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#descrizioni in atto
lamilanomagazine · 5 months
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Gropello Cairoli, furto in abitazione ai danni di una pensionata: arrestato 39enne
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Gropello Cairoli, furto in abitazione ai danni di una pensionata: arrestato 39enne. Nella tarda mattinata del 28 aprile, in Gropello Cairoli (Pavia), personale del locale Comando Stazione Carabinieri, ha deferito in stato di libertà J.S., 39enne, domiciliato a Candia, poiché ritenuto responsabile del furto in abitazione. Alle ore 10:30 circa, di quel giorno, una pattuglia della Stazione di Gropello C.li è intervenuta in una cascina del posto, poiché era stato segnalato un furto consumato in abitazione, ai danni di una pensionata.  Nello specifico due uomini, dopo essere riusciti ad entrare all’interno dell’abitazione da una porta lasciata aperta, hanno asportato circa 450 euro in contanti, suddivisi in banconote da cinquanta euro, custoditi dalla donna all’interno di un cassetto. Scoperti dalla persona offesa, i due ladri si sono subito dileguati con la refurtiva. I militari, prontamente intervenuti sul posto, dopo aver acquisito tutti gli elementi utili al rintraccio dei rei dalla vittima, la quale ha fornito dettagli anche sull’autovettura da loro utilizzata per allontanarsi, hanno avviato le ricerche nei comuni limitrofi al luogo dell’evento, intercettando il veicolo segnalato in Tromello (PV), con a bordo i due uomini, corrispondenti alle descrizioni fornite. Seguito perquisizione veicolare e personale, gli operanti hanno rinvenuto la refurtiva e un arnese atto allo scasso, riuscendo, subito dopo, a bloccare il deferito, mentre l’altro, con una mossa repentina, si è dato alla fuga nelle vie limitrofe. La refurtiva recuperata è stata restituita all’avente diritto. Il prevenuto, pertanto, è stato denunciato alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Pavia, mentre sono ancora in corso le attività per individuare il complice.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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wolfman75 · 5 months
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«Un’apocalisse di corpi, ragazze denudate, mutilate». Abbiamo letto il rapporto Silent Cry / Grida dal silenzio. Crimini sessuali nella Guerra del 7 Ottobre a cura della Association of Rape Crisis Centers in Israel. Lo abbiamo letto con fatica e orrore: in esso sono riportate, crude e asciutte, le descrizioni esplicite rilasciate da decine di sopravvissuti, soccorritori, testimoni oculari degli stupri, delle torture, delle mutilazioni inferte alle vittime e degli omicidi compiuti da Hamas il 7 ottobre. Vittime, cioè madri e figlie, donne fatte a pezzi dallo stupro di massa dei terroristi.
A cinque mesi dal massacro di 1.200 persone e dal rapimento di altre 254 (cittadini israeliani e stranieri – donne, uomini, bambini, neonati e anziani portati nella Striscia di Gaza) oggi, vigilia dell’8 marzo e delle celebrazioni delle conquiste e dei diritti della donna, molte esponenti del mondo della cultura, della politica, delle istituzioni, del femminismo parteciperanno alla maratona oratoria organizzata dall’associazione Setteottobre a Roma per chiedere alle organizzazioni internazionali di riconoscere come femminicidio e stupro di guerra di massa le violenze commesse quel sabato nero su centinaia di israeliane.
Nessuno ha manifestato per loro. Nei giorni seguenti la mattanza, il grido delle femministe israeliane che pure da una vita combattono per i diritti delle donne di Gaza (Tempi ne aveva parlato qui e qui aveva raccontato la condizione delle donne sotto Hamas) è stato accolto da silenzio, minimizzazione quando non evasione e manipolazione dei fatti. Donne come Allison Kaplan Sommer, che ha lavorato dodici anni nella commissione delle Nazioni Unite contro ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne, si sono sentite completamente tradite «dalle organizzazioni dei diritti delle donne con cui ho lavorato per anni che hanno fallito nel condannare – o perfino nel riconoscere – lo stupro, il rapimento e altre atrocità commesse da Hamas il 7 ottobre».
Il suo podcast era stato rilanciato da Haaretz, il giornale della sinistra israeliana più citato quando c’è da attaccare Israele ma non quando le sue donne chiedono aiuto: «Oltretutto, i crimini, diversamente dalle violenze sessuali dei precedenti conflitti, erano stati filmati dai terroristi di Hamas e trasmessi sui social, così che l’orrore era subito emerso». Solo allora Un Women aveva cancellato un post sul massacro in cui si condannava la violenza ma senza nominare Hamas. Condanna che dall’ente delle Nazioni Unite per l’uguaglianza di genere non è mai arrivata. E nemmeno dalle “sorelle” femministe e transfemministe che in risposta al 7 ottobre erano scese in piazza contro la potenza di Israele «colonialista e razzista tesa a cancellare il popolo palestinese». Ospite del programma di dibattito politico Paroles d’Honneur in Francia Judith Butler ha definito il 7 ottobre «un atto di resistenza armata» contro Israele.
Oggi l’Onu ammette che ci sono prove degli stupri commessi da Hamas, che ci sono «motivi ragionevoli» per ritenere che i terroristi abbiano commesso «torture a sfondo sessuale» e riservato altri «trattamenti crudeli e inumani» alle donne durante l’attacco. Ci sono anche «fondati motivi per credere che tale violenza possa ancora essere in corso», ha detto Pramila Patten, rappresentante speciale del segretario generale dell’Onu per la violenza sessuale in guerra inviata in Israele e Cisgiordania dal 29 gennaio al 14 febbraio. Il suo team, che non ha fatto sconti nemmeno al trattamento riservato dagli israeliani ai prigionieri palestinesi, ha raccolto le testimonianze degli ostaggi rilasciati e dai riscontri effettuati l’Onu si dice in possesso di «informazioni chiare e convincenti» che donne e bambini siano state sottoposte a stupri e torture e che gli abusi potrebbero proseguire sugli ostaggi ancora nelle mani di Hamas.
La delegazione ha confermato le violenze in tre luoghi: nell’area del festival musicale Supernova, lungo la strada statale 232 che collega Gaza ai kibbutz, e al kibbutz Re’im. Il rapporto è naturalmente parziale e ammette che nei kibbutz Kfar Aza e Be’eri il ritrovamento, tra troppi cadaveri carbonizzati, di tutte quelle donne «svestite, legate e uccise» farebbe pensare a violenze e torture nonostante i primi soccorritori si siano dedicati a salvare i superstiti e non a raccogliere prove. Il Centro di Patologia Forense di Shura, base militare vicina a Tel Aviv, lo ha ribadito più volte: identificare i corpi delle famiglie trucidate a Kfar Aza e Be’eri in molti casi ha richiesto settimane.
Il 21 febbraio l’associazione dei centri antistupro d’Israele consegnava però alle Nazioni Unite un plico di circa 40 pagine. Bisogna leggerlo per provare disgusto e pietà per quanti in questi mesi si sono dedicati a distinguo partigiani o bollato l’inchiesta del New York Times, durata due mesi e dedicata proprio agli stupri del 7 ottobre, «propaganda filoisraeliana», «accozzaglia di testimonianze, non di prove», tentativo di «disumanizzare il nemico». Il rapporto dimostra chiaramente che non si è trattato di violenze casuali, isolate o sporadiche, ma di stupri frutto di una chiara strategia operativa. I modelli di “azione“ sono stati ripetuti, identici, in ciascuna delle zone di attacco: il festival Supernova, le case private nei kibbutz in prossimità di Gaza, e pure nelle basi dell’esercito israeliano. Le violenze si sono consumate anche durante il rapimento di 254 persone nella Striscia.
Molti degli stupri, subiti da donne ferite da armi da fuoco e coltelli, sono stati compiuti in gruppo, con la violenta partecipazione dei terroristi. Spesso lo stupro è stato perpetrato davanti a dei testimoni – mariti, familiari o amici – così da moltiplicare il dolore e l’umiliazione delle vittime e di chi voleva loro bene. Così al festival Supernova, dove i terroristi hanno dato la caccia a giovani ragazze e ragazzi in fuga, trascinandole per i capelli, uccidendo le vittime dopo o perfino durante lo stupro.
