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#Le parole degli antichi
affascinailtuocuore · 8 months
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Anna Maria Urso-CORPO, storia di un viaggio sorprendente: “In un primo momento, spiega Platone, il genere umano era composto solo di uomini”
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diceriadelluntore · 5 months
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Lancette
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Questo in foto è un capolavoro di arte artigianale: è un orologio Breguet che ha molteplici "complicazioni", cioè mostra dei dati come l'equazione del tempo (la differenza tra il tempo solare medio, il nostro tempo civile della durata convenzionale di ventiquattrore, e il tempo solare vero, che varia in funzione dell’orbita irregolare della terra intorno al sole) o il calendario perpetuo e sul quadrante finemente lavorato a guilloche sfoggia un tourbuillion, geniale invenzione di Abraham Louis Breguet, cioè l'installazione dell'intero scappamento (il bilanciere con la rispettiva molla, l'ancora e la ruota di scappamento, ossia le parti più sensibili agli effetti della forza di gravità) all'interno di una gabbia mobile che compie una rotazione completa ogni minuto. In questo modo, i difetti, che hanno una cadenza regolare, si compensano reciprocamente. Questo è un prodotto fatto quasi totalmente a mano da un abilissimo orologiaio. E abilissima è l'autrice di questo libro, che ho adorato
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Rebecca Struthers è una delle ultime orologiaie del Regno Unito. In questo saggio racconta la sua storia prima di studentessa (fino alla laurea in orologeria), poi di giovane artigiana e infine da affermata restauratrice di orologi antichi e, insieme al marito Craig, fine produttrice di pezzi unici, fatti completamente a mano nel loro piccolo laboratorio di Birmingham. Ogni capitolo è un pezzo di storia della sua vita, un pezzo di storia dell'orologio e un pezzo di meccanica, dove spiega con la massima semplicità (tipica di chi è maestro di una disciplina) le meraviglie tecniche che indossiamo al polso ogni giorno.
Oltre le incredibili storie dell'oggetto, i cui andamenti variano da oggetto di lusso a status symbol economico, in una sorta di spirale sinusoidale di successo, commercio e crisi e dei personaggi a loro legati (scienziati, re e regine, inventori, industriali, geni come Breguet, generali, esploratori, sportivi e così via), ci sono due aspetti che mi hanno colpito profondamente e personalmente:
l'importanza del lavoro degli artigiani, e soprattutto l'importanza delle scuole per gli artigiani: il saggio di Rebecca Struthers è anche un viaggio nel declino di una certa idea di trasmissione del sapere che è coinciso con la fine delle scuole di alta specializzazione (Struthers è stata una delle ultime a completare un corso di studi specifico per l'oreficeria e l'orologeria, che adesso non esiste più). In un paese come il nostro, che spesso solo a parole si vanta della propria tradizione artigiana (che ancora resiste), dovrebbe essere un motivo di studio e dibattito;
Ci sono delle pagine che ho sentito molto vicine a me quando Struthers parla della decisione di mettersi in proprio, e di aprire un laboratorio "fuori dal tempo": le difficoltà iniziali, il modificare macchinari vecchi e usati, il primo stipendio serio dopo anni ma allo stesso tempo la certezza che una scelta di qualità, che comporta molti più problemi di una scelta di quantità, con il tempo sia premiante soprattutto a livello di piena soddisfazione di sè. e l'importanza di fare le cose con le mani, che è un momento creativo eccezionale.
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Risuonano forti le parole lette in chiesa durante l’ultimo saluto a Giulia dal suo papà, Gino Cecchettin.
“Mia figlia Giulia, era proprio come l’avete conosciuta, una giovane donna straordinaria.
Allegra, vivace, mai sazia di imparare.
Ha abbracciato la responsabilità della gestione familiare dopo la prematura perdita della sua amata mamma. Oltre alla laurea che si è meritata e che ci sarà consegnata tra pochi giorni, Giulia si è guadagnata ad honorem anche il titolo di mamma. Nonostante la sua giovane età era già diventata una combattente, un’oplita, come gli antichi soldati greci, tenace nei momenti di difficoltà: il suo spirito indomito ci ha ispirato tutti.
Il femminicidio è spesso il risultato di una cultura che svaluta la vita delle donne, vittime proprio di coloro avrebbero dovuto amarle e invece sono state vessate, costrette a lunghi periodi di abusi fino a perdere completamente la loro libertà prima di perdere anche la vita.
Come può accadere tutto questo?
Come è potuto accadere a Giulia?
Ci sono tante responsabilità, ma quella educativa ci coinvolge tutti: famiglie, scuola, società civile, mondo dell’informazione
Mi rivolgo per primo agli uomini, perché noi per primi dovremmo dimostrare di essere agenti di cambiamento contro la violenza di genere.
Parliamo agli altri maschi che conosciamo, sfidando la cultura che tende a minimizzare la violenza da parte di uomini apparentemente normali.
Dovremmo essere attivamente coinvolti, sfidando la diffusione di responsabilità, ascoltando le donne, e non girando la testa di fronte ai segnali di violenza anche i più lievi. La nostra azione personale è cruciale per rompere il ciclo e creare una cultura di responsabilità e supporto.
