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#L’animale
smokingago · 4 months
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L’ELEFANTE INCATENATO
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Quando ero piccolo adoravo il circo, ero attirato in particolar modo dall’elefante che, come scoprii più tardi, era l’animale preferito di tanti altri bambini.
Durante lo spettacolo faceva sfoggio di un peso, una dimensione e una forza davvero fuori dal comune… ma dopo il suo numero, e fino ad un momento prima di entrare in scena, l’elefante era sempre legato ad un paletto conficcato nel suolo, con una catena che gli imprigionava una delle zampe. Eppure il paletto era un minuscolo pezzo di legno piantato nel terreno soltanto per pochi centimetri e anche se la catena era grossa mi pareva ovvio che un animale del genere potesse liberarsi facilmente di quel paletto e fuggire.
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Che cosa lo teneva legato?
Chiesi in giro a tutte le persone che incontravo di risolvere il mistero dell’elefante; qualcuno mi disse che l’elefante non scappava perché era ammaestrato… allora posi la domanda ovvia: “se è ammaestrato, perché lo incatenano?” Non ricordo di aver ricevuto nessuna risposta coerente.
Con il passare del tempo dimenticai il mistero dell’elefante e del paletto. Per mia fortuna qualche anno fa ho scoperto che qualcuno era stato tanto saggio da trovare la risposta: l’elefante del circo non scappa perché è stato legato a un paletto simile fin da quando era molto, molto piccolo.
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Chiusi gli occhi e immaginai l’elefantino indifeso appena nato, legato ad un paletto che provava a spingere, tirare e sudava nel tentativo di liberarsi, ma nonostante gli sforzi non ci riusciva perché quel paletto era troppo saldo per lui, così dopo vari tentativi un giorno si rassegnò alla propria impotenza. L’elefante enorme e possente che vediamo al circo non scappa perché crede di non poterlo fare: sulla sua pelle è impresso il ricordo dell’impotenza sperimentata e non è mai più ritornato a provare… non ha mai più messo alla prova di nuovo la sua forza… mai più!
A volte viviamo anche noi come l’elefante pensando che non possiamo fare un sacco di cose semplicemente perché una volta, un po’ di tempo fa ci avevamo provato ed avevamo fallito, ed allora sulla pelle abbiamo inciso “non posso, non posso e non potrò mai”.
L’unico modo per sapere se puoi farcela è provare di nuovo mettendoci tutto il cuore… tutto il tuo cuore!”
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ma-pi-ma · 5 months
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Sono convinto che il gatto sia l’animale del presente e del futuro, in una società come la nostra sempre più in affanno incapace di fermarsi un attimo per fare il punto della situazione e meditare.
Un gatto è l’amico a quattro zampe ideale ed è in grado di adattarsi a molte situazioni familiari.
E poi fa tanta compagnia, è morbido, silenzioso, pulito, indipendente e fa le fusa.
Cosa vogliamo di più?
Diego Manca
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schizografia · 3 months
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Il toro di Pasifae e la tecnica
Nel mito di Pasifae, la donna che si fa costruire da Dedalo una vacca artificiale per potersi accoppiare con un toro, è lecito vedere un paradigma della tecnologia. La tecnica appare in questa prospettiva come il dispositivo attraverso cui l’uomo cerca di raggiungere – o di raggiungere nuovamente – l’animalità. Ma proprio questo è il rischio che l’umanità sta oggi correndo attraverso l’ipertrofia tecnologica. L’intelligenza artificiale, alla quale la tecnica sembra voler affidare il suo esito estremo, cerca di produrre un’intelligenza che, come l’istinto animale, funzioni per così dire da sola, senza l’intervento di un soggetto pensante. Essa è la vacca dedalica attraverso la quale l’intelligenza umana crede di potersi felicemente accoppiare all’istinto del toro, diventando o ridiventando animale. E non sorprende che da questa unione nasca un essere mostruoso, col corpo umano e il capo taurino, il Minotauro, che viene rinchiuso in un labirinto e nutrito di carne umana.
