#Partito Radicale
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gregor-samsung · 5 months ago
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" Nella grande stanza dove dormivamo, con la culla vicino al letto perché Anita potesse ninnarmi se mi svegliavo durante la notte, c’era sempre un braciere acceso con i carboni del camino. Ma a parte la zona più prossima a esso, il resto della stanza era così freddo che certe volte le lenzuola nei letti erano diacce fino a sembrare bagnate. Di quei tempi felici, mi è rimasto in casa, come una reliquia, un vecchio scaldaletto di legno: una piccola arca con quattro piedi puntuti, brunita al centro dai cerchi di calore lasciati dalle padelle di carboni accesi. Dieci minuti di quel meraviglioso strumento, e il letto diveniva dolcemente vaporoso: un luogo di delizie e di brividi, dove era bello abbandonarsi. Ma la mattina, dicevo, nella stanza faceva freddo, e il calore del braciere era insufficiente a scaldare; allora Anita mi cambiava con mani esperte e cantava una canzoncina che si adattava alle mie proteste. Faceva così: Pirulì Pirulì piangeva, voleva l’insalata, la mamma non l’aveva, Pirulì Pirulì piangeva. A mezzanotte in punto, passò un aeroplano e sotto c’era scritto, Pirulì Pirulì sta’ zitto. Alla fine della canzoncina, io ero già stata cambiata e rivestita per l’essenziale, ed ero pronta a fare la colazione. "
Mariateresa Di Lascia, Passaggio in ombra, Feltrinelli (collana I Narratori), 1995¹; p. 20.
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unita2org · 2 years ago
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FINALMENTE MARCO RIZZO GETTA LA MASCHERA... E' UN ROSSOBRUNO COME LA SUA BANDIERA DIMOSTRA DA TEMPO
Bandiera di Marco Rizzo con una fascia nera sulla parola comunista Marco Rizzo e il fascista Gianni Alemanno uniti nella lotta antiproletaria di Redazione Si è svolto a Roma il 26 novembre 2023 un incontro tra ciò che rimane del “partito” dell’ex Lotta Continua e cossuttiano Marco Rizzo e ciò che rimane dei fascisti di Gianni Alemanno, che vanno dal Movimento sociale di Almirante a Ordine…
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colonna-durruti · 3 months ago
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Pierluigi Bersani
“Vorrei rispondere io alla domanda fatta a Prodi dalla giornalista e perché no anche a Meloni.
Ernesto Rossi, liberale, azionista e fondatore del Partito Radicale, nel manifesto di Ventotene ha scritto che a seconda delle circostanze la proprietà privata potrà essere abolita, corretta o limitata. È quello che dice l'articolo 42 della nostra Costituzione.
Tanto è vero che, cara Meloni, non abbiamo forse abolito la proprietà privata della produzione elettrica negli anni Sessanta?
Non l’abbiamo estesa negli anni Novanta con le privatizzazioni?
Non l’abbiamo limitata o corretta tutti i santi giorni quando diciamo che in un settore economico non può esserci una posizione dominante o quando diciamo che chi ha un pezzo di terra non è detto che possa costruirci su un palazzo?
Allora, cosa resta di questa storia?
Resta la vergogna di una presidente del Consiglio che parla come se fosse nella sede di CasaPound e non in Parlamento. Che mette in ridicolo una persona che si è fatta nove anni di galera più quattro di confino a Ventotene senza aver fatto nulla se non aver pensato e detto quello che pensava.
Io ho sentito tanti da sinistra dire che rispondendole siamo caduti nella trappola, che era invece il momento di dire che Meloni e Salvini hanno litigato.
Ma il giorno che questi sputano sulla Costituzione, devo chiedere a Meloni: come stai con Salvini?
Qui non abbiamo ancora capito dove, passo dopo passo, ci portano questi qui”.
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abr · 7 months ago
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Sono vecchio abbastanza per ricordare quando la Corte Penale Internazionale è stata istituita. Non mille anni fa, nel 2002.
Era finita la guerra dei Balcani. C'era da mettere al gabbio Karadzic e Milosevic e un po' di altri che se lo erano ampiamente meritato. Io ero allora radicale e ricordo il nostro entusiasmo, e l'impegno che, nel suo piccolo, il Partito Radicale aveva messo per arrivare a questo risultato. Sembrava l'alba di una nuova era, una in cui i conflitti si sarebbero decisi con delle sentenze e non delle guerre. Oggettivamente, con minima sensatezza, dovevamo già sapere che era un'idea fessa.
I processi si fanno dopo le guerre, a quelli che le hanno perse (specialmente se sono dei criminali). Ad ogni modo, era tutta una festa questa creazione liberal utopica, che fu rovinata soltanto da un dettaglio. Gli Stati Uniti non aderirono, non ci pensavano nemmeno. Ma come, caspio, pensavamo noi. Il grande paese-guida del mondo libero, la più grande democrazia del mondo, si mette contro un processo liberale e democratico così cristallino e limpido. Pannella era indignato. Io che sono sempre stato pannelliano, ma un filo più realista, avevo un 1% di sospetto che gli americani e Israele non fossero del tutto scemi. Forse i coglioni eravamo noi.
Una corte penale si regge sulla forza di far rispettare le sue sentenza. E ha un senso solo in uno stato democratico. Una corte iraniana, o comunista non fa nessuna giustizia. Oggi che la Corte Penale Internazionale è diventata come l'ONU, la sua casa madre. Oggi che il suo procuratore e il suo presidente sono due arnesi iraniani, oggi che ci stiamo arrovellando da un intero su un caso intero montato dall'Iran per interposto Sudafrica.
Oggi che chiamiamo processo una controffensiva ibrida-giudiziaria che ha il solo scopo di rispondere alla disfatta di Hamas, è evidente che gli Stati Uniti e Israele ci avevano visto più lontano. Pannella si era innamorato di una coglionata pericolosa. Proprio come l'adesione della Turchia e di Israele all'UE (due catastrofi assicurate, per ragioni differenti, che avevo capito persino io).
Sulla Bonino, che ancora oggi è amica di Karim Khan e lo difende, stendiamo un velo pietoso. È la manifestazione corporea di decenni di battaglie buttate e di piccole porcheriole che non erano quello che sembravano, camuffate sempre peggio.
La Corte Penale Internazionale, ormai strumentalizzata e diventata uno strumento di guerra con altri mezzi, ha ucciso il nostro sogno ma soprattutto ha ucciso se stessa. Che forse è l'unica buona notizia.
La corte penale internazionale, infettata e piegata, non è più una corte di giustizia. Nessuno ha più nulla da aspettarsi, se non qualche sgambetto politico. Qualche piccola offensiva non convenzionale dell' asse che la domina. Giustizia, no di sicuro. La ICC è finita, il cielo su di lei è molto nuvoloso.
Tra otto settimane è garantito che i suoi membri avranno modo di scoprire che, azzerato il bel sogno della giustizia mondiale, quello che resta è la forza. E loro, fuori da quel teatrino triste, non sono i più forti. Good luck with that. Era un sogno che poteva esistere perché tutti ci credevano. Non ci crede più nessuno. Meno di tutti quelli che l'hanno uccisa. È durata vent'anni. Un soffio, nemmeno troppo bello.