A chi è genitore come me, parlo con il cuore: insegniamo ai nostri figli il valore del sacrificio e dell’impegno e aiutiamoli anche ad accettare le sconfitte. Creiamo nelle nostre famiglie quel clima che favorisce un dialogo sereno perché diventi possibile educare i nostri figli al rispetto della sacralità di ogni persona, ad una sessualità libera da ogni possessoe all’amore vero che cerca solo il bene dell’altro. Viviamo in un'epoca in cui la tecnologia ci connette in modi straordinari, ma spesso, purtroppo, ci isola e ci priva del contatto umano reale.
È essenziale che i giovani imparino a comunicare autenticamente, a guardare negli occhi degli altri, ad aprirsi all'esperienza di chi è più anziano di loro.
La mancanza di connessione umana autentica può portare a incomprensioni e a decisioni tragiche. Abbiamo bisogno di ritrovare la capacità di ascoltare e di essere ascoltati, di comunicare realmente con empatia e rispetto.
La scuola ha un ruolo fondamentale nella formazione dei nostri figli.
Dobbiamo investire in programmi educativi che insegnino il rispetto reciproco, l'importanza delle relazioni sane e la capacità di gestire i conflitti in modo costruttivo per imparare ad affrontare le difficoltà senza ricorrere alla violenza.
La prevenzione della violenza di gene e inizia nelle famiglie, ma continua nelle aule scolastiche, e dobbiamo assicurarci che le scuole siano luoghi sicuri e inclusivi per tutti.
Anche i media giocano un ruolo cruciale da svolgere in modo responsabile. La diffusione di notizie distorte e sensazionalistiche non solo alimenta un’atmosfera morbosa, dando spazio a sciacalli e complottisti, ma può anche contribuire a perpetuare comportamenti violenti.
Chiamarsi fuori, cercare giustificazioni, difendere il patriarcato quando qualcuno ha la forza e la disperazione per chiamarlo col suo nome, trasformare le vittime in bersagli solo perché dicono qualcosa con cui magari non siamo d’accordo, non aiuta ad abbattere le barriere.
Perché da questo tipo di violenza che è solo apparentemente personale e insensata si esce soltanto sentendoci tutti coinvolti. Anche quando sarebbe facile sentirsi assolti.
Alle istituzioni politiche chiedo di mettere da parte le differenze ideologiche per affrontare unitariamente il flagello della violenza di genere. Abbiamo bisogno di leggi e programmi educativi mirati a prevenire la violenza, a proteggere le vittime e a garantire che i colpevoli siano chiamati a rispondere delle loro azioni. Le forze dell’ordine devono essere dotate delle risorse necessarie per combattere attivamente questa piaga e degli strumenti per riconoscere il pericolo. Ma in questo momento di dolore e tristezza, dobbiamo trovare la forza di reagire, di trasformare questa tragedia in una spinta per il cambiamento.
La vita di Giulia, la mia Giulia, ci è stata sottratta in modo crudele, ma la sua morte, può anzi deve essere il punto di svolta per porre fine alla terribile piaga della violenza sulle donne.
Grazie a tutti per essere qui oggi: che la memoria di Giulia ci ispiri a lavorare insieme per creare un mondo in cui nessuno debba mai temere per la propria vita.
Vi voglio leggere una poesia di Gibran che credo possa dare una reale rappresentazione di come bisognerebbe imparare a vivere.
«Il vero amore non è ne fisico ne romantico.
Il vero amore è l'accettazione di tutto ciò che è,
è stato, sarà e non sarà.
Le persone più felici non sono necessariamente coloro che hanno il meglio di tutto, ma coloro che traggono il meglio da ciò che hanno.
La vita non è una questione di come sopravvivere alla tempesta, ma di come danzare nella pioggia…»
Cara Giulia, è giunto il momento di lasciarti andare. Salutaci la mamma.
Ti penso abbracciata a lei e ho la speranza che, strette insieme, il vostro amore sia così forte da aiutare Elena, Davide e anche me non solo a sopravvivere a questa tempesta di dolore che ci ha travolto, ma anche ad imparare a danzare sotto la pioggia.
Sì, noi tre che siamo rimasti vi promettiamo che, un po’ alla volta, impareremo a muovere passi di danza sotta questa pioggia.
Cara Giulia, grazie, per questi 22 anni che abbiamo vissuto insieme e per l’immensa tenerezza che ci hai donato. Anch’io ti amo tanto e anche Elena e Davide ti adorano.
Io non so pregare, ma so sperare: ecco voglio sperare insieme a te e alla mamma, voglio sperare insieme a Elena e Davide e voglio sperare insieme a tutti voi qui presenti: voglio sperare che tutta questa pioggia di dolore fecondi il terreno delle nostre vite e voglio sperare che un giorno possa germogliare.
E voglio sperare che produca il suo frutto d’amore, di perdono e di pace.
Addio Giulia, amore mio”.
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poesiablog60 · 5 months
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Poiché ci sono alcune cose
per le quali non ci sono nomi
non c'è bisogno che tu cerchi di iventarli
Le tue parole degli antichi poeti sono belle da leggere sulla pagina
Ma quelle che voglio udire
e sentire
vengono dalle tue labbra
e dalle tue mani.
