Tumgik
#la ragazza del treno
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Puoi parlare piano tanto gli occhi parlano per te
— brucia fiori del male
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viendiletto · 3 months
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Ho vissuto 17 anni a Pola ed è stata una vita da favola: è quella la mia terra e mi manca tanto. Siamo andati via nel 1946 perché c’erano già state le prime foibe, in Istria si sapeva, a Pola meno. Venivano di notte, chiamavano la persona e dicevano “Vieni, ti devo parlare”, e quella spariva. Poi ci accorgemmo che, dopo tempo, a Pola, sui tabelloni di un cinema erano esposti cadaveri; così la gente andava alle foibe per cercare lembi di indumenti dei familiari scomparsi. Fummo sfollati a Orsera (in croato Vrsar) nel 1944-’45, quando avevo 14 anni, perché gli alleati bombardavano e c’erano i tedeschi. Ricordo un presidio di giovani soldati, 18 o 19 anni, che furono convinti dalla popolazione pro-Tito a lasciare il presidio e andare in bosco coi titini. Questi presero le armi dei nostri soldati e si vestirono con le loro divise: i giovani che andarono in bosco non tornarono più. Le mamme andavano a chiedere a don Francesco Dapiran, poi parroco di Fertilia, dove fossero i loro figli, e lui andò a cercarli paese per paese, chiedendo alla popolazione dove fossero stati portati: erano tutti morti gettati nelle foibe. Tornammo a Pola e riprendemmo la vita di tutti i giorni. Vivevamo in mezzo a gente slava, ma non lo sapevamo, eravamo tutti una comunità. Furono alimentati rancori e odi, ma in realtà non c’era questo fra noi, eravamo gente buona. Mio padre, originario di Buggerru, e mia madre ripresero a lavorare, io proseguii gli studi. Poi anche da noi iniziarono le uccisioni e facemmo domanda per espatriare. La nostra partenza fu fissata il 10 febbraio 1947, ma l’uccisione del generale De Winton la rinviò. Essendo una ragazza di 17 anni, vivevo quell’esperienza non come un disagio, ma come un’avventura. Partimmo col successivo imbarco, il pomeriggio di sabato 15 febbraio. La domenica, a bordo, il parroco celebrò la messa, quindi, nel pomeriggio, arrivammo ad Ancona. Mi aspettavo una festa d’accoglienza, con le bandiere, invece ci vennero incontro delle barche con a bordo uomini che, col pugno chiuso, ci insultavano gridando: “Tornate a casa vostra, fascisti!”. Se non ci fossero stati i carabinieri quelli ci avrebbero buttati in mare: li ringrazierò per sempre per quello che hanno fatto per noi. In treno raggiungemmo Civitavecchia da dove c’imbarcammo per la Sardegna. Il giorno dopo sbarcammo ad Olbia, quindi ci trasferimmo a Sassari e da lì prendemmo il treno per Cagliari. Il paesaggio che si presentò ai miei occhi era desolante, mi sembrava di attraversare la steppa; ricordo delle cavallette enormi ma anche un bel sole, che ci accolse con tutto il suo calore. Il primo impatto con Cagliari fu positivo: il municipio e il bel giardino antistante mi diedero subito l’impressione di una bella città, nonostante i danni subiti dalla guerra appena terminata. Ci condussero nel campo profughi, situato tra le vie Logudoro e San Lucifero, e lì l’accoglienza fu buona. La città mi piaceva e mi piace, ma mi sono inserita con difficoltà, la mia mentalità era diversa da quella che ho trovato e non riuscivo a capire le persone che si esprimevano solo in sardo. Sono arrivata a 80 anni e ringrazio Dio e ringrazio la Sardegna perché mi trovo bene, la vita è tranquilla, una pensione l’ho avuta, ho pochi amici ma buoni e tengo collegata tutta la ‘mia’ gente, sparsa in tutto il mondo.
Nerina Milia, esule da Pola
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sehnsucht-99 · 1 year
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Stamattina in stazione ho visto un ragazzo con un mazzo di fiori davvero belli. C'erano rose rosse, tulipani e dei rami di mimosa. Aspettava. Lo guardavano tutti, me compreso, non è tutti giorni che alle 7 del mattino vedi una scena simile. Nei suoi occhi traspariva la felicità dell'attesa ma anche tanto imbarazzo, quell'imbarazzo da farti arrossire in viso, e lui tutto ciò non poteva nasconderlo. In lontananza un treno si fermava e una ragazza scendeva. Si sono abbracciati come due galassie che si fondono in un unico corpo. Lei era emozionatissima, lui anche. Avevano poco più di vent'anni ed era una scena meravigliosa che raccontava d'amore, quell'amore puro e innocuo che solo i ventenni sanno vivere. Ero tanto felice per loro e nel mio io mi chiedevo “quando sarà il mio turno”.
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io-rimango · 4 months
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Stasera appena staccato dal lavoro decido di non tornare a casa e passare per la libreria della mia città, ho bisogno di un po’ di leggerezza dopo una giornata decisamente pesante come questa. Entro in negozio e mi fiondo sulla sezione “romanzi rosa” tentando di cercare un libro che non avessi già letto (visto che li ho praticamente divorati quasi tutti).
Mentre sono accovacciata, intenta a leggere la trama di un libro, fanno capolino accanto a me un paio di stivali neri, sono di una ragazza che spulcia lo scaffale: ha i piedi puntati verso l’interno, le mani in tasca e il suo sguardo curioso tradisce la sua apparente timidezza.
Io passo un po’ di tempo a sfogliare i vari libri e noto che lei torna spesso a curiosare tra gli stessi romanzi che sfoglio io, finché non prende in mano un libro: “Magnolia Parks”. Incuriosita, decido di prenderlo anch’io e di capire cosa l’abbia colpita di quel romanzo tanto da tenerselo subito stretto al petto.