Numerose e diverse testimonianze danno conto delle stesse pratiche sadiche usate dai terroristi. Qui è d’obbligo l’avviso ai lettori più impressionabili di non proseguire nella lettura dell’articolo. Molti dei corpi delle vittime di crimini sessuali sono stati trovati infatti legati, i genitali brutalmente mutilati da coltelli e colpi d’arma da fuoco, in alcuni casi dall’inserimento di armi. I terroristi non si sono limitati a sparare; hanno tagliato e mutilato anche gli organi sessuali e altre parti del corpo delle vittime con coltelli, lame seghettate, taglierini.
Il rapporto «resta tuttora in una forma preliminare. Nei mesi e negli anni a venire, a seconda delle scelte dei sopravvissuti, potremmo essere in grado di fornire una storia più completa ed esplicita delle aggressioni sessuali del 7 ottobre», scrivono gli autori. Prove iniziali, raccolte secondo i princìpi etici dei centri antistupro e pertanto provenienti solo da fonti verificate, nonché scevre dalle informazioni e confidenze delle sopravvissute che ancora non hanno la forza di denunciare (o che riguardano le violenze ai danni di ostaggi che avranno il diritto di decidere se raccontare o meno la loro storia una volta liberati), ma che già avvalorano la tesi dello stupro sistemico. La violenza sessuale in guerra a breve e lungo termine non è materia da stoytelling: è codificata da parametri precisi, il trauma ha implicazioni fisiche e non solo psicologiche.
Ci sono le testimonianze dei sopravvissuti alla mattanza del festival e che hanno fornito gli stessi resoconti dai nascondigli: stupri collettivi, donne mutilate di arti superiori, o inferiori, mutilazioni degli organi genitali, gravi ferite della zona pelvica, ferite procurate durante gli stupri e culminate in omicidi.
Quelle dei medici legali che hanno analizzato i resti e dei soccorritori che hanno raggiunto le case dei kibbutz e dei villaggi nel Negev occidentale: donne spogliate nelle loro stanze o alla presenza dei parenti, segni di sperma, coltelli conficcati nei genitali. Quelle dei residenti che si sono assunti il compito di identificare i corpi dei vicini, corpi con organi intimi esposti e vestiti strappati. C’è chi ha filmato incredulo i ritrovamenti per avvalorare la propria testimonianza.
C’è l’inchiesta del New York Times sui 24 corpi abusati sessualmente a Be’eri e Kfar Aza, mani legate, biancheria abbassata, disseminati intorno alle case o appesi agli alberi, e ci sono i racconti spaventosi delle donne rilasciate da Hamas su quanto accade nei tunnel, dove i militanti di Hamas hanno trasformato donne e uomini in «burattini tirati da fili».
Dai nascondigli vicini alla strada 232 i sopravvissuti del Festival hanno assistito alle violenze di ragazze contemporaneamente stuprate da un uomo e mutilate da un altro, pugnalate durante le violenze, violentate anche dopo la morte. Segnalati più e più stupri di gruppo, commessi da otto, dieci, in un caso perfino dodici terroristi. I soccorritori parlano di bacini spezzati dalle ripetute violenze. Come di fratture delle ossa pelviche delle donne di tutte le età, dalle bambine alle anziane, violentate nei kibbutz davanti ai parenti, i cadaveri di madri e figlie accanto a quelli di chi inerme ha assistito alle violenze. I volontari raccontano di una coppia nuda, legato l’uno all’altra, lei stuprata, e di donne abusate con coltelli nelle parti intime.
Non sono stati risparmiati gli uomini, mutilati dei genitali, denudati e bruciati. «I colpi di arma da fuoco hanno preso di mira gli organi sessuali. Lo abbiamo constatato molte volte. I terroristi avevano un’ossessione per gli organi sessuali». Pallottole sparate al seno e ai genitali, insieme alla sistematica mutilazione di questi ultimi, ha spiegato Shari Mendes, che ha lavorato alla base Shura per identificare i cadaveri. Ci sono casi di amputazione dei seni con un taglierino, oggetti appuntiti inseriti nell’ano e seghette usate per le penetrazioni e altri scempi dovuti forse alla mancanza di tempo per uno “stupro completo”. «Il New York Times ha riferito di aver visto la foto del corpo di una donna con dozzine di chiodi conficcati nelle ginocchia e nel bacino».
Non erano venuti solo per catturare e uccidere. Hamas nega le violenze e le brutalizzazioni che pure i suoi accoliti hanno orgogliosamente filmato e diffuso. «Credevamo che la lezione del Kosovo, con lo stupro come arma di guerra tornato in auge anche nella civile Europa, fosse stata acquisita una volta per tutte, e che alle violenze contro le donne non dovessero mai più mancare il riconoscimento e la sanzione delle organizzazioni internazionali che si occupano di diritti umani in generale e delle donne in particolare», ha scritto Nicoletta Tiliacos sul Foglio. «Ma se sei israeliana per te non vale. Silenzio tombale».
Silenzio durante la manifestazione contro la violenza sulle donne del 25 novembre, silenzio durante quella del 24 febbraio a Milano, entrambe promosse da Non una di meno, che ha accusato Israele di genocidio “in continuità” con “femminicidi, lesbicidi e transicidi”. «Quelli commessi da Hamas, che come è noto reprime fino alla morte coloro che considera deviati sessuali? Macché. L’assurda accusa è rivolta contro Israele, paese in cui gli omosessuali palestinesi e iraniani hanno sempre trovato accoglienza e libertà».
Facendo seguito all’appello “Non si può restare in silenzio”, arrivato a diciassettemila firme che chiede di definire quelli del 7 ottobre come crimini contro l’umanità e di perseguirne i responsabili a livello internazionale, Setteottobre ha presentato formale richiesta di indagini all’ufficio del prosecutor della Corte penale internazionale dell’Aia. Oggi alle 18, a Piazza Santi Apostoli a Roma, si chiede un 8 marzo anche per le donne di Israele, un 8 marzo per le madri e figlie uccise quel sabato nero e per il rilascio di quelle ancora detenute insieme a uomini, bambini e anziani, nei tunnel di Hamas.
Fonte: https://www-tempi-it.cdn.ampproject.org/v/s/www.tempi.it/i-seni-amputati-col-taglierino-cosi-hamas-ha-stuprato-le-donne-israeliane/amp/?amp_gsa=1&amp_js_v=a9&usqp=mq331AQIUAKwASCAAgM%3D
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marcogiovenale · 1 year
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gabriele milli: bologna, 1968, 1977, 1981, dispacci, spartivento, descrizioni in atto
https://www.cartavetro.com/memoria/bologna-dopo-il-68/ annotazioni in forma di lettera, di Gabriele Milli: https://www.cartavetro.com/memoria/bologna-dopo-il-68/
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Quando venni a prenderti in aeroporto aspettavo arrivassi, avevo pensato di scrivere un cartello, come i driver, all'ingresso degli arrivi.
Dove facevamo sesso hanno chiuso il cancello, una mia amica mi disse una volta:
"Ti ricordi dove andavamo sempre a 17 anni? Ci bastava un panino e stare lì per sentirci che tutto quello fosse nostro"
Non l'ho mai dimenticato
"Non ci sono mai più tornata d'allora, ho trovato il cancello e ho pensato: bene così"
Mi confuse un sacco, perché non andare dove si è stati bene? Non tornare ripetutamente lì e rivivere quella nostalgia che pesa sul cuore ma è anche bello per quei dieci secondi che ti riconnetto con la realtà.
Hai visto? Non ho ancora perso la visione romantica (letterario) delle cose, non lo metto in atto da parecchio anche se la ragazza che mi ama adesso meriterebbe tanto ma tanto romanticismo che, però, non riesco a darle.
Dicevo, mi lasciò con il me romantico (letterario sempre) in una faida di fazioni tra cinismo bieco e tarda crescita.
