Tumgik
#ma quanti capelli bianchi che hai?
givemeanorigami · 2 years
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Se continuano ad aumentarmi i capelli bianchi, a breve mi ritroverò ad avere a neanche trent'anni la ricrescita bianca come Ozzy Osbourne ha a settantatré anni.
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certi giorni il tuo nome lo sento, altri invece sempre meno: a Napoli un amico la chiama 'pucundria. Da te? Come si dice? Usate Vez, io dico Fra, da voi 'com'e? Qui 'tutto apposto?
E per cosa batte il cuore adesso? Hai distrutto i ponti con tutto il mondo, hai tolto ogni possibilità ch'io possa pensare tu stia pensando a me. Come se cambiasse qualcosa.
la tua chat la sto usando per la lista della spesa o degli impegni che sto prendendo da tempo. Sapresti che segno molti più compleanni di quanti realmente vada a festeggiare: c'è chi ricorda i numeri di cellulare (il tuo lo ricordo ancora, nonostante sia più di un anno che non lo stia componendo più. Ecco ho mentito. Qualche volta l'ho fatto ma non ho chiamato mentre un'altra volta invece non avevo credito. I gestori telefonici per la prima volta hanno salvato la dignità prima di spolparci pezzo pezzo per non lasciarci mai per strada senza mappe da seguire) e chi, invece, le date, appunto dei compleanni. Sto uscendo con una ragazza della quale dimentico sempre quando sia nata. Lei me lo ripete ogni volta e ogni volta si arrabbia anche un po'; eppure niente, non lo ricordo. Mi ero ripromesso di non legarmi a nessuno e sono stato di parola... non avevo pensato però a non far legare nessuno a me. Ormai mi sono legato mani e piedi con dei "ti amo" detti per la situazione o per aggrapparmi a qualcuno più forte di me. Non so uscirne. Dicevo che uso la tua chat come memo. Che al supermercato prendo sempre tutt'altro che quello che segno offendendomi da solo, nelle memo, per frenare la mia passione smisurata verso i biscotti salati e le torte da mettere in forno soltanto. Nemmeno le uova. Direttamente dentro. L'orgoglio del consumismo, pressappochista ma 'conta il gesto', no? Quante cose sono diverse. Hai i capelli bianchi, un piercing alla narice, persone in più, posti nuovi, nomi e cellulari che squillano, case e chiavi da ricordare di mettere in borsa. I treni che hai preso e quelli che avresti perso se non ti avessi accompagnata ingnaro che sarebbe stato l'ultimo momento quello. Che vuoi che dica, che non mi sia dispiaciuto? Lo direi se non volessi mantenere la figura del personaggio che ho scelto, nei panni di chi ogni responsabilità ha il suono di un motore che romba e di faccia tosta per pretendere ciò che mi spetta, senza ringraziare. Lei è rimasta nel periodo più nero di tutti, non ha preteso nulla e alla fine mi dava quello che tu non eri capace di darmi, la tranquillità di ascoltare le mie necessità: la mia testa prima di me, ho consumato quel disco eppure Dargen adesso è a Xfactor. Questa cosa un pò mi turba. Sapevo dirle di no con la consapevolezza che non sarebbe cambiata l’idea di me. Potevo scegliere se fissare il soffitto, se guardare o se capire. Ho avuto la possibilità di avere una persona con la quale non aver vergogna di avere paura. Il pavimento tremò, lo ricordi? Non avevo la certezza che tutte le certezze fossero tali addirittura anche nel momento in cui ero così incerto da non sapere nemmeno di svegliarmi nello stesso letto ogni mattina. Andasti via piuttosto che aiutarmi, l’ho accettato per la poca esperienza che avessi. Lei invece ascolta tutto di me, ama la stanzialità con la quale affronto ogni giorno i dolori del pensiero, delle botte, del male che non comporre il tuo numero abbia fatto o delle luci della nostra casa nella quale, in quel letto, non ero più io a dormirci o ai posti che
battezzammo e sacrificasti il nome del tuo riscatto. Non del mio.
Com è?
Il peso di non amare chi mi ami e non essere amato da chi voglia è un altante che non segna più l’est Europa per l’asfissiante apprensione tale da distruggere anche il corso degli eventi. Mi ama chi non amo, ripeto: non so che fare. Io so a memoria tutti i tempi di cottura delle varie tipologie di pasta. 12 minuti per le rigate anche se non specifica di quale orologio biologico. Sono a Roma, Napoli, Torino, Viterbo, sono ovunque però col fuso orario del Giappone. Un cameriere vestito bene in una casa che appare un cantiere, un “centro malessere”, mi sarei canzonato. Nella lista della spesa aggiungo i libri da comprare per i nuovi studi che non ebbi la forza di affrontare, i codici dei laboratori nei quali trovo così difficile non far esplodere quelle provette in vetro ma che dio solo sa quanto divertimento mi diano. I colleghi hanno una visione completamente distorta della mia persona, sono incuriositi dal fatto che abbia quasi dieci anni in più a loro con i modi di un adolescente consapevole di quando l’escapologia dopo i 23 sia una questione di sopravvivenza. La mattina condivido il posto con un ragazzo di appena diciassette anni, pranzo con una ragazza di diciannove circa e a volte studio con qualcuno sui diciotto. Credono abbia cura di loro ad avvisarli delle cose più importanti da sapere, con i loro occhi di chi ha ancora tutto da capire in una proiezione pneumatica contro il mondo delle nuove clausole contrattuali della maggiore eta. La verità è che me ne sbatte il cazzo. Hai già preso la patente o ascolti ancora i racconti di tua madre quando tuo padre, da giovani, la prendeva, portava ovunque? Sei una figlia della grande borghesia che trova affascinante il proletariato, dal lavoro per mantenersi o dell’underground. Oggi ho venduto alcuni strumenti, lei gli orecchini d’oro della nonna al compro oro per sbarcare il lunario almeno per un po’. Semmai mi sentirai alla radio, nell'ipotesi remota che tu abbia imparato a guidare, vorrei che sapessi un po' di cose: che sono cambiato. Ho bisogno della fretta per non fermarmi a riflettere su cosa succede nella testa che si arma di vita propria per rovinare la mia. Ho perso le battaglie che mi ostinavo a voler vincere, come cercare un modo per scrivere senza gravità, investire il sangue che il mio corpo contiene e dimenticare che esistano le matite. A volte mi accorgo di aver imparato a cambiare il punto di vista dal quale cerco le risposte. Un po' mi sono rassegnato al tempo che va con qualche amico in meno. Non fotto più il dolore finché non ho la percezione del mondo che crolla, il pentimento di non aver fatto palestra più spesso, giocato d’anticipo piuttosto che lasciare indifesa la parte migliore di me. Vado più a letto con la pancia ribaltata e la stanza che gira, ogni notte e in una maniera che non capiresti. Ora credo nell'amore, degli altri. Credo nell’amore non come credevo nell'odio prima, con la stessa ironia. Un amico ha perso tutto e non gli so parlare di niente. Tutti questi concerti, i badges, liste e +1 valgono la metà senza neanche una foto da far vedere a chi, mentre eri a goderti i ventidue anni, sono morti. Ma soprattutto tanta adrenalina e tanto sonno come nato stanco e cresciuto travolto in un traffico di chilometri e aspettative, biglietti, vendite e facce a cui parlare con sicurezza:auguri da fare e foto in cui sorridere nel traffico che ti tiene inchiodata all'autoradio adesso, con la pioggia sui vetri che ti toglie un alibi per fuggire con lo sguardo ancora una volta lontano. Massi si è ammazzato, lo ricordi? Te lo dissi mentre andavi in discoteca a Parigi con le tue amiche. Ricordi quella sua poesia? diceva sette parole e un giorno me le scriverò sul collo come gli inglesi che cantano le rivolte e il crack, sul collo dove ti promettevo
"io e te non cresceremo
io e te non spariremo più”
Mentivo, come sempre ero ambiguo: come un sorriso in una foto di famiglia, falso come un buon natale ed è l'unica bugia
l'unica bugia
l'unica verità
a cui ancora non so smettere di credere
amore mio.
Forse dovrei smetterla di usare la tua chat come una lista, dovrei smetterla di lasciarti come ipotesi o forse dovrei solo smettere di fumare e avere più polmoni per fermarmi a respirare
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sir-broccolis · 3 years
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Recensione album
questa canzone non l'ascolto la respiro.
Ogni sospiro aggiunge pesantezza e peso dopo peso mi blocca il respiro.
Questo enorme peso sul petto non mi fa respirare.
Ma questa pesantezza è liberatoria quando poi puoi liberarla con il canto.
-"le parole che dico non ha più forma ne accento e si trasformano i suoni i un sordo lamento"
Passiamo ad una fase più ritmata, ma non per questo meno intensa, riempie il vuoto creato dentro, facendo riecheggiare i tamburi.
Il suono riecheggia dentro ed esce come eco fuori.
Gli arcobaleni d'altri mondi hanno colori che non so, lungo i ruscelli di altri mondi nascono fiori che non ho
Terza traccia
Da ascoltare rigorosamente ad occhi chiusi, sarebbe perfetto se l'ascolto fosse accompagnato dal lento movimento dell'acqua su una barca/materassino.
Poi apri gli occhi quando pronuncia l'ultima frase "la storia di un fiore appassito a Natale", troverete occhi pesanti e carichi per scaricare un fiume di pioggia, ma prima
Il mare si agita all'improvviso, ti scaraventa in acqua. Provi a risalire ma le onde ti spezzano il fiato e il peso che hai accumulato prima sul petto ti porta a cadere sempre più giù sempre più giù.
Allora urli per liberarti da questo peso: sopra le tombe di altri mondi nascondo fiori che non so, ma fra i capelli d' altri amori muoiono fiori che non ho.
Riesci a superare la tempesta, sembra tutto finito. Fino al quattordicesimo secondo ti scrolli tutto il sale e l'acqua da dosso, ti senti finalmente pulito e leggero. Ma è su quelle rive che li vedi danzare, come nel settimo sigillo, gli impiccati camminano in fila indiana.
Ora sul tuo viso, ascoltando la loro canzone, scende tutto il mare dai tuoi occhi.
Le trombe scandiscono i tuoi silenziosi singhiozzi.
Coltiviamo per tutti un rancore, che ha l'odore del sangue rappreso, ciò che allora chiamammo dolore è soltanto un discorso sospeso
Svieni
Ti risvegli sui prati bianchi, davanti a te solo nebbia. Un campanile segna il confine fra la terra e il cielo. Scende anche la neve e forse domani rifioriranno le gioie passate e anche la luce ora è fioca in questo luogo ove non sembra esserci futuro dove sono immobile e non riesco a muovermi.
Anche l'alba diventa sera.
-Cadrà altra neve a consolare i campi cadrà altra neve sui camposanti
Ed ecco che proprio quando pensavi che non saresti riuscito a fare più in passo arrivano dei bambini che ti prendono la mano e iniziano a fare il girotondo.
Cantano di morte e di guerra con leggerezza, girano sempre più veloce sempre più veloce, perdi il ritmo lasci la presa e loro continuano a girare un po' più in là.
La polvere, il sangue, le mosche, l'odore.
Per strada e fra i campi la gente che muore
E tu, tu la chiami guerra e non sai che cos'è
E tu, tu la chiami guerra e non ti spieghi perché
L'autunno negli occhi, l'estate nel cuore
La voglia di dare, l'istinto di avere
(Brano preferito dell'album)
-Il peso inizia a scrollarsi da dosso.
Mi appello a tutti voi, vi invoco pietà e spero che la pietà non vi rimanga in tasca.
Giudici eletti uomini di legge noi che danziamo nei vostri sogni ancora, siamo l'umano desolato gregge di chi morì con il nodo alla gola.
Quanti innocenti all'orrenda agonia votaste decidendone la sorte e quanto giusta credete che sia una sentenza che decreta morte?
Non cercare la felicità in tutti quelli che tu hai donato per avere un compenso
Ma solo in te, se nel tuo cuore se tu avrai donato solo per pietà
-Fino a scomparire via
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Venerdì 24 aprile 2020 – Seconda lettera ad una donna persa. (7)
LA PROFESSIONISTA CHE DIVENTO’ TRO…
ppo impegnata per capire il mondo intorno a sé.
Non comincio questa lettera con la solita chiamata di saluto, perché ormai in te, dell’appellativo di “cara” non esiste proprio più nulla. Ora come ora, sono ben 30 giorni che avverto gli effetti delle tue subdole bugie, e fra arresti domiciliari e carcere, sono mazzate al mio morale che ricevo tutti i giorni.
Ma tu (non fartene un cruccio), non avrai nessun vantaggio da queste mazzate che ricevo. Anzi, ogni giorno di più, si rafforzano in me la consapevolezza e la determinazione, e alla fine di questo periodo (che prima o poi finirà), riceverai dal destino la giusta ricompensa. Questa è una di quelle cose, talmente assodate, da poter essere equiparate alla certezza del sole che sorge tutti i giorni. Questo tuo portare alle estreme conseguenze il risultato delle tue azioni, non fa altro che avvicinarti ad un unico, eclatante risultato: per la legge del contrappasso, ti si rivolteranno contro tutte le storture che hai architettato per affossarmi. E stanne sicura, non sfuggirai a questo passaggio, che arriverà quando meno te lo aspetti, e sicuramente non per mano mia, ma con certezza arriverà.
Non è rimasto nulla della donna conosciuta vent’anni fa. Sei diventata una laida macchina da sesso, tutta rivolta a collezionare quanti più esemplari maschili possibili, e giuro che ho la pelle d’oca, a pensare che sei stata la mia (sicuramente infedele) compagna per così tanti anni. Per quanto riguarda questo aspetto mi è rimasto, nei tuoi confronti, solo un enorme disgusto. Per quanto riguarda il fatto che sei la madre di mio figlio, invece, mi sono rimasti solo un indicibile stupore e una profonda delusione. O forse, anziché stupore e delusione, dovrei parlare di tardiva consapevolezza. In fondo, tua madre l’aveva addirittura teorizzato: farsi mettere incinta, e dare il benservito al padre, così da crescere l’erede a tutta tua immagine e somiglianza. In fondo, ci hai voluto mettere vent’anni, bontà tua, ma il benservito è arrivato lo stesso.
È chiaro che confido ancora sul rinsavimento di mio figlio. Spero vivamente che quanto prima si renda conto di come tu sia stata in grado di plagiarlo in maniera così plateale. Ma anche se non arriverà in tempi brevi, io spererò sempre in un cambio di opinione da parte di mio figlio. E prima o poi arriverà, anche perché, alla fine della fiera, lui si chiama col mio cognome, e non col tuo. E questo, mia poco esimia cospiratrice, non riuscirai a cambiarlo mai. E tutti i tuoi schifosi soldi, che a te sono così cari, finiranno tuo malgrado, il giorno in cui finalmente tirerai le cuoia, dalla TUA famiglia alla MIA famiglia, con tuo grande scorno, e con mio immenso gaudio.