Le dico che ha colpito anche me il libro che ha preso e che ho tutta l’intenzione di leggerlo anch’io, lei mi guarda e mi sorride e mi dice che le piacciono le storie che sanno toccare il cuore e da lì mi racconta dei suoi romanzi preferiti, del suo fidanzato (anche lui appassionato di letture rosa), del suo lavoro stressante e di come le piaccia leggere sul treno.
Dopo un po’ mi chiede che lavoro faccio, io le dico che sono una psicologa e lei subito sgrana gli occhi dicendomi che era da tempo che pensava di andare in terapia e che le farebbe piacere iniziare con me. Ci scambiamo i contatti e lei tutta contenta mi dice che non si aspettava di trovare una sorpresa come me in questa serata di dicembre, io le rispondo che sono dell’idea che nulla accada per caso e che forse, semplicemente, questo era il momento giusto. Lei mi stringe la mano, non fa che sorridere e il mio cuore ancora una volta si meraviglia di quanto la vita, a volte, possa essere sorprendente.
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haiku--di--aliantis · 3 months
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Eccomi: sono venuta nel tuo ufficio a fine giornata per dirtelo e per darti me stessa... Dai, ascoltami... Ho un dannato bisogno di sentirmi violata da te. Voglio piangere di passione e dolore per te: ho preso una vera sbandata. Non stupirti e non resistermi! E poi, come ti permetti di essere così educato e corretto, con me? Sono una brava ragazza, amica di tua figlia; ma tu devi essere rude.
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Ti desidero violento, esageratamente cafone. Voglio che tu mi prenda per i capelli o i fianchi e mi strattoni. Che mi butti su quel cazzo di divano e che mi prenda a sberle, come si prende a ceffoni e si manipola l'impasto del pane. Legami. Pizzicami i capezzoli. Calati i pantaloni e mettimi al mio posto, cioè con le orecchie appoggiate al tuo interno coscia. Sii brutale, non il signore elegante di sempre.
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Ordinami di aprire la bocca e ricevere tutto il tuo cazzo di cinquantenne, bello dritto e desideroso di sborrare in questa diciottenne con le tettine di marmo. Giù, dentro la gola. Tutto, fino alla radice. Fami sentire donna di piacere. Dimmi che mi pagherai cinque euro, perché neppure come puttana valgo qualcosa. Trattami da zoccola.
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Mortificami. Dammi fortissimi schiaffi sulle chiappe. Educami a te. Dimmi pure che certe cose non si fanno, ma possiedimi. Infila le tue dita nel mio buco del culo. Una, due o quante ne vuoi. E se urlerò di dolore, tu infilaci pure il pugno. Senza badare alle mie proteste, ai miei tentativi di spingere via le tue mani. E alle mie lacrime di dolore: sarà invece una gioia, per me.
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Addomesticami. Rendimi mansueta e finalmente domata: una bestiolina giovane, tenera e cotta di te; desiderosa solo che tu ti sfoghi su di me. Voglio il tuo cazzo ovunque. Dovrò essere lo sfizio segreto di questo bell'uomo: sposato, fedele fino a stasera, maturo, affidabile e serio. Considerato un esempio nella professione e in famiglia. Ti voglio.
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Sono giovanissima e mio padre è tuo ottimo amico. Ragione di più per fottere sua figlia in modo selvaggio. Lui sogna per me un bravo ragazzo. Tu intanto rompimi la fica e sborrami sul seno e in faccia. Papà mi ha detto che stasera viene a casa una coppia di amici di famiglia con il loro figlio mio coetaneo. Lo conosco.
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È sicuramente un bravo ragazzo: studioso e sportivo. Anche molto bello, come dice mamma. Il possibile candidato al ruolo di principe, di mio dolce e futuro compagno. Secondo i loro progetti. Ma io ora sono contenta: finalmente sono riuscita a succhiarti il cazzo e ho ingoiato la tua sborra... Tu adesso però tirami due o tre schiaffi in faccia e scopami in modo selvaggio.
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Prendo le tue mani e me le metto tutte e due nel solco anale: stringimi a te e mettimi un dito in culo, mentre mi fotti. Mordimi il seno, fammi male e fammi venire come la giovane troia che sono merita. Aaaah... si... così: era ora! Baciami... Cazzo, che bello! È entrato tutto e tu ora finalmente mi scopi fortissimo. Sei un treno. Vecchio porco che altro non sei... Non ti lascerò in pace, lo sai...
Aliantis
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Thursday's child (David Bowie)
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yomersapiens · 1 year
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Quali sono le tue Red flag?
Ci ho pensato un po' perché non capisco se ti riferisci alle mie inteso come quelle che ho imparato essere parte di me e che compromettono i miei rapporti, o quelle degli altri e che dovrei riconoscere onde evitare di ricadere in errori passati. Facciamo che è la seconda e allora parto con la lista, perché a me piace sempre dilungarmi.
Se non prova sentimenti verso oggetti inanimati ecco quello è da evitare, tipo non cerca di salvare delle banane abbandonate nel reparto sbagliato del supermercato da qualcuno che se ne è sbarazzato perché ci ha ripensato ecco questo no, ma anche se non saluta per l'ultima volta dei pantaloni usati prima di buttarli via.
Se tipo si dimentica di dirmi che sta con un altro, quello è un segnale che non gradisco. Mi piace che mi vengano raccontate palle costruite bene non errori di distrazione.
Se non lascia il posto agli anziani sul bus o sul treno.
Se non condivide la cioccolata, ricordo questa ragazza a cui portai una barretta in regalo e lei ne mangiò un bel pezzo e poi la mise via in borsetta e io ero lì che la guardavo grondando saliva e questa niente, "beh me l'hai regalata perché devo offrirtela?".
Se se ne viene fuori con discorsi ascetici dell'amarsi senza dover dimostrare amore ecco, quella è una cosa enorme e scintillante.
