non dovevamo bere, che dovevamo aspettarcelo: cosa pensavi che sarebbe successo?
Sarebbe stato bello, sapere di non aver sbagliato niente. Beh, almeno oggi lo so, mi circondo di persone migliori.
Non mi sono mai sentita così nuda come adesso che lo sto scrivendo, quando l'ho detto a voce alta ho sempre sminuito, per non "fare la vittima", per non preoccupare nessuno, per paura di non essere ascoltata, di scorgere il dubbio negli occhi dell'altro, o che addirittura sia l'altro a sminuire. La versione breve è sempre circa questa: la mia prima volta? Ero troppo piccola, sono stata stupida, lui era più grande ed è stato un po' stronzo.
Quindi ecco la versione triste, lunga e inedita del momento in cui è finita la mia infanzia, che per la cronaca, nonostante tutto, è stata molto felice. Sono stata molto felice anche dopo, nonostante tutto.
E anche oggi sono molto felice, e non sopporto i bastardi, ma almeno li riconosco.
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d-a-r-e-d-a-r-e · 7 years
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And everybody's watching you ( but you’re looking at me )
Some of you men think
 Lei comunque continua a non guardarlo minimamente, ma capirete che le manca un attimo il fiato a sentirselo così vicino ancora mezzo nudo che le tocca persino spalla e braccio. Insomma qui sviene dall`imbarazzo. Fortunatamente in lui c`è ancora quell`aspetto fraterno che la fa girare su stessa neanche fosse una bambolina priva di qualsiasi tipo di controllo così da evitarle l’imbarazzo.
You freak this like they do 
Ciò che ha dinanzi, quando ricambia il suo sguardo, è qualcosa di troppo fragile e sconosciuto perché lui possa sapere davvero che fare. Forse solo così, a percepirla tanto piccola accanto a sé, è più facile capire quanto sia in fondo solo una bambina spaventata e della forza - che pur le riconosce - non ci si possa ricavare granché adesso. "Sai di cocco". sottovoce, in un altro sospiro, per non aver saputo proteggerla prima.
But no you don't
Anche nel dolore che pulsa sul fianco levandogli il respiro, lui scoppia a ridere. Da terra, può osservare il suo visino scuro da sotto in sù e forse è solo quella prospettiva nuova a ridargli speranze. Evanna è una visione di capelli neri che le ricascano dal lato del viso nella coda nascondendole stavolta una espressione più animata rispetto a quella registrata in Sala Grande. Lui le rivolge un occhiolino rapido, un vago sorriso a storcergli le labbra e creare una fossetta sulla guancia destra.  "Sono morto?"
Boy don't even try to touch her
E` costretta - diciamo così - a puntare gli occhi su di lui, però, quando David - non soddisfatto appunto - continua a spingere su quel tastino che le fa scuotere ripetutamente la testa. « No, niente » un po` troppo agitata « Cosa dovrebbe essere successo? » sisi, guardala come si rigira la frittata. Certo perché, ovviamente, non ti dirà mai che ultimamente sta pensando a David un po` troppo. E non ci fa neanche caso al fatto che lui non abbia risposto alla sua domanda perché, con guance fin troppo rosse, ha già distolto lo sguardo da lui.
Boy this beat is crazy She’s so good with this 
Chissene frega che gliene piaceranno altri se adesso a lei piace lui. E glielo vorrebbe dire, ma probabilmente ha capito solo adesso che quello che sentiva erano solo le pure sensazioni di una cotta adolescenziale. La prima cotta adolescenziale. Ed è servito lui a farglielo capire, prima di stamparle in fronte un palo che le ha fatto richiudere le ali e di nuovo, lì nel guscio. Che magari David ha tutte le buone intenzioni - più o meno - per non ricambiare, ma lei ha sempre tredici anni - quattordici fra un po` - e sotto questo punto di vista è ancora bambina, si, una bambina a cui hanno detto di no.