Nella tecnica – questa è la tesi che intendiamo suggerire – in questione è in realtà la relazione fra l’umano e l’animale. L’antropogenesi, il diventar umano del primate homo, non è, infatti, un evento compiuto un volta per tutte in un certo momento della cronologia: è un processo tuttora in corso, in cui l’uomo non cessa di diventare umano e, insieme, di restare animale. E se la natura umana è così difficile da definire, ciò è appunto perché essa ha la forma di un’articolazione fra due elementi eterogenei e, tuttavia, strettamente intrecciati. La loro assidua implicazione è ciò che chiamiamo storia, nella quale sono coinvolti fin dall’inizio tutti i saperi dell’Occidente, dalla filosofia alla grammatica, dalla logica alla scienza e, oggi, alla cibernetica e all’informatica.
La natura umana – è bene non dimenticarlo – non è un dato che possa mai essere acquisito o fissato normativamente secondo il proprio arbitrio: essa si dà piuttosto in una prassi storica, che –in quanto deve distinguere e articolare insieme, dentro e fuori dell’uomo, il vivente e il parlante, l’umano e l’animale – non può che essere incessantemente attuata e ogni volta differita e aggiornata. Ciò significa che in essa è in gioco un problema essenzialmente politico, in cui ne va della decisione di ciò che è umano e di ciò che non lo è. Il luogo dell’uomo è in questo scarto e in questa tensione tra l’umano e l’animale, il linguaggio e la vita, la natura e la storia. E se, come Pasifae, egli dimentica la propria dimora vitale e cerca di appiattire l’uno sull’altro gli estremi fra i quali deve restare teso, non potrà che generare dei mostri e, con essi, imprigionarsi in un labirinto senza via d’uscita.
8 luglio 2024
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itsmyecho · 1 year
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Un Maestro zen vide uno scorpione annegare e decise di tirarlo fuori dall’acqua.
Quando lo fece, lo scorpione lo punse.
Per l’effetto del dolore, lasciò l’animale che di nuovo cadde nell’acqua in procinto di annegare.
Il Maestro tentò di tirarlo fuori nuovamente e l’animale lo punse ancora.
Un giovane discepolo che era lì gli si avvicinò e gli disse:
“Mi scusi maestro, ma perché continuate? Non capite che ogni volta che provate a tirarlo fuori dall’acqua vi punge? “.
Il Maestro rispose:
“La natura dello scorpione è di pungere e questo non cambierà la mia che è di aiutare.”
Quindi, con l’aiuto di una foglia tirò fuori lo scorpione dell’acqua e gli salvò la vita, poi rivolgendosi al suo giovane discepolo, continuò:
“Non cambiare la tua natura: se qualcuno ti fa male, prendi solo delle precauzioni, poiché gli uomini sono quasi sempre ingrati del beneficio che gli stai facendo. Ma questo non è un motivo per smettere di fare del bene, di abbandonare l’amore che vive in te. Gli uni perseguono la felicità, gli altri la creano. Preoccupati più della tua coscienza che della tua reputazione. Perché la tua coscienza è quello che sei, e la tua reputazione è ciò che gli altri pensano di te. Quando la vita ti presenta mille ragioni per piangere, mostrale che hai mille ragioni per sorridere”.
Itsmyecho
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libriaco · 3 months
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Letture illecite
La lettura è di tutte le operazioni la più indelicata, la più indiscreta e in fondo la più illecita; è per questo che l’uomo pudico sente la vergogna del leggere e non sopporta che altri legga assieme con lui nello stesso libro (meno il caso di Paolo e Francesca il quale sappiamo come finì) e se veramente non è un’anima corrotta considera la lettura come una operazione clandestina e, per leggere, si apparta come l’animale per morire.