Se nella lista delle priorità al primo posto c'è drogarsi anche non va bene, soprattutto se non offre, come la tizia della cioccolata, ma in generale è un bel "no grazie".
Se con troppa facilità utilizza il sesso per controllarmi ecco non ci siamo, ma perché io per tutte queste cose reagisco come con la cioccolata di prima, sono davvero un banale esempio di maschio etero bianco che ti serve davvero un niente per fargli fare ciò che vuoi, allora ho imparato che è meglio restare casti.
Stessa cosa ma al contrario, se controlla l'assenza del sesso proprio per farmi sentire in colpa per la facilità con cui mi lascio andare alle passioni carnali, uguale: meglio da solo.
Se fuma (cosa che non sopporto) e non si prende cura di dove riporre i mozziconi e li lancia in giro, che odio.
Uh se non ha almeno perso una cosa importante nella vita.
Se sorride troppo in foto, perché è chiaro che io non riuscirò mai a tenere alto l'umore a questi livelli e allora entrerei in un loop di ansia totale.
Se è troppo fotogenica, perché io vengo sempre di merda e mica mi sta bene che poi magari ci si fa una foto insieme e io sembro Shrek e lei un umano normale.
Se non ha almeno una dozzina di segreti che custodisce con cura senza rompere per i miei trecentomila.
Se ha un sacco di soldi, ecco quello proprio non va, cioè io ho bisogno di sofferenza e dolore e rivalsa e combattere il capitalismo insieme.
Se non è in grado di stare per i fatti propri, in solitudine, come protezione e cura verso se stessa.
Se tratta male i piccioni per strada.
Se sogna di andare a Eurodisney o Disneyland.
Ah se le piacciono i Minions.
Se tifa Juve o segue il calcio in generale perché a me il calcio fa cagare e non ne voglio sentire parlare mai e comunque Forza Napoli sempre.
Se non ha senso dell'umorismo e una volta sono uscito con una che ha detto "esco con te perché mi fai ridere dato che io non so cosa siano l'ironia e il sarcasmo" e io ho pensato vabbè chissenefrega con quelle tette mica è necessario e invece alla fine vai a scoprire che non serve a molto uscire con qualcuno con cui non puoi ridere ma ha una quarta abbondante.
Se ha difficoltà a esprimere quello che prova con parole semplici, non me la prendo se i discorsi non sono il tuo forte eh, ma ad esempio una volta mi sono frequentato con una viennese per alcuni mesi e io insomma ci stavo per cascare ma lei diceva sempre "non dire romanticherie che non le voglio sentire" e dovevo trattenermi finché un giorno disse "oggi abbiamo passato un bel pomeriggio" e quello fu la sua massima capacità di comunicare quello che provava, io speravo in un "ti trovo molto bello e mi piace stare con te" e invece no, quindi magari una via di mezzo non sarebbe male, o almeno dirmi prima che non si va da nessuna parte così io mica faccio quella cazzata dell'innamorarmi.
Se non ha mai avuto a che fare con la malattia, non voglio rovinare la sua vita fantastica arrivando io con il mio carico di visite in ospedale. Ma questa non è una red flag è solo forse, credo, invidia e amore verso il prossimo.
Se lascia cibo nel piatto quando cucino io.
Se non mangia dolci.
Se non beve caffè.
Se non ha nemmeno un vizio.
Se mi sostituisce con il padre perché cerca una figura paterna.
Se parla durante i film e guarda solo film doppiati in italiano (ok su questa posso trovare un compromesso).
Se viene a chiedermi data e ora e luogo di nascita e poi fa il quadro astrale, questa è da correre via a gambe levate.
Se non le piacciono le liste.
Se manda messaggi audio più lunghi di 40 secondi.
Se limona mio fratello per farmi ingelosire.
Se non si commuove quando le mando una foto di Ernesto (il mio gatto) in una posizione carina.
Se desidera essere intrattenuta e basta, perché io ho questo problema di voler sempre far ridere e intrattenere e alla fine vengo largamente sfruttato ma so che è colpa mia ahimé.
Se manda le emoji. Troppe emoji.
Se guarda Sanremo o altre cose trash.
Se non le piace la pizza napoletana e dice che le altre varianti (che non sono pizze bensì banali focacce) sono migliori.
Se rompe il cazzo con De André.
Se si annoia a leggere tutti sti punti.
Se non è stata almeno 6 mesi da sola.
Se non è stata almeno 6 mesi in terapia.
Boh penso di aver perso di vista la domanda iniziale arrivato a questo punto però credo sia chiaro che sono un grande rompicoglioni. È che invecchiando (unica cosa in cui sono davvero bravo) e accumulando un sacco di esperienze (altra cosa in cui eccello mio malgrado) ho creato dei segnali di pericolo che, seppur minimi, mi aiutano ad evitare di sprecare il poco tempo a disposizione. Non perché io stia morendo eh, non più del normale, tutti ogni secondo che passa ci avviciniamo al momento della nostra dipartita, ma perché il mio tempo a me piace passarlo largamente facendomi gli affari miei. Quindi per rispondere alla domanda inversa, quali sono le mie red flag inteso come mie proprie di me stesso, mi piace fin troppo farmi gli affari miei, il che è davvero brutto quando altri umani vogliono interagire.
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diceriadelluntore · 4 months
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Punti G
In queste settimane, in quanto maschio, mi sono sentito chiamato ad un senso di responsabilità rispetto al mio rapporto, e a quello degli altri maschi, con le femmine. Lo sento doveroso per me, per le femmine mie amiche e a cui voglio bene, per quelle che non conosco a cui però l'essere femmine dà problemi innaturali da parte dei maschi. Responsabile è aggettivo preciso, perchè vuol dire capacità di rispondere reagendo alla situazione della vita in cui ci si trova (dal latino respondere rispondere, composto di re indietro e spondere promettere, più il suffisso -bile che indica facoltà, possibilità).
