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#Matrimonio Taranto
Spettacoli per grandi e piccini, tutti felici…
Proprio così, tante proposte interessanti di artisti , animatori , maghi, giocolieri, clown, trampolieri a Lecce le aziende di animazione abbondano. Non lasciatevi sfuggire le migliori offerte e trovate uno specialista del divertimento per ogni aspetto delle vostre nozze. Chiunque potrà trovare l’idea vincente e su misura per il tipo di evento che ha in mente! PROPOSTE SPETTACOLI…
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edwin--artifex · 15 days
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VIA APPIA. LA STRADA CHE CI HA INSEGNATO A VIAGGIARE Mostra a cura di Lorenza Campanella e Simone Quilici
Roma, Complesso di Capo di Bove, Parco Archeologico dell’Appia Antica
7 giugno – 1 dicembre 2024
Dal 7 giugno al 1° dicembre 2024 il Complesso di Capo di Bove, al IV miglio dell’Appia antica, ospita una stanza immersiva che accompagna lo spettatore lungo un percorso unico al mondo, tra passato e presente, in un racconto per immagini di grande potenza, costruito con le straordinarie fotografie realizzate da Andrea Frazzetta nel corso del suo viaggio condotto da Roma fino a Brindisi per National Geographic.
Accompagnati in cuffia dal racconto di Giovanni Carrada (autore RAI per Superquark e Noos, esperto nella divulgazione e comunicazione del patrimonio culturale), guidati dalle voci di Francesco Prando nella versione in italiano ed Edwin Alexander Francis in quella inglese, nella proiezione immersiva su doppio schermo, realizzata con la regia di Raffaella Ottaviani, si viene travolti in un coinvolgente percorso tra archeologia, paesaggio, persone e storie. Il viaggio del fotografo diventa il nostro viaggio nella bellezza e nella storia, attraverso un territorio segnato dall’antico ma anche dalla modernità, in un percorso ricco di stimoli che attraversa quattro regioni, collega il Tirreno all’Adriatico, conduce verso Oriente.
Partendo dal basolato romano, affiancato da sepolcri monumentali e resti delle grandiose ville imperiali, si ha l’impressione di ‘entrare’ nelle fotografie di Andrea Frazzetta e di vivere con lui il viaggio lungo i 540 chilometri che separano Roma da Brindisi, tra i restauratori all’opera nella Villa dei Quintili, gli invitati di un matrimonio nella piazza di Terracina, le vivaci scolaresche che si rincorrono tra le colonne di Minturno. Lungo il tragitto ci si perde tra le gallerie dell’anfiteatro di Capua, nelle immense distese di grano della Campania Felix, tra i campi eolici, gli uliveti, le gravine. Si resta incantati dai colori e dalla luce di Taranto e ci si ritrova a ballare la pizzica a Mesagne, per arrivare infine, carichi di emozione, al porto di Brindisi dominato dall’iconica colonna che oggi segna la fine del nostro viaggio ma che apre lo sguardo alla Grecia e all’Oriente, facendoci d’un tratto comprendere tutta la forza della Regina Viarum.
Andrea Frazzetta nasce a Lecce nel 1977. Vive a Milano, dove ha studiato arte e architettura. National Geographic Photographer e contributor di The New York Times, ha lavorato in più di 80 paesi nel mondo. Le sue fotografie sono state pubblicate su National Geographic Magazine, The New York Times, Newsweek, Newyorker, The Times, The Guardian, Der Spiegel, GEO, El Pais, Internazionale, Corriere Della Sera, D di Repubblica, Vanity Fair. I suoi progetti sono stati presentati in festival internazionali di fotografia, tra i quali Arles, Roma, Cortona On The Move, Visa Pour l’Image di Perpignan. Ha ottenuto diversi riconoscimenti, tra cui il Premio Canon Giovani Fotografi, il premio giornalistico internazionale Luchetta, il PDN Photo Annual, l’American Photography, il PX3 (The Prix de la Photographie, Paris). È stato nominato per il World Press Photo Masterclass, il Foam Award, il Prix Pictet, il Leica Oskar Barnack Award. Il reportage “The Life and Death Shift”, realizzato durante la prima fase della pandemia in Italia, come storia di copertina per il New York Times Magazine, è stato insignito nel 2020 del prestigioso Premio Ischia Internazionale di Giornalismo. Andrea Frazzetta è beneficiario del “National Geographic Society’s Emergency Fund for Journalists”. Il suo lavoro sulla Via Appia, pubblicato da National Geographic, ha vinto il premio Lowell Thomas 2023 della Society of American Travel Writers Foundation come miglior progetto multimediale.
L’esposizione è promossa dal Parco Archeologico dell’Appia Antica e dal Ministero della Cultura.
qui una 'preview' senza commento/narrazione ->
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photograph by courtesy of Andrea Frazzetta for National Geographic
The stretch of the Via Appia Antica within the city of Rome. The Via Appia Antica began at Porta Capena, near the Circus Maximus, and continued southward with a linear and easy route until it reached Capua and then Brindisi. For the first 4 km, the ancient roadway is no longer visible and the main monuments can be reached by following the modern Viale delle Terme di Caracalla and Via di Porta San Sebastiano. From the junction with Via Ardeatina, however, begins a long straight stretch of the Roman road exceptionally well preserved and dotted with hundreds of ancient monuments that parade at the edge of the roadway.
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articolo per gentile concessione di:
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ROMA – Giovedì 6 giugno alle 18.00, all’interno del Complesso di Capo di Bove, nel cuore del Parco Archeologico dell’Appia Antica, si apre la mostra immersiva Via Appia. La strada che ci ha insegnato a viaggiare, che ripercorre l’intero tracciato della Via Appia, da Roma a Brindisi, attraverso le straordinarie fotografie di Andrea Frazzetta.
La Via Appia Percorsa nei secoli da legionari, mercanti, viandanti, pellegrini, artisti e letterati, denominata “Regina viarum” dal poeta Stazio nel I secolo d.C., l’Appia è stata la prima vera strada pubblica, un’opera di ingegneria e visione pionieristica che è diventata il prototipo dell’intero sistema stradale romano. Tagliando la penisola italiana nel modo più razionale, l’Appia proietta Roma verso il Mediterraneo e l’Oriente, mantenendo la sua rilevanza sia antica che moderna.
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(c) Andrea Frazzetta, Via Appia Antica, Brindisi
Valorizzazione della Via Appia A quasi dieci anni dal viaggio a piedi di Paolo Rumiz per il reportage 'Alla ricerca dell’Appia perduta' pubblicato su La Repubblica, il tracciato della Via Appia è al centro di un’importante azione di valorizzazione promossa dal Ministero della Cultura. Questo sforzo ha portato al recupero della strada e alla proposta per l’inserimento come sito seriale nella Lista del Patrimonio Mondiale dell’Umanità. Recentemente, l’ICOMOS ha raccomandato la sua iscrizione, che sarà valutata dal Comitato Unesco nella prossima seduta del 21 luglio 2024 a Nuova Delhi.
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(c) by courtesy of Andrea Frazzetta for NatGeo
La mostra immersiva La mostra "Via Appia. La strada che ci ha insegnato a viaggiare" mira a promuovere la riscoperta della Via Appia e a sensibilizzare il pubblico sulla sua unicità. Ospitata nel Complesso di Capo di Bove, al IV miglio dell’Appia Antica, l’esposizione conduce i visitatori in un percorso immersivo e coinvolgente tra passato e presente dell’antico tracciato. Le fotografie di Andrea Frazzetta, realizzate per il reportage di National Geographic 'Reviving the Road to Rome', curato da Nina Strochlic, raccontano la storia della Via Appia con una potenza visiva straordinaria.