Toni Baruch, https://x.com/Tonibaruch/status/1859638225427628448
Applausi scroscianti, sipario.
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raffaeleitlodeo · 5 months ago
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I commenti da sinistra alla serie M che sto leggendo in giro sono francamente desolanti. C'è un punto storico che a quanto sembra non si vuole proprio vedere e che invece sia il libro sia la serie evidenziano in modo importante, ed è che Mussolini non si è fatto da solo, manco per niente. Mussolini è stato scelto, è stato scelto dallo Stato liberale, ed è stato scelto dal padronato dell'epoca, ed è stato scelto perché Mussolini aveva tradito il socialismo, nessuno meglio di un traditore poteva fare il loro gioco. Mussolini non sarebbe mai stato Mussolini se non avesse prima di tutto fatto carriera nel Partito socialista, di cui non era mica un galoppino qualsiasi ma un dirigente in esplosiva carriera, per poi tradirlo e diventare un fervente strumento dell'antisocialismo. Trovo un po' penoso sentir parlare di M soltanto attorno a Marinelli, che non fa altro che un lavoro spettacolare né più né meno, e non rispetto al grande valore di questa serie cioè sottrarre la figura di Mussolini al mito dei busti e delle effigi per rimetterla dove avrebbe sempre dovuto stare, nei processi storici, e farlo in modo popolare, non solo non accademico ma anti-accademico e dio solo sa quanto abbiamo bisogno di cultura anti-accademica in questo Paese. I processi storici son trattati fra l'altro in modo esteticamente interessantissimo dalla serie, perché la grande Storia è una Storia di scenari e in M gli scenari, quasi teatrali, sono di primaria importanza, esprimono le energie, e tutta la Storia umana è una storia innanzitutto di energie. Mussolini coi Fasci di combattimento non sarebbe arrivato da nessuna parte se non ci fosse stata una classe dominante che aveva bisogno della violenza organizzata per sedare le spinte rivoluzionarie fra le masse. E le spinte rivoluzionarie le spegni molto meglio se a trascinarti è l'odio, Mussolini era odiato fra le masse socialiste perché aveva tradito, e dunque le odiava, perché per loro c'erano in quel momento altre teste pelate da seguire, in una Russia vicina più che mai e che faceva tantissima paura, ai reazionari e non di meno ai riformisti di tutta Europa. Mussolini fu un anti Lenin a modo suo, la funzione storica che giocò fu esattamente quella. E fu anche uno come Mussolini ad aiutare un successivo traditore antiLenin di altra natura, come Josep Stalin, a portare avanti la causa dell'antisocialismo a sua volta. Il figlio del secolo è stato il figlio che si è messo al servizio delle esigenze controrivoluzionarie delle classi dominanti, in un'epoca in cui le masse erano in movimento, la borghesia che affollava il Parlamento le temeva, e solo attraverso la violenza si poteva obbligarle a cambiare direzione. Mussolini fu l'organizzatore di violenza più abile della prima metà del secolo in questo Paese. Il fascismo non ottenne consenso fra le masse, il fascismo ottenne consenso fra le classi dominanti, e poi alle masse si impose, non certo si propose. Qui sta il parallelo, l'unico a mio avviso seriamente pregnante, e di radicale attualità, con il presente. Parliamo di questo, per favore. Non lo esige la serie, lo esige il tempo in cui siamo. Esige decisamente qualcosa di più che commentucci sagaci e compiaciuti da posizioni molto più simili a quelle degli imbelli che obbedirono ai voleri di M a suo tempo, che non certo alla battaglia coraggiosa di Matteotti. Federica D’Alessio, Facebook
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anchesetuttinoino · 1 year ago
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Ecocidio, ultima fermata del diritto penale totale
L'ecocidio, ultima fermata del diritto penale totale - Tempi
Il partito di Bonelli e Fratoianni propone una legge per accusare di genocidio chi inquina e mandarlo in galera sulla base prove vaghe e accuse fumose in nome del principio di precauzione. Una follia giustizialista a cui bisogna opporsi
E galera per tutti. Questa potrebbe essere la riscrittura del celebre capolavoro cinematografico …e giustizia per tutti con Al Pacino, se a dirigerlo fossero stati Bonelli e Fratoianni, dinamico duo della politica italiana, due per i quali vanno bene i diritti e le libertà (queste un po’ meno soprattutto quando economiche o legate alla proprietà privata) ma per i quali alla fine l’esito, lo sbocco, l’approdo di tutto deve essere la galera. A parte quando, nella loro veste di talent scout dei candidati potenziali, si imbattono in qualcuno da tirar fuori dalle carceri, da candidare e far eleggere.
Processiamoli tutti, Dio riconoscerà i suoi
Bonelli si era già fatto “apprezzare”, in questa inarrestabile deriva di pan-penalizzazione totale della società e dei comportamenti umani, ventilando l’ipotesi di un reato di negazionismo climatico, ennesimo giro di vite, assolutamente indeterminato e fumoso nei presupposti e nella definizione stessa, contro le opinioni critiche, per quanto motivate e articolate.
Per dirne una, il recente libro La grande bugia verde di Nicola Porro (Liberilibri), in cui si mettono a sistema le opinioni di scienziati critici con la vulgata terrorizzante sul cambiamento climatico, nel generale canone di indeterminatezza della fattispecie incriminatrice escogitata dai rossoverdi sarebbe potuto incorrere in problemi. D’altronde la sinistra, verde e radicale, è sempre un po’ così. Processiamoli tutti, Dio riconoscerà i suoi.
L’ecocidio non è solo un reato ambientale, è un genocidio
Di quella roba per fortuna non se ne è sentito più niente, ma è tornata in auge un’altra antica e pessima battaglia dei rossoverdi: il reato di ecocidio. Contrariamente alle polemiche montanti in questi giorni, i materiali ideatori del disegno di legge non sono direttamente Fratoianni e Bonelli ma il loro deputato Filiberto Zaratti che tale proposta ha presentato il 24 luglio 2023. Solo ora però assurgendo a indiretta fama, nonostante l’apprezzabilissimo sforzo di partorire l’ennesimo profluvio di pene. Dal canto loro, il soccorso rossoverde si è messo subito in moto.
E Bonelli ha fatto sponda al suo onorevole, richiamando l’esigenza di modificare lo Statuto di Roma che disciplina la ragion d’essere della Corte penale internazionale; sì, avete letto bene, perché l’ecocidio, lo si intuisce sin dal nomen scelto, è a tutti gli effetti un genocidio, un crimine contro l’umanità e le generazioni future, non un mero reato ambientale. Così qualificandolo peraltro ne discende anche la abnorme conseguenza di decretarne la imprescrittibilità, cosa che infatti la proposta fa espressamente all’articolo 6: nei fatti, gli inquinatori come i componenti delle Einsatzgruppen che al comando di Otto Ohlendorf fecero scempio di ebrei, e non solo, durante la Seconda guerra mondiale.