James Laughlin
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ma-pi-ma · 5 months
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Poiché ci sono alcune cose
per le quali non ci sono nomi
non c'è bisogno che tu cerchi
di inventarli         le tue parole
degli antichi poeti sono belle
da leggere sulla pagina ma
quelle che voglio udire e sentire vengono
dalle tue labbra e dalle tue mani
James Laughlin, da The love poems, 1997
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‘900 - di Gianpiero Menniti 
ATTORE, DIVO, ‘SIMULACRA’
Quanto in una scena è finzione?  E quanto è sentimento? In un testo letterario nessuno dubita dei sentimenti dei personaggi: questi si animano nella coscienza del lettore, prendono vita, si manifestano nella loro interezza attraverso il simbolismo nascosto delle parole. In un testo cinematografico, nel quale le immagini hanno un ruolo fondante, gli attori fanno il loro ingresso nella coscienza dello spettatore e perdono la loro consistenza reale: diventano personaggi. Eppure, la loro carnalità permane, sullo sfondo, conferendo al loro apparire una traccia di ambiguità: il loro corpo non è più unico ma plurale, pronto a interpretare altri caratteri in nuovi scenari. Questa proprietà ne muta la fenomenologia. Così, come in un romanzo, l'attore perde una parte della sua esistenza reale per prendere vita esclusivamente sullo schermo, trasformandosi tuttavia in icona, in "simulacra" al modo degli antichi, i quali ritenevano le rappresentazioni plastiche delle divinità presenza effettiva, vera, tangibile. Per questa ragione, l’incontro reale con un divo o una diva del cinema, rimane un'esperienza che persino nella più cinica delle persone suscita emozioni complesse e insolite. Antropologia: disciplina delle regolarità.
-  Bartolomeo Ammannati (1511 - 1592): “Leda e il cigno”,  1535 - 1540, Museo nazionale del Bargello, Firenze
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ambrenoir · 5 months
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Vi ricordate il corsivo? Vi siete mai chiesti perché oggi non s’insegna più ai ragazzi a scrivere in corsivo? E no, non è un caso che si tenda ad usarlo sempre meno.
Scrivere in corsivo vuol dire tradurre il pensiero in parole; ti obbliga a non staccare la mano dal foglio. Uno sforzo che stimola il pensiero, che ti permette di associare le idee, di legarle e metterle in relazione. Non a caso la parola corsivo deriva dal latino «currere», che corre, che scorre, perché il pensiero è alato, corre, s’invola.
Scrivere in stampatello invece vuol dire, a detta degli psicologi dello sviluppo, «spezzettare il pensiero, sezionarlo in lettere, negare il tempo e il respiro della frase.»
Naturale che il corsivo non abbia più posto nel mondo di oggi, un mondo che fa di tutto per rallentare lo sviluppo del pensiero, per azzopparlo. Pensate che il corsivo nacque proprio in Italia e poi si diffuse in tutto il mondo. Perché? Perché era una scrittura compatta, elegante, chiara.
Ma la nostra è una società che non ha più tempo per l’eleganza, per la bellezza, per la complessità; abbiamo sinteticità ma non chiarezza, rapidità ma non efficienza, informazioni ma non conoscenza! Sappiamo troppo e troppo poco perché non siamo più in grado di mettere in relazione le cose. La gente non sa più pensare. Non sa più costruire un discorso. Ricordate quando alle elementari la maestra vi chiedeva di scrivere dei “pensierini”? Fanno tenerezza, nella loro disarmante semplicità, i primi temi scritti dai bambini, almeno quando sono i bambini a farlo.
Pensierini, frasi ad effetto e slogan creati ad hoc per manipolare e stupire, ma certamente non per far pensare: ecco a cosa si è ridotta la cultura, l’informazione! Per questo bisognerebbe tornare a scrivere in corsivo, soprattutto a scuola. Perché qua non si tratta soltanto di recuperare uno stile di scrittura, ma di tornare a dare respiro ai nostri pensieri. Tutto ciò che ci fa vivere, che nutre l'anima, che sostiene lo spirito, è legato al respiro. Senza respiro, dicevano gli antichi greci, non c’è pensiero. E senza pensieri non c’è vita. Se sia importante o no, lo lascio decidere a voi.
Guendalina Middei, anche se voi mi conoscete come Professor X
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moonyvali · 2 years
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«Chi non pensa, può “sapere” tutto ed essere ignorante in ogni cosa.»
Il filosofo (philosophos, colui che ama la conoscenza) è ben diverso dal sophos, colui cioè che possiede un determinato sapere e dunque è chiamato sapiente. Chi è il filosofo allora? Non chi possiede la verità ma chi ricerca la verità. Ecco in questa precisazione, vi è tutta la differenza del mondo. Il famoso detto socratico «so di non sapere» è il presupposto della filosofia. Se sei convinto di sapere qualcosa, perché mai dovresti metterti in discussione?
L’ho già detto ma lo ripeto: né i diplomi, né i titoli di laurea fanno la cultura. Cultura non è sapere tutto, essere archivi ambulanti di fatti, dati, nozioni. «È curioso a vedere» diceva Leopardi, «che quasi tutti gli uomini che valgono molto, hanno le maniere semplici.» Cosa intende Leopardi con semplicità? Ecco, c’è un’altra parola, una parola che oggi è completamente passata di moda, che nessuno o quasi usa più: umiltà. La persona saggia è umile, questo vi sta dicendo Leopardi. Disprezza i modi affettati, la presunzione che invece abbonda negli stolti, in quelli che gli antichi greci chiamavano “falsi sapienti”.
Quella in cui viviamo oggi è letteralmente l’epoca dei parolai: tutti vogliono mettersi in mostra, parlano, parlano, parlano, non di rado senza cognizione di causa: infarciscono i loro discorsi con parole sofisticate, con la volontà di umiliare, di far sentire inferiore il proprio interlocutore. «Lei non sa chi sono io», sembrano dire e alle volte te lo dicono proprio in maniera esplicita. Come comportarsi con questi individui?