"Ho trovato quel cancello fisico che è stata una metafora: quello che è successo li, resta lì; si va avanti, cresciamo e lo dobbiamo portare non ostinarci a volerlo rivivere perché non lo rivivremo mai più"
Torno a controllare e ogni volta è chiuso, il posto in cui andavamo a scopare.
Non per chissà che, solo ascoltare musica e fumare una sigaretta sperando ti tagliare questo filo rosso che tiene legato solo me.
Tornare per chiudere
Ma come sempre, tutto ciò è solo nella mia testa
così quel giorno all'aeroporto entrasti in un'altra auto, ai carciofi non ci fai più caso se non quando li cerchi perché devi friggerli, in quella casa col tetto non ci sei più andata nemmeno tu e le chiavate romantiche (come scrivi nelle descrizioni delle playlist di Spotify) le fai sudare ad altri.
Ancora chiedo di te a volte, e altre mi chiedo come sarebbe stato se fossi andata da uno psicologo.
Non mi hai più amato, senza troppi giri di parole. Il punto è quello,
Il filo è questo,
Le forbici non le ho mai usate, strappo principalmente
E sgambo, sgambo come un cavallo teso, un toro ferito
Il laccio taglia la carne, le fibre sue sono resistenti.
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ildapa · 2 years
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Entro in una gelateria di Siracusa per prendere una brioche con gelato. La signorina al banco mi sconsiglia la brioche perché erano di ieri, anche se, mi fa, non poteva dirmelo. Mi dice di non dirlo in giro altrimenti l'avrebbero licenziata, e la rassicuro sul fatto che mi sarei portato questo segreto nella tomba, però ovviamente lo sto scrivendo qui (ché tanto chi le legge le descrizioni di Instagram?) perché mi sembra una cosa bella, un atto di premura verso di me che, per quanto qualcuno potrebbe avere dubbi sulla mia levatura morale, non merito brioche stantie. Il suo era anche un atto di ribellione al potere, alle ingiustizie, o forse ci stava provando, però insomma è comunque una cosa che non andrebbe nascosta e va premiata ed incentivata. Infatti ho lasciato due euro di mancia a lei, più altri due per il titolare, che così domani compra un altro pacco di brioche. Alla fine, uscendo, una mia amica mi chiede com'è il gelato, perché non l'ha voluto quando volevo offrirglielo, ma ora voleva assaggiarlo da me. Pensando all'atto di bontà della gelataia, pensando anche all'atto di generosità mio nell'elargire due spicci in più, sono arrivato alla conclusione che per questa giornata il karma generale raggiunto fosse sufficientemente in positivo, e allora l'ho mandata a cagare. Poi ha dato comunque un morso, però vabbè l'intenzione c'era.
instagram
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s-evaw · 4 years
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Primo atto - diario emozionale in cui, dal primo fenomeno del sospiro-respiro verrano descrizioni d’espressione della vita emotiva.
qual è stata la prima cosa che hai fatto?
Hai respirato-sospirato, e stai continuando a farlo.
Fenomeno vitale
Movimento espressivo naturale
Esperienza di forma vissuta
Forma di comunicazione multipla ed opposta: ansia&sollievo
17-03-2021
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trishacerchiaro · 5 years
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Il Codice da Vinci, un Thriller di Dan Brown.
Il Codice Da Vinci, un Thriller di Dan Brown, un libro che mi ha catturata sin dalle prime pagine.. Un libro che fa riflettere, un libro che apre gli occhi e la mente... Un libro da non dimenticare così facilmente...
Sintatticamente parlando, il lessico compare molto semplice, nonostante l'autore  sia un professore, probabilmente per rendere facilmente accessibile la lettura a tutti. La narrazione risulta scorrevole e piacevole, articolata in un mix di genere thriller, giallo e storico, con molteplici colpi di scena che, quasi, "obbligano" il lettore a tenere gli occhi incollati al libro e senza fiato! Personalmente trovo sia stato uno dei libri più belli e rivoluzionari della storia moderna, che spinge ad una riflessione personale sul mondo cattolico e artistico. Difatti, l'autore sottolinea che questa è un'opera di fantasia, quindi fatti, personaggi e luoghi sono invenzioni del narratore, mentre, tutte le descrizioni di opere d'arte e architettoniche, di documenti e rituali segreti rispecchiano la realtà. Non manca, di conseguenza, l'indignazione della Chiesa e dei credenti che non accettano la messa in discussione della vita di Gesù Cristo, come uomo con sentimenti e rapporti intimi con una donna, ma anche dell'importanza che esso aveva attribuito a Maria Maddalena. Riflettendo, nel corso della storia e tutt'oggi, la Chiesa ha sempre agito per scopi di lucro, potere, e ricchezze che, in realtà, Gesù e i discepoli non hanno mai voluto, come riportato nei vangeli.. Molteplici sono le azioni che la Chiesa ha messo in atto per cancellare documenti, credenze e usanze che reputava sbagliate, in quanto contro di essi, contro i vangeli "ufficiali" scelti da lei stessa e la Bibbia. Come? Per esempio, il pentacolo, simbolo magico consistente in una stella a cinque punte, venne tuttavia interpretato come diabolico dalla Chiesa cattolica ed associato ad una forza oppositrice a Dio. Nell'antichità invece, il pentacolo era ampiamente utilizzato come simbolo sacro legato alla Dea Venere, incarnazione della forza, della bellezza e della sessualità mistica.. Questo, come molti simboli pagani, risultano essere variati dalla Chiesa a suo piacimento, per incrementare fedeli, il popolo cattolico ed acquisire potere... Così come i vangeli, perché rendere ufficiali solo quattro di essi? Perché riscrivere il testamento da Antico a Nuovo? Concludendo, come possiamo fidarci appieno, oggigiorno, di ciò che ci è stato insegnato? Di ciò che ci hanno fatto credere sia giusto o sbagliato? Perché, ad eccezione delle suore, gli uomini di Dio, secondo la Chiesa, debbono essere uomini e non donne? Per paura di rivelare la realtà nascosta? Per paura di perdere, di conseguenza, potere? Dubito che avremo risposte specifiche a breve, ma intanto consiglio di riflettere vivamente, su quello che ci è stato insegnato e quello che osserviamo ogni giorno, sul bene e male.
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cartofolo · 5 years
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Conoscete il paradosso del mentitore?
Pare che derivi da un'affermazione di Epimenide di Creta (VI secolo a.C.): "Tutti i Cretesi sono bugiardi" essendo lui un cretese ne deriva che la sua affermazione sia una bugia.
Da questo ne è venuta fuori un'altra frase: "io non dico la verità".
Se questo individuo non dice la verità la frase è falsa, ma se la frase è falsa significa che dice la verità contraddicendo l'asserzione della frase stessa.
Come si può immaginare una soluzione?
Se si riflette ci si accorge che  il termine "verità" viene usato impropriamente. Dovrebbe essere sostituito da "la mia descrizione della verità", in quanto, per definizione, la verità corrisponde al vero quindi ad un fatto reale in atto, che essendo tale, non può essere descritto se non a posteriori.
Da questo deriva che il paradosso di Epimenide dovrebbe suonare cosi:"la mia descrizione della verità è falsa".
Lo stesso vale per le tante discussioni che facciamo sul fatto che la verità sia relativa. Nel dire "la verità è relativa", si fa un uso improprio del significato della parola verità. In realtà si dovrebbe dire: "le descrizioni della verità sono tutte relative."
Questo perché  la posizione spazio-temporale di ogni osservatore è diversa, come è diverso il presupposto logico da cui parte un ragionamento; di conseguenza ogni testimonianza sarà diversa e quindi relativa.
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pangeanews · 5 years
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Dostoevskij nel luogo indicibile, il Cimitero militare germanico della Futa. “Perché l’essere umano è cattivo?”