Perché di una cosa sono certo: io ti sopravviverò. E se fosse mai che non sarò io a seppellirti, lo farà nostro figlio, che si fregherà le mani da qui all’eternità. Nel frattempo, tieniti pronta, perché la pacchia finirà presto, e ti assicuro che i tuoi capelli non faranno in tempo a diventare bianchi. Anzi, nemmeno grigi. Ti pianterò una tale battaglia legale, che ti rovinerà il fegato e anche la voglia di mangiare.
In fondo non ti sto augurando dei giorni bui, ma un unico, lunghissimo, giorno buio. Ma questo te lo posso perfino giurare: quando quel giorno arriverà, ti renderai conto di aver perso su tutta la linea. I tuoi soldi, la voglia di fare sesso, i tuoi clienti, la possibilità di fare il tuo lavoro, i tuoi amici, perfino l’amore di tuo figlio.
Il mio, di amore, l’hai perso da tempo…
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omgmyriamlove · 4 years
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Cap.2
Passó una settimana da quell’incontro, e finalmente tutto era pronto per la “grande riunione” che il signor Rasa aveva richiesto. Ci radunammo tutti in un hotel fuori città. L’hotel oltre ad avere sauna e piscina interna era anche dotata di sale per videoconferenza e il ristorante aveva più di 500 posti. Ci sedemmo al ristorante, io tra i primi tavoli insieme ai miei colleghi di ufficio. Ogni tavolo ospitava 6 persone. Di fianco al mio tavolo e dietro le mie spalle avevo i responsabili di reparto, più indietro le 370 teste di operai ben vestiti. Alcuni si erano presentati con abito scuro, altri con semplice camicia e jeans. Sarei andata volentieri anche io in jeans e maglietta ma purtroppo dovevo fare tacere le 400 teste e presentare il sig. Rasa e famiglia.  
Eh sì, Rasa aveva deciso che quel giorno dovevano esserci tutti i suoi tre figli e la moglie. Quindi ho optato per un vestito lungo fino al ginocchio, rosso con ricami bianchi sullo scollo a V e intorno alle maniche. Dello stesso colore avevo preso i tacchi un po’ più alti del solito e per i capelli mi ero concessa qualche coccola dal parrucchiere così da farmi una acconciatura adeguata. Mi alzai con grazia e mi sistemai il vestito, poi con calma raggiunsi il piccolo palco, presi un microfono e mi misi al centro del palco. Di colpo la stanza piombò in un silenzio imbarazzante e l’ansia (ormai mia amica da anni) iniziò a fare capolino. Non era la prima volta che facevo questo tipo di cose, anzi avevo anche gestito intere riunioni da sola, mentre il capo era in vacanza, ma tutti quegli sguardi mi trafiggevano e mi facevano sentire molto piccola e soprattutto insicura. Mi schiarii la voce e accesi il microfono
-buona sera a tutti- non mi ero preparata nessun discorso fiduciosa nella mia grande capacità di oratrice, anche se in quel momento non riuscivo a formulare mezza frase nella mia testa. Le gambe iniziarono a tremare leggermente, ma cercai di non farci caso.
-vi prego di avere un po' di pazienza e di ascoltare attentamente quello che il nostro direttore ha da dirci. Tranquilli non sono cattive notizie, non saremo qui a bere e festeggiare dopotutto- una risatina generale invase la sala e divenni sempre più nervosa. Passai il microfono a Rasa che nel frattempo mi aveva raggiunto sul palco. Feci per andarmene ma una mano rasa mi mise una mano sulla spalla e mi sussurrò all’orecchio di restare. Iniziai a sudare freddo. Non era nei piani rimanere lì come uno stoccafisso di fianco al direttore. Feci cenno con la testa e mi misi alla sua sinistra, e rivolsi il mio sguardo su di lui.
-buonasera ragazzi, come accennato da sakura ho delle cose molto importanti da dirvi. Cercherò di essere più breve e conciso, anche perché anche io ho fame e dalla cucina viene un buon odorino- altra risatina da parte del pubblico
-intanto vi ringrazio di esserci tutti... come sapete oggi sono tre anni che lavoro a stretto contatto con voi. Tre anni che ho lasciato il Giappone e la mia famiglia per poter rialzare una delle aziende a cui tengo maggiormente. E sono felice di questo perché è soprattutto grazie al vostro impegno che possiamo dirci fuori dal fallimento- guardai la sala e tutti iniziarono ad applaudire. Per loro questi tre anni sono stati i più duri, turni massacranti e stipendi in ritardo, ma grazie all’impegno da questo anno rasa ha potuto pareggiare i conti e riuscire a dare a tutti la piena ricompensa
-da questo mese in poi i turni torneranno come quelli di una volta. Niente doppi turni e soprattutto niente stipendi da “fame”. Vi saranno aumentati gli stipendi a partire da adesso e avrete tutti un bonus per il vostro impegno e soprattutto per averci creduto-
Urla di felicità e fischi si innalzarono nella sala. Tutti quanti erano in piedi ad esultare. Finalmente per loro era arrivato il momento di essere ricompensati per tutta la fatica. Con un cenno delle mani cercai di calmare le 400 teste che erano ancora intente ad esultare
-calma ragazzi non ha ancora finito- dissi più calma possibile, ma niente le urla avevano tranquillamente sovrastato la mia voce. Tentai diverse volte di farli tacere mentre Rasa mi guardava divertito.  
-PIANTATELA- urlai con tutte le mie forze e divenni rossa dallo sforzo, ma il risultato fù eccezionale. Tutti quanti si ammutolirono all’istante, alcuni trattennero anche il fiato
-NON HA ANCORA FINITO DI PARLARE, QUINDI METTETEVI SEDUTI E STATE ZITTI- come degli automi si misero tutti quanti seduti. Tornato il silenzio mi rivolsi al capo
-prego vada avanti- cercai di nascondere la voce tremante.  
-grazie Tsundere-  Rasa mi guardava quasi soddisfatto e soprattutto divertito. Sentii le guance in fiamme e in quel momento volevo sotterrarmi. A parte Rasa e Baki nessuno sapeva del nomignolo che mi aveva affibbiato. Guardai il pubblico con sguardo truce. Alla prima risatina o battutina sarei scesa come un fulmine e gli avrei massacrati di bastonate. Fortunatamente nulla di tutto questo accadde
-come stavo dicendo grazie a voi l’azienda e salva. Purtroppo però per me è giunto il momento di tornare a casa. Tre anni sono tanti e gestire due aziende insieme diventa sempre più difficile. Per questo che ho deciso di affidarvi ad uno dei miei figli- con un cenno della mano due uomini in fondo alla sala si alzarono contemporaneamente e si avvicinarono al palco. Persi un battito quando riconobbi quella chioma rosso fuoco.  
“Non è possibile.. non può essere lui..” Rasa lascio il posto al mio fianco al più anziano dei fratelli. Era la copia sputata di Rasa. Stessi capelli, stessi occhi, stessa altezza e stessa corporatura. Mi guardo sorridente e fece un piccolo inchino con la testa nella mia direzione.  
-piacere kankuro-  
-sakura- risposi accennando anche io un piccolo inchino con la testa sorridendo a mia volta. Il mio sguardo cadde di nuovo sul ragazzo dai capelli di fuoco, che in quel momento aveva preso posto al fianco del padre. Al contrario di kankuro il rosso non aveva nessuna somiglianza con il padre. Probabilmente solo l’altezza e lo sguardo freddo e serio. Intanto rasa continuava il suo discorso mentre io continuavo a spostare lo sguardo tra Kankuro, Rasa e il pubblico. Non avevo il coraggio di guardare un secondo in più il ragazzo dai capelli color fuoco, il cuore mi batteva sempre di più.  
-..sakura sarà al fianco dei miei due figli e soprattutto del vostro. Quindi qualsiasi cosa potete tranquillamente chiedere a lei...-  
“ok.. COSA?!?!” non potevo crederci! Quell'infame non solo mi aveva messo a fare da tutor ai suoi adorati figli ma dovevo anche gestire tutte le 400 teste da sola! Sgranai gli occhi e inspirai profondamente. In quel momento l’imbarazzo e l’ansia sparirono completamente per lasciare il posto ad una profonda rabbia.  
“se non fossimo in 400 e avessi la tua famiglia al seguito ti avrei già scaraventato un cazzotto in quella testa bacata! Ma scherziamo? .. Oddio adesso non dormirò davvero la notte! Starò tutto il tempo in ufficio! Anzi dovrò dormire in ufficio! Nemmeno lo xanax sta volta mi aiuterà, ne sono sicura! Se vuole che faccia tutto questo mi deve aumentare lo stipendio... ho una vita anche io! Cioè in realtà no, sono sola come un cane.. Ma non importa! Non posso passare un mese intero in ufficio al servizio di..” il flusso di pensieri fù interrotto da una mano che si era posata sulla mia spalla. Alzai lo sguardo, Rasa mi stava guardando intensamente ed era a pochi centimetri dal mio viso..  
-ti uccido- mimai con le labbra. Per tutta risposta ebbi uno dei sorrisi più falsi e più grandi di tutta la storia
-Sakura non hai fame?-  e con grande disinvoltura spostò la sua mano sulla mia schiena e mi spinse leggermente in avanti facendomi strada verso il mio tavolo. Tra una battuta e l’altra anche la cena finì, e finì anche per dimenticarmi sia di Rasa che della sua famiglia. Mi alzai in piedi, in preda alle risate e solo allora mi accorsi che proprio davanti a me tre ragazzi mi guardavano. Kankuro istintivamente alzò una mano per salutarmi, mentre il rosso mi fissava e non faceva una smorfia, di fianco a lui una ragazza biondo cenere abbozzò un sorriso per poi sussurrare qualcosa all’orecchio dell’uomo che aveva alla sua destra. Feci un cenno con la testa e gli diedi le spalle. Potevo sentire i loro sguardi puntati sulla mia schiena e la cosa mi fece rabbrividire. Cercai di avanzare di qualche passo, mentre la stanza lentamente iniziava a girare.
“ho bevuto troppo” pensai. Il vino era così dolce e buono che ne bevvi 4 calici.  
“bhe almeno non sono quella messa peggio” eh si. I miei colleghi e commensali erano messi peggio. Due avevano iniziato a sonnecchiare, mentre gli altri tre non facevano che ridere, tentare di raccontarsi aneddoti imbarazzanti e bere.  mi diressi verso l’uscita, probabilmente una boccata d’aria mi sarebbe stata d’aiuto per ritrovare un po' di stabilità, ma la cosa mi fù quasi impossibile. Chi per un motivo, chi per un altro venivo costantemente fermata e invitata a passare del tempo con loro. Il problema e che non rifiutai nessun invito. Non pensavo più all’ansia ne ai problemi che ci sarebbero stati da lì in poi, quindi mi sedevo e mi facevo coinvolgere nelle loro conversazioni. Al quinto tavolo ero molto sbronza e a malapena riuscivo a tenermi in piedi. Mi girava tutto ma poco mi importava. Non ricordo bene come iniziò ma so solo che mi ritrovai su un tavolo insieme ad altri miei colleghi a ballare, mentre altre persone si erano radunate sotto il tavolo e ci incitavano. Continuavo a ballare alzando di tanto in tanto il mio bicchiere e a brindare con i miei colleghi quando una voce dietro le mie spalle mi fece girare e perdere l’equilibrio. Una crack e una fitta forte alla caviglia, poi caddi all’indietro, scivolando tra la tovaglia macchiata di rosso e la gente dietro di me. Restai immobile per qualche secondo mentre attorno a me cadde il silenzio. Avevto tutti gli sguardi puntati addosso e solo allora mi accorsi di essere caduta letteralmente addosso a qualcuno e che che questo qualcuno mi abbia protetto stringendo le braccia alla mia vita e facendo scudo con il suo corpo battendo la schiena. Mi girari per chiedere scusa al mal capitato ma quando li vidi sbiancai di colpo. Occhi verdi mi fissavano severi, le labbra serrate in un’espressione.. Dolorante?
Solo allora mi accorsi del danno... ero letteralmente caduta sul suo....
“maledizione!” scattai in piedi ma il risultato fù ancora più un disastro. Una fitta allucinante alla caviglia mi fece barcollare e cadere sbattendo il sedere. Mi strinsi d’istinto le mani introno alla caviglia e notai subito uno strano colore violaceo al collo del piede. Ad un tratto mi sentii sollevare da terra, mi guardai intorno e non vidi nessuno che mi stava reggendo. Cacciai un urlo, sotto di me una piccola nube di sabbia mi stava reggendo e mi avvicinava sempre di più al ragazzo dai capelli rossi.
Questi era già in piedi e con delicatezza fece posare la sabbia e me sulle sue braccia. Sussultai al gesto e tentai di scendere ma il ragazzo mi impedì di farlo. Si girò verso il fratello che era rimasto a guardare e a ridere per tutto il tempo e semplicemente disse
-la porto in ospedale, pensa tu al resto- per poi avviarsi verso l’uscita.  
Tentai altre due volte di fermarlo ma fu tutti inutile
-con la caviglia in quelle condizioni non riusciresti a fare un passo, e poi anche fosse non sei la condizione di poter camminare perfettamente-la sua voce era profonda e fredda come i suoi occhi.  l’acqua di colonia mi stava inebriando la mente più di tutto l’alcool che avevo ingurgitato e il cuore iniziava a battere sempre più forte. Si fermò davanti alla mia auto e mi guardò sempre più intensamente, diventai di tutte le sfumature del rosso, mi sentivo scavare dentro.  
-se non sbaglio è la tua macchina questa. Sbrigati ad aprirla perché PESI- marcò l’ultima parola apposta.
-allora smollami, ti ho già detto che facevo da sola- non riuscì a tenere a freno la mia lingua, il tono che avevo usato era stato più acido di come lo avevo pensato pochi istanti prima. Lui per tutta risposta mi fece scendere in malo modo senza però staccare realmente le mani dal mio corpo. Non feci molto caso alla posizione delle mani fino a che inserendo la chiave ne sentì, una  staccarsi e l’altra scivolare sempre più in basso. Mi raddrizzai di scatto e mi voltai e partì istintivamente una sberla a mano aperta ma senza che essa andasse a toccare il bersaglio. Come era successo poco prima una piccola nume di sabbia separava la sua faccia dalla mia mano. Scioccata abbassai la mano e la tenni stretta a pugno sul mio fianco.  
-ora capisco perché ti chiama tsundere- questa volta un piccolissimo ghigno era comparso sul quel viso il che lo rendeva ancora più attraente.  