A. Savinio, Nuova enciclopedia [postumo, 1977], Milano, Adelphi, 2011
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l1beramente · 5 months
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"… ho cominciato a baciarla prima ancora di chiudere la porta, con un piede. Sembrava che volessi sbranarla, divorarla, mangiarla di baci. Le ho sciolto la coda e le ho tirato i capelli indietro per avere tutto il suo collo da mordere e baciare. Le ho baciato le spalle, le labbra, il viso. Volevo far l’amore lì, in piedi, perché la voglia di lei era più urgente di tutto. Più delle buone maniere, più delle domande. non volevo essere gentile, educato, rispettoso. Volevo conoscesse subito l’animale che mi portavo dentro. E io volevo l’altra lei, quella nascosta, che forse aveva imparato a non mostrare per non farsi giudicare da uomini stupidi e limitati. La volevo femmina fino in fondo. La volevo donna, e la volevo subito. Per questo non la guardavo con occhi adoranti e non le parlavo con voce tremante per l’emozione di averla lì. No. Non in quel momento. Niente indugi, nessuna gentilezza in quel nostro inizio. Niente frasi dolci, niente lenzuola profumate e letti morbidi, ma muri freddi ed il rumore degli oggetti che cadono, e ansimi incisi con le unghie. Nemmeno una carezza. Quelle le conservavo per dopo, quando tutto fosse finito. Ed erano tante le carezze che volevo darle perché io ero già pazzo di lei. Le conservavo come il dolce a fine pasto."
Fabio Volo, Il tempo che vorrei.
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lunamagicablu · 7 months
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Un giorno, un padre ed un figlio andarono a caccia in una riserva del Nord, alla ricerca di alci e pernici per la loro prossima festa cerimoniale.
Mentre camminarono attraverso dei cespugli, il padre trasmise al figlio gli insegnamenti di Anishnabie ad esempio dove camminare, come cacciare e la necessità di essere connessi con tutte le cose che li circondavano.
Il padre insegnò al figlio che siamo tutti collegati con le cose meravigliose che sono state donate a tutti gli uomini.
Come si addentrarono nella macchia, il padre si fermò improvvisamente e disse al figlio di restare fermo ed in silenzio: un’orsa e i suoi tre cuccioli apparvero nel sentiero di fronte a loro.
Il figlio si eccitò e disse al padre di colpire l’orsa ma il padre si voltò verso di lui e disse: “Perchè dovremmo cacciarli? Non abbiamo bisogno della loro carne e i cuccioli stanno imparando dalla madre gli usi degli orsi, non ci hanno fatto alcun male”.
Il padre allora guardò negli occhi del figlio e gli disse che stava per avvicinarsi all’orsa per parlarle, in modo semplice e pacifico. Il ragazzo vide il padre andare verso l’animale in modo non minaccioso, parlando la lingua Indiana in modo calmo.
L’orsa si sedette ed ascoltò l’uomo, tutto il tempo, rispondendo con dei grugniti alle musicali parole della lingua degli Ojibwe.
Il padre finì il suo discorso con l’orsa e tornò indietro dal figlio riferendogli che aveva parlato con lei e che le aveva detto che stava insegnando a suo figlio, come lei lo stava facendo con i suoi cuccioli, che nessuno avrebbe fatto del male all’altro.
L’uomo spiegò a suo figlio che si sarebbero allontantati dagli orsi camminando in cerchio e così avrebbero fatto gli orsi, in senso opposto.
Durante il cammino il ragazzo capì che era effettivamente connesso con tutti gli esseri viventi intorno a lui e che non era separato dal cerchio della vita, ma ne era parte integrante. Realizzò inoltre che gli uomini e gli orsi potevano parlarsi e capirsi.
La più importante lezione che imparò in quel giorno era l’inutilità di prendere la vita di un orso solo per il gusto di farlo per di più quando non erano a caccia di orsi.