Proprio perché non riesci a sintetizzarlo in una didascalia, scassa ogni museruola creata ad arte dalla critica letteraria, è insopportabile. Fëdor Dostoevskij non lo puoi leggere, lo soffri, ti arriva addosso facendo un pagliaio del costato, un falò delle beate convenzioni che tengono in piedi la palazzina della tua vita, buona, sana, giusta. “Ma Dostoevskij, come i santi in cerca di salvezza, ascolta senza tregua una voce che gli sussurra: Osa! tenta il deserto, la solitudine. Sarai bestia o Dio. Fra l’altro, nulla è certo anzi tempo. Comincia col rinunciare alla coscienza che pretende di apprendere ogni cosa, e dopo vedrai”, ha scritto Lev Sestov, il grande filosofo russo, l’unico che abbia accolto, esaltandoli, gli aspetti esasperati, impossibili, a morsi in faccia, dell’opera di Dostoevskij. Così, quando leggo che Archivio Zeta – cioè: Gianluca Guidotti e Enrica Sangiovanni – ‘festeggia’ vent’anni di attività teatrale in direzione anomala – hanno lavorato su Werner Herzog e Elie Wiesel, compiendo, soprattutto, una originale catabasi nel teatro greco antico – portando Dostoevskij nel Cimitero militare germanico della Futa, l’immane sepolcro, inaugurato 50 anni fa, dove sono accolti oltre 30mila soldati tedeschi morti durante la Seconda guerra, mi dico: è perfetto. Dostoevskij va brandito dove la Storia è una contraddizione permanente, una ferita che ancora sbraccia. Dostoevskij va nei luoghi imperdonabili, è lì, implacabile, dove non c’è più nessuno – lì a distillare l’ultimo grado di uomo dalla tenebra, a confermare che l’ultima parola non è stata ancora pronunciata, che ancora un gesto è da fare e che tutto può rialzarsi. Il lavoro di Archivio Zeta si intitola Pro e contra Dostoevskij ed è in atto al Cimitero militare germanico dal 13 luglio al 18 agosto (qui tutte le informazioni): denunciano di usare materiali tratti da Il sogno di un uomo ridicolo e da I fratelli Karamazov. Sono i testi cardinali, dove FD ci tenta a percorrere le vie estreme – l’assoluto nichilismo, l’indifferenza regnante –, ci induce alla crisi, alla ricapitolazione dei nostri errori, per sfogare nella conversione, radiosa, inaccettabile – non c’è risposta che dia pace. In mezzo, il discorso sull’Occidente – minato dalla tecnica, dal lavoro meccanico, che sottrae l’individuo al creato e al creare – compiuto da FD dopo i viaggi, soprattutto, a Parigi e a Londra (che leggete in Note invernali su impressioni estive). “Ciascuno di noi è colpevole davanti a tutti per tutto, e io più di tutti gli altri”, dice Zosima nei ‘Karamazov’. Ed è questo – la responsabilità verso il prossimo, la comune colpevolezza, la ‘catena’ umana nel crisma del perdono – il tema che ricorre, rincorrendo una ossessione, il punto dolce in cui polverizzare il male, nel lavoro esagerato di Dostoevskij. Da qui, se ne parla. (d.b.)
“Pro e contra Dostoevskij”: alcune fotografie preparatorie. Archivio Zeta è qui: www.archiviozeta.eu. Photo Franco Guardascione
Dostoevskij è materia che brucia. Qual è il punto centrale che avete toccato, il tema determinante?
Il tema dominante è questo: se si va al di là del bene e del male, allora tutto è permesso. C’è un capitolo di Se questo è un uomo di Levi che si intitola Al di qua del bene e del male. Questo è stato il punto di partenza verso Dostoevskij. Il lager è la destinazione finale di un lungo viaggio partito dalla Londra dell’Esposizione Universale. La civiltà occidentale voleva fare quel viaggio e lo ha fatto fino in fondo. Non ci siamo ancora ripresi. Come dice Elie Wiesel il fall out di Hiroshima continua a precipitare su tutte le questioni morali, sociali e politiche. Volevamo fare uno spettacolo sull’indifferenza e sul relativismo morale che circola dappertutto e appunto Dostoevskij è materia ancora incandescente. In esergo alla confessione di Ippolit nell’Idiota c’è la frase Après moi le déluge: è la sintesi del pensiero capitalista che sta distruggendo il mondo. La bellezza non salverà il mondo ma abbiamo il dovere di provare a modificare lo stato attuale delle cose, anche per quell’infinitesima percentuale che ci riguarda.
Nel “Sogno di un uomo ridicolo”, che vedo essere tra i materiali del vostro lavoro, c’è il tema della caduta, per gesti compiuti, sempre, “a fin di bene”. A fin di bene, ci dice FD, si finisce per fare il peggiore dei mali. Che caratura ‘politica’ ha il vostro lavoro?
Tutto il Novecento ha compiuto crimini a fin di bene, Dostoevskij lo aveva capito in anticipo. Nel Sogno poi c’è anche il tema del paradiso perduto e del volo cosmico. È un racconto visionario. Le infinite lapidi del cimitero germanico Futa Pass sono da quindici anni il campo di battaglia delle nostre visioni e la scenografia di senso dei nostri spettacoli. È il coro muto di ogni tragedia che mettiamo in scena. Lì dentro tutto è politico perché ogni nome ci parla dell’aberrazione a cui la politica può condurre l’essere umano. Nello stesso tempo ogni gesto artistico è politico quando interroga il tempo presente. Parise, autore che abbiamo messo in scena, diceva che il nazismo è nella vita quotidiana: dobbiamo prendere seriamente queste parole per capire a che punto siamo arrivati oggi nella civile Europa.
‘Politica’, per altro, è la scelta del luogo in cui realizzate il lavoro: il cimitero germanico della Futa, dove sono sepolti 30mila soldati tedeschi, i vinti, i ‘cattivi’… Raccontatemi perché quel luogo. 
Il Cimitero della Futa è un’opera architettonica paragonabile, quanto a dimensioni e impatto sul paesaggio, al Cretto di Burri. Quando ci siamo entrati la prima volta nel 2002 abbiamo subito capito che poteva essere un teatro, il nostro Teatro di Marte, come lo chiamiamo riferendoci a Karl Kraus. È diventato il nostro “parlatorio” perché ci pone delle domande scomode, radicali, non retoriche, ci interroga in profondità, ci dice da dove veniamo: perché esiste il male, perché l’essere umano è cattivo? Le stesse domande che, con disarmante tragicità, si ponevano Eschilo o Dostoevskij.
All’accusa di questo mondo – nichilista, relativista, dominato dal Baal della tecnica – Dostoevskij risponde con una religiosità cruda. L’uomo ridicolo, infine, si converte, passa dal ritenere che nulla abbia senso all’amore universale. Eppure, egualmente, viene creduto pazzo dal ‘mondo’, dalla ‘società’ del bene perbenista, come se gli estremi del pensare siamo egualmente inaccettabili. Nel vostro lavoro questo slancio verso il ‘folle di Dio’ c’è?
Noi siamo atei ma la riflessione che Dostoevskij conduce a partire dal Sottosuolo, non appena tornato dal primo viaggio in Europa, il suo attacco frontale al Palazzo di Cristallo, dominato appunto dal Baal della tecnica, ci interessa perché è di una attualità sconvolgente. La sua cruda religiosità è parte di questa posizione filosofica estrema. Noi cerchiamo di leggerla nel vasto respiro della sua opera. Siamo affascinati dal sacro, perché lo abbiamo totalmente rimosso dalla nostra vita. Siamo combattuti. Siamo pro e contra Dostoevskij, come dice il titolo dello spettacolo, che è anche il titolo del cuore filosofico de I fratelli Karamazov. Nel nostro lavoro sicuramente c’è uno slancio folle, una fiducia quasi mistica nei confronti della parola poetica e filosofica. Da questo amore per le parole nasce il nostro lavoro teatrale.