You should Hope she still likes you 
« Non credere mai io abbia voluto finisse così. » Una rabbia di sottofondo nella voce. « Accetto la tua indifferenza, solo non provare ad allontanarti di più. » « Altrimenti? » « Sì » la voce bassa, assorto  E' più dinamico ora, a saperla meno indifesa e spaventata di prima, più rilassato nella tensione che irrigidiva le braccia.« così va meglio. » Un commento volto alla sua sfrontatezza in genere. « Evanna. »
Her persuasion can build a nation
« Chiedo troppo » Azzarda, mentre distrattamente le mani ancora fanno girare tra i palmi il Frisbee. « a volerti qui? » Una smorfia insoddisfatta, il mento ora alto a sporgere nuovamente il pomo d`adamo e tutta la sua falsa arroganza. Un lungo sospiro, il dischiudersi delle labbra tediato e il tentativo di spiegarsi male: « Un attimo solo » 
Endless power 
« Urla ancora. Quando sei ferita e lo ritieni ingiusto, la tua rabbia può incrementare il tuo potere magico e l`offensiva che vorrai spedire dalla tua bacchetta ti svuoterà in parte se non del dolore, quanto meno della tensione che accumulava. Ti autorizzo a provarci con me Fammi male. » 
Her love you can devour
« Perché fai così? Perché non puoi provarci e basta? » « Perché Jacquelyn - Perché ho baciato Jacquelyn. »
You'll do anything for her 
« Se non mi vuoi - e abbiamo capito che non mi vuoi - stammi lontano »
Who run the world? Girls
« Non ti allontanare » Ripesca anche anche lui vecchissimi detti. « altrimenti » Quella frase che non riuscì a finire e che lei fu tanto forte da rinfacciargli. Il primo segno dell`agonia che sarà questa ragazzina arrivò proprio quel giorno « questa scuola tornerà a fare un po` schifo. »
Who run the world? Girls 
« E` carina » la tua risata « Anche se non capisco cosa ci sia di così divertente » « La manovra impeccabile in cui hai ignorato il mio dolore. » Eppure ancora sogghigna, vagamente ammirato e ancora divertito a non perdersi neanche una delle espressioni tanto altere di lei. Potrebbe commuoversi. « Non smettere. »  
Please accept her shine
« Già anche io » sarei rimasta qui. Si prende il suo tempo per rispondere, tanto che lui potrebbe far difficoltà a comprendere subito il legame con la sua prima affermazione. E non ha il tempo di domandare - e forse neanche la voglia, in questo momento, per intromettersi di nuovo nella sua vita.
Boy you know you love it
« Mi dispiace » sussurra questa volta lei in quell`ammissione di colpa che sa essere divisa al cinquanta per cento. « Non voglio tagliarti fuori » non lo sa mai cosa vuole. « E` solo che allontanandoti ti ho dimenticato » e lo dice quasi con enfasi perché in realtà si sta riferendo a quei sentimenti che lui le ha consigliato di non provare verso di lui. « Però così ho bruciato anche quello che eravamo » 
And everybody's watching her But she's looking at you
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yellowinter · 6 years
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Perché sei scomparsa in questi giorni?
Perché sono andata via, ho fatto un’esperienza incredibile e straordinaria. Oddio non so nemmeno da dove iniziare, sto piangendo. Sono stata quasi tre settimane in montagna, in una struttura con altre persone. Gente di ogni tipo: bambini, ragazzini, ragazzi della mia età, disabili, gente adulta, vecchi, persone malate mentalmente. Una specie di comunità in cui non esistono pregiudizi, non ci sono stereotipi, tutti sono sullo stesso piano e tutti si autogestiscono e gestiscono a vicenda. Appena sono arrivata in questo centro volevo scappare. Volevo solo andare via. Non conoscevo nessuno, non sapevo cosa dovevo fare, non sapevo cosa mi aspettava. Ho sempre avuto difficoltà a relazionarmi con gli altri, mi sentivo una fitta allo stomaco e mi veniva da piangere in continuazione. I primi sono stati giorni terribili, avevo crisi pesanti, mi tagliavo in bagno, ho tentato di buttarmi giù dalla finestra (qui hanno chiamato i miei genitori ed è successo un casino). Stavo male, stavo male. Non potevo mai stare un attimo da sola, in camera avevo 6 ragazzi, le giornate erano piene di attività e io volevo solo rimanere a letto a disperarmi. Poi, piano piano, le cose sono andate meglio. Ho iniziato a partecipare alle iniziative, a creare legami, ad aiutare gli altri, a farmi aiutare. Davvero, questo posto mi ha aiutata tantissimo. Ho ascoltato le storie degli altri, ho sentito dolore per gli altri, mi sono resa conto di non essere sola in questa merda. Ogni 10 minuti c’era qualcuno che scoppiava a piangere, ho visto gente vomitare e tirare pugni per la rabbia, ho visto le cicatrici degli altri, ho indossato le maniche corte anche io. Il bello? E’ che ogni volta trovavi qualcuno disposto ad aiutarti, ascoltarti, consolarti. Sempre. La cosa che più mi ha sconvolta in questo posto è stato l’affetto. L’affetto. Tutti si davano baci, abbracci, carezze, massaggi. Io sono cresciuta senza queste cose, nessuno mi ha mai abbracciata o dato attenzioni. Qui, invece, mi chiedevano ogni giorno “come stai?”