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(c) by courtesy of Andrea Frazzetta for NatGeo, 'Reviving The Appian Way', Minturno
Accompagnati dalle narrazioni in cuffia di Giovanni Carrada, con le voci di Francesco Prando per la versione italiana e Edwin Alexander Francis per quella inglese, i visitatori vengono trasportati in un’esperienza visiva su doppio schermo, diretta da Raffaella Ottaviani. Un viaggio visivo e narrativo che esplora l’archeologia, il paesaggio, le persone e le storie lungo il percorso di 540 chilometri che collega Roma a Brindisi.
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(c) by courtesy of Andrea Frazzetta for NatGeo, 'Reviving The Appian Way', Capua
Il viaggio fotografico di Andrea Frazzetta Le fotografie di Andrea Frazzetta catturano la bellezza e la storia del “popolo dell’Appia”, tra passato e presente. Dai restauratori della Villa dei Quintili, agli invitati di un matrimonio nella piazza di Terracina, alle scolaresche tra le colonne di Minturno, ogni immagine è un tassello di questo viaggio affascinante.
SCHEDA INFORMATIVA "Via Appia. La strada che ci ha insegnato a viaggiare." Mostra promossa da: Parco Archeologico dell’Appia Antica – Ministero della Cultura
A cura di Lorenza Campanella & Simone Quilici
Fotografie e video di Andrea Frazzetta
Installazione immersiva Storyline e Testi: Giovanni Carrada Regia: Raffaella Ottaviani Montaggio: Paola Traverso, Il Gigante; Salvatore Strazzanti Colonna sonora: Paolo Modugno, O.A.S.I. studio Speaker: Francesco Prando, Edwin Alexander Francis Allestimento e tecnologie BOTW
Progetto grafico e identità visiva mostra Daniele Zendroni / VisiOnAir Studio
sito web Parco Archeologico dell’Appia Antica (purtroppo solo in lingua Italiano) ->
https://www.parcoarcheologicoappiaantica.it/
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Complesso di Capo di Bove, al IV miglio dell’Appia Antica ->
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naran-blr · 24 days
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Elisa Johanne Rosa Maria Boglino (1905-2002) pintora danesa - italiana.
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Nació en Copenhague, Dinamarca.
El padre era el secretario de la legación Alberto Maioli y la madre, Marie Møller. Sus padres se divorciaron después de un año y medio de matrimonio y ella creció con su madre.
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Ingresó en la Academia de Bellas Artes de Copenhague en 1923, a la edad de 17 años, y en su último año se especializó en la técnica del fresco bajo la dirección de Sigurd Wandel.
Estudió allí de 1923 a 1926.
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Cada año, en primavera, la joven artista partía con su madre en un viaje cultural. Su interés por el arte bizantino y árabe la llevó, entre otras cosas, a Sicilia , donde se casó y se estableció en 1927.
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Al llegar a Sicilia, se enamoró del abogado Giovanni Boglino, nacido en Palermo en 1898, con quien se casó en 1927.
Se trasladó a Palermo junto con su madre. En 1929 tuvo una hija, Marianna, y en 1939 un hijo, Camillo.
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Según una colega de los años en Sicilia, Lia Pasqualina Noto , en los años treinta parece que Boglino se había mudado a Roma donde permaneció hasta su muerte.
Uno de sus cuadros fue adquirido por la Galería de Arte Moderno Sant'Anna (Palermo).
La casa familiar durante la Segunda Guerra Mundial era un viñedo en las montañas al sur de Cefalú, en la costa norte de Sicilia.
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A finales de los años 1930, su marido Giovanni Boglino compró una gran empresa agrícola al sur de Cefalú , antigua abadía benedictina del siglo XII, llamada Sant'Anastasia. Fue allí donde la familia se mudó durante la guerra, viviendo aisladamente. Elisa y su hijo menor enfermaron de tifus. Comenzó a utilizar técnicas mixtas, trabajando con tinta china, gouache y acuarela .
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Expuso ampliamente a lo largo de su vida.
Sus dos grandes frescos ( La Creación y Las Buenas Acciones ) de la anterior residencia familiar en Palermo se perdieron debido a los acontecimientos bélicos, al igual que varios óleos de gran tamaño.
En 1948 la familia se mudó a Roma, donde Elisa abrió un taller en la Piazza di Santa Maria in Trastevere y comenzó a pintar de nuevo.
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En el período 1949-79 expuso sus obras en Dinamarca e Italia (entre otros lugares en Roma, Taranto, Grosseto y Nápoles). Y la última vez en la Bienal de Venecia de 1956.
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Murió en Campagnano di Roma y está enterrada en el cementerio de Sant'Orsola de Palermo.
Le ponemos cara.
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lamilanomagazine · 10 months
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Bloccano la strada con musica dal vivo per festeggiare il futuro matrimonio, denunciati
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Taranto: bloccano la strada con musica dal vivo per festeggiare il futuro matrimonio. La Polizia di Stato ha denunciato mamma e figlio perché presunti responsabili dei reati di occupazione di suolo pubblico e blocco stradale per aver bloccato una strada del centro cittadino con musica dal vivo. In particolare, la Sala Operativa 113 della Questura è stata allertata dagli equipaggi della Polizia Locale che segnalava la presenza di un centinaio di persone che si erano riversate per strada, provocandone il blocco, con musica dal vivo, provocando potenziali turbative per l’ordine e la sicurezza pubblica. Da quanto si è appreso, verificata la presenza dell’impianto audio e della musica ad alto volume, l’evento sarebbe stato organizzato dal futuro sposo e dalla madre per la sposa, lì vicino residente, in occasione del matrimonio che si sarebbe svolto il giorno dopo. Individuati i due presunti responsabili dell’evento, poco dopo l’intervento della Squadra Volante, la musica è stata interrotta, con la liberazione della sede stradale. Sono in corso ulteriori accertamenti per verificare eventuali altre responsabilità. Sempre nella giornata di ieri, nell’ambito dei perduranti servizi predisposti in prossimità delle fermate degli autobus di linea, i poliziotti della Squadra Volante hanno denunciato un 45enne perché ritenuto presunto responsabile del reato di danneggiamento aggravato. Lo stesso, senza un apparente motivo, poco prima aveva danneggiato con un bastone il vetro di un autobus di città. Si ribadisce che per gli indagati vige il principio della presunzione di innocenza sino a sentenza definitiva.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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sciatu · 4 years
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CORTEI DEDICATI A FEDERICO II HOESTAUFEN E FEDERICO III D’ARAGONA.
1297 - LA BATTAGLIA DI FALCONARA TRA FEDERICO III E FILIPPO D’ANGIO’.