Scrivete, al termine della scheda che narra il lavoro: “In quest’epoca di terrore e di follia insensata risaliamo in un volo cosmico fino a Dostoevskij, per andare alle radici della storia della società massificata dove potere, economia e politica si saldano per sfociare nei totalitarismi che abbiamo conosciuto e, forse ancor di più, nell’attuale sistematica distruzione del pianeta”. Che importanza può avere, messa in scena, la parola letteraria? E poi: non vi pare di essere disperatamente esagerati? 
Sì, citavamo Zagrebelsky, che ha scritto il saggio forse più lucido e importante degli ultimi anni sul Grande Inquisitore, Liberi servi. Ci ha fatto da guida nella composizione del testo. Nel nostro spettacolo ci sono sia la scena del Diavolo che nel romanzo avviene molto avanti, sia il Grande Inquisitore. Sono vertici della letteratura e del pensiero filosofico. Ma la parola letteraria di Dostoevskij non è mai compiaciuta, è sempre drammatica, è orale, lui dettava i romanzi interpretando le voci dei personaggi: è il più grande (anche in senso quantitativo) drammaturgo moderno insieme a Ibsen. A volte leggendolo e rileggendolo si ha come l’impressione che abbia scritto un unico grande romanzo ossessivo e che questo grande romanzo altro non sia che una enorme opera teatrale fatta di confessioni, monologhi interiori, scene madri, allucinazioni, dialoghi platonici, fantasticherie. Tutti i suoi materiali sono pronti per essere detti, sono azioni, non descrizioni. Certamente, siamo disperatamente esagerati ed esageratamente disperati, altrimenti non potremmo accostarci a Dostoevskij che è molto più esagerato e disperato di noi.
Potrei concludere, “solo un Dostoevskij ci può salvare”. È così? Da dove giunge questa necessità di avvinghiare Dostoevskij dopo il lavoro di scavo che avete fatto, ad esempio, nel teatro antico?
È così: la sua opera è di una bellezza stordente. Abbiamo in programma di lavorarci per i prossimi anni. Un lungo lavoro di scavo quasi archeologico per disegnare una topografia tragica dispersa nei diversi racconti e romanzi. Dopo molte tragedie greche e dopo Kraus avevamo necessità di un altro monte da scalare e abbiamo pensato che la Russia e quel sottosuolo fossero la meta più giusta per noi.
L'articolo Dostoevskij nel luogo indicibile, il Cimitero militare germanico della Futa. “Perché l’essere umano è cattivo?” proviene da Pangea.
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lamilanomagazine · 6 months
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Bolzano: ruba la bicicletta a un disabile e danneggia le auto in sosta
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Bolzano: ruba la bicicletta a un disabile e danneggia le auto in sosta. Una pattuglia della Squadra “Volanti” della Polizia di Stato, a seguito di una segnalazione pervenuta alla Centrale Operativa della Questura sul numero di emergenza “112 NUE”, è intervenuta in via d’urgenza in Via Torino in quanto era stato segnalato un furto di bicicletta in atto. La vittima, un uomo di 56 anni affetto da invalidità, raccontava ai Poliziotti che nel riprendere la propria bicicletta nel luogo dove l’aveva momentaneamente lasciata, aveva notato un giovane armeggiare con il lucchetto, cercando di romperlo con la sella della stessa bicicletta. Allarmato per quanto stava accadendo, il proprietario della bicicletta interveniva chiedendo al giovane cosa stesse facendo; il malfattore, per tutta risposta, brandiva minaccioso una bottiglia di birra che aveva in mano, tentando di colpire la malcapitata vittima per evitare di essere interrotto nel suo proposito criminale. Quindi, dopo essersi impossessato della bicicletta, costui si allontanava dal luogo del furto (divenuto pertanto rapina), mentre l’uomo, ripresosi dallo spavento, contattava immediatamente la Polizia, che giungeva sul posto in pochi minuti. Sulla base delle descrizioni fornite dalla vittima i Poliziotti si mettevano subito alla ricerca, individuando il ladro – che, nel frattempo, nel tentativo di evitare di essere fermato aveva anche danneggiato una autovettura prendendola a calci – mentre si incamminava sulle vicine passeggiate lungofiume. Costui veniva pertanto fermato e condotto in Questura, ove veniva identificato per tale T. M., 25enne cittadino tunisino con a proprio carico vari precedenti penali e/o di Polizia ed irregolare in Italia. Al termine degli atti di Polizia Giudiziaria, T. M. veniva dichiarato in arresto per il reato di rapina. Il Questore della Provincia di Bolzano Paolo Sartori, in considerazione di della gravità dei fatti e dei numerosi precedenti a suo carico, parallelamente all’evolversi dell’iter giudiziario ha emesso nei confronti di costui un Decreto di Espulsione dal Territorio Nazionale.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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marellagiovannelli · 2 years
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Mariana Betsa, ambasciatrice dell'Ucraina in Estonia, ha pubblicato sul suo account Twitter due foto con relative descrizioni. Vanno ad aggiungersi alle prove inconfutabili del genocidio in atto in Ucraina. La verità dei fatti non potrà essere ribaltata e i crimini di guerra saranno puniti. Massacri di civili, stupri, esecuzioni, violenze e deportazioni si aggiungono al carico di morte e distruzione causato dai bombardamenti. Solo questa è la realtà di un popolo aggredito e martoriato a casa sua, nella sua terra, nelle città e nei villaggi ucraini. #marellagiovannelli #marianabetsa #ambassador #ucraina #estonia #twitter #warcrimes #ukraineunderattack #criminidiguerra #genocidio https://www.instagram.com/p/Cb7rr-Btc8q/?utm_medium=tumblr
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pleaseanotherbook · 6 years
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Keeper of the bees Blog Tour #2: A review
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"There is no comparison. I'm a monster."
"So am I," she says in a silky voice. "My monster lives inside my head. People are afraid of monsters, wherever they reside."
"People are fools."
“Keeper of the bees” è il secondo volume di una serie urban fantasy di Meg Kassel edito da Entangled: Teen e in uscita il 4 settembre. Io naturalmente me ne sono innamorata immediatamente solo dalle premesse, che mi hanno conquistato solo con la parola “api”. Ma d’altronde si sa, io le ossessioni mica le curo, le alimento. Sono stata tanto fortunata da avere una copia in anteprima, in cui immergermi e che mi ha fatto compagnia in un lunghissimo viaggio verso il mare.
Dresden è maledetto. Il suo petto ospita un alveare pieno di api che non è in grado di fermare quando vogliono pungere qualcuno con un veleno che induce la psicosi. Il suo volto è un insieme che muta velocemente di tutte le persone che sono morte a causa delle sue punture. E gira così da secoli – da quando aveva diciotto anni e la magia scorreva nel suo paese natale, corrompendo le persone. Segue da tempo gli annunciatori della morte, così che possa colpire con la sua maledizione solo coloro che stanno per morire in ogni caso. Ma quando arriva in una città del Midwest segnata dalla morte, incontra Essie, una ragazza di diciassette anni che soffre di una forma debilitante di allucinazioni e delusione. Le sue api vogliono pungerla appena compare sotto i suoi occhi. Ma Essi non vede un mostro quando guarda Dresden. Essi è affascinata e deliziata dal cambio dei suoi lineamenti. Rischiando la propria vita, Dresden trattiene le sue api e la risparmi. Quello che inizia come un semplice atto di indulgenza finisce per disfare la vita solitaria di Dresden e quella tormentata di Essie. La loro romance impossibile potrebbe essere abbastanza potente da distruggere una maledizione lunga secoli.