Quel giorno il ragazzo imparò la lingua di Anishabie per parlare con gli orsi e che doveva rispettare tutte le forme di vita.
favola degli indiani nativi americani
art Nathan Miller
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celluloidrainbow · 2 years
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L'ANIMALE (2018) dir. Katharina Mückstein In rural Austria, 18-year-old Mati is a tomboy who struggles with gender identity and sexuality, only hangs out with boys and is a member of a motocross gang known to cause trouble in the region. Mati's best friend, Sebastian, suddenly wants to be more than a friend, at the same time that Mati meets Carla, a self-confident girl who is completely different from her. Meanwhile, Mati's parents struggle with a long-kept secret soon to be revealed. (link in title)
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diceriadelluntore · 1 year
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La costruzione di un dolore
Un maestro zen vide uno scorpione annegare in uno stagno e decise di trarlo in salvo. Quando lo fece, lo scorpione lo punse. Per l’effetto del dolore, il maestro lasciò l’animale che di nuovo cadde in acqua in procinto di annegare. Il maestro tentò di tirarlo nuovamente fuori dall’acqua e l’animale lo punse nuovamente.
Un giovane discepolo che vide la scena gli si avvicinò e gli disse: – Scusate, maestro, ma perché continuate? Non capite che ogni volta che provate a tirarlo fuori dall’acqua, lo scorpione vi punge? Il maestro gli rispose: – La natura dello scorpione è di pungere e questo non cambierà la mia che è di aiutare.
Allora il maestro rifletté e con l’aiuto di una foglia, tolse lo scorpione dell’acqua e gli salvò la vita, poi rivolgendosi al suo giovane discepolo, continuò:
– Non cambiare la tua natura se qualcuno ti fa male, prendi solo delle precauzioni. Gli uni perseguono la felicità, gli altri la creano. Preoccupati più della tua coscienza che della tua reputazione. Perché la tua coscienza è ciò che sei, mentre la tua reputazione è solo ciò che gli altri pensano di te. Quando la vita ti presenta mille ragioni per piangere, mostrale che hai mille ragioni per sorridere.
Ho una collezione enorme di racconti zen. Eppure zen non lo sono affatto: per me è davvero complicato superare l’attaccamento, accettare il superamento di sé stessi e altri insegnamenti per l’illuminazione. Ma adoro gli insegnamenti morali che da quasi tutte si traggono, soprattutto nel rapporto con gli altri.
Dopo anni ho usato questo posto per parlare di una situazione personale. Non che la musica che mi piace, i miei libri, le curiosità, le citazioni, le mie amate etimologie non lo siano. Stavolta ho deciso di parlare di un dolore mio, di un dolore che mi è successo. Un dolore che non ho mai provato. Che lo voglio dire subito: è stato frutto di una legittima scelta di un’altra persona, che accetto per il rispetto che mi impongo verso le persone che ho voluto (voglio e vorrò) bene. Non lo contesto, per quanto per me sia insensato. La questione che ho voluto esprimere è stata di esternarlo in un posto per dirlo indirettamente a tante persone. Non ho accusato, ho raccontato. Un risultato che mi ha fatto tanto bene: l’empatia che mi è stata data, in maniera persino sorprendente, da coloro che dietro un nome di un blog celano una persona che a volte conosco, di altri di cui so il nome e la voce, di altri ancora, per un meraviglioso tacito accordo, che non so, ma è come se lo sapessi, ma soprattutto messaggi da coloro che non conosco affatto, che hanno solo letto e hanno sentito il bisogno di scrivermi un pensiero. Che tra l’altro, ed è una soddisfazione, arrivano tutti ad uno stesso punto su di me, che mi scalda il cuore.
Non ho scritto né per vittimismo, né per far apparire una persona che ho adorato profondamente una carnefice. Non è mai stato quello il mio fine. Ho scritto per egoismo, ecco perchè non sono del tutto zen. Ho scritto per il principio che un’altra storia Zen racconta:
Un allievo chiede al suo maestro: “Come posso superare il dolore?”. Il Maestro con un sorriso gli ordina di prendere un pugno di sale e di versarlo in una ciotola di acqua. Gli chiede di berla. “Come è?” chiede. “È aspra, è cattiva!”. Ordina al discepolo di prendere un nuovo pugno di sale e di seguirlo. Lo porta ad un lago, entra con lui dentro l’acqua per 4 passi, e gli chiede di versare il sale nell’acqua. Dalla tunica prende la ciotola, la riempie di acqua e chiede di berla. “Come è?”. “È fresca, è buona”. “Ecco la via per superare il dolore: trasformati da ciotola in lago”.