Il Parlamento, da sempre, è innovativa e inventiva fucina di dadaismo legislativo, tanto nel merito quanto nei metodi di tecnica legislativa. In alcuni casi, stramberie persino simpatiche o puramente segnaletiche, davanti cui farsi quattro risate. Quando però scendiamo nell’ombroso e delicato campo del diritto penale, e in gioco si trova la libertà dei cittadini, c’è sempre poco di cui divertirsi e invece molto di cui preoccuparsi.
Il cattivo esempio dell’Ue e il principio di precauzione
Proprio a maggio 2024, colpo di coda della deriva iper-ideologizzata del Green Deal, l’Unione Europea ha approvato una Direttiva che ha istituito una notevole serie di nuove fattispecie incriminatrici nell’alveo della materia ambientale. Un approccio repressivo che peraltro pone a carico delle imprese tutta una ulteriore serie di incombenti e soprattutto di responsabilità di ordine penale, sulla scia dei modelli di compliance e di responsabilizzazione amministrativo-penale che pure in Italia, dal d.lgs n. 231/01 in poi, conosciamo bene. Non è difficile immaginare quanto attrattiva questa Direttiva, che dovrà essere recepita e attuata nei prossimi due anni dagli Stati membri, possa essere per investitori e soprattutto aziende.
Quando ci si preoccupa del tappo della bottiglia, direi che si sta impostando la battaglia sul crinale sbagliato: non c’è bisogno di rendersi farseschi per dire che l’Unione soffre di un feticistico complesso di iper-regolazione, soprattutto perché probabilmente sono le norme di matrice penale a dover interessare di più.
Come al solito, e questo non può che essere un tratto comune tanto all’ecocidio modellato da Zaratti/Fratoianni/Bonelli quanto dalla direttiva Ue, a fare la parte del leone è il principio di precauzione con cui negli ultimi anni abbiamo dovuto familiarizzare.
Che paura la “società del rischio zero”
Nato proprio nell’alveo del diritto ambientale, il principio di precauzione, sovente intrecciato a quello di prevenzione ma da cui pure differisce per natura e funzione, è il convitato di pietra delle società altamente tecnologiche in cui si viene a minimizzare il rischio. La precauzione infatti, a differenza della prevenzione, non ambisce a evitare il palesarsi di una data situazione che si sa con certezza essere patologica, dannosa o esiziale: al contrario essa ambisce a sterilizzare in radice la potenzialità del palesarsi di un rischio che potrebbe essere o non essere dannoso. Potentially harmful recita la Direttiva Ue. Una dannosità potenziale che troviamo non per caso anche nella proposta di legge sull’ecocidio.
Applicato all’ambiente, alle pandemie, alla bio-ingegneria, a tutto ciò che per accelerazione tecnologica non riusciamo a governare a suon di norme dettagliate, il principio di precauzione è, come ha scritto Sunstein, «diritto della paura»: si basa sulla paura che un dato evento possa palesarsi, e così facendo criminalizza il rischio. Peccato, sia per i regolatori Ue, sia per Bonelli, Fratoianni e Zaratti, che il progresso umano si sia basato storicamente sulla accettazione razionale del rischio, sulla sua comprensione e sulla emersione di strumenti di mitigazione. Dai mercanti medievali che aprirono rotte nuove collegando tra loro città e Paesi agli scienziati fino agli imprenditori della rivoluzione industriale, il rischio è stato motore non tanto invisibile della evoluzione del genere umano.
Le città mercantili della Lega Anseatica, quelle meravigliose gemme turrite che affacciano sul Baltico, recavano inscritta sul portone di ingresso delle case e delle gilde mercantili la famosa frase navigare necesse est, vivere non est necesse. La società del “rischio zero”, lo abbiamo sperimentato in pandemia, è una società statica, paludosa, museale, ferma, destinata alla estinzione, più che alla mera decrescita.
Definizioni fumose, istigazione all’ecocidio e pene severissime
L’aspetto più inquietante del diritto penale sottomesso alla ideologia è che esso raramente si perita di piegarsi ai principi garantistici propri di un ordinamento liberale: il giacobinismo rossoverde, posseduto dal sacro furore della giustizia climatica, snuda le sue metaforiche ghigliottine senza andare troppo per il sottile.
E così, scartabellando la proposta di legge, ci si imbatte ad esempio nella definizione del reato, all’articolo 2.
“Si considera reato di ecocidio qualsiasi atto illecito o arbitrario commesso con la consapevolezza che esiste una sostanziale probabilità che il medesimo atto causi un danno grave e diffuso o a lungo termine all’ambiente o a un ecosistema”.
Una sostanziale probabilità. E quando, di grazia, la probabilità sarebbe sostanziale? Ma soprattutto, visto che parliamo di reati e quindi conta anche l’elemento soggettivo, come si prova concretamente che un soggetto si era palesato il fatto di voler commettere un atto che avrebbe, per sostanziale probabilità, cagionato un danno? Una sorta di probatio diabolica eco-penale.
Se è ecocidio possono deciderlo anche gli ambientalisti
Anche il richiamato “atto arbitrario” non è male e viene scolpito come «un atto che non tiene conto di un danno che sarebbe chiaramente eccessivo rispetto ai benefìci sociali ed economici previsti». L’ho dovuto rileggere diverse volte, e tremo al pensiero che una roba del genere possa finire nelle mani di una Procura e di un giudice; talmente evanescenti e spettrali le maglie definitorie da lasciar possibile tutto e il contrario di tutto, fino alla caducazione da parte della Corte Costituzionale quando e se sarà investita della questione.
Conformemente alla ipostatizzazione di una “volontà generale” messa in moto contro gli ecocidi, la potenziale legge individua, parola grossa, il “pubblico interessato” definito come «le persone colpite o che potrebbero essere colpite dai reati di cui alla presente legge; si considerano interessati i soggetti che hanno un interesse sufficiente o che dimostrano la lesione di un diritto, nonché le organizzazioni che promuovono la protezione dell’ambiente». Quindi il gingillo si mette in mano tanto a persone realmente colpite da disastri ambientali quanto in quelle degli eco-svalvolati.
E dato che conformemente alla loro tradizione, i rossoverdi detestano la libertà, soprattutto quella di parola, si pensa bene all’articolo 3 di introdurre il reato di istigazione all’ecocidio, punito con la reclusione da tre a sei anni. Senza alcuna definizione, senza dire in cosa si sostanzi davvero una istigazione all’ecocidio. Da dodici a venti anni invece spettano a chi commetta l’ecocidio “classico”. Una forbice abbastanza dilatata, peraltro. Che dire, opporsi alla approvazione e introduzione di questa roba è un imperativo di ordine morale per chiunque abbia a cuore la libertà.