Mi girai ed apri la portiera della macchina per poi salirci dentro. Abbassai il finestrino e lui ci si appoggiò letteralmente con un braccio, mentre l’altro lo aveva sopra il tettino della macchina
-non riuscirai a guidare in quelle condizioni tsundere, fatti da parte-
-gentile da parte tua ma.. NO. Ho guidato in condizioni peggiori e sono sempre tornata a casa, ora sposati o ti falcio-  
-non riuscirai ad arrivare in ospedale con quella caviglia-
-non vado in ospedale, è roba da niente- risposi sempre più acida
-ah si? E come lo sai?- il ghigno man mano diventava sempre più marcato
-ho già avuto incidenti del genere- lo dissi senza pensarci, volevo solo andarmene da lì e in fretta
-oltre che tsundere, sei anche ubriacona e hai la testa per aria! Che razza di segretaria sei?-non riuscivo in quel momento a leggere tra le righe, ero troppo nervosa ed brilla per farlo
-pensa per te!- sbottai – non che tu sia il massimo! Usi sempre questo metodo da falliti per approcciare con le persone? Dovresti migliorarlo lo sai?-
Per tutta risposta ricevetti il ghigno più terrificante di sempre, ma non mi fece paura anzi.. Avevo voglia di provocarlo per vedere fino a che punto si sarebbe spinto.  
-ci vediamo lunedì tsundere-  
“Lunedì?! scherzi spero!” diedi voce ai miei pensieri
-non ti piace l’idea?- si avvicinò sempre di più al mio viso, tanto che dovetti sposarmi leggermente più indietro con il busto e solo allora mi accorsi dell’odore dell’alcool che aveva addosso. Doveva aver bevuto anche lui, sicuramente.
-no, preferisco tuo fratello invece- risposi serafica
-e come mai?- era sempre più vicino
-perché almeno lui si è degnato di presentarsi senza palparmi il sedere!- alzai il tono della voce nell’ultima frase, avere un altro Rasa vicino sarebbe stato troppo per la mia fragile mente
-hai iniziato tu per prima- i suoi occhi adesso erano due fessure. Si stava prendendo gioco di me, era palese e la cosa mi mandava in bestia
-e quando sarebbe successo?- feci finta di niente anche se una mezza idea me l’ero già fatta in realtà
-quando sei volata su di me dopo che ti eri messa a sculettare-  
-ma è stato un incidente!- ribadii con le guance in fiamme
-certo, peccato solo che la tua mano sia finita..- non gli feci finire la frase. Gli tappai la bocca con entrambe le mani
-ho detto che è stato un incidente chiaro?-  con una mano spostò le mie dalle sue labbra, ma mi tenne saldamente i  polsi tirandoli leggermente a se, mentre con il busto si spostava sempre più vicino a me, tanto che i nostri nasi si sfiorarono. Trattenni il fiato ed il cuore ricominciò a galoppare nel petto. Il suo sguardo diventò sempre più penetrante tanto che iniziai a tremare leggermente. Ringraziai qualsiasi entità per essere già seduta in macchina o non avrei retto molto. Mi fissò per trenta secondi e poi il suo sguardo si spostò in basso verso la mia scollatura.
-e sei pure piatta- questa non gliel’avrei fatta passare liscia. Con tutta la forza che mi era rimasta lo spinsi indietro e riuscì a liberarmi dalla presa.  per evitare di nominarlo nei modi peggiori accesi il motore, e feci manovra per ripartire ma la sua voce mi bloccò
-e comunque sono Gaara Sabaku, ma tu puoi chiamarmi presidente- quel maledetto ghigno lo faceva sembrare troppo bello per essere vero.
-ci vediamo lunedì tsundere- disse per poi infilare le mani intasca e tornare nella hall dell’albergo.
Rimasi pietrificata. Davvero da lunedì dovevo sorbirmi due settimane di insulti da uno stronzo che di divertiva a palpeggiare le persone a caso?  
“ma no, sarà stato l’alcool” pensai poco convinta. Sospirai sonoramente e questa volta con calma riuscì a partire per tornare a casa e concedermi un sonno ristoratore.
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silviatorani · 5 years
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FIAMMIFERI di Silvia Torani
Le luci della panetteria si spengono e il buio soffoca la strada. La vetrina è tiepida contro la schiena, ma non ti proteggerà dalla notte.
Ti stringi nello scialle. Il freddo raspa la pelle sotto ai vestiti e la neve ti punge le dita nelle scarpe rotte. Erano di tua madre. È un anno che lei sta sottoterra, ma i tuoi piedi sono più freddi dei suoi.
Le scatole dei fiammiferi pesano nella tasca del grembiule lurido.
Prendine uno. Accendilo. Nessuno se ne accorgerà e potrai ancora venderli a prezzo pieno.
Affondi la mano nella tasca e stringi una scatola. I tuoi polpastrelli intorpiditi riconoscono appena gli spigoli di cartone.
Forza, accendine uno. Ti scalderà.
Una donna svolta l’angolo in fondo alla strada. Trascina una bambina per la mano e cammina spedita lungo il marciapiede.
Tiri la scatola fuori dal grembiule e la mostri nel palmo aperto. Forse la comprerà. Non puoi tornare a casa senza averne venduta almeno una. I lividi dell’ultima volta fanno ancora male.
La bambina si ferma e ti guarda, avvolta in un cappottino rosso. I boccoli biondi le sfuggono dalla cuffia di lana e batuffoli di pelliccia color crema spuntano dagli scarponcini di capretto. Sembrano della tua misura. La donna la tira via e affretta il passo. Non ti rivolge neanche uno sguardo, affonda il volto nel colletto del cappotto e si allontana dal tuo cumulo di stracci, verso la sua casa, le finestre illuminate, il camino acceso, la cena in tavola e i regali sotto l’albero. Faresti anche tu come loro, ma a casa non c’è nessuna tavola imbandita, nessun fuoco, nessun albero di Natale.
Chiudi le dita attorno alla scatola.
Aprila. Prendi un fiammifero, sfregalo sul muro e fallo bruciare.
Spingi con il pollice e il cassetto scivola fuori come una teglia dal forno. Le teste bianche dei fiammiferi brillano come glassa sui biscotti. Ne prendi uno e lo sfreghi contro la parete ruvida e scura di fumo. Sfrigola, ma non si accende.
Smettila di tremare e prova di nuovo.
La capocchia manda una scintilla e prende fuoco. L’odore di zolfo ti pizzica le narici e la notte si fa più scura. Sei sola nel buio, ma la piccola sfera di luce ti conforta.
La punta del fiammifero diventa nera e la fiamma si affievolisce.
Non lasciarlo spegnere. Non farlo cadere finché il fuoco non ti brucerà le dita.
Lo inclini e la fiamma divora il gambo di legno, ti scotta i polpastrelli. Apri le dita e il fiammifero avvizzito piomba nella neve grigia.
Al buio il freddo morde più di prima.
Accendine un altro.
«Quanto per una scatola?»
Un uomo smilzo prende forma nelle tenebre. È vestito di nero, i capelli bianchi spuntano appena sotto al cappello a cilindro.
Nascondi nella mano la scatola iniziata e gliela porgi. Magari non se ne accorgerà.
«Uno scellino, signore. Sono di prima qualità.»
L’uomo col cilindro prende la scatola, se la rigira tra le dita e sorride. L’ultima falange del mignolo è piegata verso l’anulare, come se fosse rotta. Nemmeno i guanti riescono a nasconderlo.
«Te ne do cento.»
Spalanchi gli occhi e la bocca. Cento scellini fanno cinque sterline. Con cinque sterline potresti mangiare per un mese. Potresti comprare una bambola da ricchi, una di quelle con le braccia che si muovono. Potresti tornare subito a casa. Tuo padre non oserà picchiarti se gli dirai che hai venduto una scatola a cento scellini. Potresti perfino dirgli che l’hai venduta a dieci e tenere il resto per te.
«Oppure potrei ridarti la scatola, e i fiammiferi che contiene realizzeranno ogni tuo desiderio.»
Aggrotti la fronte e affili lo sguardo. Sta cercando di fregarti. Non avresti dovuto lasciargliela prima che pagasse.
L’uomo apre la scatola, tira fuori un fiammifero e te lo porge.
«Prova. Il primo lo offro io.»
La sua voce ti accarezza le orecchie e ti riempie la testa.
Prendilo.
Allunghi le dita e le stringi attorno al fiammifero.
«Cosa dovrei farci?»
«Accendilo, pensa a ciò che desideri e guardalo bruciare.»
Serri le labbra. La scatola è iniziata e provare non costa nulla. Ne avresti comunque acceso un altro per tenere a bada il freddo.
Stringi il fiammifero tra le dita, sfreghi la capocchia sul muro e il fuoco si accende al primo colpo. Il riflesso brilla nelle pupille dell’uomo col cilindro. La bocca gli si piega in un sorriso sghembo e viene inghiottito dalla luce.
La fiamma ti acceca, ma tu non distogliere lo sguardo.
È da ieri che non mangi. Il tuo stomaco si contorce e grida. Vuoi mangiare. Anche il freddo conterà di meno dopo.
L’odore di arrosto ti riempie la bocca. Il fiammifero si spegne e nel buio lo vedi appena: una tavola apparecchiata, una sedia, un vassoio d’argento e un tacchino. Una nuvola di vapore lo circonda, la pelle croccante è increspata come se anche lui sentisse il freddo. Lo guardi a bocca aperta e il fiammifero cade senza un suono nella neve.
Mangia.
Le mani si stringono attorno all’osso della coscia, tiri e la carne non oppone resistenza. Mordi. Le fibre dell’arrosto si sfaldano sotto ai denti, il calore ti riempie lo stomaco e ti pervade la mente.
Mastica in fretta. Tutto potrebbe svanire prima che riesca a saziarti. Lo stomaco ristretto dalla fame si lamenta, ma continua a mangiare finché non ne puoi più. Non ti sei nemmeno seduta. La bocca trema al ritmo del sangue che ti rimbomba nelle orecchie. Te la copri con la mano appiccicosa di grasso.
«Come hai fatto?»
L’uomo col cilindro ti guarda, ma non risponde.
Non è quella la domanda che vuoi fargli. Fagli quella che vuoi davvero.
«Come funziona?»
Fa un passo verso di te.
«È semplice. Accendi un fiammifero e realizzi un desiderio.»
Il tuo respiro esce in rivoli di condensa, il suo fiato lascia l’aria limpida e intatta.
«Qualunque desiderio?»
«Qualunque cosa il tuo cuore desideri. Devi solo esserne convinta.»
Apre il palmo e ti porge la scatola.
Prendila. Ti basta tendere la mano.
L’uomo col cilindro sorride.
«Se non lo desideri abbastanza, potrebbero servire più fiammiferi, ma si tratta comunque di uno scambio equo.»
La tua mano si ferma a metà del gesto.
«Uno scambio equo? Che cosa ottieni in cambio?»
«Nulla.» Il suo sorriso diventa più sottile. «Ma una volta finiti i fiammiferi, tornerò a prenderti.»
Ritiri la mano e te la stringi al petto.
«Tu chi sei?»
«Sai benissimo chi sono.» Le sue parole sono come ghiaccio che si spezza. «Eppure, sei ancora qui a parlare con me. Dubito che la mia identità costituisca un problema.»
Si piega verso di te e ti offre la scatola.
Prendila.
Il tuo respiro è affannato.
«Che succede se non li finisco?»
«In quel caso non avrai nulla da temere. Nessuno ti obbliga a finirli… ma lo farai. Lo fanno sempre tutti.»
Le tue dita tremano, ma prendi la scatola. L’uomo col cilindro sorride, abbassa la mano e distende la schiena.
«Ci vediamo più tardi.»
Ti volta le spalle e rientra nella notte.
Sei sola. Il tavolo, la tovaglia, il vassoio e i resti del tacchino non ci sono più. Forse ti sei addormentata e hai sognato tutto. Forse il freddo e la fame ti hanno dato alla testa, ma la fame se n’è andata e il freddo è solo un prurito sulla punta delle dita. Prendi un fiammifero, lo sfreghi sul muro e lo guardi mentre brucia.
Le scarpe di tua madre sono zuppe per la neve. Vorresti delle scarpe nuove e gli stivaletti che portava la bambina sembravano così comodi e asciutti. Erano proprio della tua misura. Te li meriti molto più di lei. Puoi averli, adesso. Sono tuoi, i batuffoli di pelliccia ti spuntano dalle caviglie, le suole sono morbide e calde come se non avessero ancora perso il calore del suo corpo.
Il fiammifero avvizzito cade a terra e gli stivaletti sono ancora ai tuoi piedi.
Accendine un altro.
*** *** ***
Il riflesso nella vetrina buia non sei tu. È una bambina con le guance rotonde, gli stivaletti ai piedi, il cappottino rosso e i capelli puliti e abboccolati come quelli delle riviste.
Tuo padre non ti riconoscerà.
Ferma. Quanti fiammiferi ti restano? Apri la scatola e controlla. Per non finirli basta usarli tutti tranne uno. Lo prendi e te lo nascondi nella tasca.
Tieni la scatola stretta nella mano e ti precipiti lungo la strada illuminata dai lampioni a gas. Puoi correre, adesso. Non rischi più di perdere le scarpe di tua madre ad ogni passo. Dove saranno finite? Saranno ancora da qualche parte o sono sparite per sempre, come lei?
Continua a correre.
Se volessi, potresti cambiare strada. Potresti andartene lontano e non tornare più. Ora che hai i fiammiferi non hai più bisogno di tuo padre, ma lui ha bisogno di te e non hai altro posto dove andare.
La strada termina in un vicolo davanti allo stretto seminterrato che chiamate casa. Un tempo lo era davvero, ma potrebbe esserlo di nuovo. Scendi i gradini e apri la porta. Tuo padre dorme nella poltrona sfondata dove è morta tua madre. Ha la nuca di capelli stopposi riversa sullo schienale, la bocca dischiusa verso il soffitto e la mano aperta che pende sul fianco, sopra una bottiglia rovesciata. Russa piano, sembra un bambino con il raffreddore.
Allunghi una mano per svegliarlo e il tuo stomaco si contorce. Sai già come andrebbe a finire. Vedrà i vestiti nuovi e ti darà della ladra. Ti strapperebbe i fiammiferi di mano e li getterebbe nel fuoco, senza darti il tempo di mostrargli ciò che puoi fare.
Deve vederlo con i suoi occhi. Prendi un fiammifero e lo accendi. Lo scoppiettio del fuoco nel camino invade la stanza. Un altro fiammifero e il tavolo si ricopre di una tovaglia candida. Ne accendi ancora, finché la tavola non è coperta di vassoi ricolmi di cibo, candele dipinte e posate d’argento. Un albero di Natale tocca il soffitto con la punta. Cento sfere di vetro colorato riflettono la luce del camino nell’angolo più lontano della stanza. Sfiori gli angeli di cristallo appesi ai rami e li fai tintinnare.