Faccio più attenzione al modo di pormi, alle parole che uso (esercizio intenso e intellettualmente meraviglioso), quando ho sicurezza della situazione e del rapporto con le persone in una discussione cerco di far notare che è molto più giusto e convincente osservare che èun'idea, una deduzione, una osservazione in quanto tale che è errata piuttosto che metterla in secondo piano rispetto al sesso di chi l'ha detta, alle sue caratteristiche fisiche o a come si è vestita.
Rispetto ad una questione così importante, come sempre accadde in casi simili, la polarizzazione delle istanze rende il dibattito non solo più sterile e aggressivo, ma del tutto fuorviante: chiamare alla responsabilità vuol dire prendere appunto coscienza del disagio che atteggiamenti prettamente maschili verso le femmine provocano, indipendentemente dal ruolo personale (cioè se li ho fatto o meno io), nella speranza che la presa di coscienza del problema induca a pensarlo importante in primo momento, e a cercare di attenuarlo subito dopo. Quindi non è questione di "tutti gli uomini sono etc etc.." (che aggiungo, come costruzione di idee, copia lo stesso schema di tutte le donne sono etc etc... sostituendone solo i termini) ma di iniziare a capire come agire nel naturale rispetto dovuto alle persone.
L'introduzione era doverosa perchè ieri ho letto quello che è capitato a @lalunaelepolemiche (che taggo con il suo permesso), la quale ha scritto un post su un suo stato d'animo mentre era sul treno. Ed era un pensiero erotico. Da lì, una valanga di commenti, in anonimo, che subito sono arrivati a ipotesi su cosa fare, sulle sue tette, sul sul culo e così via tanto che ad un certo punto ha scritto:
L’eterna guerra tette-culo. Ho aperto il vaso di pandora, anzi l’anon, io mi professo innocente.
Il fatto che nella quasi totalità delle risposte usi sarcasmo o ironia non significa che siano state domande piacevoli a cui rispondere, perchè, e lo sottolineo, il mondo non funziona secondo il principio "se penso una cosa, necessariamente questa sia vera"; eppure, secondo un blog di una mia amica qui, è il principio per cui riceve foto di genitali da sconosciuti per il principio "se metti foto da troia, ti tratto da troia".
Il sillogismo è alquanto interessante perchè funziona solo sul sesso: non funziona con i soldi, non funziona con i lutti, con le opere d'arte, cioè, per rimanere nell'esempio ultimo, non succede quasi mai che uno sconosciuto invii la foto di un quadro in chat su un blog che reblogga quadri. Questo meccanismo è indicativo di come, per parte dei maschi, la questione è solo di che tipo di carne si tratta, non di che persona si ha davanti, è il perpetuare di un potere di rango, e dimostrazione più netta è il fatto che al contrario non succede mai, nessuna si comporta con un maschio così.
Ho scritto a @lalunaelepolemiche: Si può definire la capacità di rispondere agli anonimi di Tumblr con simpatia, ironia e sarcasmo un valore da CV?
Lei mi ha risposto così: se alla domanda rispondiamo con si, corro ad aggiornare il mio cv!
A questo punto è d'obbligo il sondaggio:
Un sorriso, amaro, che spero inviti non a non scrivere mai più ad una ragazza e nemmeno a volerla corteggiare, ma nel cercare di togliere da questo pensiero, soprattutto all'inizio, dei modi francamente deprimenti di definirle, di comportarsi anche solo partendo dal principio che nemmeno un maschio voglia essere considerato solo un pezzo di carne.
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canesenzafissadimora · 8 months
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“Ma tu dove hai casa adesso esattamente?”
Ogni volta che qualcuno mi fa questa domanda non so mai cosa dire. È quell'avverbio – "esattamente" – che mi ammutolisce, e non solo perché io una casa esattamente non ce l'ho, ma anche perché non sono sicura che la casa rientri nel novero delle realtà esatte.
Se per casa si intende il posto in cui arrivano le multe dell'auto, in cui faccio le lavatrici e in cui il gatto mi riconosce, allora casa mia è Cabras, è Torino, è Roma. Se invece per casa si intende quell'approdo da dove anche chi parte per mille destinazioni ha la tendenza segreta a ritornare, allora l'esattezza va del tutto a farsi benedire e subentra la molteplicità, la sovrapposizione, l'abbraccio tentacolare di mille familiarità.
Perché casa mia è una donna con un rossetto da ragazza che sforna una torta al cioccolato prima di uscire con me, ancora profumata di lievito e vaniglia. È una signora di settant'anni che scova in un armadio un caftano mai messo e se lo infila, perché crede che di feste nella vita gliene spettino ancora. È un gruppo di whatsapp dal titolo surreale che mi regala leggerezza proprio quando il mondo fa di tutto per portarmi a fondo.
Casa mia è un treno che si ferma a Oristano e la donna che scende col cappello rosso lo fa per me. È un amico timido che mi manda sms preziosi, perché un “ti voglio bene” così vero si può confessare solo se non lo sente nemmeno chi lo dice. È una coppia di amici in moto che viaggia verso il mare di notte per fare un bagno con te, nudi come trent'anni fa, lasciando a casa figlie, nipoti e cane.
Casa mia è un fratello capace di prendere in mano il posto che si è divorato la sua adolescenza e trasformarlo nel giardino in cui far fiorire le piante grasse, la sua maturità e i sogni dei suoi figli. È una bambina bionda che mi si addormenta addosso perché non conosce altri modi di dirmi che per lei io sono un luogo sicuro. È la chiave di un appartamento dove un gatto grigio può decidere che, in assenza dei padroni, nel letto gli vado bene pure io.
Casa mia è un amico che ride e canta gli U2 a squarciagola al mio fianco mentre corriamo brilli per le strade della Marmilla. È una donna che sa insegnare alla sua bimba che crescere significa anche accettare di essere misurate da chi ti ama. E' una scritta temeraria col gessetto lasciata di nascosto su una lavagna da una mano che aveva fretta, ma il tempo per quello l'ha trovato.