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percival895 · 1 year ago
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Provo a riassumere come i democratici si sono cacciati in questo pasticcio.  Primo, quei dem che hanno maggiore visibilità (perché governano sulle due coste, perché controllano i social media e grandi tv e giornali, perché dominano a Hollywood e in altri potentati della cultura di massa, perché hanno fiumi di denaro da Wall Street e da BigTech) hanno ignorato un vasto rigetto popolare verso gli aspetti più radicali e controversi della loro proposta politica: le frontiere aperte all’immigrazione clandestina; un ambientalismo apocalittico che ha in odio l’economia di mercato e la crescita; un anti-razzismo che si è rovesciato in forme di razzismo contro i bianchi nelle dottrine woke insegnate in tante scuole e università; un’agenda Lgbtq+ promossa in modo arrogante e sprezzante verso chi ancora segue modelli di vita e di famiglia tradizionali.  Tutto questo descrive solo l’ala più radicale del partito di Biden, che ha ancora un vasto centro moderato. Ma poiché gli estremisti avevano una visibilità e un’influenza preponderante nella «bolla» e nei media, il partito democratico nel 2020 ha rischiato seriamente di presentare uno di loro come candidato. Finché gli elettori moderato-conservatori della base afroamericana hanno ripescato nelle primarie del 2020 il vecchio Biden. Il quale allora salvò il suo partito dalla deriva - cosa di cui l’establishment gli fu sommamente riconoscente. Per placare l’ala sinistra Biden fece un gesto «identitario», si scelse come vice Kamala Harris i cui unici meriti, secondo i suoi critici, sono di essere donna e di colore. Ora i nodi vengono al pettine. Qualcuno dovrebbe convincere Biden a farsi da parte. Ma questo qualcuno non può essere associato alle fazioni che Biden sconfisse nel 2020, perché sono perfino meno credibili di lui.  Poi andrebbe risolto il problema Harris. Lei si considera l’erede legittima al trono. Per quanto difficile da immaginare, è ancora meno popolare del presidente stesso. Anche lei quindi andrebbe «spinta» da parte, ma chi dovesse prendersi questa responsabilità sarebbe esposto al processo «identitario»: come osa far fuori una donna di colore. Infine, quand’anche si trovassero i notabili di partito capaci di mettere a segno le due prime operazioni, con l’allontanamento forzato di Joe e Kamala, resterebbe aperto il problema di recuperare voti fuggiti a destra perché spaventati da certe derive estremiste dei dem. Tutto questo andava fatto negli ultimi due anni, gestendo delle vere primarie aperte, un dibattito serio e senza tabù tra le varie correnti del partito. Se non è accaduto in questi anni, c’è una ragione, e anche più d’una. Era più facile continuare a demonizzare Trump, o a trascinarlo da un tribunale all’altro, che cercar di capire come questo losco personaggio possa rappresentare il «meno peggio», per quasi mezza America. - Federico Rampini, La vera vittoria di Trump
L'arma di distruzione di massa, il nichilismo della politica, il menopeggismo si è rivoltato contro i suoi stessi creatori: ottimo.
(Il candidato vincente i Dem lo avevano : Kennedy, il che rende tutto più tragicomico)
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toscanoirriverente · 1 year ago
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Il preside del liceo Maurice Ravel ha lasciato l'istituto per ragioni legate alla sua incolumità. Tutto è iniziato il 28 febbraio scorso, quando aveva chiesto a tre studentesse di rispettare la laicità della scuola francese
Parigi. Temeva di fare la fine di Samuel Paty, il professore di Storia e Geografia decapitato da un jihadista ceceno per aver insegnato la laicità ai suoi studenti, o di Dominique Bernard, docente di Francese assassinato da uno studente radicalizzato all’entrata dell’istituto Gambetta-Carnot di Arras per gli stessi motivi. Il preside del liceo Maurice Ravel, situato nel Ventesimo arrondissement di Parigi, ha deciso di dimettersi per “motivi di sicurezza”, dopo le minacce di morte di cui è oggetto da un mese. Tutto è iniziato il 28 febbraio, quando il preside, vedendo tre studentesse che indossavano il velo all’interno del perimetro scolastico, ha ricordato loro che è vietato per legge esibire simboli religiosi nelle scuole pubbliche.  
Due hanno subito tolto il velo, la terza, invece, ha fatto finta di non sentire. Il dirigente scolastico, stando al racconto fatto all’Afp dai servizi del ministero dell’Istruzione, si sarebbe avvicinato indispettito e avrebbe trascinato “verso l’uscita della scuola” l’allieva, che avrebbe “opposto resistenza”. Dinanzi all’aumento delle tensioni, il dirigente avrebbe lasciato perdere, fino all’intervento della polizia. Ma da quel momento, la situazione è degenerata. Sui social ha iniziato a spargersi la voce di un litigio tra un preside e una studentessa musulmana. Quest’ultima, oltre a sporgere denuncia per “violenze” (denuncia in seguito archiviata per mancanza di prove), ha riferito alla stampa di essere stata “spinta” e “colpita con forza sul braccio”, versione smentita da Valérie Baglin-Le Goff, direttrice del provveditorato di Parigi. La studentessa ha poi deciso di rincarare la dose contro il dirigente scolastico testimoniando sulla pagina Facebook del Collectif contre l’islamophobie en Europe, associazione sulfurea che nel dicembre 2020 era stata dissolta per propaganda islamista dal ministro dell’Interno francese Gérald Darmanin sotto il nome di Collectif contre l’islamophobie en France. Risultato? Contro il preside del liceo parigino sono piovute le minacce di morte, secondo un meccanismo simile a quello che ha portato alla tragedia di Samuel Paty. Un ventiseienne originario del dipartimento degli Hauts-de-Seine è stato arrestato e sarà processato a Parigi il 23 aprile per minacce di morte sui social. Un altro uomo, arrestato a metà marzo a Trouville-sur-mer (Calvados), è stato posto in stato di fermo per lo stesso motivo, ma è già stato rilasciato.  
“Sono veramente triste, è una storia grave che ha portato alle dimissioni del preside quando invece doveva accadere l’esatto contrario”, ha dichiarato in forma anonima a France Info un insegnante del liceo Maurice Ravel. Tranne dalla France insoumise, il partito della sinistra radicale noto per intrattenere legami ambigui con un certo islam politico, tutta la classe politica francese ha manifestato solidarietà al professore, sottolineando la gravità di quanto accaduto. ���È un fallimento collettivo”, ha commentato il capogruppo dei deputati socialisti Boris Vallaud. “Ecco dove ci portano le piccole pusillanimità e le grandi rinunce”, ha aggiunto Bruno Retailleau, patron dei senatori gollisti. Ieri pomeriggio, il preside dimissionario è stato ricevuto a Matignon dal primo ministro Gabriel Attal. Ex ministro dell’Istruzione, Attal, durante il suo primo discorso da premier il 9 gennaio, aveva affermato che la scuola “è la madre di tutte le battaglie”. Il caso del preside del liceo Ravel mostra che la lotta all’islamismo, in questa battaglia, deve essere prioritaria. 
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muco-the-blog · 11 days ago
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Appunti. Un punto di vista "altro" e radicale su Enrico Berlinguer.
trovato tra i profili di Comunisti "eretici" che seguo nell'infosfera.