Nel cercare le storie, ho ascoltato questa canzone, che è una gemma lucente in un disco che all’epoca fu bistrattato, ma che a distanza di tanti anni suona nuovissimo, anticipando tendenze e visioni della musica a lui futura. Lo lascio come ringraziamento a chi è arrivato a leggere fino a qui, e a chi mi sta aiutando a diventare un lago.
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Please
So you never knew love Until you crossed the line of grace Then you never felt wanted 'Till you had someone slap your face So you never felt alive Until you almost wasted away You had to win You couldn't just pass The smartest ass At the top of the class Your flying colors Your family tree And all your lessons in history Please Please Please Get up off your knees Please Please Please Please So you never knew How low you'd stoop to make that call And you never knew What was on the ground 'till they made you crawl So you never knew that The heaven you keep you stole Your catholic blues Your convent shoes Your stick on tattoos Now they're making the news Your holy war Your northern star Your sermon on the mount From the booth of your car Please Please Please Get up off your knees Please Please Please Leave me out of this So love is hard and love is tough But love is not what you're thinking of September Streets capsizing Spilling over Down the drain Shards of glass splinters like rain But you could only feel Your own pain October Talking getting nowhere November December Remember Are we just starting again? Please Please Please Get up off your knees Please Please Please Please So love is big, bigger than us But love is not what your thinking of It's what lovers deal It's what lovers steal You know I've found it hard to receive 'Cause you my love I could never believe
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deathshallbenomore · 10 months
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ma come il ritorno del generale vannacci, ma per una volta non potremmo piuttosto provare il grande piacere di essere uno di quei paesi tranquilli, che la domenica organizzano i referendum per stabilire una volta per tutte l’animale nazionale, o che improvvisamente rendono gratuiti tutti i trasporti pubblici così, perché gli andava? no
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schizografia · 8 months
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Quando Hofmannsthal contempla l’agonia di un topo, è in lui che l’animale “digrigna i denti al mostruoso destino”. E non è un sentimento di pietà, egli precisa, ancor meno un’identificazione, è una composizione di velocità e di affetti tra individui completamente diversi, simbiosi, tale che il topo diventa un pensiero nell’uomo, un pensiero febbrile nello stesso tempo in cui l’uomo diviene topo, topo che stride e agonizza. Il topo e l’uomo non sono assolutamente la stessa cosa, ma l’Essere si dice dei due in un unico, in uno stesso senso, in una lingua che non è più quella della parola, in una materia che non è più quella delle forme, in un’affettibilità che non è più quella dei soggetti.
Deleuze & Guattari
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spettriedemoni · 3 months
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Tatuaggi
Parlando di tatuaggi con una persona a me cara, alla domanda “che tatuaggio ti faresti?” Ho risposto “una tigre”.
È il mio totem, diciamo, un animale elegante, spietato e feroce senza sensi di colpa. E poi i disegni sul suo viso e sul suo corpo sono meravigliosi. “Fearful symmetry” la definiva William Blake nella celebre poesia “The Tyger”.
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Ma la tatuerei dietro la schiena, sicuramente.
C’è stato un tempo in cui l’animale che più esprimeva l’idea di forza è stato il leone solo che poi, grazie a Quark e Piero Angela, ho scoperto che i l’Eni maschi sono dei pigroni che non fanno un granché dalla mattina alla sera a parte mangiare e scopare con le femmine del branco. Al massimo tocca loro litigare con un altro leone che vuole essere il capo branco e se perdono l’altro leone si divora i cuccioli in modo che le femmine tornino in calore e il branco sua pulito dal DNA del leone perdente. E a caccia ci vanno le femmine. Insomma, non esattamente un animale che esprime l’idea di forza, un pelandrone come ogni te è nobile che si rispetti.
No, molto meglio la tigre. Decisamente. Sarà merito del cartone animato “L’Uomo Tigre” ma la preferisco come simbolo di forza.
E poi pure Tigro di Winnie the Pooh è un animale più dinamico e gioioso di tutti, per dire.