La casa non è mai stata così bella, nemmeno quando c’era tua madre, tuo padre era sobrio e aveva ancora un lavoro. Le cose andranno meglio, d’ora in poi. Una volta che avrai dato a tuo padre il suo regalo lo capirà anche lui, ma deve vederlo mentre accade o non ti crederà.
Prepari un fiammifero, gli scuoti la spalla e il russare si interrompe. Apre gli occhi e le pupille si restringono per effetto della luce. Socchiude le palpebre e se le copre con la mano.
«Che succede?» La sua voce sembra carta vetrata. Ad ogni sillaba la lingua gli si impasta nella saliva densa come melassa. «Cos’hai addosso?»
«Papà, devo farti vedere una cosa.»
Il suo sguardo si sposta sul resto della stanza e sbarra gli occhi. Sfavillano, si spengono, tornano cupi. Contrae le sopracciglia e indurisce la mascella. «Dove hai preso questa roba?»
Le mani gli si stringono a pugno e tu ti fai più piccola.
«L’ho desiderata.» Sollevi il fiammifero. «Guarda.»
Sulla parete nell’angolo il contorno annerito del pianoforte non è mai andato via. Accendi il fiammifero e guardi la fiamma. Il giorno in cui quelli della banca se lo sono preso è stato il giorno in cui hai capito che le cose non sarebbero più tornate come prima, anche se tuo padre te l’aveva promesso. Ti aveva promesso che, anche se la mamma non c’era più, sareste stati felici, che ti avrebbe voluto bene per entrambi. Ma poi ha continuato a bere, ha perso il lavoro, ha lasciato che si prendessero il pianoforte, e ogni volta ti prometteva che avrebbe rimediato, che non ti avrebbe più fatto del male, che non saresti mai rimasta sola. La fiamma si spegne e la tua gola si gonfia. La parete è ancora vuota.
Tuo padre tossisce. «Che stai facendo?»
Apri la bocca e la richiudi. Per tutto il resto ha funzionato. Perché non funziona più? Ne accendi un altro, fissi la fiamma e aspetti. Il fiammifero brucia e si spegne, ma la parete resta vuota.
«Ti ho chiesto dove hai preso queste cose.»
Non rispondi. Prendi un altro fiammifero e lo sfreghi contro il tavolo.
La mano di tuo padre ti afferra il polso e ti dà uno strattone. «Falla finita e guardami quando ti parlo.»
Trattieni il fiato, ma la fiamma non si spegne. La luce ti acceca. Deve funzionare. La fiamma resta impressa nei tuoi occhi anche quando svanisce.
Tuo padre emette un gemito strozzato e ti lascia andare il polso. Sbatti le palpebre. La sagoma della fiamma scompare. Il vecchio pianoforte è contro la parete, dove era sempre stato prima che lo portassero via.
«Buon Natale, papà.» La voce ti resta incastrata da qualche parte nella gola ed è più flebile di quanto vorresti. Ti massaggi il polso. Resterà il segno.
Tuo padre si alza a fatica dalla poltrona e si tiene al bracciolo con una mano. «Cosa…? Come…?»
Gli mostri la scatola. «Questi fiammiferi… realizzano i desideri.» Non ti guarda. Fissa il pianoforte a bocca aperta. «Basta accenderli.»
Lascia andare il bracciolo e zoppica verso il pianoforte. La mano tesa in avanti tocca la superficie laccata del legno. «Non è possibile…»
Le sue dita tastano il coperchio e si fermano su una scheggiatura. Tua madre ci fece cadere sopra una pentola di rame, un anno prima che morisse.
«Hai visto? È proprio il nostro.»
Il suo sguardo si perde, non è più lì con te.
Gli afferri un lembo della giacca. «Sei contento, papà?»
La sua mano indugia sul punto del legno in cui la lacca è saltata e ci passa dentro un’unghia.
Indichi la stanza addobbata. «E poi c’è la cena di Natale.»
«Non capisci…» Scuote la testa e si lascia cadere sullo sgabello davanti al pianoforte. «Non ha senso se—»
«Forza!» Lasci andare la giacca e ti avvicini alla tavola. «Vieni a mangiare o si raffredda.»
Tuo padre fissa il pianoforte in silenzio. «Chi te li ha dati?»
Non dirglielo. Se sapesse da dove vengono, se sapesse chi te li ha dati, non te li farebbe più usare.
Alzi il coperchio da un vassoio e il vapore ti bagna la faccia. «Ora mangiamo, e dopo cena mi suonerai le ballate di Natale, come facevi una volta.»
«Riportala indietro.» Si volta a guardarti. «Hai riportato il pianoforte. Se è come dici e puoi realizzare i desideri, riporta indietro anche lei.»
Stringi il manico del coperchio. «Possiamo avere qualsiasi cosa. Posso desiderare una casa nuova, un nuovo lavoro…» Perché non gli basta quello che puoi dargli? Perché non gli basti tu?
Si alza dallo sgabello e ti guarda con il volto vuoto. «Riportala indietro.»
Si avvicina e tu fai un passo indietro lungo il tavolo. Annuisci, prendi un fiammifero e lo accendi. La fiamma si spegne e non succede nulla.
Tuo padre si guarda intorno con gli occhi umidi e sporgenti. «Riprova.»
Ti trema la mano. Prendi un altro fiammifero e provi ancora, ma sai che non funzionerà. La fiamma trema e si spegne. Siete ancora soli.
Tuo padre fa un singhiozzo e spinge il volto nei palmi delle mani. «Prova di nuovo…»
Non farlo. I fiammiferi rimasti sono troppo pochi.
«Non posso.»
Tira su la testa, il labbro superiore gli lascia scoperti i denti. «Come sarebbe a dire che non puoi?»
Affondi la testa nelle spalle.
Il suo sguardo passa dal tuo volto alle tue mani. Si sporge verso di te. «Dammeli!»
Stringi la scatola al petto. «No.»
Lo schiaffo ti colpisce lo zigomo e ti scaraventa contro l’albero di Natale. Le decorazioni tintinnano l’una contro l’altra, cadono a terra e si infrangono in schegge colorate.
Arretri senza pensare e le schegge ti si infilano sotto la pelle delle mani. Trattieni un gemito. Hai perso la scatola. Tasti il pavimento, ma non la trovi.
L’ha presa tuo padre. Tenta di aprirla, ma gli tremano le mani.
Tu sei più veloce di lui. Fermalo. Fagli del male.
Infili la mano in tasca, trovi il fiammifero e lo sfreghi sul pavimento di legno. Lo sfrigolio della capocchia che si accende è un tutt’uno con lo schiocco di vertebre della schiena di tuo padre. Il fiammifero brucia, tuo padre geme sul pavimento.
Fagli provare quello che hai provato tu. È ciò che hai sempre voluto.
Il bruciore delle schegge nei palmi sparisce con ogni suo gemito. Il fiammifero si spegne e il busto spezzato di tuo padre ricorda il mignolo storto dell’uomo col cilindro. La sua mano destra ha uno spasmo attorno alla scatola di fiammiferi. Il cartone si è piegato dentro la sua stretta.
Prendila.
Ti trascini verso di lui, ti arrampichi sul suo petto. Rantola e gorgoglia ad ogni respiro. Gli afferri le dita e ti scavi la strada con le unghie per liberare la scatola.
Tuo padre mugola qualcosa.
Non ascoltarlo. Non deve osare rivolgerti la parola dopo quello che ti ha fatto.
Ti siedi a cavalcioni su di lui e gli punti le ginocchia ai lati della pancia. Vuoi sentire il tuo peso che lo schiaccia a terra.
Prendi un fiammifero e lo sfreghi così forte che si spezza. Lo butti e ne accendi un altro.
Tuo padre urla.
Vuoi gridare più forte di lui.
«Avevi detto che sarebbe andato tutto bene!»
Vuoi che la tua voce laceri le tende e faccia tremare le pareti.
«Avevi detto che saremmo stati felici anche senza di lei! Me lo avevi promesso!»
Non hai mai voluto che lei tornasse. Volevi solo che tuo padre mantenesse la promessa.
I suoi lamenti si fanno più deboli. Lasci andare il fiammifero e ne accendi un altro.
«Avevi ancora me!»
Hai fatto tutto quello che ti ha chiesto, hai sopportato i lividi, la fame, il freddo, ma non ti ha mai dato uno sputo del suo amore.
«Perché non ti bastava?»
Vuoi strappargli la pelle e farla a brandelli.
Prendi un fiammifero. «Perché non ti bastavo?»
Ti guarda con il volto strabuzzato, il respiro ansante e rapido.
Non c’è paura né dolore nei suoi occhi. C’è solo il vuoto lasciato da tua madre quando è morta, quel vuoto che non ti ha mai permesso di riempire.
Vuole morire. Vuole soffrire come ha sofferto lei e raggiungerla nella tomba. Per tutto questo tempo ha aspettato la morte. Non gli è mai importato niente di te.
Un singhiozzo ti scuote.
«Perché non mi ami?»
Tiri su con il naso.
«Dovevi solo amarmi…»
Accendi il fiammifero e ti chini su di lui.
«Amami.»
La fiamma si riflette nel bianco dei suoi occhi e si spegne.
«Amami!»
Le sue pupille si dilatano e il suo torace si ferma. Non respira più. Trattieni il fiato e scuoti la testa. «No…»
Ti alzi e scivoli al suo fianco. Appoggi l’orecchio sul suo cuore, senti il silenzio.
«No, no, no, no…»
Agiti la scatola e i pochi fiammiferi rimasti ci rotolano dentro. Ne accendi uno.
«Torna qui.»
I suoi occhi restano lucidi e vuoti come biglie di vetro.
«Torna!»
Il fiammifero non si è ancora spento, ma le tue dita ne cercano un altro nella scatola.
«Ti prego…» Lo accendi. «Torna da me.»
Uno spiffero gelido spegne il fuoco nel camino e rimani sola. La luce del fiammifero trema e illumina appena il volto deformato di tuo padre.
I tuoi singhiozzi si riducono a un sussurro.
Cerchi un altro fiammifero nella scatola, ma è vuota. Hai acceso l’ultimo e ti sei dimenticata di metterne un altro da parte. È troppo tardi, sta già bruciando.
I tuoi muscoli si fanno di pietra, un sudore gelido ti scivola dalle tempie e si mescola alle lacrime. Trattieni il respiro. Hai ancora tempo. Pochi secondi, ma sono tutto quello che hai. Lasci cadere la scatola e ti aggrappi all’ultimo fiammifero. Il legno avvizzisce e la fiamma si avvicina alla punta delle dita. È così piccola che per spegnerla basterebbe un tuo respiro. La casa scricchiola nel buio. Vorresti guardare fuori e vedere un’ultima volta il cielo, ma non osi distogliere gli occhi dalla luce.
Una mano guantata ti si posa sulla spalla e te la stringe. L’ultima falange del mignolo è piegata verso l’anulare.
Non voltarti.
Il fiammifero si spegne, il buio si piega su di te e ti inghiotte.
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E' proprio vero che quando nasce un bambino nasce anche una mamma.
Prima siamo donne, siamo donne chi più chi meno con propensione alla maternità.
Siamo donne che amano i bambini.
Siamo donne che salutano i figli degli altri nei carrelli in fila alla cassa al supermercato.
Siamo zie.
Ma non siamo mamme.
Diventiamo mamme non appena scopriamo di essere incinte e ci consacriamo mamme appena il nostro piccolo fagottino viene alla luce.
Per me almeno è stato così.
Ho fatto il test dopo più di una settimana dal ritardo... quasi avessi paura del risultato.
Non ho dovuto aspettare i 5 min. Non avevo neanche finito di fare pipì che già c'erano due linee blu scure a guardarmi.... mi fissavano quelle linee... mi fissavano dritto negli occhi... occhi terrorizzati i miei che guardavano quelle due linee che si stavano impossessando della mia vita!
In quel momento mi stavo trasformando e non me ne rendevo nemmeno conto.
Ho chiamato mia mamma al telefono (perchè io ancora ero davvero tanto figlia) ed ho pianto... tanto... mentre mia madre dall'altra parte rideva di gioia e cercava di infondermi coraggio.
Paura spavento misti a felicità si stavano impossessando di me.
Paura e spavento che una mamma lo sa non ti lasceranno più.... i figli... ti fanno morire di paura almeno 4 volte al giorno (ma io non lo sapevo... ancora)
Mi sono sciacquata con acqua fredda il viso... mi sono truccata( dovevo andare da mio marito a dirglielo fino in ufficio perchè non potevo aspettare la sera... erano appena le 15 del pomeriggio)
Mi sono preparata e mi sono messa in macchina.
... Ho guidato pianissimo... non ho corso il minimo rischio... già lo stavo proteggendo, un piccolo puntino micromillimetrico dentro di me ed io già lo proteggevo! Lì in quel momento mi sono resa conto che stavo nascendo ... mamma!
La gravidanza ... vedrai sarà bellissima.... tutti mi dicevano così... un momento di grazia vedrai!
Ed io ricolma di quel coraggio e di quelle meravigliose parole che chiunque mi diceva ho iniziato a muovere i primi passi NELLA mia gravidanza.
Gravid-Ansia così la dovrebbero chiamare!!! Questo è il termine giusto....
E fai le beta ogni settimana perchè se non raddoppiano ste beta ehehehe.... Ogni prelievo una ciocca di capelli bianchi in testa!!!
Ok passate le beta!
Prima eco ... e che non te la fai venire l'ansia che mo il cuoricino non si sente???
Prenatal-safe! (nemmeno mi esprimo sulla badilata di ansia che avevo addosso) avrò avuto la pancia piena d'ansia che sembravo al nono mese per tutta la settimana!
E poi il vomito... ma quanto vomiti? ma lo sai che vomitando l'utero si contrae? e se l'utero si contrae potrebbero esserci problemi seri? E via di iniezioni di rilassante uterino e vitamina b.
La pancia cresce e inizia l'olimpiade della pipì! Certo perchè vuoi anche uscire senza aver passato in rassegna la mappa dei bagni del posto dove ti stai recando?? Ma solo quella però altro scordatelo in bagno... emorroidi e nulla più!
E la morfologica?? Signora ci sono due gambe.. due braccia... E sia ringraziato Dio e tutto il firmamento quando arriva sto nono mese????
Settimo mese e andiamo piano che mica può nascere ora eh!!! Lo sai quanti rischi ci sono... Ma lo senti muovere??? Chiunque incontri in giro una sola domanda ti fa... Si è mosso oggi??!!
E non c'è solo questo.... c'è anche il contorno!