Quando a Federico III re di Sicilia riferirono che Filippo d’Angiò Principe di Taranto, aveva levato l’assedio a Trapani e si stava dirigendo a Marsala, decise che quello era il momento opportuno di dare battaglia. Il mare era in tempesta e la flotta Angioina non poteva aiutare il suo principe e quindi lasciò Erice con le sue truppe e si diresse verso Marsala, intercettando nel vallone di Falconara i francesi. Federico non si trovava in una situazione militarmente felice. Dopo i vespri siciliani accaduti quindi anni prima, i francesi erano stati scacciati dall’isola e il Parlamento Siciliano aveva chiamato a governare Pietro III d’Aragona, marito di Costanza Hoestaufen, nipote di Federico II. Morto Pietro III che aveva tenuto saldamente l’isola, il regno passò a Giacomo D’Aragona, fratello maggiore di Federico, il quale, una volta diventato re di Aragona e volendo tornare in Spagna, incominciò a brigare per risolvere il conflitto con gli Angiò proponendo il fratello per un matrimonio con l’erede dell’impero d’oriente. I francesi non accettarono e Filippo si ritrovò abbandonato dal fratello e dalla madre per cui accetto il titolo di re di Sicilia che il parlamento di Palermo gli aveva dato, offeso dal comportamento di Giacomo. Federico restò presto politicamente solo e persino il papa Bonifacio VIII chiese a Giacomo e a Carlo d’Angiò di riportare l’ordine in Sicilia levando di torno Federico e il suo regno. Giacomo si uni agli Angiò e sconfisse il fratello nella battaglia di Capo d’Orlando da cui Federico si salvò a stento. Ricevuti in cambio la Sardegna, la Corsica e una cospicua somma di denaro, Giacomo se ne tornò in Spagna, lasciando il fratellino alla mercè degli Angioini. Carlo, re di Napoli, aveva grandi mire per il figlio Filippo che già vedeva imperatore d’Oriente, per cui preparò un esercito e lo spedì a Trapani per porre fine al regno dell’Aragonese. I Francesi avevano già conquistato buona parte della Sicilia orientale, l’attacco di Filippo nella parte occidentale avrebbe imprigionato Federico a Enna, dove aveva la corte, rendendolo inoffensivo. Saputo però dell’arrivo di Filippo, Federico decise di attaccarlo guidando personalmente l’esercito di nobili siciliani e aragonesi che lo sosteneva. Uscendo da Enna i soldati della città si unirono a lui e nel tragitto fino a Trapani, popolani e piccoli nobili ingrossarono il suo esercito, decisi a non far tornare i francesi nell’isola e fedeli a un re che discendeva dai grandi re Normanni. Vedendo l’esercito siciliano schierato, Filippo predispose il suo collocandosi con i cavalieri provenzali sul lato sinistro del suo schieramento di fronte alle truppe Aragonesi certo che tra loro vi fosse Federico. Nel centro aveva collocato Brolio dei Bonsi con cavalieri napoletani e sull’estremo lato destro il fedele Principe San Severino e gli altri cavalieri francesi. Questi aveano di fronte i principi siciliani, i vari Chiaramonte, Vinciguerra, Polizzi e un gruppo di cavalieri senesi guidati da Farinata degli Umberti venuti in Sicilia a contrastare l’egemonia dei francesi. Di fronte ai cavalieri siciliani si collocarono i fanti e gli arcieri di Enna. Il centro dello schieramento di Federico vedeva i fanti disposti su una unica linea dietro a cui stava Federico con la sua guardia del corpo e pochi cavalieri, mentre alla sua destra e di fronte ai cavalieri provenzali di Filippo, vi erano le truppe aragonesi di Blasco d’Alagona, esperto e ambizioso soldato a capo degli Almogavars. Questi ultimi erano una truppa scelta di origine popolana, temprata dalle guerre contro gli arabi, ricoperti da una cotta di cuoio e armati di due giavellotti corti e una daga, arme alquanto anacronistiche rispetto a quelle dei cavalieri francesi che con la loro armatura di ferro e le temibili balestre rappresentavano in quel momento la migliore evoluzione degli eserciti medievali. Infatti quando Filippo diede ordine di attaccare i suoi cavalieri misero in seria difficoltà gli spagnoli tanto che parvero disperdersi e persino lo stendardo di Blasco D’Alagona sembrò cadere. Vedendo che tra gli aragonesi non vi era Federico, Filippo decise di dirigersi verso i cavalieri siciliani tra i cui stendardi poteva forse esserci quello del re nemico. Fece quindi una manovra che lo obbligo a passare davanti al centro dell’esercito nemico e a voltare le spalle agli Almogavars. In quel momento, vedendo le difficoltà delle truppe aragonesi e i cavalieri siciliani ormai circondati dai nemici, qualcuno suggerì a Federico di fuggire. Lui rispose che l’unica strada che doveva percorrere era quella che aveva davanti a sé. Fece dispiegare il suo vessillo e caricò con i suoi soldati i francesi che gli passavano davanti. I fanti lo seguirono aggredendo i cavalieri provenzali con le poche armi che avevano. Gli Almogavars, da soldati professionisti quali erano si riorganizzarono, si disposero nella loro formazione di attacco a forma di cuneo scagliandosi contro i cavalieri provenzali, usando i giavellotti per abbattere i cavalli e la daga per tagliare la gola ai cavalieri che ormai appiedati, con la lunga spada e la cotta di metallo non potevano sopravvivere nel corpo a corpo. Fu così che i francesi scoprirono un’altra terribile caratteristica degli Almogavars: la ferocia. Il cavallo di Filippo fu abbattuto e gli aragonesi furono subito sopra di lui per ucciderlo. Lui si fece riconoscere e chiese di essere ucciso da un nobile. Arrivò Blasco d’Alagona il quale gli avrebbe volentieri tagliato la testa, ma alla fine preferì prenderlo prigioniero. Il principe San Severino, visto che Filippo era stato catturato e che la battaglia era ormai compromessa  diventando un mischia furibonda dove i suoi cavalieri non avevano nessuna probabilità di sopravvivenza, si arrese. Il giovane Federico salvò così il regno, come avrebbe poi fatto anche negli anni futuri. Fu l’autore di importanti leggi che vedevano dare al parlamento Palermitano e alle autonomie locali più poteri. Come il suo avo Federico II preferì sempre la negoziazione per risolvere gli interminabili conflitti che devastavano la sua isola. Morì giovane ma il suo ricordo resta nelle tante manifestazioni che si svolgono ad esempio a Erice e ad Enna, sul cui castello è ancora alzato il suo vessillo.
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Nuovo post su http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/02/22/la-letteratura-di-viaggio-e-viaggiatori-stranieri-in-puglia-fra-settecento-e-ottocento/
La letteratura di viaggio e viaggiatori stranieri in Puglia fra Settecento e Ottocento
DUE INGLESI ED UN TEDESCO
di Paolo Vincenti
Gli inglesi e il tedesco del titolo sono tre viaggiatori che nei secoli scorsi hanno raggiunto le nostre contrade. Ora, la letteratura di viaggio è un campo sterminato e anche sui viaggiatori stranieri in Puglia fra Settecento e Ottocento vi è una bibliografia talmente vasta che non appesantirò questo articolo, riportandola.
Mi sia concesso solo fare una brevissima introduzione su quell’importante fenomeno che va sotto il nome di “Grand Tour”, e poi mi intratterrò sui tre personaggi che, dei tanti, mi sembrano fra i più interessanti. Il Grand Tour è un fenomeno culturale tipicamente settecentesco.
Con questa espressione si è soliti definire il viaggio di istruzione e di formazione, ma anche di divertimento e di svago, che le élites europee intraprendono attraverso l’Europa fra Settecento e Ottocento. Protagonisti indiscussi del Grand Tour sono i giovani che hanno appena concluso gli studi, e in generale quegli intellettuali che specie nel Romanticismo erano imbevuti di cultura classica e dunque desideravano venire in Italia, come dire alla fonte di quella enorme ricchezza culturale che dal nostro Paese si era irradiata in tutta Europa.
Per i rampolli dell’aristocrazia francese, inglese, tedesca, pieni di cultura libresca ma poco pratici del mondo e degli uomini, il viaggio in Italia si presentava come un’esperienza irrinunciabile, certo indispensabile al fine di perfezionare la propria educazione. Essi vedevano nell’Italia la culla dell’arte e per esteso della civiltà mediterranea, grazie alla storia gloriosa di Roma, a sua volta tributaria della Grecia. E così si mettono in viaggio non solo i giovani, ma anche diplomatici, filosofi, collezionisti, romanzieri, poeti, artisti. Ciò dà origine ad una sterminata produzione, epistolari, diari, reportages di viaggio, romanzi, poesie, e non solo di carattere letterario ma anche artistico, pensiamo al famoso “Voyage pittoresque ou description du Royaume de Naples et de Sicile”, in cinque volumi, che realizzò l’abate francese Richard de Saint-Non tra il 1778 e il 1787, su incarico degli editori Richard e Labord.