Soprattutto è l'uomo amato che si sveglia in un'alba di Salisburgo e sa che la sua casa ovunque resto io.
Non c'è niente di esatto in tutto questo ed è meglio così.
Infatti non è utile che mi chiediate dove ho casa.
Io so dire solo in chi.
Michela Murgia, post dell' 11 agosto 2016
da una pagina fb
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topaudiobooksit · 2 years
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La ragazza del treno - Paula Hawkins https://ift.tt/KFYilGB
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donaruz · 8 months
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LA RAGAZZA DEL PIRATA.
L’estate è di gran lunga la stagione che mi piace meno. Gli amici del mio quartiere se ne vanno tutti al mare e i compagni di scuola, anche loro vanno al mare. Io ne farei volentieri a meno, cioè, il mare mi piace, ma fa troppo caldo e poi mi rimane il segno bianco degli occhiali sul viso. Ma la cosa che proprio mi fa vergognare di più sono i miei costumi. Ogni anno la mamma me ne compra un paio nuovi, ma sono troppo colorati, mi si nota da tutta la spiaggia, come l’insegna del bar Marilena quando c’è la festa del quartiere. Io invece vorrei essere guardata il meno possibile, perché ogni volta che qualcuno mi vede o mi parla fa sempre quell’espressione come a dire “poverina”, che alla fine non lo dice mai, ma ce l’ha scritto in faccia e si vede benissimo. Come l’insegna del bar Marilena. La mamma dice che quei colori mi illuminano il viso, io vorrei dirle che così mi si nota di più il segno bianco degli occhiali, ma mi limito a sorridere alla meglio e fare di sì con la testa.
Sono Maria e ho sette anni, ma sembro un po’ più piccola dei ragazzini della mia età. La mamma dice che è questione di tempo, che anche sua sorella, la zia Antonella, era bassina ma ora è una stangona. E io le credo, anche se quando lo dice la sua voce si incrina un po’ e lo sguardo è meno croccante. Faccio visite da quando sono nata, un dottore dopo l’altro, come quando sei sul treno e vedi passare le stazioni dal finestrino e ti fermi giusto il tempo per fare pipì e ripartire subito senza che sia cambiato niente e non vedi l’ora di scendere davvero e goderti la vita oltre la stazione.
Pare che io abbia una malattia che chiamano “sindrome” legata a un cromosoma, roba complicata, però io non mi fido mica tanto di questi dottori, perché non mi sembra di essere malata, io sto benissimo. Sì ok, leggo lentamente e sbaglio spesso le parole, ma lo fa anche nonno Michele che ha ottantasette anni e non mi pare che faccia tutte queste visite. Anche se dicono che lui ha il “morbo” e quando lo dicono allargano tutti le braccia rassegnati. Forse lo hanno fatto scendere a forza dal treno in una stazione che non era la sua e ora si guarda intorno in cerca di un passaggio, che forse non arriverà mai.
Alla fine mi rassegno e parto per la spiaggia, anche perché a Livorno se d’estate non vai al mare finisci per passare le giornate dentro casa e come dice nonno Michele mentre cammina dalla cucina alla sala cercando l’uscita della sua stazione, «a stare in casa ti incattivisci». E appena finisce la frase piscia al termosifone convinto che sia la statua della Libertà. Perché dice sempre che «gli americani non capiscono un cazzo», ma non si ricorda il motivo.
Mi piace venire al mare qui, in mezzo a tutta questa gente con nomi importanti. Sembra di stare a Hollywood. La mamma dice che se fossi nata in America avrei fatto sicuramente l’attrice. Magari quando sarò alta come zia Antonella ci farò un pensierino, per il momento cerco di imparare a parlare bene, perché non si è mai vista un’attrice che inciampa sulle parole, traballa, e alla fine si scapicolla.
Ogni giorno alle sedici in punto vado a fare la fila al bar, per prendere un ghiacciolo alla fragola. La mamma dice che con questo caldo c’è bisogno di qualcosa di rinfrescante, e ogni giorno, sempre, cascasse il mondo, mi viene incontro Samuel, il barista. Lui è alto, la barba disegnata bene e i capelli raccolti in una coda. Sembra un pirata con quegli anelli e gli orecchini. Un pirata che profuma di buono. A lui non interessa se sono bassa, se ho il segno degli occhiali, lui non ha l’insegna del Bar Marilena dentro allo sguardo, o se ce l’ha la tiene spenta. Ogni giorno si avvicina, ha un tatuaggio di Che Guevara sul braccio destro e lo stemma del Livorno Calcio su quello sinistro. Io non lo conosco questo signore Che Guevara, ma pare che qui sia amico di tutti. Mi solleva, bacino sul collo e poi mi dice:
«Te oggi sei la mia ragazza, se ti azzardi a farmi le corna ti stacco le braccine, intesi?». Ogni giorno. Cascasse il mondo.
Io non glielo dico che mi piace Iuri di terza F, non vorrei che ci rimanesse male. Però un po’ mi fa piacere essere la ragazza del pirata.
Magari quando sarò alta come zia Antonella mi farò invitare a cena fuori. Perché certe occasioni vanno prese al volo, alla faccia di tutte le sindromi e di tutti i cromosomi.
Francesco Lollerini 🖋
Immagine Flickr
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fantasticazioni · 9 months
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“Ma tu dove hai casa adesso esattamente?”
Ogni volta che qualcuno mi fa questa domanda non so mai cosa dire. È quell'avverbio – "esattamente" – che mi ammutolisce, e non solo perché io una casa esattamente non ce l'ho, ma anche perché non sono sicura che la casa rientri nel novero delle realtà esatte.