"Quando si parla di Berlinguer bisogna sempre tenere a mente un semplice concetto: Berlinguer NON era una brava persona. Qualsiasi cosa la frase da oratorio "Berlinguer era una brava persona" voglia significare è falsa.
Berlinguer era il leader del partito comunista stalinista più importante d'Europa (e non venite a contarcela sull'eurocomunismo che i soldini da Mosca il PCI li ha presi fino alla fine), Berlinguer era un nemico dell'autorganizzazione di classe, Berlinguer, insieme ai Lama e ai Pecchioli, è stato colui che ha avallato, preparato e aiutato la repressione di tutti gli insubordinati che sul finire degli anni '70 si ribellavano alle politiche di austerity volute dalla DC e avallate dal PCI-CGIL.
Berlinguer è stato quello che avallava i blindati nella Bologna insorta, è stato quello che ha oggettivamente appoggiato la repressione kossighiana, quello che ha condiviso con l'infame Pecchioli la scelta di cedere gli archivi con le schedature dei militanti della sinistra extraparlamentare fatte dagli apparati del PCI all'orripilante Dalla Chiesa. Berlinguer è il responsabile delle politiche repressive portate avanti dai compagnucci di Magistratura Democratica (come l'infame Calogero) tese a colpire in modo più o meno diretto, in nome del mostro policefalo dell'antiterrorismo, tutti coloro che si ribellavano allo sfruttamento capitalistico.
Berlinguer è quello dell'interclassismo della politica dei sacrifici, e ben sapeva che i sacrifici sono solo per le classi subalterne e a tutto vantaggio del padronato, perchè tutto andava bene pur di entrare nella stanza dei bottoni.
La mitologia creata intorno a questo politicante, ben poco astuto tra l'altro, è tale per cui ancora oggi in ogni anniversario della sua scomparsa ci dobbiamo subire le agiografie di questo campione del padronato italiano mascherato da compagno e oscenamente resuscitato per giustificare le attuali politiche di macelleria sociale.
E non ci vengano a contare che il PCI faceva gli interessi della classe lavoratrice! Ben sappiamo che il PCI faceva gli interessi della frazione di classe dominante che lo dirigeva, quella delle cooperative e degli industriali rossi del centro nord, che era pronto ad allearsi con gli osceni morotei pur di guadagnare potere, che ha fatto la sua fortuna sul costante massacro dei veri rivoluzionari.
fuoco alle icone"
Peter Busalacchi su FB
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pettirosso1959 · 14 days ago
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youtube
" Non è stata una Caporetto." SI, invece, lo è stata eccome! Siete stati presi a ceffoni dall'elettorato come Wild Cat Hendrix da Trinità (vedere video).
La sinistra ha messo in campo una macchina propagandistica come non si vedeva da decenni: Attori, cantanti, giornalisti, loro cariche istituzionali, organi di partito, ( di tutti i partiti del Csx ), sindacati, REDAZIONI (tutte), persino il Presidente della CEI entrato Papa uscito Cardinale (Sia Lodato lo Spirito Santo) tal Zuppi. Chat di qualsiasi tipo invase dagli inviti al voto, siti e pagine dei giornaloni che ricordavano ogni 5 minuti che si poteva votare fino alle 15 di ieri ( vedere pagina del Corriere )Risultato: una loffia, un flop, quorum non raggiunto, fermi a tre quinti del necessario. Basta : nei referendum o si vince o si perde, e voi avete perso anche se avete mobilitato persino Gianna la Gattara e il suo profilo Facebook. E non venite a dirci che "avete preso più voti di quanti ne abbia presi il cdx alle politiche del '22". A parte che se i voti referendari si tramutassero in voti alle politiche , il Partito Radicale dei tempi d' oro avrebbe avuto il 60% dei seggi in Parlamento (non arrivava nemmeno ad UN DECIMO di quel numero), vi segnalo che anche il quesito più votato CON I SI ha preso MENO dei voti al cdx nelle politiche.
E... tesorini... il Cdx da allora È CRESCIUTO. Il sindacato più potente, quello che portava centinaia di migliaia di persone IN PIAZZA A ROMA (non al seggio sotto casa), quello di cui hanno avuto paura TUTTI, persino Berlusconi, Renzi, Andreotti e Craxi all' apice del loro successo, HA PERSO COMPLETAMENTE LA FACCIA. Il loro Leader e le sue ambizioni politiche, giù per le fogne delle acque nere. Ha voluto il referendum, lo ha imposto come sua "Benedizione" al cosiddetto Campo Largo, chiedendo il sacrificio dei resti di Renzi (Job Act) come omaggio alla sua influenza Ha PERSO . Voleva benedire ma è stato esorcizzato e per la sinistra è una perdita grave , un' arma potente e temuta che SCOMPARE. È come se la Marina degli Stati Uniti perdesse d' un colpo tutte e 11 le sue portaerei Come se a Putin venissero tolti tutti i missili. Come se a Kim Jong "Cicciobomba" Un venisse tolta la bomba atomica. Da oggi CHIUNQUE, anche il più mediocre dei governanti futuri, potrà dire "ESTIGRANCAZZICHEMENEFREGA" del parere della CGIL. UNA SITUAZIONE MAI VISTA. L'Italia oggi è un paese migliore, con prospettive molto più rosee.