Vi potrei raccontare come nasce la mia fissazione per le api, ma poi toglierei tutto il fascino che nasconde e preferisco tenere per me questo amore solido e viscerale. Eppure appena leggo “api” mi devo impossessare del titolo e “Keeper of the bees” non ha fatto eccezioni. Ammetto di essere stata un po’ inquietata dal fatto che un intero alveare risiede addirittura nel petto di un ragazzo costretto da secoli a convivere con uno sciame dotato di una propria volontà che spesso diventa totalmente indipendente. Eppure, non se ne può prescindere perché il fulcro di tutta la storia ruota intorno alla volontà di Dresden di liberare o no le sue api, e chi decide di pungere e chi no. Potrebbe sembrare l’incontro impossibile tra due emarginati, eppure finisce per essere una storia in cui ci si interroga molto su cosa è giusto e cosa è sbagliato, ma soprattutto quali sono le conseguenze delle proprie azioni. Perché non c’è niente di semplice o lineare, ogni passo che compiamo è la somma delle nostre segrete speranze, l’incedere lento verso la risoluzione dei nostri atti. E da un lato c’è appunto Dresden questo uomo dall’aspetto di diciottenne e il peso di secoli sulle spalle, plasmato dagli eventi che ha provocato con le sue api, incapace di vedere oltre il velo di disperazione che gli casca addosso ogni volta che fa un passo verso il futuro.  Dresden compie gli stessi gesti da così tanto tempo che viene scosso dal profondo da una ragazza come Essie che lo vede sul serio per la prima volta, che sfugge da ogni logica perché il suo è un mondo irreale, fatto di spettri, apparizioni, visioni che offuscano il suo senso del reale e del tangibile. Ma quello che colpisce di Essie è la sua forza d’animo, il suo ottimismo, la sua volontà di superare ogni confine che sembra tenerla lontana dai suoi pensieri e la sua famiglia. Dresden che già sfugge alla logica, perché è un essere sovrannaturale, le renderà giustizia, in modi che neanche immagina. Insieme lotteranno, per loro stessi, per la città di Essi e soprattutto per la loro relazione appena sbocciata, che dovrà affrontare ogni prova, anche la più terribile.
Il worldbuilding della Kassel è straordinariamente minuzioso, pur fornendo pochissime spiegazioni sul modo in cui Dresden è diventato ciò che è, che in fondo era la parte che mi interessava di più, ma le descrizioni delle api sono molto accurate. Ed è questo l’elemento chiave che fa la differenza in tutta la storia.
 Il particolare da non dimenticare? Una finestra…
 Un racconto straordinaria di amore e lotta, una guerra tra bene e male che passa attraverso la normale vita di una cittadina del Midwest che si riempie di terrore e paranormale, in cui le api, per una volta, non sono così buone come sembra.
Buona lettura guys!
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Ringrazio immensamente Entangled Teen e NetGalley per avermi regalato la possibilità di leggere questo libro in anteprima e YA Bound Book Tours per avermi regalato l’opportunità di partecipare al blog tour promozionale.
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Per consultare il calendario del Blog Tour potete andare a questo link.
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Regina IN blues Vorrei iniziare questa recensione con la definizione della parola che, tra tutte, più mi ha colpito in questo libro; parola che è stata pronunciata varie volte anche durante la chiacchierata avuta con l’autore, Antonello Loreto, lo scorso 26 ottobre durante il GdL "Chiave di Lettura"... E questo termine è "blues" che deriva dall'espressione "to have the blue devils" (letteralmente: avere i diavoli blu) col significato di "essere triste, agitato, depresso, malinconico". Ed è proprio ciò che ho provato leggendo “Regina Blues”, poiché anche se la parola terremoto non è mai stata scritta (e di riflesso mai letta) si intuisce sin da subito che essa è la protagonista – ahimè – indiscussa della trama. Ed è stato con questo “malessere” diffuso che ho affrontato la storia di Sid e dei suoi amici (i “Santi” e gli “Eroi”) nel giorno della “famosa” partita e nel raccogliere le fila di quelle esistenze rimaste e segnate comunque dall’imponderabile. 
Storie ambientate negli anni Ottanta ma sempre e comunque attuali, poiché il raccontare scorci di vite quotidiane in cui tutti possono ritrovarsi non ha tempo né spazio.  E, a proposito di spazio, voglio lasciarlo a chi per la prima volta si è approcciato al nostro GdL e alle sue riflessioni e sensazioni in merito. Quindi, per ora, io Valentina Pascetta mi "congedo"  e lascio il resto della recensione a cura di Rita Pagliara.
Pur essendo una lettrice (quasi) onnivora e vorace, solo di recente mi sono decisa ad aderire ad un gruppo di lettura, condividendone la comune passione libresca, quell'esperienza magica che solo l'essere giunti alla conclusione di una storia può farti vivere, quella sensazione liberatoria di essere arrivati al fondo delle pagine. E non avrei potuto farmi "adottare" da gruppo migliore: il GdL "Chiave di Lettura" attivo all'interno della Biblioteca San Valentino! E mai avrei potuto immaginare di partecipare, seppure in modalità a distanza, lo scorso 26 ottobre, avendo l'opportunità di colloquiare proprio con l'autore del libro del mese: Antonello Loreto con il suo "Regina Blues". Tra sorrisi, aneddoti, racconti e riflessioni, qualche intoppo (piccolo) di connessione, l'incontro è scivolato sereno e piacevole al ritmo delle sollecitazioni di ciascuno. Leggere è di per sé un’esperienza speciale, al pari della scrittura: le parole ti trasportano nella dimensione vaga e leggera (ma non per questo meno reale e concreta) dell’immaginazione, dell’universo narrativo dell’autore, proprio al centro stesso delle sue storie. Se leggere è un atto magico, ancora più emozionante e coinvolgente è il poter confrontarsi proprio con il “responsabile” dell’esperienza di lettura, con chi ha innescato in te sorrisi, riflessioni, lacrime e, qua e là, pure qualche arrabbiatura! Ho sempre considerato la lettura come momento privato, fortemente individuale, caratterizzato, però, dalla ricchissima opportunità di condividerne gli esiti con altri, con quanti, proprio come me, è animato dalla comune passione per le lettere e l’inchiostro: questo accade in un gruppo di lettura, questo è accaduto durante il mio primo incontro ufficiale del mese scorso. Incontro del quale conservo gli scambi di battute e impressioni con gli altri componenti e partecipanti, sintesi perfetta di un tempo trascorso in amichevole - e proficua – compagnia…
“Regina Blues” è un romanzo corale, a più voci, che offre lo spaccato quotidiano e particolare di una comunità vivace, ricca di tradizioni, passioni e valori, popolata e animata da giovani vite attorno alle cui vicissitudini ed esperienze ruota l'intreccio delle vicende. La nota peculiare di queste pagine è data dalla ricchezza delle descrizioni: dei posti, del contesto sociale, delle dinamiche comportamentali, degli amori, affetti familiari e affinità, dei personaggi (numerosissimi), molti dei quali individuati da soprannomi più che calzanti e ciascuno di essi dotato di un proprio livello di approfondimento e caratterizzazione. Gli eventi narrati culminano nella "famosissima" e attesa partita finale del torneo di calcio che vede schierate due squadre "insospettabili", giunte in finale contro ogni previsione e pronostico, la squadra dei <<Santi>>, del Liceo Classico e quella degli <<Eroi>>, del Liceo Scientifico. Una partita che nella comunità cittadina assume rilevanza "epica", diventando appuntamento seguitissimo e occasione mondana, capace di strappare via la patina della routine alla quotidianità delle esperienze. Io non sono amante del calcio in generale, dunque non lo trovo vicino alle mie corde neppure quando viene narrato su carta, tuttavia, ammetto che in questo caso l'autore sia riuscito a catturare (anche) la mia attenzione. Perché, se è vero che il fulcro della narrazione è proprio l'evento sportivo, alla fine vi ruotano attorno - descritte con una vena ironica, divertente e brillante - vite, speranze, tante storie e stralci di un'esistenza semplice, tranquilla. Almeno fino ad un evento che segna per sempre il naturale corso degli accadimenti e che funge da discrimine tra un "prima" e un "dopo". E questo evento dirompe con la forza e la devastazione del terremoto che fa crollare edifici e certezze, scuote, cambia per sempre la fisionomia dei luoghi, le prospettive future e la vita dei sopravvissuti. Terremoto che, come l’autore ha precisato in un suo intervento durante l’incontro virtuale con il Gruppo di Lettura, non viene mai nominato per tutta la narrazione, non viene mai chiamato col suo nome ma espresso e (ri)conosciuto attraverso i suoi effetti: fragore, rumore, polvere di calcinacci e distruzione, con quell'incredula sensazione che rende impossibile il solo pensare a un così repentino cambio di scenario. Dove le risate, i giochi e gli scherzi, ora le grida, la paura e le mani che scavano incessanti tra i detriti. Insieme a chi resta grava il pesante fardello di chi da quella tragedia non si è salvato. Ed una vita che non può non proseguire il suo naturale corso, pur alla continua ricerca di un senso. <<"Perché?" È la domanda che, ad ogni tragedia, ci facciamo dentro. Ed è la più terribile, perché è sempre una domanda senza risposta.>>
Ed è con le parole di Rita Pagliara che vi saluto e vi do appuntamento al prossimo incontro, tramite piattaforma Google Meet (che sperimenteremo per la prima volta insieme), lunedì 23 novembre alle ore 20.30 con il libro “Il cuore selvatico del ginepro” di Vanessa Roggeri - autrice.