Uno dei primi viaggiatori inglesi ad arrivare in terra salentina è Crauford Tait Ramage,1803-1878. Egli dimorava a Napoli come precettore dei figli del console Henry Lushington e, nel 1828, intraprese il suo viaggio nelle province meridionali, visitando il Salento. Rimane affascinato dalla bellezza di Otranto, poiché egli, come moltissimi inglesi dell’epoca, associava il nome di Otranto al romanzo di Horace Walpole ( il quale però non era mai stato ad Otranto)[1].
Nella sua opera “The nooks ad by-ways of Italy”, presso l’Editore Howell, Liverpool, del 1868[2], egli annota tutto quello che vede, catturato dall’irresistibile fascino dei nostri paesi e paesini, e per questo osserva anche la vita quotidiana, gli usi e le abitudini della nostra gente, anche se non sempre si dimostra preciso ed attento, come sottolinea Carlo Stasi a proposito del suo passaggio nel Capo di Leuca[3].
Il suo libro, dedicato al Generale Carlo Filangeri, è un resoconto di viaggio, sotto forma di lettere scritte ad un parente. Le lettere che riguardano la Puglia vanno dalla XXIII alla XXIX.
Come spiega bene il sottotitolo dell’opera, “Vagando in cerca dei suoi antichi resti e delle moderne superstizioni”, il Ramage, pur essendo spirito illuminista, è attirato dalle stranezze, o per meglio dire è attirato dalla suggestione che queste stranezze sembrano esercitare sul nostro popolo. Egli, che si professa materialista, e in effetti è uno storico serio e puntiglioso, trova grande meraviglia e interesse antropologico nel notare la creduloneria, le supersitizioni, l’ignoranza che allignano fra i salentini. Si ferma di fronte al fenomeno delle tarantate, che fa discendere dai culti orgiastici della dea Cibele. Tuttavia, ama la bellezza classica di questi posti. Infatti rimane molto colpito da Lecce e dalla sua architettura barocca, anche se, come già Swinburne, non apprezza la Chiesa di Santa Croce.
Anche il grande poeta Henry Swinburne, infatti, venne nel Regno delle Due Sicilie e visitò la Puglia da Foggia fino a Lecce. Nel suo libro “Travels in the Two Sicilies” del 1783, passa in rassegna tutte le città e i paesi che visita. Parla delle donne che danzano sfrenatamente delle danze bacchiche, a Brindisi, e che egli crede morsicate dalle tarantole, e parla anche di Lecce. Di particolare interesse, il suo disappunto di fronte al barocco leccese e a quello che ne è il monumento simbolo, la Chiesa di Santa Croce, che derubrica a pessimo esempio di commistione fra stili diversi. Lo Swinburne detesta la città di Lecce e la sua architettura, d’accordo in questo con un altro celebre intellettuale, il Riedesel, che è il secondo protagonista del nostro pezzo.
Il tedesco Johann Hermann von Riedesel, barone di Eisenbach, 1740-1785, è un appassionato archeologo che vuole descrivere ai suoi connazionali le antichità classiche dell’Italia. Il suo libro, “Un viaggiatore tedesco in Puglia nella seconda metà del sec. XVIII. Lettere di J.H.Riedesel a J.J.Winckelmann”, è, come dice il titolo, un’opera epistolare, diretta al famoso archeologo Winckelmann[4].
Diplomatico e ministro prussiano, Riedesel aveva conosciuto a Roma e frequentato il Winckelmann, il quale gli aveva fatto da guida nella esplorazione dei monumenti della città. Infatti, e non potrebbe essere diversamente, nella descrizione che il Riedesel fa dell’Italia Meridionale, in particolare della Regione salentina, si avverte l’influenza del Winckelmann. Come detto, in fatto di architettura egli non ama lo stile barocco, che definisce “il più detestabile”, mentre apprezza molto la semplicità delle architetture mediterranee e in particolare delle pajare e dei muretti a secco. “Non restano però estranee al tedesco, acuto osservatore di uomini e cose, la vita economica e quella sociale delle contrade visitate”, come scrive Enzo Panareo[5].
Il suo libro divenne un punto di riferimento in Germania e fu molto letto, anche da Goethe, che lo elogia nella sua opera “Viaggio in Italia”, in cui sostiene di portarlo sempre con sé, come un breviario o un talismano, tale l’influenza che quel volume, per la puntigliosità e l’esattezza delle notizie, esercitava sugli intellettuali.
Janet Ross ,1842-1927, giornalista, storica e autrice di libri di cucina, arriva nel Salento nel 1888. Memorabile il suo incontro con Sigismondo Castromediano, che le racconta la storia della sua vita. Janet Ross pubblicò nel 1889 in Inghilterra le sue relazioni di viaggio in Puglia, in “La terra di Manfredi, principe di Taranto e re di Sicilia. Escursioni in zone remote dell’Italia Meridionale”, successivamente tradotto e pubblicato in Italia col titolo “La terra di Manfredi”[6].
Un racconto davvero interessante, fra lo storico-artistico e l’antropologico, impreziosito dai disegni di Carlo Orsi, compagno di viaggio della Ross, e ripubblicato ancora nel 1978 in Italia col titolo “La Puglia nell’800 (La terra di Manfredi)”.[7] Bisogna dire che la figura del Re Manfredi, come tutti gli Svevi, suggestionava fortemente la viaggiatrice inglese. Nella mentalità dei britannici, infatti, questa era una dinastia eroica, avendo lottato contro il papato.
Nei luoghi visitati – nell’ordine: Trani, Andria, Castel del Monte, Barletta, Bari, Taranto, Oria, Manduria, Lecce, Galatina, Otranto, Foggia, Lucera, Manfredonia, Montesantangelo, Benevento – , la Ross cerca le antiche vestigia di una civiltà, quella appula, ricca di gloriose tradizioni.
Determinante fu il suo incontro con Giacomo Lacaita. Come scrive Nicola De Donno, recensendo il libro curato da Vittorio Zacchino, “L’autrice, che era stata a Firenze, la capitale italiana degli inglesi, ed in Puglia anche l’anno precedente, ci informa che non avrebbe composto il suo libro senza l’incoraggiamento di Giacomo Lacaita, o meglio di sir James Lacaita, come sempre lo chiama. A Leucaspide, presso Taranto, che era la residenza di campagna dei Lacaita, ella rimase ospite per alcuni giorni e di lì il Lacaita le preparò escursioni ed in alcune l’accompagnò, le dette consigli e le suggerì riferimenti culturali. Egli era, al tempo del viaggio, senatore del regno d’Italia ed aveva settantacinque anni.
Nativo di Manduria, laureato in giurisprudenza a Napoli ed introdotto nella buona società cosmopolita della capitale dalla principessa di Leporano, di cui suo padre era stato amministratore, fu impiegato come legale dal consolato inglese, ove strinse relazioni importanti, fece da guida al Gladstone nella sua famosa visita a Napoli, ebbe, probabilmente per ciò, noie dalla polizia borbonica. Riuscì, nonostante tutto, ad ottenere da Ferdinando II un passaporto per l’Inghilterra nel 1851 e non tornò più a Napoli. A Londra fece un nobile matrimonio che gli aprì molte porte, si convertì all’anglicanesimo e naturalizzò, ebbe incarichi presso diplomatici.
E’ quasi certo che venne agganciato dalla diplomazia segreta di Cavour; da vecchio si vantò, a nostro giudizio poco credibilmente, di avere scongiurato lui che l’Inghilterra nel ’60 impedisse a Garibaldi di passare lo stretto e invadere la Calabria e tutto il Napoletano. Dopo l’unità tornò in Italia, fu candidato governativo alla Camera, si riconverti al cattolicesimo e venne fatto senatore.
Acquistò la tenuta di Leucaspide, la restaurò e vi si stabilì. Grandi e piccoli personaggi passavano dalla masseria, la quale divenne un nodo significativo di quei legami post-risorgimentali fra la buona società inglese e il turismo in Italia, di cui il viaggio della Ross fu una manifestazione.