Se per casa si intende il posto in cui arrivano le multe dell'auto, in cui faccio le lavatrici e in cui il gatto mi riconosce, allora casa mia è Cabras, è Torino, è Roma. Se invece per casa si intende quell'approdo da dove anche chi parte per mille destinazioni ha la tendenza segreta a ritornare, allora l'esattezza va del tutto a farsi benedire e subentra la molteplicità, la sovrapposizione, l'abbraccio tentacolare di mille familiarità.
Perché casa mia è una donna con un rossetto da ragazza che sforna una torta al cioccolato prima di uscire con me, ancora profumata di lievito e vaniglia. È una signora di settant'anni che scova in un armadio un caftano mai messo e se lo infila, perché crede che di feste nella vita gliene spettino ancora. È un gruppo di whatsapp dal titolo surreale che mi regala leggerezza proprio quando il mondo fa di tutto per portarmi a fondo.
Casa mia è un treno che si ferma a Oristano e la donna che scende col cappello rosso lo fa per me. È un amico timido che mi manda sms preziosi, perché un “ti voglio bene” così vero si può confessare solo se non lo sente nemmeno chi lo dice. È una coppia di amici in moto che viaggia verso il mare di notte per fare un bagno con te, nudi come trent'anni fa, lasciando a casa figlie, nipoti e cane.
Casa mia è un fratello capace di prendere in mano il posto che si è divorato la sua adolescenza e trasformarlo nel giardino in cui far fiorire le piante grasse, la sua maturità e i sogni dei suoi figli. È una bambina bionda che mi si addormenta addosso perché non conosce altri modi di dirmi che per lei io sono un luogo sicuro. È la chiave di un appartamento dove un gatto grigio può decidere che, in assenza dei padroni, nel letto gli vado bene pure io.
Casa mia è un amico che ride e canta gli U2 a squarciagola al mio fianco mentre corriamo brilli per le strade della Marmilla. È una donna che sa insegnare alla sua bimba che crescere significa anche accettare di essere misurate da chi ti ama. E' una scritta temeraria col gessetto lasciata di nascosto su una lavagna da una mano che aveva fretta, ma il tempo per quello l'ha trovato.
Soprattutto è l'uomo amato che si sveglia in un'alba di Salisburgo e sa che la sua casa ovunque resto io.
Non c'è niente di esatto in tutto questo ed è meglio così.
Infatti non è utile che mi chiediate dove ho casa.
Io so dire solo in chi.
Michela Murgia
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littlepaperengineer · 7 months
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La mostra alla quale ho partecipato Sabato è stata stupenda.
C'è stata grande affluenza e c'è stata grande partecipazione di artisti dalle opere e dai concetti più vari. Davvero uno spasso per la mente. Persone che andavano e venivano, pareri e complimenti, domande per capire meglio.
Mi hanno colpito soprattutto alcune persone che esponevano. In primis un ragazzo che ha realizzato opere sul concetto dell'ombra. C'era un dialogo tra una persona e la sua ombra, mi ha colpito quando ha detto che lei ci sarebbe sempre stata, che anche quando la sente assente è sufficiente aumentare la luce, ed infine che per abbracciarla serve abbracciare se stessi.
Altri lavori interessanti erano quelli di una ragazza che faceva su tela rappresentazioni con il filo, che cuciva come accade nei legami.
Bellissimo il lavoro di un paio di persone con i collage, specialmente quelli di una ragazza che lavora con le fotografie di famiglia, non le sue ma quelle che trova nei mercatini. Lei ci lavora per conservare la memoria, per donare di nuovo importanza a quelle esistenze. Pensarci è commovente.
Infine ho conosciuto una persona che, laureata in ingegneria meccanica, ha creato un'attività che fonde creatività e tecnica ingegneristica.
Per me è stato ed è ancora importante averla conosciuta: forse è possibile riuscire a far funzionare il connubio. In mano a lei, il f.. Come accade a me, ha avuto una crisi che l'ha portata a capire che l'azienda di informatica non poteva fare al caso suo. Inoltre l'hanno aiutata al palazzo G, di B..
Insomma, tutto questo in una mostra collettiva. Che per di più mi ha fatto capire che la mia identità artistica può stare nella doppia esposizione tra paesaggio e ritratto, come jin e yang, come luce e ombra, come creatività ed ingegneria: landscape è orizzontale, portrait è verticale. Due cose opposte che insieme diventano LA FINE DEL MONDO. Io e questo vizio di interpretare ciò che accade in modo così forte. E tutto questo che avviene da anni senza presentarsi sottoforma di occasione di svolta, forse perchè la svolta non deve avvenire.
Con il tempo, ho capito che non serve appoggiarsi alle persone, che i segni arrivano ma che sono io a dover agire, non le occasioni a doversi presentare. Forse perchè non ho mai amato prendere un treno, salirci e vedere dove va, ma prendere in mano le redini ed andare dove dico io.
Oggi mi ha fatto rimanere di sasso il dialogo con B. e il suo volermi come confidente, mentre io so di non volere responsabilità di scelte altrui, specialmente perchè poi so di non essere presente nell'aiuto.
Inoltre mi ha colpito fortemente quando D. a lavoro ha detto che sarebbe stato bello se avessi detto a tutti della mostra fotografica/pittorica. Perchè sarebbero stati felici di esserci. Io qui sono crollato, perchè nel primo lavoro è nata così la forte repulsione nei confronti dell'ingegneria: il mio vecchio capo affermò che "non servivano gli artisti li", ed io non glie l'ho mai perdonato. Come fossero parole di mio padre, parole che mai ha detto ma che io stesso penso di me. Come se essere artisti fosse una colpa, la mia più grande colpa, quella di essere ciò che voglio, magari non proprio ciò che sono.
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raffaeleitlodeo · 8 months
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Ieri notte ero a Bologna.