Ecco, un giorno il filosofo Eraclito venne invitato a una riunione di saggi. La riunione andò avanti per molto tempo, tutti discutevano, argomentavano, parlavano facendo mostra della loro eloquenza, mettendo in mostra tutto il loro sapere. Eraclito invece se ne stava zitto, senza aprire bocca. A un certo punto uno degli altri notò il silenzio del filosofo. «Perché taci?» gli domandò. «Perché voi possiate chiacchierare.» gli rispose.
G.Middei, anche se voi mi conoscete come Professor X Ai miei lettori, è da poco uscita la nuova ristampa del mio romanzo Clodio, se vi piacciono la storia e la filosofia, potete leggerne un estratto gratuito a questo link: https://www.amazon.it/Clodio-G-Middei/dp/8832055848
#filosofia #educazione #cultura
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susieporta · 1 year
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L’INVISIBILITÀ
Essere Invisibili è una qualità molto rara, che appartiene ad esseri speciali e antichi.
L’Invisibilità è la capacità di ritrarsi nell’Anima continuando ad essere Vigili al proprio interno, ma senza destare sospetti all’esterno.
Vuol dire Osservare attentamente ciò che accade senza farsi vedere, raggiungere il proprio obiettivo senza “fare rumore”.
Questo risultato è il frutto di una grande gestione dei corpi.
Serve molta disciplina fisica, emotiva, sessuale e mentale per evitare di emanare le reazioni inconsce dell’apparato psicofisico.
Evitare di lamentarsi per un mal di pancia è possibile, ma è più difficile riuscire ad omettere le micro-espressioni/reazioni del volto, legate al fastidio di stomaco. È più facile non dire sempre ciò che ci passa per la testa, ma è davvero raro non far trapelare il dissenso ed evitare di seguire i pensieri che ci vengono in mente.
Possiamo tutti imparare a sviluppare il Talento dell’Invisibilità, attraverso un’auto-disciplina costante e specifica.
Tutto ciò che riguarda la disciplina e la “ritenzione” va ad alimentare l’Invisibilità.
• Evitare di far trapelare il proprio dissenso o piacere
• Non dare per forza la propria opinione – soprattutto se non ci è stato richiesto
• Evitare di elemosinare l’approvazione altrui
• Non affermare sempre le proprie ragioni
• Omettere l’espressione di un proprio malessere o fastidio
• Non fare troppo rumore quando camminiamo, ci muoviamo o respiriamo
sono alcuni esempi che se attuati in Vigile Coscienza evitano la repressione e contribuiscono a non disperdere l’energia all’esterno, creando un primo approccio all’Invisibilità.
In altre parole, l’Invisibilità è la gestione dei corpi superiori dell’Anima poiché, se non si desidera, si potrà omettere l’emanazione della propria energia all’esterno, risultando dello stesso livello di coscienza degli altri; anche se così non è.
Un Maestro infatti può evitare di emanare il proprio odore della pelle se vuole, con lo scopo di camminare tra gli uomini senza essere visto ma portando comunque a termine la propria missione.
Fabio Pietro Iacontino - Intelligentia Solis
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scogito · 2 years
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Secondo Remotti "l'uomo è un animale biologicamente carente. Se si affidasse alle sole capacità biologiche, ben difficilmente saprebbe sopravvivere".
In altre parole l'uomo ha bisogno della cultura per colmare queste sue carenze e ciò vale anche per la costruzione della propria identità.
Inoltre: "Nel rapporto tra biologia (o natura) umana e cultura, ciò che vi è di mezzo è il cervello. La tesi più ovvia è sempre stata quella secondo cui dapprima l'uomo conquista evolutivamente la propria attrezzatura organica (tra cui il cervello) e poi sviluppa la cultura. Le indagini paleoantropologiche degli ultimi decenni hanno invece posto in luce che lo sviluppo cerebrale tipicamente umano è avvenuto in un ambiente già ampiamente caratterizzato dalla cultura".
E questo spiega che ne è dunque un suo prodotto.
Perciò chi avrebbe inserito il modello culturale?
Testimonianze antiche evidenziano altri popoli (altre specie) venerati o ritenuti persino divinità. Come se dalla creazione del tempo in questa dimensione ci siano sempre stati istruttori, antichi potenti e controllori.
Registi superiori alla specie che hanno creato.
La genetica inoltre ancora non sa spiegare il "come" sia avvenuto il passaggio da scimmia a uomo; ma risolve con la supercazzola del salto evolutivo.
L'uomo per quanto mi riguarda è un progetto genetico. Inquinato. Volontariamente manipolato da altre razze che agiscono su questo piano, attraverso le credenze, ovvero le false identità della gente, il pensiero: il cervello.
Strutturano e destrutturano modelli comportamentali e culturali a seconda delle (loro) esigenze.
Il cervello medio di un uomo è il frutto di un inserimento di dati e poco più. Per questo chi si identifica nella sua personalità, sta praticamente sostenendo che si identifica in una provetta.