L'ospedale l'hai scelto??? Ha la Tin??? Lasciano la partoriente libera di ballare la lanbada in sala travaglio? Fanno entrare padre figlio e spirito santo mentre partorisci? Parto in acqua? Epidurale? Rooming-in? Aiuto all'allattamento? Orari dedicati solo al padre?
Dovrebbero metterli su trivago gli ospedali per partorire!
Nel frattempo c'è la spesa ... qui a Roma c'è Bimbo store per esempio dove tutte le pance si ritrovano a scegliere cosa mettere nella "borsa per l'ospedale" e in casa.
C'è da scegliere il trio (per i primo figlio è così sei inesperta e pensi che ti occorra tutto ed il contrario di tutto)... cioè scusa ... ci sono I trio .... e lì facciamo un baffo ai nostri mariti al concessionario eh!! Tutto guardiamo... telaio... ruote... freni ... abs... ammortizzatori ... tutto, capienza, è reclinabile? Verso mamma e verso strada? Cappotta, poggia piedi, cestino, borsa .... !!!
Controlliamo su internet i commenti di altre mamme che ci sono passate già prima di noi... interpelliamo Paolo Fox e poi ... Il trio migliore che c'è è nostro... motore a iniezione, cambio automatico (del pannolino) chiavi in mano!!
Pannolini, sterilizzatori vari (perchè oggi una mamma che non sterilizzi e non abbia conseguito una laurea in microbiologia non è una vera mamma), tutine, body (a manica lunga, a mezza manica e smanicati non si sa mai poi capirò qual'è meglio) cremine per il culetto, borotalco no è figlio del diavolo non siamo negli anni '80, ciuccio no (non glielo darò mai... certo sei incinta cosa ne sai tu!)
Amido per il bagnetto, detersivo bucato senza detersivo per il bucato per i panni del piccolino ignaro di tutto, bavaglini, calzini e soprattutto cappellini (ai neonati si mette il cappellino ... puoi non mettergli il pannolino ma guai se non gli metti il cappellino)!
E poi in un minuscolo spazietto creato da quello che era uno sgabuzzino c'è l'angolo per la futura mamma dove tutto finisce con ONE!
Mutand-one , assorbent-oni (che nel medioevo stavano più comode di quei cosi post parto), camici-one da notte , reggisen-oni da allattamento, calzett-oni (perchè i piedi sono gonfi). E così entri in sala parto più sexy che mai. A me per esempio hanno messo pure il pannolone perchè ho rotto le acque prima che partisse il travaglio 😎
Sei pronta... hai preparato il nido ... tutto è pronto ... ma la gravidanza non è finita! Un'ultima botta d'ansia che non te la fai venire pensando al parto??
Poi partorisci ... quel giorno arriva... e come se arriva! E nulla ha più importanza! E' nata una mamma!
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baadbaadnotgood · 5 years
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Scrive Natalia Ginzburg
“L’altro giorno m’è capitato fra le mani un articolo che avevo scritto subito dopo la liberazione e ci sono rimasta un po’ male. Era piuttosto stupido: intanto era tutto in ghingheri, belle frasi ben studiate e girate bene; adesso non voglio più scrivere così. E poi dicevo con calore e convinzione delle cose ovvie: del resto succedeva un po’ a tutti, subito dopo la liberazione, di scaldarsi molto a dire delle cose ovvie: era anche giusto in un certo senso, perché in vent’anni di fascismo uno aveva perduto il senso dei valori più elementari, e bisognava ricominciare da capo, ricominciare a chiamare le cose col loro nome, e scrivere pur di scrivere, per vedere se eravamo ancora delle persone vive.
Quel mio articolo parlava delle donne in genere, e diceva delle cose che si sanno, diceva che le donne non sono poi tanto peggio degli uomini e possono fare anche loro qualcosa di buono se ci si mettono, se la società le aiuta, e così via. Ma era stupido perché non mi curavo di vedere come le donne erano davvero: le donne di cui parlavo allora erano donne inventate, niente affatto simili a me o alle donne che m’è successo di incontrare nella mia vita; così come ne parlavo pareva facilissimo tirarle fuori dalla schiavitù e farne degli esseri liberi. E invece avevo tralasciato di dire una cosa molto importante: che le donne hanno la cattiva abitudine di cascare ogni tanto in un pozzo, di lasciarsi prendere da una tremenda malinconia e affogarci dentro, e annaspare per tornare a galla: questo è il vero guaio delle donne. Le donne spesso si vergognano d’avere questo guaio, e fingono di non avere guai e di essere energiche e libere, e camminano a passi fermi per le strade con bei vestiti e bocche dipinte e un’aria volitiva e sprezzante; ma a me non è mai successo d’incontrare una donna senza scoprire dopo un poco in lei qualcosa di dolente e di pietoso che non c’è negli uomini, un continuo pericolo di cascare in un gran pozzo oscuro, qualcosa che proviene proprio dal temperamento femminile e forse da una secolare tradizione di soggezione e schiavitù e che non sarà tanto facile vincere; m’è successo di scoprire proprio nelle donne più energiche e sprezzanti qualcosa che mi indiceva a commiserarle e che capivo molto bene perché ho anch’io la stessa sofferenza da tanti anni e soltanto da poco tempo ho capito che proviene dal fatto che sono una donna e che mi sarà difficile liberarmene mai. Due donne infatti si capiscono molto bene quando si mettono a parlare del pozzo oscuro in cui cadono e possono scambiarsi molte impressioni sui pozzi e sull’assoluta incapacità di comunicare con gli altri e di combinare qualcosa di serio che si sente allora e sugli annaspamenti per tornare a galla.
Ho conosciuto moltissime donne. Ho conosciuto donne con dei bambini e donne senza bambini, mi piacciono di più le donne con dei bambini perché so subito di cosa parlare, fino a quanti mesi l’hai allattato e dopo cosa gli hai dato e adesso cosa gli dai. Due donne insieme possono parlare all’infinito su questo tema. Ho conosciuto delle donne che potevano prendere il treno e partire lasciando i propri bambini per qualche tempo senza sentire una terribile angoscia e il senso di fare una cosa contro natura, vivere quietamente per molti giorni lontano dai bambini e non provare quella paura viscerale e inconsulta che sia successo loro qualcosa di male, come invece capita a me ogni volta; e non è che quelle donne non volessero bene ai loro bambini, gli volevano bene quanto io voglio bene ai miei ma semplicemente erano più in gamba. Ho incontrato donne tranquille ma poche, la maggior parte sono come me e non riescono a vincere quella paura viscerale e straziante e quel senso di fare una cosa contro natura ogni volta che si coricano in un letto d’una città straniera molti e molti chilometri lontano dai bambini. Ho cercato d’essere più in gamba che potevo in questo, ho cercato di dominarmi meglio che potevo e ogni volta che son salita in treno senza i bambini mi son detta: «Questa volta non avrò paura», ma la paura è nata sempre in me e quello che non ho ancora capito è se mi passerà quando i miei bambini saranno uomini, spero bene che mi passerà. E non posso pensare tranquillamente a girare i paesi come vorrei, a dire il vero ci penso sempre ma so bene che non mi è possibile farlo. Così ci sono delle donne canguri e delle donne non canguri, ma le donne canguri sono molte di più.
Io dunque ho conosciuto moltissime donne, donne tranquille e donne non tranquille, ma nel pozzo ci cascano anche le donne tranquille: tutte cascano nel pozzo ogni tanto. Ho conosciuto donne che si trovano molto brutte e donne che si trovano molto belle, donne che riescono a girare i paesi e donne che non ci riescono, donne che hanno mal di testa ogni tanto e donne che non hanno mai mal di testa, donne che si lavano il collo e donne che non se lo lavano, donne che hanno tanti bei fazzolettini bianchi di lino e donne che non hanno mai fazzoletti o se li hanno li perdono, donne che portano il cappello e donne che non lo portano, donne che hanno paura d’essere troppo grasse e donne che hanno paura d’essere troppo magre, donne che zappano tutto il giorno in un campo e donne che spezzano la legna sul ginocchio e accendono il fuoco e fanno la polenta e cullano il bambino e lo allattano e donne che s’annoiano a morte e frequentano corsi di storia delle religioni e donne che s’annoiano a morte e portano il cane a passeggio e donne che s’annoiano a morte e tormentano chi hanno sottomano, il marito o il figlio o la cameriera, e donne che escono al mattino con le mani viola dal freddo e una sciarpettina intorno al collo e donne che escono al mattino muovendo il sedere e specchiandosi nelle vetrine e donne che hanno perso l’impiego e si siedono a mangiare un panino su una panchina del giardino della stazione e donne che sono state piantate da un uomo e si siedono su una panchina del giardino della stazione e s’incipriano un po’ la faccia.
Ho conosciuto moltissime donne, e adesso sono certa di trovare in loro dopo un poco qualcosa che è degno di commiserazione, un guaio tenuto più o meno segreto, più o meno grosso: la tendenza a cascare nel pozzo e trovarci una possibilità di sofferenza sconfinata che gli uomini non conoscono forse perché sono più forti di salute o più in gamba a dimenticare se stessi e a identificarsi col lavoro che fanno, più sicuri di sé e più padroni del proprio corpo e della propria vita e più liberi. Le donne cominciano nell’adolescenza a soffrire e a piangere in segreto nelle loro stanze, piangono per via del loro naso o della loro bocca o di qualche parte del loro corpo che trovano che non va bene o piangono perché pensano che nessuno le amerà mai o piangono perché hanno paura di essere stupide o perché hanno paura di annoiarsi in villeggiatura o perché hanno pochi vestiti, queste sono le ragioni che dànno loro a se stesse ma sono in fondo solo dei pretesti e in verità piangono perché sono cascate nel pozzo e capiscono che ci cascheranno spesso nella loro vita e questo renderà loro difficile combinare qualcosa di serio. Le donne pensano molto a loro stesse e ci pensano in un modo doloroso e febbrile che è sconosciuto a un uomo. È molto difficile che riescano a identificarsi col lavoro che fanno, è difficile che riescano ad affiorare da quelle acque buie e dolorose della loro malinconia e dimenticarsi di se stesse.
Le donne fanno dei figli e quando hanno il primo bambino, comincia in loro una nuova specie di tristezza che è fatta di fatica e di paura e c’è sempre anche nelle donne più sane e tranquille. È la paura che il bambino s’ammali o è la paura di non avere denaro abbastanza per comperare tutto quello che serve al bambino o è la paura d’avere il latte troppo grasso o di avere il latte troppo liquido, è il senso di non poter più tanto girare i paesi se prima si faceva o è il senso di non potersi più occupare di politica o è il senso di non poter più scrivere o di non poter più dipingere come prima o di non poter più fare delle ascensioni in montagna come prima per via del bambino, è il senso di non poter disporre della propria vita, è l’affanno di doversi difendere dalla malattia e dalla morte perché la salute e la vita di una donna è necessaria al suo bambino.
E ci sono donne che non hanno figli e questa è una grande disgrazia, è la peggiore disgrazia che possa avere una donna perché a un certo punto diventa deserto e noia e sazietà di tutte quelle cose che si facevano prima con ardimento, scrivere e dipingere e politica e sport e diventa tutto cenere nelle mani e una donna consapevolmente o inconsapevolmente si vergogna di non avere fatto dei figli e comincia a girare i paesi ma anche girare i paesi è un po’ difficile per una donna, perché ha freddo o perché le fanno male le scarpe o perché le si smagliano le calze o perché la gente si stupisce a vedere una donna che gira i paesi e ficca il naso di qua e di là. E tutto questo ancora si può superare ma c’è poi la malinconia e cenere nelle mani e invidia a vedere le finestre illuminate delle case nelle città straniere; e magari per un periodo abbastanza lungo riescono a vincere la malinconia e passeggiano al sole con un passo fermo e fanno all’amore con gli uomini e guadagnano del denaro e si sentono forti e intelligenti e belle né troppo grasse né troppo magre e si comprano dei cappelli strani con nodi di velluto e leggono dei libri e ne scrivono, ma poi a un certo punto ricascano nel pozzo con paura e vergogna e disgusto di sé e non riescono più a scrivere libri e neppure a leggerne, non riescono a interessarsi a niente che non sia il loro personale guaio che tante volte non sanno spiegarsi bene e gli dànno dei nomi diversi, naso brutto bocca brutta gambe brutte noia cenere figli non figli. E poi le donne cominciano a invecchiare e si cercano i capelli bianchi per strapparli e si guardano le piccole rughe sotto gli occhi, e cominciano a dover mettere dei grandi busti con due stecche sulla pancia e due sul sedere e si sentono strizzate e soffocate lì dentro, e ogni mattina e ogni sera osservano come il loro viso e il loro corpo si trasformi a poco a poco in qualcosa di nuovo e di penoso che presto non servirà più a niente, non servirà più a far l’amore né a girare i paesi né a fare dello sport e sarà qualcosa che invece loro stesse dovranno servire con acqua calda e massaggi e creme oppure lasciarlo devastare e avvizzire alla pioggia e al sole e dimenticare il tempo che era bello e giovane.
Le donne sono una stirpe disgraziata e infelice con tanti secoli di schiavitù sulle spalle e quello che devono fare è difendersi con le unghie e coi denti dalla loro malsana abitudine di cascare nel pozzo ogni tanto perché un essere libero non casca quasi mai nel pozzo e non pensa così sempre a se stesso ma si occupa di tutte le cose importanti e serie che ci sono al mondo e si occupa di se stesso soltanto per sforzarsi di essere ogni giorno più libero. Così devo imparare a fare anch’io per la prima perché se no certo non potrò combinare niente di serio e il mondo non andrà mai avanti bene finché sarà così popolato d’una schiera di esseri non liberi.”
https://www.ilpost.it/2016/07/14/natalia-ginzburg/
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strichinina · 5 years
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Quest’anno niente countdown (e non è alla fine del 2018 che mi riferisco, ma ai giorni che ci separano). Mi chiedo quando abbia cominciato ad andare in giro formato liquido, sciogliendomi giorno dopo giorno, goccia dopo goccia, abbandonando la confortante corazza cinica d’un tempo. Domanda retorica, certo. Più o meno quando ho imparato a camminare su cumuli di cotone idrofilo tenendoti per mano e a non bruciarmi. La stessa mano che tre pomeriggi fa batteva leggera su tasti bianchi e neri, entusiasta e mai più trattenuta, mentre cercavamo di suonare a quattro mani Learning di Perfume Genius. La stessa mano a volte intenta a districare grovigli di capelli, quanti capelli che hai, color cioccolato, che liquefà il ghiaccio sulla mia pelle con un solo tocco. Durante il viaggio per tornare a casa, tra mille occhi di betulla su tronchi chiari, trafitti da geometrici raggi solari alternati alle ombre fitte delle gallerie, un cielo niente affatto invernale sopra corsie autostradali e le scie di un azzurro mare calmo e anacronistico dal finestrino del pullman, mi sembrava di poter sentire l’odore del tuo respiro e quello ancora più dolce e caldo della tua intimità. Stato d’epitimìa, probabilmente. Come quando, tra un’interruzione autostradale e un’altra, ho realizzato di star per tornare davvero dalla mia “famiglia” e i miei capelli hanno istericamente preso il profumo del mix di incensi che zia accende per tutta casa da che ho memoria e che mi rimane incollato per ore ed ore a indumenti, narici, ed epidermide, anche se la bacio per un solo microsecondo. Ma questi episodi non ci stupiscono più, no. Siamo nate dalle coincidenze e dai segni del destino palesati da anni e che ci hanno condotte a noi poco alla volta. Noi che abbiamo imparato ad amare con i binge watching in seconda serata, tu che sei la mia Lily ed io il tuo Marshall, io la tua Willow e tu la mia Tara, ma migliorate, reali e più incantevoli pur senza incantesimi, anche se la forza salvifica nei tuoi occhi è pura magia e mi fa prendere quota e camminare su cumuli di cotone a mezz’aria mentre disintegra passati bellici e aberranti e incanta, protegge da un tempo guerrafondaio che esplode dietro di noi, raccoglie frutti di gioia da tutte le angolazioni e ci decora l’interno anima.