Vi aspettiamo, non mancate!!!
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mentalitygladiator · 7 years
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4 letture estive (in tema)
Queste sono alcune delle mie letture estive (e sottili!) degli ultimi anni. Romanzi classici o contemporanei di ambientazione “marittima” che sono perfetti per essere consumati in spiaggia, o sul terrazzo della casa al mare, con la salsedine ancora sulla pelle...
Storie intense ma abbastanza brevi, che aggiungeranno di sicuro qualcosa a queste giornate ardenti... Credo che il fatto di leggere questi libri proprio d’estate aumenti molto l’immedesimazione nelle storie, e l’impressione che ne rimane.
Quest’estate, quindi, buttatevi sulla riva con:
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“Anche se lo si è letto una sola volta, Lo straniero non te lo levi più dalla mente.”
Ed è proprio così. Il protagonista è Meursault, un modesto impiegato di Algeri; un personaggio che si lascia trasportare dalla vita, piuttosto che agire in essa. Veniamo trasportati nella spiaggia algerina, dove Meursault si abbandona ai sensi, alle sigarette, al sonno; il calore è insopprimibile, le “sciabolate di luce” lo accecano; preda di questo stordimento mediterraneo, il nostro assurdo eroe, senza ragione, uccide un arabo. 
“Ho capito che avevo distrutto l’equilibrio del giorno, lo straordinario silenzio della spiaggia dove ero stato felice.”
Ma è solo il primo atto di questa tragedia moderna. Nel secondo, Meursault dovrà affrontare le conseguenze del suo atto inspiegabile.
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Un piccolo capolavoro di Conrad, celebre scrittore in lingua inglese e autore del più noto Cuore di tenebra.
Il protagonista di questo romanzo, ormai non più giovane, crede di aver abbandonato per sempre il mare e i tropici, quando, inaspettatamente, gli viene offerto su una nave un posto da capitano. E così il giovane ufficiale si imbarca su un veliero come stregato dal ricordo del precedente capitano morto pazzo: “Una nave! La mia nave! ... Era là che mi aspettava, fino al mio arrivo preda di un sortilegio, incapace di muoversi, di vivere, di uscire dal mondo, come una principessa stregata.”
Il mare di Conrad è sempre disperatamente immobile, “levigato come una lastra d’acciaio nell’aria senza vento.” In quest’assenza totale di brezza, di movimento, la nave “avrebbe potuto essere un pianeta in vertiginoso volo lungo la sua orbita prefissata, in uno spazio di infinito silenzio.”
L’equipaggio è estenuato dalla febbre tropicale, i marinai scheletrici non hanno più forza per manovrar le vele, in attesa di un soffio di vento che dissipi l’incantesimo.
E il vero incantesimo sono le descrizioni evocative di Conrad, la sua maestria nel calarci nella vita di bordo di un equipaggio scheletrico - quasi fantasma - , febbricitante, che trova sollievo solo nella frescura della notte, sotto le stelle che brillano nell’aria acquosa delle notti sul mare. Finché il capitano non riuscirà a ricondurli sulla terraferma, in un salvifico sbarco.
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La spiaggia di un alberghetto ad Alessandria d’Egitto. 
Il giovane Nuri, orfano di madre, poco più che dodicenne, vede sul bordo di una piscina la bellissima Mona e lo assale la prima fitta di desiderio: “Volevo indossarla come un abito, insinuarmi tra le sue costole, essere un nocciolo nella sua bocca.” 
Con la presenza della ragazza Nuri crede di poter finalmente colmare il vuoto interiore: “Non le raccontai di come avessi desiderato condividere la mia perdita, la densità del mio dolore, con un alleato, un mio pari. Non le dissi nulla di tutto ciò, non perché non sapessi come dirglielo o dubitassi di potermi confidare con le ma perché, in quel momento, seduto al suo fianco e con la forza della mia adorazione, mi sentivo invincibile.”
Ma la ragazza diventerà l’amante del padre, e sua matrigna. Ingelosito, Nuri vorrebbe che il padre sparisse, per poter avere Monta tutta per sé. Quando una notte il padre scompare veramente, Nuri dovrà sperimentare anche la colpa di questo suo desiderio, elaborarla e imparare a conviverci. 
Anatomia di una scomparsa è un piccolo gioiello di letteratura.
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Siamo negli anni 50, nel dopoguerra. Un’isola del Tirreno.
L’avventura estiva di un adolescente, l’incontro con la pesca, con una ragazza più grande, enigmatica, di nome Caia, e con il suo segreto: “Ecco, già stavo indagando su di lei, in cerca di una sua verità. Ci si innamora così, cercando nella persona amata il punto a nessuno rivelato, che è dato in dono solo a chi scruta, ascolta con amore.”
E poi il protagonista deve fare i conti con la perdita del padre in guerra. C’è un’estate brusca nell’età giovane in cui s’impara il mondo di corsa. Oltre la “linea d’ombra” della gioventù - come quella di Conrad - si passa alla ruvidezza della maturità, oltre le illusioni della giovinezza si apre il campo dell’avventura dell’esistenza. 
Di fronte alla perdita Caia ha per il ragazzo una risposta particolare: “E lei diceva che c’erano anime capaci di stare accanto a noi, che non ci abbandonano. E io invece non avevo nessuno da chiamare anima o angelo e non mi accorgevo di quello che sentiva lei. E lei diceva che le anime a volte hanno una gran voglia di farsi riconoscere e allora per qualche secondo entrano nel corpo di una persona vicina e fanno da lì dentro un gesto o dicono una cosa per la quale lei riconosceva la presenza.” 
E lui, in Caia, sembra riconoscere qualcuno.
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labalenottera · 7 years
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ultimate book tag
Un nuovo tag meme, sempre da @tripps42 ! ♥
1. Leggere mentre stai viaggiando in macchina ti da fastidio? In genere no, ma con l’avanzare degli anni mi sono accorta che leggere i libri cartacei con un font troppo piccolo su un mezzo in movimento è diventato faticoso. Gli anni passano per tutti. :(
2. Lo stile di scrittura di quale autore è unico per te e perché? Virginia Woolf ha uno stile e una sensibilità che non ho mai trovato in nessun altro autore.
3. La serie di Harry Potter o la saga di Twilight? Fornisci tre perché. Non credo abbia tanto senso paragonare le due saghe, ma tant’è: Harry Potter, senza dubbio. 
Tanto per cominciare la Rowling ha un stile sì adatto a un pubblico di bambini e adolescenti, ma evidente frutto di un grande lavoro. Pensiamo solo alle descrizioni! Twilight ha uno stile più terra terra, un po’ sciatto.
La saga di Harry Potter può vantare di una grande di varietà di personaggi più o meno caratterizzati; anche se l’intera saga è narrata dal punto di vista del protagonista, ognuno ha psicologia e interessi propri che permettono loro di agire di conseguenza. Twilight ha pochi personaggi secondari le cui azioni, a mio parere, orbitano tutte attorno alla trama principale. Il succo è: perché tutte queste persone di scomodano per Bella? Non ho mai visto delle motivazioni sensate. E se ci penso, mi arrabbio: ogni membro della famiglia di Edward aveva un passato ben più interessante della storia d’amore che invece ci siamo ritrovati in mano. Queste storie non sono mai state approfondite se non in un paio di capitoli e io non posso credere che nel 2017 sto perdendo tutto questo tempo per parlare di twilight, lol
Sappiamo tutti benissimo qual è la trama meglio sviluppata.