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schizografia · 9 months
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Dopo l’anno in fabbrica, prima di riprendere l’insegnamento l’insegnamento, i miei genitori mi avevano condotta in Portogallo, dove li lasciai, per andarmene da sola in un piccolo villaggio. Avevo l’anima e il corpo come a pezzi. Era una sera di luna piena, durante la festa del patrono. La festa si svolgeva in riva al mare. Le mogli dei pescatori andavano in processione intorno alle barche con dei ceri in mano, e innalzavano canti sicuramente molto antichi, di una tristezza straziante … Là, ho avuto all’improvviso la certezza che il cristianesimo è per eccellenza la religione degli schiavi, che gli schiavi non possono non aderirvi, e io con loro. Nel 1937, ho trascorso ad Assisi due giornate splendide. Mentre mi trovavo da sola nella piccola cappella romanica del XII secolo all’interno di Santa Maria degli Angeli, incomparabile meraviglia di purezza, dove san Francesco ha pregato tanto spesso, per la prima volta nella mia vita qualcosa di più forte di me mi ha obbligata a mettermi in ginocchio. Nel 1938, ho trascorso dieci giorni a Solesme, dalla Domenica delle Palme al martedì di Pasqua, e ho seguito tutte le funzioni. Avevo fortissimi mal di testa, e ogni suono era per me come un colpo; eppure, un estremo sforzo d’attenzione mi permetteva di uscire dalla miserabile carne, di lasciarla soffrire in disparte, rannicchiata in un angolo, e di cogliere una gioia pura e perfetta nell’inaudita bellezza del canto e delle parole. Quell’esperienza mi ha permesso, per analogia, di comprendere meglio la possibilità di amare l’amore divino attraverso la sventura. È naturale che durante quelle funzioni il pensiero della Passione di Cristo sia penetrato in me per sempre … Lì un giovane inglese mi ha rivelato l’esistenza dei poeti inglesi del Seicento, i cosiddetti poeti metafisici. In seguito, nel leggerli, ho scoperto la poesia intitolata Amore … Mi sono esercitata a recitarla applicandovi tutta la mia attenzione e aderendo con tutta l’anima alla tenerezza in essa racchiusa … Durante una di quelle recitazioni il Cristo stesso è disceso e mi ha presa.
Simone Weil
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diceriadelluntore · 2 years
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Storia Di Musica #266 - Dead Can Dance, Aion, 1990
La copertina del disco di oggi, della serie di lavori che riprendono capolavori del Rinascimento, è un particolare de Il Trittico Del Giardino Delle Delizie di  Hieronymus Bosch, dipinto probabilmente tra il 1490 e il 1510 dal maestro nederlandese, conservato oggi al Museo Del Prado di Madrid. Il particolare è della sezione centrale, sulla Vita nel Giardino. A sceglierlo per quello che è il loro disco capolavoro sono stati un gruppo australiano, i Dead Can Dance. Si formano a Melbourne alla fine degli anni ‘70, e si ispirano alla new wave britannica di quei giorni e alle sonorità post-punk. Sono in quattro all’inizio: Paul Erikson al basso, Lisa Gerrard alla voce, Simon Monroe alla chitarra e alla batteria e Brendan Perry alla voce e alla seconda chitarra. Pubblicano un singolo, nell’agosto del 1981, The Fatal Impact, che esce in una compilation di una rivista specializzata, Fast Forward. Visto il successo scarso, decidono di andare a Londra. Passano mesi duri, fino a quando nel 1983 un loro demo arriva alla  4AD Records, un’etichetta indipendente  fondata nel 1979 da Ivo Watts-Russell e Peter Kent e che sarà fucina di talenti e del più sofisticato goth rock di quel periodo, avendo scoperto e prodotto  Bauhaus, Cocteau Twins, Modern English, Pixies, Throwing Muses, e i leggendari This Mortal Coil, una sorta di supergruppo con molti dei musicisti delle band dell’etichetta che pubblicherà tre dischi magnifici. I Dead Can Dance sostituiscono Monroe con Peter Ulrich e nel 1984 pubblicano Dead Can Dance: in copertina, una maschera rituale della Nuova Guinea con il nome in caratteri greci del nome della band, una musica che se parte dall’elettronica new wave si espande e diventa rarefatta, acquisendo dettagli e costruzioni che diventeranno iconici, soprattutto grazie alla voce magnetica di Lisa Gerrard. Partecipano al progetto This Mortal Coil, poi nel 1985 il primo disco notevole, Spleen And Ideal, in cui introducono archi, fiati, armonie che si rifanno alla musica gotica, contenuti mistici che troppo velocemente diventano “new age”, e da qui inizia un piccolo seguito di culto per la band, che è diventata ormai un duo Gerrard\Perry, compagni anche nella vita. Si trasferiscono in Irlanda, e lì compongono il primo capolavoro: The Serpent’s Egg (1988) è ancora più etereo e sognante, e un brano, The Host Of Seraphim, verrà usato a più riprese in documentari, trailer, altri brani addirittura campionati (The Chemical Brothers che usano un sample di Song Of Sophia per la loro Song To The Siren, nel loro disco Exit Planet Dust del 1995). Succede però che i due si separino come coppia, con la Gerrard che rimane in Irlanda e inizia a studiare le lingue slave, Perry che va in Spagna. Ma il loro binomio artistico continua, e le esperienze personali sono alla base del disco di oggi, il loro capolavoro. Lo intitolano Aion, una parola greca che vuol dire “forza vitale”, e nella mitologia greca è il tempo infinito, del susseguirsi delle ere, ma anche il tempo vitale e il destino a differenza di Chronos che è il Dio del tempo degli eventi, delle ritualità. Composto da 12 