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Probabilmente tempo fa se ti avessi detto che tornando a casa mi sono messa a cantare a squarcia gola una canzone andando a 80 all’ora su una strada con un limite dei 30 mi avresti ribaltata all’istante per il mio bene, perché avresti avuto paura. Ora non lo so. Però stavo cantando pianeti, e tu quella canzone la conosci molto bene, si perché te la dedicai un giorno mentre eravamo nel letto, e posso dirti che io ero distesa sopra di te, che ti accarezzavo i capelli e che entrambi stavamo piangendo, più io forse che ad ogni frase bagnavo te, il cuscino, le lenzuola e tutti i fazzoletti. E prima di dedicarti quella ti dedicai per sempre di gionnyscandal, pensare che eri stato tu a farmi conoscere quel cantante con una canzone intolata sei così bella. Ho anche cantato ad alta voce, nonostante questa si confondesse nel volume a palla, una canzone napoletana, che non mi hai dedicato direttamente, ma scusami l’ho sentita mia...sii bella comm’e’ Napule. Fa abbastanza pena il mio accento napoletano, te lo devo dire: in tutto questo tempo non l’ho imparato bene, capisci che io sono siciliana e non mi viene così semplice cambiare accento. Però era davvero bello sentirti parlare in dialetto, anche se non ci capivo niente, ci provavo eh, ma eri tu al cento percento; il mio piccolo terrone. Anzi due lo siamo entrambi. Beddu ca sí!! Al di là di tutto ciò volevo dirti che spero che tu legga queste parole, e che ti facciano pensare a noi due, a quanto belli eravamo. “ e vorrei dirti che mi manchi e che ti penso” e’ la frase di una canzone che ti ho dedicato qua, su Tumblr, di Mose perfetti sconosciuti; perché da un lato si, sembriamo sconosciuti ormai, ma troppe cose ci legano ancora, in realtà non hanno mai smesso. Non so quanti miei post hai letto, non so cosa hai provato e pensato nel leggerli, non so se mi ami ancora. Però sai una cosa? Ti amo, si io ti amo amore, e non mi importa se ti suona strano o se ti viene da dirmi di non chiamarti così, ma vedi io penso che di amore ce ne sia uno soltanto nella vita, ed il mio sei tu. Il mio piccolo leoncino con gli occhi verdi ( sei una rarità come i leoni bianchi), piccolo grande Simba. Sono una testa di cazzo lo so, ma era carino quando ce lo dicevamo entrambi scherzando per rimproverarci. Ti devo anche dire che mi sento come se fossi ormai il nulla cosmico per te, si, ho la sensazione che potresti attraversarmi il corpo come un fantasma senza che tu possa rimanere incastrato dentro di me: magari ti incastrassi di nuovo nel mio cuore, perché sai lo sentiresti battere parecchio. Un po’ come quando io sentivo il tuo ogni volta che appoggiavo la testa sul suo petto, era rilassante, mi faceva addormentare quel suono...mi manchi, vorrei augurarti la buonanotte, dirti che ti amo tanto, e dirti soprattutto a domani...
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givemeanorigami · 2 years
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Spiegazioni scientifiche, parola della mia parrucchiera, familiarità con i capelli che diventano bianchi in giovane età in praticamente tutte le donne dal lato paterno della mia famiglia, ma per mia madre la colpa dell'alta quantità di capelli bianchi sulla mia testa è dovuta alla tinta. Il falso mito della tinta, anche perché non ho decolorato e non ho abusato, e non perché ho ereditato il gene del "ah-ah, noi la melanina per dare pigmentazione ai capelli iniziamo a produrla meno ancora prima dei trent'anni".
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sudokulife · 2 years
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Test antinoia del lunedì 🙄🙄
1) NOME?
Leonardo
2) SEI SIMPATICO?
Dipende da con chi sono e dai momenti e poi penso debbano dirlo gli altri..
3) DATA DI NASCITA? 21 03 96
4) FRATELLI O SORELLE?
Nono
5) QUANTI ANNI HAI?
Uno più dell’anno scorso
6) DI CHE COLORE SONO I TUOI OCCHI?
Marron
7) I TUOI CAPELLI?
Castani scuro
8) TE LI SEI MAI TINTI?
Tanti anni fa
9) DI CHE COLORE?
Bianchi o verdi o rossi
10) QUANTO SEI ALTO?
Poco
11) IL COLORE CHE AMI INDOSSARE?
Black
12) IL PROFUMO CHE USI?
Sauvage o Dolce e gabbana the one o one million silver
13) HAI QUALCHE TIC?
Si ma derivati dal mio problema alle gambe
14) SOPRANNOME?
Leo o altri
15) PROFESSIONE?
Disegnatore o illustratore
16) CHI AMMIRI?
Chi ha coraggio da vendere
17) FUMI?
Sto cercando di smettere con la elettronica nel senso che nn vorrei più fumare nemmeno quella
18) MARCA?
Fumavo Wiston o camel
19) QUANTO?
Ogni tanto
20) CI HAI MAI PROVATO?
Si
21) HA CHE ETA’ LA PRIMA SIGARETTA?
14 circa
22) IN CHE OCCASIONE?
Scuola
23) REAZIONE DEI TUOI GENITORI
L’hanno scoperto dopo e pensano io abbia iniziato allora
24) HAI MAI FUMATO IN CASA?
Troppi anni fa
25) A CHE ETA’ LA PRIMA VOLTA?
Non ricordo
26) C’E’ QUALCUNO CHE FUMA IN CASA TUA?
Purtroppo
27) HAI MAI VISTO UN BAMBINO FUMARE? CHE ETA’ AVEVA?
13/14 se si intende come essere bambini
28) HAI MAI VISTO UNA BAMBINA FUMARE? CHE ETA’ AVEVA?
Sè bambina di intende 13 14 si
29) PARTNER?
Non ho capito la domanda… partner di o per cosa?
30) DORMI?
Si ma troppo poco
31) SEI FELICE?
Potrei esserlo di più
32) SOGNI O REALTA’?
Realtà anche se è bello sognare
33) GIORNO O NOTTE?
Boh
34) MARE O MONTAGNA?
Dipende con chi o quando o che occasione
35) CALDO O FREDDO?
Dipende cosa
36) AMI LA MAMMA?
Non così tanto, sono alquanto deluso da certi atteggiamenti
37) AMI IL PAPA’?
No
38) HAI ANIMALI IN CASA?
Cane e gatto
39) CREDI NELLE STREGHE?
No
40) NEGLI UFO?
No
41) CHE NEL 2012 IL MONDO FINIRA’?
Ormai siamo quasi al 2022
42) RELIGIONE: non sono religioso
43) LA COSA CHE DICI PIU’ SPESSO?
Le bestemmielle anche se non dovrei
44) BACI O CAREZZE?
Entrambi ma dipende dai momenti
45) LA TUA CANZONE PREFERITA?
Dipende dal periodo
46) IL TUO CANTANTE PREFERITO?
Ed
47) LA SQUADRA DEL CUORE?
Juve
48) LA TUA CITTA’?
Eeeee vicino Torino
49) TI RITIENI PERFETTO?
Ma mai nella vita
50) PARLI MAI DA SOLO?
Già ogni tanto
51) CANTI SOTTO LA DOCCIA?
Chi non lo fa?
52) TI PIACE VIAGGIARE?
Troppo
53) IL POSTO IN CUI VUOI ANDARE?
Il più lontano possibile comunque sono in fissa con diverse città e paesi
54) SE FOSSI UN ANIMALE?
Un orsetto lavatore
55) SE FOSSI UN FRUTTO?
Mango
56) SE FOSSI UN FIORE?
Non ti scordar di me
57) SE FOSSI UN COLORE?
Nero come la mia laif
58) RIDERE O PIANGERE?
Dipende
59) SOLE O PIOGGIA?
Pioggia
60) IL TUO PIATTO PREFERITO?
Pizza
61) DOLCE O SALATO?
Salato
62) AMORE O SOLDI?
Amore
63) BIONDA O MORA?
Dipende
64) MACCHINA O MOTO?
Auto
65) HAI MAI FATTO FUGA DA SCUOLA?
Troppe volte
66) TI SEI MAI UBRIACATO?
Si
67) SAI ANDARE IN BICI?
Si ma è troppo che nn vado
68) IN SCOOTER?
Si
69) DICI LE BUGIE?
Nope
70) PERCHE’?
Perche nn ha senso
71) LA PAROLACCIA CHE DICI PIU’ SPESSO?
Cazzo
72) DI CHE COLORE E’ IL TUO CELLULARE?
Nero
73) LA TUA SUONERIA?
Classica dell’iPhone
74) ORO O ARGENTO?
Oro
75) L'SMS PIU’ BELLO?
Bo
76) QUELLO PIU’ BRUTTO?
Bo
77) AMORE O AMICIZIA?
Amore
78) CAMBIERESTI QUALCOSA DI TE?
Minchia
79) NUMERO DI SCARPE?
41
80) OCCHIALI?
Purtroppo
81) PIERCING?
Si
82) DOVE?
Lingua
83) A CHE ETA’ IL PRIMO?
17
84) HAI MAI VISTO UN BAMBINO CON UN PIERCING?
QUANTI ANNI AVEVA? DOVE CE L’AVEVA?
No
85) HAI MAI VISTO UNA BAMBINA CON UN PIERCING?
QUANTI ANNI AVEVA? DOVE CE L’AVEVA?
No
86) TATUAGGI?
Si
87) DOVE?
Un po’ ovunque
88) A CHE ETA’ IL PRIMO?
17
89) COME PORTI I CAPELLI?
Così
90) A COSA PENSI?
Penso che le persone debbano farsi un po’ furbe
91) NUMERO PREFERITO?
121
92) MATERIA PREFERITA?
Ricreazione
93) MATERIA PIU’ ODIATA?
Matematica
94) A CHE ETA’ IL PRIMO BACIO?
Non ricordo
95) NUMERO MASSIMO DI COLLANINE CHE HAI
AVUTO ADOSSO CONTEMPORANEAMENTE?
Una
96) NUMERO MASSIMO DI BRACCIALETTI CHE HAI AVUTO ADOSSO CONTEMPORANEAMENTE?
Booo
97) SE AVESSI LIBERTA' ASSOLUTA PER FARE TUTTO CIO' CHE VUOI?
He he he
98) DOVE SEI?
A casa
99) CREDI NEI COLPI DI FULMINE?