In questo filone si inserisce anche, nel libro, l’incontro a Lecce con il Castromediano e la scoperta che questi era stato assistito in Inghilterra, quando evase dalla nave che lo deportava in America, dalla nonna della Ross. (Il racconto di galera che gli mette in bocca non è però originale: è una parafrasi dell’articolo Da Procida a Montefusco, che il Castromediano stampò nella strenna « Lecce 1881 » dell’editore Giuseppe Spacciante).
Il libro riporta molte annotazioni etniche e demografiche, sull’abbigliamento, su usi e costumi dei pugliesi, sulle fiere e i pellegrinaggi, le superstizioni soprattutto, i riti pasquali, le danze e i canti, ecc. Parla della pizzica pizzica facendo delle descrizioni puntuali ma anche coinvolgenti, nel puro spirito romantico da cui questa viaggiatrice era sostenuta”[8].
Janet Ross è una studiosa davvero attenta. Il contributo demo etno antropologico del suo libro è rilevante, perché ella, nella nostra Terra d’Otranto, annota tutto, fiabe, racconti popolari, superstizioni, riti magici, riporta tre canzoni, “Riccio Riccio”, “Larilà” e “La Gallipolina”, e poi si sofferma sul fenomeno del tarantismo, distinguendo fra “tarantismo secco ” e “tarantismo umido”, sottolineando per il primo l’importanza della presenza dei colori e per il secondo l’importanza dell’acqua nel cerimoniale.
Molto belle e coinvolgenti le descrizioni del ballo della pizzica pizzica che fa alla masseria Leucaspide con i lavoranti di Sir Lacaita. Una personalità davvero interessante, insomma. La Ross, corrispondente del Times, grande viaggiatrice, nel 1867, insieme al marito Henry Ross, un ricco banchiere, si stabilì in Toscana, dove continuò la sua carriera di scrittrice.
In Puglia, ella trova un mondo che non pensava potesse esistere, e se ne innamora. Ecco perché riesce a rendere con tanta efficacia usi e costumi della gente dell’antica Terra d’Otranto.
  [1] Vasta la letteratura su Horarce Walpole, 1717-1797, e sulla sua opera “Il castello di Otranto”, primo romanzo gotico della storia.
[2] Pubblicata in Italia col titolo “Viaggio nel regno delle due Sicilie”, a cura di Edith Clay, traduzione di Elena Lante Rospigliosi, Roma, De Luca Editore, 1966, e poi anche in Crauford Tait Ramage, Vagando in cerca dei suoi antichi resti e delle moderne superstizioni, contenuto in Angela Cecere, “Viaggiatori inglesi in Puglia nel Settecento”, Fasano, Schena, 1989, pp. 37 e segg., e successivamente in Angela Cecere, La Puglia nei diari di viaggio di H. Swinburne, Crauford Tait Ramage, Norman Douglas, contenuto in “Annali della Facoltà di Lingue e Letterature Straniere dell’Università di Bari”, Terza serie, 1989 -90/X, Fasano, 1993, p. 63.
  [3] Carlo Stasi, Uno straniero dal nome strano ed un contadino dall’aspetto sveglio, in “Annu novu Salve vecchiu”, n.9 , Edizioni Vantaggio, Galatina, Editrice Salentina, 1995, pp.72-76.
[4] Johann Hermann von Riedesel ,“Un viaggiatore tedesco in Puglia nella seconda metà del sec. XVIII. Lettere di J.H.Riedesel a J.J.Winckelmann”, Prefazione e note di Luigi Correra, Martina Franca, Editrice Apulia, 1913, poi ristampata in Tommaso Pedio, “Nella Puglia del 700 (Lettera a J.J. Winckelmann)”, Cavallino, Capone, 1979
[5] Enzo Panareo, Viaggiatori in Salento, in “Rassegna trimestrale della Banca agricola popolare di Matino e Lecce”, a.V, n.2, Matino, giugno 1979, p.54.
[6] Janet Ross, “La terra di Manfredi”, Vecchi Editore, 1899.
[7] “La Puglia nell’800 (La terra di Manfredi)”, a cura di Vittorio Zacchino, Cavallino, Capone Editore, 1978.
[8] Nicola De Donno, “La Puglia nell’800 (La terra di Manfredi)”, in “Sallentum”, Anno I, n.1, sett.-dic. 1978, Galatina, Editrice Salentina, 1978, p.138.
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carlocremona · 2 years
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Ricordi di famiglia Matrimonio di Carmen Taranto, con Corrado Taranto (presso Naples, Italy) https://www.instagram.com/p/CYFRgD6qZIM/?utm_medium=tumblr
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Trampolieri per Matrimonio in abito da Sposi
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batman9019 · 3 years
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La verità è che non vado al matrimonio di mia cugina perché ho già prenotato un hotel a taranto, per questo dico sempre che tornerò, perché so, in realtà, quando tornerò. È bello, al centro di taranto e c’è anche una vasca enorme tipo iacuzi, era in offerta. Le ho preso anche già il regalo di Natale, per questo non ho nemmeno una lira al momento. Devo scegliere solo se partire con angelo o andare da solo però ho anche già visto il treno, il 23 mattina. È difficile, è fidanzata e come so, passerà comunque la vigilia dai nonni con tutta la famiglia, però se vorrà, un po’ di tempo questa volta, anche da amici, lo potremo passare insieme. In realtà lo passerei anche diversamente perché mi piace da morire, perché non ho mai smesso di volerla e la vorrò sempre, come ogni lunedì di ogni santa settimana per 8 mesi.
Sai, tu l’altro giorno hai detto ‘mi fa male ormai raccontare come sto veramente e cosa provo’. Mi conosci ed ero indeciso se racontarti quella cosa stamattina o no. Come da fastidio a te, da fastidio anche a me mostrarmi fragile, lo sai benissimo. Mi ha dato fastidio dirti che mi sento stanco, che mi sento sbagliato, o almeno, mi ha dato fastidio all’inizio. Mi rendo conto che alla fine sei l’unica persona con cui riesco a parlare di ste cose tranquillamente e anche se provo un’iniziale senso di debolezza, riesco ad avere da te la giusta comprensione, le giuste parole, la giusta spinta. Che non vuol dire che tu sei la motivazione, perché se domani mattina mi dicessi ‘France esci’ io non uscirei(per questo ti dicevo la cosa di taranto che non sei tu), ma una persona che mi sta affianco. E sul vedersi, quando avverrà, so che faceva parte dei mille modi per darmi un po’ la spinta, perché so, o almeno credo di sapere che non avverrà, ne immediatamente ne più in là. Poi mai dire mai nella vita, è vero, anche perché io sono leggermente imprevedibile, ma la vedo difficilissima.
Ah sì, hai avuto l’ansia per 5 minuti con bestemmie e altro? Così impari a leggere😂ti stavo perculando all’inizio 🖕🏼. Brutta stronza nana che non sei altro
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karassiopoulos · 3 years
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Quando mi chiedevano durante una serata o un party "Quand'è che hai cominciato?", rispondevo con la frase di una canzone di Dj Gruff " Ho iniziato tanto di quel tempo fa, che manco mi ricordo più.."
Ma io ricordavo eh, io non mi ero dimenticato nulla.
Ma stamattina, mmm stamattina guardando questa foto, ecco guardando questa non foto non mi ricordo cosa si prova a toccare un vinile che gira. Non sono passati mille anni, sono "solo" tre anni che non metto un disco in una consolle, e sta sensazione di pace che mi dava "suonare" la sento un po' distante sai.
La vita è strana.