Ero a Milano ieri sera, dovevo essere a Roma stamattina, la prima ora a scuola. Dopo le otto e mezza, la sera, non esiste un treno per Roma. Frecciarossa e Italo tutte le ore a 130 euro, ma i treni la sera che magari servono ai pendolari no.
Avevo un treno notturno, con un cambio di un'ora e mezzo a Bologna.
La stazione di Bologna è l'esempio per me del disastro sociale degli ultimi trent'anni. Ci avrò passato le notti da ragazzino tra un treno e l'altro per un concerto o per andare a beccare un amico o una ragazza conosciuta al mare. Per me diciassettenne aveva un'allure mitica dei racconti di Tondelli o Palandri.
Quando ero un ragazzino c'era la sala d'attesa aperta tutta la notte. Oggi chiaramente no, di giorno ci sono i bar con i panini a otto euro e i cessi a pagamento. Oggi non ci sono nemmeno le panchine, e quelle poche che ci sono chiaramente hanno i divisori in modo che non ci si possa sdraiare. Nulla è aperto a parte i distributori automatici, la metà scassata.
Chi sta alla stazione Bologna di notte, a aspettare un treno, o pendolari, o poveri cristi, l'unico posto dove può andare è uno dei due bar davanti alla stazione, che svolgono di fatto un servizio pubblico minimo. Il diritto al sonno.
Al primo piano del bar puoi dormire, chiaramente solo se appoggi la testa sul tavolino e ti prendi almeno un caffè, ma i proprietari sono abbastanza gentili.
Non ci sono prese per ricaricare il telefonino, ma c'è un bagno.
Ieri eravamo una trentina, fissi. Tra una cosa e l'altra passeranno duecento, trecento persone a notte.
Chi deve andare a lavorare, magari da pendolare, dalla Campania a Milano, non prende quindi i treni, ma i pullman.
Non distante dalla stazione ferroviaria c'è l'autostazione, che è un posto dove puoi dormire per terra, e dove c'è una microsala d'attesa.
Un pullman Bologna-Roma costa 50 euro, dormi seduto tra la gente. I proprietari della linea Itabus sono la famiglia Aponte, italiani con i soldi in Svizzera, i secondi più ricchi della Svizzera, tra i 500 più ricchi del mondo. Hanno monopolizzato di fatto un servizio pubblico.
Ieri nella saletta sopra del bar eravamo solo due bianchi e tutti gli altri neri. L'altro bianco era un uomo che aveva 5 giorni di ferie e aveva pensato che con pochi soldi si poteva fare il Sentiero degli dei, Bologna Firenze, dormendo in ostelli, etc...
Ma arrivato a Bologna, non aveva trovato nulla per dormire, l'ostello gli aveva sparato 130 euro a notte, gli alberghi a tre stelle 300 euro a notte. La ragione è che la città era colonizzata dalla coppa Davis e gli albergatori hanno deciso di alzare i prezzi fuori controllo. Non si trovava ieri una camera con un prezzo umano entro 50 chilometri fuori Bologna. Si era arreso, stava tornando al suo paese vicino Milano, con un treno all'alba, facendosi tre ore di sonno con la faccia sul tavolino.
Quando penso a come il neoliberismo rende il mondo di merda, penso esattamente a questo. L'espulsione, totale, delle persone dallo spazio che dovrebbe essere pubblico, o almeno abitabile, attraversabile. Le persone che lavorano, i ragazzini, come potrei oggi andare a beccare un amico a cazzo come facevo a 19 anni, dove cazzo dormirei, in quelle due ore tra un cambio e l'altro, in una stazione, dove persino i muretti che circondano le rampe di scale sono stati costruiti con una superficie non troppo larga in modo che tu non ti ci possa buttare per mezz'ora?
Io se c'avessi dei soldi del Pnrr li darei a sto bar, per il servizio pubblico che offre, per il diritto al sonno. C. Raimo, Facebook
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Scelti per voi
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Fonte: pixabay.com
Una piccola scelta di libri “certificati” dai bibliotecari per distrarvi nel migliore dei modi durante le vacanze. Si tratta di novità, di titoli non recentissimi ma che magari vi sono sfuggiti e meritano attenzione, e di opere da cui sono stati tratti ottimi film.
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Se non l’avete ancora letto vi consigliamo L’animale più pericoloso di Luca D’Andrea, del 2020. Ma qual è l’animale più pericoloso? Se non ci si lascia sviare dall’immagine di copertina, si può intuirlo fin dalle prime righe di questo avvincente giallo che ha come tema (argomento di scottante attualità) la salvaguardia dell’ambiente. A parte l’idea di fondo dell’adolescente rapita che ricorda il pregevole La ragazza nella nebbia di Donato Carrisi, la storia si dipana in maniera diversa, dalla location (le montagne della Val Pusteria), ai moventi dei crimini, allo stile, agile, moderno, mai banale. Anche il finale diverge, ma su questo, naturalmente, non sveliamo nient’altro. Rispettata in pieno l’unica regola cui i gialli dovrebbero essere sottoposti: quella di inchiodare il lettore alle pagine, fino alla conclusione.
Pare che le case di ringhiera della vecchia Milano siano una continua fonte di ispirazione per scrittori e assassini: dopo i gialli di Francesco Recami orientati sulla figura dell’ex tappezziere in pensione Amedeo Consonni, è il vice-commissario Enea Zottìa che deve occuparsi di una serie di crimini in un vecchio stabile malandato nel cuore di Milano nell’ultimo libro di Marco Polillo I delitti di corso Garibaldi. Ma le indagini ci porteranno anche a Viboldone, frazione di San Giuliano Milanese e sede di un’antica Abbazia, e all’isola di San Giulio sul lago d’Orta (ebbene sì, proprio nel luogo in cui C’era due volte il barone Lamberto!), dove le vicende, soprattutto sentimentali, dei protagonisti troveranno il loro più naturale scioglimento.