Boo
100) SALUTAMI
Ciao
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sciatu · 4 years
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RISPEDDI - Racconto di Natale
Si avvicinò alla porta e l’osservò. Era una di quelle porte antiche a due ante con uno spioncino ed un colore mogano antico; era lucidissima come se chi ci abitava passasse il tempo a lucidarla. Si aggiustò la cravatta, a cui non era abituato, si tirò la giacca e allungò la mano destra verso il campanello in ottone lucido, bilanciando sulla sinistra il vassoio di cannoli che aveva comprato per l’occasione. Il dito esitò qualche secondo prima di premere il campanello che suonò con un trillo forte e metallico. Sentì qualcuno borbottare, seguito da uno strisciare di ciabatte fino alla porta e poi un rumore di chiavistelli e ferraglia fino a che la porta non si apri e il volto di un signore piccolo e calvo con due baffetti curati apparve nella fessura della porta. “È il signore Catalano? – chiese il ragazzo incerto - sono Tommaso, ….Tommaso Pitrè “ disse tutto di un fiato come se volesse vincere la paura che lo aveva assalito “Si ma…. – fece il vecchio non capendo e dondolando impercettibilmente la testa come a sottolineare che per lui restava un perfetto sconosciuto, poi d’improvviso lo guardò attentamente ed i suoi occhi si illuminarono come se avesse capito chi aveva davanti e stupito, forse un po' spaventato, chiese – lei … è …. Tommaso ….. quel … Tommaso…?” “Si signor Catalano, sono io, ecco in occasione delle feste ero venuto a salutarvi e a farvi gli auguri di buon Natale a lei e a sua… “ disse tutto di un fiato il ragazzo recitando il discorso che si era preparato Il vecchio non lo lasciò finire, lo guardò stupito e con gli occhi lucidi e la voce tremante lo tirò dentro il corridoio della casa gridando con una voce tradita dall’emozione “Concetta, veni chi c’è u carusu… Tummasinu… veni.” Il ragazzo si sentì tirare dentro un ingresso quadrato e ampio su cui davano quattro porte, una di queste era quella di una cucina in cui una vecchia signora, piccola e magra, vestita da casa con una vestaglia di un cupo color nero ed con i capelli bianchi raccolti in una cuffietta di plastica trasparente perché stava friggendo qualcosa “Chi ti gridi – fece la donna acida e seccata – cu jè?” “ Tummaso ! Cuncetta,  Tummasinu jè” Fece il vecchio spazientito che la moglie non capisse, indicandolo come se già il vederlo avesse dovuto farle capire la sua importanza Lei si avvicino asciugandosi le mani nel grembiule grigio e già malmesso “buongiorno … scusassi, stava frijennu du rispeddi” Fece fredda allungando due dita per semplice convenzione. Il ragazzo allungò la mano stringendo le due dita e sorridendo ripeté tutto di un fiato “Buongiorno signora, sono Tommaso Pitrè sono venuto a portarvi un pensiero e a farvi gli auguri di buon Natale” La donna lo guardò ancora non capendo ma strinse gli occhi perché con la mente cercava di ricordare perché quel ragazzo che non aveva mai conosciuto prima era venuto a salutarla ed avesse qualcosa di familiare. Terribilmente familiare. “È Tommasino, Concetta – disse sottovoce suo marito armandosi di pazienza, senza staccare gli occhi dal ragazzo – ti ricordi? Ce ne aveva parlato in ospedale il dottor Gugliando  …. per Paolo…” La donna aveva aggrottato la fronte come a cercare ancora dentro di se ma appena senti il nome Paolo aprì la bocca dallo stupore coprendosela con le mani come a fermare un grido che le stava uscendo. Gli occhi le si allagarono riempiendosi di lacrime e prima che il ragazzo potesse dire qualcosa lo abbraccio e lo strinse a sé piangendo Il ragazzo restò interdetto ed osservò il vecchio a chiedere cosa fare. Lui pero aveva tirato fuori un enorme fazzoletto bianco con cui si soffiò rumorosamente il naso poi preso il vassoio di cannoli che stava traballando per i singulti della moglie ancora stretta al ragazzo, le disse con fermezza “Veni, fallu sittari “ ed aprì la porta che dava sul salotto entrò e dopo aver appoggiato il vassoio sul tavolo dischiuse le pesanti tende che davano su una vetrata per far entrare un po' di luce “Veni – ripeté la moglie levandosi la cuffia da cui uscivano dei capelli grigi, quasi appassiti  prematuramente – veni, fatti avvidiri” Lo portò tirandoselo per la mano verso un vecchio divano su un lato del salotto e lo fece sedere accanto a se guardandolo attentamente. Il vecchio prese una sedia e si mise sul lato opposto come se anche lui volesse stare il più vicino possibile al ragazzo. La donna lo guardava con gli occhi fissi, cercandone ogni più piccolo particolare mentre incurante delle lacrime che le scendevano sulle guance, stringeva tra le sue mani tremanti quella di lui. Osservò i suoi occhi nerissimi e circondati da un alone scuro che risaltava sulla pelle bianchissima di chi non aveva mai potuto avere una giornata al mare o una passeggiata tra i monti “Ma sei più giovane di Paolo – disse ad un certo punto la vecchia stupita per la scoperta – quanti anni hai?” “ne farò 21 l’otto gennaio” rispose lui felice. “ Ma allora eri ammalato da quando eri piccolo?” Osservò il vecchio “Da sempre… - rispose sorridendo il ragazzo – appena nato, già stavo male. Il mio cuore faceva già i capricci. Non potevo correre, sudare, e dovevo evitare di ingrassare. Dovunque andavo dovevo stare attento che non mi venisse qualche crisi. Ogni minuto poteva diventare una tragedia. Poi ultimamente, anche da fermo stavo male. Era una cosa impossibile, ormai non potevo neanche uscire dall’ospedale che avevo crisi continue. Alla fine il cuore smise di funzionare e a un certo punto diventò inutile, Mi tenevano in vita con le macchine cercando disperatamente un donatore….” Si fermò un istante preoccupato di dire troppo senza riguardo per chi lo ascoltava. “ Paolo … “ disse la vecchia commossa “Si, Paolo, se non avesse deciso di donare i suoi organi, anch’io non sarei più qui” Esitò ancora e continuò. “ ecco  ormai no ce la facevo più, a stare li attaccato alle macchine con tutti i fili e tubi che mi tenevano in vita, Mi chiedevo quale fosse il senso di vivere in quel modo dipendendo per ogni mia cosa da qualcuno o qualcosa. Della vita avevo solo visto dottori ed ospedali e le cose belle le avevo vissuto per poco, di corsa, pronto a dover soffrire in cambio di una passeggiata sulla spiaggia o una camminata per negozi: tutto quello che per gli altri era normale per me era eccezionale. Non ho mai visto un tramonto, la luna sul mare, una passeggiata in collina, non avrei mai potuto amare per come si deve e sognare per come si vuole. Vivevo pensando solo a soffrire il meno possibile. – il ragazzo si fermò e guardò negli occhi la donna – ecco, quando si soffre si vive in un banco di nebbia che non ti fa vedere oltre il prossimo passo che devi fare; non vedi nient’altro che il tuo dolore e la solitudine che a causa sua soffri. Poi ti dicono che hanno trovato un cuore e che ti opereranno di corsa e tu non te ne rendi conto. Forse non ci credi e poi tutto diventa diverso e la nebbia attorno a te si alza e ti accorgi del mondo che avevi intorno, e comprendi che la vita non è i vetri della finestra della tua stanza, il cambio delle infermiere in corsia o il marciapiede vuoto che va verso l’ospedale, ma sono le persone, i loro occhi, i loro sorrisi, il loro parlarti ed ascoltarti. È questo che Paolo mi ha insegnato: la vita sono gli altri, non il freddo parlarti dei tuoi dolori, o il tuo piangerti addosso. Per questo oggi sono uscito di casa e mi sono chiesto cosa avrebbe fatto piacere a Paolo, e mi sono risposto che gli avrebbe fatto piacere se fossi venuto a trovarvi. Ho fatto così e sono venuto” “Hai fatto bene – gli disse il vecchio mentre si asciugava ancora il naso – lui l’avrebbe apprezzato” La donna sorrise   “Vedi anche noi vecchi siamo come a te quando eri malato, circondati da una nebbia che non ci fa vedere gli altri, ma solo i nostri acciacchi, i nostri problemi, il piccolo mondo in cui per la paura che nasce dal nostro sentirci deboli ci chiudiamo. Io ad esempio non volevo. Mio figlio era morto e lo volevano … aprire e prendergli tutto quello che potevano come ladri in una chiesa di notte. Li ho odiati! Sentivo che gli avrebbero fatto solo del male, che ci stavano rubando un'altra volta mio figlio. Quando me lo dissero, mi misi a gridare come una pazza che erano ladri di vita. – scosse la testa mentre osservava le sue mani stringere quello del ragazzo – poi mio marito mi fece ragionare. Mi disse che Paolo lo aveva deciso molti anni prima. Che era una sua scelta e per quanto lo amavamo dovevamo rispettarla. Lui lo riteneva un suo dovere aiutare gli altri che soffrivano e lo aveva lasciato anche per iscritto. -  si fermò qualche secondo scuotendo la testa - Paolo amava la vita, era un compagnone, sempre pronto a fare casino con i suoi amici. Lui non era accecato dalla nebbia della solitudine, del sentirsi deboli e vulnerabili: non aveva paura! Non pensava che il suo mondo finisse alla porta di casa. Era giovane, e chi vede la sua vita con gli altri e per gli altri, resta giovane. Per sempre! Non può morire perché vive in chi ha amato, lo portano nei loro cuori, lo tengono in vita nei loro pensieri, e tu me lo hai provato, hai provato che Paolo aveva ragione” Si asciugò gli occhi. Vi furono pochi secondi di silenzio “posso chiederti un piccolo favore?” “Si signora  mi dica” “Posso sentire il tuo cuore? Lui la guardò stupito per la richiesta “Certo, se vuole…” Lei sorridendo appoggiò l’orecchio al petto del ragazzo ed ascoltò per qualche secondo, poi guardando il marito disse sottovoce “ lo sento…. – chiuse gli occhi ed aggiunse con un filo di voce più sottile – … ciao Paolo” E stringendo gli occhi si mise a piangere “Così mortifichi Tommaso - fece seccato il marito – cosa gli fai pensare…!” “scusa … scusa… - fece lei mettendosi dritta – sono sciocchezze di una madre “ “No, non sono sciocchezze: è amore! ” Rispose serio Tommaso. “Paolo non poteva essere diverso da quello che era perchè era vostro figlio. Era amato e per questo amava. È una cosa semplice, quasi banale, ma non tutti sono capaci di essere nello stesso tempo un frutto e un seme fecondo, non tutti sanno essere buoni maestri dopo essere stati ottimi allievi. Molti sanno solo chiedere perché non hanno mai capito cosa vuol dire dare” La madre sorrise poi si alzò di scatto “Aspetta, aspetta un minuto….” e scomparve verso la cucina. Il vecchio l’osservò stupito ma si dimentico subito di lei e chiese al ragazzo “Ma ora come stai? va tutto bene?” “Si adesso tutto bene. Vede – disse tirando fuori un piccolo quaderno dalla tasca interna della giacca – ogni giorno vado in giro per Messina e mi scrivo le cose belle che vedo e che prima non conoscevo…. guardi, guardi pure…” fece il ragazzo passandolo al vecchio. Il vecchio aprì a caso e incominciò a leggere “i bambini che escono felici da scuola….. l’arrivo del traghetto…. l’alba vista dalla chiesa di Cristo Re…. gli innamorati che passeggiano di fronte alla Fiera….” Arrivò la vecchia con in mano un enorme vassoio di rispeddi fritte ricoperte da grossi cristalli di zucchero “Pigghiani una, fozza,…” lo incoraggiò mettendogliele davanti Il ragazzo le guardò un po' sorpreso e disorientato. “Veramente non sono un fanatico delle rispeddi; i dottori mi hanno sempre detto di stare attento… ne prendo una per assaggiare….” disse alla fine quasi per non offendere la vecchia. Prese un tovagliolo che la vecchia gli porgeva e raccolse una piccola rispedda dal grande vassoio mettendosela in bocca. Fece una faccia stranita e senza pensarci sopra ne prese un'altra e se la mangiò e continuò così fino a che, vedendo i vecchi che lo guardavano stupiti, si fermo disorientato “Scusate, non so perché, ma sono buonissime, è come se le avessi sempre mangiate…. non riesco a fermarmi….” I due lo guardarono e sorrisero “ è il dolce preferito di Paolo….” disse la vecchia sorridendo
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Sono in un limbo, tutti mi vanno addosso, e la mia mente grida che c'è solo una soluzione, andarmene per sempre
Tesoro, la soluzione proposta dalla tua mente non ti condurrà alla felicità. Davvero. Perché quando una persona vuole andarsene, quando una persona vuole porre fine alla sua vita, significa che vuole porre fine a tutto. Significa che vuole spezzare ogni speranza, ogni futuro, ogni sogno. Significa che vuole porre fine a tutte le svolte, a tutti i nuovi incontri, a tutti i sorrisi che le faranno venire le lacrime agli occhi e le camminate al tramonto. Significa che vuole porre fine a tutti i libri che deve ancora leggere, a tutti i film che deve ancora vedere, a tutte le cioccolate calde che berrà nei giorni invernali. Significa che vuole porre fine all'amicizia che legherà con una persona di cui ora non sa il nome, ma che inseguito diventerà davvero importante perché le starà accanto nei prossimi momenti bui, le scompiglierà i capelli la mattina e le farà il solletico nonostante sappia bene che tu lo odia. Tesoro, toglierti la vita significa che porrai fine a quell'amore che incontrerai in un giorno di pioggia, in un posto che detesti, e dopo quell'incontro i cieli grigi diventeranno meno malinconici e quel luogo più sopportabile e le canzoni inizieranno ad avere un senso e ogni volta che guarderai il mare non potrai fare a meno di pensare al suo volto, e inizierai a guardarti allo specchio e a vederti più bella ogni volta che lui te lo dirà, e inizierai a sentirti meno sola e imparerai cosa significa prendersi cura di qualcuno e temere di non poter amare nessun altro dopo lui. E magari ora ti sembrerà impossibile ma presto ti volterai e vedrai quante cose avrai superato, quante tenebre avrai attraversato, quanti ostacoli avrai sconfitto, quanti passi avrai percorso e in men che non si dica, così tanto da non essertene accorta sul serio, stringerai fra le mani un diploma, una laurea, avrai già fatto vari lavori, con una fede alla mano e messo su famiglia come quel ragazzo che, in quel giorno di pioggia ti ha sorriso e ha iniziato a parlarti.E ti sembrerà che passeranno pochi giorni, e invece diventerai già anziana, una di quelle nonnine coi capelli bianchi sempre raccolti e la casa piena di fiori, con in forno una crostata e le pareti bianche tappezzate di foto e quadri. E ti riguarderai allo specchio, e noterai il tuo volto increspato di rughe, le tue mani un po' tremanti e i tuoi occhi sempre di quel color nocciola... e non ti sembrerai più orribile, un disastro, e ti pentirai di aver passato così tanti anni della tua adolescenza a odiarti, a farti del male, a punirti. Ma ti capiterà di guardare le foto, quelle foto che racchiudono momento della tua vita così differenti, così lontani l'uno dall'altro... e il cuore ti si riempirà di gioia, pensando a quando hai avuto il coraggio, quel giorno, da ragazzina, di non averti tolto la vita.
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stillhere24 · 7 years
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Come te nessuno mai: elogio alla diversità
Mi sono rotta con questa storia che bisogna essere sempre tutti uguali, belli perfetti, alti… con un sorriso bianchissimo e tutti i denti bianchi come dei Tic tac. E chi non lo è? Chi non lo è deve sentirsi una merda! Chi magari ha le tette piccole, il naso storto e le labbra sottili si sente sbagliato e si rifà! Vedrai tra dieci anni… tra dieci anni saremo tutti uguali, tutti identici. Toccherà poi andare dal chirurgo estetico e dire: “Senta… mi può spaccare il naso cortesemente? Voglio averlo un po’ storto per darmi quel tocco di diversità”…. “Guardi. Ho le tette della quarta, me le fa della prima scarsa? Perché sa le quarte ce le hanno tutti. Mi fa le tette di un gatto maschio per piacere?”.
Secondo me la bellezza non vuol dire essere perfetti, ma vuol dire essere armonici dentro e fuori. Accettarsi per quel che si è. Lo dico per tutti i ragazzi che patiscono a scuola e tra gli amici, quelli che sono spesso vittima dei bulli. Ho una lettera per voi..
Cara Francesca, Alessia, Cecilia, Rosa, Martina… e poi aggiungete voi. Caro Mattia, Alberto, Riccardo, Filippo, Osvaldo, Mimmo e Fred… e poi aggiungete voi. Può capitare che in certi periodi della vita uno si senta fragile, si senta come le barrette ai frutti di bosco… che basta un niente a frantumarle. È normale. È assolutamente umano. Viviamo in un tempo fetente che ci vuole sempre al top, fichissimi, intelligentissimi, bravissimi a scuola, amatissimi… e anche pieni di like. Capirai?!
E se invece non sei così bella? Se sei tonda e gentile come la Nocciola delle Langhe… e nessuno ti guarda? Se c’hai sempre qualche brufolo pellegrino che fa il cammino di Compostela sulla fronte? Se la tua caviglia non è stretta come il cervello di chi ti critica? Se vivi nella vita reale e non vivi in Photoshop? E tu invece? Tu invece che sei maschio e ti senti medusa. Che non sei alto 1,90m, che non hai settemila muscoli che ballano sotto la maglietta… e quando giochi al calcio sembri un po’ il Gabibbo. Tu che porti la stessa felpa da un mese, perché solo con quella ti senti un po’ corazzato. Che porti i capelli lunghi fino al naso così non si vede che ogni tanto piangi. Che devi fare? Nulla devi fare. Nulla. Solo lasciarti crescere in pace. Amarti… questo si.