E voi? Cosa vi fareste tatuare?
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donaruz · 1 year
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la Repubblica: Uccisa a fucilate l'orsa Amarena in Abruzzo. Identificato chi ha sparato: “L’ho fatto per paura”. L’ira del P…
Siamo la razza più disumana che esista! 🤬🥺
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Scelti per voi
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Fonte: pixabay.com
Una piccola scelta di libri “certificati” dai bibliotecari per distrarvi nel migliore dei modi durante le vacanze. Si tratta di novità, di titoli non recentissimi ma che magari vi sono sfuggiti e meritano attenzione, e di opere da cui sono stati tratti ottimi film.
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Se non l’avete ancora letto vi consigliamo L’animale più pericoloso di Luca D’Andrea, del 2020. Ma qual è l’animale più pericoloso? Se non ci si lascia sviare dall’immagine di copertina, si può intuirlo fin dalle prime righe di questo avvincente giallo che ha come tema (argomento di scottante attualità) la salvaguardia dell’ambiente. A parte l’idea di fondo dell’adolescente rapita che ricorda il pregevole La ragazza nella nebbia di Donato Carrisi, la storia si dipana in maniera diversa, dalla location (le montagne della Val Pusteria), ai moventi dei crimini, allo stile, agile, moderno, mai banale. Anche il finale diverge, ma su questo, naturalmente, non sveliamo nient’altro. Rispettata in pieno l’unica regola cui i gialli dovrebbero essere sottoposti: quella di inchiodare il lettore alle pagine, fino alla conclusione.
Pare che le case di ringhiera della vecchia Milano siano una continua fonte di ispirazione per scrittori e assassini: dopo i gialli di Francesco Recami orientati sulla figura dell’ex tappezziere in pensione Amedeo Consonni, è il vice-commissario Enea Zottìa che deve occuparsi di una serie di crimini in un vecchio stabile malandato nel cuore di Milano nell’ultimo libro di Marco Polillo I delitti di corso Garibaldi. Ma le indagini ci porteranno anche a Viboldone, frazione di San Giuliano Milanese e sede di un’antica Abbazia, e all’isola di San Giulio sul lago d’Orta (ebbene sì, proprio nel luogo in cui C’era due volte il barone Lamberto!), dove le vicende, soprattutto sentimentali, dei protagonisti troveranno il loro più naturale scioglimento.
Ambientato sul lago di Como è I milanesi si innamorano il sabato di Gino Vignali, il cui titolo si ispira al famosissimo I milanesi ammazzano al sabato di Scerbanenco (da cui è stato tratto anche un film per la regia di Duccio Tessari). “Dopo la fortunata tetralogia riminese con protagonista Costanza Confalonieri Bonnet, Gino Vignali cambia atmosfere e personaggi ma mantiene intatti il tono scanzonato e il ritmo incalzante che contraddistinguono i suoi fortunati gialli. Suspense, erotismo, umorismo sono gli ingredienti vincenti di un romanzo che, giocando abilmente con dubbi e ossessioni, incertezze e desideri, incanta il lettore in un riverbero di luci e ombre. Come l’acqua del lago, quando sembra calma ma non lo è”.
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Non intendiamo certo tralasciare l’ultimo Simenon, L’orsacchiotto, anche questa opera di introspezione, di scavo profondo nella psiche umana aperto a più interpretazioni, una delle quali può essere che non è possibile mantenere sempre il controllo su tutto, anche ad altissimi livelli professionali: dopo una intera esistenza trascorsa all’insegna del più assoluto dominio di sé, una sola deroga al perfetto meccanismo esistenziale che il protagonista si è imposto può costare un prezzo inestimabile.
Torna nell’ultimo romanzo di Fabio Stassi, Notturno francese, il simpatico counselor della rigenerazione esistenziale Vince Corso, ma in questo caso, come per Simenon, l’indagine è introspettiva: un viaggio parallelo nei ricordi dell’infanzia e in treno, lungo la Costa Azzurra, terra d’origine del nostro detective-bibliofilo, trapiantato in Via Merulana. Finalmente sarà svelato il mistero del padre mai conosciuto a cui Vince indirizza cartoline nell’unico luogo che di sicuro aveva frequentato, almeno per una memorabile notte, ovvero il mitico Hotel Negresco.