. A casa se non sto bene mia madre fa finta di nulla, qui si accorgevano subito quando stavo male. Appena il mio umore cambiava avevo subito due braccia intorno al collo e qualcuno pronto ad ascoltarmi. Per me è stata una cosa assurda e so che detto così non rende, ma mi ha sconvolta. Il contatto fisico l’ho sempre odiato, ma qui era fondamentale. Ho imparato l’importanza di una carezza, ci sono persone disabili che non riescono a comunicare a parole... una carezza li salva. Mi sono aperta, ho iniziato a vivere ma a vivere davvero. Ogni giorno si facevano attività di ogni tipo come canto, musica, teatro, tiro con l’arco, pulire tutta la struttura, cucinare, siamo andati al planetario, tornei di calcio, pallavolo, ping pong, giochi vari di gruppo. Le sigarette fumate sulle scale, le canne nel parco, le chiaccherate di notte a bassa voce, dormire sul pavimento, mangiare fino allo sfinimento, piangere tanto. Cazzo siamo tutti nella stessa merda. Potevi anche organizzare tu degli eventi, una sera l’ho animata io con altre due ragazze. Bastava proporre, organizzare e fare. Tu gestivi il gruppo e il gruppo gestiva te. Il silenzio era enorme, anche se c’era la musica nelle casse in continuazione. Abbiamo inventato una radio. Le urla, le risate, le maglie rubate, i piatti rotti, gli oggetti imprestati e mai restituiti, le candele accese, i grazie sussurrati nell’orecchio. Abbiamo riempito una stanza intera di fogli bianchi, ovunque, sul pavimento e sulle pareti. Quello era il nostro “spazio bianco”, andavi lì e potevi scrivere ovunque i tuoi pensieri, emozioni, sensazioni. La finta discoteca, le bottiglie di alcolici rubate dalla cucina, le docce in comune, le stelle di agosto, andare sull’altalena a 19 anni e sentirsi una bambina, nascondino con le torce di notte. Siamo andati in escursione, è stato faticosissimo, poi siamo arrivati in cima e ci siamo buttati a terra, il cielo era azzurro, il sole caldo, due poiane che cantavano e una fiaschetta di gin. Io sono viva, mi ricordo che fissando l’orizzonte ho pensato “ne vale la pena”. I ti voglio bene detti insieme ai mi mancherai, le poesie lette ad alta voce, i materassoni della palestra buttati nella terra per prendere il sole, lasciarsi cadere dal palco per farsi prendere dalle braccia degli altri, i colori in faccia. Una sera ci siamo bendati tutti gli occhi e abbiamo iniziato a camminare per il salone, con la musica in sottofondo, finché incontravi una persona, la prendevi per mano e ti sedevi e iniziavi a parlare di te. I baci sul fiume, le foto sul balcone, i divani morbidissimi del primo piano, le sgridate, le corse nei corridoi, lo xanax preso in quantità enormi. Questo posto amplifica le sensazioni, è stato come stare davanti ad uno specchio e togliersi la maschera. E quando rimani senza niente, senza scudi, senza protezioni, vedi cose che magari non vorresti vedere. Ma impari ad accettarle, a conviverci. Ogni mattina mi alzavo con un bacio sulla fronte, mi hanno ripetuto così tante volte che sono bellissima che ora ci credo davvero. E’ assurdo. Non sono guarita, i miei problemi sono ancora tutti lì, però ora sto meglio. I mostri che porto dentro li ho conosciuti meglio e stanno diventando miei amici. E’ difficile, è dura, ma questo potrebbe essere l’inizio della mia nuova vita. Perché no? Sono pronta.
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iosonocassandra · 7 years
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Posso sentire il mondo piangere dalla mia stanza sento un colpo di pistola, bambini che giocano in piazza sento i clacson strillare in lontananza  sento le sirene della polizia o forse è un’ambulanza sento il rumore della pioggia che cade sulle strade, sulle case sento ogni maledetta goccia sento il sole e il suo calore sul mio corpo sento i complimenti sento l’invidia in sottofondo e sento il vuoto immenso, lo ascolto in silenzio  sento l’eco del mio eco, lo inseguo l’ho perso sento la solitudine sento che provo a dargli un senso  sento che è inutile sento mia madre, le sue carezze, i suoi baci, i suoi abbracci, le sue grida, le sue assenza sento un dolore atroce sento l’energia sento di avere un talento sento la mia voce che rimbomba sento l’erba e il suo profumo  sento il grinder che la trita  sento il fumo sulle dita e sento il mare, i gabbiani, le navi, l’acqua, l’aria, la sabbia, le sue labbra, le sue mani, la terra, le cicatrici,  io sento la guerra, mitragliatrici e bombe,  sento un circo un bimbo urla, i tamburi, e le trombe sento di dovere, di potere andare oltre sento il marmo nel salotto sento il marmo sulle tombe sento la sconfitta, il fallimento, la disperazione, la rabbia, l’odio, l’oblio, l’autodistruzione  sento il vento, il freddo sulla faccia, taglia come un coltello  sento mio fratello che mi abbraccia sento la tua pelle scura, come il segreto che ti porti dentro  sento la mia, sento la tua paura  sento la stanchezza, la fatica  sento la gioia, la realizzazione, il sogno di una vita Sento una folla che grida il mio nome.
Sento-mostro
( via @farfalle-legate )
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