Trent'anni passati con la musica ed ero arrivato ad un punto in cui, il nome, la mia musica, mi presentavano. Non serviva dire "Salve sono Dj Morph, questo sono io, questa è la mia musica", ormai c'era un surplus dire che ci fossi io a suonare, quello tatuato con la barba con quella faccia sempre seria era per forza Morph, poi se la musica ti svuotava il cervello e ti portava in alto, era sicuramente Morph che suonava.
Avevo uno strano vizio, che oggi posso spiegare, visto che ci ho pensato a lungo in questi anni, rallentavo sempre un po' la traccia. Ti senti un po' padrone del tempo quando puoi fare certe cose, io rallentavo i dischi per rallentare la mia vita, e sì, a volte cerco di dare un esempio di cosa volesse dire essere Morph, e Valerio Vama mi è testimone di questo esempio, open set a Lequile, ospite a Brindisi ad un party, di corsa sotto il diluvio verso Taranto per la serata con Tormento dei Sottotono, e poi afterhours a Campobasso. Ma ero sereno.
Oggi sarà un po' il tempo incerto, mi sento incerto anche io, e al di là di ogni foto di ogni sguardo nei miei selfie, ritrovo un uomo arrabbiato. Odio dover spiegare, odio dovermi arrampicarmi di nuovo in questa vita, mi ero posizionato in un posto che mi stava comodo, sceglievo dove svegliarmi, anche se per la maggior parte delle volte mi svegliavo sul sedile posteriore della mia macchina, ora mi costringo ad una vita "normale" e l'unica via d'uscita è scrivere. Scrivo per farti capire che nonostante tutto c'è un conflitto interiore. Io volevo essere un dj, ero bravo a scrivere lo so, ma era quella la mia strada, e non riesco a capire amic* mi* come si possa strappare qualcosa di vivo dal proprio corpo. Spesso faccio dei sogni, mi riportano in consolle, sogno ed ho la musica alta nelle orecchie, mille persone davanti e sono sereno, ho la certezza che se abbasso un cursore tutti si fermano, mi sento Potente. Poi mi sveglio, la musica si abbassa, lascia posto al ronzio nell'orecchio sinistro, sono a buio in camera mia, solo.
"E per far passare il ronzio cosa fai?"
Scrivo.
Ci metto amore, rabbia, il 100% di me.
Levo ogni cosa che potrebbe nascondere chi sono.
Magari fosse un profilo costruito ad hoc per attirate follower attraverso storie scritte a tavolino. No. Qui c'è sangue e anima messi su un giradischi, io appoggio puntina e tutto comincia, comincia su un foglio, sullo schermo del telefono o del pc.
Ogni tanto metto le cuffie, quelle vecchie, quelle di mille serate, sanno di strada, di migliaia di km in macchina da solo, di albe, tantissime albe, di pochissime mattine, di studi di registrazione, di telefono che non smette di suonare, che per fortuna c'era Marco, e c'era Silvano, Silvano era sempre con me, la mia ombra, la mia spalla forte, quanto è diventato bravo Silvano ragà, e c'era Paolo, conosciuto una domenica mattina, avevo 39 di febbre e dovevo fare un matrimonio ad una coppia giapponese, per fortuna che c'era Paolo. Vedi la mia vita era questa ma non te la so spiegare fino in fondo, la mia dovrebbe essere questa, ma non so perché il destino ha deciso o ha voluto che cambiassi vita. E mi chiedi cosa mi manca? Mi manca Marco, Silvano, Paolo, le decine di migliaia di occhi che ti guardano mentre fai la cosa per te più naturale del mondo, mi mancano gli occhi dei quasi diciottenni che ti vedono arrivare perché sarai il dj della loro festa, mi manca dormire poco, mi mancano i ragazzi degli autogrill di mezza Italia che ti chiamavano per nome, quelli di "Antò il solito?", mi manca volare, arrivare in una città e sentirmi coccolato.
Ed ora scrivo, scrivo per non impazzire spesso, scrivo d'amore almeno per calmare te, per far si che tu possa avere uno spiraglio di luce su questo social, tra mille stronzate condivise, tra calciomercato, vaccini si vaccini no, e tanto altro, provo a rasserenare te mentre dentro provo a domare quel drago, e a tenere a bada la tigre, ma sono animali difficili, nati liberi, ed incatenati da un destino che ancora non capisco, e allora indosso le cuffie, alzo il volume e certo di fare stare zitto tutto, tutti, cerco di far sparire il ronzio nell'orecchio, e per un'ora cerco di far sparire anche me, tra le note di un mio dj set.
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gentile-wedding · 3 years
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visfotovideo · 3 years
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Durante questa caldissima e torrida estate c’è stato un solo giorno in cui la pioggia è scesa copiosa, esattamente dieci giorni fa, durante il matrimonio di Roberta e Massimo. Avevano previsto una bellissima cena all’aperto, nella corte di @amastuola illuminata a festa per l’occasione. I due sposi non si sono persi d’animo e grazie all’aiuto e ai consigli del mitico @labfestena tutto è andato per il verso giusto e la festa è stata fantastica! Il cielo plumbeo e le distese di prato verde non richiamano un po’ il paesaggio inglese?!?! 😆 #iohosceltovisstudio #visstudio #weddingrain #weddingday #amastuola #masseriamastuola #weddingpuglia #pugliawedding #matrimonioipuglia #weareinpuglia #pugliastateofmind #lasposa #sancataldo #cattedralesancataldo #taranto (presso Masseria Amastuola Wine Resort) https://www.instagram.com/p/CR03bvnAWqm/?utm_medium=tumblr
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cinziacreazioni · 4 years
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Nuovo post su https://is.gd/PwKocM
Francavilla Fontana, città mariana per vocazione. Gli Imperiali e la chiesa di Santa Maria delle Grazie
1. Chiesa di Santa Maria delle Grazie (XVII secolo) (Foto di Alessandro Rodia)
  di Mirko Belfiore
Francavilla Fontana, città mariana per vocazione, contava ben nove luoghi di culto dedicati alla Vergine: chiese, complessi conventuali, santuari o piccole cappelle rurali, sparse fra il centro abitato e l’agro circostante. La constatazione di così numerosi siti religiosi dedicati a questa forma di devozione non deve risultare eccessivo, se si vanno a rintracciare tutte le chiavi di lettura di un contesto storico e antropologico così eterogeneo.
Il punto di partenza è sicuramente rappresentato dal mito fondativo, radicatosi fin dai primi anni del XIV secolo. Esso si basa su una tradizione che affonda le sue origini nel “miracoloso” rinvenimento di un’icona bizantina raffigurante la Vergine Odighítria (colei che conduce) e che sempre secondo la tradizione venne ritrovata in una chiesa diruta, durante una battuta di caccia a cui prese parte Filippo I d’Angiò principe di Taranto (14 settembre 1310).
Il culto di questa specifica iconografia cristiana ebbe molta fortuna in Puglia fin dai tempi della dominazione bizantina e in particolar modo fra la Valle d’Itria e il Salento. Questa affermazione è suffragata dalle molte analogie che la leggenda francavillese possiede con altri miti fondativi dell’area (es. Madonna della Scala di Massafra e la Vergine di Cerrate) ma deve essere comunque letta insieme a quella strategia di ripopolamento con fini giurisdizionali, di difesa e fiscali, voluta dalla dinastia angioina e volta a circoscrivere in aree più logisticamente accessibili, tutte quelle comunità “disperse” nei casali disseminati lungo l’Ager Uritanus.
Un disegno feudale ben orchestrato che venne realizzato tramite l’azione congiunta di due manovre politiche: da una parte, creando una narrazione leggendaria “in serie” che potesse fare da richiamo e spingere le popolazioni interessate a spostarsi verso il nuovo centro, dall’altra garantendo alle stesse una sequela di esenzioni in materia fiscale con l’aggiunta di concessioni e privilegi, da qui il toponimo “Franca-Villa”.