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Folgorante fin dall’incipit, la lettura di Perle ai porci (il titolo originale suona: God Bless You, Mr. Rosewater, or Pearls Before Swine) rende pienamente ragione a Umberto Eco che annoverava Kurt Vonnegut tra i suoi scrittori preferiti:
Uno dei protagonisti di questa storia, storia di uomini e donne, è una grossa somma di denaro, proprio come una grossa quantità di miele potrebbe essere, correttamente, uno dei protagonisti di una storia di api.
Ironico, dissacrante, politicamente scorretto, bizzarro, surreale, a metà strada fra America di Kafka e i racconti di Carver; uno stile veloce, tagliente; un lessico moderno e spiazzante. Se poi vi affezionate a questo autore, allora vi consigliamo Ghiaccio-nove, anche questo composto in una forma originalissima che sconcerta il lettore con la sua imprevedibile fantasia che scardina completamente gli schemi narrativi tradizionali. Strutturato a brevi capitoli sullo stile del Tristram Shandy di Sterne è un libro trasgressivo, esilarante fino al demenziale, davvero “uno dei tre migliori romanzi dell’anno scritto dal più grande scrittore vivente” come lo accolse Graham Greene nel 1963, anno della pubblicazione. Una potente satira della società contemporanea, che punta in particolare alla condanna della guerra, argomento quanto mai tristemente attuale.
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Lo spaccone  di Walter Tevis è un romanzo di formazione in cui il protagonista svolge il suo “apprendistato” (come lo definisce Fabio Stassi nella prefazione all’edizione minimum fax) nelle sale da biliardo dove sbarca il lunario spennando ‘polli’ grazie al suo non comune talento. Ma la conquista della consapevolezza comporta un prezzo molto alto: la coscienza del proprio valore si paga con la perdita della libertà. Un libro con i fiocchi che non poteva non ispirare un capolavoro come il film di Robert Rossen del 1961 con un Paul Newman perfettamente incarnato nella parte di Eddie Felson, The Fast, ‘lo svelto’. A voi il piacere di scoprire le differenze (che ci sono, e anche notevoli) tra il libro e il film. Newman rivestirà lo stesso ruolo nel 1986 come mentore del giovane Tom Cruise in Il colore dei soldi, per la regia di Scorsese, sempre dal sequel di Tevis.
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Da La morte corre sul fiume di Davis Grubb è stato tratto nel 1955 per la regia di Charles Laughton un film talmente bello e originale proprio dal punto di vista tecnico da far rimpiangere che si tratti dell’unico exploit come regista da parte del celeberrimo attore britannico. Tratto da una drammatica storia vera, il romanzo si dispiega su più piani narrativi: il tema fiabesco, reso da Laughton con splendide immagini dello sfondo naturale notturno, il noir e la denuncia del fanatismo religioso. “La storia è qualcosa di più, se possibile, dei fatti che la compongono, è un’omelia nera, una lunga e cupa ballata atroce almeno quanto le filastrocche infantili che di tanto in tanto la interrompono, risuonando nel vuoto”.
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Non è una storia dell’orrore, come il precedente Dracula, che tanta popolarità diede al suo creatore, Bram Stoker: Il gioiello dalle sette stelle è soprattutto un racconto d’avventura, i cui protagonisti, sorta di Indiana Jones tra le mummie, sono morbosamente infatuati dalla passione per la storia egizia. A metà tra il romanzo gotico di stampo ottocentesco e l’egittomania molto diffusa all’epoca, tanto da influenzare anche Conan Doyle e Poe, è un romanzo piacevole e adatto come lettura per le vacanze. Tra culto della reincarnazione, sarcofagi, ricerche archeologiche, luoghi affascinanti come il misterioso Egitto e la nebbiosa Londra, abbiamo anche la possibilità di scegliere tra due finali, perché il pubblico non gradì il primo e costrinse l’autore, pare, a riscriverne uno nuovo nella seconda edizione uscita nel 1912, anno della sua morte. In questa ristampa di ABEditore del 2022 sono presenti entrambe le varianti.