Perché la gente non sa quante cose belle ci sono dentro di te… è per quello che ti tormenta. Ma guardali… guardali! Vale la pena dar retta alle stronzate che dicono? Sono budini. Budini che si credono torroni. Solo tu sai quanto vali. Sei diverso? Minchia… Evviva! Vuol dire che sei un pezzo unico e originale. Come te nessuno mai. Io questo ho imparato con il tempo. A diventare un po’ speleologi di se stessi, tipo palombari. Solo quelli lo fanno nel mare. Tu ti metti lì e cominci a scavare… e ti ascolti.
Il tuo cuore è una conchiglia, se lo ascolti bene si sente un sacco di roba. Si sentono le onde, le maree, le burrasche, le bonacce… si sentono gli slanci del tuo cuore e le paure mescolate alle tue forze. E poi leggi… leggi tanto, leggi tutto, leggi anche quando sei al cesso, leggi anche le istruzioni del detersivo, leggi anche quello che ti sembra difficile. Lo hanno scritto degli uomini, c’hanno speso del tempo, qualcosa dentro che serve ci sarà. E perché attraverso le storie degli altri che si scopre di non essere solo… e che le cose che succedono a te, sono successe non sai a quanti. E poi ascolta la musica, fai che il tum tum del tuo cuore si mescoli al tum tum della batteria. E poi canta. Canta anche se sei stonato. Riempiti l’iPod e cammina, fino a quando ti fanno male i piedi e va via la voce.
Tirati su da quel divano, mettiti su una maglietta che ti sta bene… un po’ di rimmel se sei una femmina e un po’ di gel se sei un maschio. Tutti e due se sei gay. Impara prima di tutto a piacere a te stesso, quello che pensi di te è molto più importante di quello che gli altri pensano di te. Lo diceva Seneca, che non era affatto uno stupido.
-Luciana Littizzetto
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r-andomization · 5 years
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Accogli, discendente di Dardano, il carme di Elissa che sta per morire: quelle che leggi sono le ultime parole che ti vengono da me. Così canta il bianco cigno presso gli acquitrini del Meandro, mentre langue sull'umida erba, quando il destino lo chiama. E non mi rivolgo a te nella speranza di poterti commuovere con la mia preghiera: questa iniziativa è contro il volere del dio. ma, avendo gettato via con disonore la mia buona reputazione dovuta ai meriti e la purezza del corpo e dell'anima, è cosa da poco sprecare delle parole.
ormai sei deciso, enea, ad andartene e ad abbandonare l'infelice didone. i medesimi venti porteranno lontano le tue vele e le tue promesse. Sei deciso, Enea, a sciogliere le navi e i tuoi patti e a raggiungere i regni d'Italia, che non sai dove siano. Non ti interessano né Cartagine fondata di recente, né le mura che stanno crescendo, né il potere supremo affidato al tuo scettro. fuggi ciò che è fatto e desideri ciò che è da farsi. Senti di dover cercare un'altra terra nel mondo, dopo averne già cercata una. Anche se la trovi questa terra, chi te ne darà possesso, chi consegnerà a degli sconosciuti i propri terreni da occupare? Un altro amore… un'altra Didone e altre promesse dovrai fare, per poter tradire di nuovo. Quando avverrà che tu fondi una città simile a Cartagine e che tu possa guardare il tuo popolo dall'alto della rocca? Anche se tutto ciò si avverasse e gli dèi non ritardassero il tuo desiderio, dove troverai una moglie che ti ami così?
Brucio come le fiaccole di cera impregnate di zolfo, come l'incenso delle devozioni versato sui roghi fumanti. Enea resta sempre impresso nei miei occhi insonni, Enea ho nella mente, notte e giorno. Ma lui è ingrato e sordo alle mie offerte generose e, se non fossi insensata, vorrei fare a meno di lui. Tuttavia non odio Enea, benché mediti il mio male, ma lamento la sua slealtà e, pur lamentandomi, lo amo di più. Venere, abbi pietà di tua nuora e tu, fratello Amore, abbraccia il tuo crudele fratello; che egli militi nelle tue schiere;… l'uomo che per prima ho cominciato ad amare - e non me ne vergogno - offra materia al mio tormento d'amore. Mi inganno, e questa sua immagine che mi si agita dinanzi è illusoria: la sua indole è diversa da quella di sua madre. La pietra e le montagne e le querce che nascono spontanee sulle alte rupi e le belve feroci ti hanno generato, oppure il mare, come lo vedi anche ora, sconvolto dai venti e che tuttavia ti accingi ad attraversare, nonostante le onde avverse.
Dove scappi? Ti si oppone la tempesta: possa aiutarmi il favore della tempesta! Guarda come Euro agita e sconvolge le acque. Ciò che avrei preferito dovere a te, lascia che lo debba alle tempeste. Il vento e le onde sono più giusti del tuo cuore. Io non sono così importante che tu, malvagio - ti valuto forse ingiustamente? -, debba morire, mentre mi sfuggi sul vasto mare. Tu nutri a caro prezzo un odio costoso e pervicace, se, pur di liberarti di me, poco ti importa di morire. Ormai i venti caleranno e Tritone correrà sulla piana superficie delle acque, con i suoi cavalli cerulei. Oh, se anche tu potessi cambiare con i venti! E cambierai, se non superi le querce in durezza. Cosa faresti, se non conoscessi il potere del mare infuriato? Così avventatamente ti affidi alle acque che hai sperimentato tante volte? Anche se tu sciogliessi gli ormeggi con un mare invitante, molte sono le sciagure che riserva la vasta distesa del mare. E certo non giova, a chi si avventura nellle acque, aver violato giuramenti: quel luogo esige che si paghi il fio del tradimento, soprattutto quando si è offeso l'amore, poiché si dice che la madre degli Amori sia nata nuda dalle acque di Citera. Rovinata, temo di mandare in rovina, o di fare del male a chi me ne fa o che il mio nemico, naufragando, beva le acque del mare. Vivi, ti prego! Preferisco perderti così, piuttosto che vederti morto - tu piuttosto, sarai considerato responsabile della mia morte. Prova a immaginare di essere preso da un turbine impetuoso - che il mio presagio sia vano! - cosa penserai? Ti verranno subito in mente i falsi giuramenti della tua lingua menzognera e Didone, costretta a morire per la perfidia di un frigio; ti starà davanti agli occhi l'immagine di tua moglie, che hai ingannata, triste, insanguinata, con i capelli scomposti. “Qualunque cosa sia”, dirai, “tanto ho meritato, perdono!”, e tutti i fulmini che cadranno penserai che siano scagliati contro di te! Concedi una piccola tregua alla tua crudeltà e al mare; la grande ricompensa al tuo indugio sarà un viaggio sicuro. E non mi preoccupo solo per te: abbi almeno riguardo per il piccolo Iulo! È sufficiente per te avere la gloria della mia morte. Quale colpa può avere Ascanio, che è un fanciullo, quale i Penati? Gli dèi sottratti all'incendio dovranno essere sommersi dalle onde? Ma non li porti con te e tutte le cose di cui, spergiuro, ti vanti con me, gli oggetti sacri e tuo padre, non gravarono le tue spalle.
menti su tutto; e veramente non sono io la prima ad essere ingannata dalla tua lingua, né io per prima ne pago le conseguenze: se chiedi dove sia la madre del bel iulo, ella è morta in solitudine, abbandonata da un marito crudele. questo mi hai raccontato… la punizione sarà sempre inferiore alla tua colpa. E ho l'intima certezza che i tuoi dei ti condannino: sono sette inverni che sei sballottato per mare e per terra; rigettato dai flutti ti ho accolto in un luogo sicuro, e avevo ascoltato a malapena il tuo nome che ti ho consegnato il mio regno. Se almeno mi fossi limitata a questi favori e il mio buon nome non fosse stato sepolto dalla nostra unione! Ha segnato la mia rovina quel giorno in cui un grigio temporale ci spinse, per un acquazzone improvviso, nella cavità di una grotta. Avevo udito delle voci, credetti che fossero ululati delle ninfe: erano invece le Eumenidi che davano il segnale del mio destino. Esigi una punizione, o pudore offeso, e voi sacre leggi del matrimonio profanate e tu, mio buon nome, che non ho conservato fino alla morte e anche voi, miei Mani, e tu anima e cenere di Sicheo, cui sventurata vado incontro piena di vergogna. In un tempio di marmo ho consacrato la sacra effige di Sicheo: la ricoprono sul davanti fronde e bianchi velli. Di lì io mi sono sentita chiamare per quattro volte dalla ben nota voce; proprio lui, con voce sommessa, mi disse: “Elissa, vieni!”. Non c'è da aspettare: vengo, vengo, io, la tua sposa legittima. Giungo tardi, tuttavia, ora che ho perso il mio onore! Perdona la mia colpa: chi mi ha ingannata dava tutte le garanzie; egli rende meno riprovevole la mia colpa. Una dea per madre, l'anziano padre, pio fardello del figlio, mi diedero ragionevole speranza di un marito che sarebbe rimasto. Se era destino che sbagliassi, il mio errore ha cause oneste; aggiungigli la fedeltà, non sarebbe spregevole sotto nessun aspetto. Il destino, che ho sempre avuto in passato, persiste sino alla fine e accompagna gli ultimi momenti della mia vita. Il mio sposo è morto, assassinato presso l'altare di Tiro e mio fratello si gode la ricompensa di un delitto così grande. Vengo costretta all'esilio e abbandono le ceneri di mio marito e la patria; sotto l'inseguimento nemico, sono spinta in un pericoloso cammino. Sfuggita al fratello e al mare, approdo tra gente sconosciuta e acquisto quella terra che ti ho donato, traditore. Fondai una città ed eressi mura che si estendono per lungo tratto e destano l'invidia delle regioni vicine. Ci sono guerre in fermento: straniera e donna sono provocata a combattere e, inesperta, allestisco con difficoltà le porte per la città e gli armamenti. Piacqui a mille pretendenti che si allearono, scontenti che io avessi preferito ai loro talami uno sconosciuto. Perché esiti a consegnarmi in catene al getulo Iarba? Offrirei le mie braccia al tuo misfatto. Ho anche un fratello, la cui mano sacrilega, bagnata del sangue di mio marito, chiede di essere macchiata del mio. Deponi le statue degli dèi e i sacri oggetti che profani col tuo contatto! Non è bene che una mano impura renda onore agli dèi. Se dovevi essere tu a venerare gli dèi scampati all'incendio, quegli dèi rimpiangono di essere sfuggiti alle fiamme.
forse, disgraziato, tu abbandoni didone anche incinta e una parte di te è racchiusa e nascosta nel mio corpo. la sventurata creatura condividerà il destino della madre e tu sarai colpevole della morte di un essere non ancora nato. E il fratello di Iulo morirà insieme a sua madre e un unico destino ci porterà via uniti. “Ma un dio mi ordina di partire!”. Vorrei che ti avesse impedito di venire e che il territorio cartaginese non fosse stato calpestato dai Troiani. È certamente con la guida di questo dio che sei sbattuto da venti ostili e consumi lungo tempo trascinato dalle onde! Così grande fatica da parte tua sarebbe valsa appena per cercare di tornare a Pergamo, se fosse nelle condizioni di quando Ettore era ancora vivo. Tu non cerchi il paterno Simoenta, ma le acque del Tevere; certo, anche se giungi dove desideri, sarai uno straniero. E dal momento che la terra che tu cerchi se ne sta ben nascosta, restando fuori dalla vista, ed evita le tue navi, questa terra agognata la raggiungerai a malapena da vecchio. Lascia il tuo peregrinare e accetta piuttosto in dote, questo popolo e le ricchezze di Pigmalione che ho portato con me. Trasporta più opportunamente Ilio nella città tiria e prendi infine il posto e lo scettro sacro di re! Se il tuo animo è avido di guerra, se Iulo cerca da dove poter trarre trionfi con il suo impeto guerriero, gli procureremo un nemico da battere, perché non gli manchi nulla: questo luogo dà spazio a leggi di pace, ma anche alle armi. Solo ti prego, per tua madre e per le armi di tuo fratello, le frecce, e per gli dèi che ti hanno accompagnato nella fuga, sacre divinità troiane - così sopravvivano quanti della tua gente porti con te e la crudele guerra troiana segni il termine delle tue sventure e Ascanio porti felicemente a compimento i suoi anni e le ossa del vecchio Anchise riposino in pace! -, abbi pietà della casa che si affida a te. Di quale colpa mi accusi, se non di averti amato? Io non vengo da Ftia o dalla potente Micene; mio marito e mio padre non furono mai contro di te.
se ti vergogni di avermi in moglie, che non mi si chiami tua sposa, ma ospite; pur di essere tua, didone accetterà di essere qualunque cosa.
conosco bene i flutti che squassano il litorale africano: in determinati periodi consentono o impediscono la partenza. Quando il vento consentirà di partire, darai le vele ai venti; ora le alghe filacciose trattengono la nave gettata qui. affida a me l'incarico di osservare il tempo: partirai più sicuro, e, anche se tu lo volessi, non ti permetterò di restare. Anche i tuoi compagni chiedono riposo e le navi squarciate, finora riparate a metà, esigono una breve sosta. Per i miei meriti, e per quello che forse ancora ti dovrò, per la mia speranza di nozze, ti chiedo un po’ di tempo, finché si calmino il mare e il mio amore, finché con il tempo e l'abitudine io sappia trovare la forza per sopportare i dispiaceri.
se no, intendo abbandonare la vita: non puoi infierire su di me ancora a lungo. oh, se tu vedessi l'immagine di chi ti scrive! scrivo e tengo in grembo la spada troiana; lungo le guance le lacrime scivolano giù sulla spada sguainata, che fra poco sarà bagnata di sangue, anziché di lacrime. come si adattano bene al mio destino i tuoi doni! con poca spesa prepari il mio sepolcro. e non è ora la prima volta che il mio petto è ferito da un'arma: vi è già la ferita di un amore crudele. anna sorella, sorella anna, consapevole, purtroppo, della mia colpa, fra poco porgerai gli ultimi onori alle mie ceneri. e, una volta divorata dal fuoco, non sarò più indicata come elissa, moglie di sicheo, ci saranno soltanto questi versi incisi nel marmo del sepolcro: “enea fornì il motivo della morte e la spada; didone si tolse la vita con la sua stessa mano”.
- Ovidio, Eroidi / Didone a Enea
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