La sintesi architettonica di tutto questo processo è sicuramente da ricollegare nelle linee e nei volumi della Collegiata del Santissimo Rosario (modificata in quelle che erano le forme tardomedievali con gli stilemi baroccheggianti allora in voga, perché ricostruita dopo il terremoto del 1743), dove ancora oggi si conserva la succitata icona bizantina che, seppur controversa dal punto di vista storico-artistico, rimane sicuramente l’emblema principe della profonda devozione mariana del popolo francavillese e di quel lungo processo insediativo poc’anzi accennato.
Da non dimenticare l’apporto e il ruolo che ebbero gli ordini mendicanti nella costruzione di alcune strutture ancora oggi riscontrabili nel tessuto urbano, come i Frati francescani e i Padri carmelitani. Essi ubicarono le loro rispettive “case” fuori le mura cinquecentesche e fondarono con l’apporto feudale e il sostegno della popolazione due importanti complessi conventuali: Santa Maria del Carmine e Maria Santissima della Croce.
A tutto ciò, infine, dobbiamo aggiungere come fosse pratica diffusa invocare l’intercessione della Madre di Dio contro ogni tipo di calamità. Anche in questo caso non mancano gli esempi nelle comunità circostanti, una fra tutte Taranto, dove la Vergine venne eletta a patrona della città dopo i terremoti del 1710 e del 1743.
A Francavilla, la comunità innalzò piccoli siti devozionali come manifestazione religiosa e segno di fede, realizzati o sul luogo dell’accadimento stesso o in aree extramoenia che poi finirono per essere inglobate nel centro abitato in espansione: la chiesa di Santa Maria dei Grani, posta sulla strada per Villa Castelli, la chiesetta della Madonna degli Ulivi, sita nell’antico quartiere di Casalvetere e la piccola cappella della Madonna della Neve, incastonata nel centro storico. A conclusione di questo breve excursus trovo interessante menzionare un edificio che, oltre a sottolineare il rapporto fra la famiglia feudale degli Imperiali e il culto della Vergine, rappresenta un unicum architettonico poco approfondito fra quelli presenti: la chiesa di Santa Maria delle Grazie.
2. Madonna della Fontana (Icona bizantina, XIV secolo, affresco, Francavilla Fontana, chiesa Matrice).
  Il suo nome è legato a uno dei tanti eventi “miracolosi” che costellano la storia dell’abitato francavillese e che trova come protagonista un membro di quella dinastia feudale di origine genovese che per più di due secoli governò la città e l’area circostante: Aurelia Imperiali.
Nacque nel 1646 dal matrimonio fra Brigida Grimaldi e Michele II, primo principe di Francavilla e quarto marchese di Oria, e venne data in sposa a solo 16 anni (1662) all’ottavo duca di Martina Franca, Petraccone V Caracciolo, esponente di una delle più importanti dinastie nobiliari del Meridione.
Quest’unione matrimoniale presenta i classici connotati di un vero e proprio disegno dinastico, volto a stringere legami non solo di sangue ma anche di borsa con le famiglie più prestigiose del Vicereame napoletano. Parte di quella cospicua componente genovese radicatasi nel Mezzogiorno d’Italia, il casato degli Imperiali seppe ritagliarsi un ruolo di forza in un dei mercati fra i più prolifici del Sistema Imperiale spagnolo, anche legando i propri interessi a dinastie potenti e influenti come i Caracciolo, che potevano favorire un più rapido inserimento nel substrato sociale regnicolo.
Gli stessi Caracciolo avevano dignità di nobiltà fra i Sedili di Napoli (Seggio di Capuana), organo amministrativo a cui anche la famiglia Imperiali assurse autonomamente il 4 gennaio del 1743. Il raggiungimento di questo traguardo sociale decretò il compimento di un altro disegno di integrazione che li vide protagonisti nel Sud Italia fin dalla seconda metà del XVI secolo, evento quest’ultimo, suggellato dal trasferimento dei principi Michele IV ed Eleonora Borghese nella capitale partenopea. Al contempo non dimentichiamo che queste nozze portarono una boccata di ossigeno agli stessi Duchi di Martina Franca, i quali ricevettero in dote una cospicua somma (60.000 ducati), reimpiegata in buona parte per coprire i numerosi debiti contratti con l’acquisto del feudo di Mottola.
A differenza delle altre leggende cittadine, che in maniera diffusa vanno a comporre la genesi di alcuni degli eventi e degli edifici più rilevanti di Francavilla, la narrazione che vede protagonista la principessina Aurelia rimane una delle vulgate fra le più enigmatiche.
Poco dopo aver lasciato la città, la carrozza che conduceva lei e il suo seguito venne ostacolata lungo il suo percorso da un terreno paludoso particolarmente insidioso; Ed è proprio in questo frangente che la leggenda si fonde con il misticismo, perché solo grazie all’intercessione della Vergine Maria, il gruppo di viaggiatori poté scampare da morte certa visto il gravoso pericolo accorso. Che verità e mito vadano a confondersi con la visione fortemente cristiana della quotidianità dell’epoca, questo non deve sorprenderci, visto che molti sono quegli elementi che possono far presupporre come questa piccola “epopea” possa essere stata creata ad hoc come possibile tentativo di “santificazione” di un’area ben precisa. Il sito dell’accadimento miracoloso si ricollega indubbiamente al luogo dove oggi sorge l’edificio, posto lungo una delle vie di comunicazione che portano all’insediamento di Ceglie Messapica (Viale delle Grazie) e a meno di un chilometro da una delle porte di accesso delle mura settecentesche (Porta Cappuccini o Porta Nuova), il tutto inserito lungo la direttrice che conduce a Martina Franca.
Per quanto riguarda il contesto temporale, grazie a una serie di disegni conservati presso l’Archivio di Stato di Napoli e di probabile mano dello scultore francavillese Carlo Francesco Centonze, possiamo inserire il tutto in un lasso di tempo compreso fra la prima metà e la seconda metà del XVII secolo, nella fattispecie tra il 1649 e il 1662. Ciò comunque non dissipa i dubbi sulle suddette tempistiche, visto che tra la possibile fase costruttiva e la narrazione stessa i tempi non coincidono, dal momento che alla prima data rilevata (1649) Aurelia non aveva che solo 3 anni.
Bisogna aggiungere poi che dall’analisi dei suddetti prospetti, i dubbi che essi non siano dei veri e propri progetti ma dei rilievi di qualcosa di già esistente, aumentano inevitabilmente gli interrogativi in materia. Ragionando in maniera del tutto ipotetica, possiamo provare a dire che o il mito si sia sviluppato successivamente all’edificazione della struttura o che lo stesso nasca e si perda fra i meandri della tradizione cittadina come parte di quel gruppo di racconti difficilmente verificabili.
Se invece vogliamo rintracciare elementi a sostegno della veridicità della narrazione possiamo constatare alcuni dati fattuali. In primis, le croniche difficoltà che i viaggi dell’epoca erano soliti avere, il fatto che la stessa Aurelia si recò frequentemente a Martina Franca o viceversa a Francavilla in visita ai suoi familiari e infine, che l’area in cui l’edificio si posiziona presenta tutte le caratteristiche morfologiche dei terreni argillosi, condizione quest’ultima che viene avvalorata non solo dall’idrografia dell’agro francavillese, particolarmente ricca di falde acquifere, ma anche dalla presenza del Canale Reale, posto a pochi km dal luogo preso in esame e che all’epoca contava su di una portata sicuramente più consistente di quella attuale.