Ambientato sul lago di Como è I milanesi si innamorano il sabato di Gino Vignali, il cui titolo si ispira al famosissimo I milanesi ammazzano al sabato di Scerbanenco (da cui è stato tratto anche un film per la regia di Duccio Tessari). “Dopo la fortunata tetralogia riminese con protagonista Costanza Confalonieri Bonnet, Gino Vignali cambia atmosfere e personaggi ma mantiene intatti il tono scanzonato e il ritmo incalzante che contraddistinguono i suoi fortunati gialli. Suspense, erotismo, umorismo sono gli ingredienti vincenti di un romanzo che, giocando abilmente con dubbi e ossessioni, incertezze e desideri, incanta il lettore in un riverbero di luci e ombre. Come l’acqua del lago, quando sembra calma ma non lo è”.
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Non intendiamo certo tralasciare l’ultimo Simenon, L’orsacchiotto, anche questa opera di introspezione, di scavo profondo nella psiche umana aperto a più interpretazioni, una delle quali può essere che non è possibile mantenere sempre il controllo su tutto, anche ad altissimi livelli professionali: dopo una intera esistenza trascorsa all’insegna del più assoluto dominio di sé, una sola deroga al perfetto meccanismo esistenziale che il protagonista si è imposto può costare un prezzo inestimabile.
Torna nell’ultimo romanzo di Fabio Stassi, Notturno francese, il simpatico counselor della rigenerazione esistenziale Vince Corso, ma in questo caso, come per Simenon, l’indagine è introspettiva: un viaggio parallelo nei ricordi dell’infanzia e in treno, lungo la Costa Azzurra, terra d’origine del nostro detective-bibliofilo, trapiantato in Via Merulana. Finalmente sarà svelato il mistero del padre mai conosciuto a cui Vince indirizza cartoline nell’unico luogo che di sicuro aveva frequentato, almeno per una memorabile notte, ovvero il mitico Hotel Negresco.
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Folgorante fin dall’incipit, la lettura di Perle ai porci (il titolo originale suona: God Bless You, Mr. Rosewater, or Pearls Before Swine) rende pienamente ragione a Umberto Eco che annoverava Kurt Vonnegut tra i suoi scrittori preferiti:
Uno dei protagonisti di questa storia, storia di uomini e donne, è una grossa somma di denaro, proprio come una grossa quantità di miele potrebbe essere, correttamente, uno dei protagonisti di una storia di api.
Ironico, dissacrante, politicamente scorretto, bizzarro, surreale, a metà strada fra America di Kafka e i racconti di Carver; uno stile veloce, tagliente; un lessico moderno e spiazzante. Se poi vi affezionate a questo autore, allora vi consigliamo Ghiaccio-nove, anche questo composto in una forma originalissima che sconcerta il lettore con la sua imprevedibile fantasia che scardina completamente gli schemi narrativi tradizionali. Strutturato a brevi capitoli sullo stile del Tristram Shandy di Sterne è un libro trasgressivo, esilarante fino al demenziale, davvero “uno dei tre migliori romanzi dell’anno scritto dal più grande scrittore vivente” come lo accolse Graham Greene nel 1963, anno della pubblicazione. Una potente satira della società contemporanea, che punta in particolare alla condanna della guerra, argomento quanto mai tristemente attuale.
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Lo spaccone  di Walter Tevis è un romanzo di formazione in cui il protagonista svolge il suo “apprendistato” (come lo definisce Fabio Stassi nella prefazione all’edizione minimum fax) nelle sale da biliardo dove sbarca il lunario spennando ‘polli’ grazie al suo non comune talento. Ma la conquista della consapevolezza comporta un prezzo molto alto: la coscienza del proprio valore si paga con la perdita della libertà. Un libro con i fiocchi che non poteva non ispirare un capolavoro come il film di Robert Rossen del 1961 con un Paul Newman perfettamente incarnato nella parte di Eddie Felson, The Fast, ‘lo svelto’. A voi il piacere di scoprire le differenze (che ci sono, e anche notevoli) tra il libro e il film. Newman rivestirà lo stesso ruolo nel 1986 come mentore del giovane Tom Cruise in Il colore dei soldi, per la regia di Scorsese, sempre dal sequel di Tevis.
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Da La morte corre sul fiume di Davis Grubb è stato tratto nel 1955 per la regia di Charles Laughton un film talmente bello e originale proprio dal punto di vista tecnico da far rimpiangere che si tratti dell’unico exploit come regista da parte del celeberrimo attore britannico. Tratto da una drammatica storia vera, il romanzo si dispiega su più piani narrativi: il tema fiabesco, reso da Laughton con splendide immagini dello sfondo naturale notturno, il noir e la denuncia del fanatismo religioso. “La storia è qualcosa di più, se possibile, dei fatti che la compongono, è un’omelia nera, una lunga e cupa ballata atroce almeno quanto le filastrocche infantili che di tanto in tanto la interrompono, risuonando nel vuoto”.
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Non è una storia dell’orrore, come il precedente Dracula, che tanta popolarità diede al suo creatore, Bram Stoker: Il gioiello dalle sette stelle è soprattutto un racconto d’avventura, i cui protagonisti, sorta di Indiana Jones tra le mummie, sono morbosamente infatuati dalla passione per la storia egizia. A metà tra il romanzo gotico di stampo ottocentesco e l’egittomania molto diffusa all’epoca, tanto da influenzare anche Conan Doyle e Poe, è un romanzo piacevole e adatto come lettura per le vacanze. Tra culto della reincarnazione, sarcofagi, ricerche archeologiche, luoghi affascinanti come il misterioso Egitto e la nebbiosa Londra, abbiamo anche la possibilità di scegliere tra due finali, perché il pubblico non gradì il primo e costrinse l’autore, pare, a riscriverne uno nuovo nella seconda edizione uscita nel 1912, anno della sua morte. In questa ristampa di ABEditore del 2022 sono presenti entrambe le varianti.
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