Il ceffone più doloroso: Persino in Toscana , persino qua nel rosso Mugello ( dove il quorum è stato quasi sfiorato ) UN VOTANTE SU TRE vi ha BOCCIATO l' unico, vero punto di programma sul quale tutte le erbacce ( partiti ) cresciute nel cosiddetto Campo Largo sono concordi : la politica " confini aperti " APERTI UN CORNO, vi ha risposto quel votante. Votante che va a sommarsi ai brutti, sporchi e cattivi che osano votare centrodestra senza il vostro permesso . Questa è una censura GRAVE , per voi, cari sinistri. Significa che solo UN ITALIANO SU CINQUE (gli altri quattro sono il 35% di chi ha votato + il resto che è andato al mare) concorda con il vero vostro totem rimasto immutato e indiscusso negli ultimi 35 anni. Gli altri 4 vi hanno detto che AVEVA RAGIONE SALVINI! Renzi ha osato toccare l' Art 18, ma sull' immigrazione si è adeguato come avrebbe fatto un eventuale premier uscito da Alleanza Verdi Sinistra. Questo per voi è un problema gravissimo: significa che avete dato di razzisti, giudicato sprezzantemente, tacitato prepotentemente L'80% del corpo elettorale. Che vi ha risposto con una serie di ceffoni a mano aperta. Ora vedete... Se per rispondere a ciò che vi ha detto l' elettorato sul lavoro basterebbe che riesumaste Renzi e i suoi, la potente fiammata che vi hanno dato sull' immigrazione è un problema che NON HA SOLUZIONE nell'immediato, nemmeno nel medio termine. Questo perché ogni vostro più piccolo esponente, dal consigliere comunale del comune di montagna alle vostre segreterie di partito, passando per parlamentari , presidenti di regione, maitre à penser, intellettuali SI È COMPROMESSO CON QUESTA LINEA PERDENTE, che è stata TOTALMENTE bocciata. Renzi incluso, riformisti inclusi. Ma non compromessi controvoglia, erano ENTUSIASTI E CONVINTI nel dare di razzista a chiunque osasse dire MA... Come farete adesso a trovare un leader, una nuova classe dirigente che lo supporti e una linea politica che possa esprimere , dopo una così pesante censura elettorale? Peraltro i vostri "vivai" di giovani militanti non sono messi meglio. Nonostante vi riempiate la bocca del termine "meritocrazia", da voi va avanti SOLO il lecchino del maestro ,quello che ha imparato a memoria la lezioncina , gente con senso critico pari a ZERO. DOVETE RIFARE TUTTO DA CAPO, per presentarvi con una linea diversa ed essere CREDIBILI. Una sconfessione dell' ARROGANTE PREPOTENZA che avete tenuto fino a ieri NON SARÀ RITENUTA CREDIBILE se non tra molto, molto tempo. E su quel tema ci sono già Meloni, Salvini e Vannacci a soddisfare le richieste dell' elettorato. Tutto quanto sopra vi ho graziosamente illustrato vi consegna un messaggio ben preciso, con i seguenti punti:
1) finita l'era della spocchia, finita la cresta alta del sentirsi "migliori". Siete stati PERCULATI e dovrete passare il resto della legislatura (fino al 27) a cercare di fare dimenticare la vostra arroganza . Il problema è che senza quell' arroganza non sapete fare politica
2) fine totale della vostra linea politica. E ringraziate che non si è votato su qualcosa inerente all' Europa e al Green Deal, specialmente tutte le veganate che volete imporre (anche qua con arroganza) al resto del mondo. Avreste preso ceffoni ancora più sonori, fidatevi
3) AVETE CONSEGNATO ALLA MELONI IL SECONDO MANDATO. Da ieri, solo Giorgia Meloni può sconfiggere Giorgia Meloni (ossia , può mettersi nei guai solo da sola). E, salvo sorprese (sempre possibili), si farà un altro giro di Presidenza fino al 2032. Non concordate ? Aspettate e vedrete. Per il momento fareste bene a riflettere sul fatto che non siete stati sconfitti da una brillante mossa delle "destre": avete fatto tutto da soli! È la vostra arroganza, il vostro credervi " migliori " che hanno confezionato l'amaro boccone che da ieri vi sta strozzando. Ve lo siete meritato IN PIENO!
Davide Galeotti.
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alephsblog · 27 days ago
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Nel 1982, 43 anni fa, comparvero sui muri di via Garfagnana, a Roma, scritte che dicevano: “Bruceremo i covi sionisti”. Negli stessi giorni, un corteo della potentissima Cgil, che si voleva allora cinghia di trasmissione del Partito comunista italiano, depose una bara sui gradini della sinagoga. Non si ricorda che il mondo progressista e pacifista italiano di allora, a proposito di album di famiglia, ex ’68 compreso, abbia protestato granché. Qualche mese dopo, era sempre il 1982, Al Fatah, lanciò bombe contro la sinagoga all’uscita dei riti del Sabato e del Bar Mitzvah per i ragazzini. Morì un bambino di due anni, Stefano Gaj Taché, suo fratello di quattro anni, Gadiel Gaj Taché, venne colpito alla testa e all’addome. La bara della Cgil svolse la sua funzione. All’estrema destra, ma poi non troppo estrema, si fecero cenni di assenso. Furono due gli uomini politici la cui solidarietà venne ritenuta sincera, Marco Pannella, radicale sul serio, e Giovanni Spadolini, debordante repubblicano.
Gli altri stavano ricevendo in Parlamento, e ovunque, e con tutti gli onori, Yasser Arafat, capo dell’Olp e degli attentatori della sinagoga, tecnicamente guidati da Abu Nidal. Tra loro, il presidente della Repubblica, il sindaco di Roma e il Papa di allora. Nessuno di essi partecipò ai funerali del piccolo Stefano. Bruno Zevi, ebreo e riconosciuto intellettuale di sinistra, 43 anni fa scrisse e disse dell’antisemitismo ormai diffuso, della fuga dello stato davanti alla protezione degli ebrei, del modo pomposo con cui i preti avevano accolto Arafat e dei media che, “salvo rare eccezioni, hanno distorto fatti e opinioni”, concludendo così: “L’antisemitismo non nasce nel 1948, con la nascita d’Israele, né crediamo all’antisionismo filosemita perché si tratta di una contraddizione in termini”. 43 anni fa. Quando Netanyahu era un perfetto sconosciuto e si osava sostenere tra gli ottimati, forse con qualche mondana leggerezza, che “uccidere un solo bambino è uccidere tutta l’umanità”. Sipario, risate.
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gregor-samsung · 10 months ago
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“ A volte penso di appartenere a un’altra specie; questo pensiero che avanza in me assurdo come una mostruosità, contraddetto dall’apparenza ordinaria dei miei tratti e dalla mappa fantastica dei cromosomi, ha il potere di rasserenarmi. Nelle rare lezioni che ascoltai quando vagabondavo per le università, le uniche che ebbero il potere di incatenare la mia attenzione, richiamandomi alla coscienza strane e diverse emozioni, mostravano il mirabile codice della specie. Di esso rimanevo stupita come se la spirale della vita fosse un’altra possibile versione della chiave musicale del violino; una sorta di vibrazione sfuggita alla deflagrazione originaria da cui ogni cosa prese forma. Non volli imparare la catena di formule che, intrecciandosi in una magica danza, non ripeteva mai se stessa e con certezza assoluta custodiva l’identità unica di ogni nuova vita. Mi sembrò sempre che la riduzione di un simile prodigio all’apprendimento sterile del nome scientifico, la sua evocazione dotta e assurda nelle luce morta dei laboratori, avrebbero aperto, attirandola su noi, la catena infinita e ottusa del dolore. Bisogna essere molto ciechi per aggiungere nuove sofferenze all’eredità di dolore lasciata da chi è passato prima di noi!