Tutto questo discorso storico-dinastico, seppure molto interessante, non può distogliere dal forte fascino che questo piccolo gioiello architettonico alimenta, se valutiamo anche il contesto feudale e artistico in cui esso si generò. A sostegno della commissione artistica voluta da Casa Imperiali, possiamo evidenziare di come il Centonze, scultore e progettista molto attivo in Terra d’Otranto, lo si possa ricollegare anche alle famose vedute a “volo d’uccello” realizzate nel 1643, sempre su commissione di Michele II, e che ritraggono le Terre di Francavilla, Oria e Casalnuovo, documentazione quest’ultima che conferma ulteriormente l’attività dell’artista presso la corte feudale.
Ciò che stupisce più di tutti è sicuramente la struttura, un’inedita pianta ottagonale sviluppata su due livelli, su cui poggia l’elegante cupola, chiusa in alto da un sobrio lanternino cieco. L’ampio tamburo si posiziona su di un basamento leggermente aggettante, da cui si dipana un piccolo ballatoio perimetrato da una ringhiera in metallo. Due eleganti scalinate poste sul lato sud mettono in collegamento l’edificio con il piano strada. A questo livello si aprono le quattro aperture con arcate a tutto sesto che in maniera simmetrica si raccordano con la serie di portali posti al primo piano, racchiusi fra eleganti cornici quadrangolari con motivi alla greca. A rendere il complesso meno compatto contribuiscono sia le quattro nicchie contenenti statue di santi che le quattro monofore strombate, decorazioni che con la loro semplicità regalano armoniosità al prospetto.
Nella ricostruzione della genesi costruttiva del plesso bisogna tenere a mente di come il progettista o i progettisti, tennero sicuramente in considerazione l’opera di Sebastiano Serlio: “I Sette libri dell’architettura” (XV secolo). Questo trattato di architettura ebbe molta risonanza all’epoca e grazia alla sua ampia tiratura a stampa, ebbe la capacità di diffondere con uno stile pratico e facilmente assimilabile oltre che gli schemi della tradizione classica anche gli elementi di novità portati dalla moderna architettura quattro-cinquecentesca, risultando molto utile nel reperire tipi di strutture non molto diffuse in determinate regioni. Seppur interessante per la comprensione dei motivi che portarono alla costruzione di questo edificio, bisogna sicuramente ridimensionare l’ipotesi dello studioso Giorgio Martucci, il quale ipotizza l’utilizzo di questa struttura come mausoleo dove raccogliere le spoglie dei defunti di Casa Imperiali.
Ciò non può trovare riscontro, visto che le fonti d’archivio attestano con certezza di come l’antica chiesa dei Padri francescani conventuali (poi intitolata a Sant’Alfonso Maria de’ Liguori) ospitasse la cappella di Sant’Antonio, oggi non più identificabile ma che durante il governo feudale, accolse alcune importanti figure come: Michele II (morto nel 1664), Andrea I (1678), Michele III (1738) con sua moglie Irene Delfina Simiana, e Michele IV (1782).
A ciò dobbiamo aggiungere di come altri luoghi situati lontani dai feudi atavici, divennero l’ultima dimora di altri componenti: Andrea II (1734, Santuario dei Padri agostiniani a Pianezza, Torino), Davide I (1575, Abbazia di San Benigno, Genova, oggi scomparsa) e i Cardinali Lorenzo (1673), Giuseppe Renato (1737) (Chiesa di Sant’Agostino, Roma) e Cosimo (1764) (chiesa di Santa Cecilia in Trastevere, Roma).
3. Palazzo ducale di Martina Franca (XVII secolo)
3. Palazzo ducale di Martina Franca (XVII secolo)
  Lo studio qui intrapreso vuole essere punto di partenza per un’analisi più approfondita del tempio religioso in questione, con lo scopo di fare un po’ di luce su alcuni dei quesiti ancora esistenti, uno su tutti la scelta costruttiva che ha portato all’utilizzo della pianta ottagonale. Questo tipo di configurazione architettonica si inserisce nel nugolo di quegli edifici a pianta centrale tanto diffusi in Italia, ma che in un’area come quella salentina presenta una certa unicità, ancor di più se osserviamo un territorio come la Terra d’Otranto.
A noi francavillesi, che fra i tanti capolavori del nostro cospicuo patrimonio artistico abbiamo ereditato anche quest’insolito quanto straordinario edificio, non rimane che perseguire l’importante compito di salvaguardia e valorizzazione che ci aspetta.
L’obiettivo che ci dobbiamo prefiggere non deve rimanere esulato solo al riappropriarsi di un bene culturale così importante, ma deve diventare uno degli elementi imprescindibili dell’offerta turistica locale, la quale potrà avvalersi della fruizione di questa struttura per poter meglio spiegare come Francavilla divenne vero centro pulsante di tutta la Terra d’Otranto, punto di incontro fra le province del Nord e del Sud della Puglia e sede di una delle corti fra le più vivaci di tutto il Regno di Napoli.
4. Prospetto_ pianta datata 1649_ particolare delle scalinate (Carlo Francesco Centonze, XVII secolo, Napoli, Archivio di Stato).
  APPENDICE DOCUMENTARIA
Archivio di Stato di Napoli (=ASN), Allodiali, I serie, Inventario delle carte del già “Archivio de Stati Allodiali esistenti in detto archivio”, f. 42, cc. 16,18,26.
BIBLIOGRAFIA
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L. Petracca, Un borgo nuovo angioino di terra d’Otranto: Francavilla Fontana (sec. XIV-XV), Congedo editore, Galatina 2017.
V. Basile, Gli Imperiali in terra d’Otranto. Architettura e trasformazione urbane a Manduria, Francavilla Fontana e Oria tra XVI e XVIII secolo, Congedo editore, Galatina 2008.
F. Clavica, R. Jurlaro, Francavilla Fontana, Mondadori Electa, Milano 2007.
S. Serlio (Autore), F. P. Fiore (a cura di), L’architettura: i libri 1º e 7º. Extraordinario nelle prime edizioni, Edizioni il Polifilo, Milano 2001.
G.D. Oltrona Visconti, Imperialis Familia, con la collab. di G Di Groppello, Piacenza 1999.
V. Ribezzi Petrosillo, F. Clavica, M. Cazzato (a cura di), Guida di Francavilla Fontana. La città degli Imperiali, Congedo editore, Galatina 1995.
G. Martucci, Carte topografiche di Francavilla Fontana, Oria e Casalnuovo del 1643 e documenti cartografici del principato Imperiali del secolo XVII, S.E.F., Francavilla Fontana 1986.
E. Male, L’arte religiosa nel ‘600: Italia, Francia, Spagna, Jaca book, Milano 1984.
R. Colapietra, I genovesi in Puglia nel ‘500 e 600’, in “Archivio Storico Pugliese”, Bari (XXXV) 1982.
M. Manieri Elia, Architettura barocca, in “La puglia tra barocco e rococò”, Electa, Milano 1982.
A. Foscarini, Armerista e notiziario delle Famiglie nobili, notabili e feudatarie di Terra D’Otranto (oggi province di Lecce, Brindisi e Taranto) estinte e viventi, edizioni A. Forni, Bologna 1971.
L. Giustiniani, Dizionario geografico ragionato del Regno di Napoli, editori Vincenzo Manfredi e Giovanni de Bonis, Napoli 1797-1805, ristampa anastatica Bologna 1969-1971, libro IV.
D. Gallo, Origine e vicende della città di Massafra, Off.na Cromotipografica Aldina, Napoli 1914.
H. Delhaye, S. I. Bollandis, Le leggende agiografiche, Firenze 1910.
P. Palumbo, Storia di Francavilla Fontana, Lecce 1869, ristampa anastatica, ed. Arnaldo Forni, Bari 1901.
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carlocremona · 2 years
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Potenza della tecnologia, ridare colorenal bianco e nero Matrimonio di zia Carmela Taranto Belfiore Con Raimondo (Dino), Maria , Ciro, Maria (piccola) ed @annamaria.salomone (presso Naples, Italy) https://www.instagram.com/p/CYFP71iqOZ-/?utm_medium=tumblr
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