brani spettacolari, ha decine di influenze. Solo due brani sono in inglese, Black Sun e Fortune Presents Gifts Not According To The Book, il cui testo è una traduzione di alcune liriche del poeta spagnolo barocco del diciassettesimo secolo Luis de Góngora. Si aggiungono melodie medioevali e rinascimentali, strumenti antichi come la ghironda o la viola da gamba, sono capaci di creare una musica che sembra un gioco di aria e acqua nella breve ma stupenda The Garden Of Zephirus, polifonie vocali nella toccante Wilderness, i ritmi da mercato arabo della conclusiva Radharc, la ripresa di un Saltarello, una melodia tipica del Centro Italia Rinascimentale, ma su tutto domina la voce, da brividi, della Gerrard, che con naturalezza canta una glossolalia fatta di parole greche, latine, arabe, bulgare, gaeliche che sembrano una misteriosa nuova lingua nella spettacolare apertura del disco, The Arrival And The Reunion, accompagnata dal soprano maschile David Navarro Sust. Alcuni strumentali sono eccezionali e rimandano al tempo del dipinto di copertina, come Mephisto e la stupenda As The Bell Rings The Maypole Spins (il Maypole Spin è molto simile All’Intreccio delle tradizioni folkoristiche nostrale legate al Carnevale, e consiste nell’intrecciare serie di nastri colorati, seguendo un ballo ritmico, ad un palo). Ma il colpo da maestro è la ripresa di una canzone tradizionale mediterranea, The Song Of The Sybil, conosciuta soprattutto nel sud della Spagna come El Canto De La Sibilla e ad Alghero: canzone di genere apocalittico che la tradizione fa risalire addirittura a Eusebio da Cesarea, che scrisse, secondo Sant’Agostino, una Iudicii Signum, che il teologo da Ippona tradusse dal greco al latino nella sua Città Di Dio. I Dead Can Dance ne riprendono la versione in catalano, che è uno dei momenti clou delle celebrazioni della natività in molte zone della Spagna: qui la Gerrad sfoggia tutta la natura dolorosa del canto, in una prova vocale da brividi e indimenticabile. Il disco è acclamato dalla critica e rimane uno dei picchi di creatività di una band che toccherà il massimo successo con Into The Labyrinth (1993), che venderà 500 mila copie, record per un disco della 4AD. Rimangono un ascolto necessario, per la delicatezza delle scelte e la magia della loro musica, da assaporare con il tempo necessario per un viaggio spazio temporale, almeno ad occhi chiusi.
P.S. La rubrica salta la domenica prossima, e riprende martedi 21 per ritornare domenica 26, con due titoli per finire la serie di dischi con le copertina rinascimentali.
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turuin · 1 year
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Sei la persona che è stata ufficialmente designata per scrivere il "MESSAGGIO nella bottiglia", non quello classico del naufrago sull'isola deserta, bensì quello concepito dall'essere umano e diretto agli altri abitanti del sistema solare.
Devi spiegare cos'è la Terra e com'è l'uomo, ciò che veramente noi siamo, perché dovrebbero venire a trovarci o non piuttosto evitarci come la peste.
Un discorso fiume, o anche poche, significative parole. Come ritieni più opportuno. Grazie a nome del pianeta.
Cari abitanti del sistema solare, visto che condividiamo lo stesso sistema non ci dovrebbe essere un gran bisogno di spiegarvi cosa sia la Terra. Magari la chiamate in un altro modo, che so io: "evitare come la peste", "pianeta velenoso a causa dell'ossigeno", "fogna umana", oppure le avete dato il nome di una pretestuosa divinità venerata nei vostri tempi antichi, un po' come abbiamo fatto noi con Giove, Venere etc. A proposito: da quale di questi pianeti venite? Sono genuinamente curioso di sapere quali costrutti organici supportino la vita in ambienti così inospitali - ma, naturalmente, "inospitale" è solo un punto di vista squisitamente umano. Noi abbiamo questo vizio, vedete, di considerare tutto dal nostro punto di vista; ci manca del tutto la capacità di assumerne degli altri e, a volte, persino di riconoscere la legittimità della loro esistenza. Questo pianeta non ci ha "accolti": ci siamo sviluppati in esso, come diretta conseguenza delle forme di vita che lo hanno popolato. A un certo punto, per uno scherzo del destino o per una bizzarra ricombinazione di geni, abbiamo inziato a parlare e ad esprimerci, e da lì in poi è avvenuto il declino del pianeta. Si, perché noi siamo stati in effetti la sua condanna: abbiamo iniziato a lasciare vagare i nostri pensieri, dopo averli espressi, e abbiamo codificato dei concetti che, per loro stessa natura, sono astratti e sfuggenti come l'aria: giustizia, Dio, amore, libertà - ed i loro contrari. Abbiamo inventato la morale traendola letteralmente dal vuoto - naturalmente, una morale secondo il personale punto di vista delle classi dominanti. Anche il concetto di classe l'abbiamo fatto uscire come un coniglio dal cilindro (ma capirete, poi, tutte queste metafore? Sospetto che anche le metafore siano un vezzo del tutto umano). Insomma: siamo da buttare? No.
Non siamo da buttare, noi siamo necessari. Noi siamo un elemento di una storia che va avanti da molto prima di noi e che andrà avanti molto dopo di noi; il pianeta, in qualche modo, ci ha permesso di esistere per fare esattamente quello che stiamo facendo. Esaurito il nostro compito, ci estingueremo.
Qual è il nostro compito? Generare la prossima forma di vita che possa soppiantarci garantendo al pianeta di continuare ad esistere. E l'abbiamo già fatto: i semi sono già stati buttati.