Così, quando in un paese qualunque, forse nell’emisfero australe o nel silenzio dimenticato degli Incas, qualcuno ha trovato serbata la chiave della vita nel cuore indifferente di una pietra, come se questa fosse la cellula di un corpo o la memoria atomizzata dell’unica esplosione, io ho avuto la conferma di ciò che sempre pensai. Nello spartito della vita, risuoniamo tutti con un’unica nota le cui vibrazioni mutano impercettibilmente per la materia che ci accade di essere. Allo stesso modo, ho orrore dell’onnipotenza feroce, della dogmatica sordità, che traccia il confine fra ciò che è sano e il suo contrario. Tremo di fronte all’arroganza impietosa dei corpi sani, all’oscena prepotenza della loro forza; alla sicumera gloriosa con cui avanzano nell’universo pretendendo di esserne i padroni invulnerabili. Niente è più vano e folle di questa illusione: bisogna essere un po’ di pietra e d’albero; un po’ di mare e di tuono per ricordarsi la nota originaria; bisogna essere un po’ mostri per sentire risuonare la meraviglia e l’orrore di altri mondi lontani. In me vive il dubbio che l’errore genetico, da cui prendono vita creature mostruose e tenerissime; piccoli tartari con gli occhi all’insù, dalla memoria prodigiosa di Pico della Mirandola che suonano a volte come angeli, o vecchi-bambini destinati a vivere un quarto di secolo, nascosti come ragni nelle case per non offendere la proterva salute dei normali, incarni un’altra razza. O forse creature di altri spazi; abitanti di pianeti lontani, i cui frammenti vitali caddero errando, nel luogo sbagliato. Questo spiegherebbe la malinconia commovente di certi occhi fissati nel vuoto, che guardano mondi perduti e sorridono solo a essi, resistendo a tutte le seduzioni della nostra inutile umanità. La follia infine; non so se i suoi segni siano iscritti nell’abbraccio elicoidale della vita e neanche se appartenga al codice segreto di un’altra specie precipitata sulla terra. Credo piuttosto che essa sia un tramite; un sesto senso rimasto aperto per vocazione o per destino, dove le mostruosità svelano la propria origine autentica. In altri luoghi, lontani dagli orridi tavoli vivisettori che in nome della scienza profanano oscenamente i misteri della vita e della morte; in altri tempi da quelli in cui l’angoscia ci stringe a vivere, i folli furono celebrati come creature divine, nelle quali circolava libera la sapienza onnisciente. Erano tempi e luoghi dove la sadica struttura normativa che ci conculca non aveva ancora vinto, né aveva ancora sedotto l’intera umanità al peccato originario dell’invidia e alla pestilenza della sua vanità coattiva. Così essa non tollera che una creatura fugga al giogo delle rivalità fra uguali e, attraverso i mondi della follia, scelga l’identità eversiva a cui lo destinava l’unicità della sua nascita. Con un ukàse che non ammette eccezioni, l’alieno viene piegato all’annientamento dei suoi mondi e il veleno sottile dell’invidia raggiunge il suo centro creativo distruggendone le centraline. Ridotto a un’oscurità senza mostri e a un silenzio senza presagi, finalmente appartiene alla specie. “
Mariateresa Di Lascia, Passaggio in ombra, Feltrinelli (collana I Narratori), 1995¹; pp. 116-117.
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darktimefacta · 28 days ago
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colonna-durruti · 8 months ago
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https://jacobinitalia.it/berlinguer-la-grande-rinuncia/?sfnsn=scwspmo
Berlinguer, la grande rinuncia
Giulio Calella
11 Novembre 2024
Il film di Andrea Segre sul segretario comunista cede alla nostalgia e cerca di rappresentare il compromesso storico come una grande ambizione. Mentre l’eredità di quegli anni andrebbe interrogata in modo radicale
«Qualcuno era comunista perché Berlinguer era una brava persona» cantava Giorgio Gaber all’indomani dello scioglimento del Pci nel 1991, elencando con ironia, e autoironia, i tic e le contraddizioni di chi per decenni in Italia si è definito «comunista».
Guardando Berlinguer. La grande ambizione, il film di Andrea Segre interpretato dallo strepitoso Elio Germano, si ha l’impressione che più di trent’anni dopo lo scioglimento del Pci, e a quarant’anni dalla morte del segretario comunista, non si riesca ancora a procedere più in là di quella rivendicazione. E che questa sia rimasta nella testa non solo dei suoi legittimi eredi (oggi maggioritariamente nel Partito democratico), ma anche di chi – come Segre e Germano – ha un’esperienza politica e una produzione culturale ben più di sinistra. «Berlinguer era una brava persona», un assunto che sembra poterne giustificare ogni scelta politica, anche quelle che hanno influenzato l’involuzione successiva della sinistra italiana.
La grande nostalgia
La beatificazione sembra il destino del segretario comunista fin dal giorno del suo enorme funerale, mostrato con le immagini d’archivio in coda al film. Andrea Segre ed Elio Germano però, in ogni presentazione della pellicola, sottolineano che il loro intento non è santificare Berlinguer ma mostrare l’attualità politica del suo messaggio.
La volontà di non cedere a un’eccessiva retorica sul personaggio è in effetti evidente, portata avanti anche a costo di fare un film meno coinvolgente di quel che avrebbe potuto essere. Gli sceneggiatori e gli attori hanno fatto una rigorosa ricerca storica, attenendosi in gran parte a discorsi e dialoghi effettivamente avvenuti e documentati, alternando anche le scene di finzione con immagini di archivio. Del resto Andrea Segre è soprattutto un bravissimo autore di documentari, e anche La grande ambizione, pur essendo fiction, procede in modo quasi documentaristico.
Va anche riconosciuto al film di Segre il coraggio di affrontare proprio gli anni in cui Berlinguer ha teorizzato e provato a praticare il «compromesso storico» con la Democrazia cristiana. Si concentra su cinque anni della sua vita, quelli che vanno dal colpo di Stato in Cile del 1973 al sequestro di Aldo Moro del 1978, senza indugiare nel racconto della sua formazione politica giovanile in Sardegna, e senza nemmeno citare gli ultimi anni della sua vita politica quando, dopo il fallimento del compromesso storico, si ritrova nel 1980 davanti ai cancelli della Fiat a fianco degli operai in sciopero per 35 giorni, o quando pone la «questione morale» alla politica italiana diventando il nemico politico numero uno di Bettino Craxi e del Partito socialista italiano. Eventi, questi ultimi, che hanno reso Berlinguer davvero amato, ma che a guardar bene ne definiscono meno la cifra e soprattutto l’eredità politica.
Il film però comunica senza dubbio una grande nostalgia. La nostalgia per un tempo che Segre e Germano non hanno mai vissuto, visto che nel 1984, quando Berlinguer morì, erano due bambini di 8 e 4 anni.
Che il sentimento nostalgico possa essere utile alla ricostruzione politica della sinistra, e non solo un esercizio consolatorio, è discutibile. È però comprensibile lo sguardo malinconico verso un tempo di grandi passioni politiche, di milioni di persone in piazza e alle Feste dell’Unità, di dirigenti con una solida formazione culturale e dei vincoli sociali incomparabili all’attuale teatrino della politica-spettacolo sganciata da qualsiasi spazio di partecipazione della società.
Il problema è che, con questa carica di nostalgia, la pellicola non riesce a sfuggire alla santificazione. Fin dalla scelta del titolo: presentare il compromesso storico come una «grande ambizione».
La grande rinuncia
«Secondo me se Andrea Segre ed Elio Germano avessero avuto vent’anni nel 1973, avrebbero odiato il compromesso storico», ha esordito in mondo provocatorio Nanni Moretti alla presentazione romana del film al Nuovo Sacher.