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alonewolfr · 6 months
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*DA LEGGERE*
Il famoso apneista italiano, Enzo Maiorca, si stava immergendo nel mare caldo di Siracusa e parlava con sua figlia Rossana che era sulla barca. Pronto a immergersi, sentì qualcosa colpire leggermente la schiena, si girò e vide un delfino, capì allora che non voleva giocare ma esprimere qualcosa. L’animale si immerse e Enzo lo seguì. A circa 12 metri di profondità,
intrappolato in una rete abbandonata, c’era un altro delfino.
Maiorca chiese alla figlia di raccogliere i suoi coltelli da sub. In pochi minuti i due riuscirono a liberare il delfino, che, allo stremo delle forze emerse, emettendo un «grido quasi umano» (così lo descrisse Maiorca).
Un delfino può resistere sott’acqua fino a 10 minuti, poi annega. Enzo e Rossana tennero sotto controllo il delfino liberato, che intanto si era unito all’altro delfino. Poi arrivò la sorpresa: era una delfina, che presto diede alla luce un cucciolo. Il maschio allora circondò e si avvicinò ad Enzo e gli toccò la guancia (come fosse un bacio)… era un gesto di gratitudine! Poi i delfini si riunirono e scomparvero nel blu.
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solovedreidue · 1 year
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Il naso del Ruffiano
"L’animale così denominato è un porco addetto a scovare le scrofe in calore, per poi lasciare ad altri il compito di inseminarle. Un essere frustrato tanto quanto chi lo deve accompagnare in questa ricognizione eccitata e triste."
Girava per il paese nasando l'aria, nasava con gli occhi tra le gambe delle pulzelle. Riconosceva le giovani giumente cercando il calore tra le cosce. Lo faceva in modo scomposto, sguaiato, ma senza violenza.
Lo faceva con la naturalezza della propria erezione, evidente, talmente palese nei suoi gesti da renderlo istinto naturale. Passeggiava, e gentile, annusava.
Lo chiamavano "il Ruffiano", perchè quello aveva nel suo essere giullare e insieme casanova e le donzelle quando lo vedevano, ridacchiavano tra loro, e schiudevano leggere le cosce.
Aveva quel modo profondo di annusare, quel suo sapere cogliere i profumi della stagione della donna. Quel suo sentire pulsare ancora la figa di un orgasmo mattiniero. O di una scopata furtiva nel retrobottega.
Sentiva il calore del mestruo, così come l'umido della primavere che si risvegliava nelle mutandine di cotone, così come a volte il seme altrui ristagnante e fecondante.
Pareva quasi fosse disinteressato all'atto penetrativo, voyeur odoroso. Fosse stato per lui gli sarebbe bastato falsi spalmare le fighe in faccia, sentire il sapore permanere giusto sotto le nari, nella consistenza appiccicosa di quello stato di grazia vaginale.
A volte si diceva pucciasse le dita, tra le carni delle donne compiacenti per il suo modo di guardarle, di adularle senza parole nella loro bellezza essenziale. In quell'odore di cagna che si annida nella profondità della femmina.
Vizioso a volte cercava l'odore dei culi, delle vergini, delle suore, delle troie, delle infoiate, delle sante. Li catalogava quasi, con una scala di salinità, di piscio, di acido, di dolcezza, di viscosità, di amaro, di aspro. E nella sua mente le ricordava tutte.
Sorrideva, mentre si annusava le dita e, quasi, non voleva toccarsi nemmeno il cazzo, per non falsare l'odore. Ma poi si segava, rendendo consistente il puzzo spalmandoselo piano sul sesso e leccandone poi i frutti.
"E da sapere, che il ruffiano e 'l proposto delle meretrici, o vero il sodducitore." (Commento al canto XVIII, Inferno, Dante Alighieri)
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