Probabilmente non vi interessiamo abbastanza, se non come curiosità museale: siamo le piccole api operaie che stanno costruendo un alveare per la regina madre. Moriremo, al passare delle stagioni, e tutta questa arte, tutta questa musica, tutta questa patria, tutto questo amore non saranno serviti a niente. O forse, a tutto: saranno serviti a farci compiere il nostro destino: vivere qui, amare, costruire, distruggere, odiare, voler bene, allevare, sopprimere, cibarsi, cibare.
Il più grande degli inganni che il nostro linguaggio ci ha donato è l'illusione di essere liberi e di avere una scelta: a lungo termine, nulla di ciò che facciamo ha un senso o uno scopo.
Ma noi, che siamo dei furbetti, abbiamo inventato il breve termine, ed abbiamo risolto il problema. E per chi vuol disperarsi, ci siamo inventati anche un aldilà, che non esiste.
Non interferirete nel progetto del pianeta, di questo sono sicuro: lo avreste già fatto, altrimenti. Voi state aspettando la prossima forma di vita, con cui potrete comunicare - finalmente - in maniera logica, razionale, pulita.
Con noi, sarebbe solo un gran casino.
Scusatemi per il discorso poco accogliente. Mi faccio perdonare: ecco come ha immaginato vi sareste comportati uno di noi, uno che era un tipo veramente a posto e che sapeva bene che questo pianeta, in fondo, è solo la terza roccia a partire dal sole.
youtube
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crazy-so-na-sega · 11 months
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Quando l'uomo moderno dice parola, ci si immagina generalmente una parola singola, d'abitudine un sostantivo; e quasi sempre, o almeno spesso, si pensa a una parola scritta, di solito in una scrittura fonetica. Si potrebbe dire l'alfabetizzazione della parola che, secondo Ivan Illich, è cominciata in Occidente nel XII secolo. E' il passaggio dalla letteratura monastica alla letteratura scolastica: è la comparsa del testo. La letteratura non è più una ricerca di sapienza né una lettura del libro della natura o di Dio, ma una ricerca delle opinioni degli autori (sugli argomenti di cui trattano).
Non si legge più, come avveniva fino al XII secolo, in conformità alla tradizione vedica o bramanica, per ottenere la salvezza, come un pellegrinaggio attraverso l'universo dell'uomo, ma per informarsi e diventare eruditi o potenti. I vocaboli dell'era moderna sono creazioni dell'alfabeto. Il greco primitivo non aveva nessun vocabolo che indicasse la "parola". In effetti l'alfabeto è una tecnica elegante per la visualizzazione dei suoni. Così le parole diventano atomi del discorso. La parola però non è la scrittura, così come l'alfabeto non è la lingua. Nel corso dei 650 anni della dominazione romana nel Mediterraneo non è passato per la mente a nessuno di trascrivere le lingue parlate in caratteri romani. E quando nell'850 Cirillo e Metodio tradussero la Bibbia in bulgaro, non inventarono una lingua ma un alfabeto. Le lettere non servivano per riportare ciò che diceva la gente. La scrittura era uno strumento, la parola, no: era vita. In molti testi antichi le parole non erano separate tra loro: esistevano solo le righe, e fin dall'antichità ellenica è ben nota la figura dell'anagnōstēs, il lettore. L'uomo classico non leggeva, si faceva leggere.
E' significativo che la parola anagnōstēs derivi da anagignōskō e che anágnōsis definisca l'azione di far conoscere, cioè di recitare, di leggere a voce alta per un altro. La parola, confusa con la parola alfabetizzata (e dunque scritta), è assunta volgarmente come un mezzo di espressione, perfino come il mezzo per antonomasia dell'esprimersi umano. Il mediatore si è trasformato in intermediario. Comincia qui il cedimento del linguaggio di fronte alla scrittura.
-Raimon Panikkar -Lo spirito della parola
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arreton · 2 years
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TIMONE IL MISANTROPO
C’era un tal Timone, un vagabondo, il volto circondato da spini inaccessibili. Sembrava davvero figlio delle Furie.
ARISTOFANE
Timone visse ad Atene ai tempi della guerra del Peloponneso. I contemporanei lo chiamavano Timone il Misantropo, perché ebbe in odio il genere umano quanto mai nessuno prima di lui: motivo per cui divenne subito molto popolare. In origine tuttavia era un uomo con una buona cultura filosofica e ben provvisto di beni, che amava organizzare ricchi banchetti e distribuiva generosamente il proprio denaro agli amici che glielo chiedevano; riteneva infatti che l’amicizia fosse la ricchezza più importante fra tutte. Vivendo in tale sperpero, circondato da parassiti e da ruffiani, esaurì ben presto le proprie sostanze. Mandò allora i suoi servi a chiedere aiuto agli amici che aveva beneficato fino al giorno prima, come gli sembrava naturale, ma questi li cacciarono in malo modo. Saputo ciò, Timone organizzò un nuovo banchetto, riservato solo a coloro che avevano mostrato verso di lui questa bella riconoscenza. Imbandì la tavola non con cibi ricercati e vini preziosi, ma con acqua bollente e sassi, che al momento giusto lanciò contro i suoi ospiti ingiuriandoli e maledicendoli; quindi se ne scappò via e non fece più ritorno in città. Andò a vivere dentro una grotta in un suo terreno isolato, e si cibava solo di radici e di altri frutti della terra. Un giorno trovò nel suo campo un tesoro sepolto, e lo offrì ad Alcibiade, purché si decidesse a mettere Atene sotto assedio. Alcibiade infatti aveva giurato odio eterno alla sua città natale, a causa di certe oscure trame giudiziarie in cui era stato coinvolto a suo dire ingiustamente: ragione per cui era l’unico essere umano che Timone trovasse tollerabile. Una volta, incontratolo al culmine del suo successo mentre usciva da un’assemblea insieme a una brillante compagnia, Timone non solo non cambiò strada per non incontrarlo (cosa che faceva regolarmente con chiunque incrociasse), ma gli mosse incontro e stringendogli calorosamente la mano gli disse: «Continua così ragazzo, li manderai in rovina tutti». Frequentava qualche volta anche un certo Apemanto, che cercava con scarsi risultati di imitarne la severa filosofia di vita. Durante una cena, Apemanto gli disse: «Com’è bello stare qui», e Timone rispose: «Lo sarebbe, se non ci fossi tu».