Il film inizia con le immagini del colpo di Stato orchestrato da Henry Kissinger in Cile con cui viene spazzato via il governo socialdemocratico di Salvador Allende che, dopo aver vinto le elezioni, stava portando avanti concrete riforme sociali. Da quel momento Berlinguer esplicita una strategia che era in realtà in elaborazione già da qualche anno: non solo non è possibile nessuna rivoluzione socialista in Italia, ma non è nemmeno pensabile nessuna alternativa politica di governo.
Nonostante le attese generate dall’enorme crescita elettorale del partito e dalle conquiste dei movimenti sociali nell’onda lunga post-Sessantotto, la via democratica al socialismo che propone Berlinguer è a dir poco tortuosa e contraddittoria: non si può governare nemmeno se una coalizione delle sinistre dovesse raggiungere il 51% dei consensi perché si rischierebbe un colpo di Stato orchestrato dagli Stati uniti e reso possibile in Italia da una potenziale alleanza tra la destra democristiana e i neofascisti. E per evitarlo bisogna accettare proprio l’ombrello statunitense della Nato e sostenere un governo guidato proprio dal massimo esponente della destra democristiana: Giulio Andreotti.
Nel film, pur di far apparire Enrico Berlinguer senza macchie, si finisce per sminuirlo nelle poche scene che non potevano essere documentate storicamente: quelle degli incontri riservati con Moro e lo stesso Andreotti. In questi colloqui Berlinguer appare un ingenuo, convinto che la sua linea sia l’unica possibile per mantenere un regime democratico in Italia, ma sostanzialmente preso in giro dai ben più scafati dirigenti democristiani che non concedono nulla in cambio della «non sfiducia» del Pci che permette al Governo Andreotti di stare in piedi. Nulla se non l’inutile presidenza della Camera a Pietro Ingrao.
Ma anche di fronte alla composizione dei ministri e alle concrete politiche di quel governo (che tra l’altro blocca il meccanismo della Scala mobile per adeguare i salari all’inflazione, abolisce ben 7 festività e aumenta l’Iva) Berlinguer persevera nella linea del compromesso. Bisogna rinunciare non solo al socialismo, non solo all’alternativa politica tramite democratiche elezioni, non solo alla difesa degli interessi di lavoratrici e lavoratori ma persino all’opposizione alla peggiore destra democristiana che flirta coi neofascisti. Tutto pur di salvare la democrazia.
A guardar bene è una rinuncia che poi diventerà una ricorrenza per la sinistra dei successivi cinquant’anni.
La grande delusione
A questa rinuncia seguì una grande delusione. Non solo nel movimento studentesco che scoppiò nel 1977 o nella sinistra extraparlamentare. Gran parte del mondo operaio e comunista fu completamente disorientato da questa linea, come mostrò proprio nel 1977 il capolavoro cinematografico di Giuseppe Bertolucci e Roberto Benigni, Berlinguer ti voglio bene, film spesso citato ma in realtà poco visto e soprattutto poco compreso.
Dopo la vittoria nel referendum sul divorzio nel 1974 e la crescita alle elezioni amministrative del 1975, non era più un tabù sognare il sorpasso sulla Dc nelle elezioni politiche del 1976. Il sorpasso poi per poco non ci fu, ma il Pci raggiunse il suo massimo storico in voti assoluti: 12 milioni e 600 mila. Anche il contesto europeo era promettente: nel 1974 c’è la rivoluzione dei garofani in Portogallo, nel 1975 finisce il franchismo in Spagna, nel Regno Unito governano i laburisti, in Germania sono al governo i socialdemocratici, in Francia cresce il cartello elettorale che tiene insieme socialisti e comunisti e che qualche anno dopo eleggerà presidente François Mitterand. La scelta di escludere a priori qualsiasi possibilità di governo di coalizione delle sinistre – che a prescindere dalle possibilità di riuscita avrebbe dato una prospettiva politica ai dieci anni di movimenti del nostro paese – produsse una delusione molto diffusa. Specie quando il Pci finì per sostenere il governo Andreotti. Tanto che nelle successive elezioni politiche del 1979 il Pci perse un milione e cinquecentomila voti, e non tornò mai più ai livelli di consenso del ‘76 (tranne la fiammata alle europee del 1984 segnate drammaticamente proprio dalla morte di Berlinguer).
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abr · 7 months ago
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Pratiche sinistre GLOBALI
In Argentina il successo di Javier Milei si sta sostenendo sulla scoperta di una serie di scandali nella gestione di entità ministeriali che hanno provocato danni miliardari: parliamo di gestioni affidate ai centri sociali e ai sindacati.
Si è arrivati al punto che tutte le distonie scoperte stanno per passare al vaglio della giustizia, il che significherebbe un colpo mortale all'”eterno” potere del peronismo nella sua totalità che, nel corso della sua storia, ha di fatto occupato coi suoi seguaci gran parte delle istituzioni.
A questo punto si è organizzata una protesta pilotata, trascinando nelle strade moltitudini di persone ricattate attraverso i sussidi(...). Il fatto è noto da tempo ed è testimoniato ogni qual volta si interrogano i partecipanti. Aggiungiamoci gruppi che utilizzano la violenza e il gioco è completo affinché certa stampa internazionale abbocchi all’amo (...).
Ma, fortunatamente, non tutti ci cascano e, con il trascorrere del tempo, le varie situazioni “catastrofiche” si risolvono con una gran maggioranza della popolazione che appoggia le misure presidenziali e la sua lotta contro la corruzione: come accade da due settimane sul fronte universitario.
Qui il Governo ha interrotto i finanziamenti alle Università fino a quando queste non presentino un resoconto finanziario della loro gestione, cosa che non avveniva da circa 5 anni. Ecco allora montare una protesta che ha coinvolto l’intero Paese, (...). In molti luoghi si è però verificata una protesta contro la decisione di bloccare gli Atenei e i ragazzi sono riusciti a tornare a quella che è la loro principale attività: studiare.
Nel frattempo si è scoperto che molti dei fondi universitari erano gestiti da organizzazioni politiche che favorivano vari partiti (...). Oltretutto sono accaduti dei paradossi decisamente metafisici, come quello che ha investito l’Amministratore dei fondi dell’Università di Buenos Aires, l’importantissima UBA, che, declinando la proposta Governativa di presentare una relazione finanziaria, invitava gli studenti a protestare in piazza a Buenos Aires tranquillamente seduto in un lussuoso bar di Miami, in Florida, dove stava passando delle giornate di vacanza.
Da queste indagini si è scoperto che i fondi elargiti dallo Stato venivano di fatto deviati nella casse sia della “milizia” ultrakirchnerista della “Campora” che in quelle del Partito Radicale.
via https://www.ilsussidiario.net/news/diario-argentina-le-nuove-insidie-per-milei-tra-proteste-e-sgambetto-interno/2762586/
Tutte cose che succedono solo ed esclusivamente in Argentina, sia chiaro.
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adrianomaini · 3 months ago
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Dall'altro lato dello schieramento politico l'esempio più significativo di toni antipolitici fu il Partito Radicale sotto la guida carismatica di Marco
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