(Ci tengo a precisare che ho letto entrambe le saghe parecchi anni fa.)
4. Porti con te una borsa per i libri? Se si, cosa c'è dentro al momento (oltre ai libri ovviamente)? Non capisco bene cosa si intenda con “borsa per i libri” (sono scema), però infilo sempre il libro che voglio portare con me nella custodia del tablet, vale lo stesso? A parte tablet ed eventuale libro ci sono anche gli auricolari (IMPORTANTI) e il caricabatterie (MOLTO IMPORTANTE).
5. Annusi i tuoi libri? Solo quelli più vecchi e un po’ ammuffiti.
6. Libri con o senza piccole illustrazioni? Con e senza.
7.Quale libro hai adorato mentre lo stavi leggendo per poi scoprire, dopo, che non era di altissima qualità? E’ una cosa che mi capita spesso, soprattutto con i libri più “mainstream” e commerciali. L’esempio più lampante è The Dream Thieves, che amo alla follia e resterà nei miei preferiti 5ever&ever, però riconosco che non si tratti di un capolavoro della letteratura moderna, ecco.
8. Qualche storiella divertente (del periodo della tua infanzia) riguardante i libri? Racconta! Mi è venuto in mente questo: quando facevo le elementari capitava spesso che mio padre dovesse assentarsi per due o tre giorni per lavoro. Ogni volta che tornava a casa portava sempre qualcosa a tutte noi, a me portava sempre un libro di Geronimo Stilton. Amavo quel topo.
9. Qual è il libro più sottile della tua libreria? Dovremmo essere tutti femministi di Chimamanda, con 52 pagine, anche se penso di avere ebook ancora più corti.
10. Qual è il libro più spesso della tua libreria? Il Ciclo di Shannara?
11. Ti piace scrivere così come adori leggere? Nel futuro, ti immagini scrittore? Mi piace l’idea di scrivere, ma, come potete ben notare, faccio fatica a mettere anche solo due parole in fila. Scrivacchio qualcosa per me ogni tanto e morirei piuttosto di mostrarla ad altre persone. Vorrei dire “mi piacerebbe esserne capace”, in realtà scrivere è una questione di esercizio, costanza e, sì, talento. E a me mancano tutti e tre.
12. Quando sei entrato nel mondo della lettura? Il primo libro (illustrato, con un frase per pagina) è stato Un anno nel parco di Giacomo, letto parola per parola (con l’aiuto della mamma). E’ ancora nella libreria.
13. Il tuo classico preferito? Cent’anni di solitudine, per dirne uno.
14. Letteratura Italiana era la tua materia preferita a scuola? La mia materia preferita............ era matematica. Però mi sono sempre piaciute tutte le letterature.
15. Se qualcuno ti regalasse un libro che hai già letto e che non ti è piaciuto, cosa faresti? Potrei finalmente mettere in atto le mie innate abilità di attrice per fingermi sorpresa ed entusiasta, a meno che non si tratti di qualcuno che conosco bene: in questo caso preferisco essere sincera.
17. Una brutta abitudine che hai mentre leggi? Ho il brutto vizio di torturarmi la faccia e/o le mani. Più il libro mi prende, peggiori saranno i risultati.
18. Qual è la tua parola preferita? “epistemologia”.
19. Ti definiresti nerd, dork (ottuso) o un dweeb (secchione)? Forse non è una domanda molto sensata in italiano, ma mi ha fatto molto sorridere. Dork con un pizzico di nerd, comunque.
20. Vampiri o fate? Perché? Eh... non credo di preferirne uno in particolare, ma diciamo vampiri, dai, sono più gotici.
21. Mutaforma o angeli? Perché? Angeli, e intendo quelli biblici con quattro teste di animale, tre paia di ali, il corpo immenso e mostruoso, portatori dell’apocalisse, quegli angeli che incutono terrore spontaneo nell’animo umano.
22. Spiriti o lupi mannari? Eh... spiriti? Ma sì dai.
23.Zombie o vampiri? Ancora vampiri.
24. Triangolo amoroso o amore proibito? Opinione del tutto personale: i triangoli amorosi hanno... comment on peut dire... rotto le palle. Esistono davvero poche eccezioni. Oppure: perché litigare? Finiamo la faccenda con una re siamo a posto. Amore proibito? Eh, ma sì dai (quando la storia è sviluppata bene, ma VERAMENTE bene, mi piace tantissimo).
25. E INFINE: preferisci libri completamente romantici oppure d'azione con un po’ di scene romantiche? Preferisco evitare i romanzi puramente romantici, perché 1) sono prevenuta e 2) preferisco leggere altro. Ma storie romantiche (possibilmente sensate e ben strutturate) in mezzo all’azione? Sign me the fuck up.
Ho dato delle risposte abbastanza trash. Chiedo umilmente venia.
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blogthereviewer · 7 years
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Recensione: 1984.
Autore: George Orwell                            Prima Edizione: 1950
Editore: Mondadori                                 Pagine: 305
In questo romanzo distopico il mondo è diviso in tre fazioni in perenne guerra tra di loro: Eurasia, Estasia e Oceania, la cui capitale è Londra, dove vive il nostro protagonista. Ci troviamo nel 1984, forse, in un mondo dove non è possibile calcolare il tempo e nulla è vietato ma tutto è sconveniente. Esiste il Partito, che governa, e il Grande Fratello, che tutto vede e tutto sa, grazie alla presenza della Psicopolizia, di teleschermi e microfoni presenti in ogni luogo. Ci troviamo in un regime totalitario in cui valgono tre principi fondamentali: la guerra è pace, la libertà è schiavitù, l’ignoranza è forza.
Crediamo di essere liberi, ma lo siamo davvero?
Il nostro protagonista si chiama Winston Smith, e il compito che svolge all'interno del Partito è quello di riscrivere alcune edizioni del “Times”, per modificare il passato a favore del Grande Fratello. Si compiono, infatti, numerosi cambiamenti di rotta: oggi l’Oceania è in guerra con l’Eurasia e alleata con l’Estasia, è sempre stato così; ma ieri si poteva dire lo stesso?
Winston si pone delle domande, e, a differenza di chi gli sta intorno, lui non accetta di essere controllato. Winston odia il Grande Fratello, il Partito e la Psicopolizia. e si macchia di ciò che loro chiamano psicoreato: un atto politico svolto per indebolire il Partito. Il suo psicoreato è una relazione affettiva, chiaramente non vietata, ma sconveniente, con un altro membro del Partito Esterno: una ragazza di nome Julia, intenta, come Winston, a rovesciare il Partito. Ma Winston e Julia riusciranno a salvarsi dalla morsa di chi tutto vede e tutto sa?
1984 è un romanzo scorrevole da leggere, anche se bisogna farlo con particolare attenzione per capirlo fino in fondo, specialmente nei punti in cui si spiegano i termini, i principi e le regole del regime creato da Orwell. è diviso in tre parti, e ciascuna di esse segna un passaggio importante nel percorso svolto dal protagonista, con un finale inaspettato. Caratterizzante è l’influenza in questo romanzo delle esperienze dello scrittore, che ha vissuto l’inquietudine della guerra ed è stato ispirato da essa per scrivere un romanzo di denuncia.
Leggendo questo libro ho percepito i sentimenti di odio, inquietudine e persino quella lieve speranza che l’autore vuole far sentire attraverso descrizioni spesso crude e parole forti. Tuttavia, non ho amato particolarmente questo romanzo come speravo, poiché mi aspettavo una trama più ricca di avvenimenti e in alcune pagine ho avuto difficoltà nel rimanere concentrata nella lettura.
RATING: 3,5/5  ⭐ ⭐ ⭐/
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