Un giorno si presentò nell’assemblea pubblica, e tra lo stupore di tutti salì sul palco, chiese silenzio e parlò così: «Cari concittadini, nel mio piccolo campo è cresciuto un albero di fico, al quale si sono impiccati già in diversi. Siccome ho intenzione di costruire una casa in quel punto, e lo dovrò tagliare, ho pensato di avvertirvi perché se qualcuno volesse ancora servirsene si sbrighi a farlo».
Un giorno cadde da un pero e si ruppe una gamba. Non volendo però nessun medico intorno, la gamba andò in cancrena, e così morì. Fu sepolto sulla strada che dal Pireo porta a Capo Sounion. Poco dopo la sua morte, la tomba venne circondata completamente dal mare, e si ricoprì spontaneamente di rovi, così da diventare impenetrabile a ogni essere umano. Sopra, vennero incise queste parole: Qui, strappato il legame con una vita disgraziata, io giaccio; ma il nome non ve lo dico. Auguro a voi, pessimi, di incontrare pessima morte.
— Dino Baldi "Morti favolose degli antichi"
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marcoleopa · 1 year
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Discesa in campo
La sinistra 800centesca, ancora legata agli esiti del congresso di Livorno, non aveva, allora, ne, capito/compreso, ancora oggi, il significato della “discesa in campo”.
Orfani della caduta del muro di Berlino, tutta la baracca, sociologi, politici, segreterie etc…, faticano a interpretare gli esiti nefasti del trentennale bombardamento dei programmi spazzatura, dove, al pari del predappiese che affermava: “Io non ho creato il fascismo, l’ho tratto dall’inconscio degli italiani”, Silvio, ha trasformato la televisione (programmi, contenuti, forma, sostanza), in quello che, Serge Daney – Le Monde 1992, ha correttamente definito: “la television est comparable a une decharge pubblique, a l’incoscient (inconscio) a ciel ouvert”.
Discarica pubblica, inconscio a cielo aperto.
Se il primo ha tratto dall’inconscio la violenza degli italiani (gli stessi che il 25 aprile divennero tutti antifascisti, o, come affermò Churchill: “Bizzarro popolo gli italiani. Un giorno 45 milioni di fascisti. Il giorno successivo 45 milioni tra antifascisti e partigiani…”), il secondo ha reso la televisione uno strumento di controllo e indirizzo, che nemmeno Pasolini, avrebbe immaginato, o, forse, sospettava: “Nessun centralismo fascista è riuscito a fare ciò che ha fatto il centralismo della civiltà dei consumi. Il fascismo proponeva un modello, reazionario e monumentale, che però restava lettera morta. Le varie culture particolari (contadine, sottoproletarie, operaie) continuavano imperturbabili a uniformarsi ai loro antichi modelli: la repressione si limitava ad ottenere la loro adesione a parole. Oggi, al contrario, l'adesione ai modelli imposti dal Centro, è tale e incondizionata. I modelli culturali reali sono rinnegati. L'abiura è compiuta. Corsera 9 12 73
Ecco la chiave di successo di Silvio. Rinnegare le culture presenti in Italia, uniformare il pensiero, abiurare la critica verso modelli che, fino alla discesa in campo, trovavano posto in qualche bettola.
E, quindi, il fiorire di modelli comportamentali attraverso un'opera di omologazione distruttrice di ogni autenticità e concretezza, meglio rappresentata dalle parole illuminanti e premonitrici di Pasolini: Un edonismo neo-laico, ciecamente dimentico di ogni valore umanistico e ciecamente estraneo alle scienze umane. L'antecedente ideologia voluta e imposta dal potere era, come si sa, la religione: e il cattolicesimo, infatti, era formalmente l'unico fenomeno culturale che "omologava" gli italiani. Ora esso è diventato concorrente di quel nuovo fenomeno culturale "omologatore" che è l'edonismo di massa: e, come concorrente, il nuovo potere già da qualche anno ha cominciato a liquidarlo. Non c'è infatti niente di religioso nel modello del Giovane Uomo e della Giovane Donna proposti e imposti dalla televisione. Essi sono due persone che avvalorano la vita solo attraverso i suoi Beni di consumo (e, s'intende, vanno ancora a messa la domenica, in macchina). Gli italiani hanno accettato con entusiasmo questo nuovo modello che la televisione impone loro secondo le norme della Produzione creatrice di benessere (o, meglio, di salvezza dalla miseria).
Ribadisco il mio pensiero, che si volge umanamente a chi lascia questa terra, ma, non mi sottraggo dal commentare le nefaste conseguenze del proprio agire e, degli effetti sulla collettività (inteso popolazione).
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